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Dario Nicoli

La scuolaLa scuolaLa

vivaPrincipi e metodo per una nuova comunità educativa

La

scu

ola

viv

aN

ico

li

€ 29,00

Nella società postmoderna la scuola soffre di una forte tensione fra la componente sfiduciata, impiegatizia e inerte, dalla quale si leva una sorta di grande lamentazione, e i segnali di vitalità espressi da un ceto di militanti di nuovo tipo, centrati sul bene degli studenti, convinti di assolvere a un compito di alto valore sociale.Dopo aver confutato le teorie del mutamento antropologico e della «generazione perduta», questo volume presenta un manifesto fon-dativo che esorta ad abbandonare lo scetticismo e a unire le forze per contrastare la decadenza e consentire ai giovani di affrontare l’avventura dell’esistenza attrezzati di una cultura viva, di prima mano, appassionata e aperta.A questo scopo propone una metodologia fondata sulla personaliz-zazione intesa come risveglio dell’io e sull’edificazione dello spazio comune. È una metodologia composita — che alterna lezione, labo-ratorio e prove di realtà — e richiede un curricolo scandito da tappe di crescita dell’allievo, tramite azioni compiute significative e reali offerte al territorio come dono ed evidenza della sua maturazione nella cultura.

Gli strumenti de

«La scuola viva»Collana diretta da Arduino Salatin e Dario Nicoli

Rivolta principalmente ai dirigenti scolastici, ai componenti dello staff di direzione, ai docenti

delle scuole secondarie di 2° grado e ai formatori dei centri di formazione professionale, la

collana intende sostenere la diffusione di una nuova cultura scolastica e formativa adeguata

a un’istituzione vitale e comunitaria, capace di valorizzare in modo originale e sistematico le

nuove opportunità offerte dalla legge 107/2015.

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Nella società postmoderna la scuola soffre di una forte tensione fra la componente sfiduciata, impiegatizia e inerte, dalla quale si leva una sorta di grande lamentazione, e i segnali di vitalità espressi da un ceto di militanti di nuovo tipo, centrati sul bene degli studenti, convinti di assolvere a un compito di alto valore sociale.Dopo aver confutato le teorie del mutamento antropologico e della «generazione perduta», questo volume presenta un manifesto fon-dativo che esorta ad abbandonare lo scetticismo e a unire le forze per contrastare la decadenza e consentire ai giovani di affrontare l’avventura dell’esistenza attrezzati di una cultura viva, di prima mano, appassionata e aperta.A questo scopo propone una metodologia fondata sulla personaliz-zazione intesa come risveglio dell’io e sull’edificazione dello spazio comune. È una metodologia composita — che alterna lezione, labo-ratorio e prove di realtà — e richiede un curricolo scandito da tappe di crescita dell’allievo, tramite azioni compiute significative e reali offerte al territorio come dono ed evidenza della sua maturazione nella cultura.

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Indice

Prefazione 9Introduzione 13

Capitolo primoLa Grande lamentazione 21

Capitolo secondoL’archetipo della generazione perduta 35

Capitolo terzoÈ davvero un mutamento antropologico? 45

Capitolo quartoPer un’ecologia della mente degli insegnanti 63

Capitolo quintoUna scuola viva, capace di conferire ragionevolezza all’amore della vita 111

Capitolo sestoCome portare il cavallo a bere 139

Capitolo settimoIl metodo della scuola viva 165

Capitolo ottavoInsegnare è un onore 215Bibliografia 253

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Introduzione

Questo volume intende confutare il fattore portante, causa della grande crisi della scuola apparsa negli anni Sessanta e proseguita fino ad oggi: l’idea dell’istruzione intesa come proposta ai giovani di un sapere inerte, uniforme e impersonale, slegato dalla realtà e mutilato della sua qualità vitale, che induce un fare ripetitivo e uno spirito servile, similmente alla condizione dell’insegnante concepito come parte di una grande macchina amministrativa. Al contrario, si vuole sostenere la necessità che la scuola insegni la cultura autentica, vale a dire quell’attività del pensiero radicalmente libero in grado di recepire la bellezza e il prodigio dell’umano e del creato, svolta tramite un’implicazione attiva e con-sapevole nel reale, e capace di suscitare in modo imprevedibile la novità propria cui è legata la nascita di ciascuno.

L’incontro dei giovani con la cultura autentica, di prima mano, sollecita il gusto del sapere in quanto riconoscimento sensibile della corrispondenza tra il proprio mondo interiore e la realtà in cui si è chiamati a vivere; è quell’esperienza in grado di distogliere l’io dalla vana agitazione e di riconoscersi come soggetto capace di coinvolgimento personale nello spazio pubblico nel quale poter manifestare, tra-mite l’azione e le parole cui questa è strettamente connessa, la propria originalità.

L’azione intesa in senso culturale è l’atto più elevato di libertà, necessariamente imprevedibile, tramite il quale il soggetto agente esce dalla gabbia della propria soggettività isolata e segnata da un’immaginazione di «seconda mano» e accetta il rischio della manifestazione del proprio io fecondo, che va oltre la sfera dell’intimità privata e si svolge entro uno spazio comune somigliante.

La necessità di un rinnovamento della scuola richiede, prima ancora di un profilo didattico, un’idea precisa di vita comune, di virtù morali e di forma della città che possa costituire il fondamento della proposta di attualizzazione delle potenzialità insite in ogni essere umano.

La scuola, liberata dalla riduzione della cultura a istruzione, può essere in grado di suscitare nelle giovani generazioni l’entusiasmo e l’empito necessari a un

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14 La scuola viva

risveglio dell’intera società, ritornando alle fonti della nostra civiltà e riprendendo sicurezza circa il valore generativo della sua opera.

Il compito educativo della «scuola del risveglio» richiede di superare la stessa idea di modernità secondo cui il processo storico avrebbe generato la forma più elevata — e irreversibile — del vivere civile e che quella in cui viviamo in Occi-dente rappresenti la metamorfosi finale, la verità ultima della storia, la comparsa definitiva di quell’«uomo nuovo» preconizzato fin dal Rinascimento. Ma che in realtà ha portato a un’epoca di stallo, il cui carattere paralizzante deriva dall’aver fatto dell’individuo il principio cardine di tutti i rapporti umani, dimenticando di considerare i fini della sua esistenza, del suo agire, e la cornice sociale in cui si iscrive quella stessa libertà; assenze che hanno portato alla «radicale perplessità» propria dello spirito del nostro tempo, all’incertezza ed evanescenza della vita co-mune (De Ligio, 2014, pp. XVI-XVIII), al conflitto profondo riguardante il tipo di vita che occorre tenere come riferimento.

Il carattere paradossale del nostro tempo risiede nel principio individualisti-co che risulta essere l’architrave di ogni discorso: l’idea di alleviare la condizione umana, rendendola più protetta, nello stesso tempo in cui si spingono masse di individui a dedicarsi in modo compulsivo ad attività evanescenti, senza collocarli entro una storia e senza una verità plausibile che li sostenga.

La nuova prospettiva richiede un’idea di vita umana come un tutto che prende forma da una socialità fondata su una legge morale in grado di sollecitare azioni capaci di attualizzare l’intero arco delle potenzialità e capacità umane, in una forma innocente ovvero rispettosa del creato, nello stesso momento in cui contribuisce a rendere la vita comune «città dell’uomo».

Questo volume nasce dalla necessità di spiegare il legame che intercorre tra l’attuale crisi della scuola e la crisi della società, in un quadro non deterministico ma storico in senso umanistico, così da incoraggiare l’opera decisiva degli insegnanti volta a inserire positivamente i giovani di oggi nel mondo, capaci di entusiasmo e di slancio creativo, in grado di segnare la realtà per mezzo della novità della loro vita individuale e di generazione.

Secondo tale visione, le civiltà costituiscono forme di vita riflessa mosse dalla forza propulsiva degli uomini, veri «motori d’azione» in virtù della loro natura di persone attive, libere e originali. Essi sono spinti all’azione dal duplice desiderio di cavarsela da sé e di segnare di sé il mondo, animati dall’immaginazione creatrice e capaci di inserirsi nelle vicende della storia non in modo irriflessivo (ciò che accade quando l’agire è spiegato da stati di necessità e dai funzionamenti imper-sonali del «meccanismo sociale») o puntiforme (quando ogni attività è vista come un accadimento a sé stante, senza una chiave unitaria che ne renda possibile la comprensione) ma sensato e collocato nella trama del passato storico che in tal modo risulta continuamente confermato, attualizzato e arricchito dall’impulso rigenerante dell’opera dei contemporanei.

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Introduzione 15

L’essere umano è sorprendente fino al prodigioso, e ciò si coglie nella sua natura paradossale di soggetto incompleto che possiede però il sentimento della pienezza, non conosce se stesso ma è dotato di un’inestinguibile sete di conoscenza e capacità d’azione che orienta nella direzione della risposta all’interrogativo radicale dell’esistenza, vale a dire lo svelamento dell’enigma della propria identità. Il quesito «chi sono io?» è alla base della sete del sapere, che a sua volta dà vigore alla cultura in quanto attività del pensiero che mira a dare una forma sensata e ragionevole ai sentimenti umani quando essi sono ricettivi di esperienze significative. Non si conosce per mera curiosità disinteressata, ma per sete di scoperta e la più urgente è quella verso se stessi nel rapporto con il mondo. Ciò definisce un legame episte-mico indispensabile tra pensiero e azione, perché è agendo che il soggetto umano si rende consapevole della propria realtà interiore, così come contemplando trova gli stimoli che lo portano ad agire.

Il progetto educativo della scuola viva è quanto di più distante si possa im-maginare dal mandato della scuola del passato; invece dell’ossessione del compor-tamento conforme, essa persegue l’azione libera e rivelativa della novità di ognuno nel flusso mutevole della storia. Mentre il primo non è nient’altro che un fare indotto dall’esterno entro uno schema chiuso che non rivela il soggetto poiché lo incanala entro attività uniformi, volte unicamente all’adattamento alle condizioni contingenti del reale, il secondo è imprevedibile e indipendente, presenta il pathos della novità propria del ricominciamento e consente di dare vita allo spazio comune.

Il compito richiesto oggi alla scuola costituisce una decisa metamorfosi ri-spetto alla configurazione moderna di tale istituzione ed è la conseguenza di una tensione — per certi versi un vero e proprio conflitto — fra il tipo di studente perseguito nel passato, conforme, ripetitivo e diligente, e il modo in cui le giovani generazioni concepiscono la propria identità e la loro «disposizione» nel reale, tanto da provocare il rischio di un’incomunicabilità esistenziale tra i due mondi.

Nel periodo della modernità alla gioventù era richiesto di inserirsi nella megamacchina organizzativa dell’industria e della burocrazia sottomettendosi alle sue rigide regolamentazioni e salvandosi così dal pericolo dell’isolamento, ciò che ciascuno aborriva come una vera e propria morte civile. La partecipazione ai ruoli sociali, partendo dalla scuola, assumeva così dei tratti di nevrosi, che poteva condurre persino all’autolesionismo, generata dalla forte tensione tra permessi e divieti entro cui l’individuo risultava incarcerato.

Ma la grande rivoluzione culturale che ha preso avvio due decenni dopo il secondo dopoguerra ha visto l’emergenza dell’individuo e dei suoi stati di coscienza soggettivi, per affermare i quali si sono progressivamente allentati i vincoli sociali fino a portare a uno stato di continua incertezza della norma. Questa ha oramai come oggetto la protezione dell’«autonomia» della coscienza individuale dall’arbitrio e dalla parzialità in cui le istituzioni sono sempre cadute, svuotando in tal modo ogni mondo davvero comune e facendo della stessa coscienza una sfera chiusa.

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16 La scuola viva

La spinta verso l’egualitarismo individualistico — che espone ognuno alla pressione delle attese del successo vivendo questo continuo paragonarsi agli altri con la vaga convinzione di non essere all’altezza, ed è causa di patologie dell’identità, della relazione, dell’immaginazione e dell’apprendimento — ha reso inefficace l’impianto scolastico della modernità, a motivo del venir meno della contrappo-sizione normativa tra ciò che è permesso e ciò che è vietato, che costituiva l’asse portante dell’identità degli individui fino agli anni Sessanta.

In tal modo si è ottenuto uno svuotamento dello spazio comune, con la perdita, assieme al carattere costrittivo delle leggi, anche dell’incanto dell’intimità sociale. L’anima dell’individuo isolato appare sovraesposta e nel contempo incarcerata in se stessa; l’individuo è consumato da una tensione innaturale, sbattuto com’è da tutti i venti degli stati soggettivi, della iper-realtà e della nuova economia del desiderio.

Il cambio da cui scaturisce la proposta della «scuola viva» che qui sosteniamo riguarda la possibilità di dare consistenza all’io indebolito e privatizzato, prendendo sul serio il sentimento del «rapporto a sé» che smuove la coscienza degli individui, e provocandolo a un discorso pubblico centrato sul protagonismo personale entro le tre comunità di riferimento dell’opera educativa: la classe, la scuola, il territorio. Questo movimento prevede l’incontro dei giovani con la cultura viva, così da provocare uno scuotimento dell’io e la fuoriuscita delle energie generative proprie dell’essere umano. Mentre nel passato la scuola era progettata per alimentare un movimento meccanico che portava a una continua ripetizione del già noto e a una specializzazione delle funzioni proprie degli esseri viventi non dotati di piena coscienza di sé, il modo di procedere della scuola viva è culturale e riflette la forza creatrice dell’immaginazione che si presenta alla coscienza del soggetto come ca-pacità di cogliere il reale in tutte le sue dimensioni e che lo spinge all’azione per manifestare nella varietà delle possibilità il carattere particolare di ciascuno così da essere riconosciuto dagli altri e divenire in tal modo un io dotato di consistenza personale.

Siccome la novità di ciascuno è nella sua nascita, il processo dell’azione disegna una progressione, non nel senso del protendersi verso l’infinito ma in quello del ritorno all’origine, a quel preciso luogo dove è possibile, in forza dell’esperienza autorivelativa, il ritrovamento della fonte da cui scaturisce il proprio essere irri-petibile, così da svelare l’enigma della propria esistenza. In tal modo, l’io della vana agitazione ritrova se stesso nell’incontro attivo con le fonti della civiltà cui appartiene.

A differenza della forma di scuola propria della società moderna, all’origine del nuovo compito di questa istituzione, una vera e propria rifondazione, non vi è un’operazione intellettuale che pensa il mondo, lo spiega ed elabora una condotta d’azione appropriata. Ciò che origina il mutamento è il mettere in azione i giovani entro la comunità educativa aperta al territorio, ma a sua volta questa azione è preceduta da un empito di vita che il soggetto avverte come una forza positiva

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Introduzione 17

originaria capace di dare consistenza al proprio desiderio di identità stabile e di legame autentico con gli altri.

C’è un parallelo molto stretto tra la vicenda del singolo e quella della civiltà. In ogni epoca storica, la civiltà presenta sempre una tensione tra vitalità e

inerzia, tra slancio vitalizzante e fattori ottundenti. Nelle fasi in cui gli uomini sono particolarmente portati ad azioni dotate di valore, inebriati di libertà e d’ispirazione, resi allegri dalla vivida consapevolezza di esistere, essi generano figli, idee, opere, capolavori e istituzioni. Nelle fasi in cui gli uomini sono decisamente stanchi e propensi alla conservazione dell’esistente, essi cadono nell’anarchia, sono preda di un attivismo vano, senza veri scopi, cadono sotto la cappa dell’amarezza e del risentimento, smettono di generare così che la popolazione invecchia e si stanca della contiguità con il prossimo che gli rimanda continuamente l’immagine della propria stessa decadenza; si fanno rare le idee degne di tale nome, le opere dell’in-gegno e dell’arte sembrano abbozzi o provocazioni o scoppi d’ira contro la mancata ispirazione, viene meno lo stimolo a creare nuove imprese mentre le istituzioni tendono volentieri a occuparsi di se stesse piuttosto che degli scopi originari per cui sono state istituite al tempo della loro età vitale.

Nei momenti di decadenza, le parole si appannano; nei momenti di rinascita, la cultura risplende della sua luce viva.

Ma nella fase di risveglio, la scuola, in alleanza con le altre istituzioni educa-tive — la famiglia, l’economia, la municipalità, il volontariato e il loisir formativo — assume l’iniziativa: padroneggiando le corde vive della cultura, essa possiede la facoltà di scuotere il giovane dalla sua esistenza autoreferenziale e provocarlo a un’espressione autentica entro lo spazio comune, in base a una regola somigliante e rigorosa, così che impari a interpretare in modo libero il suo proprio spazio nel mondo.

Questo movimento è già in atto; è frequente oggi vedere scuole nelle quali il giovane fa esperienza consapevole di una vita in comune, gusta l’impagabile piacere di stare nel mondo in compagnia con i grandi che hanno saputo nella storia della civiltà rendere con le loro opere l’universalità dei valori di umanità e vita buona.

È a questo movimento di rinascita della scuola e dell’opera educativa che intendiamo dare voce, fornendo al lettore un percorso interpretativo con l’intento di dare una fondazione stabile, si spera sufficientemente rigorosa e completa, della scuola viva, quella appropriata per gli anni a venire.

* * *

Il percorso del presente saggio prende l’avvio dalla presa d’atto della «Grande lamentazione» che ha invaso il mondo scolastico e ha prodotto diversi testi, tutti invariabilmente segnati da scetticismo e premonizione di decadenza. Il contenuto fondante di queste analisi è l’archetipo della «Generazione perduta», un topos

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Capitolo quinto

Una scuola viva, capace di conferire ragionevolezza all’amore della vita

Nutre la mente solo ciò che la rallegra. Sant’Agostino, Confessioni

I giovani hanno bisogno di cultura

La possibilità di un incontro nuovo tra i giovani e la cultura viva della tra-dizione è legata alla capacità di autorinnovamento della scuola, così che possa andare oltre la semplice funzione di «trasmissione del sapere» per perseguire una meta di grande rilevanza per la fase storica che stiamo attraversando: sottrarre la gioventù della crisi dalle angustie dell’identità apparente che alimenta il senso dell’inautenticità, mantiene l’io in una condizione debole e vulnerabile, preda di eccessiva introspezione e conformismo sociale.

Ciò comporta per la scuola l’assunzione di due compiti decisivi: consentire la formazione nella gioventù di un’identità autentica centrata sulla scoperta di sé nella manifestazione pubblica della propria particolarità, resa attraverso l’educazione del senso della bellezza, l’incontro con coloro che hanno reso grande la nostra civiltà con opere insigni e immortali nei vari campi del sapere; fornire a ogni giovane la possibilità di un legame fecondo con il mondo reale, tramite opere dotate di valore per la collettività, in cui apportare la propria novità intesa come contributo per la vita buona.

Questo programma presuppone che la cultura possegga un potere di autenti-cazione che consiste nel conferire ragionevolezza all’amore della vita, e che i giovani ne avvertano il bisogno una volta che questa venga liberata dalle incrostazioni che l’hanno resa inerte, infeconda.

I giovani hanno bisogno di cultura, perché manca loro la compagnia dei grandi della civiltà che possa indicare ciò che ha valore, aiutarli a sperimentare il

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legame di appartenenza alla storia di una civiltà e di un popolo come risonanza di un io personale solido e capace di azioni significative e utili.

La cultura, secondo un approfondimento illuminante di Francesco Remotti (1992), presenta due accezioni, altrettanto rilevanti e indispensabili nell’opera educativa. Vi è la visione classica, che attribuisce valore culturale non già al mero imparare, ma a un ideale educativo, un intervento diretto all’animo umano che, come il contadino con il terreno, ne opera la trasformazione da incolto a colto, e lo rende in tal modo partecipe della comunità dei dotti. L’esperienza della cultura così intesa consiste in un vero e proprio cammino di elevazione, consente all’indi-viduo di accedere a una cerchia diversa da quella del volgo totalmente sottomesso ai costumi del luogo. Essa è la porta di ingresso in una comunità di eletti che costituiscono una repubblica delle scienze e delle lettere fondata non sull’opinio-ne e sulla sottomissione ai sensi, ma sull’adesione a valori di ordine universale. In questo senso, «cultura» non ha il significato di «contenuti del sapere», non si pone l’obiettivo di rendere dotti i propri destinatari, bensì migliori. Va aggiunto che nella prospettiva classica la cultura è come una medaglia con due diverse facce inseparabili: la prima propone di coltivare la mente, che consiste in un atto e in una specifica qualità della relazione, mentre la seconda indica il venerare, che si riferisce al rispetto dovuto alla vita del fanciullo che per il maestro presenta un valore speciale, sacro, per tutta la comunità.

È la figura del maestro il punto fondamentale di questo cammino di elevazio-ne affinché l’anima dei fanciulli si familiarizzi con i valori incarnati dagli uomini eccelsi. Fino alla decadenza della polis, con lo stoicismo, la prospettiva che regge l’educazione della gioventù pone il gusto come chiave decisiva della crescita umana: il miglior alleato del maestro è lo stesso allievo nel momento in cui fa esperienza personale della ricchezza e del godimento associati allo studio e all’allenamento. La regola è vista come la disciplina necessaria allo scopo di raggiungere l’ideale della vita buona; questa è sorretta e confermata da subito nell’esperienza della scoperta, della commozione e dell’illuminazione.

L’aretè, o virtù fisica e intellettuale, rappresenta l’ideale educativo della visione classica della cultura; in essa non si persegue la mera accumulazione di conoscenze, l’addestramento fine a se stesso e neppure la sottomissione del giovane alle regole sociali vigenti, ma si propone di suscitare nell’allievo l’imitazione delle figure degli eroi e l’interiorizzazione delle opere dei grandi pensatori, l’adesione a una saggezza che supera le abitudini e le contingenze, da porre come riferimento per la propria esistenza.

Accanto a quella classica, e spesso in contrasto con essa, si pone la versione moderna di cultura, così come emerge innanzitutto dal pensiero di Rousseau e di Voltaire, per i quali essa indica la varietà delle forme di vita messe in luce dalle scoperte etnografiche, intese come distacco progressivo dell’uomo razionale dalla condizione di natura. Mentre quest’ultima è ordinata in senso ciclico, quindi

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Una scuola viva, capace di conferire ragionevolezza all’amore della vita 113

sempre se stessa, un continuo ritorno all’identico, l’esperienza umana è plurima e aperta a una continua metamorfosi, posta in evidenza dalla varietà dei costumi come riflesso dello spirito visto come l’intelligenza umana che mostra le grandi e mutevoli potenzialità di cui è costituita.

L’intento educativo insito in questa nuova accezione di cultura può essere descritto appunto con la metafora del viaggiatore che si muove dalla sua abitazione sorretto dal desiderio della scoperta; così l’uomo moderno è mosso da un bisogno di conoscere che lo rende inquieto e lo spinge a incontrare la varietà delle forme di civiltà. L’illuminazione di cui questi fa esperienza è ben diversa da quella degli antichi: se nell’era classica questa consisteva nell’adesione ai valori universali di verità, bellezza, bontà e giustizia, per i moderni quest’esperienza consiste nella gratificazione intellettuale della mente che riflette sulla varietà degli accadimenti reali per ordinarli secondo le loro caratteristiche evidenti e ricercare il legame in-terno che consenta di spiegarli. In questo modo, il concetto di cultura si estende enormemente abbracciando una grande varietà di fenomeni, includendo tutto ciò che gli uomini pensano e fanno in quanto membri di specifiche società; così la dimensione fondamentale del sapere umano consiste nel continuo sforzo di comprendere costumi, forme sociali e istituzionali. Si spiega in questo modo la grande passione degli illuministi per le classificazioni e le enciclopedie, come quella monumentale di Diderot e D’Alembert, viste come la possibilità di comprensione di tutto il reale da parte dell’uomo dei lumi, soggetto totalmente razionale in grado di descrivere ogni varietà di fenomeni classificandoli entro categorie fondate su leggi obiettive e poste in contenitori intellettuali dotati di una propria consistenza teorica, chiamati discipline.

È così che nasce l’accademia, l’istituzione che fornisce alla scuola moderna una fisionomia che per buona parte è rimasta intatta fino a oggi. Lo studente viene chiamato a rendersi conto della straordinaria varietà e perfezione del reale, e in tal modo scopre la potenza della ragione propria e di quella dell’umanità presa come un unicum, dotata non solo della facoltà di cogliere le leggi che regolano il mondo sensibile, ma anche della capacità di dare forma alla natura, liberandola così dai tratti primitivi e crudeli, sottomettendola al pensiero razionale. Egli viene chiamato a un compito entusiasmante: edificare la realtà in base a principi razionali di bene e partecipare all’opera epica di ricreare la stessa umanità affinché, liberata dai suoi propri limiti, come pure dalle visioni superstiziose e false, possa finalmente ergersi al posto che le spetta nell’ordine delle cose.

Ma le tensioni del tempo che stiamo vivendo annunciano la crisi della visione moderna della realtà, il venir meno della fiducia indiscussa nella ragione e nel sapere, intesi come strumenti di progresso; lo spirito del nostro tempo è affascinato dalla potenza tecnica che l’uomo sa mettere in campo, ma risulta profondamente scettico circa il carattere realmente umano dalla direzione in-trapresa dalla civiltà.

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114 La scuola viva

È in questo passaggio d’epoca che si pone una nuova fondazione della cultura e quindi del programma educativo adatto ai tempi a venire. Serve un’apertura nuova che possa fornire al soggetto umano la possibilità di fare la pace con il tempo, in modo da salvarne la dimensione soggettiva, ma liberata dalla precarietà degli stati d’animo e unita in una compagnia sensibile sia intersoggettiva sia storica. Come dire: sentirsi parte di un popolo, mosso da miti e ideali solidi e perenni, capace di scoperte ma anche di errori, che sa replicare alle crisi con rinascite che attingono, rinnovandola, al meglio della sua tradizione.

La prospettiva culturale e educativa adatta all’attuale passaggio d’epoca, il risveglio che succede alla crisi d’inizio secolo, richiede una visione che tenga conto delle due dimensioni della cultura: l’una estensiva — come l’ha intesa l’illuminismo, che ha prospettato per l’uomo moderno il modo di rapportarsi alla conoscenza proprio del viaggiatore che si addentra in territori sconosciuti e scopre realtà nuove, differenti modi di vita che rivelano prospettive spirituali inedite — e l’altra elettiva propria dell’antichità e ripresa dal cristianesimo medievale e rinascimentale, orien-tata all’elevazione dello spirito umano verso quei valori universali che educano il cuore, la mente, il corpo e l’animo alle virtù dell’armonia, del gusto, della grazia, della benevolenza. L’una attratta dalla varietà della realtà che attende l’opera della ragione umana per poter essere nominata, catalogata, l’altra centrata sulla unità del sapere, colto nella sua prospettiva di elevazione dell’anima. La prima mossa dalla volontà di comprendere l’uomo «vestito dei suoi abiti» perché solo in questo modo si possono cogliere le forme e i modelli del suo spirito visto come fonte del suo stesso agire; la seconda che punta a distogliere la persona dai vincoli dei sensi e dei costumi per elevarlo verso una saggezza della vita buona in senso assoluto.

Il primato dei valori universali proposto dagli antichi risulta conciliabile con la prospettiva laica della scienza moderna se non si intende solo coltivare la men-te, ma anche venerare la realtà del fanciullo visto come un valore sacro; ma non pare compatibile con la riduzione della prospettiva della conoscenza ai soli dati percepibili con i sensi, catalogabili tramite l’intelligenza misurativa e confermati da verifiche empiriche ritenute valide. Le vicende successive al disegno originario della «nuova genesi» hanno fortemente incrinato il sogno illuminista poi ripreso dai positivisti. Tre questioni vale la pena di sottolineare: l’angustia della prospettiva matematica e della logica formale che la regge; la sudditanza della scienza medesima al desiderio di potenza e i suoi effetti distruttivi quando l’intelligenza è messa al servizio di un’esplorazione e uno sfruttamento industriale dell’universo; infine il sentimento di spaesamento e l’angoscia che attanaglia l’anima quando si sente posta in un universo freddo e cupo, non in grado di fornire risposte agli interrogativi fondamentali dell’esistenza. Una condizione ben delineata da Bertrand Russell, il quale ha affermato con lucidità che «solo sul solido fondamento di un’ostinata disperazione si può d’ora in avanti costruire una sicura abitazione dell’anima» (Russell, 1980, p. 46). L’idea di fare del senso dell’abisso un paradossale fattore di

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Una scuola viva, capace di conferire ragionevolezza all’amore della vita 115

esaltazione della condizione umana, così come è stata energicamente sostenuta da Nietzsche, appare oramai intollerabile in quanto non in grado di fornire solidità e sicurezza allo spirito dell’uomo contemporaneo «disincantato»; egli rimane incarcerato entro un’inquietudine senza consolazione e lacerato tra l’obbligo di proseguire l’opera della creazione di una «nuova natura» che veda l’uomo porsi da dominatore al centro dell’universo e la percezione dell’angoscia derivata dal sentirsi radicalmente e irrimediabilmente solo, preda di un vago sentimento di colpa per aver «rubato il fuoco agli dei», gravido del presentimento di una qualche vendetta proveniente da questi ultimi.1 Russell fonda la sua «ostinata disperazione» sulla contrapposizione tra misticismo e logica, affermando che la filosofia si pone al di sopra di scienza e religione (p. 20).

Gli risponde ottant’anni dopo il cibernetico tedesco Ernst Von Glasersfeld, che in un discorso tenuto nel 1994 a Lisbona così affermava:

Il tentativo di analizzare la saggezza mistica con gli strumenti della ragione, porta immancabilmente a un doppio fallimento: da una parte distrugge la visione mistica dell’unità, perché segmenta l’esperienza in parti separate e specifiche; dall’al-tra perché compromette le regole del pensiero razionale ammettendo dei termini la cui definizione resta dubbia in quanto basata sull’esperienza personale. (p. 1)

Citando la famosa massima di Wittgenstein: «Di ciò di cui non si può parlare, meglio tacere», lo stesso Von Glasersfeld afferma che, in realtà, i due ambiti non si pongono sullo stesso piano e ciò è spiegato dalle loro differenze linguistiche: mentre la scienza procede tramite astrazioni tratte dall’esperienza e da esperimenti ripetibili e accessibili agli altri scienziati, il discorso poetico e mistico utilizza metafore per cercare tramite esse di evocare immagini in grado di dimostrare l’unità di un mon-do illimitato, l’indivisibile e l’indefinibile. Per superare questa impasse, la ragione razionale cercherà di eliminare una parte del flusso dell’esperienza propria della saggezza poetica, ma facendo ciò essa non fa altro che rinchiudersi in un «mondo razionalmente segmentato di osservazioni ed esperienze umane» (Von Glasersfeld, 1994), affermando che si tratta dell’unica realtà veramente reale.

Per trovare un punto di incontro fra le due componenti della cultura, elettiva ed estensiva, occorre superare la pretesa fondamentalistica della scienza e recuperare il significato di sublime e di sacro che proviene dalla filosofia, dalla poesia e dalla religione. In tal modo, si fornisce un solido fondamento culturale alla necessità di rispettare e tenere conto nel discorso delle diverse prospettive del pensiero, attri-buendo ad esse il proprio specifico valore come pure l’interdipendenza reciproca, se è vero che «quasi tutti i fisici in attività e buona parte dei filosofi, sono arrivati

1 Nella tragedia greca, riportata dalla Poetica di Aristotele, la colpa dell’uomo tracotante e superbo (hýbris) che viola le leggi divine immutabili porta i suoi discendenti a commettere crimini e mal-vagità; da qui la «vendetta degli dei» (nemesi), la giusta punizione per il peccato commesso.

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a capire che c’è un lato misterioso nel mondo che, per sua natura, rimarrà fuori dalle capacità della scienza» (Von Glasersfeld, 1994).

La semplice venerazione della varietà dei costumi, come pure lo status di «cittadini del mondo» senza una terra né un’identità che non sia la generica nozione di «umanità», ha portato a uno stato di spaesamento senza né verità né virtù, sor-retto dal diritto individuale a fare esperienze e dal rifiuto dei vincoli e delle regole considerati lesivi della libertà, pur se — ovviamente — con un differente peso a seconda che si tratti di sé oppure degli altri.

Si può uscire da questa crisi in due modi: o con lo stoicismo normativo, una riproposizione del puritanesimo anglosassone che, come quello, finisce per para-lizzare il dinamismo positivo dell’umano, oppure tramite la proposta ai giovani del gusto del vivere bene, da acquisire tramite l’incontro vivo con le grandi figure che hanno arricchito la nostra civiltà.

Ovviamente, è questa seconda la strada che intendiamo perseguire.

Restituire colore (e calore) alle parole e l’unità al sapere

Viktor Skolovskij, in un saggio contenuto nella raccolta curata da Todorov sui formalisti russi (2003), ci ricorda che

diventando abituali, le azioni diventano meccaniche […]. L’oggetto passa vicino a noi come imballato, sappiamo cosa è, per il posto che occupa, ma ne vediamo solo la superficie […] l’oggetto si inaridisce […] così la vita scompare trasformandosi in nulla. L’automatizzazione si mangia gli oggetti [e] gli oggetti percepiti diverse volte, cominciano a essere percepiti per «riconoscimento». (pp. 80-83)

È come se le parole, nell’abitudine del discorso, perdessero il loro potere evocativo, il loro splendore. Quando vengono presentate come già compiute, nell’inerzia di una vita che si è esaurita in funzioni materiali, le parole non dicono ciò che davvero intendono dire, ma indicano solo caratteristiche inerti. Diven-tano parole morte: «L’oggetto si trova dinanzi a noi, noi lo sappiamo, ma non lo vediamo» (p. 83).

Questo brano spiega in modo efficace il problema fondamentale dell’istru-zione, che non sta innanzitutto — come si potrebbe pensare — nella ricerca dei mezzi adatti all’organizzazione scolastica (condizione per così dire logistica del fare scuola), ma nel presentare il sapere in modo vitale, così che ogni studente lo possa incontrare e scoprire come un avvenimento che accade per la prima volta. Contro l’appannamento della parola, consumata dall’automatismo, Skolovskij propone la soluzione dello «straniamento» seguita da Tolstoj, che consiste nel non chiamare l’oggetto con il suo nome, ma descriverlo «come se lo vedesse la prima volta, e l’avvenimento come se accadesse per la prima volta». Egli usa questo procedimento

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Capitolo settimo

Il metodo della scuola viva

«Sì, ho una preferenza per Cormery, come per tutti quelli di voi che hanno perso il padre in guerra.

Io, che ho fatto la guerra con i loro padri, sono ancora vivo. E cerco di sostituire almeno qui i miei compagni morti,

ora, se qualcuno vuol dire che ho i miei “cocchi”, parli pure.»Albert Camus, Il primo uomo

Il percorso formativo nella scuola viva

Il metodo della scuola viva richiede essenzialmente una regia educativa svolta dall’équipe che sovrintende alla progettazione, alla conduzione e alla valutazione del percorso formativo unitario, scandito da tappe di crescita dell’allievo che segnalano il suo cammino insieme di apprendimento, padronanza (vale a dire competenza) e maturazione, ognuna delle quali culmina con compiti di realtà.

Il percorso formativo è la rappresentazione concreta1 del modo in cui l’équipe intende sollecitare il cammino di crescita degli allievi, che si sviluppa per gradi di comprensione della realtà, di azione significativa, infine di riflessione e decisione in riferimento al proprio posto nel mondo. È il modo in cui si intendono sollecitare gli allievi affinché le loro potenzialità possano trasformarsi in conoscenze autentiche e capacità di intervento fecondo nel reale.

Tenuto conto delle capacità degli allievi desunte dal cammino maturativo potenziale proprio della loro età, la chiave di riferimento del percorso è costituita dal legame che intercorre fra i due elementi fondamentali del curricolo:

1 Non si tratta di un «percorso ideale», elaborato in astratto, ma della forma concreta del modo in cui l’équipe orienta la propria azione educativa, in coerenza con i valori e i traguardi formativi, tenendo conto degli allievi e del contesto, mobilitando le risorse proprie unitamente a quelle dell’alleanza educativa.

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a) i saperi essenziali visti nell’ambito epistemico di pertinenza e connessi tra di loro secondo una logica il più possibile unitaria e collaborativa tra i diparti-menti e le discipline;

b) i compiti di realtà che tali saperi rendono possibili affinché essi possano dare valore attuale a quanto gli allievi via via apprendono e maturano.

Il percorso formativo è formalizzato entro un curricolo, a carattere composito, realizzato per tappe di crescita in cui si alternano le diverse occasioni di conoscenza che rientrano nelle possibilità progettuali della scuola (azione significativa orientata verso l’altro, acquisizione fiduciosa, dialogo e argomentazione). Tale documento non presenta il carattere di un manuale prescrittivo, atto a produrre regolarità e persistenza nel fronteggiare i problemi pratici dell’educazione in chiave tecnica, ma di una guida all’azione che indica i criteri, i nuclei tematici e le sollecitazioni metodologiche, atti a favorire l’intesa tra i membri nell’assunzione del compito di stimolare la vita della comunità di allievi loro affidata. Il curricolo è per sua natura incompleto, poiché si occupa delle attività e delle risorse che l’équipe è effettivamente in grado di conoscere e di gestire in sede di progettazione; esso quindi non può totalizzare lo spazio del lavoro didattico, che in parte non secondaria dipende dalle prerogative umane dei singoli docenti oltre che dalle occasioni impreviste che si presentano lungo il cammino. Esso ha lo scopo di mettere i membri dell’équipe in grado di agire in modo da armonizzare il proprio contributo individuale entro un «canovaccio» comune che ne fissa gli snodi più rilevanti. Il progetto come guida all’azione rappresenta lo strumento della regia di un avvenimento propriamente umano qual è l’avventura del sapere; esso concepisce il lavoro didattico come quell’opera culturale che mira a risvegliare le forze vitali degli allievi, degli insegnanti e del contesto, affinché i primi possano riconoscere e realizzare il proprio potenziale umano naturale. Di conseguenza, esso è al servizio della vicenda educativa, nel senso che la sollecita e la orienta, ma non né è né la causa né il modello.

La scansione del percorso formativo è delineata, prima che per contenuti (o unità didattiche), per unità ampie di attività che possiamo definire con i termini «modulo» o «unità di apprendimento» corrispondenti alle tappe di crescita degli allievi; con tali espressioni si intende un’unità omogenea di conoscenze e abilità (dichiarative, procedurali, argomentative) che consentono alla persona che le possiede di acquisire una specifica visione della realtà e padroneggiare un deter-minato ambito d’azione. Il modulo è un’unità relativamente autonoma, essendo concatenato con altri che delineano il percorso formativo completo.

Il cammino di crescita è ciò che accade effettivamente a ciascun allievo e alla classe, in base alle sollecitazioni ricevute, via via che procede la vicenda scolastica. Va detto subito che la classe è una comunità educativa dotata di una sua propria consistenza e capacità di modellamento delle singole personalità; nella particolare

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concezione della libertà diffusa nel nostro tempo, si tende a narrare il mondo in-dividuale come risultato prevalentemente di fattori psicologici interni — bisogni, attitudini, aspirazioni — modellati dalle vicende e dalle opportunità dell’esistenza viste a loro volta esclusivamente come elementi che possono assecondare oppure limitare quei fattori. In realtà, la maturazione delle potenzialità umane non è descrivibile unicamente come effetto di un movimento particolare della libertà individuale, ma come l’esito di una relazione che si instaura tra la vita comune, esperita entro le associazioni cui il soggetto partecipa e forma la sua personalità, e la vita singolare di ciascuno.

L’educazione configura una specifica forma di associazione umana dotata di una propria tensione e di un particolare legame umano che motiva la lealtà dei suoi membri; è quella situazione nella quale la proposta culturale risulta essenziale al fine dell’appartenenza alla comunità e alla vita buona che viene proposta.

Entro questo ambito, il cammino di crescita della persona si svolge come un noviziato,2 proprio di un percorso di chi non solo accresce il proprio «bagaglio» culturale, ma diviene soprattutto capace di scoprire il mondo e agire in esso con intenzioni buone, collocando la propria esistenza entro una storia che si lega agli altri e può essere raccontata come una vicenda consonante con il tipo di vita proposto.

Ciò che accade a una persona inserita in un siffatto cammino di crescita può essere distinto concettualmente in tre elementi.

1. Apprendimento: incremento delle conoscenze strutturate in forma astratta (concetti, principi, teorie), procedurali (abilità intellettuali e operative), ol-tre che degli atteggiamenti e comportamenti significativi connessi al sapere (disponibilità positive verso persone, cose, situazioni e azioni). Le nuove conoscenze si legano necessariamente a quelle precedenti per divenire un vero e proprio sapere, e non limitarsi a nomenclature da ripetere a macchinetta. Tali conoscenze significative si distinguono da quelle inerti in forza della loro triplice valenza:a) logico-cognitiva, che presuppone un linguaggio, un campo di riferimento e

inoltre un’epistemologia che permette di delineare gli impianti concettuali e gli schemi cognitivo-operativi delle discipline;3

2 Per questo motivo preferiamo il termine «allievo» — colui che impara da un maestro — rispetto a quello di «studente» che indica colui che studia (prevalentemente sui libri).

3 L’epistemologia scientifica assume caratteri sempre meno basati sul principio dell’oggettività e sempre più della affidabilità in rapporto alla complessità del reale; quindi comprende modelli probabilistici, modellizzazioni, solidarietà multidisciplinari. È poi importante l’epistemologia genetica (Piaget) che indica l’evoluzione delle strutture cognitive in ambito linguistico, fisico, matematico, cosmologico, dello spazio e del tempo, ecc. come pure le teorie spontanee del soggetto in età evolutiva (si veda Complessità e nuovi curricoli: la questione dei curricoli per competenze, sintesi del documento di Giovanni Campana, http://ospitiweb.indire.it/adi/CoopLearn/compcurr.htm). Occorre inoltre considerare la questione dell’apertura vale a dire delle connessioni con gli altri

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b) affettiva e relazionale: le conoscenze significative possiedono la capacità di «seduzione» nel senso che esprimono un fascino proprio tale da attrarre la persona e suscitare emozioni: è in forza di questo carattere che si mo-bilita l’intelligenza emotiva e si sollecita lo studente a mettersi in gioco, apprezzando le qualità personali e sociali del sapere; ciò porta a stabilire un legame emotivo con il sapere, con le persone che sono in grado di porgerlo in forma sensibile e con coloro con cui si condivide l’esperienza di apprendimento;4

c) concreta: ogni conoscenza è implicata nella realtà che ne costituisce l’am-biente entro cui prende vita dando nome alle cose e ai processi, rendendo comprensibile ciò che accade, contribuendo a formulare ipotesi di soluzio-ne dei problemi/opportunità e motivando l’utilizzo degli strumenti idonei, fornendo criteri appropriati per valutare il percorso che si sta seguendo e suggerire miglioramenti. È in forza dell’apprendimento significativo (Novak, 2001), connesso a situazioni reali e sfidanti, che si attuano lo sviluppo e l’elaborazione dei concetti assimilati tramite una progressiva differenziazione e regolazione; tale processo non evolve in dipendenza delle funzionalità interne al cervello, ma tramite la mobilitazione dei patrimoni di conoscenze, idee e aspettative preesistenti, alla luce delle occasioni di apprendimento proposte.5

2. Padronanza: capacità di fronteggiare compiti e problemi mobilitando le proprie risorse (capacità, conoscenze e abilità) in modo giudicato efficace da altre figure significative in relazione alla natura del compito. Quando una persona è ricca di idee e di volontà, inevitabilmente agisce, legandosi a una

campi disciplinari con cui si condividono confini che tendono a essere nel tempo sempre meno netti e quindi più contaminati.

4 Esiste un’affettività del testo letterario che per sua forza propria (quando una prosa o una poesia vengono presentate così come l’autore le ha scritte e ha pensato venissero lette, senza la mediazione dell’impianto critico) suscita sentimenti e per ciò stesso «si fa capire»; esiste una dimensione affettiva della storia poiché consente di stabilire incontri con personaggi e immedesimazioni con epoche diverse da quella presente; vi è anche un’affettività della matematica poiché sollecita alla scoperta e alla soluzione di problemi, ma anche in quanto propone modi di rappresentazione formale della realtà cogliendone la struttura di fondo (tramite il metodo algoritmico, quello euristico, ma pure nella forma dei giochi).

5 I saperi non nascono «nella testa» per poi essere applicati nella realtà; più frequentemente accade che la persona, essendo immersa nella realtà, avverte in forma intuitiva la consistenza di un fenomeno cui successivamente dà un nome e formalizza entro uno concetto o una regola. Le «impronte» della conoscenza sono già presenti nella mente umana, la cui funzionalità è oggetto di un intenso studio scientifico, come nel caso del progetto Brain 2015 del National Institute of Health del governo americano. L’apprendimento tramite l’esperienza consente di costruire una conoscenza personale attraverso un percorso peculiare, che giunge a una comprensione e padronanza logico-cognitiva mediante il passaggio da rappresentazioni intuitive, irriflessive e asistematiche a rappresentazioni consapevoli e connesse (si veda Fiorentini, s.d.).

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comunità reale e prendendosi carico di bisogni e desideri cui può fornire un contributo positivo con la mobilitazione delle proprie facoltà. L’azione è molto di più, e di diverso, di una semplice attività; essa è la manifestazione concreta degli stati dell’anima. Posta in questa dinamica, una persona viva tende quindi a diventare competente nel senso che sa esercitare attivamente la propria libertà, consapevole di essere nel mondo come soggetto portatore di talenti e capace di proporsi agli altri svolgendo azioni e producendo opere generative. La persona competente si riconosce tramite questi caratteri: sa copiare (con intelligenza); interiorizza la figura del maestro, acquisendone le virtù (l’aver riconosciuto in lui/lei una capacità di vita) per consonanza; parla a proposito (non tace — per incompetenza — quando è richiesto il suo contributo, e neppure parla a vanvera); sa sostenere una conversazione dicendo cose che aiutano a pensare, a essere liberi; si dispone verso gli altri con simpatia e intraprendenza, riceve da loro un riconoscimento reale e au-tentico, molto più soddisfacente della fama virtuale. La padronanza si mostra affrontando e portando a termine positivamente compiti di realtà significativi e reali. Ma l’opera è più di una prestazione «performante», è la donazione alla comunità di qualcosa di proprio, rivelativo della propria anima, è un vero e proprio lavoro che, mentre tende all’efficacia, crea un legame sociale buono che ne rivela l’autore. Al contrario, il compito scolastico termina con il voto e muore con esso («Cosa hai fatto oggi»? «NIENTE!»); l’opera rimane, dà un volto riconoscibile alla scuola nel contesto e disegna un legame fecondo di comunità.

3. Maturazione: realizzazione del potenziale umano naturale, che comprende la consapevolezza di appartenere a una comunità e di aderire alla vicenda della civiltà, la definizione del proprio progetto personale tramite il quale offrire un contributo buono al miglioramento della realtà, la coscienza di sé come modo singolare di essere del mondo. È, come abbiamo visto, quella speciale disposizione nei confronti della realtà che si qualifica tramite le virtù morali della reverenza (riconoscere e rispettare ciò che ha valore, porsi in un atteggiamento di attesa positiva di fronte alla nostra esistenza, ai maestri, al futuro) e della distinzione (non la falsa credenza di «essere speciali», bensì la capacità di essere se stessi al proprio meglio), e infine il coraggio o fortezza che consente di resistere alle avversità, proprio di chi ha deciso che la paura e la viltà non sono quanto vuole mostrare agli altri. La maturazione è uno stato di grazia speciale, oserei dire miracoloso, ma nel contempo contrastato dal sentimento «gemello» della perdita della vicinanza della propria guida, come accadde a Jacques, l’alter ego di Camus, l’allievo al quale il maestro Bernard voleva molto bene, anche per un atto di lealtà nei confronti del padre morto in guerra; egli poco dopo aver superato l’esame di ammissione al liceo (a cui il suo maestro dice: «Bravo, moscerino, ce l’hai fatta. Ti hanno preso […].

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Adesso non hai più bisogno di me, avrai maestri più sapienti. Ma se ti serve aiuto, vieni a trovarmi, sai dove sto»), anziché avvertire la gioia del successo, «sentì un immenso dolore infantile che gli stringeva il cuore […] e gli era impossibile credere che i maestri fossero più sapienti di quello che conosceva il suo cuore, e d’ora in avanti avrebbe dovuto imparare, capire senza aiuto, diventare uomo, insomma, senza l’appoggio dell’unico uomo che mai gli avesse dato una mano» (Camus, 2013, pp. 180-181).

Le metodologie

Rendere possibili i cambiamenti che avvengono in un giovane coinvolto entro una vicenda educativa, gli apprendimenti, le padronanze e le maturazioni, dipende in buona misura dalle scelte metodologiche adottate dalla scuola.

Parliamo di metodologie al plurale, oppure in alternativa di «metodo composito», poiché la scuola viva, tenendo nella giusta considerazione il mondo culturale cui appartengono gli allievi e perseguendo le occasioni di conoscenza che rientrano nelle sue possibilità progettuali (azione significativa orientata verso l’altro, acquisizione fiduciosa, dialogo e argomentazione), ma sempre aspirando al compimento del loro cammino maturativo nella forma dell’autenticazione, ha a disposizione diverse strategie formative, risultato della combinazione di cinque tecniche didattiche prevalenti: incipit-avvio, lezione frontale, lavoro di gruppo, azione compiuta, dialogo e argomentazione. Ogni buon insegnante deve saper padroneggiare questa «cassetta degli attrezzi», tenendo conto delle necessità della classe e considerate le sue doti personali, sempre in coerenza con il progetto comune che condivide con i colleghi.

1. Incipit-avvio

Un buon avvio è decisivo, poiché da esso dipende gran parte del successo dell’azione: anche se un inizio brillante non è sufficiente, sicuramente un cattivo avvio pregiudica tutto il seguito.

A seconda della natura del sapere proposto, l’incipit può essere effettuato nella forma di un’introduzione al tema, di una dimostrazione oppure di una conferenza di inizio della ricerca. Nell’approssimarsi all’avvio dell’incontro educativo con la classe, è bene ricordare che gli inevitabili automatismi della professione stendono un velo di ossidazione sulle parole impiegate; allo stesso tempo, nel considerare la tendenza dei giovani a riempirsi di immagini mediate, occorre tener presente quanto dice Chateaubriand: «Le passioni, senza oggetto, si consumano da sole in un cuore solitario» (2008, pp. 497-499). Pertanto, per cominciare bene l’incon-

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Il metodo della scuola viva 171

tro con la classe, è utile rievocare con vivezza le immagini riferite ad argomenti e parole derivanti dall’esperienza reale, che offerte agli allievi possano «bonificarli» dal profluvio di stimoli che spesso li stordiscono, così che provino l’effetto della parola quando esprime il sentire personale, e le loro energie originali trovino un oggetto reale su cui ancorarsi e uno sbocco preciso verso cui incamminarsi. L’avvio corrisponde alla captatio benevolentiae che mira a stabilire un rapporto vivo tra l’insegnante, la classe e il mondo culturale in cui si chiede di introdursi.

In alcune situazioni è necessario puntare su un incipit «sorprendente» allo scopo di smentire il pregiudizio scolastico di cui gli allievi sono normalmente portatori; in alcuni casi è persino consigliabile «nascondere» la disciplina e iniziare con esempi, racconti, domande stimolo che possano aggirare questi pregiudizi consentendo ai nostri interlocutori di avvicinare i contenuti del sapere in modo più diretto e intuitivo. Non mancano certo contenuti dotati di capacità seduttiva: l’opera (letteraria, artistica, scientifica, storica, professionale, ecc.), gli autori e la loro biografia, rese vive dalla passione e dall’esperienza dell’insegnante.

2. Lezione frontale

Questa tecnica didattica, ultimamente molto criticata, possiede in realtà una buona efficacia quando la classe si dispone in modo fiducioso nei confronti dell’in-segnante; è questa la chiave che consente agli allievi di accedere alla conoscenza proposizionale, quella che procede per trasferimento di fatti, principi e regole dalla mente dell’insegnante (o dal libro di testo) all’allievo; a condizione che questi sia visto non come «tabula rasa», ma come persona dotata delle facoltà intellettive innate che gli permettono di cogliere il significato di quanto proposto pur senza esperienza sensibile, di fare memoria di avvenimenti resi tramite fonti indirette, di operare inferenze e deduzioni logiche da assunti e giungere a generalizzazioni. La didattica centrata sul trasferimento di conoscenze proposizionali ha il vantag-gio di sollecitare nel discente abilità mentali che non necessariamente richiedono sul momento di saper fare qualcosa di concreto. Ma esige, entro il termine di un modulo, una produzione autonoma che consenta di passare dalla comprensione all’effettiva padronanza delle conoscenze.

La lezione si distingue decisamente dal manuale poiché procede secondo una trama in cui i contenuti vengono proposti entro un’esposizione di tipo narrativo, che utilizza vari codici sia dimostrativi — dove sono in gioco i fatti e la loro con-catenazione — sia persuasivi dove sono in gioco i valori e gli stati emotivi; essa persegue intenzionalmente un dialogo continuo e vivace con la classe, utilizzando domande, trucchi, provocazioni, richieste di aiuto, apprezzamenti. Una delle chiavi della buona lezione sta nel non mostrarsi sempre preparati (il che significa spesso concentrarsi unicamente su ciò che si sa), ma formulare, e accettare, le domande

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anche quando non si sa la risposta, poiché l’incompletezza della nostra preparazione suscita il desiderio di ricerca dei nostri allievi. Va poi tenuto conto della «curva dell’attenzione» e delle necessarie pause di rilassamento, dopo le quali è possibile richiamare i contenuti più rilevanti ed esporre il compito.

La lezione può essere collocata in fase preliminare, oppure può avere un carat-tere puntuale vale a dire svolta con brevi unità didattiche in corrispondenza delle necessità, specie quando sono gli stessi allievi a chiedercelo esplicitamente, infine può essere conclusiva allo scopo di ordinare e formalizzare il «materiale culturale» acquisito. Nel gestire le piccole unità didattiche bisogna tener fede alle tre regole fondamentali della retorica: avere qualcosa da dire, esporlo con chiarezza, smettere subito dopo averlo detto. Molto più impegnativa è la lezione conclusiva, volta a riconoscere, sistematizzare e formalizzare il sapere «raccolto» tramite il lavoro dei ragazzi; un buon metodo è prendere nota dei contenuti emersi, aiutandosi anche tramite il glossario, distinguere le descrizioni dei fatti dalle loro interpretazioni, indicare i criteri di validità delle leggi, formulare il tutto secondo un linguaggio appropriato e chiedere agli allievi di studiarlo e memorizzarlo in modo soddisfacente.

3. Lavoro di gruppo nella classe e nella scuola

Qual è il momento adatto per far lavorare la classe per gruppi? Ora, perché il rinvio rischia di diventare cronico. Se l’insegnante utilizza la gran parte delle sue energie per tenere insieme la classe, è convinto che senza questo sforzo (peraltro estenuante) otterrà solo una gazzarra ingestibile, ma se è stato capace di creare un clima di collaborazione fiduciosa, e ha previsto una sessione di lavoro di gruppo, questo verrà visto come un passaggio naturale. Il gruppo è un alleato dell’insegnante, possiede energie che possono facilitare il suo lavoro e inoltre mette in moto un metodo di apprendimento per «pari» — ovvero l’insegnamento o lo scambio di informazioni, valori o comportamenti tra persone simili per età o stato — in grado di mobilitare la volontà di apprendere e insieme le virtù dell’amicizia da parte degli studenti. In forza di queste caratteristiche, risulta particolarmente efficace, spesso con risultati sorprendenti, svolgere tramite gruppo il lavoro di ripasso e quello di recupero, naturalmente sotto la supervisione degli insegnanti.

Il gruppo va mobilitato per dei lavori che motivino davvero l’impegno de-gli studenti, quindi attività non banali né ripetitive; essi vanno indirizzati verso risultati originali e soprattutto non ripetitivi circa ciò che espone l’insegnante. Di conseguenza, grande attenzione va dedicata alla formulazione della consegna. Vanno distinti i ruoli del leader-coordinatore da quello del segretario estensore del verbale. Assumendo in modo ragionevole quanto prescrivono le tecniche coo-perative, si possono aggiungere due altri ruoli: il custode dei tempi e quello della partecipazione, entrambi con il potere di interrompere il lavoro e richiamare la