La separazione nelle famiglie adottive e la mediazione ... · Una coppia di genitori adottivi alle...

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La separazione nelle famiglie adottive e la mediazione familiare di Ivana Lazzarini, mediatrice familiare GeA, vicepresidente dell’Associazione Italiaadozioni, redattrice del sito www.italiaadozioni.it. Una coppia di genitori adottivi alle prese con la propria separazione, porta nella stanza di mediazione una specificità, che il mediatore deve conoscere per poter lavorare al meglio proprio con questa famiglia. La coppia genitoriale si aspetta di trovare un aiuto competente rispetto alla propria situazione. Il modo, infatti, in cui questa famiglia si è originata e le caratteristiche della genitorialità adottiva sono peculiari di questo percorso. Parimenti i figli, che questi genitori presentificano, hanno una storia importante da tenere in considerazione quando si parla di loro. Il mediatore, quindi, deve sapere che cosa significa adottare e chi sono i bambini che vanno in adozione. Chi sono i genitori adottivi Il cammino che due coniugi fanno quando decidono di diventare famiglia è più o meno il medesimo per tutte le coppie, sino a quando in una coppia ci si accorge che i figli non arrivano; a quel punto le strade iniziano a differenziarsi. Per i coniugi “sterili” inizia il calvario della sofferenza, dei sensi di colpa, si va in crisi, si ricorre alle tecniche di fecondazione assistita, si pensa all’adozione e nel frattempo passano mesi, anni. Questo periodo, a volte, mette a dura prova la coppia. C’è chi tenta innumerevoli volte di avere il figlio desiderato con l’aiuto della scienza e ce la fa e c’è chi non ce la fa neppure così, c’è chi il figlio riesce a farlo naturalmente quando non lo sperava più, c’è chi adotta subito e c’è chi adotta perché la scienza non è servita, c’è chi desiste dal diventare genitore. Nell’adozione questo periodo di lutto serve, se elaborato, a incontrare empaticamente il lutto dell’abbandono biologico e della storia che il proprio figlio adottivo porta con sé. La sofferenza della coppia “guarita” nel diventare genitore, “guarisce” la sofferenza di quel bambino che diventa figlio. Per far questo le coppie vengono formate dai servizi territoriali e dai tribunali. L’iter adottivo prevede che la coppia, cha ha dato la propria disponibilità all’adozione in tribunale, venga accompagnata dai servizi sociali di residenza a riflettere sulla propria storia e venga preparata all’adozione. Tramite più colloqui con gli assistenti sociali, gli psicologi e i giudici viene “verificata” la capacità genitoriale adottiva della coppia e per quanto riguarda l’adozione internazionale, al termine dell’iter, viene rilasciato dal Tribunale dei Minori un decreto d’idoneità all’adozione. Le coppie idonee per poter adottare all’estero, devono scegliere un ente italiano intermediario a cui conferire il mandato, a cui, cioè, affidare l’incarico di trovare il proprio figlio nel mondo. L’ente fa compiere nuovamente ai futuri genitori un iter di incontri con i propri operatori, per poter effettuare il miglior abbinamento tra la coppia e un minore adottabile dei Paesi nei quali opera. Sia che la famiglia si sia originata con l’adozione nazionale che con l’adozione internazionale, è previsto per legge un anno di affidamento preadottivo 1 . I servizi territoriali monitorano con incontri e colloqui 1 Ho volutamente cercato di descrivere un iter il più possibile semplificato che possa essere comune all’adozione nazionale e a quella internazionale. Ho tralasciato quindi le differenze che ci sono e le procedure che riguardano le adozioni ad alto rischio giuridico. Per chi volesse approfondire le tematiche adottive rimando al sito www.italiaadozioni.it .

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La separazione nelle famiglie adottive e la mediazione familiare di Ivana Lazzarini, mediatrice familiare GeA, vicepresidente dell’Associazione Italiaadozioni, redattrice del sito www.italiaadozioni.it.

Una coppia di genitori adottivi alle prese con la propria separazione, porta nella stanza di mediazione una

specificità, che il mediatore deve conoscere per poter lavorare al meglio proprio con questa famiglia. La

coppia genitoriale si aspetta di trovare un aiuto competente rispetto alla propria situazione. Il modo, infatti,

in cui questa famiglia si è originata e le caratteristiche della genitorialità adottiva sono peculiari di questo

percorso. Parimenti i figli, che questi genitori presentificano, hanno una storia importante da tenere in

considerazione quando si parla di loro. Il mediatore, quindi, deve sapere che cosa significa adottare e chi

sono i bambini che vanno in adozione.

Chi sono i genitori adottivi

Il cammino che due coniugi fanno quando decidono di diventare famiglia è più o meno il medesimo per

tutte le coppie, sino a quando in una coppia ci si accorge che i figli non arrivano; a quel punto le strade

iniziano a differenziarsi. Per i coniugi “sterili” inizia il calvario della sofferenza, dei sensi di colpa, si va in

crisi, si ricorre alle tecniche di fecondazione assistita, si pensa all’adozione e nel frattempo passano mesi,

anni. Questo periodo, a volte, mette a dura prova la coppia. C’è chi tenta innumerevoli volte di avere il

figlio desiderato con l’aiuto della scienza e ce la fa e c’è chi non ce la fa neppure così, c’è chi il figlio riesce a

farlo naturalmente quando non lo sperava più, c’è chi adotta subito e c’è chi adotta perché la scienza non è

servita, c’è chi desiste dal diventare genitore. Nell’adozione questo periodo di lutto serve, se elaborato, a

incontrare empaticamente il lutto dell’abbandono biologico e della storia che il proprio figlio adottivo porta

con sé. La sofferenza della coppia “guarita” nel diventare genitore, “guarisce” la sofferenza di quel bambino

che diventa figlio. Per far questo le coppie vengono formate dai servizi territoriali e dai tribunali.

L’iter adottivo prevede che la coppia, cha ha dato la propria disponibilità all’adozione in tribunale, venga

accompagnata dai servizi sociali di residenza a riflettere sulla propria storia e venga preparata all’adozione.

Tramite più colloqui con gli assistenti sociali, gli psicologi e i giudici viene “verificata” la capacità genitoriale

adottiva della coppia e per quanto riguarda l’adozione internazionale, al termine dell’iter, viene rilasciato

dal Tribunale dei Minori un decreto d’idoneità all’adozione. Le coppie idonee per poter adottare all’estero,

devono scegliere un ente italiano intermediario a cui conferire il mandato, a cui, cioè, affidare l’incarico di

trovare il proprio figlio nel mondo. L’ente fa compiere nuovamente ai futuri genitori un iter di incontri con i

propri operatori, per poter effettuare il miglior abbinamento tra la coppia e un minore adottabile dei Paesi

nei quali opera.

Sia che la famiglia si sia originata con l’adozione nazionale che con l’adozione internazionale, è previsto per

legge un anno di affidamento preadottivo1. I servizi territoriali monitorano con incontri e colloqui

1 Ho volutamente cercato di descrivere un iter il più possibile semplificato che possa essere comune all’adozione nazionale e a

quella internazionale. Ho tralasciato quindi le differenze che ci sono e le procedure che riguardano le adozioni ad alto rischio

giuridico. Per chi volesse approfondire le tematiche adottive rimando al sito www.italiaadozioni.it.

l’andamento e la riuscita dell’adozione, per redigere una relazione finale che viene inviata al Tribunale. Se il

risultato è positivo, viene definitivamente conclusa l’adozione e il minore diventa per sempre figlio di quei

genitori prendendone il cognome. Nell’adozione internazionale oltre ai servizi, anche gli operatori dell’ente

seguono la nuova famiglia, che deve sostenere quindi doppi colloqui. Molti Paesi da cui provengono i figli

adottivi richiedono le relazioni sull’inserimento e la crescita del bambino. I genitori sono tenuti, aiutati dagli

operatori dell’ente, a mandare regolarmente nel tempo notizie, aggiornamenti, fotografie sulla propria

adozione (alcuni Paesi richiedono una relazione annuale addirittura sino alla maggiore età del bambino).

Aver chiaro come si genera una famiglia adottiva, ci permette di concludere che i genitori adottivi sono

genitori abituati ai colloqui con i diversi operatori, sono genitori che hanno dovuto lavorare su di sé e sulla

propria capacità genitoriale e infine sono genitori che hanno dovuto imparare a confrontarsi e a fare

propria la storia dolorosa dei loro figli. Aspetti questi che il mediatore familiare deve avere ben presenti

quando inizia la mediazione.

Chi è il bambino adottivo2

Attualmente in Italia la maggior parte dei bambini adottati proviene dall’estero. Per i bambini che nascono in Italia, infatti, l’adozione rappresenta ormai un rimedio estremo a cui fare ricorso solo in caso di abbandono alla nascita o quando la famiglia d’origine non possa offrire neppure un minimo di cura e di affetto. La permanenza nel nucleo d’origine, che può essere sostenuta con incentivi economici e con forme di assistenza sociale, resta la soluzione preferita nel nostro ordinamento giuridico.

Le adozioni di bambini provenienti dall’estero sono invece in costante aumento. Attualmente entrano in Italia per adozione internazionale circa 4.000 minori all’anno provenienti da oltre 70 paesi, anche se la maggior parte arriva da cinque stati: Federazione Russa, Ucraina, Colombia, Etiopia e Brasile.

Si tratta di bambini che sempre più spesso giungono in Italia già grandicelli, dopo un periodo più o meno lungo di permanenza in istituto, sovente con significative carenze sul piano fisico e/o psicologico e conseguenti problematiche affettive e comportamentali. Negli anni recenti, infatti, il diffondersi anche nei Paesi di provenienza dei minori, di politiche volte a prevenire il fenomeno dell’abbandono e a rendere residuale il ricorso all’adozione internazionale, ha avuto come conseguenza la crescita delle adozioni internazionali considerate più complesse: bambini in età scolare, portatori di problematiche sanitarie e/o di handicap, gruppi di fratelli3.

Un bambino che sperimenta, alla nascita o successivamente, la separazione forzata dai genitori biologici vive un’esperienza traumatica di cui porterà sempre la ferita. Se a essa si sono accompagnati maltrattamenti o abusi, ripetute rotture di legami e cambiamenti di ambienti di vita, la capacità di fidarsi rimarrà a lungo fragile e precaria, così come la possibilità di creare successivi solidi legami di affetto. La sofferenza sperimentata, per essere superata, avrà bisogno di genitori dotati di una particolare disponibilità, di una capacità empatica e di una forza d’animo non comuni.

L’elaborazione emotiva dell’esperienza dell’abbandono e dell’istituzionalizzazione è possibile, ma non è facile. L’adozione è strumento d’elezione per restituire fiducia nella coerenza e continuità della vita a chi ha sperimentato il trauma psicologico della perdita. Ma bisogna mettere in conto che prima o poi il tema dell’abbandono riemergerà insieme al timore, spesso manifestato attraverso agiti, del ripetersi dell’esperienza di essere rifiutati. I genitori dovranno essere in grado di interpretare correttamente e

2 di Livia Botta, psicologa e psicoterapeuta, www.italiaadozioni.it

3 le cosiddette adozioni special needs

tollerare, a volte per lungo tempo, modalità di attaccamento disfunzionali, che potranno manifestarsi in comportamenti instabili o iperattivi o al contrario oblativi e compiacenti. Potrà anche rendersi necessario riconoscere e soddisfare bisogni affettivi e psicologici non sempre corrispondenti all’età anagrafica dei bambini.

Il bambino adottato è anche un bambino che, all’ingresso nella nuova famiglia, vive certamente una nuova opportunità, ma anche un’ulteriore esperienza di sradicamento, che può disorientarlo. Innanzitutto ha perso il precedente contesto di vita, carente ma conosciuto; si ritrova al centro di azioni di cura che probabilmente gli sono estranee, lontano dagli odori, dal cibo e dal clima della sua terra, dai suoi paesaggi, dal suono della sua lingua. A volte separato anche dal suo nome, perché molti genitori preferiscono usare un nome italiano. E anche queste sono perdite che devono essere faticosamente elaborate.

Anche se ogni bambino è unico e irripetibile e ogni adozione è diversa dalle altre, bisogna comunque tener presente che i bambini adottati – soprattutto se passati attraverso plurime esperienze di abbandoni e perdite – sono sempre portatori di una sofferenza legata al venir meno della continuità dell’esperienza di vita. Questo aspetto fondamentale deve essere ben chiaro al mediatore, perché il figlio della coppia in mediazione vivrà una nuova sofferenza e una nuova esperienza di rottura a causa della separazione dei suoi genitori.

La mediazione con le coppie adottive

Se dobbiamo confrontare come avviene la separazione di una famiglia biologica e la separazione di una

famiglia adottiva non notiamo differenze: in entrambi i casi si litiga, si soffre, si va in tribunale, si cercano

due case, etc. Non cambia neppure il modo in cui condurre la mediazione: i colloqui individuali, di coppia, le

tecniche di mediazione, gli stessi problemi concreti portati dai genitori, etc. Esiste però una differenza

importante rispetto a come vivono la separazione i soggetti coinvolti, genitori e figli. Quello che cambia

nella famiglia adottiva è la storia che porta con sé: dei perfetti sconosciuti si sono incontrati, si sono

riconosciuti genitori e figli, e giorno dopo giorno sono diventati una famiglia. Famiglia che dovrà trovare

stabilità affettiva, dovrà diventare riparatrice delle sofferenze e dovrà dare “solide radici” a figli che si

confronteranno con la loro origine faticosa. A differenza delle famiglie biologiche, questi vissuti potranno

far provare ai genitori adottivi che si separano ulteriori sensi di colpa e ai loro figli potranno far

sperimentare nuove rotture e cambiamenti.

Formazione del mediatore rispetto ai genitori

Il mediatore deve avere presente il vissuto dei genitori adottivi per accoglierli empaticamente rispetto alla peculiarità della loro realtà familiare.

Tutti i genitori si sentono in colpa verso i loro figli per essere la causa della fine dell’ideale della famiglia unita, ma a questa colpa i genitori adottivi sommano la colpa del fallimento del progetto adottivo verso bambini già seriamente provati dalla vita. Senso di colpa provato generalmente sia da chi chiede la separazione sia da chi la subisce. Entrambi i genitori, infatti, hanno paura che i propri figli vivano con la separazione coniugale un secondo abbandono o comunque un ennesimo trauma nella loro esistenza già dolorosa e faticosa. L’esperienza di questi bambini è che si affidano e si fidano di adulti che poi li fanno

soffrire: “Oltre ai genitori biologici neanche noi siamo stati in grado di dare una famiglia a questi

bambini”, "I nostri figli hanno già sofferto tanto e adesso li facciamo soffrire anche noi", "Questi

bambini continuano a pagare le scelte che fanno gli adulti per loro".

Il senso di colpa che i genitori adottivi provano spesso è accentuato anche da ciò che i parenti, i vicini di casa, le maestre dicono, giudicandoli: "Era meglio se li lasciavano al loro paese questi poveri

bambini", "Cosa li hanno adottati a fare che non sono stati capaci di tenere unita la famiglia”,

“Adesso che ha fatto un figlio suo con la nuova compagna, di quello adottato non si ricorderà

più”, “Ora che si sono lasciati, si pentirà di avere adottato”.

La sofferenza per riuscire a diventare genitore, l’“abitudine” ai colloqui con gli psicologi e il senso di colpa legato all’adozione sono gli aspetti che il mediatore deve tenere presente quando incontra i genitori adottivi.

E’ importante sottolineare che l’abitudine ai colloqui con gli operatori ha sia una valenza positiva sia una negativa. La prima si riscontra nel fatto che i genitori adottivi chiedono aiuto senza difficoltà. Ritengono possibile andare dallo psicologo o chiedere un sostegno specialistico se si ravvisa un problema. La seconda, invece, è presente nel rischio che uno dei due coniugi non voglia venire in mediazione, soprattutto se non ha ben chiaro di cosa si tratta, assimilandola all’ennesimo colloquio invasivo e giudicante. Per alcuni genitori può esserci anche la paura di essere considerati inidonei e per questo motivo temere di perdere il proprio figlio4.

Formazione del mediatore rispetto ai figli

Sapere chi è il bambino adottivo serve al mediatore per parlare con cognizione di causa proprio di quel bambino che i genitori presentificano nella stanza di mediazione.

Ogni bambino soffre se la mamma e il papà non si amano più e non vivono più insieme a casa, come lui invece desidererebbe. Questo bambino dovrebbe poter affrontare il suo primo evento luttuoso, e poi magari anche superare la fatica e il dolore per la separazione, supportato da due genitori sufficientemente buoni anche se separati. Per un figlio adottato, invece, la separazione coniugale è un’ennesima prova da sostenere, una sofferenza che si somma ad altre sofferenze, infertegli proprio dagli adulti di cui avrebbe dovuto fidarsi. Nuovamente.

Il mediatore deve sapere che i figli adottati hanno alle spalle vissuti importanti che li hanno segnati. Sono bambini che spesso hanno problemi di autostima, bambini che provano rabbia, ansia, paura, bambini che tendono a colpevolizzarsi per quanto è loro accaduto e un figlio adottato può vedere addirittura nella sua stessa adozione la causa della separazione di mamma e papà. L’abbandono è il minimo comune denominatore che questi bambini hanno vissuto: chi ti ha generato non ti ha tenuto con sé. All’abbandono si aggiungono la vita in orfanotrofio, la trascuratezza, l’affido, a volte l’adozione fallita, addirittura la violenza e perfino l’abuso. Il perché dell’abbandono, la ricerca delle origini e la vita trascorsa nei primi anni del bambino così importanti per lo sviluppo, lasciano tracce indelebili. Per tutta la vita chi è stato adottato deve fare i conti con la propria storia. Deve lavorare tanto per “cucire” il prima e il dopo dell’adozione aiutato dai genitori e se necessario anche dagli esperti, perché a volte l’amore di mamma e papà non è

4 Per approfondire questi aspetti rimando alla relazione di Paola Re “Genitorialità adottiva e separazione”, Convegno Simef,

Firenze, ottobre 2013.

sufficiente per medicare ferite troppo profonde. Questi figli hanno investito fiducia, amore, speranza nella loro nuova famiglia e si ritrovano ancora una volta a dover affrontare una separazione e un cambiamento.

Punti di forza per la mediazione

L’abitudine a lavorare sulla propria capacità genitoriale dei genitori adottivi e la resilienza dei figli adottati sono gli aspetti che aiuteranno il mediatore nella conduzione e nella riuscita del percorso di mediazione.

I genitori adottivi dovrebbero essere abituati a mettersi in discussione e a farsi carico della sofferenza dei figli. La preparazione fatta sia con i servizi territoriali e i tribunali, sia con gli enti preposti all’adozione internazionale li ha sempre interrogati sulla loro genitorialità. Dovrebbero quindi essere capaci e predisposti a venirsi incontro nell’interesse della tutela dei figli e questo dovrebbe facilitare il lavoro di mediazione. Inoltre incontrare un mediatore che sa cosa significa adottare e che conosce l’adozione, li farà sentire compresi e accolti rispetto alla peculiarità dei loro figli. Figli che sono necessariamente “campioni” di resilienza: sono sopravvissuti all’abbandono, all’istituto, al cambiamento di abitudini, di riferimenti e nell’adozione internazionale si sono adattati anche al cambiamento di paese, di lingua e di clima. Un bambino adottivo, inoltre, potrà essere ricco di risorse che i suoi coetanei cresciuti nella stabilità familiare non possiedono, come ad esempio un’autonomia più sviluppata o una maggiore capacità di trovare soluzione a problemi concreti anche complessi. Il meditatore dovrà avere presente questi aspetti per comprendere e aiutare i genitori adottivi che incontra.

La separazione dei propri genitori è senza dubbio un’ulteriore prova da affrontare in una breve esistenza, ma i figli adottati possono farcela anche questa volta se, - come tutti i figli, biologici e non -, hanno dei genitori che, amandoli, continuano insieme a prendersi cura di loro.

Breve bibliografia sull’adozione

Chistolini Marco, La famiglia adottiva. Come accompagnarla e sostenerla. Franco Angeli, 2010. Il libro, destinato agli operatori del settore, contiene una prima parte teorica dove vengono illustrate le principali tematiche che riguardano l’adozione e una seconda parte che descrive gli interventi che possono facilitare un migliore inserimento del bambino nella famiglia adottiva.

Commissione per le adozioni internazionali, Il post-adozione fra progettazione e azione. Formazione nelle adozioni internazionali e globalità del percorso adottivo, Istituto degli Innocenti, Studi e ricerche n. 7, Firenze 2008. Completo ed esauriente, tratta i temi che riguardano il post adozione, le linee guida degli enti, le problematiche psicologiche del periodo post adottivo, le metodologie di intervento. Può essere scaricato gratuitamente dal sito dell’Istituto degli Innocenti: http://www.commissioneadozioni.it/media/34842/415_il%20post%20adozione.pdf

Cosmo MP, L’alchimia adottiva, La Meridiana, 2011 Un libro che racconta le esperienze di alcuni operatori del settore. “Entrare in contatto con la diversità, con l’altro da sé consente di godere della continua scoperta che c’è qualcos’altro da conoscere, da scoprire, che può meravigliarci e farci crescere o, al contrario, farci molta paura e, quindi, bloccarci”

Di Sauro Rosario, Marchegiani Francesca, L’adozione, le radici dell’appartenenza. Aracne Editore, 2008. Libro scritto per operatori, descrive lo sviluppo psicologico tradizionale e quello specifico del bambino adottivo dall’infanzia all’adolescenza, le aspettative del bambino adottato e i fattori protettivi dell’adozione.

Genni Miliotti A., Ci vuole un paese: adozione e ricerca delle origini. Testimonianze e strumenti per un viaggio possibile. Franco Angeli, 2011. Uno strumento per chi, operatori o genitori, accompagnano i ragazzi adottati in questo percorso di ricerca del proprio passato.

Majocchi L., Ho adottato mamma e papà. Storie di adozione Internazionale, Centro Studi Erickson, 2010. Il libro vuole dimostrare, attraverso i racconti che non basta “avere tanto amore da dare” per dare risposta ai bisogni di un bambino adottivo, ma che i genitori devono fare un percorso di maturazione e di crescita per permettere lo sviluppo di un buon legame di attaccamento da parte del figlio nei loro confronti.

Rizzo Grazia, L’adozione di un bambino straniero. Una ricerca sulla socializzazione preventiva. Rubettino Editore, 2009 Il libro racconta l’esperienza dell’autrice e di altre coppie adottive, sul significato dell’adozione, che è quello di accompagnare il figlio a continuare la sua storia personale, in un altra famiglia e in un altro contesto di vita.

Sivieri M.T., Ho attraversato l’oceano, Ed. CLEUP 2010. Un romanzo, che racconta la storia di Juan, ragazzo Colombiano adottato, che torna in Colombia per ritrovare le sue origini. Un viaggio interiore e concreto, dove il vissuto del ragazzo si intreccia alle descrizioni del paese e della sua cultura.

Sogaro Linda, Controcorrente. Dall’abbandono e un’adozione felice: una sedicenne racconta, Armando Editore 2010. Romanzo molto coinvolgente, scritto da una studentessa di liceo che racconta la sua storia, descrivendo come da un abbandono, un’adozione fallita e una riuscita, si possa ritrovare la serenità e la pienezza di una vita felice.

Toselli Monica, Adottare un figlio, Giunti Demetra Editore. 2008. Una “guida per genitori” che vogliono intraprendere questo percorso, dal momento della decisione a quando il bambino entra in famiglia.

Vadilonga F. (a cura di), Curare l’adozione. Modelli di presa in carico dei percorsi adottivi. Cortina Raffaello. 2010 Un libro destinato principalmente agli operatori del settore. Gli autori presentano un modello d’intervento delle famiglie adottive, già da loro ampiamente sperimentato, basato sulla teoria dell’attaccamento. Sostengono che occorre aiutare il bambino a creare un solido legame di attaccamento e a modificare di conseguenza i suoi schemi mentali.