La sfi da al diabete: le nuove frontiere, le nuove …...Vol. 31, N. 4, dicembre 2019 Sommario –...

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Vol. 31, N. 4, dicembre 2019 – RASSEGNE La malattia renale cronica non-albuminurica nel diabete mellito tipo 1 L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal parere autorevole alla raccomandazione basata sulle evidenze Attività fisica/esercizio fisico nella terapia del diabete di tipo 2 – EDITORIALI A che punto siamo con il pancreas artificiale – AGGIORNAMENTO DALLA LETTERATURA Efficacia di un algoritmo di apprendimento nei giovani con diabete di tipo 1 con pancreas artificiale – JOURNAL CLUB – MEDICINA TRASLAZIONALE: APPLICAZIONI CLINICHE DELLA RICERCA DI BASE Autofagia e diabete: una prospettiva traslazionale – AGGIORNAMENTO CLINICO E TECNOLOGIE Depressione e diabete: miglioramento del compenso glicemico al di là della terapia ipoglicemizzante – LA VITA DELLA SID Congresso Interassociativo AMD-SID Regione Lombardia 18-19 ottobre 2019, Coccaglio (BS) La sfida al diabete: le nuove frontiere, le nuove prospettive

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  • Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    – RASSEGNE

    La malattia renale cronica non-albuminurica nel

    diabete mellito tipo 1

    L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal

    parere autorevole alla raccomandazione basata

    sulle evidenze

    Attività fi sica/esercizio fi sico nella terapia del

    diabete di tipo 2

    – EDITORIALI

    A che punto siamo con il pancreas artifi ciale

    – AGGIORNAMENTO DALLA LETTERATURA

    Effi cacia di un algoritmo di apprendimento

    nei giovani con diabete di tipo 1 con pancreas

    artifi ciale

    – JOURNAL CLUB

    – MEDICINA TRASLAZIONALE: APPLICAZIONI

    CLINICHE DELLA RICERCA DI BASE

    Autofagia e diabete: una prospettiva traslazionale

    – AGGIORNAMENTO CLINICO E TECNOLOGIE

    Depressione e diabete: miglioramento del

    compenso glicemico al di là della terapia

    ipoglicemizzante

    – LA VITA DELLA SID

    Congresso Interassociativo AMD-SID Regione

    Lombardia 18-19 ottobre 2019, Coccaglio (BS)

    La sfi da al diabete: le nuove frontiere, le nuove

    prospettive

  • Direttore Scientifico

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    UFFICIO DI PRESIDENZA SID 2018-2020

    Agostino Consoli (Chieti)

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    Giorgio Sesti (Catanzaro)

    Organo ufficiale della

    Società Italiana di Diabetologia

  • Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    Sommario

    – RASSEGNE

    252 La malattia renale cronica non-albuminurica nel diabete mellito tipo 1

    M. Garofolo, G. Daniele, G. Penno

    270 L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal parere autorevole

    alla raccomandazione basata sulle evidenze

    E. Mannucci

    279 Attività fisica/esercizio fisico nella terapia del diabete di tipo 2

    S. Balducci, G. Rapisarda, F. Mantia, G. Pugliese

    – EDITORIALI

    292 A che punto siamo con il pancreas artificiale

    D. Bruttomesso

    – AGGIORNAMENTO DALLA LETTERATURA a cura di M.L. Hribal

    302 Efficacia di un algoritmo di apprendimento nei giovani con diabete di tipo 1 con pancreas artificiale

    304 – JOURNAL CLUB

    – MEDICINA TRASLAZIONALE: APPLICAZIONI CLINICHE DELLA RICERCA DI BASE a cura di L. Marselli

    306 Autofagia e diabete: una prospettiva traslazionale

    V. De Tata

    – AGGIORNAMENTO CLINICO E TECNOLOGIE a cura di F. Dotta, A. Solini

    315 Depressione e diabete: miglioramento del compenso glicemico al di là della terapia ipoglicemizzante

    S.I. Briganti, R. Strollo

    – LA VITA DELLA SID

    320 Congresso Interassociativo AMD-SID Regione Lombardia 18-19 ottobre 2019, Coccaglio (BS)

    La sfida al diabete: le nuove frontiere, le nuove prospettive

  • PLATINUM CIRCLE

    GOLDEN CIRCLE

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  • Direzione ScientificaPaolo Cavallo Perin, Torino

    Direttore ResponsabileStefano Melloni

    Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

    Copyright © 2019 SIDSocietà Italiana di DiabetologiaISBN 978-88-6923-469-9ISSN Online 1720-8335

    ISSN Online 1720-8335

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    Autorizzazione Tribunale di Milanon. 706 del 2/11/1988

    Progetto grafico: Alessio Bonizzato

    Avvertenza ai lettoriL’Editore declina ogni responsabilità derivante da errori od omissioni in merito a dosaggio e impiego di prodotti eventualmente citati negli articoli, e invita il lettore a controllarne personalmente l’esattezza, facendo riferimento alla bibliografia rela-tiva.

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

  • 252

    R A S S E G N A

    FAD ECM “il Diabete”Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza

    accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula

    virtuale della SID (www.fad.siditalia.it).

    Per partecipare al corso occorre:

    1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)

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    3. Rispondere on-line al quiz di verifica e compilare il questionario di

    valutazione dell’evento FAD.

    Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato

    il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segreteria

    ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti inte-

    ressati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamentazione

    vigente.

    Per ulteriori informazioni: www.fad.siditalia.it

    INTRODUZIONE

    Al di là del rischio di end-stage renal disease (ESRD), la

    malattia renale cronica associata al diabete (Diabetes

    Kidney Disease, DKD) rimane uno dei più forti predittori

    di ridotta aspettativa di vita nel diabete mellito di tipo 1

    (DMT1) (1). L’ESRD, infatti, è la principale causa dell’ec-

    cesso di morbilità e mortalità prematura in soggetti con

    DMT1. Nel DMT1, un rischio doppio di mortalità per tutte

    le cause e per cause cardiovascolari è registrato anche nei

    soggetti con valori di HbA1c pari o inferiori a 6.9% (HR

    2.36; 95% CI, 1.97 to 2.83) (2). Se gli obiettivi di HbA1c at-

    tualmente raccomandati vengono raggiunti e mantenu-

    ti e le complicanze renali e il fumo evitati (normoalbu-

    minuria & eGFR, estimated Glomerular Filtration Rate,

    ≥60 ml/min/1.73m2) questo eccesso di mortalità tende a

    convergere verso quello della popolazione generale e so-

    stanzialmente a sovrapporsi ad esso (3). Ciononostante,

    ad oggi, in Australia (4), in Svezia (5) o in Scozia (6), i sog-

    getti con DMT1 hanno alla nascita (4), o all’età di 20 anni

    (5-6) una riduzione della aspettativa di vita di circa 11-12

    anni rispetto alla popolazione generale.

    Osservazioni epidemiologiche hanno permesso di rile-

    vare una sostanziale riduzione nell’incidenza di ESRD

    negli ultimi decenni (7-9). D’altra parte, studi di coorte

    non hanno osservato alcun declino nell’incidenza delle

    fasi iniziali di DKD (10). In indagini recenti, le stime dei

    tassi di incidenza dell’ESRD derivate da dati di registro o

    La malattia renale cronica non-albuminurica nel diabete mellito tipo 1

    Monia Garofolo, Giuseppe Daniele, Giuseppe Penno

    U.O.C. di Malattie Metaboliche e Diabetologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa

    da studi di coorte, hanno dimostrato una ampia variabi-

    lità (7, 9, 11-13). L’incidenza cumulativa di ESRD è risul-

    tata 0.7% a 20 anni di durata del diabete, 2.9% a 30 anni

    e 5.3% a 40 anni nel Norvegian Childhood Diabetes Regi-

    stry (11). Tale incidenza è stata 14.5% a 30 anni di durata

    del diabete e 26.5% a 40 anni nel Pittsburgh Epidemio-

    logy of Diabetes Complications Study per il gruppo con

    insorgenza del DMT1 tra il 1965 e il 1980; tra coloro che

    avevano avuto la diagnosi di DMT1 tra il 1950 e il 1964, la

    percentuale che avrebbe sviluppato ESRD era più elevata:

    34.6% a 30 anni, 48.5% a 40 anni e, infine, 61.3% a 50 anni

  • 253

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    (10, 12). Nello studio di Skupien et al., in un follow-up di

    15,685 persone/anno, sono intervenuti 535 casi di ESRD

    (32/1,000 persone/anno) e 228 morti non ESRD-correlate

    (14/1,000 persone/anno). Il rischio di ESRD, corretto per

    covariate, era significativamente più elevato nei sogget-

    ti della Joslin Clinic rispetto alla coorte di riferimento

    (quella del FinnDiane, Finnish Diabetic Nephropathy

    Study; HR 1.44, p=0.003) e sensibilmente più bassa nel-

    la coorte dello Steno Diabetes Center di Copenhagen (HR

    0.54, p

  • 254

    RASSEGNA

    502 soggetti (13.1%) con DMT1 e eGFR

  • 255

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    ca) del fenotipo non albuminurico tra i pazienti con DMT1

    ed eGFR ridotto, ovvero il 58.6% in una coorte toscana (Ita-

    lia, MDRD, 2001-2009) (19-20); il 48.9% e il 51.5% nell’AMD-

    Annals Initiative (Italia, CKD-EPI, 2004-2011) (21-22); il 54.4%

    nell’UK National Diabetes Audit (Regno Unito, CKD-EPI,

    2007-2008) (23) e, infine, il 59.1% nel recentissimo studio

    dello Scottish Diabetes Research Network (SDRN) (15). Questi

    dati sembrano quindi indicare che la prevalenza dell’in-

    sufficienza renale non albuminurica potrebbe essere in

    aumento nel DMT1 (come nel DMT2) e che, ad oggi, questo

    fenotipo di DKD è almeno altrettanto frequente rispetto

    al fenotipo albuminurico tra gli individui con DMT1 e ri-

    dotta funzione renale (17). In tutti questi studi (15, 19-23),

    la percentuale di soggetti con Alb-DKD è risultata com-

    presa tra il 2.2% (19) e il 7.6% (23), ma con percentuali re-

    lative nel contesto di tutti i soggetti con DKD≥3 comprese

    tra il 48.9% (21) e il 59.1% (15).

    Nel nostro studio sono stati inclusi 777 DMT1 (19-20): nor-

    mo- (ACR

  • 256

    RASSEGNA

    DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURICA: IL “DE-

    CLINO PROGRESSIVO DELL A FUNZIONE RENALE”

    Storicamente, nei soggetti a rischio di DKD, l’aumento

    dell’escrezione urinaria di albumina precede il declino

    del GFR. Tuttavia in non pochi soggetti con DKD vi è di-

    saccoppiamento tra aumento di albuminuria e declinare

    del GFR. Insiemi distinti di fattori di rischio sono asso-

    ciati allo sviluppo di albuminuria e di ridotta funzione

    renale in armonia con l’ipotesi che le due condizioni non

    sono inevitabilmente associate e conseguenti. Elevata al-

    buminuria e ridotto GFR, inoltre, sono fattori di rischio

    indipendenti per eventi cardiovascolari e renali. Queste

    osservazioni depongono per una visione bidimensionale

    della DKD in cui l’evoluzione spesso indipendente dei due

    principali parametri, albuminuria e GFR, che descrivo-

    no la progressione del danno renale si traduce in fenotipi

    eterogenei che possono progredire in maniera distinta

    per tendere eventualmente a congiungersi successiva-

    mente nella storia naturale della DKD. Da qui, l’ipotesi

    di due diversi percorsi, uno albuminurico e l’altro non al-

    buminurico nella progressione del danno d’organo verso

    l’insufficienza renale.

    Sono soprattutto gli studi della Joslin Clinic che hanno

    proposto questo nuovo modello di DKD nel DMT1. In que-

    sto modello, la caratteristica clinica predominante degli

    stadi iniziali (ma anche di fasi più avanzate) della DKD

    nel DMT1 è il “declino progressivo della funzione rena-

    le”, non l’albuminuria (25). In questo contesto si è fatta

    distinzione tra “Early Renal Function Decline” che si svi-

    luppa in presenza di normale funzione renale e “Late Re-

    nal Function Decline” nei pazienti con ridotta funzione

    renale (eGFR 3.5 ml/

    min/anno o riduzione dell’eGFR >3.3%/anno) può essere

    descritta da un processo unidirezionale che prende ori-

    gine e si sviluppa mentre i pazienti con DMT1 hanno

    una funzione renale normale e una normale escrezione

    urinaria di albumina. La riduzione della funzione rena-

    le procede a un ritmo pressoché costante fino agli stadi

    più avanzati della DKD e, eventualmente, fino all’ESRD,

    anche se con velocità molto diverse tra diversi individui.

    Il progressivo declino della funzione renale, che identi-

    fica i pazienti che è possibile definire “decliners”, può

    precedere l’insorgenza della microalbuminuria; d’altra

    parte, questo progressivo ridursi della funzione renale

    aumenta il rischio di sviluppare microalbumunuria pri-

    ma, proteinuria successivamente. Ne consegue che le

    coorti di DMT1 con microalbuminuria o con proteinuria

    Figura 1 DKD con e senza albuminuria nel DCCT/EDIC, Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes

    Interventions and Complications: in un follow-up di 19 anni, il 6.2% dei pazienti con DMT1 sviluppa DKD di stadio 3-5; il 24%

    in assenza di precedente albuminuria (24)

  • 257

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    sono arricchite di soggetti con sostenuta riduzione della

    funzione renale, i “decliners” (25). Se l’alterazione ini-

    ziale che innesca il progressivo declinare della funzione

    renale risiede nel glomerulo, nel tubulo, nell’interstizio

    e/o nel letto vascolare intrarenale non è noto. Analoga-

    mente non noti sono i meccanismi di avvio e i “driver”

    di progressione della riduzione del GFR. Nessun modello

    animale imita il progressivo declinare della funzione re-

    nale rilevato nell’uomo, cosìcche gli studi eziopatogene-

    tici devono essere condotti nei soggetti con diabete. Studi

    prospettici dedicati alla ricerca di biomarcatori predittivi

    dell’insorgenza e della velocità di progressione del decli-

    no della funzionalità renale hanno già dato risultati po-

    tenzialmente capaci di offrire opportunità per sviluppare

    non solo metodi accurati per la diagnosi precoce, ma an-

    che di individuare e valutare nuovi approcci terapeutici.

    Identificare precocemente quali pazienti avranno tassi

    rapidi, moderati o minimi di progressione verso le fasi

    più avanzate di DKD permetterà di pianificare procedure

    personalizzate di prevenzione e trattamento per rallenta-

    re il progredire della DKD nel DMT1 (25).

    Nello studio di Perkins et al. (26), First and Second Joslin Kid-

    ney Study of the Natural History of Microalbuminuria in Type 1 Dia-

    betes, sono stati arruolati 267 soggetti con normoalbumi-

    nuria (NA) e 301 con microalbuminuria (MA) seguiti per

    8-12 anni. “Early Renal Function Decline” (ERFD; -3.3%/

    anno) interveniva nel 9% dei soggetti normoalbuminuri-

    ci e nel 31% di quelli con MA (p60 ml/min/1.73 m2 (27). Nel corso

    dei 4-10 anni di follow-up, misurazioni longitudinali di

    creatinina sierica (Creat) e cistatina C (CysC) sono state

    usate per tracciare le traiettorie individuali delle modifi-

    cazioni di eGFR-Creat/CysC. Le “rate” di declino di eGFR-

    Creat/CysC sono state stratifiche per distinguere i “non-

    decliners”, cioè i soggetti con eGFR stabile o riduzione

    dell’eGFR mediana) quasi tutti i “decliners” avevano valori

    stabili di eGFR (traiettorie orizzontali) per diversi anni

    Tabella 2 Frequenza dei “decliners” (riduzione di eGFRCreat-CysC ≥3.3%/anno) nei soggetti con normo- (NA) e

    microalbuminuria (MA) del 2nd Joslin Kidney Study (25)

    eGFRCreat-CysC NA (n. %) MA (n. %)

    ≥90 505 (7%) 329 (24%)

    60-89 71 (18%) 105 (40%)

    30-59 19 (21%) 78 (48%)

    Tutti 595 (10%) 513 (32%)

  • 258

    RASSEGNA

    Figura 3 Traiettorie dell’eGFR in pazienti con

    DMT1 e microalbuminuria incidente (28). Pannello A:

    “nondecliners”, soggetti con eGFR stabile, cioè con

    modificazioni dell’eGFR

  • 259

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    che la progressione a macroalbuminuria, potrebbero es-

    sere conseguenti o svilupparsi in parallelo all’“ERFD”

    La relazione tra progressivo declinare della funzione re-

    nale e cambiamenti di escrezione urinaria di albumina

    è stata esplorata esaminando le traiettorie di eGFR nei

    pazienti che hanno sviluppato MA nel 1st Joslin Kidney Study

    (28). La MA incideva in 79 DMT1 seguiti per i successivi 10

    anni. Le traiettorie dell’eGFR di questi pazienti sono trac-

    ciate in figura 3. La funzione renale è risultata stabile nel-

    la maggior parte dei casi (70%) nonostante lo sviluppo di

    MA (Fig. 3, pannello A). Le restanti traiettorie (30%) iden-

    tificano i soggetti “decliners” (cioè quelli con riduzione

    di eGFR ≥3.3% per anno) (Fig. 3, pannello B); tale riduzio-

    ne dell’eGFR era già in atto al momento della comparsa

    della MA e progrediva nel successivo follow-up. Analoga-

    mente a quanto osservato tra i decliners con NA (Fig. 2,

    entrambi i pannelli) le traiettorie di riduzione dell’eGFR

    tra i soggetti con MA sono correttamente rappresentate

    da semplici rette di regressione, anche se con pendenze

    ampiamente variabili tra singoli individui. Nei 10 anni

    del follow-up, DKD≥3 era raggiunta dalla metà dei “de-

    cliners”, l’ESRD in cinque pazienti. Se le traiettorie di

    declino del GFR rimangono lineari, DKD≥3 comparirà

    dai restanti “decliners” nel corso dei successivi 10 anni. Il

    pannello B di figura 3 descrive sia l’“Early Renal Function

    Decline” che il “Late Renal Function Decline”. ll primo si

    riferisce al declinare def GFR mentre la funzione renale

    è normale, una caratteristica delle fasi precoci di DKD,

    mentre la seconda è una condizione ben nota che caratte-

    rizza le fasi più avanzate della DKD. È evidente l’assenza

    di peculiarità che distinguono le due fasi del declinare

    della funzione renale, tranne il loro punto di partenza.

    Così declino precoce e tardivo dell’eGFR potrebbero essere

    segmenti successivi di un unico, lineare e uniforme pro-

    cesso (25, 28).

    Le traiettorie di declino dell’eGFR sono state anche esa-

    minate nel Joslin Protenuria Cohort Study (15, 29) in cui 240

    DMT1 con proteinuria e eGFR >60 ml/min/1.73 m2 sono

    stati seguiti in un follow-up di 7-18 anni. In questo stu-

    dio, un calo di eGFR -7 ml/

    min/anno) con progressione a ESRD entro 2-10 anni. Un

    altro 25% aveva un declino moderato della funzione rena-

    le (eGFR con pendenza da -7 a -3 ml/min/anno) e prevedi-

    bile progressione a ESRD entro 10-30 anni. Il rimanente

    50% dei pazienti aveva un declino lento o nullo della fun-

    zione renale e solo una piccola parte verosimilmente pro-

    gredirà ad ESRD durante 30 anni di follow-up.

    Dati simili sono stati ottenuti in un successivo studio

    che ha incluso 257 DMT1 che hanno sviluppato ESRD tra

    il 1991 e il 2013 e per i quali erano disponibili 5 o più stime

    seriali dell’eGFR (30). Nei 24 anni (mediana 6.7 anni) che

    hanno preceduto l’intervenire di ESRD il declino annuale

    di eGFR variava da -72 a -2 ml/min/1.73m2 (mediana -8.5);

    le traiettorie erano lineari nell’87% dei casi, “accelera-

    ting” nel 6% e “decelerating” nel 7%. Così, un singolo pro-

    cesso sembra essere alla base del progressivo declinare

    dell’eGFR fin dal suo intervenire; tale processo potrebbe

    continuare con la stessa intensità fino all’ESRD (30).

    Quanto illustrato (Figg. 2-4) suggerisce che il declino

    progressivo della funzione renale si potrebbe porre come

    manifestazione primaria di DKD nel DMT1. La riduzione

    della funzione renale si configura come il nuovo para-

    digma della DKD (31-32). Il declino progressivo della fun-

    zione renale è rappresentato come un processo unidire-

    zionale sovrapposto al decorso naturale delle alterazioni

    dell’escrezione urinaria di albumina. Quest’ultima può

    regredire, rimanere stabile, o progredire (33-34) mentre il

    declino della funzionalità renale, una volta avviato, pro-

    gredisce inevitabilmente, anche se a velocità molto diver-

    se in individui diversi. In una analisi combinata dei dati

    del First and Second Joslin Kidney Studies in T1DM (35), progressi-

    vo declino della funzione renale è stato rilevato in circa il

    9%, 22% e 51% dei pazienti con NA, MA, e proteinuria, ri-

    spettivamente (Fig. 5). Queste osservazioni sono state re-

    centemente replicate in una ampia coorte di soggetti con

    DMT1 rappresentativa della popolazione adulta con DMT1

    in Scozia (15). Le percentuali di soggetti con progressivo

    declino della funzione renale è risultata simile a quella

    rilevata negli studi della Joslin Clinic (11.2% in NA, 22.5%

    in MA e 63.8% tra i macroalbuminurici) (Fig. 5).

  • 260

    RASSEGNA

    Tale declinare della funzione renale aumenta il rischio

    di MA in DMT1 con NA e il rischio di proteinuria in DMT1

    con MA. Pertanto, come già ricordato, tra i DMT1 con MA

    vi sarà un arricchimento in “decliners” e tra i DMT1 con

    proteinuria un arricchimento ulteriore. Nel DMT1, il ri-

    schio “lifetime” di ESRD, epilogo del progressivo declina-

    re della funzione renale che prende origine in pazienti

    con NA, è stimato essere del 10-15%. ESRD si manifesta

    in DMT1 con durata di diabete estremamente lunga; ad

    esempio, tra i 172 casi di ESRD del Joslin Protenuria Study, la

    mediana della durata del DMT1 all’esordio dell’ESRD era

    pari a 28 anni (95% CI 21-37).

    DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURIC A:

    MORTALITÀ PER TUT TE LE C AUSE ED OUTCOMES

    C ARDIOVA SCOL ARI E RENALI

    Recentemente il FinnDiane Study Group (18) ha riporta-

    to che su 3809 pazienti con DMT1, 78 (2.0%) presentano il

    fenotipo non albuminurico di DKD. L’età media di que-

    sta popolazione era di 37.6±11.8 anni, la durata media del

    diabete di 21.2±12.1 anni. Il FinnDiane è uno studio pro-

    spettico che ha permesso di valutare in un follow-up di

    13 anni quale è l’associazione tra questo fenotipo non al-

    buminurico di DKD e il rischio di eventi cardiovascolari,

    di outcome renali e di mortalità per tutte le cause. Nei 13

    anni del follow-up, 378 DMT1 (9.9%) avrebbero sviluppato

    ESRD, 415 (11.5%) avrebbero avuto eventi cardiovascolari e

    406 (10.7%) sarebbero deceduti. Il fenotipo non albuminu-

    rico di DKD stadio 3-5 non risultava associato ad un au-

    Figura 4 Distribuzione delle velocità di declino di

    eGFR in 240 DMT1 con proteinuria reclutati nella Joslin

    Proteinuria Cohort: soggetti con valori di eGFR basale

    >60 ml/min/1.73m2 seguiti per 7-18 anni (29)

    Figura 5 Progressione del declinare dell’eGFR in

    relazione alle categorie di albuminuria in soggetti con

    DMT1 (studi prospettici). Tutti i soggetti presentavano

    normale eGFR al momento del reclutamento negli studi

    (15, 35)

    mentato rischio di sviluppare albuminuria (HR 2.0, 95%

    CI 0.9-4.4) o ESRD (HR 6.4, 95% CI 0.8-53.0) (Fig. 6), ma

    era associato ad un aumentato rischio di eventi cardiova-

    scolari (HR 2.0, 95% CI 1.4-3.5) e di morte per tutte le cause

    (HR 2.4, 95% CI 1.4-3.9) (Fig. 6). Il più elevato rischio di

    eventi renali e cardiaci è stato registrato nei soggetti con

    fenotipo albuminurico di DKD.

    Nello studio prospettico di Garofolo et al. (36), sono sta-

    ti inclusi 774 DMT1 seguiti in un follow-up medio di 8.2

    anni: 692 individui (89.4%) erano no DKD, 53 (6.8%) DKD1-

    2, 17 (2.2%) Alb- DKD≥3 e 12 (1.6%) Alb+ DKD≥3. In partico-

    lare, il fenotipo Alb- DKD≥3 rappresentava il 21% circa di

    tutti i soggetti con DKD e il 58% dei soggetti con DKD≥3.

    La prevalenza di soggetti ad alto rischio vascolare (EURO-

    DIAB Prospective Complications Study risk score basato

    su età, HbA1c, circonferenza vita, colesterolo HDL e al-

    buminuria) aumentava progressivamente dal 9.1% nei no

    DKD, al 34.0% nei DKD1-2, al 64.7% nei soggetti con feno-

    tipo Alb- DKD≥3, fino al 91.7% in quelli con fenotipo Alb+

    DKD≥3 (p

  • 261

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    ti Alb+ DKD≥3 (Fig. 7). L’incidenza di eventi CV maggiori

    aumentava (p

  • 262

    RASSEGNA

    za di retinopatia. La più rapida caduta di eGFR è stata re-

    gistrata nei soggetti con macroalbuminuria sia nel DMT1

    che nel DMT2. Dopo aggiustamento per “confounders”,

    il declino annuale di eGFR proiettato a 10 anni è stato

    1.9, 2.2 e 3.3 ml/min/1.73 m2 nei normo-, micro- e macro-

    albuminurici tra i DMT1; 1.9, 2.1 e 2.9 ml/min/1.73 m2

    nei DMT2 (Figg. 8-9). Due tracce distinte nell’andamen-

    to dell’eGFR tra i soggetti con NA sono state descritte sia

    nel DMT1 che nel DMT2: la prima traccia, la più frequen-

    te (86% e 90%, rispettivamente in DMT1 e DMT2), è carat-

    terizzata da un iniziale aumento di eGFR seguito da un

    declino lineare progressivo; la seconda traccia, la meno

    frequente (14% e 10% in DMT1 e DMT2), è caratterizzata da

    iniziale riduzione di eGFR seguita da relativa stabilità o

    modesto aumento dell’eGFR (Figg. 8-9). Sia nel DMT1 che

    nel DMT2, i livelli di eGFR seguono una traiettoria di pro-

    gressivo lineare declino quando l’eGFR si riduce a volori

  • 263

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    DIABETE TIPO 1 E DKD NON-ALBUMINURIC A: AL-

    TER A ZIONI NELL A STRUT TUR A RENALE

    In soggetti con DMT1 e NA, ma ridotto GFR, Lane e coll.

    (38) hanno riportato che l’istologia renale era indistingui-

    bile da quella di soggetti con ridotto GFR ed albuminuria.

    Infatti, rispetto a soggetti con normale funzione renale e

    NA, l’espansione mesangiale, la ialinosi arteriolare e la

    glomerulosclerosi erano aumentate in maniera sovrap-

    ponibile nei soggetti con ridotto GFR isolato, in quelli con

    MA isolata ed, infine, in coloro che presentavano contem-

    poraneamente ridotto GFR e MA. Caramori e coll. (39) in

    105 DMT1 con NA e durata di malattia >10 anni dimostrano

    che i 23 soggetti (22%) che pur normoalbuminurici presen-

    tavano valori di GFR

  • 264

    RASSEGNA

    giche e funzionali. È interessante ipotizzare che l’abbas-

    samento dei livelli di acido urico nei soggetti con DMT1

    e ERFD possa ridurre il rischio di DKD. Lo studio PERL,

    Preventing Early Renal Loss in Diabetes, si propone di ve-

    rificare questa ipotesi (42-43). Lo studio PERL valuterà gli

    effetti dell’allopurinolo in soggetti con DMT1 e DKD lieve

    o moderata, con o senza albuminuria. In questo studio,

    i partecipanti con NA e ERFD presentano molti fattori di

    rischio per DKD così come quelli con albuminuria, ma

    caratterizzati da minore severità (43). In particolare, i

    soggetti con NA e ERFD (n. 94 vs 419) avevano maggiore

    età (56 vs 52 anni), più bassi livelli di HbA1c (7.7% vs 8.1%)

    e di uricemia (5.4 vs 6.0 mg/dl), più elevati valori di eGFR

    (82 vs 74 mL/min/1.73m2), ma più severa pregressa ridu-

    zione di eGFR (-4.7 vs -2.5 ml/min/1.73 m2/anno).

    Elevate concentrazioni sieriche di TNFR-1 o -2 sono forte-

    mente associate con il rischio di stadi avanzati di DKD,

    come DKD≥3 o ESRD (44). Il 2nd Joslin Kidney Study include

    DMT1 con NA ed estende tale associazione alle fasi inizia-

    li di riduzione della funzione renale (27). D’altra parte, i

    livelli sierici di TNF-α non sono coinvolti, direttamente

    o indirettamente, attraverso la regolazione dei TNFR nel

    siero, nell’indurre il declinare della funzione renale (45).

    Inoltre, le concentrazioni sieriche di diversi potenziali ef-

    fettori a valle di TNFR (chemochine e molecole di adesio-

    ne, come l’interleuchina-8, IP-10, MCP1, VCAM e ICAM)

    non sono anch’essi associati al declino della funzione re-

    nale (45). Interessante è l’interazione negativa tra acido

    urico e TNFR1 sul rischio di declino del GFR sia nei sog-

    getti con NA che in quelli con MA; questo significa che

    il rischio di declino della funzione renale per i pazienti

    con elevati livelli di acido urico e TNFR1 è inferiore alla

    somma dei loro singoli rischi (27), suggerendo che gli ef-

    fetti predisponenti di acido urico e TNFR1 potrebbero con-

    vergere su un percorso comune di natura non nota che

    potrebbe non essere ulteriormente attivato da un fattore

    se già innescato dall’altro.

    Alterazioni tubulo-interstiziali indotte dal processo in-

    fiammatorio potrebbo svolgere un ruolo rilevante nella

    patogenesi del danno renale (46). A favore di questa ipo-

    tesi, le concentraziioni urinarie di citochine/chemochi-

    ne quali IL-6, IL-8, MCP-1, IP-10, e MIP-1δ sono risultate

    più elevate nei decliners rispetto ai non-decliners e, tra i

    non-decliners, simili in NA e MA (46). L’aumento di più

    markers distingue meglio i decliners dai nondecliners.

    Infatti, in analisi multivariata, l’elevazione di due o più

    citochine/chemochine urinarie era fortemente associata

    al rischio futuro di ERFD. Al contrario, le concentrazione

    sieriche di CRP, IL-8, e MIP-1δ non differivano tra decli-

    ners e nondecliners (47). Così, aumentati livelli urinari

    di marcatori di infiammazione non sono associati con la

    MA per sé, ma sono specifici per il declino del GFR anche

    nelle sue fasi più precoci (46).

    KIM-1 (Kidney Injury Molecule-1) è un marker di danno

    del tubulo prossimale. Nel 2nd Joslin Kidney Study, eleva-

    te concentrazioni urinarie e plasmatiche di KIM-1 sono

    associate con l’ERFD indipendentemente dai livelli di

    TNFR-1 o da marker di danno glomerulare quali l’albu-

    minuria. Così, alterazioni a livello del tubulo prossimale

    potrebbero svolgere un ruolo indipendente sulla compar-

    sa di iniziale e progressiva riduzione del GFR in DMT1 con

    NA o MA (47). Benché il rischio di sviluppare progressiva

    riduzione della funzione renale sia fortemente associa-

    to con i livelli sierici di KIM-1 anche nei DMT1 con NA, il

    compartimento renale o la componente cellulare a livello

    dei quali muove il danno renale rimane incerto. Candida-

    ti, come già ricordato, rimangono il glomerulo, il tubulo,

    l’interstizio piuttosto che il microcircolo. Incerto rimane

    anche se vi siano differenze nei meccanismi responsabi-

    li del declino precoce verso quello tardivo della funzione

    renale. Quando la funzione renale è normale, la perdita

    precoce di GFR può essere espressione di cambiamenti

    funzionali; la perdita tardiva di GFR può essere più stret-

    tamente associata a alterazioni morfologiche in uno o

    più compartimenti renali. Tuttavia, la somiglianza delle

    velocità di perdita di GFR durante le fasi precoci rispetto

    a quelle tardive potrebbe giocare a sfavore di questa ipo-

    tesi. Rimane infine incerto come spiegare l’ampia varia-

    bilità inter-individuale nella rate di declino del GFR; tali

    progressioni possono essere definite come rapida, mode-

    rata o lenta, o addirittura identificare i non-decliners.

    L A DIAGNOSI DI “PROGRESSIVE RENAL FUNC TION

    DECLINE”

    I dati epidemiologici dimostrano che la maggior parte dei

    pazienti con NA e una parte di quelli con MA e proteinu-

    ria non potrà mai sviluppare ESRD; inoltre, tra gli indi-

    vidui a rischio di ESRD la velocità di perdita di GFR varia

    ampiamente. Pertanto, non solo è necessario identifica-

    re i pazienti destinati a sviluppare la progressiva perdita

    della funzione renale distinguendoli precocemente da

  • 265

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    coloro che ne saranno risparmiati, ma anche distinguere

    i decliners “rapidi” da quelli “moderati o lenti” per sti-

    mare il tempo di insorgenza di ESRD.

    Attualmente, due parametri sono utilizzati per diagno-

    sticare la DKD: l’escrezione urinaria di albumina (una

    misura di danno glomerulare) e la creatinina sierica (una

    misura di perdita di funzione renale). I due parametri,

    pur usati in combinazione, non forniscono informazioni

    circa la velocità di perdita della funzione renale e non per-

    mettono di stimare il tempo all’ESRD. Krolewski et al. (48)

    hanno dimostrato che una singola misura di cistatina C

    è superiore alla creatinina nello stratificare il rischio di

    sviluppare ESRD nel DMT1. Inoltre, TNFR-1 o TNFR-2 sono

    buoni predittori del futuro sviluppo di DKD≥3 e di ESRD

    in soggetti con DMT1 (44-45). Risultati simili sono stati

    ottenuti da altri in popolazioni diverse (49-50). È stato

    quindi ipotizzato che un set di parametri bioumorali (per

    esempio, albuminuria, creatinina, cistatina C, TNFR-1)

    possa permettere di costruire uno strumento capace di

    stratificare il rischio di progressivo (precoce o tardivo) de-

    clino della funzione renale e stimare, tenendo conto della

    linearità della riduzione della funzione renale, il tempo

    di insorgenza di ESRD (25). In questa direzione vanno i ri-

    sultati di un recente studio prospettico realizzato su 859

    DMT1 reclutati nello Scottish Diabetes Research Network

    Type 1 Biosource (SDRNT1BIO) e su 315 DMT1 del FinnDia-

    ne (51); tutti i soggetti avevano un eGFR basale compreso

    tra 30 e 75 ml/min/1.73m2, il follow-up è stato di 2-3 anni.

    Tra i numerosi biomarkers analizzati, l’antigene CD27

    (un componente della superfamiglia del recettore del fat-

    tore di necrosi tumorale 7), KIM-1 e l’α1-microglobulina

    hanno mostrato la più forte associazione sia con il livello

    di eGFR alla fine del follow-up (corretto per il valore basa-

    le di eGFR) che con la progressione rapida dell’eGFR defi-

    nita come riduzione superiore a 3 ml/min/1.73m2/anno.

    Questo, dopo aggiustamento per età, sesso, durata del

    diabete, eGFR basale e durata di osservazione. Almeno il

    75% del miglioramento di predizione dell’eGFR finale era

    attribuibile a CD27 e KIM-1. È necessario tuttavia osser-

    vare che l’impiego come parametro predittivo aggiuntivo

    dei valori pregressi di eGFR offre una performace simile a

    quella dei biomarkers (51). Gli autori concludono che nel

    contesto di una ampia piattaforma di biomarkers, solo

    due di essi (CD27 e KIM-1) conferiscono pressoché per in-

    tero l’informazione aggiuntiva in termini di predizione

    della progressione dell’eGFR. L’incremento della capaci-

    tà di predizione è risultato tuttavia modesto, utile per

    arricchire futuri trials clinici di soggetti con rapida pro-

    gressione di malattia, soprattutto quando non vi è suffi-

    Figura 9 Progressivo declino di eGFR in soggetti con DMT2 giunti alla soglia di DKD3 (eGFR 60 ml/min/1.73m2). Il

    declinare dell’eGFR interviene anche in assenza di albuminuria (37)

  • 266

    RASSEGNA

    ciente informazione sulla pregressa traiettoria dell’eGFR

    stesso, ma superfluo nel setting clinico.

    Un altrettanto recente studio ha esplorato il ruolo di mar-

    kers circolanti di infiammazione nello svuluppo di ESRD

    (52). Questo studio ha dimostrato che una “Kidney Risk

    Inflammatory Signature” (KRIS), rappresentata da 17

    proteine e arricchita in componenti della superfamiglia

    di TNFR, era associata all’incidenza di ESRD in un fol-

    low-up di 10 anni sia nel DMT1 che nel DMT2. KRIS sem-

    bra contribuire in maniera forte al processo infiammato-

    rio che sottende la progressione ad ESRD in entrambe le

    forme di diabete. In particolare, TNFR-1 sembra avere un

    ruolo prevalentemente indipendente dalla coesistenza di

    albuminuria: l’effetto di TNFR-1 è stato stimato per il 66%

    albuminuria-indipendente e solo per il 34% albuminuria-

    dipendente (52).

    Nell’ampio studio dello Scottish Diabetes Research Net-

    work Type 1 Biosource (SDRNT1BIO) sono stati reclutati

    5777 DMT1 con età alla diagnosi del diabete

  • 267

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    progressivo declino della funzione renale. Senza nulla to-

    gliere al valore dei cambiamenti dell’albuminuria come

    forte endpoint surrogato per la progressione della ma-

    lattia renale cronica (53-54), il declino progressivo della

    funzione renale si potrebbe porre come manifestazione

    primaria di DKD nel DMT1. La riduzione della funzione

    renale si configura cioè come un nuovo paradigma di

    DKD.

    Questo declino progressivo della funzione renale rappre-

    sentato un processo unidirezionale indipendente e solo in

    parte sovrapposto al decorso delle alterazioni dell’escre-

    zione urinaria di albumina. Quest’ultima può regredire,

    rimanere stabile, o progredire, mentre il declino della

    funzione renale, una volta avviato, progredisce inevita-

    bilmente, anche se a velocità molto diverse in individui

    diversi. Questo ha importanti implicazioni non certo per

    ridimensionare il valore dell’albuminuria come un end-

    point surrogato di danno renale (53-54), ma per disegna-

    re modelli diversi di DKD che includono nuovi percorsi e

    nuovi marcatori di rischio e che si sviluppano in parallelo

    e forse in alternativa al tradizionale “percorso albuminu-

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    tients with type 2 diabetes and impaired renal function.

    J Nephrol 2019, Oct 2, doi: 10.1007/s40620-019-00650-x.

  • 270

    R A S S E G N A

    FAD ECM “il Diabete”Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distan-

    za accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente

    nell’aula virtuale della SID (www.fad.siditalia.it).

    Per partecipare al corso occorre:

    1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)

    2. Registrarsi all’aula e iscriversi al corso “il Diabete”

    3. Rispondere on-line al quiz di verifica e compilare il questionario

    di valutazione dell’evento FAD.

    Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato

    il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segrete-

    ria ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti

    interessati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamenta-

    zione vigente.

    Per ulteriori informazioni: www.fad.siditalia.it

    270

    R A S S E G N A

    L’evoluzione delle linee guida in diabetologia: dal parere autorevole alla raccomandazione basata sulle evidenze

    Edoardo Mannucci

    Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche Mario Serio, Università degli Studi di Firenze, AOU Careggi, Firenze

    DALL’ARTE MEDIC A ALL A SCIENZ A MEDIC A: L A NE-

    CESSITÀ DELLE LINEE GUIDA

    Per molti secoli, la Medicina è stata un’attività essenzial-

    mente artigianale, in cui le decisioni cliniche venivano

    prese sulla base di conoscenze fisiopatologiche e ragiona-

    menti deduttivi, integrati dall’esperienza del singolo pro-

    fessionista. Poi, gradualmente, nell’arco degli ultimi due

    secoli, all’Arte si è sostituita la Scienza: studi sistematici

    condotti con metodi rigorosi hanno consentito di con-

    frontare gli effetti di interventi diagnostici e terapeutici

    diversi, fornendo dati su cui orientare le scelte. Il ruolo

    di altri elementi (conoscenze fisiopatologiche, ragiona-

    mento, esperienza), pur senza scomparire, è stato ridi-

    mensionato. La medicina empirica è stata così sostitui-

    ta dalla Medicina Basata sulle Evidenze (1). I trial clinici

    randomizzati sono diventati la fonte principale di infor-

    mazione per determinare una scelta clinica, mentre gli

    studi epidemiologici (osservazionali) sono stati relegati in

    secondo piano; le considerazioni di ordine fisiopatologico

    e i pareri personali degli esperti hanno uno spazio residuo

    solo nei campi in cui non esistono sufficienti evidenze.

    La diversa sensibilità del mondo medico riguardo alla

    necessità di accumulare evidenze per guidare le scelte te-

    rapeutiche, assieme alle richieste progressivamente più

    stringenti da parte delle autorità regolatorie per l’appro-

    vazione di nuovi farmaci, test diagnostici e dispositivi,

    ha determinato un aumento marcato del numero di trial

    randomizzati. Nel 1977, furono pubblicati 24 trial sul dia-

    bete; nel 2017, ne sono stati pubblicati 2007 (2). Questo ren-

    de del tutto impossibile, per il singolo clinico, acquisire in

  • 271

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    maniera critica la totalità delle informazioni necessarie

    per le decisioni quotidiane attraverso la lettura dei singo-

    li studi, anche in settori specialistici. Di conseguenza, si

    sono iniziate a sintetizzare le evidenze derivanti dai trial

    clinici in revisioni sistematiche e metanalisi (3).

    Anche il numero delle metanalisi, però, è andato rapi-

    damente crescendo nella letteratura internazionale (Fig.

    1). I clinici sono sottoposti ad un sovraccarico di dati,

    restando esposti al rischio che una scelta selettiva delle

    informazioni di riferimento determini una distorsione

    delle decisioni diagnostiche e terapeutiche. La situazione

    è quella descritta da Borges ne La Biblioteca di Babele (4): ad

    una grandissima mole di informazioni teoricamente di-

    sponibili corrisponde la pratica impossibilità di reperire i

    dati che realmente servono.

    Le Linee Guida rappresentano un tentativo di risposta a

    questa condizione. Esse sono infatti raccolte di raccoman-

    dazioni, che forniscono in maniera fruibile per il singolo

    clinico una sintesi delle evidenze disponibili in letteratu-

    ra, integrate da ragionamenti e pareri di esperti.

    L A PROLIFER A ZIONE DELLE LINEE GUIDA IN DIA-

    BETOLOGIA

    Nell’intenzione dei loro estensori, le linee guida hanno

    l’obiettivo di indirizzare correttamente le scelte nella pra-

    tica clinica, traducendo in decisioni pragmatiche l’insie-

    me delle conoscenze disponibili. Le linee guida quindi

    sono uno strumento fondamentale per la diff usione della

    cultura medica. Di conseguenza, non stupisce che moltis-

    sime Società Scientifi che si siano fatte promotrici di linee

    guida specifi che per il loro settore. A queste si sono ag-

    giunte molte istituzioni pubbliche, anch’esse interessate

    a guidare le scelte diagnostiche e terapeutiche dei clinici.

    Come risultato, si è assistito ad una vera e propria prolife-

    razione di linee guida.

    Nel campo del diabete, le principali Società Scientifi che

    dei vari paesi hanno tutte creato delle proprie linee guida.

    Ad esempio, per la gestione clinica del diabete di tipo 2 si

    possono reperire, a livello internazionale, alcune decine

    di linee guida diverse. In Italia, la Società Italiana di Dia-

    betologia e l’Associazione Medici Diabetologi si sono lode-

    volmente unite per generare un unico, corposo documen-

    to: gli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito (5).

    In altri paesi, come gli Stati Uniti, esistono più linee gui-

    da sul diabete prodotte da Società Scientifi che diverse (6-

    7). Ci sono poi le linee guida delle società diabetologiche

    canadese (8), tedesca (9), giapponese (10) e di altre Società

    nazionali, cui si aggiungono quelle di Società Scientifi che

    sovranazionali come la International Diabetes Federation (11) e

    quelle di enti e istituzioni pubbliche, come il National In-

    stitute for Clinical Excellence britannico (12). Inoltre, elementi

    Figura 1 Le evidenze disponibili: numero di trial randomizzati e di metanalisi sul diabete pubblicate in un anno

    (Fonte: Pubmed; keyword: “diabetes”)

  • 272

    RASSEGNA

    che riguardano la gestione del diabete di tipo 2 si possono

    trovare anche in linee guida cardiologiche (13), nutrizio-

    nali (14) e di altri settori.

    Il risultato di questa proliferazione è che alla Babele de-

    gli studi e a quella delle metanalisi si sta affiancando la

    Babele delle linee guida. Teoricamente, essendo basate

    sull’evidenza, linee guida diverse dovrebbero fornire in-

    dicazioni sovrapponibili; in realtà, le raccomandazio-

    ni sono spesso discordanti tra le diverse linee guida. Un

    esempio di eterogeneità è quello riportato nella Tabella 1:

    confrontando gli Standard Italiani (5) con le linee guida

    americane (6-7) e britanniche (12), emergono differenze

    rilevanti sia nella definizione dei target terapeutici che

    nell’identificazione dei farmaci da utilizzare in prima o

    in seconda istanza.

    In questo contesto così multiforme, non è possibile pro-

    cedere ad un ulteriore livello di sintesi, creando una ipo-

    tetica meta-linea guida: occorre invece scegliere quali tra

    le raccomandazioni discordi è il miglior punto di riferi-

    mento. Per fare questa scelta, è necessario considerare

    vari elementi: temporali, di contesto e, soprattutto, me-

    todologici.

    IL FONDAMENTO DELLE LINEE GUIDA: AUTOREVO -

    LEZ Z A DEGLI ESPERTI O FOR Z A DELLE EVIDENZE?

    Le differenze tra linee guida sono attribuibili a diversi

    fattori. In un settore in cui le conoscenze si accumulano

    molto rapidamente, come la diabetologia, alcune diffe-

    renze possono essere attribuite ad un fattore temporale:

    le evidenze effettivamente disponibili al momento dell’e-

    missione delle linee guida possono infatti variare da un

    documento all’altro. Da questo punto di vista, le linee-

    guida più recenti devono essere considerate con maggior

    attenzione rispetto a quelle più vecchie. Ci sono però an-

    che altri fattori che contribuiscono in modo sostanziale

    all’eterogeneità delle raccomandazioni.

    Intanto, va considerato il contesto assistenziale cui le

    linee guida si riferiscono, che può variare molto da un

    paese all’altro. Ad esempio, nel caso della terapia farma-

    cologica del diabete di tipo 2, le linee guida statunitensi

    prendono in considerazione, e possono includere tra le

    molecole raccomandate, alcuni farmaci non approvati in

    Europa con questa indicazione, come la bromocriptina e

    il colesalvan (7). Inoltre, al di là delle diversità regolatorie,

    l’organizzazione del sistema sanitario può influire sul

    contenuto delle linee guida. Nei sistemi meno garantiti,

    l’accesso a farmaci e procedure può essere pesantemente

    condizionato dalle disponibilità economiche e può quindi

    essere necessario offrire, oltre alle scelte qualitativamen-

    te migliori, anche opzioni a basso costo, pur se conside-

    rate di minor qualità (6). Assai diverso è il contesto di un

    sistema universalistico di sanità pubblica in cui le spese

    sono a carico della collettività, in cui si devono fare consi-

    derazioni complessive di costo-efficacia (5, 12). Anche i co-

    sti delle varie procedure diagnostiche e terapeutiche sono

    molto diversi da un paese all’altro, così come le ricadute

    organizzative delle scelte cliniche, che dipendono dalla

    struttura del sistema.

    Al di là delle differenze geografiche e di contesto, però, le

    principali diversità tra le linee guida sono di ordine meto-

    dologico. Con il nome generico di “linee guida”, infatti, si

    sono indicati nel corso degli anni (talvolta impropriamen-

    te) documenti molto diversi tra loro.

    Tradizionalmente, le linee guida venivano formulate da

    comitati di esperti riconosciuti nel settore; le raccoman-

    Tabella 1 Confronto tra alcune linee guida su target di emoglobina glicata e farmaci di prima e seconda scelta per

    il trattamento del diabete di tipo 2

    Linea Guida Target HbA1c Farmaco di 1° linea Farmaci di 2° linea

    AMD/SID (5) 48 mmol/mol* Metformina Pioglitazone, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i

    ADA (6) 53 mmol/mol Metformina Pioglitazone, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i, sulfaniluree

    ACE/AACE (7) 48 mmol/mol Metformina, GLP1RA, SGLT2i, DPP4i, AGI

    Bromocriptina, colesalvan, pioglitazone, sulfaniluree

    NICE (12) 48 mmol/mol* Metformina Pioglitazone, SGLT2i, DPP4i, sulfaniluree

    * 53 mmol/mol nei pazienti trattati con sulfaniluree e/o insulina

    GLP1RA: agonisti recettoriali del GLP1; DPP4i: inibitori DPP4; SGLT2i: inibitori SGLT2; AGI: inibitori della α glucosidasi

  • 273

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    vengono, previa valutazione e discussione critica tra i

    curatori, integrate nella versione definitiva, sottoposta

    all’approvazione dei Consigli Direttivi delle due Società. Il

    coinvolgimento dell’intera comunità diabetologica ha un

    duplice scopo: da un lato, riduce la probabilità che sia sta-

    ta trascurata qualche evidenza rilevante; dall’altro, ren-

    de le raccomandazioni più aderenti alla pratica clinica e

    quindi più applicabili. Questo sistema non dà comunque

    garanzia di una considerazione critica di tutte le evidenze

    disponibili, che può essere assicurata solo da una revisio-

    ne sistematica con adeguati criteri formali.

    IL METODO GR ADE PER L A COSTRUZIONE DELLE

    LINEE GUIDA

    Nell’ultimo decennio, lo standard metodologico di riferi-

    mento per la costruzione di linee guida è diventato il si-

    stema Grading of Recommendations Assessment, Development and

    Evaluation (GRADE) (16-17). Si tratta di un metodo che serve

    ad assicurare che:

    1. tutte le evidenze rilevanti vengano prese in conside-

    razione;

    2. ciascun elemento di evidenza sia valutato critica-

    mente, non solo per i risultati ottenuti ma anche per

    la validità dei metodi utilizzati;

    3. le raccomandazioni traducano in maniera fedele i

    risultati degli studi disponibili, con un’indicazione

    accurata della forza delle evidenze.

    Il processo che conduce alla formulazione di una racco-

    mandazione con il metodo GRADE è riassunto nella Fi-

    gura 2. Si tratta di un procedimento che dovrebbe essere

    applicato da un panel autorevole e rappresentativo, che

    comprenda al suo interno tutte le competenze cliniche e

    metodologiche necessarie alla formulazione delle linee

    guida.

    a. Il primo passo è l’identificazione di quesiti clinici ri-

    levanti, che dovrebbero (nei limiti del possibile) ade-

    rire allo schema detto PICO (Patient, Intervention, Com-

    parison, Outcome). Un tipico esempio di quesito PICO

    potrebbe essere: “Nei pazienti con diabete di tipo 2

    senza pregressi eventi cardiovascolari, è preferibile

    prescrivere una terapia antiaggregante oppure no per

    la prevenzione della malattia cardiovascolare?”.

    b. Una volta definito il quesito, occorre stabilire quali

    sono gli effetti (positivi e negativi) del trattamen-

    to rilevanti per la decisione terapeutica. Nel caso in

    dazioni scaturivano da una discussione ampia e ragio-

    nata tra gli esperti. Il parere degli esperti, che integra

    dati derivanti da studi clinici con l’esperienza clinica

    personale, le conoscenze fisiopatologiche e il ragiona-

    mento deduttivo, può essere sicuramente un’indicazione

    ed una guida preziosa. Esso espone però ad alcuni rischi

    consistenti. Il parere di ciascun esperto, anche di am-

    pia cultura, può basarsi comunque su una conoscenza

    incompleta degli studi esistenti. Inoltre, la presenza di

    convinzioni preesistenti basate su conoscenze fisiopatolo-

    giche ed esperienze cliniche personali può condizionare

    (e distorcere) l’interpretazione dei risultati. Il confronto

    tra più esperti riduce, ma non annulla, la possibilità di

    distorsioni. Per questo motivo, i documenti formulati da

    comitati di esperti sulla base dei propri convincimenti do-

    vrebbero essere indicati come “pareri di esperti” (“expert

    opinion”) o “documenti di consenso” (“consensus document”);

    qualora vengano promossi o adottati da Società Scienti-

    fiche, possono essere definiti “Position Statement”. In nes-

    sun caso dovrebbero essere etichettati come linee guida.

    Nella realtà, si assiste invece ad una discreta confusione

    terminologica. Ad esempio, la American Diabetes Association

    riporta nelle proprie linee guida (6) l’algoritmo della te-

    rapia farmacologica del diabete di tipo 2 di un Consensus

    panel nominato congiuntamente con la European Association

    for the Study of Diabetes (15); questo algoritmo dovrebbe essere

    più correttamente indicato come documento di consenso

    e non dovrebbe diventare parte integrante di una linea

    guida.

    D’altro canto, è vero che le linee guida possono includere

    pareri di esperti, ma soltanto nei casi in cui non esistano

    sufficienti evidenze per formulare una raccomandazione

    basata su risultati di studi adeguati. Pareri anche autore-

    voli non possono avere, infatti, la stessa forza dei dati de-

    rivanti da studi sistematici condotti con metodi rigorosi.

    Per questo motivo, tutte le linee guida propriamente dette

    dovrebbero riportare l’indicazione dei livelli di evidenza

    delle singole raccomandazioni, permettendo al lettore di

    distinguere agevolmente ciò che si fonda su evidenze e

    semplici opinioni.

    Per gli Standard Italiani per la Cura del Diabete (5), che

    riportano il livello di evidenza delle singole raccomanda-

    zioni, SID e AMD hanno scelto di potenziare la condivisio-

    ne: la bozza di ciascuna versione, preparata da un gruppo

    ristretto di esperti, viene condivisa con tutti i Soci, cui

    viene chiesto di avanzare proposte ed obiezioni, che poi

  • 274

    RASSEGNA

    esempio, potrebbero essere (in via del tutto ipoteti-

    ca) l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, la

    mortalità, l’incidenza di sanguinamenti gastrointe-

    stinali, i disturbi dispeptici, le interferenze farma-

    cologiche. Si classifi cano quindi questi esiti per rile-

    vanza e si escludono quelli meno importanti. Gli esiti

    selezionati come molto rilevanti per la scelta terapeu-

    tica, in questo esempio, potrebbero essere l’incidenza

    di eventi cardiovascolari maggiori, la mortalità e i

    sanguinamenti.

    c. Per i soli esiti rilevanti, si procede a raccogliere l’evi-

    denza secondo criteri codifi cati. Nell’esempio in que-

    stione, si potrebbero considerare i trial randomizzati

    contro placebo che valutano l’eff etto del trattamento

    antiaggregante specifi camente nelle persone con dia-

    bete, o che riportano dati per sottogruppo per i pa-

    zienti diabetici. Si eff ettua una ricerca sistematica

    della letteratura, specifi cando i database consultati

    (PubMed, Embase, ecc.) e le parole chiave.

    d. Per tutti i trial raccolti, si valuta secondo criteri stan-

    dardizzati la qualità metodologica. Se esiste più di un

    trial disponibile, per ciascuno degli eff etti rilevanti

    per il trattamento si eff ettua una metanalisi.

    e. Dai dati così sintetizzati, seguendo un algoritmo pre-

    defi nito, si ricava la scelta e si formula la raccoman-

    dazione, corredata del grado di evidenza a sostegno;

    quest’ultimo tiene conto non solo dell’ampiezza degli

    eff etti descritti e del numero degli studi disponibili,

    ma anche della forza metodologica degli studi.

    L’intento di questo metodo è quello di ottenere raccoman-

    dazioni quanto più possibile basate sull’evidenza, senza

    l’interferenza di opinioni personali. In realtà, anche con

    il rigore del metodo GRADE restano degli spazi lasciati a

    decisioni opinabili, in particolare nella defi nizione dei

    quesiti e degli eff etti dei trattamenti rilevanti per le scelte

    cliniche. Nonostante questa limitazione, il GRADE è co-

    munque la procedura che garantisce la massima obietti-

    vità possibile.

    L A VALUTA ZIONE DELL A QUALITÀ DELLE LINEE

    GUIDA: L A GRIGLIA AGREE II

    La qualità metodologica, assieme all’aggiornamento e

    all’applicabilità nel proprio contesto assistenziale, è quin-

    di il criterio principale che dovrebbe guidare il clinico

    nella scelta delle linee guida cui riferirsi. Un ausilio in

    questa valutazione è rappresentato dalla griglia AGREE

    (Advanced Guideline development, REporting and Evaluation) II (18),

    sintetizzata nella tabella 2. Il nucleo fondamentale della

    valutazione è quello del Dominio 3 (Rigore nello sviluppo),

    che riguarda la sistematicità nella ricerca delle evidenze

    e la solidità della relazione tra evidenze e raccomanda-

    zioni. In pratica, è diffi cile ottenere il massimo delle va-

    lutazioni in questo dominio senza usare il metodo GRA-

    DE. Accanto a questo aspetto, la griglia AGREE considera

    anche altri elementi rilevanti: la chiarezza (Dominio 1 e

    Dominio 4), l’applicabilità (Dominio 5) e l’indipendenza

    da interessi terzi (Dominio 6). Un punto fondamentale,

    esplorato nel Dominio 2, riguarda il coinvolgimento nella

    costruzione della linea guida di tutti gli attori rilevanti

    nel processo, dalle varie fi gure professionali coinvolte nel-

    la cura agli stessi pazienti.

    L’ INTERSEZIONE CON L A MEDICINA LEGALE: L A

    NUOVA LEGGE SULL A RESPONSABILITÀ PROFES-

    SIONALE

    Le linee guida nascono innanzitutto come uno strumento

    di indirizzo e supporto per la pratica clinica: le raccoman-

    dazioni che le compongono dovrebbero essere un ausilio

    per il professionista nella propria attività quotidiana, a

    Figura 2 Metodo GRADE per la formulazione di rac-

    comandazioni da inserire nelle linee guida (16-17)

  • 275

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    servizio del paziente. Al tempo stesso, esse hanno pos-

    sibili implicazioni di tipo medico-legale: il rispetto (o il

    mancato rispetto) di raccomandazioni contenute in linee

    guida autorevoli possono facilmente diventare argomen-

    ti di dibattito nelle aule di tribunale, quando si devono

    dirimere controversie su casi di responsabilità professio-

    nale.

    Un’importante novità a questo riguardo è rappresentata

    dalla legge 24/2017 sulla responsabilità professionale (la

    cosiddetta “Legge Gelli”), che ha stabilito che il medico

    chiamato a rispondere del proprio operato non può essere

    condannato se dimostra di aver seguito le raccomanda-

    zioni delle linee guida (19). Naturalmente, vista la proli-

    ferazione di linee guida, si pone il problema di stabilire

    quale sia la linea guida di riferimento. La stessa Legge

    risponde al quesito, creando il Sistema Nazionale delle

    Linee Guida (SNLG), istituito con un decreto attuativo del

    Ministero della Salute (20) e normato da un regolamento

    dell’Istituto Superiore di Sanità (21). Si tratta di un reper-

    torio online di linee guida, costituito e continuamente

    aggiornato sotto la sorveglianza dello stesso Istituto Su-

    periore di Sanità.

    Secondo il regolamento, le Società Scientifiche accredita-

    te, le Regioni, le Università e gli IRCSS possono presenta-

    Tabella 2 La griglia di valutazione delle linee-guida AGREE-II (18)

    Dominio Elemento di valutazione

    1. Scopo e obiettivo Gli obiettivi generali sono descritti chiaramente

    I quesiti di salute coperti dalla linea guida sono descritti chiaramente

    Le popolazioni cui si applica la linea guida sono descritti chiaramente

    2. Coinvolgimento Il gruppo di lavoro comprende tutte le professioni sanitarie rilevanti

    Sono state considerate le preferenze dei pazienti

    Gli utenti della linea guida sono chiaramente definiti

    3. Rigore nello sviluppo Le evidenze sono state ricercate con revisioni sistematiche

    I criteri di ricerca delle evidenze sono descritti chiaramente

    La forza e le limitazioni delle evidenze sono descritti chiaramente

    I metodi per la formulazione delle raccomandazioni sono descritti chiaramente

    Benefici, rischi ed effetti collaterali sono considerati per la formulazione delle raccomandazioni

    Esiste un legame esplicito tra le raccomandazioni e le evidenze

    La linea guida è verificata da revisori esterni prima della pubblicazione

    Viene fornita una procedura per l’aggiornamento della linea guida

    4. Chiarezza di presentazione Le raccomandazioni sono specifiche e non ambigue

    Le diverse opzioni per la gestione della condizione clinica sono descritte chiaramente

    Le raccomandazioni chiave sono chiaramente identificabili

    5. Applicabilità La linea guida fornisce suggerimenti su come le raccomandazioni possono essere messe in pratica

    La linea guida descrive elementi facilitanti e ostacoli all’applicazione

    Si è considerata l’implicazione sulle risorse dell’applicazione delle raccomandazioni

    La linea guida comprende sistemi di monitoraggio e/o verifica

    6. Indipendenza Gli orientamenti dei finanziatori non hanno influenzato il contenuto della linea guida

    I possibili conflitti di interesse dei membri del gruppo di lavoro sono stati resi espliciti e adeguatamente gestiti.

  • 276

    RASSEGNA

    re domanda per l’inserimento di linee guida già esistenti

    nel SNLG. Per essere approvate per l’inserimento, le linee

    guida devono rispondere a reali esigenze di salute (cioè,

    riguardare malattie frequenti, con opzioni di trattamen-

    to multiple, in rapida evoluzione e/o controverse); soprat-

    tutto, però, devono essere di qualità molto elevata secon-

    do la griglia AGREE II. Di fatto, gli Standard Italiani di

    Cura per il Diabete Mellito (5) non rispondono ai requisiti

    per entrare a far parte del Sistema Nazionale delle Linee

    Guida.

    Gli stessi soggetti elencati sopra (comprese, quindi, le So-

    cietà Scientifiche accreditate) possono anche proporre la

    formulazione di nuove linee guida per il SNLG, presen-

    tando un’apposita domanda. Se la proposta viene accetta-

    ta dall’Istituto Superiore di Sanità, le Società Scientifiche

    possono provvedere entro un tempo definito (massimo

    due anni) a creare la linea guida, con i requisiti di qualità

    della griglia AGREE II. Per raggiungere l’obiettivo, l’Isti-

    tuto Superiore di Sanità raccomanda in particolare di:

    1. Usare il metodo GRADE;

    2. Coinvolgere nel gruppo di lavoro (il cosiddetto panel)

    tutte le figure professionali interessate al trattamen-

    to di quella specifica condizione;

    3. Inserire nel panel un esperto di farmacoeconomia;

    4. Inserire nel panel un rappresentante dei pazienti.

    Al termine del processo, la Linea Guida viene valutata da-

    gli esperti dell’Istituto ed accettata nel SNLG soltanto se

    soddisfa i criteri previsti dalla griglia AGREE II.

    UNO SGUARDO AL FUTURO: LE NUOVE LINEE GUI-

    DA SUL DIABETE

    Con la nuova normativa, SID e AMD si sono trovate a

    fare una scelta strategica riguardo alle linee guida. Una

    prima possibilità, di più facile attuazione, era quella di

    mettere in ponte una nuova edizione degli Standard di

    cura, secondo la modalità tradizionale. In questo caso, il

    documento sarebbe rimasto fuori dal Sistema Naziona-

    le delle Linee Guida, ed il suo impatto sarebbe rimasto

    affidato soltanto alla qualità del testo e all’autorevolez-

    za delle due Società. L’alternativa era quella di creare

    ex novo delle Linee Guida con caratteristiche adatte per

    l’inclusione nel SNLG; si è scelta questa seconda opzione,

    benché tecnicamente molto più complessa, perché così si

    sarebbero ottenute raccomandazioni non solo di maggior

    valore giuridico, ma anche, e soprattutto, certificate per

    qualità metodologica.

    Questa scelta strategica ha conseguenze importanti. Gli

    Standard di cura, nelle loro varie edizioni, erano costi-

    tuiti da un breve lista di raccomandazioni e da un lungo

    testo esplicativo, con i riferimenti bibliografici, che in

    alcune parti poteva ricordare un libro di testo. Non è raro

    il caso di studenti (in particolare nelle Scuole di Specia-

    lizzazione) che utilizzano gli Standard come testo di ri-

    ferimento. Le nuove linee guida, per il modo in cui sono

    costruite, saranno inevitabilmente più sintetiche, con

    raccomandazioni puntuali corredate da brevi note e qual-

    che diagramma. In un documento di supporto più corpo-

    so sarà descritto in dettaglio il processo che ha portato

    alla raccomandazione e sarà riportata in modo struttu-

    rato l’evidenza a sostegno. La prima caratteristica delle

    nuove Linee Guida, quindi, sarà la sintesi.

    Una seconda conseguenza sarà la riduzione del numero

    di capitoli. Oggi, gli Standard di Cura affrontano molti

    temi importanti sul piano clinico e organizzativo, ma

    poco sostenuti da evidenze di qualità. Ci sono alcuni ca-

    pitoli in cui tutte le raccomandazioni derivano da con-

    senso di esperti. Argomenti sui quali ci sono poche evi-

    denze non si adattano alla formulazione di linee guida

    secondo il sistema GRADE. Una caratteristica importan-

    te delle nuove Linee Guida sarà quindi la selettività degli

    argomenti.

    Il regolamento del Sistema Nazionale delle Linee Gui-

    da (21) prevede, in accordo con uno dei criteri di qualità

    AGREE II (18), che nel comitato di redazione di una linea

    guida siano presenti, oltre a rappresentanze dei pazien-

    ti e ad esperti di farmacoeconomia, anche tutte le pro-

    fessionalità coinvolte nel processo di cura di cui la linea

    guida si occupa. Nel caso del diabete, questo requisito

    rappresenta un ostacolo pressoché insormontabile: se si

    volessero formulare linee guida omnicomprensive sulla

    gestione clinica della malattia e delle sue complicanze

    (come erano gli Standard di Cura), si dovrebbero coinvol-

    gere nel comitato di redazione diverse decine di specia-

    listi diversi, rendendo il processo di fatto ingovernabile.

    Per questo motivo, si è scelto di frazionare la cura del dia-

    bete e delle complicanze in tante sezioni diverse, per le

    quali coinvolgere, di volta in volta, specialisti differenti

    (oculisti per la retinopatia, nefrologi per la nefropatia,

    ecc.). Per il momento, SID e AMD hanno presentato con-

    giuntamente due domande di Linee Guida da inserire nel

  • 277

    Vol. 31, N. 4, dicembre 2019

    Sistema Nazionale: la terapia del diabete di tipo 1 e la te-

    rapia del diabete di tipo 2. Entrambe sono già state accet-

    tate e sono attualmente in fase di preparazione. Altre do-

    mande seguiranno, magari con la collaborazione di altre

    Società, con l’intento di formare, poco a poco, un reperto-

    rio di Linee Guida sul diabete, tutte inserite nel Sistema

    Nazionale delle Linee Guida. Un aspetto inevitabile delle

    nuove Linee Guida sarà quindi il frazionamento.

    Naturalmente, le nuove Linee Guida saranno realizzate

    con il sistema GRADE (16-17), in modo da avere le mas-

    sime garanzie di rigore metodologico, imparzialità e ri-

    producibilità. L’elemento maggiormente caratterizzante

    delle nuove Linee Guida, quindi, rispetto agli Standard

    di Cura, sarà proprio il maggior rigore.

    La normativa sulle Linee Guida imposta dalla Legge Gelli

    e dai successivi decreti e regolamenti attuativi ha sicu-

    ramente aumentato il livello di complessità insita nella

    realizzazione delle Linee Guida, costringendoci a speri-

    mentare soluzioni nuove e a percorrere strade inesplora-

    te. Al tempo stesso, però, questa normativa rappresenta,

    per tutta la nostra comunità specialistica, uno straordi-

    nario stimolo verso il miglioramento, fornendoci l’oppor-

    tunità di realizzare le linee guida migliori che la Diabe-

    tologia italiana abbia mai avuto. Il lavoro è già in corso.

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  • 279

    R A S S E G N A

    FAD ECM “il Diabete”Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza

    accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula

    virtuale della SID (www.fad.siditalia.it).

    Per partecipare al corso occorre:

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