La scuola dei piccoli -...

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9 introduzione PARTE PRIMA L’identità istituzionale 13 Capitolo primo Dall’istruire all’apprendere: la sfida per la scuola italiana ed europea del nostro tempo 1. La necessaria trama 2. Lo scenario europeo 3. Il cambio di paradigma nel panorama italiano 4. Le conseguenti ricadute 21 Capitolo secondo Innovazione e tradizione 1. Un’identità a lungo negata 2. Innovazione e tradizione 3. La grande affermazione degli anni Novanta 4. La cultura dell’autonomia 5. La riforma costituzionale 31 Capitolo terzo La stagione delle riforme 1. Tra riforme e controriforme 2. La riforma Berlinguer-De Mauro 3. La riforma Moratti 4. Luci e ombre 5. La questione dell’anticipo e le sezioni primavera 6. Le Indicazioni per il curricolo 2007 7. L’identità della scuola dell’infanzia 45 Capitolo quarto Programmi, Orientamenti, Indicazioni 1. Orientamenti e programmi 2. Gli Orientamenti del 1991 3. Il curricolo 4. Dagli Orientamenti alle Indicazioni nazionali 5. L’evoluzione del curricolo: di tre in tre PARTE SECONDA L’identità pedagogica 57 Capitolo quinto Una cultura per l’infanzia 1. Una cultura per l’infanzia INDICE

Transcript of La scuola dei piccoli -...

9 introduzione

Parte Prima – L’identità istituzionale

13 Capitolo primoDall’istruire all’apprendere: la sfida per la scuola italiana ed europea del nostro tempo1. La necessaria trama2. Lo scenario europeo3. Il cambio di paradigma nel panorama italiano4. Le conseguenti ricadute

21 Capitolo secondo Innovazione e tradizione1. Un’identità a lungo negata2. Innovazione e tradizione3. La grande affermazione degli anni Novanta4. La cultura dell’autonomia5. La riforma costituzionale

31 Capitolo terzoLa stagione delle riforme1. Tra riforme e controriforme2. La riforma Berlinguer-De Mauro3. La riforma Moratti4. Luci e ombre5. La questione dell’anticipo e le sezioni primavera6. Le Indicazioni per il curricolo 20077. L’identità della scuola dell’infanzia

45 Capitolo quartoProgrammi, Orientamenti, Indicazioni1. Orientamenti e programmi2. Gli Orientamenti del 19913. Il curricolo4. Dagli Orientamenti alle Indicazioni nazionali5. L’evoluzione del curricolo: di tre in tre

Parte seconda – L’identità pedagogica

57 Capitolo quinto Una cultura per l’infanzia1. Una cultura per l’infanzia

INDICE

2. Prima parola chiave: i bambini3. Seconda parola chiave: le famiglie4. Terza parola chiave: l’ambiente di apprendimento5. Quarta parola chiave: i campi di esperienza6. Alcuni approfondimenti7. Le Indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica8. Le direzioni del percorso

69 Capitolo sestoGli elementi di centralità del curricolo1. L’integrazione del livello nazionale e locale2. La cura educativa3. La relazione4. L’apprendimento5. Inclusione, esclusione6. Interculturalità e accoglienza

79 Capitolo settimoIl sé1. La costruzione dell’identità personale2. Le nuove povertà3. Il sé e il corpo4. Il primo campo: il sé e l’altro5. Il secondo campo: il corpo e il movimento

89 Capitolo ottavoLinguaggi, creatività, espressione1. L’infanzia e l’arte2. L’educazione all’arte e all’immagine3. Le direttrici di marcia4. La multimedialità5. Le attività e i traguardi

99 Capitolo nonoI discorsi e le parole1. Lingua e pensiero2. Parlare e ascoltare3. La preistoria della lingua scritta4. Le prime forme di scrittura5. Amico libro6. Esperienze specifiche

109 Capitolo decimoLa conoscenza del mondo1. Un campo complesso2. L’intelligenza logico-matematica: approcci culturali3. Un diverso modo di incontrare la realtà4. Approfondimenti5. I concetti chiave

119 Capitolo undicesimoI piccoli e la dimensione della scienza1. Lo sfondo

2. Scienza come esperienza dissonante3. Le finalità4. Uno sguardo retrospettivo5. Gli atteggiamenti6. L’educazione scientifica e le quattro centralità educative7. Spazio e tempo8. Considerazioni9. Suggerimenti metodologici

Parte terza – L’identità didattica

133 Capitolo dodicesimoLa valutazione, l’osservazione e la documentazione1. La valutazione nella scuola dell’infanzia2. Curricolo e valutazione3. Sviluppo, traguardi, competenze4. Ragione e modalità dell’osservazione5. La documentazione: riflessione e ri-conoscenza6. Destinatari7. Il rapporto tra osservazione e documentazione

Parte quarta – L’identità professionale

161 Capitolo tredicesimoLa responsabilità educativa1. Infanzia ed emergenze educative2. Il profilo professionale dei docenti3. La diversificazione delle prestazioni professionali4. La scuola ambiente di apprendimento5. Esplorazione, ricerca, laboratorialità, relazionalità6. Il gioco

173 AppendiceLe indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica

189 BiBliogrAfiA

Introduzione 9

La scuola italiana ha conosciuto in quest’ultimo decennio significativi cam-biamenti sia sul piano istituzionale sia sul versante organizzativo-didattico.

Le trasformazioni connesse a tali mutamenti hanno arricchito il quadro delle opportunità formative degli alunni, determinando però anche un certo malessere e disorientamento tra i docenti.

Basti pensare che dal 2001 a oggi sono state emanate ben tre versioni successive del curricolo: Indirizzi per il curricolo della scuola di base – 2001, Indicazioni per i Piani di studio Personalizzati – 2004, Indicazioni per il curricolo – 2007.

Sullo sfondo di queste proposte, in parte attuate e in parte inapplicate o disattivate, il nostro sistema educativo di istruzione è stato interessato da riforme strutturali, quali l’ autonomia scolastica, la parità, la revisione del Titolo V della Costituzione, l’innalzamento dell’obbligo di istruzione…

Questi provvedimenti, unitamente all’introduzione di ulteriori strumenti (portfolio, tutor, certificazione delle competenze, prove nazionali, ecc.), hanno accresciuto il peso degli adempimenti amministrativi degli insegnanti, contribuendo a sfilacciare la funzione della scuola e di conseguenza anche la percezione che i docenti hanno del proprio ruolo.

In questo scenario di complessità e insieme di problematicità, la scuola dell’infanzia è riuscita a rafforzare un’immagine positiva, a misura del bambino, orientata a promuovere la piena valorizzazione di tutte le potenzialità che caratte-rizzano l’intraprendenza e la creatività infantili.

In continuità con i princìpi delineati negli Orientamenti del 1991, questo grado scolastico si propone oggi come uno dei «laboratori» pedagogici più capaci di rispondere alle esigenze educative delle bambine e dei bambini della fascia dai tre ai sei anni, con evidenti proiezioni anche sui segmenti scolastici successivi.

Ad esempio, le finalità di base: identità, autonomia, competenza e cittadinan-za, affermate negli Orientamenti del 1991, si sono positivamente ripercosse anche sugli sviluppi della scuola del primo e del secondo ciclo di istruzione.

Capitolo primo

Introduzione

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Lo stesso dicasi dell’importanza del curricolo «implicito», nel quale l’orga-nizzazione degli spazi, dei tempi, dei contesti relazionali ha accentuato anche nei gradi scolastici successivi l’istanza dell’apprendimento e degli ambienti tendenti a facilitare i processi di comprensione della realtà umana e culturale da parte dei più piccoli.

La scuola dell’infanzia, non diversamente dagli altri cicli di istruzione, è chia-mata ad affrontare un compito educativo impegnativo in quanto è la prima scuola ad essere investita dalla rapidità e dalla forza dei cambiamenti che caratterizzano i mondi in cui i nuovi bambini crescono.

Il presente volume intende rimarcare il valore dell’infanzia in quanto età della pienezza educativa, non inquinata da richieste precocistiche che allettano la cerchia dei tanti adulti portati a idolatrare il bambino più che ad amarlo.

A diventare grandi si comincia da piccoli, se i «grandi» sanno incoraggiare i bambini a vivere compiutamente i desideri tipici della loro età; curiosità, esplo-razione, gioco, intraprendenza, spontaneità: sono solo frammenti di bisogni che docenti e genitori sono chiamati a preservare.

Alla «scuola dei piccoli» si chiede di essere innanzitutto scuola di accoglienza in cui a ciascuno possano venire offerte le possibilità di esprimersi, fare, costruire, relazionarsi, interrogarsi, capire.

La scuola dell’infanzia italiana sa testimoniare questa immagine di autenticità educativa tanto da essere apprezzata in tutto il mondo, non solo dai Paesi in cui l’attenzione all’educazione «prescolare» è meno radicata, ma anche (e soprattutto) da realtà nazionali che hanno sviluppato un patrimonio pedagogico e culturale di elevata qualità nei servizi educativi della prima e seconda infanzia.

Nel nostro Paese il progetto educativo di questo segmento scolastico ha saputo rispondere con coerenza alle istanze più vere dei piccoli, aiutando il bambino a costruire la sua libertà e la sua piena educazione, vivificate entrambe dall’intelligenza e dalla coerenza professionale dei docenti.

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1. La necessaria trama 2. Lo scenario europeo 3. Il cambio di paradigma nel panorama italiano 4. Le conseguenti ricadute

1. La necessaria trama

La conquista del definitivo riconoscimento istituzionale delle funzioni svolte dalla scuola dell’infanzia nell’ambito della formazione delle nuove generazioni avviene al termine di un lungo percorso e oggi si può affermare senza ombra di dubbio che questo viaggio si sia concluso positivamente.

Nessuno dubita più, infatti, che essa costituisca il segmento fondativo e, forse, quello più vivo e propositivo dell’intero sistema d’istruzione, anche per la consapevolezza, conseguita attraverso gli studi sull’infanzia, di quanto sia deter-minante per il successo formativo tale fase di età.

È proprio per questa consapevolezza che a tale segmento scolastico viene oggi dedicata una grande attenzione da parte degli studiosi, impegnati da un lato a trovare soluzioni più adeguate e funzionali per il nostro sistema di formazione, dall’altro pronti a recepire le proposte, i messaggi, i suggerimenti che pervengono da coloro che vi operano.

In realtà, per capire il senso dei cambiamenti che stanno coinvolgendo tutti i sistemi d’istruzione compresa la formazione in età infantile, occorre partire da un’istanza di basilare importanza affermatasi gradualmente negli ultimi decenni, tanto da costituire un vero e proprio cambio di paradigma educativo: il passaggio da una scuola centrata sull’istruzione a una scuola centrata sull’apprendimento degli alunni.

Filosofia, psicologia, pedagogia, la stessa teologia nella versione che si ri-chiama al realismo critico, hanno progressivamente spostato la loro attenzione sul soggetto: la direzione di quest’ultimo verso la realtà dell’oggetto di studio è

Capitolo primo

Dall’istruire all’apprendere: la sfida per la scuola italiana ed europea del nostro tempo

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il nuovo modello educativo che viene assunto quale cambiamento educativo rispetto al passato.

Si sta assistendo, dunque, a un deciso spostamento dell’attenzione dall’asse dei contenuti di insegnamento ai soggetti che imparano, tanto da trasformare questi ultimi in altri e più importanti oggetti culturali da analizzare e conoscere. Gli stessi contributi dei grandi studiosi di psicologia del Novecento, Piaget, Vy-gotskij, Ausubel, Bruner, Gardner, hanno di fatto sostenuto e alimentato questo cambiamento epocale.

La persona che apprende è, dunque, al centro delle scelte scolastiche che i Paesi devono sviluppare in vista di politiche formative, attraverso le quali si chiede al soggetto di trasformarsi egli stesso nel principale artefice del proprio percorso formativo.

Questo cambio di prospettiva presuppone un radicale mutamento nell’in-terpretazione delle dinamiche dell’apprendimento: l’istanza posta alla base di questo cambiamento è che la conoscenza è il risultato di una costruzione attiva, migliorabile da chiunque, sia a livello individuale, sia a livello del gruppo più ampio di appartenenza. Il Nuovo Umanesimo comincia da questo assunto, dalla capacità degli alunni di sviluppare un sapere critico di cui sono consapevoli e in parte direttamente responsabili.

Bruner (1997) introduce, a questo proposito, il concetto di agency o capacità di attivazione, che egli attribuisce al soggetto, riconosciuto come attento costruttore del proprio processo di apprendimento:

La consapevolezza dei soggetti cresce e si sviluppa in modo contestuale rispetto ai problemi di conoscenza; [...] essa riguarda sia il contenuto appreso, sia il processo di costruzione della conoscenza [...]. Ci si incammina dunque verso una forma di organizzazione del sapere che concentra la sua attenzione sulle modalità attraverso le quali avvengono gli apprendimenti. Lo studio del metodo e delle forme dell’apprendimento diventa l’oggetto specifico di atten-zione e di ricerca del sistema formativo. (Guasti, 2008)

Il conoscere, in questa prospettiva, non è un processo meccanico che si svi-luppa partendo da una fonte autorevole, l’insegnante, per raggiungere una platea di destinatari più o meno ricettivi, gli alunni, ma un’azione tra persone adulte e ragazzi da un lato e tra alunni e oggetti culturali dall’altro: una vera e autentica relazione tra un soggetto non astratto e un oggetto concreto. È la persona stessa che genera, in altri termini, la conoscenza.

Oggi siamo soltanto all’inizio di un processo destinato a trasformare radical-mente i sistemi formativi ed è paradossale che la scuola sia in molti casi l’istituzione che si preoccupa meno di conoscere le dinamiche dei processi sottesi all’imparare dei propri alunni.

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2. Lo scenario europeo

La data istituzionale dalla quale si può far partire la formulazione di questo nuovo paradigma educativo è il documento dell’Unione Europea intitolato Insegnare e apprendere verso la società conoscitiva (1995).

In questo testo, curato dai commissari E. Cresson e P. Flynn e comunemente conosciuto come Libro Bianco, viene effettuata una disamina attenta e puntuale delle trasformazioni sociali, culturali ed economiche dei Paesi europei, sottoline-ando nelle parole iniziali del documento che la società del futuro dovrà investire sull’intelligenza e dovrà caratterizzarsi come una società «in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualificazione. In altri termini, una società conoscitiva» (Cresson e Flynn, 1995).

Le tesi contenute nel Libro Bianco vengono riprese ed approfondite in un secondo Rapporto, curato per l’UNESCO nello stesso periodo da Jacques Delors, dato alle stampe con il suggestivo titolo Nell’educazione un tesoro. In questo volume si precisano i compiti da affidare all’educazione e, quindi, a tutti coloro che in qualche modo se ne occupano, politici, dirigenti, docenti. In esso si afferma che

l’educazione deve offrire le mappe di un mondo complesso e la bussola che consente agli individui di trovarsi la propria rotta.

Per riuscire nei suoi compiti, l’educazione deve essere organizzata attorno a quattro tipi fondamentali d’apprendimento:– imparare a conoscere, cioè ad acquisire gli strumenti della comprensione;– imparare a fare, in modo da agire creativamente nel proprio ambiente;– imparare a vivere insieme, in modo tale da partecipare e collaborare con gli

altri in tutte le iniziative umane;– imparare ad essere, riconducibile alla costruzione della propria identità

derivante in parte dalle tre funzioni precedenti.

L’educazione formale si è accentrata tradizionalmente soprattutto, se non esclusivamente, sull’imparare a conoscere e, in minore misura, sull’imparare a fare. Gli altri due apprendimenti sono lasciati perlopiù al caso, o ritenuti come il prodotto naturale dei due precedenti.

La Commissione ritiene che si debba prestare uguale attenzione, in tutto l’apprendimento organizzato, a ciascuno di questi quattro pilastri, in modo tale che l’educazione sia considerata come un’esperienza totale per tutta la vita, avendo a che fare sia con la comprensione che con l’applicazione, e concentrando l’attenzione sia sull’individuo sia sul posto che ciascuno ha nella società.

Una concezione ampia e globale dell’apprendimento dovrebbe tendere a consentire a ciascun individuo di scoprire, svelare e arricchire il suo potenziale creativo, di rivelare il tesoro che c’è in ciascuno di noi.

Questo significa andare oltre una visione strumentale dell’educazione, cioè come processo al quale ci si sottopone per raggiungere determinati scopi (in termini di abilità, di capacità o di potenziale economico), per arrivare a una

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visione che metta in risalto lo sviluppo della persona nella sua interezza, cioè della persona che impara ad essere. (Delors, 1997)

Le istanze poste da questi due documenti vengono recepite dal Memorandum per l’istruzione e la formazione permanente elaborato dal Consiglio Europeo in occasione della Conferenza di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000; nel documento sono indicati gli obiettivi che ogni Paese europeo deve perseguire per migliorare gli esiti scolastici; fra questi rientrano quelli di:

– elevare la formazione di base, aumentando il numero dei diplomati, dei laureati e dei giovani che ottengono qualifiche post-diploma;

– innalzare la qualità media della preparazione degli studenti e promuovere le eccellenze;

– valorizzare l’integrazione tra diversi sistemi formativi, scuole, università, comparti professionali.

Sulla base di tali direttive, il Memorandum di Lisbona indica sei punti chiave per lo sviluppo e la modernizzazione dei sistemi formativi degli Stati membri.

Nel primo si sottolinea l’urgenza che ciascuno Stato assicuri un accesso per-manente alla formazione, permettendo l’acquisizione delle competenze necessarie per partecipare attivamente alla costituzione di una moderna società.

Il secondo e il terzo punto riguardano la promozione di una cittadinanza costruttiva e consapevole che richiede ai decisori politici di destinare cospicui inve-stimenti alla formazione tecnologica dei giovani, finalizzando le risorse a sostenere lo sviluppo culturale della popolazione attraverso metodi efficaci di insegnamento e di apprendimento per tutti e in tutti i settori.

Il quarto si occupa della qualità della formazione e pone la questione di in-dividuare adeguati sistemi di riconoscimento e di certificazione delle competenze e dei titoli acquisiti.

Il quinto e il sesto punto richiamano l’esigenza di una più efficace azione delle politiche legate all’orientamento scolastico e formativo, in modo da avvicinare le persone alle opportunità presenti nella comunità in cui si studia, si vive, si lavora. Le persone, secondo la strategia delineata a Lisbona, costituiscono la risorsa più importante per l’Europa; viene rafforzata, in sostanza, la prospettiva dell’integrazione e della crescita di tutto il sistema formativo, valorizzando il lavoro dei docenti in funzione della promozione di un elevato profilo culturale di tutti gli studenti e i giovani d’Europa.

La risoluzione di Lisbona è stata ripresa nel novembre 2002 nel Processo di Copenhagen e in un documento del Consiglio dell’Unione Europea del 29 ottobre 2004, Istruzione e formazione 2010, in cui si sottolinea l’assoluta opportunità di

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riadeguare gli obiettivi elaborando «approcci di apprendimento aperto che con-sentono alle persone, adeguatamente orientate e consigliate, di delineare percorsi individuali» (Unione Europea, 2004).

L’istanza del life long learning, apprendimento lungo l’intero corso della vita, si arricchisce, così, di un’ulteriore prospettiva, quella del life wide learning, appren-dimento nei differenti contesti formali, informali e non formali.

Nel dicembre 2006, il Parlamento europeo, attraverso un’apposita Raccomandazione, ha definito un quadro di otto competenze chiave per l’ap-prendimento permanente: comunicazione nella madrelingua, comunicazione in lingue straniere, competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e tecnologico, competenza digitale, imparare a imparare, competenze sociali e civiche, senso di iniziativa e di imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturali.

3. Il cambio di paradigma nel panorama italiano

Il nuovo scenario riconducibile a una scuola centrata sull’apprendimento ha gradualmente portato anche il nostro Paese ad accogliere modelli educativi maggiormente rispondenti a questa istanza e a introdurre strumenti operativi più adeguati rispetto agli inossidabili programmi ministeriali. Il tema della program-mazione educativa, del curricolo, dei piani di studio personalizzati, dell’autonomia scolastica può essere interpretato come faticoso cammino verso il superamento di soluzioni centralistiche a vantaggio di una maggiore territorializzazione della risposta educativa a un’utenza sempre più differenziata.

In questo senso, va ricordato che i programmi di insegnamento hanno accom-pagnato la scuola italiana fin dagli inizi; essi designavano i contenuti che a livello centrale il Ministero dettava alle scuole in modo che fossero sviluppati in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale. I docenti erano chiamati ad applicarli, rispettando le istruzioni in essi contemplate.

La logica del curricolo si è gradualmente affermata, a cominciare dagli anni Settanta, attraverso la programmazione curricolare, attraverso cui ciascuna scuola è stata chiamata ad adattare i programmi nazionali alle esigenze della propria realtà educativa territoriale.

L’autonomia scolastica e il suo Regolamento attuativo, definito con il D.P.R. n. 275/1999, hanno rafforzato tale prospettiva. Infatti, nell’art. 8 del Regolamento, si prevede che il Ministero della Pubblica Istruzione individui gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi specifici di apprendimento e i criteri generali per la valutazione, lasciando all’autonomia delle singole scuole il compito di elaborare il curricolo, all’interno delle scelte del Piano dell’Offerta Formativa.

La stagione delle riforme 31

1. Tra riforme e controriforme 2. La riforma Berlinguer-De Mauro 3. La riforma Moratti 4. Luci e ombre 5. La questione dell’anticipo e le sezioni primavera 6. Le Indicazioni per il curricolo 2007 7. L’identità della scuola dell’infanzia

1. Tra riforme e controriforme

I processi di globalizzazione e di sviluppo della cultura multimediale e tec-nologica hanno posto con drammatica attualità la questione di una più adeguata preparazione delle nuove generazioni, richiedendo alla scuola di garantire iter formativi in grado di migliorare la qualità degli esiti.

Si afferma nel brano iniziale del Quaderno Bianco:

La consapevolezza del ruolo strategico dell’istruzione per la crescita della persona, per la sua realizzazione e per lo sviluppo civile, democratico ed econo-mico dell’Italia è cresciuta negli ultimi anni. Rafforzare la nostra dotazione di capitale materiale e immateriale è condizione indispensabile per tornare su un sentiero di sviluppo. Il miglioramento della qualità della scuola, valorizzando la funzione e la dignità dell’insegnare, ne costituisce una priorità: può accrescere una mobilità sociale inadeguata, sospingere la produttività che ristagna, con-solidare e diffondere il godimento pieno dei diritti di cittadinanza. (Quaderno Bianco sulla scuola, 2007)

È nata da tale consapevolezza la stagione delle riforme durante la quale si sono attuate strategie di cambiamento all’interno del nostro sistema scolastico che ancora oggi non riescono a far registrare risultati confortanti.

Va, in realtà, sottolineato che tale questione si è collegata alla crisi complessiva vissuta dalle istituzioni della nostra società, considerate ormai vetuste e non più in grado di garantire adeguate risposte alle esigenze poste dai cittadini: va ricondotta a tale consapevolezza la decisione di rivedere la nostra stessa Carta costituzionale e di ridefinire compiti e poteri di tutti gli organismi che costituiscono la Repubblica.

Capitolo terzo

La stagione delle riforme

32 La scuola dei piccoli

Nel contempo, un ulteriore processo di riforma, questa volta interno alla pubblica amministrazione, è stato promosso per migliorarne il funzionamento, rivedendo, anche in questo caso, le prerogative di funzionamento dei vari organismi e ridefinendo l’intero sistema dei controlli.

Tra le novità che tale processo ha introdotto, risultano rilevanti per la scuola l’avvio del processo di autonomia delle istituzioni scolastiche e la contrattualiz-zazione di tipo privatistico del rapporto di lavoro del personale della scuola. Si tratta di due scelte che hanno impresso una profonda accelerazione ai processi di rinnovamento, contribuendo a rilanciare l’interesse per i problemi della scuola e ad aprire un dibattito che è oggi di grandissima attualità.

Alla stessa scuola si chiede oggi di interrogarsi sulla qualità del servizio che è in grado di erogare e sulle possibilità di garantire il successo formativo; non a caso, si raccomanda nel Quaderno Bianco:

Per individuare se e quali azioni di politica della scuola possano concorrere a migliorare i risultati del processo di apprendimento degli studenti, è necessario un sistema valutativo capace di separare gli effetti dell’origine socio-culturale degli studenti, del contesto territoriale, delle risorse finanziarie e, quindi, del modo in cui esse sono utilizzate. Questa analisi è complessa. Lo è particolarmente in Italia, dove manca una tradizione di valutazione. Tuttavia, la chiarezza di alcune evidenze empiriche internazionali e gli indizi raccolti per l’Italia offrono elementi sufficienti per indicare che esiste un rilevante spazio di azione per la politica della scuola e forniscono lezioni sul che fare. (Quaderno Bianco sulla scuola, 2007)

In realtà, la scuola è oggi chiamata a raccogliere anche un altro guanto di sfida che le è stato lanciato dalle dinamiche del policentrismo formativo. Infatti, la supremazia educativa che essa ha potuto esercitare in questi ultimi secoli è ora messa in discussione dal proliferare delle agenzie educative e delle fonti di informazione, soprattutto di quelle certamente più affascinanti e accattivanti che utilizzano la multimedialità.

Proprio per la particolare funzione che la scuola è in grado di svolgere sul piano della formazione critica e della capacità di giudizio dobbiamo affermare che è necessario, ora come non mai, che essa svolga le sue funzioni, proprio per consentire alle nuove generazioni di poter maturare quella identità culturale che corrono il rischio di perdere. Si tratta di un compito gravoso al quale la scuola non può e non deve sottrarsi.

Si afferma in un documento dell’OCSE:

Come risulta ormai con evidenza da tutti gli studi e dalle indagini inter-nazionali, il primo modo per contribuire al processo di modernizzazione del nostro Paese e dell’Unione Europea è quello di puntare al miglioramento della qualità della scuola per il ruolo fondamentale che svolge nell’educazione e nella

La stagione delle riforme 33

crescita dei giovani, attraverso l’acquisizione e lo sviluppo di conoscenze. È fondamentale, inoltre, assicurare dei percorsi di istruzione e formazione tecnica e professionale di alta qualità, stimolando l’interesse personale nei confronti delle strategie per l’apprendimento permanente. (OCSE, 2006)

2. La riforma Berlinguer-De Mauro

Vanno ricondotti alla volontà di realizzare tali prospettive i vari tentativi di innovazione del nostro sistema scolastico che sono stati posti in essere nell’ultimo decennio. La grande stagione delle riforme è stata inaugurata dal progetto Berlin-guer-De Mauro che, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, ha rimarcato la sua tradizione pluralista, culturale e istituzionale, considerando gli Orientamenti del 1991 come un punto di riferimento essenziale e ancora valido per qualsiasi proposta di riforma, oltre che una sicura base per la costruzione e il rinnovo del curricolo formativo.

Va sottolineato che la riforma era stata preceduta da una consultazione svolta a livello nazionale su iniziativa del Ministero che, con circolare n. 98 del 12 aprile 1999, aveva diffuso un documento, Linee di sviluppo della scuola dell’infanzia, chiedendo alle scuole di esprimere le proprie considerazioni per lo sviluppo di tale grado scolastico. I risultati della consultazione sarebbero stati resi noti in un Rapporto finale diffuso nel dicembre 1999.

La formalizzazione del progetto Berlinguer-De Mauro è avvenuta con la legge n. 30 del 10 febbraio 2000, Legge Quadro in materia di riordino dei cicli di istruzione, che, però, non è stata mai completata; nel disposto normativo era stato delineato un percorso formativo unitario, organico, coerente dai tre ai diciotto anni:

Il sistema educativo di istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà territoriali. (Legge n. 30, 10 febbraio 2000, art. 1)

Nella definizione della scuola dell’infanzia è facile individuare alcune delle prospettive emerse dalla consultazione; in questo senso, viene confermato il pieno riconoscimento del suo ruolo formativo e il suo definitivo inserimento nel sistema nazionale di istruzione e formazione. Considerata un momento fondativo per lo sviluppo delle nuove generazioni, la scuola dell’infanzia ottiene il pieno riconosci-mento del suo disegno formativo sul piano etico, politico, culturale, pedagogico. Afferma l’art. 2 della legge:

Programmi, Orientamenti, Indicazioni 45

1. Orientamenti e programmi 2. Gli Orientamenti del 1991 3. Il curricolo 4. Dagli Orien-tamenti alle Indicazioni nazionali 5. L’evoluzione del curricolo: di tre in tre

1. Orientamenti e programmi

Il lungo iter attraverso il quale la scuola dell’infanzia si afferma come seg-mento fondativo dell’intero percorso di formazione è scandito anche dalle tappe istituzionali di rinnovo dei testi programmatici. In questo senso, la prima data risale al 4 gennaio 1914, quando sono state emanate le Istruzioni, programmi, orari per gli asili infantili e i Giardini d’infanzia, più conosciuti come Programmi Credaro, frutto del lavoro di una Commissione guidata da Piero Pasquali che, sulla base dei dati raccolti dall’Inchiesta Corradini del 1908, denunciò l’estrema arretratezza del settore infantile aggravata dall’assenza di una qualsiasi politica governativa in merito.

Prendendo spunto dalle posizioni culturali di inizio secolo e richiamando le proposte froebeliane e agazziane (si veda il capitolo secondo), alla scuola veniva affidato il compito di continuare e integrare l’opera educativa della famiglia in una fase particolarmente delicata per la formazione infantile, nella quale l’affet-tività, l’impulso, il sentimento, prevalevano sulle capacità razionali: «Per questi tratti propri dell’età infantile, e per la sua funzione specifica, la scuola materna si configura in modo caratteristico col fine di interpretare e di soddisfare le esigenze di un armonico e integrale sviluppo del bambino, e col compito di porre le basi a ogni ulteriore opera educativa» (Programmi 1914).

Per quanto concerne le attività, viene proposta l’educazione fisica come adde-stramento igienico, ma anche la vita all’aperto con la cura di colture e allevamenti; l’educazione morale, con un grande richiamo alla solidarietà, ma nessun riferimento alla religiosità; l’educazione intellettuale ed estetica, svolta attraverso le lezioni di cose,

Capitolo quarto

Programmi, Orientamenti, Indicazioni

46 La scuola dei piccoli

l’educazione linguistica con la cura del collegamento tra simboli e parole, il disegno e il canto. Viene anche sottolineata l’importanza delle funzioni svolte dalle insegnanti, che educano senza fare scuola, e la necessità di garantire l’igiene dei locali.

I Programmi ebbero una buona accoglienza, anche se non mancarono, all’epoca, critiche rivolte soprattutto al carattere eccessivamente tecnico del testo, alla presenza di eccessivi toni moralistici, alla sopravvalutazione delle lezioni di cose. Oggi sono oggetto di rivalutazione per l’attenzione riservata alla spontaneità infantile, per l’intenzionalità del progetto educativo, per la figura dell’educatrice, ma anche per la proposta di realizzare una carta biografica per ciascun bambino, anticipando questioni e motivi della valutazione e del portfolio.

La seconda tappa del percorso è quella del 1958, quando vengono promulgati i primi Orientamenti per la scuola materna nei quali è ancora presente un forte richiamo ai princìpi agazziani; si legge nel testo: «La scuola materna educa il bam-bino nell’età dai tre ai sei anni, continuando e integrando, in intima collaborazione, l’opera e le iniziative della famiglia» (Orientamenti 1958).

Il documento, che si presentava comunque come una notevole novità nel pa-norama dell’educazione infantile, conferma sostanzialmente il primato della famiglia in educazione e ribadisce le funzioni assistenziali della scuola materna, anche se reinterpretate in una prospettiva educativa. Si riconosce, infatti, la fondamentalità dell’età infantile per lo sviluppo complessivo della persona e si delinea un nuovo profilo di educatrice, che deve essere aggiornata e competente oltre che attenta e disponibile nell’impegno educativo. Per quanto concerne le attività, vengono proposte l’educazione religiosa sotto forma di preghierine, quella fisica, quella intellettuale, quella linguistica, il disegno libero e il canto, il gioco e il lavoro, la proposta di forme di allevamento e giardinaggio. Una certa attenzione è riservata anche alla pratica di vita morale e sociale.

La terza tappa è quella degli Orientamenti del 1969, emanati all’indomani dell’istituzione della scuola materna statale. Fra i tre documenti è, forse, quello meno interessante, anche perché risente del clima di confronto e di resistenza soprattutto nell’area cattolica per l’iniziativa statale.

Il testo ribadisce il rifiuto di qualsiasi scolasticismo anticipato e a program-mi che in qualche modo si richiamano a livelli scolastici successivi. Suddiviso in due parti, nella prima definisce le finalità della scuola in riferimento al profilo dell’infanzia e al contesto culturale e sociale nel quale il bambino è inserito; nella seconda parte sono richiamate le educazioni e le possibili opzioni metodologiche. Le educazioni sono in tutto nove: quella religiosa; quella affettiva, emotiva, mo-rale e sociale; quella intellettuale; quella linguistica; quella musicale, quella fisica, quella sanitaria; la libera espressione grafico-pittorica e plastica; il gioco e le attività costruttive e di vita pratica.

Una cultura per l’infanzia 57

1. Una cultura per l’infanzia 2. Prima parola chiave: i bambini 3. Seconda parola chiave: le famiglie 4. Terza parola chiave: l’ambiente di apprendimento 5. Quarta parola chiave: i campi di esperienza 6. Alcuni approfondimenti 7. Le Indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica 8. Le direzioni del percorso

1. Una cultura per l’infanzia

L’identità pedagogica della scuola dell’infanzia viene tracciata nel testo delle Indicazioni per il curricolo seguendo un itinerario teso a promuovere una cultura, attenta ai bisogni educativi dei piccoli, al loro diritto all’apprendimento, alle istanze delle famiglie e delle comunità locali e, più in generale, ai diritti riconosciuti alle bambine e ai bambini del mondo.

La parte del documento relativa a tale grado scolastico si apre riafferman-do la pluralità dei modelli istituzionali e riconosce che la scuola dell’infanzia è inserita a pieno titolo in «un sistema pubblico integrato in evoluzione, che rispetta le scelte educative della famiglia e realizza il senso nazionale e universale del diritto all’istruzione. Nelle sue diverse espressioni, ha prodotto sperimentazioni, ricerche e contribuiti che costituiscono un patrimonio pedagogico riconosciuto in Europa e nel Mondo».

Viene riconosciuto, in questo senso, il grande cammino che essa ha saputo compiere, il grande spessore della sua esperienza formativa, la vivacità e l’estro culturale degli operatori che sono coinvolti nel suo funzionamento.

Dopo aver confermato che la scuola dell’infanzia è impegnata nella promozione dello sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza, della cittadinanza, il testo propone alcune parole chiave su cui si sviluppa il suo curricolo: i bambini, le famiglie, l’ambiente di apprendimento, i campi di esperienza.

Capitolo quinto

Una cultura per l’infanzia

58 La scuola dei piccoli

2. Prima parola chiave: i bambini

L’immagine delineata nelle Indicazioni è quella di un bambino attivo, che ama costruire, giocare e ricercare il senso delle esperienze che compie. Viene ripresa la prospettiva delineata negli Orientamenti del 1991, in cui si afferma la concezione di un bambino «impegnato in un processo di continua interazione con i pari, gli adulti, l’ambiente e la cultura».

Si tratta di bambini che «giungono alla scuola dell’infanzia» come afferma il testo ministeriale «con una storia: hanno imparato a parlare e a muoversi con autonomia; hanno sperimentato le prime e più importanti relazioni; hanno appreso a esprimere emozioni e a interpretare ruoli attraverso il gioco; hanno appreso i tratti fondamentali della loro cultura». Un’immagine di bambino, quindi, che è costruttore intraprendente della propria crescita culturale, affet-tiva e sociale.

Le Indicazioni sottolineano, però, anche gli elementi di contraddizione presenti nella condizione infantile in una società come quella attuale, elencando i limiti ritenuti più pervasivi nell’esistenza dei più piccoli: le contrastanti sollecitazioni comunicative, i riferimenti identitari e relazionali plurimi, i tempi contratti che scandiscono la vita e i rapporti familiari e sociali.

Due, in particolare, ci sembrano i segni più rilevanti delle contraddittorietà dei modelli di vita infantile più diffusi che ci offre la nostra società.

Il primo è riconducibile al binomio visibilità-invisibilità dell’infanzia: se, da un lato, assistiamo alla spettacolarizzazione del bambino attraverso la produzione di spot televisivi, di proposte specifiche di consumi, quali l’ab-bigliamento, i cibi, le tecnologie, dall’altro registriamo il mancato riconosci-mento dei bisogni essenziali per una crescita armoniosa favorita dal gioco, dal movimento, dall’ascolto. La vita dei bambini è spesso programmata da adulti disposti a coprirli di regali ma non a dedicare loro il tempo necessario e il dialogo. I piccoli sviluppano la propria personalità in maniera equilibrata se si parla tanto con loro, utilizzando un linguaggio stimolante, capace di incentivare la loro ricerca di significato.

Il secondo aspetto di contraddittorietà riguarda più direttamente il rapporto genitori-figli e in particolare la relazione tra i concetti di generazione e filiazione. Da sempre i genitori hanno generato i figli con il dovere implicito di allevarli e di proteggerli; tale rapporto si è sempre caratterizzato come generatività dei primi rispetto ai secondi.

Oggi la situazione si sta ribaltando: nella famiglia affettiva sono i figli che «generano» i genitori e ne determinano le scelte. Padri e madri devono spesso indossare l’abito che i figli tendono a imporre loro.

Il sé 79

1. La costruzione dell’identità personale 2. Le nuove povertà 3. Il sé e il corpo 4. Il primo campo: il sé e l’altro 5. Il secondo campo: il corpo e il movimento

1. La costruzione dell’identità personale

La costruzione dell’identità personale dei piccoli è la prima e la più impor-tante delle finalità perseguite dalla scuola dell’infanzia; l’identità si concretizza nel consolidamento della personalità dal punto di vista intellettivo, affettivo, corporeo, psicodinamico e nella piena valorizzazione dell’unicità e dell’originalità di ciascuno e di tutti i piccoli. Si tratta di sostenerli nel formarsi dei loro primi atteggiamenti di fiducia, di sicurezza, di stima e rispetto di sé e del proprio corpo; di consoli-dare il loro equilibrio emotivo, affettivo, psicofisico, di porli nella condizione di esprimere e controllare le proprie emozioni e i propri sentimenti e di rispettare quelli degli altri.

Avvertono gli Orientamenti: «Il riconoscimento del valore e della dignità di ogni soggetto umano costituisce il criterio di orientamento per la convivenza e la costruzione di validi rapporti interpersonali. Gli obiettivi specifici, pertanto, si qualificano come promozione dell’autonomia, del senso di responsabilità, dell’ac-coglienza e dell’appartenenza. La stessa vita di scuola si presenta come l’ambito più naturalmente adatto al loro perseguimento attraverso lo svolgimento delle attività quotidiane, l’esempio della condotta coerente degli adulti, il progressivo coinvolgimento di bambini e bambine nelle attività e nelle decisioni, la sollecitazione a riflettere sui comportamenti e a formulare valutazioni» (Orientamenti 1991).

La scuola dell’infanzia è sistematicamente frequentata anche da quei bambini che un tempo rimanevano nel seno della famiglia o erano affidati a strutture spe-cializzate; il riferimento è ai piccoli in situazione di disabilità, i quali costituiscono una preziosa opportunità di crescita per le dinamiche e le interazioni che possono

Capitolo settimo

Il sé

80 La scuola dei piccoli

realizzarsi all’interno della realtà scolastica. Occorre promuovere una significativa didattica dell’accoglienza, predisponendo adeguati percorsi di sviluppo, nei quali tutti possano sentirsi protagonisti dell’importante evento della loro crescita: l’espe-rienza scolastica va organizzata

dagli insegnanti in modo che ogni bambino si senta riconosciuto, sostenuto e valorizzato: il bambino con competenze forti, il bambino la cui famiglia viene da lontano, il bambino con fragilità e difficoltà, il bambino con bisogni educativi specifici, il bambino con disabilità, poiché tutti devono saper co-niugare il senso dell’incompiutezza con la tensione verso la propria riuscita. (Indicazioni 2007)

Tra i bambini vi sono, poi, coloro i quali, pur non avendo particolari problemi, si ritrovano vittime di ambienti culturalmente deprivati e vivono il disagio. Anche in questo caso, la scuola deve essere in grado di offrire ad essi una seconda oppor-tunità, prevedendo un affiancamento delle famiglie nel delicato compito educativo. Già gli Orientamenti 1991 suggerivano: «Un’attenzione del tutto particolare va riservata all’individuazione delle situazioni di apprendimento-insegnamento, al potenziamento dei contesti di comunicazione e all’estensione delle opportunità relazionali».

Non dobbiamo, poi, dimenticare che è aumentata la presenza di piccoli che appartengono ad altre culture, parlano lingue sconosciute e hanno tratti corporei diversi; anche questa va considerata un’opportunità che può aprire nuovi e più suggestivi orizzonti.

La scuola deve muoversi in modo che lo sviluppo dell’identità sia sostenuto rispettando quelle che sono le esperienze già effettuate dai piccoli; dobbiamo, infatti, avere la consapevolezza che, quando giungono a scuola, essi hanno già effettuato un certo iter formativo, hanno una loro storia personale, fatta di scelte, atteggiamenti, comportamenti, orientamenti, maturati all’interno dei contesti familiari e negli ambienti frequentati.

In questo senso, la scuola dell’infanzia deve porsi come sede privilegiata che accompagna e sostiene l’opera della famiglia, orientando le bambine e i bambini a maturare la propria identità personale e culturale in un quadro di valori condivisi e di costruttivo confronto con le altre culture. La scuola deve, in altri termini, porsi come il più importante interlocutore delle famiglie dei piccoli; deve saper dialogare con esse, consentendo il confronto, orientando gli alunni e le famiglie stesse nei momenti di difficoltà: essa deve definirsi

come luogo di dialogo, di approfondimento culturale e di reciproca formazione tra genitori e insegnanti per affrontare insieme questi temi e proporre ai bam-bini un modello di ascolto e di rispetto, per convenire come aiutare ciascun bambino a trovare risposte alle grandi domande in coerenza con le scelte della

Il sé 81

sua famiglia e al tempo stesso riconoscendo e comprendendo scelte diverse e mostrando per loro rispetto. (Indicazioni 2007)

In questo quadro, le dinamiche della partecipazione delle famiglie nella scuola vanno ripensate; considerato, infatti, il sostanziale fallimento e l’inevitabile superamento delle forme tradizionali di tale partecipazione, si pone oggi la neces-sità di promuovere un maggior coinvolgimento dei genitori per dare un senso più compiuto e proficuo alla loro presenza nella vita della scuola.

2. Le nuove povertà

La realtà in cui oggi le nuove generazioni vivono, soprattutto nell’età della prima formazione, è certamente molto diversa da quella del passato, quando le famiglie contribuivano a far crescere in modo equilibrato e armonico i piccoli. Il progresso complessivo della società, lo sviluppo del sapere, l’affermazione di un’immagine di famiglia molto più composita e variegata del passato, pongono con drammatica attualità l’urgenza di presidiare maggiormente tale fase di età e di prevedere dinamiche formative più efficaci.

In questo senso, la funzione della scuola dell’infanzia ha acquisito una mag-giore importanza proprio per le caratteristiche di quei contesti di vita nei quali si svolge la dimensione esistenziale infantile; i sociologi concordano sul fatto che il sentimento che se ne trae è quello di un’ambiguità formativa che se da un lato offre opportunità come mai era avvenuto nel passato, dall’altro apre spazi di rischio che possono condurre facilmente a perdersi.

Senso di incertezza, paura del domani e del mondo esterno, iperprote-zione, prolungamento dell’infanzia e, nello stesso tempo, precoce dilatazione del processo di adultizzazione si intrecciano confusamente, sovrapponendosi vistosamente, dando luogo a una miscela angosciante che, per comodità e così pensando di esorcizzarla, chiamiamo complessità, ma che il più delle volte viviamo come qualcosa di confuso che rende difficile l’assunzione di decisioni rassicuranti. (Neri, 2002)

Gli stessi bambini sono oggi di fronte a molte più occasioni di conoscen-za, anche se l’esposizione ai rischi e ai pericoli di devianza è molto forte. Certo, oggi sono più rari i casi di abbandono secondo le concezioni tradizionali; si sono però concretizzate altre forme inedite di violenza; in realtà, siamo di fronte alla conferma che l’intera storia dell’umanità è costellata «di gravi abusi nei confronti dei bambini mai considerati come persone, ritenuti sempre cose in proprietà dei genitori, pensati come materiale informe da plasmare con ogni mezzo in funzione di un modello precostituito dall’adulto» (Moro, 1988).

I discorsi e le parole 99

1. Lingua e pensiero 2. Parlare e ascoltare 3. La preistoria della lingua scritta 4. Le prime forme di scrittura 5. Amico libro 6. Esperienze specifiche

1. Lingua e pensiero

Il campo «I discorsi e le parole» è un ambito privilegiato per lo sviluppo della lingua orale e scritta.

L’oralità riguarda il parlare e l’ascoltare; la scrittura si riferisce al leggere e allo scrivere. A queste quattro funzioni va aggiunta quella del riflettere, che costituisce una delle esperienze preferenziali sia nell’ambito della scuola dell’infanzia sia negli ordini successivi.

Nella fascia 3-6 anni si decide, in larga misura, il destino linguistico di ciascuno: è quindi molto importante sviluppare al meglio le potenzialità di apprendimento di ogni bambino e di ogni bambina.

Non va dimenticato che, nell’evoluzione della specie umana, la lingua rappresenta la conquista più importante; solo l’uomo ha inventato un sistema di simboli e di canali notazionali per ricordare, esprimere sentimenti, comunicare, ordinare, trasmettere…

Senza il linguaggio verbale e il codice scritto è praticamente impossibile una completa maturazione dell’intelligenza. Le parole, infatti, sono suoni e segni che danno forma al pensiero.

In ambito psicologico, è soprattutto Vygotskij a sottolineare la forte inter-dipendenza tra lo sviluppo delle funzioni mentali superiori e l’evoluzione del linguaggio. Secondo lo psicologo russo, il pensiero e il linguaggio del bambino procedono dall’esterno all’interno, dal sociale all’individuale, dall’interpersonale

Capitolo nono

I discorsi e le parole

100 La scuola dei piccoli

al personale. Nei primi anni di vita, il linguaggio del bambino è esteriore e succes-sivamente diventa interiore.

Quando tale processo si è completato (verso i 6 – 7 anni), il linguaggio coincide con il pensiero verbale, che si struttura in modo sempre più sistematico attraverso il rispetto delle regole della lingua e la scoperta del significato delle parole.

La lingua è, dunque, strumento del pensiero e, per questa ragione, costituisce la base per un’adeguata formazione intellettuale.

Inoltre, essa rappresenta un mezzo per stabilire rapporti sociali tra gli indi-vidui; per questa sua funzione rappresenta il canale più importante per sostenere il principio di uguaglianza tra le persone.

A questo proposito Don Lorenzo Milani affermava che «solo la lingua ci fa uguali»; solo chi sa parlare e sa intendere la parola altrui può vivere appieno la propria dignità di persona, uomo, cittadino, lavoratore. L’uguaglianza effettiva presuppone la «sovranità» della parola, che non coinvolge solo le competenze della lingua scritta, ma anche una delle aspettative fondamentali del bambino: ascoltare ed essere ascoltato per difendere i propri e gli altrui diritti.

La scuola dell’infanzia — si sostiene nel testo delle Indicazioni 2007 — sol-lecita pratiche linguistiche che mettono «i bambini in condizione di scambiare punti di vista, esprimere i propri pensieri, negoziare e condividere con gli altri le propri opinioni». Sul piano educativo, la funzione «uguagliatrice» della lingua comporta l’esigenza di iscrivere le esperienze che i bambini fanno in un contesto che permetta loro un confronto attivo con le persone e le cose.

Parlare è innanzitutto interagire con gli altri; la formazione linguistica, dunque, riveste una valenza costruttiva, nel senso che concorre a «costruire» un soggetto compe-tente, capace, cioè, di difendere le proprie ragioni, sapendo accogliere quelle degli altri. Detto in maniera più esplicita, la centralità di un progetto di educazione linguistica è la persona, ovvero il bambino che dialoga con i coetanei, gli adulti, le insegnanti e in questa comunità di parlanti egli ha la possibilità di agire, elaborare i propri interventi sulle cose, stabilire rapporti e relazioni, esprimere sentimenti ed emozioni.

Il linguaggio, dunque, si sviluppa e si differenzia in ragione di queste esigenze che permettono al bambino di maturare una varietà di rapporti linguistici e di collegare in misura crescente i possibili usi alle specifiche situazioni.

2. Parlare e ascoltare

Il linguaggio del bambino nasce e si evolve in un contesto.Gioca un ruolo determinante il rapporto con i genitori, a cominciare dal

dialogo interiore che egli sviluppa nel grembo materno.

I discorsi e le parole 101

Nei primi anni di vita la parola è fatta soprattutto di ascolto, imitazione, ri-flessione. L’ascolto costituisce una capacità attiva fondata sia su strategie percettive che cognitive. L’attribuzione del carattere costruttivo all’ascolto comporta il riconoscimento che il bambino fin da piccolo assuma un atteggiamento in parte passivo (imitazione) ma in larga misura interpretativo dei messaggi (comprensione). L’ascolto attivo si realizza con il concorso di due fattori: la possibilità di interazione sociale e la maturazione fisiologica del soggetto.

Ad esempio, lo sviluppo degli aspetti relativi alla fonazione dipende dall’ ascolto di suoni pronunciati da altri ma anche dallo sviluppo dell’apparato fona-torio stesso.

Ci sono suoni, infatti, che prima di una certa età il bambino non riesce ad articolare perché, pur sentendoli pronunciare, non può riprodurli per mancanza della struttura fonativa adeguata.

Ascoltare e parlare sono funzioni linguistiche indipendenti, anche se la comunicazione tra due o più persone presuppone una reciprocità fra le due dimensioni.

È importante che all’interno della sezione si instauri un clima favorevole allo scambio linguistico tra i bambini ed è altresì importante che i docenti sappiano sollecitare il dialogo, la conversazione, l’ascolto di narrazioni e di storie.

Educare al parlare, in particolare, significa, nella scuola dell’infanzia, promuo-vere un ricco repertorio di funzioni entro cui la comunicazione orale si snoda.

Accanto alla funzione strumentale (parlare per ottenere qualcosa), è compito dei docenti attivare altre funzioni linguistiche:

– personale, per promuovere consapevolezza della propria identità, e il desiderio di esprimere sentimenti ed emozioni;

– euristica, per risolvere problemi e per esplorare la realtà;– immaginativa, per inventare storie fantastiche e trasfigurare il mondo;– rappresentativa, per comunicare «sulle» cose e rappresentare la realtà.

Per promuovere queste diverse funzioni, occorre favorire un graduale pro-cesso di decontestualizzazione: la parola comincerà ad assumere una funzione di decentramento linguistico e tale progressiva decontestualizzazione del parlato si inserirà in un continuum che procede verso lo scritto.

Parlato e scritto sono dimensioni distinte, ma strettamente correlate.Nella scuola dell’infanzia lo snodo tra la lingua orale e la lingua scritta va

attentamente valorizzato, soprattutto per il fatto che verso i tre-quattro anni il bambino parla con esigenze funzionali allo scritto, formulando ipotesi, congetture, teorie, e sperimenta le prime forme di comunicazione attraverso la scrittura.

La valutazione, l’osservazione e la documentazione 133

1. La valutazione nella scuola dell’infanzia 2. Curricolo e valutazione 3. Sviluppo, traguardi, competenze 4. Ragione e modalità dell’osservazione 5. La documentazione: riflessione e ri-conoscenza 6. Destinatari 7. Il rapporto tra osservazione e documentazione

1. La valutazione nella scuola dell’infanzia

La valutazione scolastica è una funzione complessa, in quanto coinvolge le convinzioni e i valori delle persone che la esercitano. Non può quindi ispirarsi a certezze assolute e risolversi nella mera formulazione di un giudizio di merito riferito ai risultati raggiunti.

Nel lontano 1977, la legge 517 ha introdotto nella scuola italiana il principio della valutazione formativa. Questa istanza tendeva a valorizzare una funzione regolativa del rapporto tra insegnamento-apprendimento, mettendo in condizione gli insegnanti stessi, tramite la verifica valutativa, di capire i problemi e le difficoltà dei bambini, nonché le caratteristiche dei contesti educativi nei quali docenti e alunni operano.

Nella legge 517 si afferma che la funzione precipua del valutare è compren-dere l’altro in tutta la sua ricchezza: avanzamenti, regressioni, potenzialità, carenze sono le dimensioni che caratterizzano il percorso formativo di tutti, dal bambino piccolo, al preadolescente, all’adolescente.

Gli insegnanti devono saper leggere i bisogni dei bambini ma soprattutto offrire risposte convincenti, migliorando l’azione educativa e l’organizzazione didattica, di cui hanno diretta responsabilità.

Anche nelle Indicazioni 2007 si ribadisce che «agli insegnanti compete la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione didattica, nonché la scelta dei relativi strumenti nel quadro dei criteri deliberati dai competenti organi collegiali».

Capitolo dodicesimo

La valutazione, l’osservazione e la documentazione

134 La scuola dei piccoli

Questa affermazione è contenuta nella parte comune del testo ministeriale, cioè nella «Premessa» agli specifici curricoli della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.

Nel curricolo riguardante la scuola dell’infanzia la parola «valutare» è ripresa nel paragrafo «L’ambiente di apprendimento» nella parte relativa alle impostazioni metodologiche che connotano il curricolo implicito.

Questa è sicuramente una scelta corretta e condivisibile.Infatti, l’elaborazione pedagogica dell’idea di valutazione ha portato a in-

tenderla come un processo aperto di osservazioni rivolte a uno scopo ben preciso: regolare e migliorare l’attività didattica e i contesti nei quali i bambini costruiscono le basi per l’acquisizione di conoscenze e saperi.

Anche nelle Indicazioni dei Piani di Studio Personalizzati del 2004 si sottolinea una funzione essenzialmente formativa della valutazione laddove si afferma che «l’unica valutazione positiva per lo studente di qualsiasi età è quella che contribuisce a conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progres-siva, a fargli scoprire e apprezzare sempre meglio le capacità potenziali personali».

In questa prospettiva, allora, la forma di valutazione più adeguata da privi-legiare nella scuola dell’infanzia è, come già sottolineato, di carattere formativo e l’oggetto precipuo da valutare è la scuola intesa come ambiente educativo di apprendimento, di relazioni e di cura.

L’apprezzamento delle qualità del contesto è dunque il tipo di valutazione più adatto per promuovere innovazione, cambiamento e soddisfazione degli utenti.

2. Curricolo e valutazione

La definizione di un curricolo, che si propone di promuovere la progressiva conquista di specifiche abilità e di concrete autonomie, comporta per la scuola dell’infanzia un approccio specifico al tema della valutazione.

Infatti, per questo grado scolastico occorre tener presente l’accentuata varia-bilità dei tempi e dei ritmi di sviluppo che sconsiglia l’impiego di prove strutturate rigidamente concepite.

In particolare, nei testi delle Indicazioni sia del ministro Moratti sia del mi-nistro Fioroni si stabilisce un collegamento esplicito tra l’osservazione come vero e proprio stile educativo dei docenti, la documentazione come processo finalizzato a produrre tracce e la valutazione, che deve essere funzionale alla valorizzazione dei progressi dell’apprendimento individuale e di gruppo.

Si rafforza, pertanto, l’idea di una valutazione educativa finalizzata alla for-mazione integrale della persona: in particolare, alla maturazione dell’identità del

La valutazione, l’osservazione e la documentazione 135

bambino (atteggiamenti di sicurezza, stima di sé, fiducia nelle proprie capacità), alla conquista dell’autonomia (capacità di orientarsi, di rispettare regole, di aprirsi alla scoperta del nuovo), allo sviluppo della competenza (abilità sensoriali, percettivo-motorie, linguistiche e intellettive; capacità di esplorazione, rappresentazione della realtà; approccio al senso estetico e al pensiero scientifico) e allo sviluppo della cittadinanza (apertura al diverso da sé, al rispetto degli altri).

I traguardi di sviluppo della competenza che chiudono la parte delle Indica-zioni relative ai campi di esperienza ribadiscono la funzione dinamica del processo valutativo sia nella scuola dell’infanzia, sia nel percorso scolastico successivo.

Non si dimentichi a questo proposito che anche negli Orientamenti del 1991 il rapporto tra osservazione e valutazione non si basava sull’assunzione di rigidi criteri del tipo quantitativo ma sulla contestualizzazione dei comportamenti rispetto a notazioni classificatorie.

I livelli raggiunti da ciascuno, si sottolineava, devono essere osservati più che misurati, compresi più che giudicati, poiché il compito della scuola è iden-tificare i processi da promuovere per consentire a ogni bambino di realizzarsi al massimo grado possibile.

3. Sviluppo, traguardi, competenze

Se la valutazione deve promuovere avvertibili traguardi di sviluppo in ordine alla formazione integrale dei bambini dai 3 ai 6 anni (identità, autonomia, com-petenza, cittadinanza), occorre prestare attenzione alle implicazioni della nozione di sviluppo e al rapporto tra apprendimento e sviluppo.

I contributi più significativi dei diversi orientamenti culturali (Piaget, Vygot-skij, Bruner, Gardner), pur nella differenziazione dei punti di vista, concordano nell’ approccio della «non assolutizzazione» di modelli e paradigmi interpretativi.

Lo sviluppo è la conseguenza dei processi maturativi correlati alla regolarità dei cambiamenti e di una mediazione delle sollecitazioni che giungono dall’ambiente socio-culturale di provenienza.

Lo sviluppo di un bambino è pertanto il «prodotto» dell’interazione tra la maturazione biologica, nervosa, fisica, relativamente indipendente rispetto alle stimolazioni esterne e i fattori sociali che caratterizzano i contesti di vita del bambino. Essendo un processo estremamente dinamico, lo sviluppo subisce accelerazioni ma anche decelerazioni, progressioni ma anche regressioni, arricchimenti ma anche impoverimenti, «guadagni ma anche perdite». Si configura, dunque, come accentuata variabilità individuale, difficilmente circoscrivibile in quadri tesi ad accreditare un modello incentrato sul miglioramento continuo e costante.

136 La scuola dei piccoli

La prevedibilità e l’imprevedibilità dello sviluppo infantile presuppongono non tanto l’acquisizione di rigidi livelli di conoscenza, quanto di possibili traguardi da raggiungere.

I traguardi di sviluppo della competenza, esplicitati nelle Indicazioni 2007, in questo senso, rappresentano riferimenti di lavoro per i docenti in grado di aiutarli a finalizzare meglio la loro azione educativa in vista dello sviluppo integrale del bambino e dell’alunno.

La valutazione, pertanto, non può essere rigida o classificatoria perché non si può oggettivare la comprensione del bambino, riportandolo a un modello di sviluppo cognitivo, affettivo e sociale rigorosamente determinato in tappe sequenziali.

La valutazione è, quindi, formatrice, perché consente di vedere il bambino come una realtà unitaria, in quanto parte integrante del percorso educativo.

Il controllo costante del suo cammino di crescita permette all’insegnante di rilevare carenze, difficoltà, nonché conquiste e progressi: la valutazione acquista così una forte valenza motivante e rassicurante.

Dalle riflessioni finora sviluppate emerge con chiarezza che la valutazione nella scuola dell’infanzia deve, da un lato, «render conto» della qualità che le singole istituzioni educative stanno realizzando, dall’altro promuovere effettive condizioni non per impedire modelli di riconoscimento delle competenze, quanto per predi-sporre spazi, utilizzare materiali, creare contesti, in cui le competenze cognitive e sociali dei bambini possano espandersi.

In questa prospettiva la ricerca valutativa che si legge in ogni traguardo è ri-conducibile all’immagine di un bambino «conoscente»; il compito degli insegnanti è aiutarlo a capire e insieme a superare gli inevitabili ostacoli che caratterizzano questo impegnativo cammino.

In altre parole, i docenti, attraverso modalità osservative e valutative, impa-rano a conoscere le storie di ogni bambino e a fare in modo che ogni «romanzo» personale diventi un progetto di sviluppo da condividere insieme.

4. Ragione e modalità dell’osservazione

La valutazione del bambino e del contesto presuppone una particolare at-tenzione ai processi osservativi.

L’osservazione è una modalità che ci permette di conoscere e guardare gli altri e il mondo. È però uno sguardo mirato (non generico) e selettivo; non è infatti possibile osservare tutto. Di fronte alla complessità dei problemi, occorre inevitabilmente attivare un comportamento euristico cioè un’azione di ricerca, di esplorazione, di scoperta e di curiosità.

La valutazione, l’osservazione e la documentazione 137

L’osservazione, quindi, coincide con un processo di raccolta di informazioni che va oltre il semplice «guardare», perché comporta sempre una volontà intenzionale.

In campo educativo si osserva per conoscere il bambino e capire come si possono migliorare esperienze e attività. Prima di essere un metodo o una tecni-ca, l’ osservazione è una dimensione di ricerca che ci aiuta ad avvicinare la realtà. Il momento euristico diventa preliminare a quello ermeneutico, cioè all’ azione interpretativa e alla spiegazione.

In sintesi, possiamo definire l’osservazione come un processo conoscitivo, che implica un’attività di ricerca e interpretazione degli stimoli ricevuti internamente ed esternamente. L’osservatore non è uno spettatore neutrale, non è l’occhio puro che osserva la realtà. L’osservazione è, in gran parte, una prassi soggettiva: la fac-ciamo attraverso filtri rappresentati dalla nostra visione del mondo e soprattutto dalle nostre impostazioni emozionali.

Il tutto è finalizzato a sostenere l’educazione della persona, come processo di umanizzazione e di aiuto alla crescita personale.

L’osservazione diventa pertanto una modalità formativa che permette all’inse-gnante di accogliere l’alunno nella sua ricchezza alimentando una relazione educativa più autentica con gli alunni ed evitando una scissione tra cultura emozionale e cultura intellettuale.

Si possono individuare due forme osservative: occasionale e sistematica.La prima è l’attività che quotidianamente ognuno di noi compie, in forma

non intenzionale, per l’analisi delle informazioni che i nostri organi di senso rac-colgono. Alcuni autori preferiscono definirla naturale, intendendo sottolineare l’assenza di strategie e di scopi volutamente guidati. È quindi, soggettiva e scar-samente attendibile.

Ha il vantaggio, però, di restituirci aspetti imprevedibili, estremamente im-portanti per scoprire le qualità dell’Altro.

Al contrario, l’osservazione sistematica fa parte di un progetto educativo ed è, per sua natura, selettiva. Viene intenzionalmente messa in atto all’interno di un progetto che ne delimita e circoscrive il campo.

Ha uno scopo ben determinato e strumenti adeguati per conseguirlo.

5. La documentazione: riflessione e ri-conoscenza

La valutazione e l’osservazione presuppongono la capacità da parte dei docenti di lasciare tracce e produrre memoria delle buone cose fatte.

La documentazione, in questa prospettiva, viene strettamente correlata alla competenza riflessiva da parte degli insegnanti.