La Sicilia - Mercoledì 21 Gennaio 2015

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Mercoledì 21 Gennaio 2015 Prima Siracusa Pagina 21 In fuga dalla realtà con la valigia dei ricordi Come in un sogno di Kafka, che immaginava un "pugno gigante distruggere la città", allo stesso modo entro la fine del mese una mano ciclopica potrebbe penetrare dalla finestra nell'abitazione di Aldo Palazzolo, fotografo e ritrattista di fama internazionale, e dopo aver raccolto ogni sua cosa - fotografie, cimeli, libri e oggetti d'arte - trascinare tutto giù fin sul marciapiede, dove lasciarlo circondato dai suoi memorabilia come un barbone senza più un tetto sulla testa. Sfratto esecutivo: misera fine per chi ha visto sfilare davanti al suo obiettivo la sagoma convessa di Andreotti, la carnalità di un Nureiev ipnotico e l'immensa cecità di Borges. E sì, perché quel suo appartamento, al quinto piano di piazza san Giuseppe fa gola al legittimo proprietario, colui che per 3 decenni gliel'ha concesso in affitto, e che ora «vorrebbe venderlo». Vita grama quella dell'artista, soprattutto se hai scoperto che sul terrazzo di quella casa si riversa la luce adatta per trasformare i propri demoni in foto, e la cornice è quel ritaglio di muro grezzo contro cui si sono poggiate le spalle dei più grandi. «Sono stato felice per 30 anni, perché la luce ambiente che cola sul terrazzo mi permette di "togliere" fotografando: la luce del sole pomeridiano si riflette sul mare, e riversandosi morbida sul muro mi regala quell'atmosfera particolare». Fuori la grande veranda è cosparsa di frammenti di specchio, che quella luce amplificano e moltiplicano. Per il tempo dei suoi scatti, personaggi erano sue "vittime" e quasi sequestrati, costretti a essere se stessi. «Li mettevo a nudo. La bellezza veniva sagomata in un frammento, ed è questo quello che io coglievo». La casa è un dedalo di ricordi, gettati su tavoli e lungo le pareti. «Tutto questo rischia di andare via con me. Io non sono in grado di comprare questa casa - ammette - ho una pensione misera e se qualcosa non avviene dovrò trasferirmi all'estero». In realtà una via d'uscita ci sarebbe, e sarebbe rappresentata dalla "pìetas" di alcuni amici, che mettendo insieme una quota ciascuno avrebbero pensato di acquistarla per lui, e metterla a sua disposizione. «Potrei, forse. Ma non sarei più libero. Mi sentirei in debito, e lo spazio non sarebbe più mio». Come sui muri di Hiroshima, lì sulla parete nuda e cruda che si affaccia su Ortigia, sembrano permanere le ombre dei soggetti passati davanti alla sua macchina fotografica. Così come lui stesso si immagina fantasma, un corpo che preferirebbe si materializzasse in prossimità di una mostra, non prima. «Vivo dentro questa casa come dentro un ventre» ammette, e anche se non termina la frase è facile immaginare che viva l'imminente sfratto come un aborto violento. Ancora quella mano gigante che aleggia nella luce intorno al balcone, pronta a fracassare infissi e vetri e a ghermirlo con tutte le sue cose, a portarlo via. «Sono un solitario. Questo luogo è il mio mondo. Fuori da qui non so che fine farei, probabilmente mi trasferirei all'estero». Con la mano indica le pareti piene di foto e cornici, i tavoli colmi di libri, le piccole opere d'arte sparpagliate per la casa. L'orgoglio per l'arte, obtorto collo, ha fatto precipitare la situazione: lo sfratto incombe e da qui la sua richiesta alle istituzioni perché venga applicata una legge che tutela gli studi d'artista. Quando la legge batte alla porta, i fantasmi dei geni e delle icone fotografate si dissolvono come fumo, flou come la luce che - dice - regala magia ai suoi ritratti. La casa non ha un camino, ma Palazzolo sa che «un domani, quando avverrà, quando scomparirò, mi piacerebbe farlo nell'abbraccio della legna che arde in un focolaio. Tepore e calore, come quello riflesso dal sole e dal mare sulla parete dove, fino ad oggi, ho scattato i fotogrammi del mio lavoro». Seby Spicuglia 21/01/2015

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Prima Siracusa - Pagina 21

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Mercoledì 21 Gennaio 2015 Prima Siracusa Pagina 21

In fuga dalla realtà con la valigia dei ricordi

Come in un sogno di Kafka, che immaginava un "pugno gigantedistruggere la città", allo stesso modo entro la fine del mese una manociclopica potrebbe penetrare dalla finestra nell'abitazione di AldoPalazzolo, fotografo e ritrattista di fama internazionale, e dopo averraccolto ogni sua cosa - fotografie, cimeli, libri e oggetti d'arte - trascinaretutto giù fin sul marciapiede, dove lasciarlo circondato dai suoimemorabilia come un barbone senza più un tetto sulla testa. Sfrattoesecutivo: misera fine per chi ha visto sfilare davanti al suo obiettivo lasagoma convessa di Andreotti, la carnalità di un Nureiev ipnotico e l'immensa cecità di Borges. Esì, perché quel suo appartamento, al quinto piano di piazza san Giuseppe fa gola al legittimoproprietario, colui che per 3 decenni gliel'ha concesso in affitto, e che ora «vorrebbe venderlo».Vita grama quella dell'artista, soprattutto se hai scoperto che sul terrazzo di quella casa si riversala luce adatta per trasformare i propri demoni in foto, e la cornice è quel ritaglio di muro grezzocontro cui si sono poggiate le spalle dei più grandi. «Sono stato felice per 30 anni, perché la luceambiente che cola sul terrazzo mi permette di "togliere" fotografando: la luce del sole pomeridianosi riflette sul mare, e riversandosi morbida sul muro mi regala quell'atmosfera particolare».Fuori la grande veranda è cosparsa di frammenti di specchio, che quella luce amplificano emoltiplicano. Per il tempo dei suoi scatti, personaggi erano sue "vittime" e quasi sequestrati,costretti a essere se stessi. «Li mettevo a nudo. La bellezza veniva sagomata in un frammento, edè questo quello che io coglievo». La casa è un dedalo di ricordi, gettati su tavoli e lungo le pareti.«Tutto questo rischia di andare via con me. Io non sono in grado di comprare questa casa -ammette - ho una pensione misera e se qualcosa non avviene dovrò trasferirmi all'estero». Inrealtà una via d'uscita ci sarebbe, e sarebbe rappresentata dalla "pìetas" di alcuni amici, chemettendo insieme una quota ciascuno avrebbero pensato di acquistarla per lui, e metterla a suadisposizione. «Potrei, forse. Ma non sarei più libero. Mi sentirei in debito, e lo spazio non sarebbepiù mio». Come sui muri di Hiroshima, lì sulla parete nuda e cruda che si affaccia su Ortigia,sembrano permanere le ombre dei soggetti passati davanti alla sua macchina fotografica. Cosìcome lui stesso si immagina fantasma, un corpo che preferirebbe si materializzasse in prossimitàdi una mostra, non prima.«Vivo dentro questa casa come dentro un ventre» ammette, e anche se non termina la frase èfacile immaginare che viva l'imminente sfratto come un aborto violento. Ancora quella manogigante che aleggia nella luce intorno al balcone, pronta a fracassare infissi e vetri e a ghermirlocon tutte le sue cose, a portarlo via.«Sono un solitario. Questo luogo è il mio mondo. Fuori da qui non so che fine farei, probabilmentemi trasferirei all'estero». Con la mano indica le pareti piene di foto e cornici, i tavoli colmi di libri, lepiccole opere d'arte sparpagliate per la casa. L'orgoglio per l'arte, obtorto collo, ha fatto precipitarela situazione: lo sfratto incombe e da qui la sua richiesta alle istituzioni perché venga applicata unalegge che tutela gli studi d'artista. Quando la legge batte alla porta, i fantasmi dei geni e delle iconefotografate si dissolvono come fumo, flou come la luce che - dice - regala magia ai suoi ritratti. Lacasa non ha un camino, ma Palazzolo sa che «un domani, quando avverrà, quando scomparirò,mi piacerebbe farlo nell'abbraccio della legna che arde in un focolaio. Tepore e calore, comequello riflesso dal sole e dal mare sulla parete dove, fino ad oggi, ho scattato i fotogrammi del miolavoro».Seby Spicuglia

21/01/2015