La Scienza in Tv
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Davide Di Santo
La Scienza In TvForme della Comunicazione Scientifica Pubblica
in Televisione
La Scienza in Tv
Forme della comunicazione scientifica pubblica in televisione Prima parte - Le teorie e le tecniche Introduzione: il complesso di Andalù Capitolo 1 - Cosa c’è in Tv? I programmi di divulgazione scientifica, p. 1 1.1 - Livelli di analisi e metodologia, p. 3 1.2 - La mappa della divulgazione televisiva. Sfere d’azione delle trasmissioni di
comunicazione scientifica in Italia, p. 6 1.3 - Il conduttore, p. 9
1.3.1 - Il cultore e il militante, p. 10 1.3.2 - L’ingenuo e l’umanizzante, p. 12 1.3.3 - Il giornalista e l’entusiasta, p. 12 1.3.4 - La vestale e l’evocatore, p. 14
Capitolo 2 - I modelli della comunicazione scientifica pubblica, p. 15 2.1 - I flussi della comunicazione, p. 15 2.1.1 - Tra divulgazione e comunicazione scientifica pubblica, p. 17 2.2 - La semplificazione, p. 19 2.2.1 - Il modello della diffusione, p. 22 2.2.2 - Giornalisti e mediazione, p. 24
2.2.3 - Il pubblico, p. 25 2.2.4 - Gli scienziati, p. 29 2.2.5 - Il modello della continuità e del salvagente (bucato), p. 29
2.3 - L’expertise, p. 37 2.3.1 - L’assegnazione della credibilità, p. 40 2.3.2 - Non esperti e quasi esperti, p. 42 2.3.3 - Flusso comunicativo e interazione, p. 45
Capitolo 3 - Pensiero scientifico e senso comune, p. 50 3.1 - La metafora, p. 50 3.2 - Il linguaggio del senso comune: La Scienza In Cucina, p. 53 3.3 - Le rappresentazioni sociali, p. 53 3.4 - Rappresentazioni sociali e senso comune, p. 55 3.5 - Scienza, senso comune, everyday knowledge, p. 59 3.6 - Il trasferimento delle conoscenze, p. 62 Capitolo 4 - Televisione e negoziazione della scienza, p. 66 4.1 - La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, p . 67 4.2 - Attori e conflitti, p. 69 Capitolo 5 - Divulgazione e retorica: generi e linguaggi, autorevolezza e patti comunicativi, p. 71 5.1 - I generi: forme e promesse della scienza in Tv, p. 71 5.2 - La divulgazione come genere, p. 73
5.2.1 - Logiche di programmazione, p. 74
5.2.2 - Le tecniche, p. 76 5.3 - La notizia scientifica nel flusso televisivo: informazione e infotainment, p. 79
5.3.1 - Scienza e newsmaking, p. 80 5.3.2 - I telegiornali e la notizia scientifica, p. 82
5.4 - La fonte autorevole e la credibilità, p. 84 5.4.1 - Autorevolezza e divulgazione scientifica, p. 86 5.4.2 - Su Voyager: etichette di genere e contenuto, p. 87
5.5 - Il patto comunicativo della scienza in Tv, p. 89 5.5.1 - La scienza tra paleo e neotelevisione, p. 91 5.5.2 - Il patto dell’apprendimento, p. 93 5.5.3 - Il patto dello spettacolo, p. 94 5.5.4 - La fiducia, p. 95
Capitolo 6 - Divulgazione e ideologia, p. 98 6.1 - Le rappresentazioni della scienza: Frankenstein o Marie Curie?, p. 99 6.1.1 - Scienza e fiction, p. 100 6.2 - Immagini televisive della scienza, p. 102 6.3 - Ideologie della scienza in Tv, p. 103 Capitolo 7 - Divulgazione e narrazione, p. 107 7.1 - Sapere scientifico e sapere narrativo, p. 109 7.2 - Scienza e narrazione, p. 110 7.3 - Mito e mimesi, p. 111
7.3.1 - Dimensione agonistica della narrazione della scienza, p. 113 7.4 - Gli iconolatri di Bisanzio, p. 114 7.5 - Intellettuali ed esclusi, p. 115 7.6 - UnmasKing Kong, p. 116 Seconda parte - Il caso di studio Capitolo 8 – L’analisi delle interviste, p. 119 8.1 - Scienza divulgazione, p. 119 8.2 - La rappresentazione della scienza, p. 121 8.3 - Ideologie della divulgazione, p. 122 8.4 - La televisione, p. 123 8.5 - Il pubblico, p. 125 8.6 - La selezione degli argomenti, p. 127 8.7 - Credibilità e fonti, p. 128 8.8 - Il patto comunicativo, p. 130 8.9 - Linguaggi, parole e immagini, p. 132 8.10 - Tra scienza e pubblico, p. 134 8.11 - Futuro della scienza, della divulgazione, dell’intervistatore…, p. 136 Conclusioni, p. 140
Appendici – Trascrizioni delle interviste, p. 150
Bibliografia, p. 159
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Introduzione: il complesso di Andalù
Lo spettatore di programmi di divulgazione scientifica vive il complesso di Andalù,
assistente del ‘colonialista ingenuo’i Angelo Lombardi de L’amico degli animali: è
spettatore, modello e produttore implicito di senso. Lo stesso conduttore è un’entità
anfibia, sospeso tra expertise e senso comune. È responsabile della descrizione per
metafore e analogie di argomenti complessi, della selezione e riformulazione dei loro tratti
salienti in linguaggi non specialistici, delle dinamiche di percezione dell’autorevolezza e di
attribuzione della credibilità. La ricerca di continuità in un processo discontinuo e
frammentario come quello della ricerca scientifica non solo risponde all’esigenza di
rendere attraente il prodotto televisivo, ma è un modo per razionalizzare attraverso
elementi del senso comune conoscenze altrimenti esoteriche.
Andalù sta ad Angelo Lombardi come il fruitore sta alla tv: rapporto subalterno tra
colonialista e indigeno a cui insegnare, anche se quest’ultimo è al tempo stesso fruitore e
produttore di senso dal momento che linguaggi e logiche di programmazione non sono il
risultato di una traduzione lineare ma si modellano in base alle conoscenze di sfondo
ipotizzate, al posizionamento del programma, alla personalità di rete e alle ideologie del
programma.
Il patto di veridizione che sussisteva nella tv degli albori tra pubblico ed emittenza si è
trasformato da un rapporto tutoriale e didascalico a un rapporto basato sull’emotività, il cui
linguaggio più efficace è quello dell’intrattenimento. La tv non è più un maestro, ma un
cugino più grande, un po’ sboccato...
È dunque utile analizzare le dinamiche attraverso le quali si costruiscono le
rappresentazioni televisive della realtà, e specialmente della scienza dal momento che essa
subisce reintrepretazioni continue da parte dei media.
Si è scelto di approfondire il rapporto tra scienza e televisione per diversi motivi. Innanzi
tutto la divulgazione scientifica come genere in Italia nasce insieme alla televisione stessa.
Inoltre è un settore della comunicazione in cui il rapporto che lega rappresentazione
televisiva e fonti è fortissimo, dal momento che la formulazione televisiva di conoscenze
rappresenta la funzione cardine della divulgazione. Infine l’analisi della divulgazione
scientifica consente di osservare tecniche retoriche, ideologie e strategie narrative attivate
ii
durante la produzione di racconto televisivo dal momento che è indispensabile il rispetto
delle fonti scientifiche che vengono riformulate in good stories.
Questo lavoro si propone di analizzare i processi di produzione di rappresentazioni
televisive della scienza all’interno dei programmi di divulgazione scientifica. A una prima
parte di analisi dei vari aspetti riguardanti la comunicazione pubblica della scienza segue
un caso di studio specifico basato sulla metodologia dell’intervista qualitativa a osservatori
privilegiati.
Nel primo capitolo si delinea una mappa della divulgazione scientifica nella televisione
italiana alla luce di studi effettuati nell’ambito delle teorie della comunicazione di massa.
Vengono evidenziate le sfere d’azione dei programmi attualmente in onda e di quelli più
rappresentativi dei decenni scorsi e le diverse forme della figura del conduttore.
Il secondo capitolo ospita la descrizione, e in alcuni casi la rielaborazione, dei modelli
più diffusi di comunicazione pubblica della scienza. A tal riguardo si analizzano sia i
modelli che approfondiscono i flussi della comunicazione coinvolti nella divulgazione sia i
modelli che definiscono le problematiche della semplificazione delle conoscenze
specialistiche come il modello della continuità attraverso il suo approccio al pubblico, ai
mediatori e al mondo della ricerca. Accanto alla descrizione del modello della continuità
ne viene proposta una sua rielaborazione nata dalla necessità di tenere conto delle
deviazioni delle traiettorie di routine della comunicazione della scienza che coinvolgono
l’arena pubblica e i processi di negoziazione. Infine vengono evidenziate le problematiche
relative all’expertise nei programmi di divulgazione scientifica, ovvero i processi
dell’assegnazione di credibilità, dell’attribuzione dello status di esperto, dei flussi
comunicativi finalizzati all’asseverazione e esplicitazione di conoscenze.
Nel terzo capitolo si analizzano i rapporti tra pensiero scientifico e senso comune alla
luce delle teorie sulla rappresentazione sociale. Viene sottolineato il ruolo della metafora
nella comunicazione pubblica della scienza e l’importanza del senso comune e della
everyday knowledge nella diffusione e nella produzione di conoscenze scientifiche.
Mentre il quarto capitolo descrive i processi di negoziazione della scienza nello spazio
pubblico, i restanti tre capitoli della prima parte si occupano di tre aspetti rilevanti di un
i Aldo Grasso a tal proposito riporta che “Lombardi [...] si comporta come il classico esploratore bianco dei fumetti: è forte, è il dominatore del regno animale, è un po’ colonialista”. Fonte: Grasso A., Storia della televisione, la Tv italiana dalle origini, Garzanti, Milano 1999
iii
testo televisivo, come affermato da Roger Silverstone, ovvero retorica, ideologia e
narrazione della divulgazione scientifica.
Più approfonditamente nel quinto capitolo viene definita la divulgazione scientifica come
genere e ne vengono descritte le tecniche e le logiche di programmazione. Vengono inoltre
analizzate le caratteristiche della notizia scientifica nel flusso televisivo. A tal proposito
vengono descritti i criteri di selezione e i valori notizia della notizia scientifica in
televisione. Successivamente viene introdotto il tema dell’autorevolezza della divulgazione
scientifica e della sua percezione come fonte credibile. A tal riguardo viene analizzato il
rapporto tra elementi caratteristici del genere e contenuti veicolati relativamente agli studi
riguardanti il patto comunicativo che si instaura tra televisione e fruitore.
Il sesto capitolo descrive le rappresentazioni della scienza e dello scienziato in
televisione e l’influenza dell’immagine della scienza costruita dalla fiction nei processi di
negoziazione. Inoltre vengono delineati gli atteggiamenti ideologici delle trasmissioni di
divulgazione scientifica mentre il settimo capitolo si occupa della dimensione narrativa
della scienza, ovvero del rapporto tra sapere scientifico e sapere narrativo.
Si cerca, infine, di evidenziare scenari possibili nella ricerca di linguaggi efficaci per la
diffusione della scienza: forme televisive che riescano a fornire conoscenze, promuovere
interazioni, creare motivazioni e nuove forme di fruizione che prevedano l’interazione di
molteplici mezzi di comunicazione.
La seconda parte ospita il case study. È stata usata la metodologia dell’intervista
qualitativa a osservatori privilegiati per redigere un questionario semistrutturato
circoscritto a sette argomenti: scienza, televisione, pubblico, produzione, credibilità,
linguaggi, autopercezione dei professionisti del settore. Questo tipo di analisi consente di
evidenziare i punti di vista di attori diversi coinvolti nello stesso processo produttivo. I
soggetti coinvolti in questo studio sono figure professionali affermate nel campo della
divulgazione scientifica e occupano ruoli chiave nella redazione del programma di Rai
Uno SuperQuark. Si tratta di Monica Giorgi Rossi, produttrice esecutiva, Laura Falavolti,
curatrice, Giovanni Carrada, autore, Giangi Poli, redattore scientifico, Piero Angela,
ideatore e conduttore. La metodologia impiegata favorisce la più assoluta libertà espressiva
del soggetto per quanto riguarda la definizione dei temi avanzati dall’intervistatore, al
quale è lasciato il compito di confrontare i punti di vista dei singoli soggetti. I contenuti
delle interviste saranno interpretati al fine di descrivere esperienze professionali e
concezioni personali dei soggetti coinvolti. Ciò aumenterà le possibilità di comprendere
iv
fenomeni complessi come quello della creazione di rappresentazioni della scienza, del
rapporto tra senso comune e discorso scientifico nella diffusione della scienza, della
percezione del pubblico da parte di professionisti della comunicazione e della loro
percezione riguardo il proprio ruolo.
La realizzazione di questo lavoro è stata possibile grazie alla disponibilità di Piero Angela, Giovanni Carrada, Laura Falavolti, Monica Giorgi Rossi, Giangi Poli e di tutta la redazione di SuperQuark, e grazie all’aiuto prezioso (e all’amicizia) di Arianna, Elisabetta, Micaela, Matteo, Nicola e Sara.
1
“Non avrai veramente capito qualcosa fino a quando non sarai in grado
di spiegarla a tua nonna” Albert Einstein
Prima parte - Le teorie e le tecniche
Capitolo 1 - Cosa c’è in Tv? I programmi di divulgazione scientifica
Le definizioni di che cosa sia divulgazione sono numerose e spesso evidenziano aspetti
diversi della comunicazione scientifica, a dimostrazione della complessità di interessi che
innervano il concetto di divulgazione. Essa è mediazione1, interfaccia ma soprattutto una
good story da raccontare2. Vive il contrasto tra la “scienza in vetrina” e la sua
“riappropriazione”3; la sua capacità di tradurre il sapere in good stories4 convive con
l’essere informazione e comunicazione5; ma è anche riduzione6 e per alcuni, a causa di
barriere linguistiche e difformità di apparati intellettuali, una missione impossibile7; è
traduzione8, giro di frasi9, perifrasi e riassunto10; allusione, informazione per sommi capi,
suggerimento, rivolti a un lettore idealmente digiuno e motivato su questioni che
richiederebbero anni di studio per essere penetrate a fondo11. In lingua inglese invece
esistono ben quattro parole per coprire l’area semantica che in italiano viene occupata dal
termine divulgazione: spreading of scientific news, scientific education, popularization,
divulgation. Il concetto di divulgazione, dunque, ingloba una pluralità di significati che
prendono forme diverse a seconda della formulazione del messaggio e degli obiettivi della
comunicazione.
Già prima dell’avvento della televisione la divulgazione scientifica aveva esplorato
diversi gradi di approfondimento e presentazione, toccando registri sia colti che popolari.
Gli estremi di questo continuum sono rappresentati dai metodi della semplificazione
1Tannenbaum P.H., editoriale in Science, n. 3567, 1963 2 Pearlman D., Science and the massmedia, “Dedalus”, n. 103, 1974 3 Grasso A., Il demone della divulgazione, in Bettetini G.F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988, p. 57 4 Vinassa De Regny E., L’informazione scientifica, “Città-Regione”, 8-9, 1979 5 Jacobelli J., Relazione in Atti del Convegno “Il linguaggio della divulgazione”, Milano, 1982 6 Aa. Vv., editoriale in Penguin Science News, 1947 7 Thistle M. W., Popularizing Science, “Science”, n. 4, 1958 8 Tannenbaum P.H., op. cit. 9 Bloomfield L., Scienza del linguaggio e linguaggio della scienza, Marsilio, Padova 1970 10 Beccaria G. L., Relazione in Atti del Convegno “Il linguaggio della divulgazione”, Milano 1982 11 Piattelli Palmarini M., S come cultura, Protagonisti, luoghi, idee delle scienze contemporanee, Mondadori, Milano 1987
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(popularisation) e da quello della diffusione (spread of scientific news): il primo indica
una scelta preventiva di argomenti e la loro subordinazione nelle categorie logiche e
semantiche del linguaggio comune, mentre nel secondo prevale l’istanza giornalistica della
completezza e del rigore espositivo, con la conseguente perdita di comprensibilità.
L’‘educazione permanente’ (scientific education) e lo spettacolo (scientific entertainment)
sono registri e linguaggi declinati in più forme nella divulgazione scientifica prima e dopo
la nascita della televisione, basti pensare ai programmi Rai della fine degli anni Cinquanta
e alle più moderne forme di edutainment, o per i periodici alle differenze tra Le Scienze
(Scientific American) e Focus, mentre la peculiarità del mezzo televisivo relativamente alla
comunicazione pubblica della scienza si manifesta soprattutto per quanto riguarda la
rappresentazione della scienza.
Con l’avvento della televisione sono incrementate le potenzialità espressive della
divulgazione, nuovi linguaggi si sono affiancati a quelli preesistenti, dal momento che
l’audiovisivo è diventato una seconda lingua madre, unico linguaggio comune a popoli
diversi12. Soggettiva e montaggio, ad esempio, fanno parte delle nostre competenze
linguistiche dopo più di un secolo di cinema e mezzo di televisione. Il linguaggio per
immagini è addirittura predominante, la “galassia Marconi” inghiotte la “galassia
Gutenberg”.13
Durante la traduzione del discorso scientifico in narrazione televisiva la scienza acquista
unità e neutralità, le differenze che la diversificano al suo interno si neutralizzano,
fornendo un’immagine della scienza unitaria e idealizzata, con denotazioni che variano
dalla conquista, alla rivalità tra nazioni, al progresso umano. L’incontro tra scienza e
televisione ha subordinato la scienza ai criteri televisivi: divulgazione è notizia di eventi
che possano essere ridotti a una good story.14
Il primo divulgatore della televisione italiana è stato il professor Alessandro Cutolo nel
1954 nella longeva trasmissione Una risposta per voi, andata in onda fino al 1968, che si
ispirava a una rubrica americana condotta dal vescovo Fulton Sheen15. Già dai primi anni
Sessanta avviene un processo di differenziazione tra le trasmissioni per quanto riguarda il
12 Castellani, L., La Tv dell’anno zero, Studium, Roma 1995, p. 31 13 Ibidem, p. 32 14 Bettetini G. F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988, pp. 16-19 15 Nobile S., La scienza in Tv, tempi e mercati della divulgazione scientifica, in Cannavò L. (a cura di) La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995
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divario di competenze, il livello di risorse cognitive impiegate per fruire al meglio dei
programmi, e le diverse esigenze del pubblico pomeridiano da quello della seconda serata.
Pertanto la scienza in tv viene declinata in forme divergenti già dalla sua nascita, si
producono trasmissioni come L’amico degli animali16, che faceva presagire le potenzialità
del mezzo televisivo nel fondere etologia e senso comune, e Orizzonti della Scienza e della
Tecnica17, rivolta a un pubblico motivato: il programma si proponeva come strumento
informativo di approfondimento con puntate monografiche finalizzate alla diffusione di
un’idea della scienza come progresso e miglioramento dell’uomo da parte dello scienziato
al servizio dell’umanità. Già dal 1958 con la messa in onda di Quarta Dimensione, Viaggio
nel Tempo e nello Spazio e Uomini nello Spazio18 si possono notare diverse forme e
potenzialità della divulgazione in televisione. Nella prima trasmissione il documentario per
la prima volta sostituiva l’esperto nella funzione di certificazione delle informazioni. I
filmati, altamente spettacolari, sottoposti a un labor limae di post-produzione
estremamente minuzioso e sottolineati da commenti musicali altamente suggestivi,
conducevano in un viaggio nel tempo consentito dall’allora recente scoperta della
possibilità di datare reperti organici grazie alle emissioni di Carbonio 14. La seconda
trasmissione era invece proiettata nel futuro e alle possibilità della ricerca più moderna con
ampio uso dei documentari che forniscono temi e nozioni per le spiegazioni degli esperti,
gli accademici Giorgio Abetti e Aurelio Robotti.
1.1 - Livelli di analisi e metodologia
In questa sede si cercherà di analizzare i diversi aspetti della divulgazione scientifica in
televisione relativamente a tre sfere d’azione del mezzo televisivo individuate da Roger
Silverstone: retorica, narrativa e ideologia. Questi aspetti emergono all’interno di ciascuna
sfera a livello cognitivo, per quanto riguarda attenzione, motivazioni, gerarchie di
importanza, narrativo e di attribuzione di valori alla storia, ed emozionale, ovvero relativo
a strategie di coinvolgimento: spettacolarizzazione e drammatizzazione19.
16 Canale nazionale, 1956, condotta da Angelo Lombardi e Bianca Maria Piccino 17 Canale nazionale, 1966-1973, domenica, seconda serata, condotta da Giulio Macchi. Dal 1967 in poi passa al Secondo Canale sempre in seconda serata ma in giorni feriali 18 Entrambe le trasmissioni: Canale nazionale, 1958, seconda serata 19 Arcuri L., Castelli L., La trasmissione dei pensieri: un approccio psicologico alle comunicazioni di massa, Decibel, Padova 1996, pp. 7-10
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I sistemi di rappresentazioni elaborati dagli individui risentono fortemente dalle
gerarchie di importanza e dalle frequenze di citazione con cui certi particolari argomenti
sono comparsi all’ordine del giorno nel sistema dei mass. Ad esempio possiamo notare una
tendenza sistematica a sovrastimare i dati di frequenza di omicidi e di crimini in genere da
parte di quelle persone che sono forti fruitrici di serial polizieschi e court-shows. C’è
dunque una stretta relazione tra quantità di fruizione televisiva e sistemi di conoscenze che
le persone strutturano a proposito della realtà sociale. La rappresentazione televisiva non è
quindi soltanto un veicolo di conoscenza, sebbene questo non sia un ruolo banale, ma il
modo stesso in cui viene trasmessa la conoscenza può diventare l’elemento più rilevante
dal punto di vista dei meccanismi di costruzione della notizia o della storia, come ad
esempio la rappresentazione televisiva del processo Mani pulite basata sul contrasto: vir
novus contro ancient regime, sud contro nord20. L’evento televisivo più che riflettere
quello che c’è nel mondo ci dice quali sono gli avvenimenti e, all’interno di questi, i
dettagli a cui si deve prestare attenzione. In quest’ottica è lecito interrogarsi se gli elementi
di drammatizzazione dei linguaggi televisivi agiscono sul piano della descrizione della
realtà o su una sua interpretazione: la cronaca audiovisiva si avvale dei mezzi del
montaggio di post-produzione o di regia conferendo ad ogni prodotto televisivo una
componente di fiction. La giustapposizione di immagini provenienti da inquadrature
diverse consente di ottenere un effetto narrativo realizzato attraverso l’uso di tecniche
drammatiche. La cronaca, il documentario, diventano fenomeni psicologicamente
significativi e consentono allo spettatore di cogliere legami, operare rimandi, di
individuare contrapposizioni, di effettuare inferenze, di andare al di là dell’informazione
audiovisiva. I confini tra fiction e cronaca sono ancora più labili se consideriamo le
modalità di fruizione. I sistemi di lettura e interpretazione dell’evento tv risultano sempre
più omogenei e indifferenziati: infatti una narrazione viene compresa più facilmente se i
fatti sono collegati a un singolo protagonista, e diventa più coinvolgente se vengono
enfatizzati gli elementi di contrasto. Una storia è ancora più efficace se il per fruitore è
facile collocare personaggi e azioni entro le classiche polarità del buono e del cattivo21.
20 Ibidem 21 Ibidem
5
La metodologia utilizzata in questo studio è quella dell’intervista qualitativa a
osservatori privilegiati, circoscritta22 e semistrutturata,. Questo tipo di ricerca ha
implicazioni notevoli. Se da una parte l’intervista qualitativa si pone l’obiettivo di
“accedere alla prospettiva del soggetto studiato”,23 ovvero al punto di vista personale di un
individuo, dall’altra il ricercatore rinuncia a costruire un campione rappresentativo, ovvero
tale da riprodurre in piccolo le caratteristiche della popolazione.24
Il questionario nasce dalla necessità di registrare il punto di vista dei soggetti coinvolti
nel processo di produzione di rappresentazioni della scienza attraverso la televisione, e a
tal fine è costituito come un’intervista circoscritta25 basata su un elenco di argomenti in
assenza di una formulazione standardizzata delle domande.26 Questo metodo consente di
analizzare la percezione degli individui circa determinati argomenti lasciando loro libertà
di espressione e offrendo al ricercatore la possibilità di osservare possibili differenze nella
percezione e nella definizione dei temi stabiliti. L’eterogeneità delle esperienze e degli
individui è il punto di forza dell’intervista a osservatori privilegiati e consente al
ricercatore di analizzare le sfumature che un’indagine quantitativa non registrerebbe27;
inoltre è la metodologia più adatta ad analizzare il punto di vista degli attori coinvolti in un
processo produttivo complesso come quello televisivo.
I contenuti delle interviste tenderanno a determinare il punto di vista dei soggetti circa i
temi entro i quali sono stati suddivisi gli argomenti, e i risultati consentiranno di descrivere
esperienze professionali e concezioni personali dei soggetti coinvolti, aumentando le
possibilità di comprendere fenomeni complessi come quello della creazione di
rappresentazioni della scienza, del rapporto tra senso comune e discorso scientifico nella
diffusione della scienza, della percezione del pubblico da parte di professionisti della
comunicazione e della loro percezione riguardo il proprio ruolo sociale. Gli argomenti:
22 Ci si riferisce al concetto di focused interview avanzato da R.K. Merton, cfr. nota 25 23 Corbetta P., Metodologia e tecniche della ricerca sociale, il Mulino, Bologna 1999, p. 406 24 Ibidem 25 Merton R.K et al., The focused interview, Free Press, New York 1956 26 Phillips B.S., Social research. Strategy and tactics, Mac Millan, New York 1971, trad. it. Metodologia della ricerca sociale, il Mulino, Bologna 1972, pp. 191-192 27 Corbetta P., Metodologia e tecniche della ricerca sociale, pp. 420-421
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La scienza
definizioni di scienza e divulgazione
rappresentazione della scienza in tv
rappresentazione delle differenze
La televisione
definizione di tv
cosa si può raccontare
cosa si dovrebbe raccontare
cosa si racconta
Il pubblico
spettatore modello vs. omnibus
grado di assimilazione e soddisfacimento
delle retroazioni del pubblico
La produzione
selezione degli argomenti
selezione, produzione, pianificazione dei
documentari
proporzione e giustapposizione degli
argomenti selezionati
La credibilità
selezione delle fonti
proporzione tra fonti scientifiche, didattiche,
informative, divulgative e di finzione
patto che lega tv, conduttore e pubblico:
fiducia e credibilità
I linguaggi
rapporto tra parole e immagini
traduzione o descrizione
in che modo la scienza diventa racconto
L’autopercezione
il divulgatore: dalla parte della scienza o del
pubblico
programma migliore e programma peggiore
Domande generali
il futuro della scienza
il futuro della divulgazione
per lavorare in questo campo è meglio una laurea
in Astrofisica o in Scienze della Comunicazione
Gli osservatori privilegiati svolgono ruoli dicersi nella produzione di SuperQuark, Rai 1:
Monica Giorgi Rossi (produttrice), Laura Falavolti (curatrice), Giovanni Carrada (autore),
Giangi Poli (redattore scientifico), Piero Angela (ideatore e conduttore).
1.2 - La mappa della divulgazione televisiva. Sfere d’azione delle trasmissioni di
comunicazione scientifica in Italia.
Si può ipotizzare una ricostruzione del posizionamento delle trasmissioni al fine di
tracciare il panorama entro cui la televisione rappresenta la scienza. Per effettuare una
tassonomia delle trasmissioni in onda negli ultimi anni si può attualizzare uno schema
7
tracciato da Paolo Braga28 a partire da una divisione in categorie di Andrea Cerroni29
ideata in origine per analizzare la fenomenologia del rischio e attualizzato per quanto
riguarda le trasmissioni degli ultimi anni, anche considerando eventuali cambiamenti
nell’esposizione e nella selezione dei contenuti. La coordinata fondamentale di
posizionamento dei testi è la “responsabilizzazione” rispetto alla scienza intesa come
fenomeno complesso. Questa istanza si concretizza quando:
i) i programmi inducono l’audience ad una autopercezione di consapevolezza dei
paradigmi disponibili per spiegare le problematiche trattate;
ii) quando è evidente nella rappresentazione che la ricerca non è immune da influenze
sociali, geografiche e politiche;
iii) quando si propongono criteri e si forniscono strumenti per partecipare al dibattito
pubblico in una prospettiva storicamente e antropologicamente attendibile30. L’istanza
della responsabilizzazione resta inevasa quando la comunicazione scientifica in televisione
non riesce, almeno in misura accettabile, a colmare la distanza tra pubblico e scienza.
Questo divario permette ugualmente al fruitore di stupirsi, di intrattenersi, di pensare, ma
in modo passivo, intendendo la scienza come prassi inevitabilmente delegata ai tecnici31.
L’autopercezione di responsabilità interessa sfere e dimensioni diverse:
i) il proprio corpo
ii) i consociati, ovvero i legami affettivi più forti identificabili con famiglia e amici
iii) i contemporanei: bambini, anziani, popoli del mondo
iv) i successori, ovvero le prossime generazioni
v) l’ambiente. In senso lato la Terra.
28 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, in Bettetini, G., Braga, P., Fumagalli, A. (a cura di), Le logiche della televisione, Franco Angeli, Milano 2004, p. 198 29 Cerroni A. et al., “Biotecnologia e opinione pubblica. Una ricerca sulla percezione della scienza in Italia”, Sociologia e Ricerca Sociale, 67, 2002, pp. 117-142 30 Braga P, La divulgazione scientifica in televisione, p. 196 31 Ibidem
8
Figura 1 - L'offerta divulgativa e i suoi contenuti.
Le trasmissioni di comunicazione medica, dunque, sono più pertinenti alla prima sfera,
mentre quelle di stampo ambientalista, ad esempio, o di etologia sono più vicine alla
quinta. In altri termini le fasce dello spettro (figura 1) sintetizzano le aree di
responsabilizzazione in rapporto alla scienza che possono essere attivate da una
trasmissione in virtù degli argomenti di cui si occupa abitualmente. Oltre alla dimensione
concettuale del posizionamento dei programmi all’interno dello schema va considerata
anche quella emotiva, estremamente importante in televisione. Strategie di coinvolgimento
9
e gestione dei filmati determinano il tipo di conduzione delle trasmissioni32 che possono
essere molto diverse dal punto di vista emotivo mentre le forme espositive della
divulgazione odierna non differiscono molto dal modello edutainment-infotainment,
entrambi generi che si basano sulla personalizzazione del conduttore. Il conduttore nel
microcosmo della trasmissione televisiva rappresenta il volto della scienza33 e funge da
raccordo tra tutti gli elementi del programma, tra gli esperti, il pubblico e gli ‘altrove’
rappresentati dai filmati e dai collegamenti esterni. La trasmissione può puntare sull’azione
coinvolgente: “di fronte a un conduttore che si lancia nella dimostrazione del prototipo di
galleria del vento e poi della mansuetudine di un raro felino del Borneo allo stato brado, di
fronte a quello che si collega con un ospedale per mostrare come ci si sottopone ad una
terapia, lo spettatore vive il dato scientifico come compatibile con la sua quotidianità”34.
Scienza come esperienza possibile. Nel caso, invece, in cui la scienza viene confezionata e
presentata in prospettiva, orientata al futuro, con enfasi per i passi compiuti dalla scienza,
in contrasto con il senso di chiusura e sicurezza dello studio, da dove il conduttore “si
trova per aprire finestre su fenomeni planetari, animali o vegetali, allora lo spettatore vive
la divulgazione come esperienza strettamente televisiva, […] opportunità di distensione
che può consistere in una parentesi per farsi un’idea approssimativa della propria funzione
nell’ordine cosmico, o nel genuino godimento dello spettacolo che dal cosmo è offerto ”.35
La convergenza degli spicchi verso la parte alta dell’immagine suggerisce l’ideale di
responsabilizzazione cui il divulgatore dovrebbe puntare. L’attivazione di una porzione di
questo schema da parte di una trasmissione, dunque, dipende principalmente dagli ambiti
di interesse frequentati (gli estremi: corpo e ambiente), il modo di presentazione
(tensione/distensione), la volontà di fornire degli strumenti concettuali per il dibattito
pubblico (responsabilizzazione).
1.3 - Il conduttore
Gli stili di conduzione delle trasmissioni di divulgazione sono diversi e producono
percezioni della scienza e tipologie di informazioni volte a integrare le conoscenze di
fondo del pubblico di riferimento in modo differente l’uno dall’altro. La tendenza
32 Semprini A., Analizzare la comunicazione. Come analizzare la pubblicità, le immagini, i media, Franco Angeli, Milano, 1997, pp. 257-264 33 Braga P, La divulgazione scientifica in televisione, p. 197 34 Ibidem
10
personalizzante della televisione italiana si manifesta al meglio nei programmi di
divulgazione scientifica: sono infatti pochissimi gli esempi di programmi di genere non
incentrati sulla figura del conduttore. Il ruolo del conduttore è cruciale per diversi aspetti.
Infatti egli rappresenta il garante del patto di veridizione che lega fruitore ed emittente:
questo gli permette di essere credibile sia come mediatore, ospite degli esperti, sia come
enunciatore. Inoltre lo stile di conduzione contribuisce con decisione alla costruzione della
rappresentazione della scienza veicolata al fruitore. Infatti il conduttore si può dire che
incarni l’immagine della scienza che presenta, e per questo è utile definire i modi
attraverso i quali il personaggio del conduttore, foriero anche dei tratti distintivi della rete,
rappresenta la scienza.
1.3.1 - Il cultore e il militante
Il conduttore che si rifà allo stile detto del “cultore della disciplina”36 è come un custode
della scienza con licenza di diffusione. Lo spettatore è emotivamente libero rispetto
all’impegno intellettuale da assumere di fronte ai contenuti. Senza enfasi il conduttore
presenta i vari temi con tono pacato e ritmo espositivo regolare. La tranquillità con cui il
conduttore sdrammatizza con partecipazione quasi divertita alla probabile sorpresa del
pubblico sottolinea la necessità della divulgazione di stupire e tranquillizzare37. La ricerca
viene vista come un’impresa umana collettiva in cui lo studioso sembra alleggerito da
radicalismi e difficoltà di finanziamento. Il metodo scientifico, in questa rappresentazione
della scienza, invita alla pazienza fiduciosa radicata nel concetto di progresso come
crescita collettiva per prove ed errori, e il laboratorio è sua icona e simulacro. Questo stile
di conduzione include nello stesso raggio della selezione naturale mondo culturale e
mondo naturale: “[l’evoluzione] suggerisce al singolo una benevola adeguazione a quanto
può risultare spiacevole, tanto più che, comprendendone i principi, risulterà molto più
accettabile. […] Un taglio riduzionistico avvertibile, mimetizzato da un’eleganza di
eloquio un poco algida”38 suggerisce la corretta distanza dalla quale osservare i fenomeni,
ovvero con coinvolgimento intellettuale e distacco emotivo. In quest’ottica, ad esempio, è
35 Ibidem 36 Si prende spunto dall’analisi di Paolo Braga contenuta in La divulgazione scientifica in televisione, pp. 198-206 37 Angela P., La divulgazione scientifica in televisione, in Bettetini G.F., Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988, pp. 511-516
11
del tutto lecito, e televisivamente efficace, trattare un tema come quello dell’amore dal
punto di vista etologico usando strumenti come la neuropsicologia e paragonando
l’innamoramento ai comportamenti ossessivi compulsivi come avvenuto in una puntata
monografica di Quark del febbraio 2002.39
La rappresentazione della parte pratica degli argomenti, soprattutto per ciò che riguarda
l’uomo e le passate civiltà, vivacizza le trasmissioni, attribuendo un fascino maggiore alla
laboriosità, all’ingegno, al ciclo perpetuo della civiltà umana più che ai valori in sé. In
conclusione, lo stile del “cultore della disciplina” è identificabile nelle trasmissioni di
Piero Angela.
Se nello stile precedentemente analizzato il conduttore, custode e ambasciatore della
scienza, è gratificato dal suo stesso sapere tanto che la causa scientifica non ha bisogno di
presentazioni, parla da sé, e viene offerta con garbo al pubblico, nella divulgazione “di
prima linea”, dove emerge il ruolo del conduttore “militante”, la scienza “deve” essere per
tutti. L’eterogeneità degli ospiti in studio di alcune trasmissioni dimostra questa volontà di
produrre discorso scientifico popolare e fruibile allo stesso modo da tutti. Il conduttore
riserva le attenzioni migliori per gli iniziandi che trovano finalmente un luogo che gli
permette un contatto con l’esperto di qualche tema. Lo spettatore è emotivamente meno
libero rispetto allo stile precedente dato che il suo disimpegno non è scusabile: l’obiettivo
della trasmissione è quello di rispondere agli interrogativi che si pongono tutti. Oltre
all’arricchimento, forse più nozionistico che culturale, la gratificazione maggiore per lo
spettatore è quella rappresentata dalle nuove frontiere del documentario scientifico.
In queste produzioni di vertice la scienza appare frantumata in una molteplicità di set
documentaristici ai quali è merito dell’impegno editoriale del programma portare
audience, non dissimulando assolutamente lo sforzo, che, anzi, viene spesso enfatizzato.
La scienza come oggetto fruibile, esperienza emotiva e, in ultima istanza, culturale,
determina un’idea di progresso ingenua e spettacolare che concedere alla televisione di
sfruttare al massimo le sue potenzialità di intrattenimento. Questo stile è ravvisabile in
programmi come La Maccina del Tempo di Cecchi Paone.
38 Braga P, La divulgazione scientifica in televisione, p. 199 39 Ibidem
12
1.3.2 - L’ingenuo e l’umanizzante
Quando il conduttore adotta uno stile ingenuo le dinamiche di partecipazione del
pubblico si modificano sensibilmente. Il conduttore denuncia con modestia la propria
inesperienza di divulgatore, e questa funge da leva per ottenere la familiarità del pubblico.
Lo spettatore condivide col presentatore l’apertura di nuovi orizzonti dovuta alla visione
dei filmati o alla conversazione con gli esperti: è un rapporto paritario in cui il conduttore
non basa il suo agire sull’autorevolezza del suo ruolo, diversamente dai primi due stili
analizzati, ma sulla comune curiosità che unisce idealmente i fruitori di divulgazione, che
in questo contesto espositivo devono preferire la chiarezza espositiva alla certificazione del
sapere. Questo avvicinamento del conduttore con il lay public fa allontanare il mondo della
scienza dal pubblico. Ne scaturiscono delle rapide incursioni nel mondo della scienza a
cavallo tra cronaca e suggestione che implicitamente confortano lo spettatore: scienziati e
tecnici in tutte le parti del mondo stanno risolvendo i problemi di tutti. Questo è il caso, ad
esempio, di Sfera su La 7, condotto da Andrea Monti.
Lo stile “umanizzante” richiede un conduttore di cultura classica, che sa citare le
massime latine e greche e ha alle spalle una formazione non esclusivamente scientifica. Al
tempo stesso si richiede al conduttore di nobilitare col suo savoir faire le infiltrazioni nel
discorso scientifico del senso comune da parte degli ospiti. Mentre lo specialista illustre
usa registri e linguaggi congrui alla sua figura professionale nel descrivere gli ultimi
ritrovati della ricerca medica, al conduttore spetta dichiarare sintomi fastidiosi e cercare
conferme e smentite per i “sentito dire” in fatto di pratiche terapeutiche, scherzare sulla
paura scaramantica del profano di fronte al medico, parafrasare la conferenza specialistica
in chiacchiera salottiera da talk show. È la formula di Elisir e di Michele Mirabella. È da
notare come nell’edizione 2006 gli esperti appaiano più disinvolti, usando un linguaggio
analogico e metaforico.
1.3.3 - Il giornalista e l’entusiasta
Quando la trasmissione non ha intenzione di attuare strategie di personalizzazione il
divulgatore può vestire con successo i panni del giornalista, mutuando dal rispetto severo
della sua deontologia professionale l’autorevolezza necessaria alla divulgazione. Il rigore
13
formale dei registri espressivi si nota sia nel rapporto col pubblico che percepisce la natura
“di servizio” di questo tipo di trasmissioni, sia nel rapporto con gli esperti, trattati con
sussiego dato che sono la fonte delle informazioni che mettono in moto la macchina del
programma. Il divulgatore qui prende la forma tradizionale e forse superata del mediatore
che si prende l’impegno di tradurre conoscenza specifica certificata dall’autorevolezza
dell’esperto in conoscenza pratica e subito spendibile dal pubblico. Le trasmissione che
fanno divulgazione attraverso il giornalismo “di servizio” non lasciano nulla allo
spettacolo; inoltre, offrendo strumenti informativi utili al fruitore, configurano i flussi di
comunicazione in maniera didascalica, ovvero gli esperti parlano ex cathedra e il
conduttore media le conoscenze per il pubblico che le assimila. È lo stile di Check Up
(Livia Azzariti) e di Medicina 33 (Luciano Onder).
Lo stile “entusiasta” è frequente quando la scienza non catalizza l’attenzione in quanto
tale ma è la chiave per analizzare i mirabili equilibri della natura: non l’uomo che si
confronta con il cosmo e con le leggi della fisica, ma la natura che si manifesta con
grandezza. La scienza fornisce gli strumenti adatti per apprezzare l’apparente immobilità
di microcosmi diversi che non vanno cercati necessariamente in altri continenti: anche
l’ambiente urbano è un microcosmo brulicante di flora e fauna insospettabili; l’animale
domestico è uno scrigno di curiosità millenarie; la possibilità di un’emergenza nucleare
induce a cercare di capire quali sono le funzioni di una centrale energetica, a sapere cosa
successe a Hiroshima e Nagasaki e a Chernobyl, come bisogna comportarsi in situazioni di
panico. Il conduttore indossa i panni sportivamente silvestri dell’ambientalista di lungo
corso nelle riprese esterne, mentre quando è in studio emerge la sua natura di ricercatore,
di studioso, di appassionato. Le riprese esterne rappresentano il nocciolo del programma, e
vengono accompagnate dalle descrizioni euforiche e incalzanti del conduttore che
producono l’effetto di raccontare allo spettatore eventi che sembrano inaspettati. È una
delle caratteristiche di Gaia di Mario Tozzi40, che veste sia i panni del ricercatore che di
ambientalista sensibile ai grandi temi dell’ambiente come il riscaldamento del globo e le
energie alternative.
40 Mario Tozzi è primo ricercatore al CNR
14
1.3.4 - La vestale e l’evocatore
La versione femminile dello stile precedente è ha come protagonista la conduttrice
“vestale” che adotta uno stile giovanile, solare e pacatamente alternativo: i timori ragionati
per l’ambiente sono sostituiti da interesse e passione. La passione per la natura e per gli
argomenti trattati supera l’interesse scientifico e il contenuto informativo del programma.
Questa “divulgazione emotiva” mescola le gerarchie di expertise degli ospiti tanto che è
plausibile che un primatologo e l’impiegato di un canile trattino dello stesso argomento. Il
setting traduce questa serenità emotiva, che non richiede particolari sforzi intellettuali per
assimilare il basso contenuto informativo, in paesaggi tranquilli e in forme di affettuosa
empatia, più infantile che materna, nei confronti di cuccioli e animali domestici. Tra
esotismo da villaggio vacanze e ambientalismo romantico si collocano le trasmissioni
come Alle falde del Kilimangiaro e Il pianeta delle meraviglie di Licia Colò.
La periferia oscura della divulgazione scientifica è il regno del divulgatore ‘evocatore’.
Promette di condurre gli spettatori “ai confini della conoscenza”41 attraverso il suo sguardo
magnetico e l’eloquio profetico. Alla dietrologia dell’irrisolto si applica l’etichetta della
divulgazione con l’implicita convinzione che ci sia un complotto mondiale per insabbiare
le questioni irrisolte dell’umanità. Galileo e Nostradamus spesso sembrano complementari,
e l’agenda della scienza viene influenzata dalla fiction dato che il fortunato libro di Dan
Brown Il codice Da Vinci è l’ispiratore di tutta la serie di Voyager del 2005. Templari e
Santo Graal sono gli argomenti preferiti di Voyager, tra fantastoria e fiction in forma di
detective-story, mentre Stargate (La 7) ha una predilezione per i misteri dell’antichità.
41 Ci si riferisce al titolo completo della trasmissione: Voyager, ai confini della conoscenza. Se ne parla più approfonditamente nel paragrafo 5.4.2
15
Capitolo 2 - I modelli della comunicazione scientifica pubblica
Il processi di professionalizzazione, emancipazione e continua specializzazione della
scienza sono stati accompagnati dall’ampliamento dei pubblici che possono essere
raggiunti dalla comunicazione scientifica42. Questi processi hanno dato l’opportunità alla
divulgazione scientifica di far nascere molteplici forme deputate a trasmettere conoscenze
altrimenti inaccessibili o impenetrabili in ambi settori del pubblico43.
I modelli di comunicazione della scienza sono diversi e nascono all’esigenza di tenere
conto da una parte dei processi di differenziazione delle comunità scientifiche e dall’altra
dello sviluppo del sistema dei media e dalla capacità di questi di agire sulla percezione
della realtà. La concezione che ha ispirato i primi modelli, detta canonica44, considera la
divulgazione come un trasferimento mediato delle conoscenze mentre modelli come quello
della continuità45 riescono a tenere conto di problematiche più complesse che sottostanno
alla comunicazione scientifica pubblica.
2.1 - I flussi della comunicazione
L’analisi dei flussi della comunicazione nella divulgazione scientifica parte dal
presupposto che la caratteristica più rilevante della comunicazione pubblica della scienza è
la centralità del sistema dei media, e fornisce strumenti utili per analizzare la
rappresentazione della scienza in televisione. La comunicazione scientifica porta
nell’arena pubblica “i principi chiave della conoscenza scientifica e cioè concetti ad alta
valenza disciplinare e transdisciplinare, utili non solo a consentire la
traduzione/descrizione del sapere già accumulato, ma anche alla delimitazione di nuove
42 Bucchi M., Science and the media, Routledge, London-New York 1998, trad. it. La scienza in pubblico, Mc Graw-Hill, Milano 2000, p. 1 43 Shapin S., “Science and the public”, Companion to the History of Modern Science, Routledge, London 1990, p. 1001 44 Il termine ‘concezione canonica’ è stato avanzato da Shapin, mentre altri studiosi hanno introdotto i concetti di ‘visione dominante’ (Hilgartner S., “The dominant view of popularisation”, Social Studies of Science, 20, 1990, pp. 519-539), di ‘modello di divulgazione’ (Väliverronen E., “Science and the media: changing relations”, Science Studies, 2, 1993, pp. 23-34) e ‘di modello di diffusione’ (Cooter R., Pumfrey S., “Science in popular culture”, History of Science, 32/3, 1994, pp. 237-267) 45 Bucchi M., “When scientists turn to the public: alternative routes in science communication”, Public Understanding of Science, 5, 1996, pp. 375–394. p. 387
16
aree di ignoranza e la costruzione di una nuova conoscenza, anche specializzata”46. In
particolare il mezzo televisivo viene considerato una fonte di conoscenza anche per gli
scienziati stessi, rifiutando l’idea che il trasferimento di conoscenza al pubblico avvenga
attraverso un percorso lineare esclusivamente top-down: “la divulgazione influenza le
traiettorie cognitive degli specialisti e di qui anche la produzione tecnico-scientifica,
venedo così a riscattarsi da quella connotazione sostanzialmente derogatoria che da alcuni
ricercatori le viene attribuita”47. Flussi comunicativi complessi, caratterizzati da molteplici
attori, pubblici diversi e processi di feedback evidenziano quanto sia necessaria
un’integrazione tra modelli cognitivi e massmediatici. Ciò induce a pensare che ragione
scientifica e senso comune non appartengono a domini della conoscenza qualitativamente
diversi. Nonostante la divulgazione abbia la finalità manifesta di ridurre la complessità del
sapere scientifico per permetterne la fruizione anche a un pubblico di non esperti ci
possono essere gradi diversi di semplificazione per “provvedere ad aperture verso altri
approcci o universi di discorso, con il necessario contorno di mediazioni retoriche di vario
genere”48.
È possibile individuare finalità ed effetti della comunicazione scientifica pubblica. Tra le
funzioni manifeste della divulgazione spiccano la volontà di aggiornamento delle
conoscenze e di diffusione di un’informazione critica. Le funzioni latenti invece derivano
dalle pratiche comunicative e sono ad esempio la legittimazione del sapere scientifico-
tecnologico, l’integrazione tramite i media di rappresentazioni del mondo altrimenti
contrastanti, la socializzazione ai valori della scienza, l’influenza sull’agenda setting e
l’influenza di questa nella selezione dei topics.
Il sistema dei media stabilisce pubblico di riferimento, temi, stili e linguaggi, grado di
approfondimento, in un certo senso marginalizzando i produttore di conoscenza,
“assegnando loro soprattutto il ruolo di asseveratori di affermazioni proposte dai media
stessi”.49
Inoltre una corretta divulgazione dovrebbe rappresentare la scienza usando diverse
risoluzioni, anche se la rappresentabilità televisiva della scienza come processo
sperimentale di costruzione del sapere è nettamente inferiore a quella della scienza come
prodotto. La vocazione didascalica della televisione italiana del monopolio e la sua
46 Cannavò L. (a cura di) La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, p. 23 47 Ibidem, p.24 48 Ibidem, p. 25 49 Ibidem, p. 33
17
rappresentazione della scienza come “radiofonia educativa con contorno di immagini”50 ha
impedito per molto tempo un uso più articolato del linguaggio televisivo, “che propone
un’appercezione gestaltica che costituisce un priming, una vera e propria inizializzazione,
un effetto alone cognitivo sul processo di decodifica e sulla complessiva valutazione del
messaggio”51 e avrebbe le potenzialità espressive per rappresentare la scienza anche come
processo, ricerca, prove ed errori.
2.1.1 - Tra divulgazione e comunicazione scientifica pubblica
In base al pubblico di riferimento e al livello delle sue conoscenze di sfondo la
comunicazione scientifica pubblica può prendere diverse forme, a partire dal trasferimento
di conoscenze della comunicazione infraspecialistica, che viene reso ancora più difficile in
quella interspecialistica dove alcuni concetti, terminologie, procedure empirico-
sperimentali possono essere sensibilmente diversi tra le varie discipline. In questi casi si
innescano meccanismi di traduzione semantica per analogia, che si dimostrano più fluidi se
c’è una distanza ridotta tra emittente e ricevente, dove la lontananza è determinata dalle
differenze teoriche e pratiche delle discipline più che dal campo di ricerca. Infatti nella
traduzione di conoscenze notiamo che c’è minore distanza concettuale, terminologica ed
empirico-procedurale tra geotecnica e geofisica piuttosto che tra geofisica e biofisica. Con
un pubblico non scientifico per cui la traduzione analogica non ha possibilità di successo si
innescano dinamiche di traduzione parafrastica per metafora, dove la metafora implicata,
non necessariamente di senso comune, permetterà la comunicazione scientifica pubblica
nel caso dell’audience di elevato grado di istruzione ma estranea al contesto semantico e
pragmatico della ricerca scientifico-tecnologica. Al diminuire del livello di istruzione del
fruitore si configurano strategie di semplificazione che vanno dalla riduzione alla
banalizzazione, che possono condurre ad un indebolimento del significato in un contesto
espositivo di vera e propria volgarizzazione del sapere52.
Si può rappresentare il modello di Cannavò con lo schema riprodotto nella figura 2.53 Il
processo di trasferimento dei contenuti simbolici è bidirezionale e intervengono nella
50 Angela, P., Raccontare la scienza (intervista a cura di Giuseppe Ferrari), Pratiche, Torino 1987, p. 44 51 Cannavò L. (a cura di) La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, p. 37 52 Ibidem, p. 34 53 Legenda: E: emittente, R: ricevente, p: processo comunicativo, C: capacità di decodifica del ricevente, K: complessità simbolica del messaggio trasmesso, D: distanza comunicativa e gradi di affinità semantica, F: sistemi che fungono da filtro
18
comunicazione forme di sapere specializzato, il sistema dei media, tratti caratteristici dei
mezzi di comunicazione, gruppi sociali, politici e professionali. I filtri possono agire con
spessori ed estensioni differenti, consentendo senza alterazioni il flusso comunicativo
operando come interfaccia diffusori o connotare il messaggio fino a distorcerlo in modo
che venga percepito erroneamente dal pubblico di riferimento o addirittura da un’audience
imprevista.
Figura 2 - Il modello di Cannavò per la comunicazione scientifica pubblica
Il processo può essere caratterizzato da dislivelli comunicativi, filtri, particolari processi
come quello di spettacolarizzazione. Si notano due elementi tipici della divulgazione
televisiva: spettacolarizzazione della narrazione e personalizzazione dei contesti espositivi.
Lo slittamento dell’uso della spettacolarizzazione da mezzo per la rappresentazione dei
contenuti a fine su cui incentrare la comunicazione è un aspetto peculiare della
neotelevisione, una tendenza a cui la divulgazione non è immune. Questo tipo di
rappresentazione della conoscenza pone i contenuti a un grado elevato di appetibilità
suscitando interesse. Tra le conseguenze si nota il prevalere di modalità comunicative
basate sulla percezione visiva, che può essere letto come una tendenza
all’ipersemplificazione, come se si ritenessero scientificamente rilevanti solo i fenomeni
visivamente percepibili. Questo aspetto inoltre favorisce un uso distorto della
comunicazione volto alla costruzione di immagini mentali coerenti con il paradigma
19
cognitivo che l’emittente vuole diffondere con l’effetto di valorizzare implicitamente
un’immagine della scienza vista “come impresa prometeica, sciamanica eppure
rassicurante, che semplifica non il contesto ma il messaggio stesso”.54
Il secondo aspetto peculiare è rappresentato dalla personalizzazione dei contesti
espositivi, “per cui in televisione non viene rappresentata la scienza ma lo scienziato, non
l’esperienza ma l’esperto”.55 La personalizzazione della comunicazione scientifica in
televisione ha il vantaggio di ridurre la distanza tra emittente e destinatario favorendo la
comprensione da parte del pubblico attraverso la creazione di una interazione impersonale.
2.2 - La semplificazione
L’opinione pubblica è senza dubbio una risorsa per la scienza. Il suo ruolo è destinato a
crescere non solo per le immediate implicazioni etiche della ricerca in campo genetico, ma
anche per l’assetto maturato dal sistema-scienza nel suo complesso. Il quadro d’insieme è
oggi interpretabile sotto il segno del tramonto della Big Science56: il finanziamento
pubblico viene sostituito da quello privato, la ricerca applicata, instradata verso prodotti e
soluzioni tecnologiche di profitto immediato supera la ricerca pura. Sia gli istituti di
ricerca che i dipartimenti universitari assumono un’ottica ‘post-accademica’
conformandosi alle attese di applicabilità a breve termine dei risultati. Questo cambio di
scenario necessita di strumenti diversi dal modello della diffusione della comunicazione
scientifica pubblica, in quanto spesso vengono effettuate dagli scienziati delle deviazioni
rispetto ai flussi comunicativi tradizionali nel tentativo di imporre all’attenzione dei media
le loro scoperte al fine di ottenere visibilità e finanziamenti da una parte, e di essere tutelati
da plagi e anticipazioni con maggiore efficacia rispetto ai tempi e ai modi del peer-
reviewing tradizionale. In questo modo gli addetti ai lavori sono contemporaneamente
raggiunti da una notizia che impone al dibattito una linea di ricerca, mentre l’opinione
pubblica tributa interesse a questo argomento che guadagna il vertice delle priorità circa,
ad esempio, la speranza di miglioramento della qualità della vita. A questo punto possono
entrare in gioco soggetti politici e istituzionali che stimolati dal battage informativo
intravedono possibilità di migliorare la propria immagine e incrementare il proprio
54 Cannavò, L., Babele e la scatola magica, in Cannavò L. (a cura di), La scienza in Tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995, p. 40 55 Ibidem
20
consenso legando il proprio nome a tali istanze attraverso il finanziamento. All’interno di
tale scenario la televisione agisce per quella che è: “un impareggiabile amministratrice
della visibilità sociale”57. Infatti la televisione dà prova di essere una potente leva sociale
ed economica anche per la comunicazione scientifica: la notizia di un passo avanti della
genetica nei titoli dei telegiornali può fruttare alla società responsabile guadagni strepitosi
in tempi brevissimi.58
.
Hilgartner sostiene che spesso la divulgazione si basa su una iper-semplificazione del
discorso scientifico, che però serve alla scienza come risorsa per costruire un repertorio di
modalità espressive nel dibattito pubblico, strumenti per educare alla scienza e favorire la
crescita di experitise. Genuine Science vs. Popularisation; Simplification vs. Distortion
(Pollution). Sono queste le coordinate entro cui si muove la rappresentazione televisiva
della scienza che è inevitabilmente semplificata:
“The culturally-dominant view of the popularisation of science is rooted in the idealised notion of pure, genuine scientific knowledge against which popularised knowledge is contrasted. A two-stage model is assumed: first, scientists develop genuine scientific knowledge; subsequently, popularisers disseminate simplified accounts to the public. Moreover, the dominant view holds that any differences between genuine and popularised science must be caused by ‘distortion’ or ‘degradation’ of the original truths”.
[Hilgartner59 1990: 519]
La ‘visione dominante’ si basa sul fatto che c’è sempre perdita di genuinità della scienza
nella divulgazione, che nel migliore dei casi è semplificazione delle verità originali, nella
peggiore delle ipotesi è distorsione, inquinamento. Nascono quindi vocabolari di non
scienza per spiegare la scienza, contaminazioni di conoscenza genuina e semplificata. La
divulgazione si avvicina soltanto alla conoscenza effettiva, oggettiva, e certificata. Anche i
politici e il pubblico fruiscono di una versione semplificata della scienza ed è il mondo
della scienza a indicare quali semplificazioni sono appropriate. Gli scienziati usano questo
56 Greco P., “La comunicazione nell’era post-accademica della scienza”, Jekyll.comm International Journal of Science Communication I, http://jekyll.sissa.it, 2002 57 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 175 58 Ci si riferisce all’episodio riportato da Luigi Bianco nel dossier del 2002 dell’Osservatorio TuttiMedia Scienza e mass media di Giovanni Giovannini e Maria Pia Rossignaud consultabile sul sito www.ossevatoriotuttimedia.org, secondo il quale l’azienda che detiene i diritti della clonazione della pecora Dolly abbia diffuso la notizia di essere in grado di riportare indietro l’orologio cellulare fino allo stadio staminale per la trasformazione in cellule cardiache di cellule di altro tipo, notizia alla quale è seguito un rialzo dell’11% delle azioni in un giorno. Il comunicato stampa, però, non è mai stato seguito da alcuna pubblicazione in materia 59 Hilgartner S., The dominant view of popularisation, p. 519
21
potere per applicare l’autorità dei simboli culturali ‘scienza’ o ‘distorsione’ alle
semplificazioni che ritengono opportune.
Un caso portato alla luce da Hilgartner mostra l’uso fatto dai media di un articolo di due
oncologi, R. Doll e R. Peto60 per non esperti sulla ricerca sul cancro e le relazioni tra
l’incidenza della malattia e l’alimentazione. Hilgartner dimostra che una comunicazione
scientifica con intenti divulgativi, anche se rivolta a un pubblico estremamente motivato e
non digiuno di nozioni mediche e scientifiche, è soggetta a causa di continue
semplificazioni e selezioni da parte dei media a una perdita progressiva di significato.
Infine, un articolo scientifico che viene rappresentato dai mass media tende a perdere le
indicazioni degli autori sulla precisione e l’uso dei risultati; inoltre vengono amplificati
solo alcuni aspetti ritenuti significativi da giornali e televisione; i numeri tendono a
prendere il sopravvento sulle considerazioni degli scienziati.
Infatti ogni riscrittura opera come una trasformazione quasi sempre semplificativa.
Chiaramente dipende dal contesto e da fruitore, certo però che nella riformulazione della
ricerca di Doll e Peto si notano slittamenti di significato: stima diventa scoperta,
ricercatori diventano famosi scienziati inglesi.
Questi sono i limiti della ‘visione dominante’ nell’analisi della comunicazione di
carattere scientifico, ma è molto utile come strumento politico. Questa teoria stabilisce che
la scienza reale è prerogativa solamente degli scienziati, che però sono dotati di un
repertorio di strumenti concettuali e retorici per fornire rappresentazioni della scienza al
pubblico. Questo potere viene esercitato autonomamente dagli scienziati, sia nel processo
di divulgazione che in quello di asseverazione della conoscenze, spesso in maniera non
neutra61. Spesso gli esperti semplificano la scienza con l’intento di persuadere il pubblico a
supportare il proprio obiettivo, verso l’opinione pubblica, gli investitori, la politica. Inoltre
gli scienziati spesso usano questo potere di asseverazione della scienza divulgata per non
essere danneggiati da situazioni controverse, smentendo la divulgazione e tacciandola di
distorsione: facts vs claims.
In conclusione è possibile affermare che la visione dominante della divulgazione è una
ipersemplificazione che da sola non può fornire un modello circa la diffusione delle
conoscenze scientifiche. Questo perché sono troppo ambigue le categorie genuine science,
popularization, appropriate simplification, distortion. La ricerca spesso si sofferma su
60 Doll R., Peto R., “The cause of cancer. Quantitative estimates of avoidable risks of cancer in the United States Today”, Journal of The National Cancer Institute, vol. 66, n. 6, 1981, pp. 1192-1308
22
cosa determini distorsioni della conoscenza scientifica nella divulgazione. Sarebbe utile
sapere anche che cosa determina l’uso di etichette simbolico concettuali come distorsione e
semplificazione appropriata durante le controversie, e come questo meccanismo mantiene
la gerarchia degli esperti.
In questo senso questa teoria contribuisce a far mantenere agli scienziati l’esclusiva della
genuine science, dei fatti, della conoscenza non mediata. Le etichette ‘semplificazione’ e
‘distorsione’ permettono agli scienziati di garantire o meno nozioni per il pubblico. Il
problema è che spesso il mondo della scienza è diviso al suo interno, e distribuisce queste
etichette in modo diverso, mentre la rappresentazione ideologica fornita dai media vuole
una scienza unanime e concorde sull’applicazione delle etichette di appropriatezza e
inquinamento. Inoltre è impossibile stabilire quali di queste attribuzioni sono fatte per un
motivo politico.
2.2.1- Il modello della diffusione
La comunicazione pubblica della scienza, detta nel linguaggio comune divulgazione
scientifica, negli ultimi anni viene considerata dagli addetti ai lavori non più come una
parte marginale del discorso scientifico, ma ne viene affermata la centralità soprattutto per
due motivi: la scarsa alfabetizzazione scientifica della popolazione e il conseguenze
aumento della distanza tra la scienza e il pubblico da una parte, l’impatto sociale delle
notizie scientifiche sull’immagine e la percezione pubblica della ricerca dall’altra. Senza
dubbio sono numerose le occasioni in cui la scienza è chiamata a comunicare in maniera
efficace a pubblici più o meno vasti, dalle previsioni del tempo alla costituzione di un
museo interattivo sulla scienza alla pubblicazione di notizie su temi di grande richiamo
come clonazione, fecondazione assistita, AIDS.
Da Il neutonianismo per le dame di Francesco Algarotti ad oggi la divulgazione
scientifica è diventata una pratica consolidata soltanto con l’istituzionalizzazione della
ricerca come professione congiuntamente alla diffusione dei mezzi di comunicazione di
massa. Il processo di specializzazione delle discipline scientifiche ha fatto emergere
difficoltà nel trovare linguaggi adatti alla divulgazione di argomenti complessi, soprattutto
con lo sviluppo della fisica ai primi del Novecento che evidenzia un’immagine della
scienza “troppo complicata per essere compresa dal grande pubblico”, a tal punto da far
61 Hilgartner S., The dominant view of popularisation, p. 513
23
esclamare ad Einstein circa la teoria della relatività: “al mondo non ci sono più di una
dozzina di persone in grado di capire la mia teoria” 62.
Questa visione della comunicazione pubblica della scienza implica che i media assolvano
un ruolo di mediazione tra scienza e pubblico per colmare la distanza “attraverso la
metafora della traduzione linguistica”63. Il divulgatore come interprete che traduce
conoscenze complesse in linguaggi accessibili. È però un’ottica troppo semplicista e
idealizzata, che determina una visione “diffusionista” (figura 3) della scienza secondo la
quale la mera diffusione di conoscenza comprensibile per il pubblico corrisponda un
maggiore apprezzamento e sostegno per la ricerca scientifica.
Figura 3 - Il modello della diffusione
Questa tendenza a idealizzare il fatto che gli eventi scientifici hanno solo bisogno di
essere trasportati da un contesto specialistico a uno divulgativo affonda le radici nella
ideologie professionali delle categorie di attori coinvolte. Infatti questo modello da una
parte legittima divulgatori e giornalisti nel loro ruolo di mediatori, dall’altra autorizza gli
scienziati a dichiararsi estranei dai processi di comunicazione pubblica, liberi di
deprecarne errori ed eccessi soprattutto in termini di spettacolarizzazione e distorsione. È
emerso così un orientamento tendente a considerare i media come uno ‘specchio sporco’64
della scienza, una lente opaca incapace di riflettere e filtrare adeguatamente i contenuti
scientifici.
62 Bucchi M., Scienza e società, Bologna, il Mulino 2002, p. 134 63 Ibidem 64 Questa concezione anima studiosi come Grasso e Bettetini nel volume Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva
24
2.2.2 - Giornalisti e mediazione
Sono numerosi gli studi che mettono a confronto temi scientifici e la loro rappresentazione
nei media, anche se quasi esclusivamente dedicati alla stampa. I risultati in genere portano
ad auspicare maggiore accuratezza, a stimolare maggiormente le interazioni tra giornalisti
e specialisti e a ridurre le fonti di disturbo tra queste due categorie. Si sono inoltre
osservate le tendenze dei media a sovrarappresentare alcuni ambiti disciplinari, in
particolare quello biomedico, rispetto ad altri e a dipendere da eventi specifici o da priorità
sociali più che scientifiche, enfatizzando la dimensione del rischio. In un’analisi di lungo
periodo della copertura della stampa popolare americana di malattie infettive come la
difterite, il tifo e la sifilide, Ziporyn65 ha mostrato la maggiore importanza dei valori sociali
rispetto alle scoperte scientifiche nel determinare il carattere di tale copertura. È innegabile
che sia piuttosto raro che una scoperta di matematica raggiunga le prime pagine dei
quotidiani o nei notiziari televisivi; l’ultima eccezione nel dicembre del 2005 è stata la
definizione del numero primo più grande conosciuto, che viene riportata da tutte le agenzie
perché la notizia risponde a criteri di notiziabilità anche televisivi, dato che è circondata da
un alone di curiosità da guinness dei primati e ha delle applicazioni nella tecnologia della
sicurezza dei circuiti bancari, argomento spesso presente nell’agenda dei media. È naturale
infatti che la selezione delle notizie e dei temi sia spesso condizionata dalla presenza di
eventi ‘notiziabili’ o dalla possibilità di legarli ad altri temi non scientifici.
Alla visibilità raggiunta in Italia nel 1996 dall’emergenza della mucca pazza66 ben prima
che si scoprisse alcun caso sul territorio nazionale e dopo undici anni che se ne parlava in
Gran Bretagna ha contribuito la rilevanza attribuita in quel momento dl tema
dell’integrazione europea. Nel 1997 l’annuncio della nascita della pecora clonata Dolly
ricevette per quasi un mese ampia copertura da una stampa già sensibilizzata a temi quali
gli embrioni, la fecondazione in vitro, l’aborto, mentre l’annuncio di tentativi riusciti di
clonazione umana quattro anni prima erano caduti nel vuoto. Per quanto riguarda ciò che
avviene dopo il superamento delle barriere della selezione delle notizie si può notare che
spesso i media scelgono esperti scientifici che non necessariamente sono i più qualificati a
trattare un dato argomento scientifico. Aspetti cruciali nella selezione degli esperti da parte
65 Ziporyn T., Disease in the popular american press. The case of diphteria, typhoid feverand syphilies 1879-1920, Greenwood, New York 1988 66 Bucchi M., Vino, alghe e mucche pazze: la rappresentazione televisiva delle situazioni a rischio, Rai/Eri, Roma 1999
25
di stampa e tv possono essere anche la visibilità del personaggio in ambiti esterni alla
ricerca come divulgazione, politica e tecnica, il fatto che crei interesse dal punto di vista
umano, che sia disponibile a esprimersi su una pluralità di argomenti, che sia facilmente
legittimabile la sua autorità come membro di un istituzione o perché insignito di un
premio.
Tuttavia dalle analisi di lungo periodo sulla stampa non specialistica della copertura di
eventi scientifici è emersa una presentazione dell’attività scientifica come prevalentemente
progressiva e apportatrice di benefici per la società, consensuale, fortemente orientata dalle
fonti specialistiche e spesso neanche troppo distante da loro anche dal punto di vista
linguistico. Numerosi studi hanno evidenziato come i giornalisti che si occupano di scienza
siano sempre più portati a considerare un background scientifico essenziale alla loro
attività. Questi giornalisti considerano la propria professione come un mezzo per
consolidare l’importanza e l’immagine della ricerca scientifica di fronte alla comunità
scientifica. Per questo vi è una netta differenza tra i giornalisti che si occupano dei scienza
nelle rubriche specializzate dei giornali o nelle riviste e nei programmi dedicati alla
divulgazione e i giornalisti a cui capita in certe occasioni di trattare di scienza. Dal punto
di vista dei valori professionali i primi risultano molto più vicini alla comunità scientifica
che al pubblico: vedono la propria “missione professionale” in termini di divulgazione
quando non di vera e propria “educazione” ed elevazione culturale del pubblico. I
giornalisti di informazione invece si considerano portatori dei dubbi e delle esigenze del
pubblico: descrivono i propri obiettivi nei termini dell’esigenza di informazione da parte
dell’opinione pubblica, il che può anche comportare un atteggiamento, tra l’altro legittimo,
di indifferenza nei confronti delle priorità dell’agenda scientifica a scapito della quale
vengono valorizzati altri tipi di criteri di notiziabilità, più squisitamente giornalistici.67
2.2.3 - Il pubblico
La concezione diffusionista della comunicazione scientifica, insieme a un uso
pedagogico e paternalistico dei mezzi di comunicazione di massa e soprattutto di quello
televisivo, ha portato numerosi ricercatori a effettuare ricerche sul pubblico. Avviate negli
anni Cinquanta negli Stati Uniti, a partire dagli anni Ottanta le ricerche sul livello di
interesse del pubblico per informazione scientifica e sul grado di conoscenza in ambito
67 Bucchi M., Scienza e società, pp. 135-137
26
scientifico (public awareness of science) sono divenute comuni in molti paesi. In numerose
occasioni i risultati di queste ricerche sono stati usati per dimostrare uno scarso interesse
per i temi scientifici e un livello troppo basso di alfabetizzazione scientifica (scientific
literacy) al fine di stimolare un miglioramento qualitativo e quantitativo di questo tipo di
comunicazione. Senza dubbio il livello informativo del pubblico lascia molto a desiderare,
bisogna però ammettere che questo approccio è stato sottoposto a numerose critiche.
Spesso gli indicatori usati per stabilire il livello di comprensione dei fatti scientifici
appaiono inefficaci: ad esempio uno studio della National Science Foundation del 1991
sottolineava che solo il 6% degli intervistati era in grado di dare una risposta scientifica
corretta a una domanda sulle cause della pioggia acida, sottostimando il fatto che gli stessi
specialisti si trovino tuttora in forte disaccordo su tali cause68. Altre ricerche hanno
approfondito le diverse articolazioni dell'immagine della scienza presenti nel pubblico: una
percezione dell'astrologia come disciplina scientifica, classificata da numerose indagini
come segno di analfabetismo scientifico, si accompagna spesso a un alto livello di
comprensione della scienza.69
La concezione che abbiamo definito diffusionista inoltre implica che una fruizione
massiccia di informazione scientifica determini un livello elevato di conoscenza e di
comprensione, oltre che un orientamento favorevole nei confronti della ricerca, mentre è
stato dimostrato che in alcuni campi come ad esempio nelle biotecnologie siano presenti
atteggiamenti di scetticismo e diffidenza anche nelle fasce di popolazione più esposte e
informate.70
La disgiunzione tra sapere esperto e sapere laico71 non può essere ridotta a un mero
dislivello informativo tra specialisti e grande pubblico, come secondo il deficit model. La
conoscenza fattuale è solo un aspetto del sapere laico, entro il quale operano diversi fattori
come giudizi di valore e il grado di fiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche che
rendono nel complesso il sapere laico articolato almeno quanto quello specialistico. A
conferma di ciò è utile ricordare che le fonti di cui i cittadini europei si fidano di più per
ottenere informazioni sulle biotecnologie sono organizzazioni ambientalistiche e
associazioni dei consumatori, non i centri di ricerca72. Se un informazione viene percepita
68 Ibidem, p. 138 69 Ibidem 70 Gaskel, G., et al., “Biotechnology in the european public”, Nature Biotechnology, 18, 9, 2000, pp. 935-938 71 Sapere laico è l’espressione più usata dagli studiosi italiani per tradurre il concetto di lay knowledge, conoscenza non specialistica 72 Gaskel, G., et al., Biotechnology in the european public, pp. 935-938
27
dal pubblico come irrilevante o inapplicabile alle proprie esigenze concrete ha un’alta
probabilità di essere ignorata, come ad esempio può avvenire con la rappresentazione del
rischio da parte di esperti medici espressa in termini formali e probabilistici,
contrariamente a una rappresentazione basata sull’esperienza soggettiva.
Un esempio classico di disgiunzione tra sapere esperto e laico è offerto da Brian
Winnie73 circa la cosiddetta crisi delle “pecore radioattive” che investì alcune regioni della
Gran Bretagna nel 1986, in coincidenza con il disastro nucleare di Chernobyl. Le
valutazioni degli esperti scientifici del governo britannico minimizzarono a lungo il rischio
che le greggi di pecore degli allevatori del Cumberland fossero state contaminate dalle
radiazioni, ma tali valutazioni si rivelarono largamente errate, costringendo le istituzioni a
bandire per quasi due anni la vendita e la macellazione di carne ovina nell’area interessata.
Questo nonostante gli allevatori si fossero dimostrati preoccupati dall’inizio sulla base
della loro esperienza diretta costruita sull’esperienza, che il governo britannico non poteva
possedere, riguardo caratteristiche del terreno e del deflusso delle acque. Questa iniziale
discrasia di stime tra una conoscenza specialistica ma probabilistica e formale e una laica
ma diretta portò gli allevatori a perdere fiducia nei confronti degli specialisti, considerando
le loro valutazioni come viziate dalla volontà di mettere a tacere la vicenda74.
Secondo alcuni studiosi gli stessi esperti contribuirebbero alla rappresentazione del
pubblico come analfabeta dal punto di vista scientifico. Nel corso di uno studio condotto
sulla comunicazione tra medici e pazienti in un grande ospedale canadese fu sottoposto un
questionario al fine di saggiare il livello conoscitivo dei pazienti. Contemporaneamente fu
chiesto ai medici di stimare individualmente e per ogni paziente quella stessa conoscenza.
Si ottennero tre risultati molto sorprendenti. Se da un lato il livello conoscitivo dei pazienti
risultava piuttosto alto (75,8% di risposte corrette ai quesiti) meno della metà dei medici
era riuscito a stimare correttamente il livello informativo dei propri pazienti. Il terzo
risultato era che i medici non usavano questa stima per adeguare il proprio linguaggio al
livello di comprensione del paziente. In altri termini è possibile affermare che il fatto di
considerare un paziente in grado di comprendere o meno questioni o termini non portava il
medico a modificare significativamente le proprie modalità espositive.75
73 Winnie B., “Sheepfarming after Chernobyl. A case study in communicating scientific information”, in Environment Magazine, 31, 2, 1989, pp. 361-389 74 Ibidem, p. 389 75 Bucchi M., Scienza e società, pp. 138-9
28
Le rappresentazioni della scienza prodotte dalla comunicazione pubblica della scienza,
dunque, innescano interazioni e retroazioni tra pubblici diversi composti sia da laici, lo
‘scienziato amatore’ di Moscovici, che da esperti, come ipotizzato da Viale che considera
la comunicazione scientifica una sorta di arena pubblica76 come è schematizzato nella
figura 4.
Figura 4 - Il modello di Viale
In alcuni casi è plausibile affermare che la disinformazione del pubblico è una sorta di
‘profezia che si autoadempie’: è l’emittente del messaggio che, considerando il ricevente
privo di competenza, contribuisce a mantenerlo in questo stato non adeguando la codifica
del messaggio alla capacità del ricevente di decodificarlo.
L’enfasi su una concezione diffusionista e lineare della comunicazione scientifica
pubblica è indicata anche dalla scarsa attenzione riservata al ruolo delle immagini della
scienza al di fuori dei contesti informativi e in particolare della fiction. Gli studi effettuati
in quest’area mostrano che queste immagini spesso rivestono un’importanza cruciale nella
percezione pubblica della scienza e dei suoi esponenti. Si pensi al ruolo che opere di
fiction hanno nel sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo temi come l’Aids o il rischio
ambientale. A metà degli anni Novanta, per esempio, il tema dell’origine ereditaria del
cancro al seno divenne particolarmente saliente nel dibattito pubblico inglese anche grazie
al suo trattamento in una popolare soap opera.77
76 Viale R., Il sistema della scienza in Tv, in Cannavò L. (a cura di), La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995, p. 10 77 Henderson, P., Kitzinger, J., The human drama of genetics. ”Hard” and “soft” media representations of inherited breast cancer, Glasgow Media Center, Glaslow 1999, p. 85
29
2.2.4 - Gli scienziati
Qual è invece il ruolo dei ricercatori e come agiscono tra le pratiche discorsive dei
giornalisti e l’incomprensione del pubblico? L’80% dei ricercatori francesi afferma di
avere avuto almeno un’esperienza di divulgazione scientifica sui mezzi di comunicazione
di massa, e quasi un quinto degli articoli su scienza e medicina comparsi negli ultimi
cinquant’anni sul Corriere della sera sono stati firmati da scienziati78. Inoltre gli stessi
ricercatori spiccano spesso tra i fruitori più assidui della copertura della scienza da parte
dei media, a cui attingono per preselezionare nell’enorme massa di pubblicazioni e
ricerche. A conferma di ciò si può citare uno studio di Phillips che afferma che un paper
pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine ha una probabilità tre
volte maggiore di essere citato nella letteratura scientifica se viene citato sul quotidiano
New York Times.79 Il giudizio sintetico che gli stessi scienziati esprimono sulla qualità
della copertura della scienza effettuata dai media che spesso assume marcate connotazioni
negative, diviene nettamente più positivo a livello analitico, ovvero quando vengono
interpellati sulla qualità della copertura di un tema specifico di loro.80
Infine è utile ricordare come la presenza e la visibilità degli scienziati nei media tenda
anch’essa ad avere una struttura piramidale molto simile a quella della distribuzione delle
altre risorse e ricompense nell’ambito della comunità scientifica: un numero estremamente
ridotto di ‘celebrità’ spesso consultate anche su temi al di fuori della scienza, come i premi
Nobel, e un’ampia base di fonti dalla visibilità nulla o assai sporadica.81
2.2.5 - Il modello della continuità e del salvagente (bucato)
L’approccio degli science studies alla comunicazione pubblica della scienza si
caratterizza per una critica netta all’impostazione della concezione tradizionale.82 Il
modello della diffusione che evidenzia la funzione della mediazione tra scienza e pubblico
78 Bucchi, M., Mazzorini, R.G., La scienza nella stampa quotidiana : il caso del Corriere della Sera, 1946-1997, in G. Guizzardi (a cura di), La scienza negoziata. Scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002 79 Phillips, D.M., “Importance of the lay press in the transmission of medical knowledge to the scientific community”, New England Journal of Medicine, 11 ottobre 1991, pp. 1180-1183 80 Hansen, A., Journalistic practices and science reporting in the British press, “Public Understanding of Science, 3, 1992, pp. 111-134 81 Bucchi M., Scienza e società, p. 141 82 Ibidem, p. 142
30
può essere sostituito da un modello di ‘continuità’ della comunicazione83. Lungo questo
continuum si possono tracciare differenze graduali tra i diversi contesti e stili di
comunicazione e ricezione che coesistono nell’esposizione delle idee scientifiche. Queste
diversi contesti e stili prendono forme diverse a seconda del livello di conoscenza degli
attori e il loro rapporto (simmetrico o asimmetrico). Il paper pubblicato da una rivista
specialistica è il prototipo della comunicazione intraspecialistica, che rappresenta il livello
più esoterico di comunicazione della scienza. Il livello interspecialistico della
comunicazione scientifica avviene solitamente attraverso relazioni nel corso di convegni o
a livello mediatico attraverso ‘periodici ponte’ (bridge journals) come Nature o Science.
La scienza che si trova nei manuali risponde alle necessità pedagogiche della
comunicazione scientifica. Qui viene diffuso un corpus teorico consolidato, frutto del
paradigma corrente, enfatizzando la prospettiva storica e la natura comulativa dell’impresa
scientifica. Siamo già nella parte del continuum in cui precisi linguaggi televisivi vengono
usati per trasmette contenuti scientifici, come ad esempio i programmi della seconda serata
della Rai dedicati alla divulgazione negli anni Sessanta. La rappresentazione televisiva del
discorso scientifico interviene soprattutto nel livello ‘popolare’, dove si trovano sia
l’informazione scientifica della stampa quotidiana e della televisione generalista sia la
cosiddetta ‘scienza amatoriale’ dei documentari scientifici, in cui spicca il discorso
metaforico e l’attenzione per temi come salute, tecnologia, economia.84 Per tanto è
possibile immaginare una sorta di ‘traiettoria cognitiva’ per le idee scientifiche che le
porta da un contesto espositivo intraspecialistico a quello popolare della stampa e dalla
televisione attraverso i livelli intermedi. A livello popolare scompaiono dubbi o
attenuazioni: le articolazioni e le sfumature del sapere specialistico si condensano in
formula elementari e compatte: “l’Aids è l’Hiv, la psicoanalisi studia i ‘complessi’, la
teoria neurologica che ipotizza una divisione dei compiti tra i due emisferi cerebrali si
trasforma in una netta contrapposizione tra persone ‘destre’ e ‘sinistre’”.85 Il percorso
comunicativo dalla scienza specialistica a quella popolare può insomma essere descritto
come una sorta di imbuto che si restringe progressivamente, lungo il quale il sapere perde
sottigliezze e sfumature riducendosi a pochi elementi a cui viene attribuita certezza e
incontrovertibilità. Questa progressiva solidificazione del sapere influenza gli stessi
83 Bucchi M., “When scientists turn to the public: alternative routes in science communication”, Public Understanding of Science, 5 (1996), pp. 375–394 84 Cloitre, M., Shinn, T., Expository practice. Social, cognitive and epistemological linkages, in Shinn T. Whitley R, (a cura di) Expository science, Reidel, Dordrecht 1985, pp. 31-60
31
specialisti dato che “la certezza, la semplicità, l’intuitività nascono solo nel sapere
popolare, e lo specialista trae la propria fede in esse [...] proprio da questo tipo di sapere
che in forza della sua semplificazione, della sua intuitività e della sua apoditticità appare
certo, armonioso, compatto”.86
Figura 5 - Il modello della continuità
Il percorso di una nozione scientifica attraverso i diversi livelli non può quindi essere
descritto come la semplice traslazione di un oggetto da un contesto espositivo a un altro.
Ogni passaggio comporta una trasformazione della nozione stessa. Il modello della
continuità considera dunque il livello della comunicazione popolare come lo stadio finale e
decisivo in quel processo di “stilizzazione, distanziamento dalle fonti di ricerca, e di
produzione di fattualità e apoditticità che costruisce l’evidenza scientifica”.87
Più il contesto di ricerca è allontanato dal contesto di ricezione in termini di linguaggio,
prestigio intellettuale e livelli di abilità, più risulta facile per gli scienziati presentare il loro
lavoro come certo, decontestualizzato dalle condizioni in cui è avvenuta la sua produzione
e autorevole.88
85 Bucchi M., Scienza e società, p. 145 86 Fleck, L., Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, Bologna, il Mulino, 1983 87 Bucchi M., Scienza e società, p. 145 88 Whitley R., Kinowledge producers and knowledge acquirers, in Shinn T. Whitley R, (a cura di) Expository science, Reidel, Dordrecht 1985
32
La forma ad imbuto del modello di continuità enfatizza la crescente solidità e
semplificazione che acquista un fatto scientifico nel processo della sua comunicazione a un
pubblico sempre più ampio, fino a sembrare un ‘galeone in bottiglia’: bello da ammirare
nella sua perfezione, impossibile da riportare alle sue componenti originarie. Questo
modello è utile a descrivere situazioni di routine della comunicazione scientifica pubblica,
ma può anche includere processi più sofisticati. Un esempio di queste dinamiche può
essere rappresentato dal caso dell’anemia falciforme, una particolare forma di anemia
causata da una deficienza genetica di emoglobina che fa sì che le cellule infette assumano
una forma irregolare. Colpisce solo le persone di colore (negli Stati Uniti ne è affetto un
bambino afroamericano su cinquanta) ed è trasmessa per via ereditaria. La malattia fu
diagnosticata per la prima volta dal fisico tedesco James Herrick a Chicago. Nel 1949
Pauling dimostrò che l’emoglobina falciforme aveva una struttura molecolare differente da
quella normale; nel 1957 furono definite le differenze tra le due molecole e nel 1966
Marayama presentò un modello completo della malattia (livello specialistico). Fino agli
anni Settanta però non vi alcun riferimento nei libri di testo e nei manuali di medicina
(livello pedagogico) fino a quando l’anemia falciforme guadagnò gradualmente
l’attenzione del pubblico dopo una serie di documentari televisivi sulla malattia (livello
popolare) furono organizzate raccolte di fondi e l’anemia fu menzionata dal presidente
Nixon in un discorso del febbraio 1971 e ci fu un notevole aumento dei fondi per la
ricerca e il controllo della popolazione. Questa risonanza portò a colmare la lacuna di
comunicazione a livello pedagogico, permettendo all’anemia falciforme di scalare
velocemente l’agenda dei manuali. In questo caso si può parlare di ‘deviazione’ verso il
livello pubblico, perché l’esposizione non segue la traiettoria di routine ma passa
direttamente al livello popolare per poi passare da qui ai livelli specialistici. Ad esempio in
casi di controversia o cambio di paradigma alcuni conflitti non sono più gestibili
all’interno della comunità scientifica ma richiedono una deviazione a livello pubblico.89 Le
informazioni e le immagini che circolano al livello popolare del continuum vengono spesso
usate dai ricercatori per la comunicazione scientifica specialistica, come nel caso
documentato da Cloitre e Shinn in cui la metafora originariamente elaborata per spiegare il
moto browniano delle particelle nei testi di divulgazione scientifica (‘la formica nel
89 Jacobi D., Textes et images de la vulgarisation scientifique, Peter Lang, Bern 1987
33
labirinto’) viene successivamente usata dagli scienziati per testi specialistici.90 Circa un
terzo degli studiosi coinvolti nel dibattito sull’estinzione di massa dei dinosauri come
risultato di una collisione di una meteora con la terra, controversia di ampia risonanza
pubblica, affermò di avere avuto notizie dell’ipotesi di Alvarez dai mezzi di
comunicazione di massa.91 La metafora del ‘buco nell’ozono’ con il suo enorme impatto
sui media e sull’opinione pubblica produsse un consenso a livello pubblico che anticipò di
almeno un anno quello specialistico, all’epoca fortemente incerto e controverso,
sull’impatto dei Cfc sull’atmosfera. In alcuni casi si può sostenere che, proprio come
accade per certe forme di discorso politico come il cosiddetto ‘pastone’ dei quotidiani
nazionali fatto di sottintesi autoreferenziali, il discorso scientifico sembra essere solo
apparentemente pubblico: talvolta la comunicazione a questo livello non è realmente
rivolta al pubblico in generale, ma al raggiungimento rapido di un vasto numero di
colleghi, utilizzando il livello pubblico come ‘arena’ comune senza doversi attenere ai
tempi e alle costrizioni della comunicazione specialistica. Questa prerogativa del livello
pubblico è particolarmente importante nei casi in cui la comunicazione deve attraversare
settori disciplinari diversi o più categorie di attori. Gli scienziati che sostenevano la
relazione tra emissione di Cfc e assottigliamento dello strato di ozono dell’atmosfera
terrestre trovarono nella metafora largamente pubblicizzata del ‘buco’ un modo per
allertare ricercatori di più discipline, politici, ambientalisti e opinione pubblica su
un’emergenza che richiedeva tempestività d’intervento e visibilità. La convergenza
raggiunta in tempi brevissimi in ambito pubblico con il protocollo di Montreal del 1987 in
cui si stabiliva la necessità di accordi internazionali per ridurre le emissioni di Cfc portò
indirettamente a rafforzare lo status di conoscenze che a livello specialistico erano ancora
ampiamente dibattute.
Nei casi di deviazione della comunicazione scientifica il discorso pubblico della scienza
non riceve semplicemente ciò che filtra attraverso i livelli precedenti ma può trovarsi al
centro delle dinamiche della produzione scientifica. La comunicazione scientifica pubblica
è composta da almeno due elementi:
1. Una traiettoria ‘di routine’, consensuale, non problematica, adeguatamente descritta
dal modello ‘della continuità’ (figura 5). È la forma più classica di divulgazione, che
90 Cloitre M., Shinn T., Enclavemente et diffusion du savoir, “Social Science Information”, 25, 1, 1986, pp. 161-187 91 Clemens E., “Of asteroids and dinosaurs. The role of the press in shaping the scientific debate”, Social Studies of Science, 16, 1986, pp. 421-456
34
implica una riscrittura continua delle conoscenze attraverso i contesti comunicativi
determinati dal livello di specializzazione e dalla presenza o meno, e in che grado, di
asimmetria comunicativa.
2. Una traiettoria alternativa rappresentata dai processi di deviazione verso il livello
pubblico, in cui la comunicazione pubblica assume un rilievo ancora maggiore e un
ruolo più articolato nei confronti del dibattito specialistico, e che viene rappresentato
graficamente nel modello del salvagente (bucato), figura 6.
Alcune rilevanti differenze formali e sostanziali sembrano essere rispettivamente
associate a queste due modalità. A livello formale quando la comunicazione prende la
forma della divulgazione i problemi scientifici sono più frequentemente inseriti in spazi
esplicitamente dedicati alla comunicazione della scienza: programmi televisivi di
divulgazione, riviste, pagine scientifiche dei quotidiani. La stessa presenza all’interno di
questi frames costituisce un elemento di legittimazione dei contenuti, che vengono
accreditati dal mezzo oltre che dall’autore, con una dinamica simile a quella che avviene
ad esempio all’interno di un museo che tende di per sé a conferire ad un elemento
scientifico uno status di fatto incontrovertibile. Dall’altro lato nei processi di deviazione i
problemi scientifici appaiono più frequentemente anche in contesti mediali generici,
ovvero negli spazi giornalistici e televisivi non esplicitamente etichettati da marche
comunicative relative alla scienza, ma come items di altre unità tematiche. A livello
sostanziale nel caso della divulgazione il risultato della comunicazione nel livello pubblico
è relativamente scontato: come discorso principalmente celebrativo92 la divulgazione
contribuisce a rafforzare la certezza e la solidità delle teorie e dei risultati. Quando invece
avvengono dei processi di deviazione non è possibile determinare a priori quale sarà il
risultato del processo comunicativo. Per esempio gli scienziati fanno un uso sempre più
frequente della conferenza stampa e degli articoli sui quotidiani per annunciare le proprie
scoperte, in quanto occorre un certo periodo di tempo perché un articolo sia pubblicato su
un giornale scientifico e perciò aumentano le probabilità che esso venga anticipato e
l’esame anonimo dei manoscritti da parte dei colleghi prima della pubblicazione fa spesso
temere il rischio di plagio. In tali casi le deviazioni a livello pubblico possono realmente
accelerare il processo di peer reviewing, ma possono essere considerate dai colleghi come
un tentativo per scavalcare l’intero processo e di guadagnare un riconoscimento improprio
92 Curtis, R., Narrative form and narrative force. Baconian story-telling in popular science, “Social Studies of Science”, 24, 3, 1994, pp.419-422
35
al di fuori della comunità scientifica. A questo livello i fatti scientifici, insieme alle reti di
figure professionali che li circondano possono essere consolidati così come prevede il
modello della continuità, ma possono anche venire dissolti, decostruiti o semplicemente
manipolati da gruppi sociali diversi per i propri scopi. Infatti la forma ‘a imbuto’ del
modello di continuità può prendere una forma ‘a clessidra’ dato che si restringe verso il
livello popolare e si riallarga agendo nuovamente sulla comunicazione specialistica.
Attori sociali abitualmente esterni all’attività di ricerca quali attivisti o rappresentanti
delle associazioni di consumatori o pazienti, possono quindi entrare in modo significativo
nei processi di definizione dei fatti scientifici. Si pensi al caso della ricerca sull’Aids, in
cui le procedure di sperimentazione dei farmaci e lo stesso termine poi adottato da tutti gli
specialisti per identificare la malattia sono state diffusamente negoziate con i gruppi di
attivisti e le associazioni di pazienti.93
Le deviazioni comunicative della scienza danno la possibilità di analizzare la pluralità
dei luoghi per la produzione e la riproduzione della conoscenza scientifica,94 oltre che a
riconoscere un ruolo privilegiato al pubblico, che da semplice fruitore delle successive
semplificazioni dalla comunicazione specialistica a quella popolare diviene interlocutore
del mondo scientifico, riuscendo talune volte a intervenire significativamente nella
produzione dei fatti e dei discorsi scientifici. In questo modo una teoria o dei risultati
scientifici possono ottenere contemporaneamente status e solidità diversi dipendentemente
dai livelli della comunicazione. Così la teoria del Big Bang può rappresentare in ambito
popolare l’unica spiegazione per la nascita dell’universo degna di essere ricordata,
nonostante i dubbi che vengono nutriti in ambito specialistico. Si può avanzare un modello
che tiene conto dei processi di deviazione dei flussi comunicativi e dei processi di
negoziazione, e contemporaneamente evidenzia le differenze trasversali ai livelli di
rappresentazione (figura 6). Nel modello che qui viene proposto i flussi comunicativi di
routine si comportano allo stesso modo del modello della continuità con la differenza che
sono soggetti a influenze del mondo sociale, politico ed economico come dimostrato da
Hilgartner. Inoltre le rappresentazioni a livello popolare della scienza non si limitano a
influenzare nuovamente la produzione scientifica ma possono seguire altri percorsi di
deviazione in virtù dell’autoreferenzialità dei media che fa rimbalzare le conoscenze
93 La sigla originariamente utilizzata dai ricercatori per denominare l’Aids era Grid (Gay Related Immunodeficiency Disease). Fu abbandonata su pressione dei gruppi di attivisti omosessuali americani. Fonte: Guizzardi G, La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, in Guizzardi G. (a cura di) La scienza negoziata, scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002
36
semplificate, le immagini e le informazioni della scienza, da un contenitore all’altro con
criteri estetici e ideologici, patti comunicativi e pratiche di fruizione differenti.
Figura 6 - Il Modello del salvagente (bucato)
È possibile individuare alcune di queste dinamiche attraverso degli esempi:
1. Il dibattito sul ‘creativismo’, in cui interviene una pluralità di attori sociali: livello
pedagogico (scuole, case editrici), attori del sistema politico-economico (Ministero
dell’Istruzione, politici, movimenti) e religioso (autorità ecclesiastiche), livello
intraspecialistico (scienziati evoluzionisti, scienziati per il cosiddetto disegno
intelligente), livello popolare (giornali e televisione). La puntata de L’Infedele (La 7)
di Gad Lerner del novembre 2005 sul tema ‘scienza e fede’ con tutte queste categorie
di attori è emblematica circa complessità dei flussi comunicativi nella negoziazione
dei significati e delle rappresentazioni, qui vero e proprio struggle of meaning.
94 Cooter R., Punfrey S., Science in popular culture, “History of science”, 32/3, 1994, p. 254
37
2. Ad esempio giornate della scienza come il Festival delle Scienze di Roma che
rappresentano un momento non di divulgazione ma di estensione della
comunicazione interspecialistica tra discipline a un pubblico (potenzialmente)
popolare.
3. Sono luoghi in cui si avverte la volontà degli attori di rinegoziare il concetto di
scienza. Nell’ultima giornata del Festival delle Scienze del gennaio 2005 dedicato al
linguaggio, ad esempio, il linguista Piattelli Palmarini ha negato con forza,
rispondendo a una domanda di un ascoltatore della conferenza, la legittimità
scientifica, a suo modo di vedere, della semiotica.
4. Petizioni popolari, raccolte di firme, tutti gli strumenti pubblici di intervento nei
confronti del mondo scientifico. Anche le etichette ‘per la vita’ e ‘per la scelta’ dei
movimenti anti e pro aborto rientrano in processi di negoziazione di ciò che è scienza
o degli ambiti in cui deve godere di autonomia.
5. Processi di deviazione interspecialistica si verificano, come nel caso di questa
ricerca, quando si riformulano concetti di una disciplina affinché altri campi di
ricerca possano avvalersi di strumenti ritenuti efficaci: questa è una manipolazione (e
una semplificazione causata dalle pratiche di traduzione per analogia e parafrasi della
comunicazione interspecialistica già analizzate in questa sede) del modello della
continuità presente negli studi di Bucchi, Cloitre, Shinn e Whitley anche se questa
non è una ricerca strettamente sociologica.
2.3 - L’expertise
La figura dell’esperto nei programmi di divulgazione scientifica svolge un ruolo
importante nella qualificazione della comunicazione, agendo da marca veridittiva del
discorso sia nella produzione di enunciati sia nella asseverazione di enunciati altrui.
Andrea Semprini95 distingue tre profili dell’expertise in tv:
i) Quella dello studioso è una figura dalle competenze eminentemente intellettuali,
che instaura rapporti di asimmetria col pubblico basati sulla possibilità di
legittimare gli enunciati.
95 Semprini A., Analizzare la comunicazione. Come analizzare la pubblicità, le immagini, i media, Franco Angeli, Milano 1997, pp. 264-268
38
ii) Il veterano deve il suo status di esperto al sapere pratico e all’esperienza. Guardie
forestali, viticultori, marinai sono una valorizzazione dell’azione sulla parola.96
iii) L’ appassionato, di solito un naturalista o un ecologista, deve il suo expertise
all’intensità del legame che lo lega agli argomenti. È il portavoce di una verità
interiore più che oggettiva, e il rapporto con lo spettatore è di tipo simmetrico
fondato su complicità e prossimità.
Nei primi due casi l’expertise deriva da fenomeni esterni, l’educazione e l’esperienza,
mentre “nel caso dell’expertise per passione sembrerebbe invece che [...] ogni competenza
si trovi già nell’individuo. Per liberarla basta una carica emozionale abbastanza forte da
funzionare come detonatore del processo”.97 Non sarebbe il risultato terminale di una
scoperta di fenomeni esterni ma la ricostruzione di qualità preesistenti.
Un’analisi molto efficace dell’expertise nei programmi di divulgazione scientifica è
senza dubbio quella di Paola Ungaro98 che parte dall’assunto che una delle caratteristiche
peculiari della divulgazione in tv sta nell’ampio potenziale espressivo di questo medium
rispetto ai modelli comunicativi degli altri media, a tal punto che è possibile affermare che
la televisione ha “addomesticato” il linguaggio della scienza alle sue modalità espressive e
comunicative.
È necessario, in quest’ottica, individuare gli attori sociali della comunicazione, il ruolo
che viene da loro svolto, le modalità con cui espletano funzioni comunicative all’interno di
sistemi di interazione e comunicazione a vari livelli di complessità e strutturazione su cui
si basa la divulgazione scientifica in televisione.
Una costante strutturale di questo tipo di programmi è rappresentata dal ruolo del
conduttore, vero snodo comunicativo, forza personalizzante e mediatrice tra esperti e
pubblico, scienza e senso comune.
La comunicazione pubblica della scienza si basa su un passaggio di informazioni basato
su interazioni asimmetriche tra un pubblico di non esperti e un gruppo professionale. La
comunicazione diretta e personale è essenziale per la divulgazione non solo nella
costruzione del materiale audiovisivo, ma anche per la legittimazione dei contenuti, infatti
l’esperto svolge una funzione veridittiva e di garanzia di serietà e completezza di
96 Ibidem, p. 266 97 Ibidem, p. 268 98 Ungaro P., Gli attori della divulgazione, in Cannavò L. (a cura di) La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995
39
informazione99 data da uno status di superiorità dovuto al fatto di essere detentore e
produttore di conoscenze. Il ruolo e la figura dell’esperto hanno assunto diverse forme col
susseguirsi dei modelli comunicativi della televisione. Negli anni Cinquanta le modalità di
intervento dell’esperto variavano a seconda della collocazione nel palinsesto e quindi al
mutare del pubblico di riferimento. La figura dell’esperto si afferma nelle trasmissioni di
seconda serata dedicate ad un pubblico motivato di livello culturale più elevato. La sua
partecipazione si manifestava nella forma dell’esperto-conduttore, spesso in un vero
laboratorio, o come ospite che interviene con interviste e filmati ‘sul campo’ , o
partecipando direttamente alla trasmissione, interagendo con il conduttore. Verso la fine
degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta iniziano ad affermarsi tipologie di
programmi più complesse, in cui ad una prima parte espositiva con filmati, interviste e
dichiarazioni di esperti seguiva un dibattito con l’intervento in studio del pubblico e degli
specialisti, che preannunciava il modello a tavola rotonda guidato da un conduttore-
mediatore. La natura anfibia dell’esperto-conduttore si sdoppia definitivamente negli anni
Ottanta, che vedono queste due figure esercitare funzioni comunicative diverse e più
specifiche. Il ruolo che assume la centralità dei flussi comunicativi è quello del conduttore,
che rinuncia alla qualifica di esperto e rinsalda la sua propensione alla mediazione. Il punto
di forza della conduzione è la semplicità espositiva, che deve sbalordire e tranquillizzare
insieme100, e negli anni Ottanta l’accrescere del carisma e dello spazio del conduttore va di
pari passo con il mutare della proporzione tra linguaggio verbale e visuale delle
trasmissioni in favore di quest’ultimo. Infatti dagli anni Ottanta è in atto una presa di
coscienza delle potenzialità tecniche ed espressive del mezzo televisivo, in particolare per
quanto riguarda il fatto che nella televisione confluiscono tutte le istanze divulgative
precedenti, contemporanee ed esterne al suo agire, che provengono riformulate e ridotte a
materiale primario, trasformate in modalità discorsive marcate solo dalla propria cifra. A
questa nuova presa di coscienza degli emittenti aggiungiamo l’inasprimento della guerra
per l’audience conseguente alla nascita dell’emittenza privata, e otteniamo l’emergere
dell’esigenza di spettacolarizzare la divulgazione, e per altri versi l’informazione,
enfatizzando le esigenze di intrattenimento per attrarre e convincere un pubblico vasto.
Tali tendenze provocano una progressiva sostituzione del ruolo dell’esperto con il filmato
99 Schiavini E., in Bettetini G.F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988, p. 81 100 Angela P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 513
40
scientifico con voce fuori campo, che permette una maggiore fruibilità, attenuando la
sensazione di “istruzione permanente” che caratterizzava la divulgazione della paleotv.
Negli anni Novanta si assiste all’implementazione di queste tendenze con la nascita di tre
generi divulgativi che si strutturano intorno a l’esperto, le immagini, o il conduttore.
1. La centralità dell’esperto sopravvive in quei programmi basati sul rapporto tra esperti
e non esperti, ragione stessa di esistenza di programmi come Medicina 33, Check up.
Anche in forme televisive meno formali e più sbilanciate verso l’intrattenimento la
figura dell’esperto ha ancora un ruolo importante quando interagisce direttamente col
pubblico dei non specialisti, ponendosi spesso come question solver.
2. C’è invece un’altra tipologia di programmi che sottolineano il primato del linguaggio
televisivo su quello parlato, montando le immagini come viaggio o spedizioni
scientifiche, usando modalità espressive che indeboliscono l’importanza dell’esperto
nell’economia della trasmissione.
3. Il terzo filone raccoglie quei programmi che recuperano la centralità del conduttore
nella funzione tecnico-divulgativa, ma anche di legittimazione: in alcuni casi la sua
presenza è tanto forte da rendere debole quella degli specialisti.
2.3.1 - L’assegnazione della credibilità
Dunwoody e Ryan101 evidenziano che i criteri di assegnazione della credibilità e
dell’affidabilità scientifica da parte dei giornalisti non sempre coincidono con quelli
adottati dagli scienziati, ed anzi si può lamentare la totale assenza di una cultura comune
finalizzata alla mutua comprensione e al miglioramento della comunicazione. La
credibilità delle fonti, dunque, è un problema che sembra riguardare da vicino il mondo
della divulgazione, soprattutto nella scelta dei professionisti da coinvolgere.
Dunwoody e Ryan asseriscono inoltre che i media tendono a ricercare criteri di
credibilità molto generali provocando un utilizzo inappropriato delle competenze, dato che
la credibilità più che emergere come qualità intrinseca delle fonti sembra il risultato di un
processo di attribuzione da parte dei media stessi.
In tale prospettiva la presentazione degli specialisti appare dunque centrale perché
direttamente influente sulla percezione da parte del fruitore. Il giudizio sulla fonte
101 Dunwoody S., Ryan M., “The credible scientific source”, Journalism Quarterly, 67, Spring 1987, pp. 21-27
41
veicolato dalla televisione deve essere finalizzato all’attribuzione di uno specifico status a
cui viene riconosciuta credibilità scientifica, e sarà usato dal telespettatore nel dare
maggiore o minor credito alla figura dell’esperto102. Le modalità di presentazione degli
esperti televisivi sono strettamente collegate alla centralità o marginalità del ruolo nella
tipologia di trasmissione: quelle incentrate sul contributo diretto dell’esperto (1) sono
popolate quasi esclusivamente da professionisti e docenti universitari presentati come
prestigiosi studiosi del settore trattato, o da celebrità del mondo scientifico come premi
Nobel, la cui presentazione punta, oltre ai meriti di ricerca, anche a enfatizzare le
caratteristiche personali. La dovizia di particolari nella presentazione degli esperti, inoltre,
contribuisce ad accreditare maggiore credibilità alla fonte da parte del pubblico.
Le trasmissioni che, per così dire, lasciano parlare le immagini o che affidano al
conduttore il ruolo di mattatore e di esperto insieme riducono l’esperto a un ruolo
secondario (2 e 3). In alcuni di questi programmi la presentazione delle credenziali della
fonte non è fatta verbalmente ma soltanto con scritte in sovrimpressione, che oltre a
veicolare una limitata quantità di informazioni, hanno la conseguenza, nella formulazione
del linguaggio televisivo, di introdurre l’esperto direttamente con il suo intervento verbale.
Lo status di professionista della scienza viene così a configurarsi, anziché come qualifica
attribuita sulla base di un curriculum professionale, come un a priori postulato dalla fonte.
L’intervento degli studiosi inoltre è in relazione con le finalità divulgative generali della
trasmissione, che determinano complessità, livello di formalizzazione, specificità tecnica
del linguaggio dell’esperto in relazione agli obiettivi dell’esposizione nei confronti del
pubblico immaginario. Si può dunque affermare che i programmi sono modellati intorno al
proprio target. Nelle trasmissioni finalizzate all’accrescimento del bagaglio conoscitivo
del pubblico di riferimento gli esperti sono sollecitati ad esprimersi in modo da fornire
elementi tali da chiarire la complessità del problema affrontato, come la rilevanza di un
tale approccio o di una scoperta. Gli esperti sono invitati ad esporre metodologie
innovative e sperimentali, temi scientifici di alto livello di complessità, implicazioni
teoriche di questioni apparentemente semplici.
Nei programmi che si basano sulla veicolazione di informazione, specialmente quelli di
informazione medica, gli esperti intervengono con una complessità argomentativa
difficilmente rintracciabile in altri tipi di trasmissioni, che nasce dalla volontà di questi
programmi di essere espressione della tv ‘di servizio’. L’analisi teorica delle patologie più
102 Ungaro P., Gli attori della divulgazione, p.93
42
diffuse e la ricostruzione delle condizioni della loro insorgenza e sintomatologia mirano al
chiarimento della complessità delle questioni trattate per un pubblico motivato soprattutto
dalla possibilità di tradurre le conoscenze in consigli immediatamente fruibili.
L’accostamento della vocazione pragmatica e l’argomentazione teorica in queste
trasmissioni porta all’offerta e alla conferma di chiavi di lettura proposti dal programma e
di rassicurazioni in merito a questioni controverse da un punto di vista etico o sociale.
Nelle trasmissioni mosse da finalità strumentali di spendibilità quotidiana di contenuti
divulgativi trova minore fortuna l’argomentazione teorica, che lascia spazio all’offerta di
elementi informativi che rimandano ad un utilizzo di breve respiro della scienza intesa
come attività soprattutto finalizzata all’intervento pratico e alla risoluzione di problemi
quotidiani. Questi consigli sono forniti in un panorama di continua rassicurazione, con
l’offerta di conferme di chiavi di lettura, come per esempio nella trasmissioni del genere
che trattano della salute vista in una prospettiva olistico-sistemica, risultato sinergico di
tanti piccoli sforzi, senza troppi sacrifici. È per questo motivo che da un punto di vista
linguistico si nota un continuo processo di traduzione dei linguaggi scientifici in
linguaggio comune, che viene solitamente innescato dal conduttore, che in tale contesto
esercita massicciamente la sua funzione mediatrice tra scienza e senso comune, tra
expertise e lay public103.
2.3.2 - Non esperti e quasi esperti
Così come le competenze dei pubblici della divulgazione in televisione sono diversificate
e hanno diverse aspettative riguardo la capacità del mezzo televisivo di diffondere
rappresentazioni adeguate del mondo scientifico, anche le competenze dei portatori di
expertise sono molto varie per due motivi. Il primo coinvolge l’emittente del messaggio:
spesso gli specialisti vengono chiamati ad esprimersi su argomenti diversi da quelli della
loro particolare disciplina. Il secondo coinvolge anche il fruitore, in quanto nasce dalla
cattiva rappresentazione, e successiva ricezione della differenza tra scienza e tecnica, tra il
ricercatore e il professionista.104
Negli anni Novanta si assiste all’emergere di un tratto distintivo di molte trasmissioni:
l’intervento di una folta schiera di non-esperti. È una categoria che comprende una
103 Ibidem, pp. 90-92 104 Ibidem, pp. 97-98
43
diversità di attori che hanno finalità e motivazioni diverse nella partecipazione al discorso
divulgativo, ma che hanno in comune il fatto di non essere produttori di conoscenza
scientifica, anche se non manifestano lo stesso livello di estraneità rispetto al sapere
scientifico. Si va quindi da un lay public estraneo alla scienza depositario di conoscenze
non scientifiche e del senso comune, al professionista depositario di conoscenze tecnico-
scientifiche, che va considerato un quasi-esperto. Bisogna distinguere nettamente due tipi
di attori che operano nella divulgazione, ovvero l’esperto scientifico-cognitivo e il
professionista tecnico-scienfico105 (tabella 1). In sintesi possiamo affermare che gli esperti
sono latori e produttori di un sistema di conoscenze al quale si rapportano con un’ottica di
medio-lungo periodo con l’obbiettivo di incrementare il bagaglio di conoscenze. Invece il
professionista tende ad evidenziare il valore strumentale delle conoscenze, come mezzo
per il raggiungimento di un fine, in un’ottica di breve periodo e senza la preoccupazione di
garantire in prima persona la validità scientifica delle conoscenze usate nella loro
applicazione, certificate dagli esperti.
Scienza: ricercatore, esperto
scientifico
Applicazioni tecniche: professionista
valori di riferimento
accrescere la conoscenza usare la conoscenza
orientamento al tempo
medio-lungo periodo breve periodo
tipo di utilizzo della conoscenza
fine in sé mezzo
controllo sulla certificazione della conoscenza
alto basso
Tabella 1 - Specialisti scientifici e tecnici
Alla luce di questa distinzione si nota che in molte trasmissioni di natura medica
l’esperto tende ad agire come nell’esercizio delle sue funzioni di professionista più che di
esperto scientifico-cognitivo. Le azioni tipiche degli attori della divulgazione
contribuiscono a stabilire un sistema di ruoli e dinamiche interattive nel contesto
comunicativo. Gli attori compiono azioni sociali tipiche dotate di uno stile connotativo che
105 Mc Naul J.P., Relations between researchers and practitioners, in Nagi S.Z., Corwin R.G., The social context of research, Wiley-Interscience, London 1972, cap. 9
44
le rende riconoscibili sia dagli altri soggetti della comunicazione che dal pubblico
televisivo. L’utilizzo dell’expertise con finalità pratiche e non finalizzato all’accrescimento
delle conoscenze teoriche del fruitore si può manifestare in diversi modi, dalle prescrizioni
dei medici di Visita medica che agiscono da professionisti nell’esercizio delle loro
funzioni, fatto segnalato ai fruitori sia dal set che dall’abbigliamento (camice, laboratori,
strumenti medici), alla funzione non pedagogica di estetisti e terapisti nei programmi di
costume. Sono quindi ospiti-esperti, ma la loro finalità è quella di approfondire temi
specifici secondo una specifica professionalità.
L’utilizzo di ospiti nelle trasmissioni di divulgazione è riconducibile sostanzialmente alla
possibilità di agire da testimonial, ad un particolare interesse o impegno dimostrato
nell’argomento trattato, all’essere personaggi graditi al pubblico.
Il testimonial può avere la funzione di case-study, di esemplificazione visiva di un caso
medico, oppure può rendere possibile l’allestimento in studio di un esperimento col
coinvolgimento di un ospite.
Nelle trasmissioni caratterizzate da una mission di stampo ambientalistico gli ospiti
intervengono soprattutto perché impegnati personalmente nella tutela e nella
conservazione delle specie animali. Collaboratori, volontari, ranger, filantropi,
intervengono in queste trasmissioni con lo status di ospiti, con un certo grado di
autorevolezza derivante dall’impegno sul campo più che da meriti scientifici, competenza
basata sull’esperienza.
Gli ospiti celebri hanno una funzione soprattutto di richiamo per il pubblico e la loro
utilizzazione sembra più efficace nelle trasmissioni in cui la ‘dose’ di intrattenimento
supera la propensione pedagogica. Un esempio particolare è rappresentato da I
documentari di Jacques Cousteau, in cui al conduttore Ambrogio Fogar e agli ospiti
esperti è riservato un ruolo di semplice esemplificazione e presentazione di Cousteau, nella
funzione di “ospite d’onore”, che svolge una funzione di guida “totalitaria”106 per il
telespettatore che si addentra nel contesto comunicativo, in cui gli elementi strutturali della
comunicazione si basano sull’intervento degli ospiti sui documentari e la loro
realizzazione.
Per quanto riguarda il pubblico in studio il modello dell’interazione tra esperti e pubblico
nasce negli anni Sessanta in programmi divulgativi che seguono lo schema della tavola
rotonda, e sopravvive fino ai giorni nostri. La fortuna di questo modello risiede nel fatto
106 Ungaro P., Gli attori della divulgazione, pp. 98-99
45
che la partecipazione dell’uomo comune, in posizione di estrema lontananza nei confronti
del sapere scientifico e di estrema vicinanza rispetto al sistema di conoscenze dello
spettatore favorisce meccanismi e processi immedesimativi da parte di quest’ultimo. In
molte trasmissioni assistiamo a modalità di coinvolgimento che rimandano a due differenti
modelli. Da una parte i programmi incentrati su un rapporto dialogico tra esperto e
pubblico con la mediazione dei flussi comunicativi da parte del conduttore, dall’altra
programmi che apparentemente aumentano la distanza tra le due tipologie di attori. Infatti
ad una prima analisi è possibile affermare che la prima tipologia di trasmissioni metta in
atto un’interazione significativa tra esperti e pubblico mentre la seconda utilizzi il lay
public esclusivamente come claque. In realtà però la sensazione che spesso si ricava è che
in molti flussi comunicativi l’interazione col pubblico abbia una funzione meramente
strumentale, di sola stimolazione dei veri protagonisti, che sono gli esperti. In quest’ottica
anche la disposizione fisico-spaziale permette una decodifica immediata del flusso
comunicativo: in questi programmi il pubblico è spesso disposto in cerchio o semicerchio
con gli esperti al centro o a chiusura del semicerchio. Quindi più che strutturarsi sul
modello a tavola rotonda queste trasmissioni si configurano sul modello della lezione
impartita a un gruppo di soggetti docili che malgrado il contatto diretto con gli specialisti
denotano una sostanziale marginalità circa le informazioni veicolate dagli esperti. Anche il
pubblico del secondo tipo di programmi che stiamo analizzando risulta essere passivo e se
vogliamo ‘addomesticato’, ma la sua presenza si manifesta in forme indirette, specialmente
in rapporto con le esigenze di comprensione che vengono sollecitate dal conduttore e dagli
esperti. Questa funzione di sollecitazione sottordinata nei confronti degli specialisti, spesso
innescata dal conduttore con la sua funzione mediatrice e traduttrice, si accompagna con
quella di invito all’immedesimazione per il fruitore televisivo. L’esigenza di innescare
meccanismi di immedesimazione viene soddisfatta anche attraverso al personalizzazione
degli interventi, che spesso si trasformano in microstorie che contribuiscono alla creazione
del contesto comunicativo in cui vengono veicolate le informazioni scientifiche.
2.3.3 - Flusso comunicativo e interazione
È possibile individuare quattro tipi di azioni comunicative incentrate sull’esperto. Nelle
trasmissioni di divulgazione scientifica che prevedono la figura dell’esperto le competenze
sono influenzate dal grado di simmetria che vige tra gli ospiti, dal tipo di discorso
46
televisivo e di modalità di interazione tra gli attori, dalle dinamiche di certificazione delle
conoscenze. I quattro flussi comunicativi:
1. Esplicitazione di competenze esperte / sollecitazione subordinata.
2. Sollecitazione subordinata / regolazione del flusso comunicativo / esplicitazione di
competenze esperte.
3. Interazione tra pari.
4. Asseverazione implicita ed esplicita.107
1. Questo è un modello divulgativo che prevede l’esplicitazione di expertise attraverso
l’intervento subordinato di attori in un contesto di asimmetria comunicativa. Si basa
sul confronto di due categorie di attori portatori di livelli cognitivi diversi. Entrambe
le funzioni possono essere svolte da soggetti che ricoprono ruoli differenti. Dato che
ai fini della divulgazione della scienza la funzione centrale è quella del livello di
competenze più alto, si identificano tre tipologie di trasmissioni in cui la conoscenza
scientifica viene detenuta e comunicata da diverse categorie: gli esperti tecnico-
scientifici, gli ospiti esperti, il conduttore. Nel primo tipo di trasmissioni si possono
trovare gli schemi basati sul dialogo visti in precedenza o configurazioni in cui la
funzione di stimolo viene ricoperta alternativamente dal conduttore-mediatore e dal
pubblico, oppure trasmissioni di taglio giornalistico in cui vige una rigida divisione
dei ruoli e un confronto diretto tra question-setter e question-solver. Nei programmi
in cui i flussi comunicativi risultano più duttili la funzione di esperto può essere
occasionalmente ricoperta in uno scambio di ruoli dal conduttore, oppure si possono
innescare situazioni di interazione tra pari specialmente in trasmissioni basate
sull’emotività, sulla stessa passione per l’argomento trattato di conduttore, esperti e
pubblico. Ciò crea i presupposti per forme divulgative che usano liberamente
linguaggi dello spettacolo e dell’entertainmet, come il talk-show. In altre modalità
espressive le competenze vengono esplicitate da esperti che intervengoo in qualità di
ospiti, e possono prendere ad esempio la forma dell’intervista strutturata condotta
con linguaggi e registri informali (Leonardo). 108 Un uso particolare di questa
configurazione può essere rintracciato nel programma Visita medica in cui un ospite
107 Ibidem, p. 109
47
esperto e un ospite comune si relazionano l’un l’altro simulando il modello
asimmetrico del modello medico-paziente. È una formula narrativa sospesa tra
rappresentazione e realtà: la visita medica in cui sono coinvolti gli attori, in uno
studio che riproduce fedelmente uno studio medico, è un espediente per veicolare
informazioni al telespettatore attraverso la rappresentazione scenica che protende al
genere della science-fiction109.
2. Nelle trasmissioni in cui osserviamo un ruolo di veicolazione delle conoscenze
scientifiche svolta dal conduttore, quest’ultimo può ricoprire il ruolo multiplo di
interazione alla pari con gli esperti e di interfaccia e traduzione col pubblico col
quale colma il dislivello cognitivo che sussiste tra specialisti e pubblico. In alcuni
programmi (Check-up) la distanza tra lay public ed esperti, infatti, tende a diventare
abissale per la presenza di un doppio filtro che porta a un flusso comunicativo a tre
fasi. A una fase di raccoglimento delle domande del pubblico da parte di un attore
avente la funzione di assistente conduttore, che rappresenta il primo filtro della
comunicazione con l’expertise, si accompagna una seconda fase in cui il conduttore
interagisce con gli esperti per il soddisfacimento della domanda, attraverso quindi
una doppia traduzione dei codici espressivi e la selezione da parte del conduttore
dell’ospite più indicato. In strutture di interazione tra ospiti esperti e giornalisti,
questi ultimi chiamati a ricoprire una funzione di sollecitazione, notiamo invece che
queste due categorie di attori non agiscono in rapporto di asimmetria comunicativa
ma in non omogeneità di competenze, infatti i flussi comunicativi non si basano sulla
richiesta dell’esplicitazione di expertise ma con l’intento di aumentare le proprie
conoscenze e come stimolo per gli esperti a prendere posizione su determinati
argomenti, anche in chiave polemica.110
3. Alcuni attori, anche se dotati di motivazioni e finalità diverse, si collocano su un
piano di simmetria comunicativa. In questi casi tutti i ruoli presenti interagiscono tra
loro da pari, in configurazioni che qualificano le trasmissioni incentrate
sull’esplicitazione di conoscenze esperte e quelle che non hanno finalità informative
ma tendono a esercitare altre funzioni comunicative. Queste tipologie di trasmissione
presuppongono che il conduttore goda di un livello di autorevolezza tale da
108 Ci si riferisce al programma di Rai 3 degli anni Novanta. In seguito la trasmissione ha assunto tutte le marche semantiche di un telegiornale, mutandosi in Tg Leonardo 109 Ungaro P., Gli attori della divulgazione, pp. 105-108 110 Ibidem, pp. 108-112
48
permettergli di sostenere un rapporto paritario con l’esperto, con il quale spesso si da
del ‘tu’, e c’è la vaga impressione che la presenza dell’ospite non incida sull’apporto
informativo della comunicazione, ma abbia soprattutto la funzione di alternare la
fonte del messaggio, vivacizzare lo stile, trasporre in dialogo quello che potrebbe
essere un monologo. All’interno di questo schema possiamo inserire uno schema
interattivo paritario particolare: quello basato sul rapporto del conduttore con se
stesso. Nel programma La macchina meravigliosa Piero Angela in studio interagisce
col suo alter ego all’interno del corpo umano. Questo sdoppiamento dello stesso
attore in due dimensioni narrative e spaziali distinte si esplicita attraverso il dialogo
tra i due ruoli che conducono la parte esplicativa del programma da soli. L’intervento
degli ospiti, e la fine dell’incantesimo, verranno in seguito. Il secondo gruppo di
schemi interattivi la simmetria comunicativa tra i diversi ruoli non è dovuta al
riconoscimento di competenze specialistiche del conduttore, ma dall’instaurarsi di
interscambi che avvengono su un piano non strettamente specialistico e di maggiore
quotidianità. In molte trasmissioni questi tipi di interazioni si instaurano tra
conduttore e ospiti non esperti al fine di alleggerire la trasmissione e colmare
provvisoriamente la distanza tra il fruitore e gli attori della rappresentazione.
4. La testimonianza, implicita o esplicita, dell’autorevolezza del messaggio veicolato
ricorre, ad opera di diversi attori, in numerosi scambi comunicativi. Questa funzione
viene assolta il più delle volte secondo un modello unidirezionale, in cui l’asseverazione
viene riferita al membro autorevole della comunicazione, che può variare a seconda
delle situazioni e delle diverse reti di interazioni. Una funzione di asseverazione può
essere colta ogni qual volta si è in presenza di una esplicitazione di competenze esperte:
una testimonianza dell’alto livello di preparazione degli specialisti viene infatti fornita
da conduttore, pubblico o ospiti in tutte le trasmissioni in cui c’è interazione tra ruoli.
L’asseverazione esplicita giunge agli esperti attraverso il conduttore, mentre una
connotazione più implicita caratterizza la testimonianza asseverativa degli spettatori e
degli ospiti, che esprimono verso gli specialisti totale fiducia e approvazione. Nelle
trasmissioni in cui si instaurano scambi comunicativi tra esperti basati sull’interazione
tra pari si assiste a una funzione asseverativa svolta in modo bidirezionale: infatti si
costituisce una sorta di rete di mutua legittimazione esplicita con un continuo scambio
di conferme e rassicurazioni reciproche. Inoltre si instaurano testimonianze di
49
autorevolezza nei confronti del conduttore, da parte del pubblico, indipendentemente
dal grado di preparazione scientifica111.
In sintesi l’analisi svolta da Paola Ungaro suggerisce che i ruoli maggiormente coinvolti
nella divulgazione scientifica sono quelli del conduttore e dell’esperto, i quali, nonostante
le tendenze a limitare la partecipazione del pubblico, continuano a rappresentare il fulcro
della scienza in tv. In particolare il conduttore. Assolvendo contemporaneamente diverse
funzioni è il cardine attorno a cui ruota la gestione dei flussi comunicativi. Le funzioni
principali di queste due figure sembrano essere la sollecitazione subordinata e
l’esplicitazione di competenze esperte. La prima viene assolta da tutti gli attori a
esclusione degli esperti, mentre la seconda da tutti ad esclusione del pubblico. È
interessante notare come il conduttore sia un’entità anfibia dal momento che condivide la
possibilità di legittimere conoscenze con l’esperto, e col pubblico un rapporto di empatia
basato su fiducia e curiosità.
111 Ibidem, pp. 112-123
50
Capitolo 3 - Pensiero scientifico e senso comune
Il rischio che si corre nei processi di divulgazione è di costruire una rappresentazione
della realtà per la quale tutto è facile e comprensibile senza particolari sforzi, immersa in
un’atmosfera di sonnolenta banalità112. Secondo i divulgatori il problema dell’accesso alla
conoscenza deriva da barriere linguistiche più che dalle idee, e queste posizioni
evidenziano la natura di traduzione e di metafora dell’informazione scientifica. Italo
Calvino scrisse: “la poesia consiste nel far entrare il mare in un bicchiere”. Lo stesso cerca
di fare la divulgazione, rischiando di mancare l’obiettivo della sua missione: “la poesia è
ciò che si perde, ciò che resiste a una traduzione (Robert Frost). Allo stesso modo la
scienza è ciò che resiste alla divulgazione?”113
3.1 - La metafora
La metafora è un trasferimento semantico per similarità, e si oppone alla metonimia, che
opera per contiguità114. Come afferma Aristotele nella Poetica, nella metafora un’entità
prende il nome di un’altra nella misura in cui sussista tra loro un rapporto di analogia.115
Le metafore del senso comune dovrebbero, in fatto di divulgazione, essere dei mezzi
attraverso i quali il lay public possa emanciparsi gradualmente, in un lento processo di
socializzazione/iniziazione fino alla fase in cui il sapere trasmesso è operativizzabile da
parte del fruitore.116
La riduzione di concetti complessi mediante l’uso di immagini e nozioni familiari ha, a
causa di questa familiarità del linguaggio, un forte potere di suggestione
indipendentemente dalla conoscenza scientifica che contribuisce a trasmettere117, inoltre è
112 Grasso A., Il demone della divulgazione, in Bettetini G.F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988, p. 61 113 Ibidem 114 Jakobson R., Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasia, in Jakobson R., Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966 115 Galimberti U., Enciclopedia di psicologia, Garzanti, Torino 1999, p.649 116 Fasanella A., La metafora del sapere, in Cannavò L. (a cura di), La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995, p. 160 117 Nagel E., The structure of science: problems in the logic of scientific explanation, Harcourt Brace & World, New York 1961, tr. it. La struttura della scienza. Problemi di logica della spiegazione scientifica, Feltrinelli, Milano 1984, p. 99
51
utile ricordare che la divulgazione non deve sostituire la scienza ma fornire al pubblico i
‘principi-chiave’ per comprenderla.118
Dunque il processo divulgativo, attraverso gli strumenti del senso comune, produce un
decadimento della conoscenza scientifica e una rappresentazione parziale della scienza.
D’altro canto analogie e metafore costituiscono strumenti ai quali si ricorre anche durante
la costruzione del sapere scientifico.119 Per esempio “in termodinamica la cinetica dei gas
può ritenersi strutturata in riferimento alle leggi e alla teoria relative al moto di macrocorpi
sferici dotati di elasticità, simili a palle di biliardo. Allo stesso modo può essere
immaginata una connessione tra un raggio di luce ed il moto rettilineo uniforme di un
proiettile”.120
La rappresentazione della scienza, invece, può subire a causa del senso comune altri tipi
di influenze, come ad esempio i processi detti di dogmatizzazione del sapere:
nell’immaginario comune la scienza tende a essere percepita come una attività umana
dotata di uno status superiore attribuitole dalla doxa, e la divulgazione contribuisce a
rafforzare questa tendenza presentando i contenuti scientifici come verità universali, stabili
ed incontrovertibili. 121
Per Moscovici metafora e analogia rilevano una tendenza a integrare l’oggetto in un
mondo esistente, a stabilire con esso una relazione tramite la mediazione di altri oggetti,122
ed è quindi evidente che i loro usi e le loro funzioni possono essere diversi a seconda degli
universi semantici in cui si agisce. Vosniadu e Ortony, a tal senso, distinguono all’interno
dei modi di ragionamento per somiglianza tra quelli “within domain”, ovvero analogici
all’interno di un singolo ambito tematico, e quelli “between domain”, metaforici tra ambiti
tematici differenti.123 Una classificazione di questo tipo rivela che esistono metafore
interne al discorso scientifico ed altre che fungono da ponte tra scienza e senso comune.124
Le prime vanno considerate come costitutive della scienza, mentre le seconde hanno la
funzione esegetica di creare un punto di contatto tra il livello specialistico e quello
118 Allemand E., “Aspects de la situation de la vulgarisation scientifique audio-viselle”, Etudes de Radio-télévision, 33, 1984, p. 116 119 Fasanella A., La metafora del sapere, p. 177 120 Ibidem, p. 176 121 Whitley R., Kinowledge producers and knowledge acquirers, in Shinn T. Whitley R, (a cura di) Expository science, Reidel, Dordrecht 1985, p. 85 122 Moscovici S., La psychanalyse, son image, son public, PUF, Paris 1961 123 Vosniadu S., Ortony A., Similarity and analogical reasoning: a synthetis, in Vosniadu S., Ortony A. (a cura di) Similarity and analogical reasoning, Cambridge University Press, Cambridge 1989 124 Bucchi M., La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, Mc Graw-Hill, Milano 2000, p. 27
52
popolare della comunicazione scientifica. È stato dimostrato che spesso le metafore usate
nella divulgazione scientifica sono le stesse usate nel processo di costruzione di una teoria
scientifica: la divulgazione può concretizzare sotto forma di immagini la analogie e le
metafore che la comunità scientifica mobilita a scopo euristico,125 come ad esempio la
metafora dell’atomo come sistema solare126 o immagini come area, field, boundaries,
frontiers, metafore spaziali che vengono comunemente usate sia nella produzione che nella
divulgazione scientifica.127 Tra questo tipo di metafore è opportuno distinguere i loro
diversi livelli in relazione alle immagini sulla scienza:
i) livello intrametaforico, ovvero le metafore più assimilate e condivise, come quella
di ‘codice genetico’
ii) livello metaforico: metafore in fase di negoziazione, non completamente
assimilate, come l’espressione ‘interruttore chimico’
iii) livello suprametaforico, ovvero non utilizzabile dal punto di vista divulgativo
perché ancora di tipo within domain ed esclusivamente costitutiva del discorso
scientifico.128
Le informazioni e le immagini che circolano al livello popolare vengono spesso usate dai
ricercatori per la comunicazione scientifica specialistica, come la metafora originariamente
elaborata per spiegare il moto browniano delle particelle nei testi di divulgazione
scientifica (‘la formica nel labirinto’), successivamente usata dagli scienziati per testi
specialistici.129 Allo stesso modo la metafora del ‘buco nell’ozono’ con il suo enorme
impatto sui media e sull’opinione pubblica produsse un consenso a livello pubblico che
anticipò di almeno un anno quello specialistico, all’epoca fortemente incerto e controverso,
sull’impatto dei Cfc sull’atmosfera.130
125 Jacobi D., Schiele B., “Scientific imagery and popularized imagery”, Social Studies of Science, 19, 1989, p. 752 126 Bucchi M., La scienza in pubblico, p. 27 127 Broks P, Conceptual space: a new understanding of popular science, Public Communication of Science and Technology Conference, Berlino, 17-19 Settembre 1998 128 Bucchi M., La scienza in pubblico, p. 27 129 Cloitre M., Shinn T., Enclavemente et diffusion du savoir, “Social Science Information”, 25, 1, 1986, pp. 161-187 130 Bucchi M., Scienza e società, p. 142
53
3.2 - Il linguaggio del senso comune: La Scienza In Cucina.
Un esempio interessante delle potenzialità dei linguaggi del senso comune nel costruire
rappresentazioni precise della scienza è senza dubbio la rubrica La Scienza in Cucina
all’interno di Quark. In questo piccolo spazio settimanale lo spettatore è invitato ad
assistere a quei fenomeni chimici e fisici che avvengono in cucina. È dunque una scienza
che non offre niente di strabiliante o miracoloso da lasciare a bocca aperta, ma si inserisce
nel regno incontrastato del senso comune. La scienza in questo modo, oltre ad apparire
facile e divertente, non è in contrasto col senso comune e non cerca di rivoluzionarlo. È
una scienza ‘piccola’, divulgazione di principi scientifici e non solo diffusione di
informazioni. Questi principi sembrano quasi inconsci mentre si è in cucina: anche perché
questa è una rappresentazione che vede la scienza procedere accanto al senso comune. È
curioso notare che la metafora della cucina come scienza è il sovvertimento di quella della
scienza come cucina che viene solitamente usata dagli scienziati nella comunicazione
scientifica pubblica per criticare metodi e risultati di altri colleghi, e questo sintetizza il
rapporto difficile ma necessario tra divulgazione e produzione di conoscenze
scientifiche.131
3.3 - Le rappresentazioni sociali
Un articolo dell’International Herald Tribune commentava nel 1979 la decisione della
Società Americana di Psichiatria di sostituire i termini ‘nevrosi’ e ‘nevrotico’ con
l’indicazione di ‘disordini specifici’. Infatti secondo gli psichiatrici l’uso di questi termini
induceva a un atteggiamento quasi di scusa dell’interlocutore nei confronti di un nevrotico,
atteggiamento che, a detta degli psichiatri, non sarebbe stato assunto di fronte a un
individuo affetto da disordini specifici.132 Dunque la parola ‘nevrosi’ si è resa indipendente
dalla malattia, è divenuta una categoria: una rappresentazione sociale nel senso comune,
non solo il corrispondente linguistico di un referente reale.133 Le rappresentazioni sociali
131 Bucchi M., Surely you are cooking, Mr. Feynman! Strategies for the presentation of science in tv, Public Communication of Science and Technology Conference, Berlino, 17-19 Settembre 1998 132 Jodelet D., Rappresentazione sociale: fenomeni, concetti e teoria, in S. Moscovici (a cura di), Psicologia sociale, Borla, Roma 1996, p. 338 133 Farr R.M., Le rappresentazioni sociali, in S. Moscovici (a cura di), Psicologia sociale, Borla, Roma 1996, p. 365
54
sono immagini che condensano una serie di significati e servono a dare un senso
all’inatteso134 concorrendo alla costruzione sociale della realtà.135
Il concetto di rappresentazione sociale designa una forma di conoscenza specifica: il
sapere del senso comune. È una forma di pensiero che si manifesta in processi generativi e
funzionali socialmente rilevanti, e una forma di pensiero pratico in cui le rappresentazioni
sono orientate verso la comunicazione, la comprensione e il dominio dell’ambiente sociale,
materiale, ideale.136 È ciò che lega percezione e concetto, il processo con cui si
stabiliscono relazioni tra oggetti e individui in base al loro posizionamento sociale,137 con
un meccanismo simile a quello con cui la televisione e i media in genere rendono presente
nella mente del fruitore qualcosa che viene fatto percepire indirettamente.138
Le rappresentazioni sociali si concretizzano nei concetti del senso comune, divenendo
quasi delle cose materiali. Questo processo è detto di oggettivazione. Gli elementi
oggettivizzati vengono selezionati e decontestualizzati per essere resi generalizzabili e
applicabili sulle percezioni che giungono dall’esterno. Questi processi avvengono
attraverso criteri culturali e normativi. Queste rappresentazioni vengono quindi
naturalizzate, ovvero diventano la realtà del senso comune, il mondo dell’agire pratico.
Infine subiscono processi di ancoraggio, con la possibilità che alcuni elementi si rendano
autonomi dalla rappresentazione sociale nella sua interezza dopo aver subito i processi di
oggettivizzazione e naturalizzazione, proprio come era avvenuto secondo la Società
Americana di Psichiatria per la rappresentazione sociale della nevrosi.139
Molte rappresentazioni sociali sono tali perché veicolate dai media nella loro natura di
rappresentazioni collettive140 e permettono agli individui “di orientarsi nell’ambiente
sociale e materiale, e di dominarlo”141 in quanto sono finalizzate a rendere familiare ciò
che appare strano e a rendere percettibile l’invisibile.142
134 Jodelet D., Rappresentazione sociale: fenomeni, concetti e teoria, p. 339 135 Berger P.L., Luckmann T., The social constructon of reality, Doubleday & co., New York 1966 136 Jodelet D., Rappresentazione sociale: fenomeni, concetti e teoria, pp. 340-341 137 Ibidem 138 Ibidem, p. 341 139 Ibidem 140 Ci si riferisce al concetto introdotto da Durkheim che individua quelle rappresentazioni che, opposte a quelle individuali, definiscono valori, pratiche e idee e che stabiliscono un ordine sociale e facilitano la comunicazione tra i membri di un gruppo. Durkheim, E., “Représentations individuelles et représentations collectives”, Revue de Metaphysique et de Morale, VI, 1898, pp. 273-302 141 Moscovici S., prefazione a Herzlich C., Santé et maladie. Analyse d’une représentation social, Mouton, Paris 1969 142 Farr R.M., Le rappresentazioni sociali, p. 365
55
Le rappresentazioni costruite dai media sono rappresentazioni sociali e come tali sono
oggettivizzate, ovvero subiscono processi di personalizzazione e concretizzazione e
spesso, quindi, sono autonome dal loro referente reale in virtù di dinamiche di ancoraggio
e agiscono sul senso comune, dal momento che ne costruiscono la realtà.
3.4 - Rappresentazioni sociali e senso comune
Pensiero scientifico e senso comune sono stati definiti in molti modi: logica e mito,
pensiero domestico e pensiero selvaggio, logica e prelogica. Tutte queste dicotomie si
riferiscono a una forma di pensiero caratterizzato da rigore e sicurezza delle previsioni
basate su conoscenze certe e che gode di ristretti gradi di libertà, e a una forma che non
sottostà a regole specifiche, restrizioni, autorevolezza.143
Senso comune e pensiero scientifico hanno un rapporto articolato. Infatti la naïveté del
senso comune caratterizza le ‘conoscenze di prima mano’ che nascono dalla
razionalizzazione delle realtà che si presenta in modo confuso attraverso le
rappresentazioni sociali. Questo corpus di conoscenze viene elaborato dal pensiero
scientifico, come ad esempio il concetto di forza presente nel senso comune, diventato un
concetto matematico a partire da una conoscenza di prima mano144.
“[il senso comune] è il capitale di una conoscenza immensa e prodigiosamente attiva, formata dall’unione delle intelligenza umane; di secolo in secolo questo capitale si trasforma e si accresce; a queste trasformazioni, a questo accrescimento di ricchezza, la scienza teorica contribuisce in grandissima parte; incessantemente la scienza si diffonde attraverso l’insegnamento, la conversazione, i libri, le riviste, i giornali; e penetra fino in fondo alla conoscenza volgare, risveglia la sua attenzione su dei fenomeni ancora trascurati, le insegna ad analizzare delle nozioni che erano rimaste confuse, arricchisce così il patrimonio delle verità comuni a tutti gli uomini o, almeno, a tutti coloro che hanno raggiunto un certo grado di cultura intellettuale”.
[Duhem145, 1984: 510]
Il fruitore di divulgazione è attratto dal pensiero scientifico e cerca di integrarlo nelle
risorse che quotidianamente utilizza, col fine di dominare la realtà e dare una risposta,
ancorché incerta, alle grandi questioni dell’uomo.146 O anche per consuetudine, come
143 Moscovici S., Hewstone M., Dalla scienza al senso comune, in S. Moscovici (a cura di), Psicologia sociale, Borla, Roma 1996, p. 508 144 Ibidem, p. 510 145 Ibidem 146 Roqueplo, P., Le partage du savoir, Le Seuil, Paris 1974
56
Salim, il personaggio di Naipaul che aveva consacrato la sua vita a collezionare e studiare
frammenti di riviste di divulgazione scientifica.
Lo spettatore di divulgazione scientifica fruisce di un prodotto che veicola in una sola
rappresentazione sociale della scienza molteplici aspetti che nel senso comune sono delle
rappresentazioni sociali che godono di un qualche grado di autonomia: le rappresentazioni
delle applicazioni della scienza, delle teorie scientifiche, della scienza dei manuali si
concretizzano in un’immagine unitaria.147 La divulgazione, in ogni caso, funge da veicolo
di socializzazione, di diffusione di pensiero scientifico nel senso comune, mentre il
pensiero scientifico ha la funzione di razionalizzare le conoscenze di prima mano del senso
comune.148
La creazione di rappresentazioni sociali avviene attraverso alcuni processi:
i) Personificazione. Spesso concetti e teorie scientifici si concretizzano in
rappresentazioni inscindibili dallo scienziato: relatività/Einstein, psicoanalisi/Freud,
riflesso condizionato/Pavlov.149 È un processo inverso a quello a cui tende il pensiero
scientifico, ovvero rendere impersonali le cose.
ii) Figurazione. Le rappresentazioni sociali hanno una grande forza immaginativa, e
spesso le rappresentazioni del senso comune influisce sul pensiero scientifico che
usa, ad esempio, metafore come onda, corpuscolo ecc.
iii) Ontologizzazione. Il pensiero scientifico si propone di non attribuire lo status di
cose o sostanze ai risultati di un analisi, mentre il senso comune tende a far
corrispondere alle idee cose, qualità, forze.
Il processo di trasformazione di pensiero scientifico in senso comune usato dallo
scienziato ‘amatore’150 può essere considerato il passaggio da un tipo di pensiero
informativo a un tipo di pensiero rappresentativo (tabella 2) caratterizzati da forme di
razionalità diverse:151
Pensiero informativo:
Concetti e segni
Validità empirica
Dominanza del ‘come’
Pensiero rappresentativo:
Immagini e simboli
Validità consensuale
Dominanza del ‘perché’
147 Moscovici S., Hewstone M., Dalla scienza al senso comune, p. 512 148 Ibidem, p. 513 149 Ibidem, p. 514 150 Moscovici S., Hewstone M., Social representation and social explanation. From the naive to the ‘amateur’ scientist, in M. Hewstone (a cura di) Attribution theory, Blackwell, Oxford 1983 151 Moscovici S., Hewstone M., Dalla scienza al senso comune, p. 525
57
Tipi fissi di inferenza
Limitazione della successione degli atti mentali
Limitazione delle forme sintattiche disponibili
Scelta dei tipi di inferenza
Flessibilità della successione degli atti mentali
Forme sintattiche illimitate
Tabella 2 - Pensiero informativo e pensiero rappresentativo
Ogni rappresentazione di una teoria scientifica comporta un’alterazione profonda del suo
contenuto e della sua struttura cognitiva. Una volta che questa alterazione è avvenuta
appare uno schema anche solo in apparenza coerente che permette agli individui di ‘creare’
realtà conforme a quegli schemi.152 Gli individui precisano “ciò che è reale” attraverso
l’interazione tra individui allo stesso modo in cui definiscono ciò che è fittizio153: è “come
se la gente deformasse le cose per metterle in accordo con i propri desideri e con i propri
interessi”.154 Alla base vi è la selezione delle informazioni, influenzata da credenze e
pregiudizi, che esclude alcuni aspetti a scapito di altri. Ne conseguono errori evidenti di
giudizio e rappresentazioni distorte della realtà, spesso dovuti al fatto che “ognuno si
espone unicamente ai messaggi del suo gruppo e non accetta che le informazioni che
provengono dal suo partito, dalla sua Chiesa, ecc.”155 Una spiegazione a ciò scaturisce dal
fatto che le informazioni sono spesso caratterizzate da ambiguità, dato che spesso è
impossibile stabilirne il grado di verità, soprattutto per quelle veicolate dai media
caratterizzati da un patto di veridizione con il fruitore molto debole. È infatti ingenuo
pensare che dietro ai termini ‘razza’ e ‘Aids’ vi sia solo un referente reale: c’è una
rappresentazione sociale, o meglio ci sono rappresentazioni sociali che individui o gruppi
sociali hanno contribuito a creare e con le quali possono essere in disaccordo. Il ‘grado di
realtà’ di informazioni, immagini, parole, che viene percepito è, secondo Moscovici, il
risultato di un processo di imputazione di realtà per ‘indizi’:
i) La ‘percezione dell’autorità’, che si basa sulla convinzione che le informazioni
siano certe e verificate da esperti. Come è facile immaginare spesso l’associazione
di un’informazione a un’autorità credibile è solo illusoria.
ii) La riduzione di una rappresentazione sociale a nozioni e immagini preesistenti. È
possibile individuare diversi tipi di strategie utilizzate in questo senso, la prima
delle quali è l’equivalenza tra le nuove informazioni e porzioni di senso comune
152 Ibidem, p. 526 153 Ibidem, p. 527 154 Ibidem
58
già sedimentate, come ad esempio l’introduzione nel senso comune attraverso la
divulgazione scientifica della teoria della divisione del cervello in emisferi con
funzioni molto diverse, che non è distante dal concetto divenuto popolare
dell’esistenza di uno spirito intuitivo e di uno intellettuale. La seconda ha il
compito di minimizzare le differenze tra la versione ‘scientifica’ di una conoscenza
e la sua rappresentazione: come il cattolico che può avere un giudizio favorevole
sulla psicanalisi se l’accosta alla confessione. Inoltre ogni rappresentazione
possiede uno schema di riduzione, come ad esempio la comparazione del corpo con
una macchina, che porta a usare i concetti di forza, motore, movimento e ad
accantonarne altri. In linea di massima ciò che rientra nei processi di equivalenza,
minimizzazione delle differenze e di applicazione di uno schema di imputazione
viene di solito chiamato realtà, ciò che viene escluso rientra nella sfera della
soggettività e dell’immaginazione. “Il senso comune ride del famoso rasoio di
Ockham e di ogni economia del pensiero. In una parola, mentre lo scienziato
professionale è per necessità deflazionista e tratta la realtà come una risorsa rara, lo
scienziato ‘amatore’ è inflazionista e tratta la realtà come una risorsa pletorica”.156
iii) La positività, ovvero la ripetizione sotto forma affermativa di una informazione
minimizzandone gli aspetti negativi e le particolarità.
In conclusione ricorrendo a una metafora di Moscovici è possibile affermare che, come
il dipinto di Magritte in cui è raffigurata una pipa e il dipinto di una pipa con l’iscrizione
“questa non è una pipa”, le rappresentazioni sociali che compongono il senso comune e
lo formano a partire dalle teorie e dai dati della scienza sono come il quadro piccolo
all’interno di quello grande:
“Le informazioni che noi riceviamo [...], sono tenute attaccate dalle immagini e dai concetti ‘sovraimposti’ agli oggetti e agli individui. Quando guardiamo questi individui e questi oggetti, quando spieghiamo le loro proprietà, noi ‘dimentichiamo’ che questi potrebbero essere delle rappresentazioni di un’altra natura. Noi applichiamo loro le categorie del nostro gruppo sociale, i ragionamenti che abbiamo acquisiti, e li combiniamo in questo quadro, per farli così come li vediamo. [...] E così i contenuti e le regole di questo pensiero rappresentativo finiscono per costutuire attorno a noi un vero ambiente entro il quale il fisico e il sociale si fondono”.
[Moscovici e Hewstone,157 1996: 532]
155 Ibidem, p. 528 156 Ibidem, p. 530
59
3.5 - Scienza, senso comune, everyday knowledge
La nozione moderna di senso comune indica l’integrazione dei idee scientifiche nella
conoscenza popolare. L’etichetta di ‘verità sociale’ in molte società industrializzate è
applicata ai prodotti del pensiero scientifico e non più, o almeno non solo, a fonti come la
religione. Le conoscenze che usiamo tutti i giorni (everyday knowledge) sono il risultato
dell’incontro tra la scienza divulgata e le credenze trasmesse da una cultura, che crea una
vera e propria folk science.158 La differenza con il senso comune propriamente detto,
ovvero il pensiero naïf, si nota dal fatto che questo è un sapere in qualche misura stabile e
tramandabile, mentre la everyday knowledge, il sapere quotidiano, è in continua
evoluzione, a causa della diffusione di folk theories da parte dei media e ai temi in agenda.
Relativamente a questo studio l’introduzione di nuovi elementi nel sapere quotidiano da
parte della rappresentazione televisiva della scienza dipende dalla loro accettazione da
parte dell’opinione pubblica. Il consenso è correlato alla quantità di cambiamento che i
nuovi elementi richiedono per essere integrati e la loro applicazione metaforica nella vita
di tutti i giorni. Soddisfatte queste esigenze, le nuove idee possono diffondersi come in
un’epidemia, finchè non vengono sostituite da altre.159
Parafrasando Wittgenstein è possibile affermare che il pensiero scientifico concretizzato
nelle rappresentazioni sociali della scienza estende la periferia di quella città ideale che è il
sapere quotidiano come i simboli chimici e il concetto di infinito in matematica hanno
accresciuto il linguaggio e il pensiero preesistenti.160 Si può applicare la metafora della
città come conoscenza sia al sapere quotidiano, prodotto delle rappresentazioni sociali,
delle credenze trasmesse e della scienza divulgata, sia alla comunicazione scientifica
pubblica, che riformula le rappresentazioni sociali della scienza e influenza la ricerca in
più campi.161 Si può immaginare la divulgazione come un forum, e che le idee non siano
oggetti che passano da un individuo all’altro ma ‘spazi’. Area, field, boundaries, frontiers
sono metafore spaziali che vengono comunemente usate sia nella produzione che nella
divulgazione scientifica. Sia lo spazio urbano che quello concettuale sono il risultato di
157 Ibidem, p. 532 158 Wagner W., “Aspects of social representation theory”, Social Science Information, 33, 2, 1994, p. 156 159 Sperber, D., The epidemiology of beliefs, in C. Fraser and G. Gaskell (a cura di) The social psychological study of widespread beliefs¸ Clarendon Press, Oxford 1990 160 Wittgenstein L., Philosophische Untersuchungen, in Schriften, vol. 1, Suhrkamp, Francoforte sul Meno 1969, p. 18 161 Broks P., Conceptual space: a new understanding of popular science, Public Communication of Science and Technology Conference, Berlino 17-19 Settembre 1998
60
progettazione, uso e storia, e stabiliscono il modo in cui la comunità, rispettivamente, vive
e pensa. In questo scenario gli attori sociali sono chiamati a rendere accessibili le aree
edificate e a individuare gli spazi liberi verso i quali dirigersi, ovvero la comunicazione
scientifica pubblica risponde alla necessità di rendere comprensibile e fruibile dal pubblico
l’attività della ricerca, e contemporaneamente influenza la scienza stessa nella sua
rappresentazione, negoziandone i confini come ad esempio avviene per la bioetica, e
indicando le priorità alle quali la ricerca dovrebbe dedicare le risorse maggiori, come ad
esempio la progettazione di centrali nucleari sicure chiesta da più parti durante la crisi
energetica del gennaio 2005. In altre parole:
“We can picture our present version of common sense as a city with old and new houses, crooked streets and squares in the old center, surrounded by younger suburbs with straight streets and monotonous buildings.
[Geertz,162 1983]
La costruzione del senso comune avviene attraverso i processi di selezione di porzioni di
realtà e di generalizzazione degli elementi selezionati che vengono ridotti a tipi.163 La
dimensione sociale della conoscenza, dato che il sapere quotidiano serve sia a
comprendere la realtà che a condividere le rappresentazioni che rendono possibile la
comunicazione, viene costruita attraverso la mediazione di tv, stampa e dei gruppi sociali
per l’acquisizione della conoscenza, fino alla cristallizzazione delle nuove conoscenze in
convenzioni.164 Oltre all’acquisizione, l’elemento sociale emerge nelle forme di
socializzazione delle conoscenze e alla loro modalità di distribuzione,165 dato che ogni tipo
di riformulazione o di fruizione delle conoscenze innesca processi di negoziazione delle
rappresentazioni sociali della scienza.
La costruzione sociale della ‘conoscenza quotidiana’ (everyday knowledge), che secondo
Uwe Flick166 è l’espressione più adatta ad indicare che il concetto moderno di senso
comune include la razionalizzazione del pensiero scientifico che diventa utilizzabile anche
in ambiti non specialistici, avviene su due livelli interconnessi: quello dei collettivi, ovvero
attori più o meno istituzionali dotati di expertise e di linguaggi specifici, e quello della
quotidianità, ovvero individui e gruppi sociali non specialisti. Attraverso l’interazione le
162 Geertz C., Local knowledge, Basic Books, New York 1983 163 Shutz A., Collected papers, vol. I, Nijhoff, Den Haag 1962 (1966), p. 7 164 Ibidem 165 Flick U., “Social representations and the social construction of every day knowledge: theoretical and methodological queries”, Social Science Information, 33, 2 (1994), Sage, London, p. 180
61
rappresentazioni acquistano una dimensione tra individui membri di un gruppo e tra diversi
gruppi sociali.167
Le rappresentazioni sociali non riproducono fedelmente la realtà: in primo luogo perché
non è detto che esista una realtà in quanto tale, e in secondo luogo perché il processo che
genera le rappresentazioni sociali, ovvero l’insieme di selezione, oggettivizzazione e
ancoraggio delle cose percepite, è esso stesso una forma di costruzione della realtà.168 La
rappresentazione sociale è dunque in stretta relazione con i concetti di comunicazione e
comprensione, e non agisce solo a livello cognitivo, dal momento che le rappresentazioni
sociali creano sia la realtà che percepiamo, come detto prima, sia il senso comune, ovvero
lo strumento che serve a catalogare il mondo.169 Parafrasando le parole di Serge Moscovici
è possibile affermare che produrre rappresentazioni sociali corrisponde a creare la realtà, o
almeno tre aspetti di essa. In primo luogo le rappresentazioni che un gruppo ha di sé
diventano parte integrante della sua identità; in secondo luogo le rappresentazioni hanno
sia un lato mentale che uno materiale; e infine la vita dei gruppi sociali si basa su ‘mondi
virtuali’ e che la loro trasformazione è un ulteriore modo di creazione della realtà.170
Questi mondi virtuali sono ad esempio quelli che emergono dalle griglie di valutazione
dei gruppi caratterizzati da expertise e specializzazione, come le discipline scientifiche e la
ricerca, dal momento che nella comunicazione intraspecialistica della scienza, ad esempio,
individui che non hanno alcun contatto fisico tra di loro condividono rappresentazioni
sociali e categorie.171
La costruzione sociale della realtà nel senso comune attraverso le rappresentazioni
sociali, dunque, è un processo speculare a quello della creazione della realtà da parte del
linguaggio televisivo per quanto riguarda la divulgazione scientifica, dal momento che si
basano entrambi sulla selezione e la tipizzazione dei prodotti della percezione e si
influenzano a vicenda, oltre a influenzare la produzione scientifica stessa come visto nei
modelli della comunicazione pubblica della scienza.
166 Ibidem, p. 183 167 Moscovici S., “The mith of the lonely paradigm: a rejoinder”, Social Research, 51, 1984, p. 958 168 Flick U., Social representations and the social construction of every day knowledge: theoretical and methodological queries, p. 183 169 Moscovici S., The phenomenon of social representation, in R. M. Farr e S. Moscovici (a cura di) Social representations, Cambridge University Press, Cambridge 1984, p. 19 170 Moscovici S., “Answers and questions”, Journal for the Theory of Social Behaviour, 17, 1987, p. 517 171 Flick U., Social representations and the social construction of every day knowledge: theoretical and methodological queries, p. 183
62
L’inserimento della realtà dei media all’interno della costruzione del senso comune e la
tendenza di quest’ultimo ad appropriarsi di elementi del pensiero scientifico attraverso
attività di comunicazione pubblica della scienza suggeriscono che il senso comune non è
più da considerarsi una forma di conoscenza opposta a quella scientifica ma una
trasformazione di conoscenza specialistica in strategie da usare quotidianamente per capire
il mondo. Questa everyday knowledge172 è un insieme di conoscenze meno esplicite e
definite di quelle degli esperti ma più complesse e strutturate di nozioni isolate; infatti si
tratta di un processo progressivo di sostituzione delle conoscenze tramandate (archaic
knowledge) con quelle del pensiero scientifico disponibili attraverso le traiettorie di
comunicazione pubblica della scienza.
3.6 - Il trasferimento delle conoscenze
È possibile dunque, alla luce degli studi effettuati da Serge Moscovici sul senso comune
e da Uwe Flick sul rapporto tra la comunicazione della scienza e le forme di conoscenza
non specialistiche (figura 7173) elaborare un modello dei diversi livelli di conoscenza che
integri i modelli di comunicazione scientifica pubblica descritti e proposti nel capitolo 2.
Per Bangerter la divisione tra senso comune, associato solitamente all’universo
consensuale, e pensiero scientifico, ovvero l’universo oggettivizzato, non è netta. Infatti ci
sono rapporti complessi tra questi due mondi; si può notare ad esempio come all’interno
delle teorie scientifiche ci siano elementi prodotti da forme di pensiero non scientifiche.174
Le nozioni di universo consensuale e oggettivizzato (reified) nascono per evitare di
considerare la scienza una sfera sacra da venerare contrapposta al pensiero usato nelle
pratiche quotidiane.175 Nelle società antiche la sfera del sacro era considerata un mistero e
un tabù ed era caratterizzata da rituali, cerimonie e da un linguaggio altamente
formalizzato. Un alto tasso di formalizzazione influisce anche sulla negoziazione dei
significati e sulla produzione di senso: il discorso sacro nelle società prescientifiche o
quello scientifico nella modernità diventano indipendenti dall’enunciatore, che è soltanto il
172 Ibidem, p. 165 173 Nello schema dei livelli di conoscenza di Flick è stata evidenziata l’area interessata dai modelli della comunicazione scientifica analizzati nel capitolo 2 174 Bangerter A., “Rethinking the relation between science and common sense: a comment on the current state of social representation theory”, Papers on Social Representations, vol. 4, 1995, p. 61 175 Moscovici S., The phenomenon of social representations, p. 20
63
veicolo della conoscenza prodotta dalla scienza come sistema.176 Nell’universo
oggettivizzato le cose divengono la misura dell’uomo.177
Figura 7 - La comunicazione scientifica pubblica e le forme della conoscenza
A dimostrazione di ciò è interessante osservare come il significato delle parole nel
linguaggio scientifico sia denotativo e inequivocabile mentre nel senso comune le
rappresentazioni sociali dei concetti sono variabili e connotative. È possibile dunque
affermare che le rappresentazioni sociali siano in continuo movimento grazie alla dialettica
tra questi due universi: il senso comune è dunque il primo passo verso la formalizzazione
di concetti non familiari attraverso un ancoraggio con la realtà, il pensiero scientifico è la
razionalizzazione univoca di questo rapporto referenziale:
Senso comune: l’universo consensuale La scienza: l’universo oggettivizzato
profano
essoterico
mancanza di formalizzazione
esperto
esoterico
formalizzato
176 Bangerter A., Rethinking the relation between science and common sense: a comment on the current state of social representation theory, p. 65 177 Moscovici S., On social representations, in J.P. Forgas (a cura di) Social cognition, Academic Press, New York 1981, p. 186
64
polisemia
connotazione
instabile nel tempo
referenza univoca
denotazione
stabile nel tempo
Tabella 3 - Universo consensuale e universo oggettivizzato
Le rappresentazioni sociali delle teorie scientifiche, infatti, tornano a influenzare il senso
comune: la loro metamorfosi all’interno della società e il loro modo di rinnovare il senso
comune fanno parte del processo di diffusione di una teoria. Il rapporto tra senso comune e
scienza non è soltanto bottom-up dunque, ma la divulgazione scientifica rappresenta il
modo in cui in un’ottica top-down il senso comune si rinnova attraverso la sua
formalizzazione:178 il pensiero scientifico. Questo tendenza è così forte che a volte le teorie
scientifiche si caricano di valore ideologico: i concetti, le immagini e il vocabolario
disseminati acquistano connotazioni all’interno nel senso comune; gruppi politici e sociali
si appropriano di questi concetti divulgati, quindi polisemici e non più univoci, connotativi
e non più denotativi, in nome della scienza.179
Il trasferimento delle conoscenze tra universo oggettivizzato e consensuale è un modo
per integrarle nelle strutture conoscitive esistenti di un gruppo sociale.180 In questo
processo di rappresentazione sociale delle teorie scientifiche nacono i ‘miti scientifici’,181
ovvero quella particolare classe di rappresentazione sociale che aiuta ad assimilare le
nozioni scientifiche, come la teoria del Big Bang o la teoria della divisione delle funzioni
degli emisferi cerebrali. Diventano miti perché nel senso comune prendono forma narrativa
mentre conservano la sacralità dovuta al fatto che scaturiscono dal discorso scientifico.
Ovviamente sono rappresentazioni sommarie, con almeno due difetti: non sono verificabili
attraverso le categorie del senso comune, e sono autosufficienti dal momento che si
emancipano dall’universo della scienza in virtù di processi di ancoraggio.
È necessario però affermare che per molti aspetti ‘scienza’ e ‘conoscenza scientifica’ non
corrispondono, e che entrambi non sono comunità omogenee di idee e gruppi di scienziati:
la produzione di miti scientifici inalvea tutte le discipline e le scuole di pensiero nello
178 Moscovici S., The phenomenon of social representations, p. 54 179 Ibidem, p. 59 180 Bangerter A., Rethinking the relation between science and common sense: a comment on the current state of social representation theory, p. 66 181 Moscovici S., The psychology of scientific myths, in. von Cranach M, Doise W., Mugny G. (a cura di) Social representationsand social bases of knowledge, Hans Huber, Bern 1992, pp. 3-9
65
stesso insieme. Bangerter nota efficacemente che anche nella scienza queste differenze
spesso si annullano: infatti è singolare come il concetto di falsificazione, secondo lo
psicologo molto simile a un mito scientifico, sia un elemento costitutivo della ideologia
della scienza usato per legittimare i suoi prodotti e considerato infallibile.182
182 Bangerter A., Rethinking the relation between science and common sense: a comment on the current state of social representation theory, p. 72
66
Capitolo 4 - Televisione e negoziazione della scienza
La comunicazione pubblica della scienza è un sistema complesso e articolato che subisce
diverse interpretazioni. Infatti secondo alcuni la divulgazione scientifica (popular science)
è la parte più periferica del discorso scientifico e nulla ha a che fare con la produzione di
conoscenza scientifica.183 Questa rappresentazione popolare non induce a un vero proprio
sviluppo della scienza ma punta al trasferimento di conoscenza scientifica alle masse.
Secondo questo orientamento la conoscenza viene prodotta all’interno di comunità
scientifiche che usano significati, pratiche e linguaggi complessi che devono essere
riformulati accuratamente in linguaggi non specifici, ad esempio in quello giornalistico o
in quello televisivo.184 In linea teorica è possibile affermare che la comunicazione
scientifica pubblica raggiunge uno dei suoi scopi quando la comunità scientifica ritiene che
il processo di semplificazione sia accurato e non viziato da distorsioni185 anche se gli
scienziati possono fare un uso scorretto delle etichette ‘semplificazione accurata’ e
‘distorsione’ per screditare il lavoro di altri scienziati o per favorire il proprio approccio
disciplinare rispetto ad altri a causa di pressioni politiche o sociali.186
Secondo altri i prodotti di divulgazione andrebbero considerati una sorta di forum di
negoziazione nei quali si formano le idee di cosa sia la scienza, di quali topics siano da
considerarsi scientifici. Questa negoziazione dei principi guida e degli argomenti della
scienza sta alla base degli obiettivi della divulgazione che sono accrescere la conoscenza
media e la capacità del pubblico di intervenire in questioni tecniche.187 La divulgazione,
dunque, non può limitarsi a una immagine unitaria e decontestualizzata della scienza e a
una mera trasmissione di informazioni perché fornisce gli strumenti per infinite
negoziazioni del concetto di scienza: abusare del senso comune, come dimostrato da
Hilgartner, provoca una degradazione e un inquinamento dell’idea di scienza che il mezzo
televisivo contribuisce a costruire, specchio ed exemplum del mondo188 ma anche modello
e strumento per negoziazioni continue delle rappresentazioni. La negoziazione della
183 Curtis R., “Narrative form and normative force. Baconian story-telling in popular science”, Social Studies of Science, vol. 24, n. 3, pp.419-461 184 Shinn T. Whitley R, (a cura di) Expository science, Reidel, Dordrecht 1985 185 Dornan C., “Some problems in conceptualizing the issue of ‘Science in the Media’”, Critical Studies in Mass Communications, vol. 7, 1990, pp. 48-71 186 Hilgartner S., “The dominant view of popularisation”, Social Studies of Science, 20, 1990, pp. 519-539 187 Nieman A., The popularisation of physics: boundaries of autority and the visual culture of science, University of the West of England, Bristol 2000 188 Casetti F., Di Chio F, Analisi della televisione, Bompiani, Milano 1998, p. 267
67
scienza nei media corrisponde al cosiddetto ‘boundary work’, al processo di delimitazione
dei confini della scienza da parte degli attori sociali.
La negoziazione del concetto di scienza attraverso la televisione avviene dal momento
che quest’ultima esercita nei confronti dei contenuti che rielabora una funzione
modellizzante che si va ad aggiungere alle altre funzioni che caratterizzano un testo
televisivo da altri prodotti culturali. Questa specificità fa sì che la tv rispecchi, riprenda,
codifichi nuovamente e riproponga tempi e modi di interazione. Costruisce
rappresentazioni semplificate e canoniche della realtà, da cui prende a prestito valori,
rituali, simboli, tipologie di interazione, che poi restituisce come modelli. Questo avviene
anche nella fiction televisiva che saccheggia il reale, crea immaginario che diventa punto
di riferimento per leggere il sociale. È ciò che avviene con l’immagine dello scienziato: le
rappresentazioni sommarie e stereotipate dello scienziato si rafforzano in virtù della
solidità che acquista la rappresentazione televisiva rispetto alla realtà.189
4.1 - La negoziazione della scienza nello spazio pubblico
Il racconto della scienza nei media non specializzati determina la costruzione di figure di
eroi, dallo scopritore geniale al chirurgo innovatore, che spesso debordano dal campo
specifico per diventare esperti di etica pubblica e privata, come i Nobel che acquisiscono il
ruolo di sacerdoti laici. D’altro canto la comunicazione scientifica nello spazio pubblico è
parte integrante della ricerca in quanto le rappresentazioni della scienza influiscono sui
processi di negoziazione.
Secondo Lyotard il sapere nelle società contemporanee cessa di essere fine a se stesso e
diviene prodotto per essere scambiato.190 In questo caso, partendo dall’assunto che la
comunicazione della scienza fa parte della ricerca stessa, il sapere scientifico ingloba la
sua comunicazione, e si intreccia dunque con il sapere in forma narrativa.
Nelle ‘teorie dominanti’191 si ipotizza un meccanismo lineare e unidirezionale e si
prevede che il sapere scientifico venga trasmesso ai ‘laici’. Dato che i non esperti non
possiedono le competenze per interpretare i codici che sottostanno alla produzione di
189 Nieman A., The popularisation of physics: boundaries of autority and the visual culture of science, pp. 185-209 190 Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981, pp. 12-13 191 Ci si riferisce all’espressione introdotta da Hilgartner (The dominant view of popularisation) e in generale ai ‘modelli di diffusione’ (Väliverronen E., Science and the media: changing relations, Cooter R., Pumfrey S., “Science in popular culture”)
68
sapere scientifico, questo passa attraverso un filtro, una pratica sociale apposita, la
divulgazione, che opera come una traduzione. Questo passaggio causa una spaccatura
dovuta al processo di decadimento del sapere scientifico nella traduzione semplificata, se
non distorta e banalizzata.192 Inoltre, dato che non è prevista una retroazione tra il
destinatario della divulgazione e gli specialisti, il mondo della scienza risulterebbe come
chiuso e autosufficiente. A condividere questi due tipi di sapere deve essere il
mediatore193, che si trova nella condizione di esercitare il potere di partecipare al processo
di produzione di senso, e questa figura è inevitabilmente osteggiata dagli scienziati.
“Lo scienziato moderno si trova necessariamente a far parte di una setta di inintellegibili. Ne risulta un abisso crescente tra lo scienziato e i profani. L’uomo comune deve accettare con un atto di fede le dichiarazioni pubbliche sulla teoria della relatività o sulla teoria quantistica o su altri oggetti esoterici”.
[Merton,194 2000:1049.]
Per tentare di colmare questo divario, la traduzione delle teorie complesse avviene ad
esempio attraverso il linguaggio delle applicazioni tecniche.195 Questo processo produce
un surplus di legittimità dovuto alla percezione di utilità che si aggiunge alla legittimità
della scienza tout court. L’utilità e la visibilità delle applicazioni rendono dunque
accettabile la fiducia del pubblico nei confronti di una realtà inintellegibile come quella
scientifica, che altrimenti prenderebbe la forma di un atto di fede196 anche se l’ethos dello
scienziato lo porta ad agire in relazione a previsioni sul lungo periodo e non sulle
applicazioni immediate delle teorie scientifiche. C’è dunque uno scarto tra le ideologie
della scienza e quelle della sua immagine197 in un modello diffusionista come quello delle
teorie dominanti, soprattutto alla luce del fatto che gli esperti hanno la possibilità di
spostare i confini di ciò che è scienza senza alcun controllo da parte di altri attori.198 Sia
l’operato degli scienziati che quello dei mediatori fa riferimento a quella che è l’ideologia
positivista, che per lo scienziato suona come ‘attenersi ai fatti e alla realtà dei fatti’, mentre
per il campo giornalistico consiste nel ‘ridurre il reale a ciò che viene percepito, il fatto alla
192 Guizzardi G, La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, in Guizzardi G. (a cura di) La scienza negoziata, scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002, p. 7 193 Ibidem, pp. 14-15 194 Merton R.K., Teoria e struttura sociale. III Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza, il Mulino, Bologna 2000, p. 1049 195 Ibidem, p. 1044 196 Ibidem 197 Mulkay M, La scienza e la sociologia della conoscenza, Comunità, Milano 1981 198 Hilgartner, The dominant view of popularisation, p. 533
69
sua descrizione’:199 quello che gli scienziati fanno e non quello che essi dicono a proposito
di quello che fanno.200 È un doppio codice che salvaguarda le due tipologie di attori come
produttori di fatti reciprocamente inaccessibili all’osservazione e alla critica reciproca.201
È indubbio però che questi modelli lineari e diffusionisti non rendono conto di flussi
comunicativi di retroazione che sono stati dimostrati, come l’influenza della divulgazione
di una notizia sulla fonte stessa. Infatti può accadere che lo scienziato ‘aggiusti il tiro’
delle sue ricerche in virtù di quelle da lui stesso divulgate.202 È da notare infatti
un’influenza del narrativo nel sapere scientifico, tradizionalmente non narrativo,
soprattutto nella comunicazione da parte della scienza verso il grande pubblico nella quale,
per soddisfare le regole del gioco narrativo che vincolano sia i media gli scienziati, la
scienza prende la forma di un’epopea.203
È possibile ritenere dunque che l’arena dei media partecipa attivamente alla costruzione
del fatto scientifico a causa delle molte controversie che apre e della negoziazione tra
esigenze e prospettive degli attori204 e che la scienza non pensa essa stessa come assoluta
anche se lo afferma. Il ruolo degli attori istituzionali e politici è cruciale nella definizione
del fatto scientifico, così come quello della comunicazione pubblica della scienza, che è il
terzo gruppo di attori in gioco. Le dinamiche tra questi tre gruppi sono solo all’apparenza
lineari. A tal riguardo è possibile affermare che i processi di mediatizzazione del conflitto
scientifico influenzano non solo la rappresentazione della scienza, ma anche la credibilità
della ricerca nella produzione di conoscenze scientifiche: “creare eventi mediatici e
acquisire la condizione di esperto sono due dimensioni proprie del linguaggio dei media
che finiscono per entrare nelle competenze richieste agli scienziati”.205
4.2 - Attori e conflitti
La visione dominante della scienza, rappresentata dai modelli della diffusione, spiega
solo in minima parte i processi che si instaurano tra fruitori dei media e mondo scientifico;
199 Schiele B., “Vulgarisation et télévision”, Social Science Information, n. 25, 1986, p. 203 200 Nelkin D., Selling science. How the press covers science and technology, Freeman, New York 1987, p. 163 201 Guizzardi G, La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, p. 19 202 Cloitre M., Shinn T., “Enclavement et diffusione du savoir”, in Social Sciences Information, n. 25, 1986, pp.161-187 203 Lyotard J.F., La condizione postmoderna, p. 53 204 Shinn T., Whitley R., Expository science 205 Guizzardi G, La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, p. 27
70
ad esempio non tiene conto della negoziazione dei fatti scientifici che avviene attraverso la
distribuzione di visibilità da parte dei media, negoziazione sia riguardo le esigenze degli
attori, ma anche sui confini della scienza, sul ruolo dell’etica, e soprattutto sulla
rappresentazione sociale dello scienziato e della scienza. La rappresentazione sociale della
scienza coinvolge i processi di narrazione televisiva, quella dello scienziato coinvolge i
processi che fanno di un individuo un esperto attraverso la personificazione del ruolo
astratto, portavoce legittimato dal consenso di altri esperti.206
Immaginando un racconto possibile della scienza in tv si potrebbe pensare a una
narrazione ‘in azione’, di processo e non di prodotto. Ma questa rappresentazione dinamica
dovrebbe considerare non solo il contesto della produzione scientifica e delle peculiarità
epistemologiche delle varie discipline, ma anche i processi di negoziazione tra attori
sociali che determinano i confini entro i quali la conoscenza scientifica è legittimata ad
agire e le rappresentazioni sociali della scienza e dello scienziato, ovvero le
semplificazioni della realtà presenti nel senso comune.
La posizione cruciale nei processi di negoziazione è occupata dalla figura dell’esperto,
figura astratta in cui è accumulato il potere di definizione della situazione in virtù del
consenso istituzionale del mondo della ricerca dal quale l’esperto è legittimato. Accanto a
questa forma di definizione del “vero” la funzione della divulgazione e del giornalismo
scientifico risiede nella definizione del “nuovo” e dell’”utile”, in base sia ai criteri di
notiziabilità che quelli di formulabilità televisiva. In alcune situazioni particolari verità,
novità, e utilità della comunicazione scientifica televisiva rientrano nella categoria del
‘giusto’: l’esempio più lampante è quello della comunicazione delle catastrofi in cui la tv,
oltre a riformulare il discorso scientifico all’interno degli schemi ideologici analizzati in
questa sede, suggerisce che è giusto essere il più informati possibile e la bontà degli
interventi possibili per uscire dalle situazioni di rischio. In altri tipi di controversie la
categoria del giusto viene richiamata per negoziare con la scienza la sfera dell’etica,
soprattutto nelle scienze biomediche riguardo alla negoziazione tra diversi attori sociali,
scientifici e istituzionali di concetti come l’origine della vita, la delimitazione tra umano e
non umano, i concetti di natura e di natura umana.207
206 Ibidem, p. 38 207 Ibidem, pp. 43-45
71
Capitolo 5 - Divulgazione e retorica: generi e linguaggi, autorevolezza e patti
comunicativi
5.1 - I generi: forme e promesse della scienza in Tv
Per fornire una definizione di genere televisivo precisa e al tempo stesso generale, ci si
può affidare a quella di François Jost. Se per Neale208 il genere è un insieme di
convenzioni che intervengono sia in fase di produzione che di fruizione dei testi, e per
Altman 209è un contratto che stabilisce convenzioni testuali che determinano gli standard di
produzione mentre per Wolf è un sistema di regole che funge da modello di produzione per
l’emittente e sistema di attese per il ricevente,210 per Jost ha più le caratteristiche di una
promessa.211 Una promessa intesa in un duplice senso: infatti il genere determina un
orizzonte di attese, e inoltre si impegna a garantire un certo livello di interesse o di
emozioni.212 “Ogni genere in effetti si basa sulla promessa di un rapporto con un mondo il
cui modo o grado di esistenza condiziona l’adesione e la partecipazione del ricettore. Detto
altrimenti un documento [...] è prodotto in funzione di un determinato tipo di credenza a
cui mira il mittente e, di rimando, non può essere interpretato dal destinatario senza
un’idea preliminare del tipo di legame che l’unisce alla realtà”.213
Dunque il genere è un’insieme di elementi espressivi che suggeriscono al fruitore il tipo
di rappresentazione della realtà o di finzione del testo televisivo. La neotv della fiducia,
più che dell’autorevolezza, quindi tv amica e non maestra come la paleotv,214 chiede la
partecipazione del fruitore formulando la promessa di esaudire aspettative legate a un
insieme di credenze condivise tra emittente e ricevente del messaggio, in virtù del fatto che
il genere è riconoscibile e codificato.
Cultura e scienze per la televisione attuale sono forme di intrattenimento, o meglio
l’intrattenimento è il linguaggio che la neotv utilizza per rappresentare tutto, anche cultura
208 Neale S., Questions of genre, in O. Boyd-Barret, C. Newbold (a cura di), Approaches to media: a reader, Arnold, London 1995 209 Altman R., Film/Genre, British Film Institute, London 1999 210 Wolf M., Generi e mass media, in Barlozzetti G. (a cura di), Il palinsesto. Testi, apparati e generi della Tv, Franco Angeli, Milano 1986 211 Jost F., Realtà/Finzione. L’impero del falso, Il Castoro, Milano 2003 212 Grasso A., Scaglioni M., Che cos’è la televisione, Garzanti, Milano 2003, p. 95 213 Ibidem 214 Casetti F., Di Chio F., Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, VPT/ERI, Roma 1988, p. 125
72
e scienza.215 L’ edutainment, compresenza di education e entertainment, rappresenta una
forma di ibridazione che consiste nell’utilizzo di modalità espressive del linguaggio dello
spettacolo in trasmissioni che hanno l’obbiettivo di aumentare o consolidare determinate
conoscenze del fruitore. I programmi che mantengono la cifra stilistica della paleo-
televisione, ovvero una maggiore attenzione per l’educazione piuttosto che per gli altri due
elementi della ‘triade reithiana’,216 trovano spazio solo nelle ore morte del palinsesto, e il
loro scarso potere di attrazione costringe le reti quasi a giustificare la loro esistenza con
marche comunicative ad hoc come il logo RaiEdu che sostituisce quello tradizionale della
tv di stato in un vertice dello schermo. L’edutainment si affida invece a una ricetta ibrida:
la funzione educativa viene garantita dall’intervento di ospiti esperti e l’uso di
documentari, spesso molto spettacolari, che sono però intarsiati con forme provenienti dal
contenitore che forniscono ritmi di narrazione più vivaci. Uno dei linguaggi usati nel corso
degli anni da Quark ad esempio si compone di frammenti di tonalità diversa, che gioca
sull’alternanza tra una parte scientifica esplicativa e una parte con ospiti condotta come un
talk show. È possibile trovare altre declinazioni televisive della scienza che rientrano nel
genere divulgazione nella ‘terra di mezzo’ tra scienza e fiction, dove da un lato si assiste a
rappresentazioni della scienza “che spesso debordano in una sorta di scienza-trash al
confine tra arti divinatorie e science fiction, mentre dall’altro si guarda con interesse alla
nascita di generi nuovi, di confine, come il docudrama”,217 che a dire il vero ha già una
discreta diffusione nel mondo anglosassone. Il docudrama focalizza la sua attenzione
sull’intreccio, la narrazione degli eventi, costruendo artificialmente vicende non
documentabili con le immagini, nel rispetto della credibilità delle fonti e dell’expertise, e
nell’ottica del verosimile televisivo. Il docudrama è forse l’esempio più lampante di come
le rappresentazioni televisive paradossalmente possano essere percepite più verosimili
attraverso la virtualizzazione, l’iperrealtà teorizzata da Baudrillard.218 Commistioni tra
talk-show, rotocalco giornalistico, contenitore e collection di documentari spesso di
docudrama rappresentano i confini entro i quali agiscono le trasmissioni di divulgazione
scientifica, anche se configurazioni di questo tipo vengono spesso usate anche nelle
inchieste televisive (Chi l’ha visto?, Blu notte) e in programmi solo in apparenza
215 Menduni E., I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 156 216 Ci si riferisce alla ‘missione’ della BBC condensata da Reith nello slogan educare, intrattenere, informare. 217 Menduni E., I linguaggi della radio e della televisione, p. 156 218 Baudrillard J., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 41
73
scientifici219 per rispondere all’esigenza di restituire intensità a una storia attraverso
l’affabulazione della ricostruzione narrativa.
Dunque nell’edutainment è contenuto un paradosso tipico di tutte le forme di
virtualizzazione della realtà per cui ciò che è ricostruito è più efficace del reale. Simulare e
ricostruire una situazione del genere risulta molto più rapido, economico, efficace. Essendo
tutto confezionato su misura ci consente di rendere al massimo quell’effetto realtà che non
si avrebbe facilmente in una ripresa dal vivo.
5.2 - La divulgazione come genere
Roger Silverstone sostiene che la detective story è la forma più usata dai mass media per
raccontare la scienza che diventa favola, mito.220 Rivolgendo l’attenzione alla situazione
italiana Grasso221 ha notato che i programmi che rientrano nel genere ‘divulgazione
scientifica’, a partire dai primi esempi nella seconda metà degli anni Cinquanta (Albori del
Progresso Scientifico, Sapere,222 Enciclopedia Tascabile, le Avventure della Scienza di
Enrico Medi, Arti e Scienze, possono essere definite ‘illustrazione per descrizione’ in
quattro forme principali:
i) il modello basato su l’esperto inteso come depositario ufficiale del sapere in
programmi mediati o frequentati da non specialisti richiedono all’esperto di
esercitare la sua funzione veridittiva sugli argomenti trattati.
ii) il modello della lezione, esempio più caratteristico della tv degli albori che si
manifesta come una scuola parallela223 i cui programmi simulano una lezione
scolastica, con tanto di lavagne, laboratori e studenti.
iii) il documentario è il frutto di un processo di spersonalizzazione della divulgazione
con esiti spettacolari. È la tv che prende lo spettatore per mano.
iv) il modello del conduttore. Ordinatore e generatore del discorso, conferisce alle
trasmissioni omogeneità e identificabilità, caratteristiche necessarie all’esistenza
219 Cfr. pragrafo 5.4.2 220 Silverstone R., Framing science, the making of a BBC documentary, British Film Institute, London 1985 221 Grasso A. (a cura di), Enciclopedia della televisione, Garzanti, Milano 1996 (2003), pp. 201-202 222 Programma Nazionale, dal 1967 al 1971, tutti i giorni in fascia preserale, a cura di Giovan Battista Zorzoli 223 Ciò è valido anche per la fiction, come notato da Sorice in Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana, Editori Riuniti, Roma 2002 e da Buonanno in numerosi testi per quanto riguarda la socializzazione delle grandi masse nei confronti dei classici della letteratura stimolata da sceneggiati come I promessi sposi, La cittadella, I fratelli Karamazov, senza considerare l’importanza della cosiddetta paleotv per la diffusione dell’italiano standard
74
stessa dei programmi e delle reti nella tv della concorrenza. Atteggiamenti
riconoscibili e linguaggio caratteristico rappresentano punti di contatto e forme di
coinvolgimento del pubblico. Spesso la figura del conduttore viene usata per
caratterizzare e per infondere i valori di rete e del programma a contenuti di grande
prestigio ma poco personalizzati, come l’accostamento negli anni Novanta di Piero
Angela e dei documentari firmati National Geographic.
In sintesi traduzione e narrazione sono le due vie percorribili dal genere divulgazione in
tv. La traduzione dei codici scientifici in modalità espressive più generiche è una strada
battuta in misura maggiore dalle riviste, mentre una declinazione televisiva del genere
consiste invece nell’agire su tutte le parti dell’enunciato che prende la forma di un
racconto e una coerenza interna espressa con gli aspetti retorici e spettacolari tipici della
fiction, come drammatizzazione e spettacolarizzazione. Questi processi di
narrativizzazione del discorso scientifico portano a una descrizione ideologica della
scienza, evidente ad esempio in alcuni programmi in cui c’è una visione umanizzata degli
animali, e conducono alla conclusione che la divulgazione tende incontrovertibilmente alla
science-fiction in quanto l’enunciatore sperimenta modalità espressive che lo rendono
autore del messaggio anche se questo è la mediazione di un prodotto della conoscenza
scientifica.224
5.2.1 - Logiche di programmazione
I dati confortanti per quanto riguarda la divulgazione scientifica negli ultimi anni sono
sicuramente quelli relativi a audience e palinsesto. Anche se negli ultimi anni sia la Rai
che Mediaset hanno posizionato le trasmissioni di divulgazione nelle reti che intercettano
una parte minoritaria del pubblico televisivo (Rai Tre e Rete 4) c’è da notare un ritorno al
prime time dopo l’ostracismo dalla prima serata degli anni Ottanta, e i dati riguardanti gli
ascolti sono in rialzo.225 Ad esempio un programma come Gaia trasmesso in prima serata
su Rai Tre può ottenere punte di share fino al 14%, più di due milioni e mezzo di
spettatori. Questo sia grazie al ritorno di interesse di una parte del pubblico per i temi
scientifici, sia perché l’offerta divulgativa è permeata anche in altre parti del palinsesto
televisivo come il daytime sia con programmi autonomi (Alle falde del Kilimangiaro, Geo
224 Grasso A. (a cura di), Enciclopedia della televisione, p. 202
75
& Geo, Hit science, Atlantide) sia con appendici di programmi di prima e seconda serata
(Ragazzi c’è Voyager!).226 Senza dubbio lo spostamento della scienza alle reti che
raccolgono il target dei ‘dissidenti’, della parte minoritaria del pubblico del mainstream, è
in una qualche misura strumentale alla raccolta pubblicitaria, dato che “il minuto di
pubblicità su Rai Uno rende alla Rai molto più di quello su Rai Tre. Paradossalmente se la
terza rete fa troppo ascolto danneggia i bilanci dell’azienda”.227 Per quanto riguarda
Mediaset si può notare che gli ottimi riscontri di audience de La Macchina del Tempo sono
il frutto di un investimento di ampia prospettiva che coinvolge un canale satellitare e un
mensile che portano lo stesso nome. La visibilità televisiva del prime time è funzionale
dunque allo sfruttamento trasversale di un brand.
Da un punto di vista economico le reti hanno una certa convenienza nel fare
divulgazione, dato che le produzioni che acquistano documentari dalle grandi case di
produzione possono contare su vantaggi dovuti dalle economie di acquisto e di scala.228 La
forza di ‘etichette’ come National Geographic o BBC nel conferire autorità e credibilità
alle reti che ne acquistano i diritti fa ritenere il loro acquisto più conveniente che l’acquisto
di fiction. Infatti le major propongono pacchetti che incorporano sia un prodotto molto
appetibile sia altri caratterizzati da un appeal inferiore: lo stock di B movies che
accompagna un prodotto di fiction è sicuramente meno promuovibile e garantisce un
ritorno di ascolti inferiore a un documentario di media fattura posizionabile in programmi
diversi e che gode dello status di autorevolezza dovuto all’etichetta della casa produttrice
allo stesso modo di un documentario di punta. Anche per queste ragioni il mercato dei
documentari caratterizzato da una certa vischiosità causata da barriere all’entrata,
coinvolge sempre gli stessi attori di fatto escludendo, ad esempio, produttori italiani come
Nova-t, i cui prodotti vengono acquistati dalla Rai solo se acquistati precedentemente da
produttori come National Geographic229 e quindi caratterizzati da etichette internazionali.
La percezione dei divulgatori stessi nei confronti di questo tipo di trasmissioni non è
comunque entusiastica: “chi fa divulgazione non nasconde di sentirsi in una posizione di
arroccamento in una riserva continuamente minacciata”.230 Per quanto riguarda il servizio
225 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, in Bettetini, G., Braga, P., Fumagalli, A. (a cura di), Le logiche della televisione, Franco Angeli, Milano 2004, p. 188 226 Ibidem 227 Angela, P., Promemoria sulla televisione di qualità, www.primaonline.it, 2002 228 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 189 229 La notizia viene citata da Paolo Braga ed è relativa a un’intervista dell’amministratore delegato di Nova-t sul quotidiano Avvenire del 14 settembre 2003 230 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 190
76
pubblico, che trasmette programmi di divulgazione dal 1954 e cioè dalla sua nascita, il
mandato educativo e culturale è espresso dal contratto istituzionale e comunicativo col
pubblico. Secondo Piero Angela il diffondersi dell’intrattenimento leggero in tutte le parti
del palinsesto porta il servizio pubblico a conformarsi a questa tendenza sottraendosi
all’adempimento del mandato che investe la tv di stato, e fa emergere la necessità di norme
che tutelino i telespettatori e che evitino il pubblico sia esposto soltanto a programmi di
mero intrattenimento.231 Le tesi di Angela investono sia la ricerca che la divulgazione dato
che se la prima è una misura dello stato di progresso di un paese, la seconda rappresenta un
enorme potenziale nell’elevare la soglia di competenza media della popolazione necessaria
per disporre degli strumenti di comprensione agili e facilmente assimilabili che la
comunicazione pubblica della scienza dovrebbe fornire. Oltre a questa attività
“intelligentemente pedagogica”232 la divulgazione dovrebbe aspirare a presidiare i
“palinsesti con diffusa omogeneità: gli spettatori altrimenti finirebbero per essere
risucchiati dal flusso, essendo gli appuntamenti edificanti radi, e perciò da ricercare nelle
fasce orarie con una premeditazione, realisticamente, improbabile”.233
5.2.2 - Le tecniche
Un riferimento imprescindibile per analizzare le strategie messe in atto dai programmi di
divulgazione è il saggio di Piero Angela Raccontare la scienza. Secondo il giornalista la
corda da toccare per destare l’attenzione dello spettatore è la curiosità: il piacere
esplorativo innato, il bisogno di conoscenza. Il desiderio di conoscenza è legato alla
volontà degli individui di rassicurarsi, di non essere all’oscuro di ciò che gli capita intorno,
e “tutto ciò ha a che fare con la sopravvivenza. Nel cervello si crea uno stato di allarme che
facilita la ricezione dell’informazione”.234 Il nodo che il divulgatore deve sciogliere,
inoltre, è quello della comprensibilità espositiva a fronte della complessità degli argomenti:
“dalla parte degli scienziati per i contenuti, dalla parte del pubblico per il linguaggio”
(Braga 193). La semplicità dell’esposizione deve portare il divulgatore a dare risalto agli
elementi essenziali che rappresentano ‘la chiave di volta’ di una teoria articolata e che
diventeranno il leit-motif della trattazione dell’argomento. Si tratta di “ridurre una struttura
231 Angela, P., Promemoria sulla televisione di qualità 232 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 191 233 Ibidem 234 Angela, P., Raccontare la scienza, a cura di Ferrari G., Pratiche, Torino 1987, p. 58
77
complessa ad alcuni principi molto generali. Per esempio, dopo aver letto molte cose
sull’origine dell’universo […] ho capito che tutto si riduce, in sostanza, all’azione
combinata della gravità e della pressione che crea calore”.235
La suspence generata dalla dilazione della risposta al quesito è lo stratagemma retorico
che più spesso viene usato nella rappresentazione televisiva dei meccanismi semplificati di
teorie complesse. La cosiddetta ‘scienza in pillole’ rappresentata da programmi come Sai
Xché236 reitera e dilata l’interrogativo: domande e risposte in miniatura e in quantità
massiccia ricattano l’attenzione e la curiosità dello spettatore. Una delle differenze tra
questo tipo di programmi e quelli canonici di divulgazione è che nei primi lo spettatore
non deve compiere alcuno sforzo cognitivo per comprendere la raffica di ‘spigolature’ da
cui viene investito.
La scelta di costruire puntate monotematiche o giustapporre argomenti diversi nel corso
della puntata è di solito correlata al materiale audiovisivo e alle testimonianze degli esperti
a disposizione delle redazioni. Nelle puntate composte da più argomenti di solito viene
posto in apertura l’argomento con il materiale visivo più spettacolare: questa funzione di
teaser viene spesso svolta dall’etologia per la spettacolarità dei documentari sugli
animali.237 Strategie di fidelizzazione del pubblico invece vengono attuate mediante la
creazione di rubriche fisse, che trattano spesso argomenti attinenti alla sfera quotidiana,
come ad esempio l’appuntamento fisso La scienza in cucina all’interno di Quark.238
Le puntate incentrate su un unico tema si possono dividere in due tipologie: il “ping-
pong tematico” e “la caduta libera”.239 Nel primo caso una coppia di conduttori si passa il
testimone l’un l’altro attraverso un fitto intreccio di montaggio su due argomenti diversi,
simulando una diretta improbabile in cui l’uno mostra all’altro l’evento che sta seguendo.
Questo è il caso delle puntate più strutturate di Sai Xchè. La seconda tipologia viene
denominata “a caduta libera” da Paolo Braga per due motivi, entrambi in parte polemici: in
primo luogo la qualità dei filmati tende a scadere con il procedere della trasmissione, e in
235 Ibidem, p. 19 236 È utile per comprendere la televisione della ‘scienza in pillole’ citare la scaletta delle domande di una puntata di Sai Xché presente nel sito web della trasmissione: Perché le donne che fanno molto sport hanno poco seno? Perché si dice “cheese” prima di fare una foto? Perché i gatti sono considerati animali straordinari? Chi ha inventato il chewingum? Perché i giochi olimpici sono così importanti? Perché Mercurio è detto pianeta “pigro”? 237 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 193 238 Bucchi M., Surely you are cooking, Mr. Feynman! Strategies for the presentation of science in tv, Public Communication of Science and Technology Conference, Berlino, 17-19 Settembre 1998 239 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 194
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secondo luogo la tipologia dei contenuti tende, dopo un esordio ‘impegnato’, a concedere
sempre più spazio a documenti dal basso interesse scientifico ma efficaci dal punto di vista
dell’intrattenimento, talvolta usando prodotti della real tv come catastrofi naturali e crolli
di palazzi.240 Le puntate monotematiche seguono la variante ‘strutturale’ nella forma più
pura quando avviene la trasformazione del conduttore in inviato, mentre quella
‘superficiale’, che viene declinata dagli ultimi nati tra i programmi di divulgazione, si basa
su una semplice consonanza di contenuto, sia a livello narrativo che semplicemente
scenografico, tra la postazione del conduttore e l’ambientazione dei documentari proposti:
ad esempio il ponte di una motovedetta della guardia costiera italiana per presentare un
filmato americano sull’esplorazione del relitto del Titanic.241
Si parla di “cucitura pretestuosa” quando vengono riuniti in studio esperti disparati dalla
competenza variamente attinente al tema trattato.242 Questa tecnica funziona al meglio con
argomenti molto generici che possono rendere coerenti tra loro filmati eterogenei, magari
rinvenuti nella library di rete: ad esempio se il tema scelto è l’acqua si può parlare sia
dell’habitat delle cascate del Niagara che dei sommergibili nucleari.
La tecnica dell’”esperimento ideale” viene impiegata quando una spiegazione teorica è
dimostrabile solo a livello immaginativo. Questo tipo di stratagemmi retorici fungono da
visualizzazione mentale dei concetti e sfruttano la dimensione analogico-metaforica tipica
della divulgazione:243
“Cos’è un processo esponenziale? Se prendo un foglio di carta e lo piego in due, poi ancora in due, una terza volta in due, il foglio diventa sempre più piccolo, ma anche sempre più spesso. Se ripeto questa operazione 64 volte, quanto diventa alto? Un metro, Dieci metri… No, diventa spesso, in teoria diecimila volte la distanza tra la Terra e il Sole. Prendendo un foglio con lo spessore di un decimo di millimetro il risultato torna. Per arrivare a un metro bisogna piegarlo molte volte, ma poi lo spessore si alza a una velocità pazzesca”
[Angela,244 1987:26]
Questo tipo di esemplificazioni ipotetiche mediante il linguaggio comune permettono di
limitare l’uso delle cifre a vantaggio di quello delle proporzioni, come quelle tavole nei
libri didattici che mostrano un uomo accanto a una balena, esaltando la grandezza di
quest’ultima.
240 Ibidem 241 Ibidem 242 Ibidem 243 Ibidem, pp. 194-195 244 Angela, P., Raccontare la scienza, p. 26
79
5.3 - La notizia scientifica nel flusso televisivo: informazione e infotainment
“La divulgazione scientifica è sempre e comunque science-fiction”.245 Questa laconica
affermazione suggerisce la natura particolare della rappresentazione televisiva della
scienza soprattutto riguardo al fatto che la tv fa dell’affabulazione, del racconto e
dell’intrattenimento le sue cifre più evidenti anche quando parla di scienza. In altre parole
la tv riformula il discorso scientifico in narrazione selezionando i contenuti attraverso
criteri televisivi che concernono soprattutto la sfera dell’intrattenimento. Per quanto
riguarda la comunicazione scientifica nei telegiornali, che sono legati allo spettatore da un
‘contratto di veridizione’246 basato sul rispetto della deontologia professionale da parte dei
giornalisti, c’è da notare che anche il mondo dell’informazione adotta una formulazione
narrativa della scienza, trasformando l’universo referente in un mondo raccontato,247 a tal
punto che anche e soprattutto nell’offerta di informazione “la televisione deforma la realtà,
o piuttosto la manipola per renderla spettacolo o addirittura trasforma il suo stesso sguardo
nello spettacolo della realtà”.248
Alcune analisi della divulgazione televisiva condotte nell’ambito degli studi sulla
comunicazione di massa pervengono a un giudizio negativo per quanto riguarda la
divulgazione come tessuto trasversale alle trame dei palinsesti, ovvero in quei casi in cui
l’argomento scienza prende forme diverse in contenitori e generi diversi: quando la scienza
diventa materiale per programmi di infotainment. Alcune ricerche dell’Osservatorio di
Pavia sottolineano come il ciclo della notizia in televisione nel medio periodo si riduca a
un progressivo trasferimento della sua trattazione dalla sede informativa a quella del
contenitore generalista come accaduto per il tema delle biotecnologie nel settore
agroalimentare tra il 2000 e il 2002.249 Per quanto riguarda l’arco di vita in cui una notizia
trova spazio nell’informazione si notano lacune tipiche del newsmaking televisivo, ovvero
la brevità degli spazi, la spettacolarizzazione e l’enfatizzazione della cronaca, la quale
sottolinea i fatti più che le conseguenze di un evento scientifico. In termini strettamente
linguistici l’Osservatorio nota che le capacità orientative degli spettatori sono
sopravvalutate dai giornalisti che nella maggior parte dei casi non usano le immagini come
245 Grasso A. (a cura di), Enciclopedia della televisione, p. 202 246 Deriu M., L’informazione televisiva: lo spettacolo del mondo, in Bettetini G., Braga P., Fumagalli A., Le logiche della televisione, Franco Angeli, Milano 2004, p. 83 247 Bettetini G., La conversazione audiovisiva, Bompiani, Milano 1984, p. 59 248 Calabrese O, Volli U., Il telegiornale. Istruzioni per l’uso, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 111
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esemplificazione ma come semplice descrizione, lasciando alla sola comunicazione
verbale il compito di trasmettere informazioni difficilmente traducibili in sapere comune.
Quando poi la trattazione approda all’arena dell’infotainment e del talk show l’adeguatezza
informativa tende a degradarsi e la parola dello scienziato subisce una drastica perdita di
peso, diluita nella discussione si mescola a quella degli altri ospiti. Se da una parte tale
traslazione significa che un tema sollevato dal mondo della scienza ha raggiunto la
coscienza collettiva e l’arena dei media, dall’altra parte è minato “dalle effusioni
populistiche del giornalista-conduttore verso il suo pubblico […], e dalla fasulla vox populi
dell’uomo della strada”.250 Oltre a ciò questi temi, importati in origine nell’arena dei media
per la loro alta notiziabilità, dal momento che diventano materiale per i talk show vengono
inseriti entro cornici di precomprensione che condizionano il dibattito.251
Il problema della presentazione e selezione degli ospiti in televisione è presente
massicciamente in questi ambiti, dal momento che la laconicità con cui i portatori di
expertise vengono annunciati impedisce al fruitore di decifrarne la competenza e
l’autorevolezza, oltre al fatto che spesso l’estrazione disciplinare degli ospiti non ha nulla a
che fare col tema trattato.
5.3.1 - Scienza e newsmaking
Ogni notizia che emerge alla visibilità di tutti attraverso i media è il risultato di una serie
di valutazioni, interpretazioni, selezioni. Questa funzione è assunta dai gatekeepers
(reporter, fotografi, redattori, produttori, agenzie), la cui approvazione si traduce nello
stabilire cosa sia una notizia.252 I valori notizia (news values) sono criteri valutativi
convenzionali che regolano la selezione delle notizie contribuendo a determinare la
newsworthness, la notiziabilità.253 Infatti “determinati eventi vengono riconosciuti degni di
fare notizia solo qualora si conformino a questi criteri di selezione [...] piuttosto che da un
riferimento al ‘mondo reale’ degli eventi”.254 All’autoreferenzialità televisiva si va allora
ad aggiungere quella giornalistica che rappresenta allo stesso modo cronaca e media-
249 Osservatorio di Pavia, Media Research (a cura di), Le agrobiotecnologie nei media italiani. Rapporto conclusivo 2001-2002, www.osservatorio.it, 2002 250 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 183 251 Ibidem 252 Garrison B., Professional news writing, Lawrence Erlbaum Associated, Hillsdale (N.J.) 1990, pp. 26, 29-31, e 216-219 253 Papuzzi A., Professione giornalista, Donzelli, Roma 2003, p. 20 254 Mc Quail D., Le comunicazioni di massa, il Mulino, Bologna 1993, p. 227
81
events,255 attualità e ‘fatti notizia’, costruzioni artificiali di eventi la cui unica ragion
d’essere è quella di essere rappresentati dai media.
I valori notizia non sono norme oggettive, ma sono criteri mutevoli, tuttavia se ne
possono individuare alcuni: novità, vicinanza, dimensione, comunicabilità, drammaticità,
conflittualità, competenze pratiche, human interest (che include cronaca rosa, solidarietà,
soft news, curiosità), progresso, prestigio sociale. Questi valori notizia generali si
sovrappongono ad alcuni di essi tipicamente televisivi: feelings, analysis, compellig,
energy:256 rispettivamente coinvolgimento emotivo; coinvolgimento retorico; uso di
immagini forti come conflitti, anche metaforici, e catastrofi, ritmo. La selezione dei topics
che vengono discussi nell’arena dei media sottostanno anche a valori durevoli della
gestione delle informazioni di tv e giornali: etnocentrismo, interesse per la parte nord
occidentale del mondo, individualismo, ordine.257 Per quanto riguarda la notizia scientifica
televisiva nei programmi di divulgazione sono stati individuati quattro valori notizia da
Michael Shapiro della Cornell University:258
i) l’importanza dell’argomento alla luce dei news values tradizionali
ii) le potenzialità di intrattenimento dei temi e la possibilità di trasformare la notizia in
storia
iii) la possibilità di suscitare l’interesse del pubblico attraverso la semplificazione
articolata di argomenti complessi
iv) la presenza dei temi coinvolti nelle agende del pubblico e dei media
La notiziabilità televisiva è determinata, infine, anche dal materiale a disposizione delle
redazioni. Il materiale audiovisivo deve potere esercitare sia la sua funzione esplicativa per
ridurre la complessità del messaggio, sia quella di intrattenimento.259 Il formato televisivo,
inoltre, favorisce eventi che per frequenza, durata, rappresentabilità, rientrano nei tempi
serrati e nella narrativizzazione delle notizie nella neotv.
È opportuno, inoltre, considerare che l’ibridazione dei generi che ha caratterizzato la
televisione dall’inizio degli anni Ottanta in poi ha causato una sovrapposizione tra
informazione e intrattenimento, o meglio il secondo è stato usato come linguaggio per
255 Papuzzi A., Professione giornalista, p. 20 256 Tassonomia di Clarence Jones riportata da Papuzzi, Professione giornalista, p. 24 257 Ibidem, p. 25 258 Ibidem, p. 207 259 Boldrini M., Lezioni di giornalismo, Protagon, Siena 2000, p. 35
82
formulare tutta la realtà televisiva, anche l’informazione. I criteri di valutazione
dell’informazione, dunque, si integrano con quelli della fiction, soprattutto in generi come
quello divulgativo, che sempre più frequentemente si basano su docu-drama, ricostruzioni
storiche, animazioni tridimensionali. Ai news values si affiancano i fiction values,
individuati da Buonanno nella prossimità delle storie da raccontare con la realtà sociale del
fruitore e nell’attualità dell’argomento. Ci sono anche criteri relativi alla fiction come
confezionamento di un prodotto: ad esempio il fatto di suscitare emozioni attraverso storie
su personaggi importanti o noti, vittime innocenti e comportamenti deviati, o la ripetizione
dei caratteri nel racconto. Altri fiction values, che si possono chiamare ‘valori storia’ in
opposizione/integrazione ai ‘valori notizia’, sono relativi al sistema televisivo basato sulla
concorrenza. Infatti la produzione di programmi di genere in diverse reti risponde a due
tipi di logiche, la logica della distinzione e quella dell’imitazione. Se da una parte i
programmi di divulgazione scientifica configurano i propri linguaggi in relazione
all’identità di rete e al posizionamento dei programmi in base a audience e fascia oraria,
dall’altra le tendenze autoreferenziali della tv si manifestano nell’imitazione delle altre
trasmissioni da parte di quelle appena nate. In Italia Quark ad esempio è stato un modello
per tutti programmi che negli anni l’hanno affiancato.260
5.3.2 - I telegiornali e la notizia scientifica
In un periodo di rilevazione compreso tra il 1° settembre 1998 e il 10 gennaio 1999 sono
state analizzate da Terenzio Fava le notizie nei telegiornali rispondenti a due criteri
principali: la rilevanza scientifica e il riferimento a personaggi del mondo della scienza. I
risultati emersi evidenziano che le reti pubbliche posizionano le notizie scientifiche nel
notiziario principale (Tg1) mentre Mediaset in spazi secondari (Tg4). Nel primo caso le
notizie sono rivolte al grande pubblico,261 nel secondo vi è un uso personalistico della
notizia ed elevata spettacolarizzazione.262
Per quanto riguarda la relazione tra trattazione delle notizie e la loro anticipazione nel
sommario, che rappresenta un importante strumento di attribuzione di visibilità, si può
notare che visibilità nei titoli, frequenza delle notizie scientifiche nei notiziari e la loro
durata media sono misure indipendenti l’una dall’altra. Ad esempio il Tg1 ha un’elevata
260 Buonanno M., Leggere la fiction. Narrami o diva rivisitata, Liguori, Napoli 1996, pp. 187-198 261 Grandi R. (a cura di), Tg fatti così. Analisi del formato dei telegiornali¸ Rai/Eri, Roma 1998
83
frequenza di notizie scientifiche, abbinata a un alto grado di visibilità, ma la durata media
delle notizie scientifiche è inferiore alla media, il Tg3 presenta notizie più lunghe ma la
loro visibilità nel sommario e in apertura di telegiornale sono limitate, mentre il Tg2
attribuisce bassa rilevanza e produce servizi più brevi della media riguardo ai fatti di
scienza. Emerge, in maniera generale, la tendenza a non riconoscere alla comunicazione
scientifica una posizione di primo piano.263
Tra le caratteristiche della presentazione delle notizie scientifiche si notano la ricerca
dell’esclusività, attributo che viene evidenziato quando una notizia viene riportata da un
solo organo, e il raggruppamento delle notizie scientifiche in un unico blocco.264
L’intervista è una parte essenziale dei servizi televisivi sulla scienza e vi compaiono
diversi soggetti. Oltre agli esperti, ovvero medici, scienziati e studiosi, compaiono
rappresentanti istituzionali, esponenti della società civile e gente comune. È verosmile che
in un servizio sul doping si possa decidere di intervistare un tossicologo o un medico
sportivo, un dirigente del Coni, un olimpionico del passato magari a capo di una
fondazione benefica, o l’allenatore di una squadra di calcetto di quartiere. A tal riguardo si
nota che il Tg3 ricorre in maniera massiccia alla figura dell’esperto, mentre le interviste
condotte in strada rilevando il sentire comune sono una caratteristica del Tg5. Si possono
individuare cinque tipi di notizia scientifica:
i) quelle riguardanti tematiche ambientali, come il mutamento del clima e
l’inquinamento
ii) le notizie puramente scientifiche riguardo le scienze mediche
iii) le notizie circa le scienze mediche che hanno un’utilità quotidiana, come le
informazioni intorno al vaccino dell’influenza
iv) la comunicazione delle scoperte scientifiche come astronomia, fisica, matematica e
dello stato della ricerca
v) le informazioni relative alla ricerca come le precedenti ma legate a un evento o alla
quotidianità, come il passaggio di una cometa265
Questi tipi di notizie vanno sovrapposti al tipo di impatto che i temi scientifici hanno
sull’agenda dei media. A tal proposito è utile individuarne quattro tipologie:
i) temi di fondo. Salute, ambiente, medicina; vi rientrano anche notizie non scientifiche
262 Simonelli G., Speciale TG. Forme e contenuti del telegiornale, Interlinea, Novara 1997 263 Fava T., Scienza e media: le notizie scientifiche nei notiziari di Rai e Mediaset, in Guizzardi G. (a cura di) La scienza negoziata, scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002, pp. 78-79). 264 Ibidem, p. 80
84
ii) temi dal contenuto forte, che hanno un forte impatto sull’interesse e sull’agenda dei
media, come cancro, Aids, genetica
iii) temi del momento, che entrano di prepotenza nell’agenda televisiva assumendo per
un periodo le caratteristiche dei temi forti. Un esempio: il caso Di Bella.
iv) ricorrenza e discontinuità dei temi: ad esempio l’emergere in alcuni periodi
dell’anno di notizie sulle malattie di stagione.266
In conclusione è utile notare che l’attenzione dei tg si focalizza prevalentemente sulla
medicina. I processi di spettacolarizzazione si notano soprattutto nella trattazione dei temi
del momento e dei temi forti come il caso Di Bella o il doping nello sport. Numerosi fatti
non trovano spazio nei telegiornali perché presentati in maniera più efficace da altri
programmi come quelli di divulgazione e i telegiornali specialistici come il Tg Leonardo.
È dunque difficile definire cosa sia una notizia scientifica dal momento che oltre ai valori
notizia giornalistici e quelli televisivi visti in questa sede, le caratteristiche dei temi trattati
e il loro impatto sull’attualità e la quotidianità, si aggiunge la non copertura di eventi che,
anche se rispondenti a questi criteri, sono veicolati in maniera più efficace da altri
contenitori.267 In definitiva è possibile affermare che il giornalismo televisivo seleziona le
notizie scientifiche non solo in base alla loro rilevanza scientifica ma soprattutto in
relazione all’attualità, la spendibilità quotidiana delle informazioni da parte del fruitore, la
possibilità di tradurre il discorso scientifico in narrazione, di fatto escludendo dall’attualità
televisiva le scienze pure in favore della narrazione della loro applicabilità e delle loro
applicazioni.268
5.4 - La fonte autorevole e la credibilità
La logica e i sermoni non convincono molto l’umido della notte penetra più a fondo la mia anima.
Walt Whitman
La tv solitamente viene vista come uno strumento certificatore di un fatto269 ma bisogna
pensare che rappresenta elementi parziali di realtà,270 sia perché essa ne presenta una
porzione limitata, sia perché si manifesta solo il suo punto di vista.271
265 Ibidem 266 Ibidem, p. 85-89 267 Ibidem, pp. 98-99 268 Ibidem, p. 100 269 Sartori C., La grande sorella, Arnoldo Mondadori, Milano 1989, pp.14-15
85
È noto che il bilancio delle ricerche condotte sui messaggi persuasivi e sull’efficacia
delle comunicazioni in cui la fonte viene percepita come autorevole, a partire da quelle di
Hovland e Weiss272 e Aronson e Golden,273 è che l’impatto maggiore lo ha il messaggio
che proviene da una fonte percepita come superiore in sapere, istruzione, intelligenza e
riuscita professionale274, e in misura ancora maggiore se la fonte sembra essere
disinteressata.275
È opportuno ribadire che per quanto riguarda flussi comunicativi che intendono stimolare
processi di apprendimento, di cambiamento di atteggiamento e di persuasione occorre
tenere conto anche delle modalità di ricezione dei messaggi.
È stato dimostrato276 che, relativamente all’attenzione e alle motivazioni all’ascolto che
il fruitore manifesta nei confronti di un messaggio, colui che lo riceve può essere persuaso
da argomentazioni articolate e ben strutturate se dispone di elevate risorse cognitive da
impiegare nello scambio comunicativo, mentre in modalità di fruizione superficiali è
probabile che elementi periferici risultino più efficaci dei ‘discorsi forti’. L’efficacia dei
messaggi di divulgazione scientifica, dunque, è determinata da diversi fattori: dalla qualità
del prodotto, dalla autorevolezza dell’enunciatore relativamente alla percezione di
credibilità della cornice comunicativa come si vedrà in questo capitolo e dalle modalità e
dagli obiettivi di fruizione, come trattato nel paragrafo 7.5 dedicato alla ricezione. È
comunque utile ricordare che “l’utilizzazione di certi schemi piuttosto che altri nella
lettura/interpretazione di un qualsivoglia messaggio dipende in misura consistente dalle
aspettative del ricevente” e che “assume una notevole importanza ai fini degli effetti a
lungo termine il concetto di genere e i suoi correlati”.277 Questa chiave di lettura porta ad
ipotizzare che i fruitori di testi si orientino preventivamente basandosi sulle loro
270 Di Salvo P., Il giornalismo televisivo, Carocci, Roma 2004, p. 32 271 Ortoleva P., Di Marco M.T., Luci del teleschermo. Televisione e cultura in Italia, Mondadori-Electa, Milano 2004, pp. 214-215 272 Hovland C.I., Weiss W., “The influence of source credibiliy on communication effectiveness”, Public Opinion Quarterly, 15, 1951, pp. 635-650 273 Aronson E., Golden B.W., “Effects of the relevant and irrelevant aspects of communication credibility on opinion change”, Journal of Personality, 30, 1962, pp. 135-146 274 de Montmollin G., Il cambiamento d’atteggiamento, in S. Moscovici (a cura di), Psicologia sociale, Borla, Roma 1996, p. 93 275 Hovland C.I., Janis I.L., Kelley H.H., Communication and persuasion, Yale University Press, New Haven 1953 276 Ci si riferisce a l lavoro di Petty R.E. e Cacioppo J.T., Communication and persuasion. Central and peripheral routes to attitude change¸ Springer-Verlag, New York 1986 e al loro modello ELM: The Elaboration Likelihood Model of persuasion, in Berkowitz (a cura di), Advances in experimental social psychology, vol. 19, Academic Press, New york 1986, pp. 123-205 277 Cheli E., La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà, Franco Angeli, Milano1999 (2002), p. 180
86
precedenti esperienze di fruizione per interpretare gli elementi nuovi del racconto a causa
delle attese che seguono il riconoscimento di un testo nella categoria di un genere.278
5.4.1 - Autorevolezza e divulgazione scientifica
L’effetto della fonte autorevole è noto per quanto riguarda le varie forme di
comunicazione persuasiva. Questo effetto può dipendere dalla percezione della fonte come
esperta e competente. Byron Reeves e Clifford Nass hanno dimostrato che anche il
medium in sé può essere percepito come esperto, e dunque autorevole.
Le persone usano categorie per economizzare risorse e questo porta a una tendenza
all’accettazione acritica dei pareri. I due studiosi sono partiti dall’ipotesi che i contenuti di
un televisore etichettato come specialista sarebbero stati percepiti come superiori rispetto a
contenuti identici trasmessi da una tv etichettata come generalista.
Mostrando ai soggetti dell’esperimento quattro flussi di immagini di pochi minuti
trasmessi da due canali televisivi fittizi di news e intrattenimento, uno presentato come
generalista e l’altro come specialista, Reeves e Nass dimostrarono che i soggetti
valutavano segmenti identici come superiori in fatto di qualità, gradevolezza, importanza,
completezza di informazione, interesse degli argomenti e serietà quando li vedevano alla tv
specialistica.
Un effetto sorprendente e inaspettato è che vennero valutati come superiori anche
chiarezza e colore delle immagini della tv specialistica. L’autorevolezza attribuita dalle
etichette che ci aiutano ad economizzare le risorse cognitive si estende non solo ai
contenuti ma a molteplici aspetti della fruizione. In conclusione è possibile affermare che
gli individui sono influenzati dalle etichette (social orientation to media) dato che
l’assegnazione di ruoli sociali riduce l’incertezza del mondo. La specializzazione, vera o
presunta, accresce la capacità persuasiva di un enunciato dal momento che l’autorevolezza
è un agente efficace di persuasione.279 Questo vale sia per il messaggio che per il canale,
anche alla luce del fatto che le televisioni private in Italia che hanno proposto
l’intrattenimento come linguaggio specifico della tv sono quelle che più fanno fatica a
produrre programmi efficaci di divulgazione scientifica
278 Ibidem, p. 181 279 Reeves B., Nass C., The media equation: how people treat computer, television and new media like real people and places, CSLI Publications, Stanford 1996, pp. 181 e ss.
87
Il genere divulgazione scientifica incarna il concetto che dietro ad ogni operazione di
divulgazione su piccolo schermo è implicito il consenso circa la superiorità della scienza
rispetto a ogni altro tipo di conoscenza, un consenso motivato dalla “mitica precisione” del
discorso scientifico, e dalla continua enunciazione del suo distacco da ogni prospettiva di
interesse partigiano o di scelta ideologica.280
Questo oggetto-scienza formulato dal linguaggio televisivo diffonde una particolare
aurea di verosimiglianza, un ‘effetto alone’281 che valorizza il programma, il contenitore
splende della luce riflessa del contenuto.
La divulgazione scientifica, intesa come genere, è nata in Italia con l’inizio delle
trasmissioni ed è sopravvissuta al processo graduale che ha trasformato la televisione di
palinsesto in televisione di flusso. Il rigore espositivo della divulgazione degli albori ha
contribuito a rafforzare l’aura di fiducia e credibilità che sottostà al patto di veridizione che
lega enunciatore ed enunciatario della comunicazione televisiva, che vede i testi sui quali
viene applicata l’etichetta di divulgazione come credibili, se non autorevoli.
5.4.2 - Su Voyager: etichette di genere e contenuto.
Si possono addurre come esempio delle considerazioni sul genere divulgazione
scientifica come etichetta che garantisce un alone di autorevolezza alcune osservazioni sul
programma di Rai 2 Voyager.282 Il genere televisivo nella televisione di flusso influenza la
produzione di significato sia dal punto di vista narrativo che della ricezione attraverso
l’applicazione esplicita ed implicita di etichette simboliche sui contenuti.
La trasmissione, che a livello formale appare conforme ai canoni comunque non rigidi
del genere divulgazione, ha una ‘dote iniziale’ di autorevolezza dovuta alla presenza di
etichette di genere. Si può notare, infatti, che Voyager adotta strategie comunicative tipiche
della divulgazione ma che sottostanno a una ideologia di fondo diversa da quella della
comunicazione pubblica della scienza.
Il conduttore interagisce in condizioni di simmetria comunicativa con gli ospiti esperti:
infatti spesso sia l’uno che gli altri sono seduti nello studio su poltrone identiche, con
orientamento simmetrico e distanza uguale nei confronti dello spettatore. Non sono
280 Bettetini G. F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, p. 14 281 Ci si riferisce alla tendenza, in un giudizio, a lasciarsi influenzare da impressioni generali o da aspetti marginali
88
infrequenti le sequenze ‘campo-controcampo’ fittizie, con ospiti presenti attraverso un
contributo registrato precedentemente in assenza del conduttore, e quindi nell’impossibilità
di proporre la configurazione ospite-conduttore precedentemente descritta.
Gli esperti si presentano da soli, guardando in macchina, ovvero lo spettatore. Si
percepisce l’autorità non come infusa dal mezzo televisivo ma come attributo
caratterizzante l’ospite prima della sua rappresentazione attraverso i media.
Tra i contenuti si può notare che il filo conduttore dell’edizione 2005 consisteva nella
verifica da parte del conduttore, attraverso gli esperti, i servizi il cui protagonista è il
conduttore stesso e i documentari acquistati, dei riferimenti storici, geografici e culturali,
della trama de Il codice Da Vinci del romanziere Dan Brown.283 Ne consegue un rapporto
controverso col romanzo: da una parte fornisce tutto il materiale della trasmissione, e
inoltre rappresenta un immaginario fatto di templari, vangeli apocrifi e leggende che già in
passato ha nutrito le suggestioni fantastoriche di trasmissioni analoghe come Stargate (La
7), dall’altra si percepisce un processo di ‘scrematura’ dei tratti fantastici del romanzo che
Voyager verifica e razionalizza in forma narrativa ma non di fiction. Ciò porta a due
conclusioni circa queste strategie comunicative: da un lato Voyager rivendica un suo
diritto di produttore di conoscenza, dall’altro attraverso l’uso di fonti di fiction delimita il
campo dei suoi interessi a immaginari di stampo fantastico.
Una parte della trasmissione si basa sulla verifica/confutazione di un fenomeno
paranormale sotto l’egida del Cicap, etichetta che conferisce autorevolezza scientifica alla
trasmissione dal momento che si tratta di un istituto che si occupa della verifica
sperimentale di presunte attività paranormali. La presenza di un’istituzione esterna
conferisce al prodotto prestigio, potere e status, ovvero elementi che rendono un prodotto
efficace in fatto di persuasione.284 È singolare che, accanto alla volontà di falsificare queste
prove si percepisce una speranza implicita che possano in qualche modo verificarsi. Lo
studio in cui si svolgono queste verifiche è completamente bianco e senza confini
apparenti. È significativo il fatto che il conduttore nell’introduzione dell’esperimento
282 Voyager - Ai confini della conoscenza, Rai 2, autunno 2005, martedì, 22:45-23:45 283 Brown D. Il codice Da Vinci, Mondadori, Milano 2003. È utile sottolineare che i temi trattati e l’accettazione/confutazione delle tesi presenti nel romanzo di Brown si sono fatti strada nell’arena dei media durante la stesura di questa tesi. Dalle puntate monotematiche di Voyager questi temi hanno raggiunto spesso i talk show più seguiti come Matrix (Canale 5) e Porta a Porta (Rai 1), anche grazie all’uscita del film basato sulla trama de Il codice Da Vinci e al processo che ha coinvolto l’autore, chiamato a difendersi dall’accusa di plagio e che secondo autorevoli quotidiani inglesi sarebbe poco più di una trovata promozionale 284 Pratkanis A.R., Aronson E., L’età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della persuasione, il Mulino, Bologna 1996 (2003), p. 207
89
appaia e parli contemporaneamente sia di persona sia attraverso un televisore, con la
percezione che il mezzo televisivo sia garante autorevole della regolarità della verifica
sperimentale: insieme personalizzazione e distacco.285
In sintesi Voyager cerca una via per una scienza-altra. La costruisce innescando flussi di
comunicazione simmetrici con gli ospiti esperti, risolvendo controversie legate a senso
comune e fiction, creando simulacri di metodologie scientifiche in laboratorio quasi
mistiche, in uno studio senza appigli con la realtà, con riferimento all’assolutezza della
scienza.
Il risultato più evidente è che il formato tipicamente divulgativo della trasmissione non è
coerente con i contenuti: la divulgazione trova la sua ragion d’essere nel rendere
essoteriche pratiche di produzione della conoscenza tipicamente esoteriche e per addetti ai
lavori, mentre in Voyager si nota una versione esoterica e dietrolgica di conoscenze
essoteriche come prodotti di fiction o credenze, miti e leggende. Inoltre è significativo
notare che al termine della trasmissione il conduttore presenti i riferimenti bibliografici dei
testi utilizzati nella redazione della puntata, conferendo autorevolezza all’enunciato, anche
se i libri presentati sono testi non scientifici ma divulgativi, parascientifici o di narrativa.
Dunque, se Voyager fa divulgazione solo in apparenza ciò non impedisce che partecipi ai
processi di negoziazione della scienza, soprattutto a causa del fatto che la fruizione
televisiva è spesso di tipo periferico286 e non centrale. Questo conferisce efficacia
persuasiva in maniera maggiore agli elementi formali e accessori a scapito dei discorsi
‘forti’, ovvero le argomentazioni ben strutturate, che dovrebbero fornire strumenti per una
socializzazione alla scienza del fruitore.
5.5 - Il patto comunicativo della scienza in Tv
La ‘via televisiva’ alla scienza ha bisogno di un patto comunicativo forte, con un
soggetto garante della qualità e della correttezza.287 Il concetto di patto comunicativo, che
muove da quello di contratto di lettura proposto da Eliseo Veron, può essere definito come
l’accordo di sfondo grazie a cui emittente e ricevente riconoscono di agire in un ambito
285 Detto per inciso, il Cicap è una creatura, tra gli altri, di Piero Angela 286 Ci si riferisce nuovamente al modello ELM di Petty e Cacioppo. Si rimanda pertanto alla nota 276 287 Bettetini G. F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, p. 19
90
comune: di essere entrambi parti della medesima partita, di operare in relazione reciproca,
di obbedire a regole mutuamente accettate, di perseguire finalità parallele. In altre parole si
tratta di quell’accordo in virtù del quale le parti coinvolte accettano di comunicare.288
La televisione non solo trasmette contenuti, ma ha la capacità di costruire rapporti
sociali, più specificatamente dei rapporti comunicativi. Oltre al riconoscimento a livello
cognitivo delle immagini come oggetti, azioni e personaggi, il pubblico è spinto a
comprenderne anche intenzioni e finalità. Si instaura dunque un’interazione che motiva
una sorta di confronto caratterizzato da asimmetria. Il patto tra tv e pubblico è certamente
ineguale, anche se non mancano meccanismi di feedback; inoltre si nota un’evidente
preoccupazione da parte dell’emittente di tenere conto dei desideri del recettore. Dunque,
per quanto filtrata e parziale, in televisione non è assente una certa “convergenza delle
volontà”.289
Il patto instaurato tra emittenza e audience è un rapporto simulato: viene riproposto sullo
schermo tra conduttore, pubblico, ospiti, ma anche tra chi parla e il ‘tu’ indistinto, vero
simulacro di spettatore. La simulazione, ovvero la rappresentazione del rapporto con il
‘pubblico a casa’ attraverso la ricostruzione del patto tra colui che parla e chi funge da
recettore in scena, è funzionale alla definizione dell’immagine di emittente e ricevente con
la finalità di controllare l’azione comunicativa dell’emittente e poter fornire informazioni
precise al recettore. Ovviamente la simulazione è l’altra faccia dei comportamenti reali, e
può essere usata per trasmettere informazioni false, anche intenzionalmente.
Il patto tra televisione e pubblico sembra ad una prima analisi un accordo perfettamente
delineato, stabile, mentre invece è una struttura aperta alla negoziazione: vengono sempre
ricercate nuove forme di intesa, e il patto può essere considerato non come un insieme
rigido di norme ma come un’ipotesi di lavoro che i comunicanti assumono per rafforzare
l’intesa del momento e ricercare quella del futuro.
Il ruolo comunicativo all’interno di un patto può essere definito come l’attualizzazione
nel comportamento espressivo di una particolare situazione comunicativa del ruolo sociale.
Per la psicologia sociale un ruolo denota un insieme di attributi formali e prevedibili
connessi a una particolare posizione sociale. Nel quotidiano corrisponde a una strategia per
far fronte a situazioni che si presentano con una certa frequenza. In narratologia il termine
288 Casetti F., Di Chio F., Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, VPT/ERI, Roma 1988, p. 15 289 Ibidem
91
ruolo viene assunto spesso come sinonimo di funzione. Si può sintetizzare in modo
articolato una nozione di ruolo che tenga presente queste varie accezioni.
Un ruolo è in primo luogo una maschera fissa, un comportamento standardizzato
all’interno di una recita sociale che impone obblighi e aspettative, in secondo luogo un
modello organizzativo del comportamento le cui manifestazioni sono prevedibili. È una
parte definita, ma anche una parte contrattata, negoziabile all’interno di relazioni sociali.
Possiede inoltre una funzione tematica nel quadro dell’azione comunicativa. Ad esempio
svolge il ruolo di intrattenitore colui che nell’ambito del discorso svolge la funzione di
ricevere e intrattenere un ospite. Possiamo affermare che un ruolo è anche una funzione
stilistica nella costruzione del discorso. In sostanza il ruolo si costruisce come lo spazio in
cui viene esercitata una data competenza successiva a un mandato esterno o a un
automandato.290
5.5.1 - La scienza tra paleo e neotelevisione
Fino alla seconda metà degli anni Settanta la Rai aveva fatto propria la triade reithiana
secondo la quale la televisione doveva informare, intrattenere ed educare, facendo
attenzione soprattutto a questa terza funzione.291 In questa fase “la paleotelevisione non
trasmetteva tutto il giorno [...], questo perché la mattina e il giorno le persone erano al
lavoro o a scuola. Ancora negli anni Sessanta se la nazionale di calcio era impegnata in
una partita importante in giorni infrasettimanali in orario di lavoro la Rai non trasmetteva
la partita in diretta”,292 Ciò avvenne anche per gli incontri di pugilato di Benvenuti negli
Stati Uniti, trasmessi di notte solo dalla radio per paura che il giorno dopo la gente non
sarebbe andata a lavorare. Questa responsabilità sociale che investiva la tv di stato guidava
anche le scelte riguardanti l’informazione, sobria e priva di qualsiasi elemento
spettacolare, e l’intrattenimento, le cui punte di diamante erano il quiz, allegoria
dell’ascesa sociale attraverso il duro lavoro di preparazione293 e lo sceneggiato, inteso
come prima socializzazione delle classi meno colte nei confronti della letteratura. Questa
290 Ibidem, p. 92 291 Sorice M., Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 39 292 Fumagalli A., L’industria televisiva e il suo impatto sociale, in Bettetini G., Braga P., Fumagalli A., Le logiche della televisione, Franco Angeli, Milano 2004, p.21 293 Monteleone F., Storia della radio e della televisione in Italia. Società, politica, strategie, programmi 1922-1992, Marsilio, Venezia 1992, pp. 322-326
92
dimensione “festiva”294 si perde con l’avvento delle tv private che cambiano il modo di
concepire il broadcasting: la responsabilità sociale lascia spazio alla concorrenza per
offrire il maggior numero possibile di ascoltatori agli investitori pubblicitari.295
L’emergere di queste necessità trasformano notevolmente la produzione televisiva, che
non ha più la forma del palinsesto ma di un flusso. La nozione di flusso è stata sviluppata
dall’inglese Raymond Williams296 a proposito della televisione americana, riguardo la
quale si accennava per la prima volta all’idea di un susseguirsi di programmi senza un vero
inizio e una fine: il laborioso dosaggio tra generi veniva sostituito da un flusso continuo di
brevi sequenze. Si passa da “guardare il telegiornale a guardare la televisione”.297 In
seguito questa nozione è diventata una definizione paradigmatica per definire i nuovi
modelli comunicativi della televisione. Umberto Eco, nel 1983 ha coniato l’altrettanto
fortunata definizione di ‘neotelevisione’, opposta alla ‘paleotelevisione’, per sottolineare le
divergenze sostanziali tra questi due modi di concepire l’emittenza televisiva.298 È
possibile riassumere i punti di discontinuità tra paleo e neotv in uno schema (tabella 4):299
paleotelevisione neotelevisione
struttura del mercato e della programmazione
tv come finestra sul mondo tv come arena collettiva
funzioni di intrattenimento
codici morali ed etici stabili codici morali ed etici costruiti negozialmente
funzioni di potere sapere fondato sull’expertise
centralità del sapere quotidiano
tv come attività: pochi guardano molti
tv come sapere sociale: ciascuno guarda a tutti
potere ideologico e manipolatorio
potere diffuso e soggettivo
ruolo dell’audience spettatori passivi
spettatori attivi
consumo festivo
consumo feriale
accettazione o rifiuto dei messaggi interazione e conversazione con il mezzo
294 Menduni E., I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 39 295 Fumagalli A., L’industria televisiva e il suo impatto sociale, p. 22 296 Williams R., Television. Technology and cultural form, Fontana, London 1974, tr. it. Televisione. Tecnologia e forma culturale, Editori Riuniti, Roma 2000 297 Menduni E., Televisione e società italiano 1975-2000, Bompiani, Milano 2002, p. 99 298 Eco U., Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1983
93
Tabella 4 - Paleo e neotelevisione
Il rapporto tra scienza e televisione dunque subisce dei cambiamenti con il passaggio da
una televisione di palinsesto a una di flusso. I linguaggi e i registri pedagogici della
paleotv fanno spazio all’intrattenimento inteso come linguaggio e assistiamo a
un’ibridazione dei patti comunicativi nella divulgazione scientifica che da un lato conserva
la missione di accrescere le conoscenze degli spettatori fornendo strumenti concettuali,
dall’altra ingloba strategie narrative e di coinvolgimento tipiche dell’entertainment.
In questa sede si prenderanno in considerazione due tipi di patti comunicativi e la loro
configurazione di ruoli e azioni: il patto dell’apprendimento e quello dello spettacolo. In
entrambi questi patti si trovano i ruoli dello speaker, inteso come colui che legge le notizie
o che introduce un dibattito o un filmato, e del conduttore, colui che illustra al pubblico i
numeri dello spettacolo, fa presente qualcuno su un palcoscenico. Il partner comunicativo
dello speaker o del conduttore solo di rado viene ad avere un ruolo esplicito; anche il
pubblico presente in studio non ha funzione di vero e proprio interlocutore, ma la sua
funzione si situa o in un contesto di estetica dello spettacolo (ci sono le luci, il
palcoscenico, e il pubblico come arredamento dello studio), oppure di messa in scena di
una sanzione euforica (il pubblico che applaude). È la rappresentazione di un giudizio
positivo che diventa metonimia di un pubblico più vasto. La neotelevisione tende sempre
più a trasformare questo pubblico ornamentale in un pubblico-interlocutore, così come il
presentatore si propone sempre più come conduttore-intrattenitore che conversa con il
pubblico in sala e quello a casa.300
5.5.2 - Il patto dell’apprendimento
Il ruolo dello speaker si può manifestare in figure più specifiche che prendono in carico
compiti e funzioni diverse, data la multiformità che questo patto può assumere.
L’interazione avviene soprattutto sull’asse conduttore-pubblico ed è per questo che i rituali
e i comportamenti riguardano non tanto i rapporti tra personaggi interni al programma
quanto soprattutto la relazione che si stabilisce tra schermo e telespettatore. La figura dello
299 Rielaborazione dello schema presente in Sorice M., Lo specchio magico. Linguaggi, formati, generi, pubblici della televisione italiana, p. 173 300 Fumagalli A., L’industria televisiva e il suo impatto sociale, in Bettetini G., Braga P., Fumagalli A., Le logiche della televisione, p. 21
94
speaker in senso stretto è quella che si trova nei telegiornali, dove il personaggio assume la
veste di trasmettitore di notizie in virtù di una aspettativa di responsabilità e serietà
professionale. Si pone come testimone quando parla un esperto o assiste a un filmato,
accentuando il suo ruolo di tramite tra realtà e fruitore, dando un tono di imparzialità e di
aderenza al reale: “queste immagini mostrano meglio di qualunque discorso”,
“interpelliamo ora l’esperto”.301 Parole e filmati fungono da attestazione della veridicità
delle parole dello speaker oltre che da ponte tra gli argomenti.
Un altro ruolo dello speaker può essere quello di maestro, attraverso il quale
maggiormente viene evidenziato il rapporto direttivo con lo spettatore tipico della
televisione del monopolio. Questo ruolo è caratterizzato da una funzione pedagogica e
morale che tradisce preoccupazione per chi sta di fronte. Può esercitare, inoltre, un’altra
funzione, ovvero il coinvolgimento emotivo del fruitore con gli argomenti trattati, che può
arrivare alla costituzione di una sorta di cerimonia, di rito catartico, con espliciti risvolti
pedagogici nei confronti del pubblico.
Nella funzione del divulgatore scientifico il conduttore esalta la rigorosità e la precisione
dell’informatore scientifico: mancanza di accentuazioni espressive del volto, parole
misurate, aggettivazione moderata, un modo non appariscente di vestire sono
caratteristiche e qualità. Quando il conduttore agisce da moderatore, invece, egli incarna
per eccellenza l’ideale dell’imparzialità informativa: moderatore che si pone, anche
fisicamente, equidistante tra le parti.302
5.5.3 - Il patto dello spettacolo
Il passaggio fondamentale del progressivo polarizzarsi verso il piano dell’intrattenimento
della triade reithiana anche nei programmi di divulgazione scientifica si è verificato
quando le trasmissioni omnibus e quelle enciclopedico-divulgative della paleotelevisione
hanno abbandonato il commento dell’immagine in favore di uno stile conversazionale
adottato dal conduttore, diventato elemento di personalizzazione. All’interno della nuova
formula dell’‘educare intrattenendo’, o viceversa, si assiste a una contrazione dei tempi
301 De Berti R., Negri A., Signorelli P., Scene di vita quotidiana, in Casetti F., Di Chio F., Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, VPT/ERI, Roma 1988, pp. 92-94 302 Ibidem
95
con un relativo aumento del ritmo espositivo, e alla focalizzazione degli argomenti trattati
solo su alcune aree del sapere come salute, natura e storia contemporanea.303
L’ibridazione dei generi nella televisione di flusso determina in molti casi la presenza
simultanea di elementi del patto dell’apprendimento e dello spettacolo. Il conduttore-
presentatore può assumere le caratteristiche di ‘maestro di cerimonie’ che fornisce le
chiavi interpretative per leggere ed unificare i momenti dell’azione304, ruolo direttivo nei
confronti del pubblico che tende a diventare più amichevole e solidale, di ospitalità.305 Nel
patto dello spettacolo, dunque, il pubblico non viene mai completamente coinvolto ma in
qualche modo il presentatore è un suo rappresentante, punto di contatto con gli attori
coinvolti.
5.5.4 - La fiducia
“Negli anni scorsi ci avete accordato la vostra fiducia.
Volete farci credito anche questa volta?” Enzo Biagi
I patti comunicativi della neotv tendono anzitutto a instaurare un contatto, un tempo della
relazione. La proposta, l’invito diventano intesa e relazione, all’asse dei contenuti viene
sostituito l’asse dei rapporti personali. In questo senso quello del fruitore non è più
considerato un ruolo implicito del processo comunicativo, punto di arrivo obbligato ed
automatico, ma viene trascinato nella comunicazione secondo strategie specifiche e non
più trattato come entità collettiva e anonima: il pubblico. Allo spettatore si dà del tu,
chiamato per nome, direttamente interpellato. C’è stato dunque un mutamento qualitativo
nel rapporto tra schermo e spettatore: da rigida e verticistica questa relazione è diventata
fluida e confidenziale. Lo spettatore ha spazio, viene evocato, viene chiamato a dialogare
in un modello comunicativo che esige presenza e partecipazione.
Un tale, progressivo, stravolgimento del rapporto comunicativo tra emittente e fruitore
porta anche a una nuova regolazione della relazione fiduciaria che regge la stessa
interazione comunicativa.306
303 Ortoleva P., Di Marco M.T., Luci del teleschermo. Televisione e cultura in Italia, Mondadori-Electa, Milano 2004, pp. 214-215 304 De Berti R., Negri A., Signorelli P., Scene di vita quotidiana, p. 88 305 Ibidem, p. 89 306 Ghislotti S., Di Chio F, Questioni di tempo, questioni di fiducia, in Casetti F., Di Chio F., Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, VPT/ERI, Roma 1988, pp. 134-136
96
L’azione comunicativa della neotv non è più ingessata entro una serie prevedibile e
limitata di effetti: lo spettacolo ‘fa vedere’, il patto dell’apprendimento ‘fa sapere’. Si apre
ad una gamma più vasta di comportamenti e di interazioni che favorisce un nuovo modello
in cui cresce la relazione fiduciaria che lega tv e pubblico. La divulgazione scientifica nella
neotelevisione ha bisogno di stabilire un patto di veridizione che lega lo spettatore al
mezzo che deve essere percepito come credibile, e contemporaneamente deve rispondere
alle promesse di intrattenimento che la neotv ha stabilito nel patto dello spettacolo, diffuso
in tutto il flusso televisivo.307
Questo processo si articola in due modi: i) la differenza tra sapere e credere che regola la
relazione fiduciaria nel patto, ii) il rapporto tra conduttori e pubblico.
i) La comunicazione televisiva è costituita da un percepire, un sapere e un credere. I
vari patti sono diversi tra loro perché accentuano alcuni aspetti di questi elementi. Il
patto dello spettacolo ad esempio tende al soddisfacimento percettivo dello
spettatore, anche nei generi in cui in apparenza c’è scambio informativo ma che
invece sono finalizzati alla visione di una competizione, come nel quiz. In sintesi il
patto dello spettacolo è il patto del ‘far vedere’. Le trasmissioni di divulgazione e
informazione, invece, sottolineano l’elemento cognitivo della comunicazione, anche
nei casi in cui sembra emergere l’elemento percettivo, come nei documentari, ci
troviamo davanti a uno scopo eminentemente informativo: la divulgazione risponde
allo scopo di ‘far sapere’. A queste vocazioni, percettiva e informativa, tipiche della
paleotv, si aggiunge un nuovo elemento, che indebolisce il peso dei contenuti in
favore della valorizzazione della forma espositiva e delle strategie di
coinvolgimento, ma che rappresenta anche un ampliamento dei mezzi linguistici a
disposizione dei produttori di comunicazione scientifica pubblica. La neotv, infatti,
amplifica la sfera del ‘credere’, per la quale è necessario attuare strategie di
coinvolgimento, di fiducia. Se la paleotv fondava il suo agire comunicativo su
occasioni di evasione e di conoscenza, la neotv punta sulla valorizzazione della
comunicazione stessa, del fatto che è in corso un’interazione. Nei patti televisivi di
vecchia concezione, presenti ancora oggi in alcune regioni del palinsesto, la fiducia
veniva accordata in funzione agli elementi di spettacolo e informazione, il ‘credere’
viene dopo il ‘vedere’ e il ‘sapere’.308 Nei patti neotelevisivi la fiducia passa in
307 Ibidem, pp. 136-141 308 Ibidem
97
primo piano, non è più semplice esito della comunicazione, ma diventa la posta in
gioco, il fulcro stesso dell’interazione. Se nella divulgazione scientifica la fiducia
viene accordata in base all’attendibilità e al modo di presentazione delle conoscenze
all’interno del patto di apprendimento, nelle nuove ibridazioni della neotv è la
fiducia a dare fondamento ai contenuti. Passiamo da una fiducia istituzionale a una
personalizzata. La Rai della paleotv trasmetteva autorità e suscitava fiducia nel
pubblico in virtù del suo peso istituzionale, del suo uso sociale e dell’aura sacrale e
festiva che l’avvolgeva.309 La fiducia era implicita nel patto, a priori.
ii) Con l’avvento del regime di concorrenza emerge l’esigenza di rinnovare il patto di
fiducia continuamente a seguito di un consumo sempre meno festivo e sempre più
quotidiano di televisione in cui la proposta di fiducia non viene più veicolata
dall’istituzione, caratterizzata da valori e da una storia, ma dai conduttori, che
propongono una fiducia personalizzata e che come mediatori rispecchiano sia le
istanze di rete che quelle dell’audience. Queste forme personalizzate di fiducia
prendono conseguentemente forme diverse: confidenza, familiarità, simpatia, onestà,
impegno morale, solidità professionale. Non a caso è impossibile non associare il
concetto di trasmissione televisiva di divulgazione con il volto di Piero Angela. Il
fare dei conduttori si associa a un’interazione pattuita, ovvero al ricevimento di un
mandato e all’assunzione di una competenza. La proposta del mediatore costituisce
un invito rivolto allo spettatore che concerne una sua assidua presenza e
partecipazione. Il conduttore, dunque, emette a sua volta un mandato, chiedendo al
pubblico di ‘seguirlo’, ed ogni conduttore esprime questo invito con alcune categorie
modali. Ad esempio, attraverso la costruzione di una relazione fiduciaria tra schermo
e fruitore, “il mediatore può operare uno spostamento di competenza ed attribuisce al
telespettatore un ‘poter fare’”.310
309 Bettetini G., La conversazione audiovisiva 310 Ghislotti S., Di Chio F, Questioni di tempo, questioni di fiducia, pp. 138-139
98
Capitolo 6 - Divulgazione e ideologia
Le rappresentazioni televisive dipendono dal referente e sono il frutto di modalità
linguistiche specifiche che agiscono in un’intenzione comunicativa simile all’interazione
personale, anche se la struttura nella quale operano è impersonale.311 Il referente non può
essere spiegato completamente ma solo negli aspetti che possono essere formulati in
relazione al mezzo. Il contesto comunicativo, per il semplice fatto che è un costrutto, può
deformare ciò che è riferito. Il ricevente compie una decodifica del linguaggio iconico,
primo passo verso la comprensione e l’integrazione delle nuove conoscenze con quelle di
sfondo. Queste ultime, per ottenere una decodifica ottimale, vanno prese in considerazione
dall’emittente nel corso della formulazione del messaggio. Non va considerata dunque solo
la semplificazione, che avviene in ogni passaggio della notizia scientifica a partire da
quando l’evento viene tradotto in linguaggio scientifico, o da quando gli scienziati
applicano categorie linguistiche a eventi amorfi.312
Nella divulgazione si delimita il campo in base alle conoscenze di sfondo ipotetiche che
forniscono la misura e la porzione di sapere che va semplificata. Il secondo passo è la
costruzione dell’interesse. Il linguaggio iconico televisivo per eccellenza è lo spettacolo,
cioè un insieme di regole ed esigenze da applicare ai contenuti più diversi. Le forme dello
spettacolo rischiano di deformare la rappresentazione del referente, enfatizzando le parti
del discorso che si possono meglio tradurre in discorso televisivo. Le parti televisivamente
formulabili sono come ritagliate: ne emerge una concezione globale e unitaria,
un’immagine di scienza. In tv prevale una concezione di scienza eccezionale ed
ottimistica, che si mostra come una conquista. Vengono tralasciati esperimenti errati,
discontinuità nelle discipline e nelle teorie, e vengono sottolineati l’indiscutibilità dei
risultati, la certezza delle conclusioni, i benefici della tecnica. È una rappresentazione
ideologica, il cosiddetto scientismo. La rappresentazione televisiva è in aperto contrasto
con molte ricerche epistemologiche che sottolineano la discontinuità, provvisorietà,
correggibilità e non linearità del panorama scientifico, e che evidenziano condizionamenti
politici, sociali, di committenza.313 “Non esiste più una scienza realistica, una positivistica,
un’altra probabilistica, un’altra ancora che agisce per paradigmi storici, un’altra
311 Agazzi E., La comunicazione televisiva attraverso il mezzo televisivo, in Bettetini G.F. Grasso A. (a cura di) Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1988 312 Ibidem
99
popperiana... No: esiste una scienza sola; meglio, la scienza. Le scienze annullano le loro
reciproche differenze nell’impatto con la televisione: le annullano in parte mascherandole
ideologicamente in tutti i loro tentativi di divulgazione e in parte esplicitando questa
neutralizzazione in virtù di un effetto che è tutto e solo televisivo”.314
6.1 - Le rappresentazioni della scienza: Frankenstein o Marie Curie?
La storia recente della percezione pubblica della scienza è il risultato di eventi di grande
impatto internazionale: gli anni Settanta conoscono un’impennata di interesse generato
tanto dalla conquista dello spazio quanto dal clamore suscitato dai primi trapianti di cuore.
L’entusiasmo di spegne, trasformandosi in disimpegno e in calo della domanda di
informazione scientifica a seguito di “impatti traumatici come la catastrofe di Chernobyl e
la sciagura aerospaziale della navetta Challenger”.315 Oggi l’onda della fiducia torna
complessivamente a crescere, insieme con il desiderio di approfondimento, nonostante il
caso della mucca pazza e le inquietudini sull’uso delle biotecnologie in campo
agroalimentare. Gli scienziati vengono di nuovo auspicati come portatori disinteressati di
progresso collettivo316 anche se l’alone positivo che circonda la figura del ricercatore può
essere frutto di disinformazione: spesso la scienza è percepita come attività nobile ma
esclusivamente filantropica, oppure l’attenzione viene catalizzata esclusivamente dalla
medicina vista come scienza più importante o come scienza tout court attraverso una sorta
di sineddoche per la quale la medicina diventa la scienza, quest’ultima la tecnologia.317 La
percentuale di persone che nutre un atteggiamento di critica consapevole nei confronti
della scienza corrisponde al 10% della popolazione, mentre coloro che ne hanno una
visione acritica e fideistica si attestano al 42%.318 In effetti l’incremento della domanda di
informazione scientifica ha come contraltare il successo delle pubblicazioni astrologiche319
e l’alto tasso di ignoranza su argomenti cruciali, che non risparmia neanche i fruitori
313 Ibidem 314 Bettetini G.F. Grasso A. (a cura di), Lo specchio sporco della televisione, divulgazione scientifica e sport nella cultura televisiva 315 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 179. 316 Cerroni A. et al., Biotecnologia e opinione pubblica. Una ricerca sulla percezione della scienza in Italia, “Sociologia e Ricerca Sociale”, n.67, 2002, p. 137 317 Bucchi M., “I rischi della scienza in piazza”, Zadig, www.zadig.it, 8 febbraio 2003 318 Neresini F., Bucchi M., Pellegrini G., Biotecnologie e opinione pubblica in Italia, Fondazione Bassetti-Poster, www.fondazionebassetti.org, 2002, p. 8
100
abituali di divulgazione, di cui il 30% ritiene che i pomodori non contengano geni, e questi
ultimi vengono considerati come tipici dei soli ortaggi geneticamente modificati.320
L’emergere di tematiche controverse legate alle biotecnologie senza dubbio sta in ogni
caso diffondendo un’ombra di diffidenza nella percezione pubblica della scienza.321
L’immaginario popolare è dominato da una “cosmologia ingenua di tipo organicistico e
statico, in cui la natura è pensata come una Grande Madre, in tutto buona, generosa,
perfetta e delicata: dimensione di purezza minacciata dalla barbarie biotecnologia. È
un’ontologia ingenua che contrappone radicalmente quanto è naturale a quanto è
artificiale”.322 In sintesi convivono le immagini dello scienziato risolutore di problemi
dell’umanità e quello trascinato da intenzioni prometeiche: Marie Curie e Frankenstein si
alternano nell’immaginario collettivo.323 Le rappresentazioni televisive, inoltre, instaurano
patti di complicità molto forti che si consumano all’interno di una sacralità e di una
ritualità che concorrono a generare una neutralizzazione delle differenze epistemologiche e
ideologiche della scienza, verso una sua enfatizzazione acritica.
6.1.1 - Scienza e fiction
È il caso di dire che le immagini della scienza nei programmi di divulgazione spesso
convivono con quelle trasmesse da testi di fiction. Queste immagini sono il prodotto di
processi di ‘naturalizzazione’, ovvero di creazione mediante ricostruzioni realistiche di un
alone di accuratezza solo superficiale che tradisce un’immagine scevra delle differenze che
caratterizzano le scienze.
“Fictional film naturalizes both ‘accurate’ and ‘inaccurate’ science by presenting both as ‘natural’ via a perceptually realistic framework”.
[Kirby324 2003: 261]
Ciò si aggiunge alle note ricerche effettuate negli Stati Uniti da George Gerbner e dai
suoi collaboratori secondo le quali tutte le rappresentazioni televisive sono fuorvianti. Ad
319 Andrea Riveccio in Scienza e mass media a cura di Giovanni Giovannini e Maria Pia Rossignaud, www.ossevatoriotuttimedia.org, stima che la cifra spesa per acquistare pubblicazioni di astrologia ammonti nel 1999 a 100 miliardi di lire, contro i 70 relativi all’editoria scientifica 320 Neresini F., Bucchi M., Pellegrini G., Biotecnologie e opinione pubblica in Italia, p. 6 321 Cerroni A. et al., Biotecnologia e opinione pubblica. Una ricerca sulla percezione della scienza in Italia, p. 137 322 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 180 323 Ibidem, p. 181 324 Kirby D.A., “Scientists on the set: science consultants and the communication of science in visual fiction”, Public Understanding of Science, 12, 2003, p. 261
101
esempio la percentuale delle minoranze etniche viene rappresentata nei programmi di
fiction in un’incidenza minore di quella che si presenta nella realtà.325 Allo stesso modo la
rappresentazione della scienza viene deformata326 soprattutto nei film e nella serialità del
prime time che offrono una rappresentazione dello scienziato come di un individuo folle,
pericoloso e incontrollabile: è la categoria che in televisione più spesso ricorre
all’omicidio,327 anche se bisogna notare che la frequenza di delitti nella finzione televisiva
è dieci volte superiore di quella che si verifica nella realtà.328 Non sempre la
rappresentazione televisiva della scienza è in grado di dare una risposta chiara e netta alle
esigenze del pubblico, come accaduto per il caso Di Bella, esempio eloquente di come si
possano innescare attriti irreparabili tra scienza e televisione quando quest’ultima è
convocata d’urgenza nell’arena mediatica su un punto nevralgico senza troppe certezze. La
scienza vede minacciato il suo peso veridittivo, compressa nei modi e nei tempi televisivi
che infrangono metodologie e autorità, mentre la televisione, permeabile a ogni forma di
scostamento dalla norma, dà voce e visibilità a chi si pone ex grege.329 In assenza di un
punto di vista abbastanza ampio per contestualizzare la situazione, lo scontro televisivo
esplode senza lasciare una risposta sicura nello spettatore.
La difficoltà di distinguere immagini e rappresentazioni della scienza costruite e
veicolate dalla fiction da quelle usate nella divulgazione deriva dal fatto che film e serial
presentano la scienza con diversi gradi di realismo senza avere alcun obbligo di
accuratezza, la quale invece è il mezzo e il fine della divulgazione scientifica. La fiction
deve rispondere solo a criteri di plausibilità: l’idea centrale di Jurassic Park di Michael
Crichton, ovvero la possibilità di ricostruire un organismo nella sua interezza attraverso il
DNA contenuto in gene isolato, va considerato come assolutamente plausibile in relazione
alle conoscenze della biologia del periodo. Come in effetti era plausibile Frankenstein nel
periodo della sua realizzazione.330
Il rapporto tra immaginario cinematografico e percezione dell’immagine dello scienziato
è complesso. Antonella Testa sostiene che il cinema biografico rappresenta gli scienziati
325 Pratkanis A.R., Aronson E., L’età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della persuasione, il Mulino, Bologna 1996 (2003), p. 140 326 Gerbner G., “Science on television: how it affects public conceptions”, Issues in Science and Technology, 3, 1987, pp. 109-115 327 Evans W., “Science and reason in film and television”, Skeptical Inquirer, 20, 1996, p. 58 328 Pratkanis A.R., Aronson E., L’età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della persuasione, p. 115 329 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 182 330 Rose C., “How to teach biology using the movie science of cloning people, resurrecting the dead, and combining flies and humans”, Public Understanding of Science 12, 2003, p. 292
102
come degli eroi, mentre Jacques Jouhaneau e Alexis Martinet dopo aver analizzato oltre
tremila film concludono che più la figura dello scienziato è realistica, più la sua
rappresentazione è positiva.331
Michael Crichton, autore del romanzo Jourassic Park, divenuto un fortunato
blockbuster, sostiene che quella dello scienziato è un’immagine distorta dalla fiction, ma
tutte le professioni sono trattate allo stesso modo: nei film “gli avvocati sono senza
scrupoli, i politici corrotti, i poliziotti degli psicopatici, gli uomini d’affari dei
filibustieri.”332
La rappresentazione cinematografica dello scienziato cambia col passare del tempo: se
ne La mosca di David Cronenberg lo scienziato vive volontariamente isolato dal mondo
ma ha bisogno di una giornalista che documenti le sue scoperte, in The day after tomorrow
cerca in tutti i modi di farsi ascoltare dall’opinione pubblica, dalla politica e dal mondo.333
Ci sono inoltre numerose linee di continuità, come ad esempio la quantità di film che si
basano sullo scienziato che perde il controllo del proprio sapere, da Frankenstein ai giorni
nostri. Il rapporto tra scienziato e società muta nel tempo: se in numerosi film come ad
esempio L’isola del dottor Moreau lo scienziato è barricato in un’enclave inespugnabile
dal mondo reale, oggi lavora sempre più spesso in un équipe e non è mai l’unico artefice
degli eventi.334
6.2 - Immagini televisive della scienza
Jochen Pade e Klaus Schlupmann sostengono che i programmi di divulgazione
scientifica in televisione non forniscono conoscenza scientifica adeguata al pubblico, né
servono come orientamento sociale circa l’importanza della scienza. Le trasmissioni di
divulgazione non rappresentano la scienza o il suo impatto sociale, ma forniscono
rappresentazioni che possono essere formulate in linguaggio televisivo, costituendo
soltanto una sorta di canale per le ‘pubbliche relazioni’ della scienza. Ad esempio le
scienze naturali sembrano trovare la loro traducibilità in termini televisivi soltanto con la
spettacolarità dei documentari, o con ricostruzioni storiche sulla vita di singoli scienziati.
La rappresentazione degli scienziati in tv sembra corrispondere a rigidi stereotipi, quasi ad
331 Merzagora M., “Scienziati di celluloide”, Quark, 62, 2006, p. 61 332 Ibidem, p. 63 333 Ibidem, p. 65 334 Ibidem, p. 66
103
un identikit: sesso maschile, individualista e responsabile del progresso scientifico, senza
contare che deve necessariamente occupare una posizione di leadership. Il lavoro degli
scienziati è presentato come top research, cruciale per il progresso, innovativo, anche se
ciò sembra più che altro essere dato per scontato. Per quanto riguarda i programmi di
intrattenimento, essi tendono a presentare un’immagine stereotipata della scienza percepita
come magica, pericolosa e in mano ad anziani in camice: gli scienziati pazzi.335
L’impossibilità di interazione diretta col fruitore tipica dello scambio comunicativo
televisivo dovrebbe indurre i produttori di programmi a incrementare la comprensibilità
della presentazione dato che spesso la divulgazione si limita ad un uso improprio di
analogie mutuate dal senso comune per spiegare eventi complessi, e spesso sono consentiti
grossolani errori in nome della semplificazione. I programmi con una vocazione più
elitaria tendono a presentare gli eventi scientifici in modo accurato, mentre quelli che
rincorrono un pubblico non di nicchia giocano spesso la carta della spettacolarità, creando
un legame emotivo col fruitore anche attraverso l’uso del commento musicale.
Secondo le ricerche dei due studiosi l’immagine televisiva della scienza e dello
scienziato sembra datata e troppo elementare ed emerge una concezione romantica del
ricercatore: genio solitario, bizzarro e incomprensibile. Inoltre la scienza appare come una
verità assoluta e univoca, capace di fornire una risposta ad ogni problema.
La concezione televisiva che vede l’universo scientifico come unitario e consensuale
impedisce che emergano posizioni personali su questioni scientifiche, ciò fa emergere un
atteggiamento acritico verso la scienza e un clima di ‘silenziosa complicità’ tra giornalista
ed esperto; è emblematica, a tal senso, la pratica usata nell’edutainment in cui l’uno
completa la frase dell’altro e viceversa.336
6.3 - Ideologie della scienza in Tv
Quando la scienza in tv prende la forma dei programmi di divulgazione si ha
l’impressione che la sua declinazione in un contesto unitario e ad hoc abbia come prima
conseguenza quella di conferirle un’ideologia. Se l’informazione scientifica è una forma
trasversale ai generi che come argilla si conforma ai contenitori che la ospitano e che
335 Holbrook. J.B., The role of Science Teacher Associations in promoting the popularisation of science through nonformal means, in Cheng Kai Ming, Leung Kam Chong (a cura di), Popularization of science and technology, University of Hong Kong/Unesco, Parigi 1989
104
hanno bisogno di sottolinearne solo alcuni aspetti in una sorta di camaleontismo
funzionale, la scienza nella sua sede televisivamente istituzionale “favorisce una
concezione astratta, disincarnata e storicamente decontestualizzata della scienza, in
definitiva succube del mito illuministico”.337 Questa sorta di “peccato originale”338 non si
avverte tanto nella mancanza della rappresentazione della scienza come successione di
tentativi condotti da soggetti diversi al fine di accrescere le potenzialità umane, che invece
è un topos di questi programmi soprattutto quelli che fanno uso di docudrama, ma nella
lettura degli eventi a posteriori, che guarda alla prova a partire dal suo esito e in funzione
di esso.339 Il metodo è totalmente assente dalla rappresentazione televisiva: se per scienza
s’intende una prassi intellettuale che elabora modelli interpretativi del reale e li sottopone a
verifiche empiriche misurabili e ripetibili affinché la comunità degli scienziati possa
disporre di dati confrontabili, di questo non v’è traccia in tv. La confusione maggiore è
quella tra scienza e tecnologia, il rapporto tra le quali non sempre è percepito nel modo
giusto. La tv tende a enfatizzare le applicazioni tecnologiche alle speculazioni teoriche, e
questo secondo Eco ha qualcosa di magico: l’enfasi per la tecnologia tradisce la
presunzione di voler passare da una causa a un effetto senza passare per gli stadi
intermedi.340 In alcuni programmi è infatti impossibile discernere medicina e fitness.
Nella divulgazione c’è grossa confusione tra scienza e tecnologia. La prima andrebbe
vista come conoscenza, come la filosofia che cerca di rispondere alle antiche domande
dell’umanità: l’origine della vita, della materia, la seconda invece come proiezione
industriale, economica e politica della prima, anche se i due concetti tendono a intrecciarsi.
La differenza cruciale è che la scienza non deve essere messa al servizio di qualcosa, ma
essere libera di ricercare e produrre conoscenza, così come l’arte, la filosofia, la letteratura,
la musica. Il risultato della ricerca rischia però di essere distorto nel momento in cui viene
riformulato in linguaggio televisivo, nel tentativo di strumentalizzare la scienza per
confermare le idee o ideologie del divulgatore. L’approccio da adottare, dunque, è di
scetticismo nei confronti degli apporti più moderni della ricerca, che non vanno considerati
336 Pade J., Schlüpmann K., Science on television, alternating between elitism and levelling, Public Communication of Science and Technology Conference, Berlino, 17-19 Settembre 1998 337 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 184 338 Ibidem 339 Ibidem, p 185 340 Eco U., Il mago e lo scienziato, La Repubblica, 10 novembre 2002
105
come verità ma conoscenze. Infatti la scienza produce dei sistemi di conoscenze non
soggettive, né oggettive, ma intersoggettive, condivisibili da tutti.341
Una delle cause della confusione che esiste tra scienza e tecnologia deriva dalle
rappresentazioni della ricerca nella fiction soprattutto televisiva e cinematografica: lo
‘scienziato folle’ che detiene verità assolute. La scienza è invece il contrario delle certezze,
è “l’elogio del dubbio”342 mentre la tecnologia è l’amplificazione del gesto umano, con
tutte le sue implicazioni. Secondo Angela il problema principale della divulgazione che
vuole raggiungere grandi platee televisive è quello di arrivare non solo a persone che per
livello educativo sono spontaneamente interessate alla scienza ma anche a coloro che
hanno nella televisione l’unico aggancio culturale col loro tempo: il divulgatore, oltre a
veicolare informazioni tecnico-scientifiche, è chiamato a diffondere una mentalità
scientifica, di razionalità.
Analizzare l’impostazione ideologica delle trasmissioni di divulgazione è d’aiuto nel
delineare il panorama del broadcasting italiano in fatto di comunicazione scientifica. Le
visioni della scienza che fanno da sfondo alla divulgazione possono essere riassunte in tre
atteggiamenti ideologici totalizzanti e onnicomprensivi.343
i) La prima concezione legge la scienza in funzione al ruolo dell’uomo nel mondo.
In questo caso “il sapere scientifico è concepito come un insieme di certezze
incontrovertibili, anche se deve essere relativizzato ai valori che lo
trascendono”.344 Questa rappresentazione si colloca più che nell’ambito umanistico
in quello ambientalista e animalista e definisce il ruolo dell’uomo a partire da
quello di scienza, tecnica, natura.345
ii) La seconda concezione è quella positivistica e assolutistica ed è presente nella
trasmissioni che propongono una descrizione minuziosa dei fenomeni che si basa
su “un’istanza metafisica inespressa, secondo la quale la scienza si autolegittima
come strumento di conoscenza e di emancipazione”.346 Questo punto di vista
animava trasmissioni tipiche della seconda serata della paleotelevisione come
Orizzonti della Scienza e della Tecnica.347
341 Angela P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 511-516 342 Ibidem 343 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 186 344 Bettetini G., Lo specchio sporco della televisione. Fra scienza e sport, in Bettetini G., Grasso A., Lo specchio sporco della televisione. Divulgazione scientifica e sport, Fondazione Agnelli, Torino, 1988, p. 13 345 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 186 346 Bettetini G., Lo specchio sporco della televisione. Fra scienza e sport, p. 13 347 Programma Nazionale, 1958, seconda serata
106
iii) Il terzo approccio ideologico è in realtà sotteso a entrambi i precedenti dato che
agisce come comune denominatore dei programmi di divulgazione e suggerisce
una visione in cui ricerca, ambiente, uomo e natura sono legati da un
connessionismo di fondo di stampo “cibernetico-evoluzionista-funzionalista”348 in
cui i rapporti differiscono solo per la scala dimensionale su cui sono posti e natura
e cultura procedono di pari passo: in alcuni programmi non viene specificato che
l’espressione ‘cultura delle orche’ sia da considerarsi dal punto di vista etologico
(comportamento acquisito per imprinting) o come una rappresentazione
umanizzata del comportamento animale.349
348 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 186 349 Ibidem
107
Capitolo 7 - Divulgazione e narrazione
Traduzione e narrazione sembrano essere le due vie che la divulgazione può
intraprendere. L’abilità del divulgatore risiede allora nella capacità di individuare l’essenza
del testo che vuole tradurre da un sistema di pratiche espressive specializzate a quelle di
senso comune, per questo la divulgazione dovrebbe tendere a una traduzione più ‘mirata’
che ‘fedele’.350 In altri casi il divulgatore sceglie di rappresentare il discorso scientifico in
forma narrativa. Ciò implica sia la rappresentazione dei fatti che la finalizzazione del
contenuto ad un’unica trama coerente. “Il divulgatore affronta la scienza come materia di
affabulazione, con motivi, trame, topoi, ruoli e funzioni e ne cava fabulae sempre diverse,
intrecci personali, personaggi caricati di un ethos storico e psicologico inevitabilmente
immerso in una certa società”.351 Da un punto di vista televisivo la rappresentazione
narrativa della scienza, oltre a trasmettere una visione ideologica, perché unitaria, della
scienza, è influenzata a più livelli dal suo autore-divulgatore che consapevolmente usa
modalità espressive proprie dello storytelling, per cui si può arrivare ad affermare che la
divulgazione televisiva è sempre e comunque science-fiction.352
Per quanto riguarda la via della traduzione l’operazione dell’attribuzione di senso è
parziale e ambigua, per questo Fayard parla di una missione impossibile.353 Questa
difficoltà nella traduzione risiede non nel passaggio dei termini specialistici da un
sottocodice a un altro ma nella trasposizione dei concetti da un contesto linguistico e
sociale all’altro,354 nella relazione tra mondi e concettualizzazioni diversi.355 Spesso,
infatti, termini di uso comune vengono usati in testi specialistici con un significato
specifico mentre sono polisemici e di uso generico in un contesto quotidiano.356
Mentre per alcuni, dunque, la narrazione è uno stile di divulgazione che si contrappone
alla traduzione da codici specialistici in linguaggio televisivo e in quanto stile non
pregiudica una qualificazione significativa del contenuto che può in entrambi i casi essere
inserito in una strategia comunicativa sia inferenziale ed esplicativa che retorica e
350 Agazzi E., Epistemologia e informazione, in G. Bettetini (a cura di) Il tempo dell’uomo nella società della tecnica, La Biennale di Venezia/ERI, Venezia 1983 351 Grasso A., Il demone della divulgazione, p. 66 352 Ibidem 353 Fayard P., La communication scientifique publique. De la vulgarisation à la médiatisation, Chronique Social, Lyon 1988 354 Shinn T., Whitley R, (a cura di) Expository science 355 Eco U., Lector in fabula, Bompiani, Milano 1979 356 Verdanega A., I linguaggi della divulgazione, in Cannavò L. (a cura di) La scienza in tv: dalla divulgazione alla comunicazione scientifica pubblica, VQPT/Eri, Roma 1995, pp. 126-127
108
persuasiva (figura 8357), per altri invece nessuna forma di rappresentazione della realtà può
fare a meno dello storytelling. Questo vale sia nei casi in cui si tratta di documentazione
della realtà,358 come ad esempio nell’informazione scientifica, sia nel caso di
rielaborazioni narrative come il docudrama che propone interpretazioni degli aspetti non
documentabili che circondano un evento. D’altro canto è noto che la realtà televisiva ha da
tempo manifestato la sua vocazione autoreferenziale che tende a sostituire lo spettacolo
della realtà con la realtà dello spettacolo359 rendendo sempre più esile il filo tra realtà e
rappresentazione. Dunque la riformulazione della realtà in televisione prende
inevitabilmente una forma narrativa: questa narrativizzazione dei contenuti muove dalla
natura orale del discorso televisivo e dalla sua funzione affabulatoria che crea un alone di
familiarità e vicinanza.360 Queste tipologie di rappresentazione acquistano una dimensione
collettiva dal momento che una delle caratteristiche peculiari del discorso televisivo è la
sua natura ‘bardica’ che si manifesta nella narrazione dei valori di un patrimonio culturale
comune e delle gesta di una comunità, nonché nella registrazione degli eventi
significativi.361
Divulgazione
/ \
Narrazione Traduzione
/ \ / \
Inferenziale Retorico Inferenziale
Esplicativa Persuasiva Esplicativa
Figura 8 - La divulgazione tra traduzione e narrazione
L’utilizzo della narrazione come forma divulgativa consente di rendere intellegibili i fatti
ed evidenziare nessi eziologici. Lo storytelling si dimostra una pratica interpretativa
efficiente nel comprendere e diffondere conoscenza, in particolare è il formato attraverso il
357 La figura è la semplificazione grafica di una tassonomia presente in Verdanega A., I linguaggi della divulgazione, p. 142 358 Giomi E., Limiti e potenzialità della fiction italiana 359 Debord G., La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano 1997 360 Casetti F., Di Chio F., Analisi della televisione: strumenti, metodi e pratiche di ricerca, Bompiani, Milano 1998 361 Il concetto di ‘funzione bardica’ è stato introdotto da Fiske J., Hartley J., Reading television, Routledge, London 1978 e rielaborato da Casetti F., Di Chio F., Analisi della televisione: strumenti, metodi e pratiche di ricerca
109
quale la conoscenza scientifica viene messa a disposizione di un pubblico non
specialistico.
7.1 - Sapere scientifico e sapere narrativo
La scienza è un sottoinsieme della conoscenza caratterizzato dalla condivisione di un
metodo e di un linguaggio pertinente da parte di una comunità che garantisce
l’osservabilità dei fenomeni.362 In altri tipi di conoscenza, invece, vigono altri criteri come
la giustizia, la bellezza, l’efficienza tecnica, come ad esempio nel sapere tradizionale, il
mondo della doxa.363 Questi tipi di conoscenza vengono trasmessi in una forma narrativa,
che può avere una funzione formativa nella legittimazione di modelli positivi attraverso, ad
esempio, i miti, o in forme denotative più complesse.
Il sapere scientifico necessita di una legittimazione del gruppo dei pari e che questo
condivida metodo e linguaggio in quanto la conoscenza scientifica si sviluppa attraverso
una dialettica simmetrica di prove e confutazioni,364 con l’unica eccezione delle
trasmissioni di sapere didattico.365 Il sapere scientifico è denotativo e l’accettabilità degli
enunciati coincide con il valore di verità, comunque non oggettivo, ma limitato agli
enunciati stessi. Sapere scientifico e sapere narrativo, dunque, sono estremamente diversi
nella forma e nella sostanza, ma si intrecciano nei casi in cui il mondo della scienza sente
la necessità di partecipare al dibattito pubblico o di esternare concetti e teorie alla
società,366 anche se i criteri di valutazione applicati dall’uno e dall’altro sono
incomparabili. Infatti, se il sapere scientifico è legittimato dal metodo e dalla pertinenza
del linguaggio, quello narrativo è legittimato dalla pratica: se il consenso della comunità
scientifica si ottiene attraverso enunciati veri relativamente a metodo e linguaggio, nel
sapere narrativo il senso comune stabilisce ciò che è giusto in nome del progresso, visto
come accumulazione di sapere, non solo scientifico.367 È dunque impossibile pensare che,
come in un sistema di vasi comunicanti, si possa trasferire il sapere scientifico in forma
narrativa senza le perdite di significato causate sia da manipolazioni e distorsioni che da
riformulazioni accurate di concetti generali o descrizioni specifiche in linguaggi non
362 Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981, p. 38 363 Ibidem, p. 39 364 Ibidem, p. 47 365 Ibidem, p. 49 366 Ibidem 367 Ibidem, pp. 51, 57
110
scientifici: “lamentarsi della perdita di senso nella postmodernità significa lasciarsi
prendere dalla nostalgia”.368
7.2 - Scienza e narrazione
Le caratteristiche della rappresentazione della scienza in tv, già individuate da Cannavò
nella spettacolarizzazione e la personalizzazione degli eventi scientifici e delle trasmissioni
televisive,369 sono state trattate da Roger Silverstone370 sottolineando le interazioni tra
ruoli sociali diversi e l’impossibilità di indirizzare la comunicazione della scienza a un
pubblico identificabile con chiarezza. La conoscenza subisce un processo di costruzione a
cui concorrono diversi fattori tra cui il sistema educativo, quello politico, economico e
culturale e, al suo interno, il sistema dei media. I media, ed in particolare la televisione si
occupano dei contenuti più eterogenei adeguandoli al loro formato. La scienza rientra tra
questi contenuti e, nonostante lamenti che la sua rappresentazione sia inadeguata sia in
termini di spazio che dal punto di vista dell’appropriatezza del linguaggio, Silverstone
osserva che la scienza entra in televisione non solo per derimere controversie che
interessano la collettività, come dimostrato dai numerosi studi su questo argomento,371 ma
come estensione della visione dominante372 in forma narrativa. Come si è visto solitamente
viene data una rappresentazione positivistica della scienza, di forza, della razionalità
dell’uomo che tende al progresso, ma quando la scienza è l’argomento centrale dell’agenda
la sua rappresentazione all’interno di un frame narrativo può farle perdere i contorni
definiti e rassicuranti delle ideologie della divulgazione per ammantarsi di incertezza e
paura. Dunque la narrazione è un elemento essenziale della comunicazione televisiva e dei
media in genere ed è impossibile che i contenuti che vengono inseriti in cornici narrative
non vadano incontro a una perdita di significato.
La formulazione televisiva del racconto scientifico è solo l’ultima di numerose
manipolazioni, dato che sono molti i passaggi comunicativi tra l’evento e la sua
rappresentazione televisiva che contribuiscono alla connotazione ideologica del
368 Ibidem, p. 51 369 Cfr. paragrafo 2.1.1 370 Silverstone R., “Communicating science to the public” , Science Technology & Human Values, vol. 16, 1991 371 Ad esempio: Bucchi M., Vino, alghe e mucche pazze: la rappresentazione televisiva delle situazioni a rischio, Rai/Eri, Roma 1999, circa la rappresentazione mediatica delle situazioni di rischio, ad esempio i casi del metanolo e della mucca pazza 372 Hilgartner S., The dominant view of popularisation, p. 520
111
messaggio. Inoltre il discorso scientifico è caratterizzato da strategie retoriche nella sua
presentazione e gli scritti scientifici spesso possono essere letti come il racconto di un eroe
spersonalizzato che viene investito dall’autorità conferitagli dai riferimenti bilbliografici
dei suoi articoli.373 Dunque anche la scienza non rinuncia a forme di narrativizzazione, le
quali non sono dovute solo all’utilizzo del mezzo televisivo ma anche alla dialettica
all’interno del discorso scientifico tra conoscenza mitica e mimetica, e spesso queste forme
narrative forniscono rappresentazioni connotate ideologicamente e fuorvianti. Secondo
alcuni, ad esempio, il paper scientifico è un artefatto letterario con una struttura rigida, uno
stile espositivo convenzionale, una strategia narrativa codificata ed è caratterizzato da una
forma empirista e induttivista che può nascondere o rappresentare erroneamente il
processo che sta dietro alla sua redazione.374 Ciò sarebbe dovuto sostanzialmente a una
funzione sociale dell’articolo scientifico che punta a dare l’impressione che i risultati
presentati non siano la ricerca di una legittimazione scientifica di opinioni: in altre parole
si attuano strategie comunicative impersonali e rigidamente induttiviste per preservarsi da
critiche e ridurre le controversie.375
7.3 - Mito e mimesi
La cultura simbolica di un gruppo sociale è basata prevalentemente su un sistema di
valori che contiene i principi delle culture orali preservate nelle forme narrative più
semplici. La narrativa mitica è dunque caratterizzata da grande riconoscibilità e da sue due
dimensioni: l’archetipo dell’eroe e la struttura logica di categorie concrete, basi empiriche
delle narrazioni. Le forme narrative mitiche sono profondamente radicate nella cultura e
hanno allo stesso tempo una forte valenza interculturale, e ciò avviene nonostante la
pretesa, implicita o esplicita, di presentare i fatti in maniera obiettiva e neutrale. La
presentazione di materiale fattuale in uno schema interamente identificato con la fantasia e
la finzione ha ripercussioni molto importanti per capire il ruolo delle trasmissioni
televisive che parlano di scienza e il grado di comprensione del pubblico. Per quanto
riguarda le categorie logiche dei sistemi simbolici mitici Roger Silverstone376 nota che il
373 Lyotard J.F., La condizione postmoderna, p. 51 374 Curtis R., “Narrative form and narrative force. Baconian story-telling in popular science”, Social Studies of Science, 24, 3, 1994, p. 423 375 Watkins J.W.N., Confession is good for ideas, in Edge D. (a cura di) Experiment, BBC, London 1964, pp. 64-70, nota 2 376 Silverstone R., Media, myth and narrative, Sage, London 1988
112
processo di classificazione procede per opposizioni: natura e cultura, vita e morte, umano e
non umano. Il codice dominante è quello in cui la purezza della natura contrasta con la
cultura, o al contrario come avviene in laboratorio, dove la cultura domina l’intrusione
della natura. La narrativa mimetica è parallela a quella mitica ed è basata sulla logica e
l’argomentazione: è una dimensione che pretende di condurre per mano lo spettatore verso
la realtà, con gli strumenti della retorica classica. Mentre per la narrazione mitica lo
spettatore è chiamato a vestire i panni dell’eroe, nella narrazione mimetica si fa appello
alle sue qualità razionali di giudizio. L’elemento mimetico emerge dalla rappresentazione
della scienza in televisione sia attraverso l’immagine che garantisce la fedeltà al mondo
percepito di cui abbiamo esperienza, sia dalle forme del commento. Ogni immagine è il
risultato di una selezione tra un insieme infinito di immagini, e il commento è la parte
seduttiva e persuasiva del testo. I programmi tv non sono atti locutivi, ma perlocutivi: non
vi si ravvisa soltanto una produzione di senso relativa al riferimento, ma anche l’intenzione
di persuadere, convincere o dissuadere. Dunque è possibile concludere che la narrazione
mimetica si basa su rappresentazione, letteralità, chiarezza, informazione, argomentazione;
mentre quella mitica è caratterizzata da drammatizzazione, fantasia, potere,
intrattenimento, storia.377
I temi che riguardano la scienza, l’ambiente e la medicina sono radicati nella cultura
simbolica e nella vita di tutti i giorni: la dialettica tra scienza e senso comune, discorso
specialistico e generico, scrittura e oralità, narrazione e rappresentazione viene espressa da
questo modello che mostra le interazioni tra i due livelli di conoscenza:
Figura 9 - Punti di contatto tra narrazione mitica e mimetica
La televisione può essere considerata la moderna espressione del mito, perché
rappresenta tutte le caratteristiche del racconto mitico in termini di episodicità,
frammentarietà, radicamento nel sistema valoriale di una cultura. In altre parole i mezzi di
comunicazione di massa rappresentano una ‘seconda oralità’, risultato di compromesso
377 Silverstone, R., “Narrative strategies in television science”, Media, Culture and Society, vol. 6, 1984
113
dell’illusione di realtà creata dalla tecnologia audiovisiva e quindi essenzialmente orale, in
una cultura basata sulla scrittura.378
7.3.1 - Dimensione agonistica della narrazione della scienza
Come detto in precedenza i testi televisivi nella riflessione di Silverstone possiedono tre
dimensioni fondamentali: la struttura narrativa, l’apparato retorico, lo status ideologico.
Ognuna di queste dimensioni ha una propria proiezione agonistica. Infatti a livello
narrativo c’è una dimensione agonistica in relazione alla scelta di un linguaggio rispetto ad
altri e all’interno del linguaggio stesso. La televisione media non solo tra gli emittenti e il
loro pubblico, ma anche tra differenti discorsi: mitico e mimetico sono le rappresentazioni
simboliche di questi discorsi e qualsiasi testo televisivo è sempre in bilico tra le due
narrazioni. Questi due elementi sono in rapporto costante: senso comune e conoscenza
quotidiana, ad esempio, non sono in rapporto diretto soltanto con il campo delle emozioni
ma anche con quelli dell’immaginario e dell’esperienza, mentre la conoscenza scientifica
non è esclusivamente razionale ma usa rappresentazioni, logiche narrative e
semplificazioni concettuali e linguistiche. La dimensione narrativa di una trasmissione non
ha una relazione necessaria con il mondo cui si riferisce: la relazione è meramente
sufficiente poiché il racconto televisivo gode di un’autonomia pressoché totale dal
referente. La narrazione è il prodotto di un lavoro di produzione estetica e di senso
attraverso l’applicazione di norme e convenzioni che, se detenute anche dal fruitore,
consentono i processi di codifica e decodifica. Ad esempio i documentari naturalistici
invitano lo spettatore ad interpretare il contesto ed il messaggio in un certo modo. La
produzione di un testo audiovisivo esclude altre griglie di lettura e la formulazione delle
immagini e delle parole in linguaggio televisivo fa aumentare la distanza tra referente e
rappresentazione. Questo rapporto nasce come selezione della realtà e si trasforma
all’interno del contesto in una funzione narrativa. Ogni programma è il risultato della
negoziazione tra elementi mitici e mimetici, ed è necessariamente orientata verso uno degli
estremi del continuum, ma l’uso della forma narrativa è ineludibile e i suoi elementi
378 Ong, W., Oralità e scrittura, il Mulino, Bologna 1982
114
retorici e ideologici influenzano indiscutibilmente la produzione, la ricezione e la
negoziazione dei significati.379
7.4 - Gli iconolatri di Bisanzio
La concezione che la televisione sia lo specchio della realtà capace di imitare fedelmente
il mondo è da considerarsi alla luce delle ricerche attuali una visione ingenua. La
mediazione tecnica e umana nella produzione televisiva provoca un allontanamento dalla
realtà perché “la componente autorale è sempre un’interpretazione”.380 A tal proposito
Baudrillard afferma che la televisione agisce “come gli iconolatri di Bisanzio: mentre
cercano di rappresentare la grandezza di dio, dio scompare dalla rappresentazione. La
realtà, ovvero il mondo delle apparenze che sono le tracce del delitto compiuto nei
confronti della realtà, nella simulazione finisce di esistere”.381 Paradossalmente le
rappresentazioni televisive per apparire verosimili hanno bisogno, più che di un rapporto
mimetico con la realtà, di una loro coerenza interna.382 La realtà rappresentata non rimane
però chiusa all’interno della ‘scatola magica’ ma deborda fuori dalla cornice influenzando
la realtà in processi di negoziazione che possono essere guidati da una sorta di
“sceneggiatura invisibile” che guida i comportamenti secondo modelli e automatismi che
discendono dalle rappresentazioni stesse.383 Secondo Feyles la ‘colonizzazione della
realtà’ da parte della sua rappresentazione televisiva avviene su quattro livelli: linguaggio,
retorica, agenda setting, produzione di modelli ed esempi della realtà. Per quanto riguarda
il rapporto tra scienza e televisione è possibile affermare che anche il linguaggio
scientifico, gli artifici attraverso i quali viene veicolata un’immagine ideologica della
scienza, le dinamiche di selezione degli argomenti scientifici che giungono alla ribalta del
discorso pubblico e l’influenza delle rappresentazioni di fiction sulla percezione della
ricerca scientifica fanno parte dei processi di negoziazione tra la scienza e la sua
rappresentazione televisiva.
379 Silverstone R., The agonistic narratives of television science, in Silverstone R. (a cura di) Documentary and the mass media, Edward Arnold, London 1986 380 Feyles G., La televisione secondo Aristotele, Editori Riuniti, Roma 2003, p.28 381 Baudrillard J., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina, Milano 1996 382 Feyles G., La televisione secondo Aristotele, p. 51 383 Taggi P., Vite da format, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 23
115
7.5 - Intellettuali ed esclusi
Una analisi della ricezione dei programmi di divulgazione scientifica svolta in Francia ha
riscontrato quattro chiavi di lettura che i telespettatori adottano per fruire di programmi di
divulgazione.384 Questi atteggiamenti, uniti alle pratiche di fruizione, riguardano
essenzialmente la percezione dell’autorevolezza della televisione e il rapporto tra le
informazioni trasmesse e le conoscenze di sfondo dei fruitori.
Le quattro chiavi di lettura:
1. lettura intellettuale. La televisione non è una fonte attendibile circa l’informazione
scientifica. Per gli spettatori che adottano questo tipo di fruizione è preferibile una
divulgazione basata sui documentari piuttosto che quella basata sulla presenza di un
conduttore, dato che viene preferita una visione del mondo scientifico più diretta e
non mediata.
2. lettura pedagogica (beneficiary reading). È una chiave di lettura che percepisce il
mezzo televisivo come una fonte autorevole di conoscenza. In questo caso lo
spettatore preferisce la presenza di un conduttore e cerca di integrare le informazioni
ricevute con le sue conoscenze di sfondo.
3. lettura intimistica. Il fruitore non si pone il problema della credibilità del mezzo
televisivo e apprezza la divulgazione come reminiscenza scolastica senza cercare in
essa strumenti per ridurre la complessità del mondo.
4. lettura esclusa. È la chiave di lettura di chi ritiene che la scienza non possa essere
compresa dai non esperti e che la televisione non sia capace di colmare in alcun
modo il divario di conoscenze tra i produttori di conoscenze scientifiche e il pubblico
televisivo.
Questo significa che non c’è una formula magica per la divulgazione, ma le strategie
comunicative devono essere adattate alle esigenze dei diversi pubblici. Per alcuni la figura
del conduttore è essenziale per percepire familiarità con la trasmissione (2), mentre per
altri è inaccettabile (1); alcuni pubblici accettano il divario di conoscenze tra il divulgatore
384 de Cheveigné S., Véron E., “Science on TV: forms and reception of science programmes on French television”, Public Understanding of Science, 5, 1996, pp. 231–253
116
e il fruitore in virtù di uno scambio comunicativo di tipo pedagogico (2) che viene rifiutato
da altri (4).
Questi quattro pubblici fruiscono della divulgazione scientifica attraverso differenti
pratiche di fruizione del mezzo televisivo e diverse aspettative sul mondo della scienza e
sulla efficacia della sua rappresentazione televisiva, ma hanno anche idee diverse su quali
siano le funzioni della divulgazione, la quale si colloca lungo un continuum ai cui vertici si
trovano, rispettivamente, nozioni generali quotidianamente spendibili (everyday
knowledge) e approfondimenti specifici sul mondo della scienza (scientist close-up).385
7.6 - UnmasKing Kong
Se tutte le telecamere del mondo smettessero di funzionare all’improvviso succederebbe
una cosa paradossale. Il cinema morirebbe e la tv prospererebbe. È paradossale perché la
forma più diffusa di cinema è quella basata sulla finzione, ed eppure ha un bisogno
continuo di realtà. Invece la tv, che pretende di raccontare la realtà, potrebbe sopravvivere
di riferimenti autorefenziali.
È dunque necessario approfondire il rapporto tra realtà e obiettivo della comunicazione,
tra la tendenza insopprimibile alla fiction e all’affabulazione e la volontà/possibilità di
trasmettere e negoziare conoscenza.
Al fine di considerare la portata dell’influenza del formato narrativo sulla negoziazione
dei significati si possono citare due prodotti audiovisivi: il celebre documentario Koko386 e
il reality-show Odhaleni/Unmasking.387 Il primo è un viaggio affascinante nel rapporto tra
ricercatore e soggetto della ricerca, e un documento strabiliante circa le capacità cognitive
e comunicative dei primati. La rappresentazione di questi ultimi, protagonisti indiscussi del
film, è incentrata sull’apprendimento e sull’uso del linguaggio dei segni che li avvicina e
quasi li include nella cerchia degli uomini. La comunicazione che lega uomo e primate è
semplice e asimmetrica ma non è univoca, ed assistere alla trasformazione delle volontà e
dei pensieri dei primati in enunciati codificati e comprensibili ha una resa audiovisiva
estremamente efficace.
385 Ibidem, p. 251 386 Barbet Schroeder, 1977 387 Czech Tv, 2005
117
Unmasking, invece, risponde a tutti i requisiti richiesti a un reality avanzato, 388 o
varreality:389 l’uso della variabile tempo, nel suo scorrere lento e quotidiano dello
streaming feriale e nella narrazione attraverso il montaggio dei momenti salienti della
trasmissione festiva; l’isolamento come contesto irrinunciabile di creazione di ‘iper-realtà’;
la chiusura dello spazio simbolico;390 l’ibridazione della reality tv con il game;391 il
regolamento come tappeto reattivo; le prove come snodo narrativo; l’incoronazione
finale.392 Unmasking, inoltre, è in sintonia con il modello emergente di tv realtà, il “piacere
della sorveglianza”,393 dal momento che ci si trova in uno zoo...
Infatti i protagonisti di Odhaleni/Unmasking sono quattro gorilla dello zoo di Praga, in
compagnia di Moja, nato pochi giorni prima delle riprese e non in competizione.
La divulgazione acquisisce sempre nuovi linguaggi che manifestano potenzialità
inespresse. L’affabulazione costruita dalla ‘sceneggiatura invisibile’ di un reality show a
prima vista può sembrare il linguaggio del prodotto televisivo più lontano dalla scienza e
dall’idea di ‘semplificazione accurata’ di concetti e linguaggi specialistici che sottostà ai
modelli della diffusione della comunicazione scientifica pubblica. Non senza sorpresa si
può affermare, sulla base dell’esperimento di Unmasking, che l’uso di formati
esclusivamente di intrattenimento può innescare delle dinamiche di interazione tra fruitori
ed emittente basate non solo sui referenti reali della rappresentazione, ma sul
trasferimento, stimolato dal coinvolgimento dello spettatore nei meccanismi della
docusoap, di quelle nozioni e quegli strumenti e che vengono invocati dai divulgatori
stessi. È sufficiente visitare il forum on line di Unmasking per comprendere che la volontà
di approfondire determinate questioni e la curiosità emersa durante la visione di un reality
possono essere efficacemente soddisfatte dallo strumento ‘multi-piattaforma’ che la tv, la
cosiddetta enhanced Tv, sta diventando.394
388 Taggi P., Un programma di... Scrivere per la Tv, il Saggiatore, Milano 2005, p. 190-191 389 Taggi introduce questa nozione per distinguere i reality show di intrattenimento dalla televisione verità dei decenni precedenti 390 A tal proposito è curioso notare che il primo nome del programma che sarebbe poi diventato Big Brother era Golden cage: oltre a una chiusura dello spazio simbolico, una chiusura simbolica dello spazio 391 Taggi P., Il manuale della televisione. Le idee, le tecniche, i programmi, Editori Riuniti, Roma 2003, p. 534 392 Taggi P., Un programma di... Scrivere per la Tv, pp. 190-237 393 Couldry N., Teaching us to fake it: the ritualized norms of television’s “reality” games, in Murray S., Oullette L. (a cura di), Reality TV. Remaking television culture, New York University Press, New York-London 2004, pp. 65-66 394 Si adducono come esempi i topics del forum di Odhaleni/Unmasking del sessantatreesimo giorno, il 6 gennaio 2006, che includono argomenti avanzati sia dai fruitori che da figure istituzionali: i) la situazione dei gorilla in natura nelle foreste dell’Africa. ii) uomini e gorilla con davanti tre cesti di mele, grandi, medie e piccole, scelgono lo stesso optimum: quelle medie. iii) come distinguere i gorilla? Il docente di studi umani
118
Si ripropone nell’era della convergenza multimediale un rapporto fruitore-media basato
sulle competenze, una sorta di deficit model, in cui l’esigenza di veicolare ed acquisire
informazioni non emerge per colmare un divario di conoscenze che rappresentano una
chiave di lettura del mondo, ma più semplicemente per permettere una partecipazione
completa alle sue rappresentazioni.
Forse la diffusione della scienza andrebbe vista non come un formato, un genere, una
giustapposizione di documentari o la risposta giusta ad un quiz. Forse la sua caratteristica
che va sottolineata con maggiore forza è quella di essere un obiettivo possibile della
comunicazione che può essere conseguito in molti modi e con infiniti mezzi espressivi.
Stanislav Komárek spiega i meccanismi del riconoscimento degli individui tra le specie animali e il riconoscimento delle differenze etniche tra gli uomini. Fonte: www.rozhlas.cz/odhaleni/english
119
Seconda parte – Il caso di studio
Capitolo 8 - L’analisi delle interviste
Si useranno delle sigle come riferimento ai soggetti intervistati:
P.A.: Piero Angela (ideatore e conduttore di SuperQuark)
G.C.: Giovanni Carrada (autore)
L.F.: Laura Falavolti (curatrice)
M.G.R.: Monica Giorgi Rossi (produttrice)
G.P.: Giangi Poli (redattore scientifico)
8.1 - Scienza e divulgazione
L’argomento che ha messo maggiormente in difficoltà i soggetti intervistati che
ricoprono ruoli organizzativi piuttosto che autorali è stato la richiesta di fornire una
definizione di scienza. A tal riguardo curatrice e produttrice di SuperQuark hanno posato
l’accento sulla funzione di ricerca delle risposte alle domande dell’uomo, sottolineando
che il fine è capire il “funzionamento del sistema universo e dell’uomo” (L.F.) rispettando
il metodo scientifico (M.G.R.). Nel definire in poche parole essenziali il concetto di
scienza autore e redattore scientifico hanno invece sottolineato rispettivamente la natura di
sistema organizzato della scienza (G.C.: Produzione organizzata di conoscenze controllate)
e dell’universalità e razionalità del metodo scientifico; secondo G.P. “il metodo serve a
distinguere il fatto scientifico dall’opinione attraverso la ripetibilità degli esperimenti”, e
garantisce che un fatto “sia verificabile sperimentalmente da tutti e nel tempo”. La
definizione laconica fornita da Giovanni Carrada è complementare a quella riassuntiva di
G.P.: “la scienza è un modo per istituzionalizzare la curiosità”, dal momento che entrambi
evidenziano la struttura istituzionale e organizzata della scienza. P.A. sottolinea invece il
legame tra scienza e filosofia: la ricerca come tentativo moderno di rispondere alle grandi
domande dell’umanità, la specializzazione delle discipline è funzionale alla comprensione
della complessità del mondo (P.A.: La scienza risponde alle antiche domande dei filosofi,
da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo, cos’è la materia. La formazione dell’universo
è la cosmologia, cos’è la terra è la geologia, la nascita della vita la biochimica, lo sviluppo
120
dell’uomo paleontologia umana, lo sviluppo del cervello neurofisiologia eccetera, l’atomo
fisica atomica).
Il concetto di divulgazione per certi aspetti allinea i pareri dei soggetti coinvolti e per
certi altri fa emergere delle divergenze. L’elemento unificante è che la divulgazione viene
considerata una mediazione tra mondi diversi. Gli elementi di discontinuità sono invece
rappresentati dalla non omogeneità dei punti di vista nell’evidenziare la natura di questa
mediazione.
Da un lato la divulgazione scientifica può essere considerata una sorta di traduzione
“dall’italiano in italiano” (P.A. ma anche L.F.) col fine di “rendere certi concetti
comprensibili” (M.G.R.); è interessante notare come produttrice e curatrice mostrano punti
di vista omogenei anche nel citare le definizioni di divulgazione di Piero Angela, a metà
strada tra lo slogan e la linea editoriale (L.F.: Per i concetti dalla parte degli scienziati, per
il linguaggio dalla parte dello spettatore), la quale consente anche di visualizzare il ruolo di
mediazione della divulgazione. Inoltre gli elementi di ‘fedeltà’ di produttrice e curatrice
nei confronti del conduttore sono espliciti: “come ha insegnato Piero Angela” (L.F.), “l’ha
inventata lui la divulgazione” (M.G.R.). Quello che traspare dalle parole di P.A. è la
necessità di spiegare, far capire, anche alla luce delle implicazioni della scienza nella vita
delle persone (P.A.: La divulgazione […] cerca di tradurre dall’italiano in italiano, cioè
riassume in modo chiaro per un pubblico vasto le cose che sono significative sia nel campo
della scienza che della tecnologia e che possono avere più implicazioni, spiegando anche
quali).
Quindi se da un lato si tende a enfatizzare la funzione di traduzione e di mediazione,
dall’altro viene sottolineata la funzione sociale. G.P. sostiene ad esempio che il termine
divulgazione è inadatto (G.P.: Del concetto di volgo non me ne può fregare di meno) e
andrebbe preferita l’espressione diffusione della scienza, che “è il modo per dare i mezzi a
chi non li ha, gli elementi per non farsi fregare. Strumenti per sviluppare lo spirito critico
che viene fuori applicando il metodo scientifico” (G.P.). Si pone in contrasto con questa
funzione di sviluppo dello spirito critico e di costruzione di strumenti concettuali la
concezione che vede della divulgazione soprattutto un trasferimento di conoscenze:
“racconto delle conoscenze che si producono nel mondo della scienza per chi è fuori da
questo processo” (G.C.). Se G.P. sottolinea l’importanza della divulgazione nel fornire
strumenti, non solo informazioni (G.P.: All’erudizione scientifica [...] dovrebbe pensare la
scuola), a chi non ha mezzi economici e intellettuali, G.C. evidenzia la funzione
121
informativa esercitata nel diffondere le conoscenze che vengono prodotte dagli ‘addetti ai
lavori’ in forma di racconto.
I soggetti intervistati, dunque, condividono l’idea di divulgazione come mediazione
anche se sottolineano obiettivi diversi: traduzione da linguaggi specialistici finalizzata alla
comprensibilità (M.G.R.; L.F.), fornire strumenti e diffondere spirito critico (G.P.),
trasferire conoscenze (G.C.).
8.2 - La rappresentazione della scienza
La rappresentazione televisiva della scienza appare vincolata sia a caratteristiche
specifiche del medium che all’utilizzo dei suoi linguaggi. Le prime vengono chiamate in
causa da G.C. che sostiene che la scienza viene quasi forzata nella trasposizione in
linguaggio televisivo ed emerge il problema della sua rappresentabilità: “è una
rappresentazione molto parziale, perché la televisione è un mezzo che seleziona gli
argomenti molto più di qualsiasi altro. [...] È un mezzo che ti costringe a usare immagini in
movimento, tende a escludere intere branche della scienza che non sono rappresentabili: la
matematica, la chimica, la genetica, la biologia molecolare. Di fatto taglia fuori gran parte
della scienza contemporanea” (G.C.). Le scienze che non sono rappresentabili attraverso
l’uso di immagini in movimento riescono occasionalmente a raggiungere l’arena televisiva
per via dei criteri che sottostanno alla selezione degli argomenti e per la mancanza di
linguaggi efficaci: “la divulgazione adopera molti linguaggi che servono a risolvere il
problema della rappresentabilità, [...] ci si arrampica sugli specchi” (G.C.). L’accento sulla
possibilità che il mezzo televisivo produca rappresentazioni poco fedeli della scienza viene
posto dagli altri intervistati. G.P. sottolinea la diversità del genere divulgazione da quello
dell’intrattenimento e dagli altri generi televisivi (G.P.: Io non considero trasmissioni di
divulgazione scientifica quelle che vengono messe insieme come la Wanna Marchi) per
motivi di expertise (G.P.: C’è un presentatore che non sa un tubo) e di confezionamento
(G.P.: Prende cose acquistate da fuori, li mette insieme e te li vende bene. [...] Fa come
Mike Bongiorno o Pippo Baudo).
Le rappresentazioni distorte della scienza secondo L.F. non sono dovute a un cattivo uso
dei linguaggi televisivi ma a un tentativo da parte di alcune trasmissioni di negoziare i
confini della scienza: “ce ne sono alcune [di trasmissioni, N.d.I.] molto puntuali e curate
[...], ma ci sono delle trasmissioni border line, tra scienza e mistero, che veramente sono
122
ignobili perché giocano tra la linea di confine tra la ricerca di qualcosa e il generico fumus
(L.F.). Invece il punto di vista di M.G.R. è incentrato non sulla qualità dell’offerta che
costituisce la rappresentazione della scienza ma sulla quantità, all’aumentare del
“ventaglio dell’offerta è cresciuta anche la domanda, soprattutto perché la scienza è
diventata un business”. Secondo P.A. una variabile importante nella rappresentazione della
scienza in tv è la capacità di distinguere tra scienza e tecnologia: “le due cose sono sempre
più intrecciate, comunque la scienza è la scoperta, la tecnologia è l’invenzione che per
essere applicata ha bisogno di mezzi forniti dall’industria, dalla politica, dal mercato, e non
è più filosofia ma diventa ben altro” (P.A)
8.3 - Ideologie della divulgazione
A una domanda esplicita sulle ideologie395 della divulgazione scientifica i soggetti
intervistati hanno reagito in modi diversi. G.C. non ritiene che si possa parlare di
ideologie, di idee generali che fanno da sfondo alla comunicazione scientifica, ma indirizza
di nuovo il discorso sul problema della rappresentabilità. L’immagine unitaria e omogenea
della scienza in tv “nasce non dalla narrazione, ma dalla rappresentazione di alcune
scienze. Cosa faccio vedere?” (G.C.).
Per L.F. la scienza va raccontata come prodotto, non come processo, valorizzando il
raggiungimento del consenso delle teorie piuttosto che l’osservazione della ricerca come
processo (L.F.: Le persone non possono seguire tutti i professori nei meandri dei
laboratori, la divulgazione deve aspettare che le teorie siano accettate). Il consenso del
mondo della ricerca è un indicatore importante della possibilità di selezionare
un’informazione, dal momento che viene percepito come risultato dell’accettazione del
metodo scientifico e di un suo uso corretto (M.G.R.: La scienza è una, che viene
convalidata dal metodo scientifico e quindi condivisa dalla scienza).
Per P.A. è necessaria grande attenzione nel distinguere nella divulgazione tra scienza e
tecnologia, perché se la prima è produzione di conoscenze, la seconda è legata
all’applicazione delle stesse con risvolti sociali, politici, economici, che esulano dal campo
scientifico (P.A.: Si danno colpe agli scienziati che non sono loro e non si pensa a
395 Il concetto di ideologia per quanto riguarda la comunicazione scientifica pubblica è stato trattato nel sesto capitolo e in particolare nel paragrafo 6.3 sulla base di una tassonomia di Paolo Braga
123
controllare i politici dell’uso che fanno delle scoperte e anche dei fondi che le tasse
mettono a loro disposizione).
G.P. circa le rappresentazioni della scienza indica “due linee di pensiero. Una è quella
alla Piero Angela ed ha molti vantaggi, ti dice come sono le cose. L’altra è quella della
scienza e società, di non collocare gli scienziati un po’ fuori […] ma considerare la scienza
come una delle tante attività”. Emerge una diversità di obiettivi della divulgazione
scientifica in questi due filoni, più ideali che reali, nel senso che G.P. ha indicato due modi
di declinare la divulgazione non tanto in base alla rappresentazione attuale ma alle
possibili scelte linguistiche che un divulgatore si trova ad affrontare. Di queste due forme
di diffusione della scienza una è di stampo didascalico, l’altra invece utilizza linguaggi e
metodi del giornalismo d’inchiesta: “La prima è volteriana, illuminista, neopositivista dei
primi decenni del secolo scorso, cioè la scienza che viene insegnata al volgo. […] L’altra
[…] consiste ad esempio nel parlare dell’inquinamento che fa crepare i pesci. Ma il
discorso mio è che fa crepare anche gli operai che stanno in fabbrica, poi è uscito fuori ed
è arrivato negli ambienti borghesi ed è venuta fuori l’ecologia, perché prima non glie ne
fregava niente a nessuno. Non era un discorso inquinamento e posti di lavoro ma
inquinamento e maggior profitto. Collegare il discorso scientifico a quello sociale” (G.P.).
8.4 - La televisione
È interessante notare che i due soggetti che hanno un ruolo più strettamente autorale tra
quelli coinvolti in questa ricerca hanno due punti di vista completamente diversi sul mezzo
televisivo. In primis la differenza è formale: se G.C. ha risposto con una battuta stringata
G.P. ha impiegato più di nove minuti. A livello sostanziale G.C. pone l’accento sulle
caratteristiche del mezzo e sulla peculiarità di SuperQuark come testo televisivo: “La
televisione è un racconto per immagini, anche se la nostra trasmissione si basa molto sui
testi, […] il nostro pubblico e il pubblico di trasmissioni analoghe si comporta maniera
diversa, dando molta importanza alla parte testuale”. Questa visione traccia una linea di
confine tra la divulgazione scientifica e il resto della produzione televisiva sia per quanto
riguarda i linguaggi usati che per le modalità di fruizione: pubblico e programma si
collocano su una dimensione basata sulla parola, sulla precisione della denotazione, sul
riferimento diretto della descrizione, al di fuori del contesto televisivo ordinario. Circa la
rappresentazione della scienza G.C. ha già indicato che quello televisivo “è un mezzo che
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ti costringe a usare immagini in movimento”. Questa costrizione, unita alla difficoltà di
rappresentare efficacemente in linguaggio iconico i diversi aspetti delle scienze, favorisce
un rapporto tra pubblico fidelizzato ed emittente basato sulla parola più che sull’immagine,
la quale perde il valore epistemologico, di apportatrice di conoscenze, in favore del
riferimento puntuale al discorso verbale.
G.P. afferma che questo rapporto privilegiato con la parola più che con l’immagine non è
una particolarità della divulgazione scientifica e di SuperQuark, ma si inserisce in un
processo più ampio che coinvolge la dimensione sociale e politica della televisione. “La
gente guardava la televisione […] per avere una prova incontrovertibile della realtà. Nel
linguaggio televisivo non puoi raccontare che l’acqua di un fiume va in su, perché si vede
che va in giù, e questo vale per la miseria nei quartieri bassi di Napoli e per il cattivo uso
della scienza che fanno alcuni programmi” (G.P.). Il progressivo abbandono della
concezione basata sulla superiorità dell’immagine come prova incontestabile della realtà
secondo il redattore è avvenuto “a causa delle manipolazioni politiche dal ’62 fino ad oggi.
[…]. Questo discorso dà fastidio politicamente perché se l’Etna erutta e distrugge le case
devi far vedere che le seconde case lì non le devi far costruire, se invece dici che è tutta
una catastrofe naturale, allora dici ah, poveretti!”. La svalutazione della forza della
documentazione della realtà nell’economia del discorso televisivo si è acuita con la caduta
del monopolio televisivo e ha favorito la diffusione dell’intrattenimento come linguaggio
specifico della tv (G.P.: Non gli è parso vero con la storia della pubblicità e della
concorrenza di mandare a mignotte tutto quanto. Il cambiamento linguistico è funzionale
alla scelta che è stata fatta, più panem et circenses dai...). Il passaggio del sistema
televisivo a un regime di concorrenza ha dunque velocizzato una tendenza che era già
presente nella Rai anche se negli anni Sessanta e Settanta “c’era un tentativo, di stampo
volteriano e neopositivista, di tirare su, per così dire, la gente. […] Con la concorrenza si è
invece seguito pedissequamente il gusto della gente con la scusa della concorrenza che non
c’è, perché c’è omologazione, […] se questi vogliono vedere culi e tette, facciamogli
vedere culi e tette” (G.P.).
Le potenzialità del mezzo televisivo, più che l’uso che ne viene fatto, vengono
evidenziate da L.F. (un mezzo straordinario) che pone l’accento sulla mancanza di
interesse del mondo della cultura circa le possibilità della televisione: “il mezzo è stato
sottovalutato, e questo è stato un errore degli intellettuali del nostro paese” (L.F.).
125
La produttrice di SuperQuark individua nella duttilità del mezzo come formato culturale
la particolarità della televisione: “l’importanza del mezzo è data dalla duttilità dei
veicolare qualsiasi contenuto con la diretta, la sua specificità, e con la possibilità offerta
dal digitale per ognuno di fare la propria televisione diventa il mezzo di comunicazione per
eccellenza. Anche Internet vive di televisione, dovrà comunque diffondere immagini
televisive” (M.G.R.). È interessante notare come la diretta venga considerata una
specificità anche se non può essere sfruttata dalla divulgazione che va in onda settimane,
se non mesi, dopo la propria produzione e che ha un rapporto incostante con l’attualità. È
inoltre opportuno evidenziare come la tv sia considerata il mezzo di comunicazione per
eccellenza, il formato culturale che influenza modalità di fruizione (M.G.R.: la possibilità
offerta dal digitale per ognuno di fare la propria televisione) e reti di comunicazione e di
interazione più eterogenee e complesse, come Internet.
8.5 - Il pubblico
“Ogni comunicazione è una conversazione immaginaria con qualcuno, io devo avere un
modello mentale del mio interlocutore” (G.C). L’autore rende bene l’idea di una
personificazione del pubblico televisivo e dell’adeguamento dei testi alle sue aspettative,
conoscenze di sfondo, alla possibilità di suscitare. Questo modello mentale deve però
essere il più ampio e generalizzato possibile: (G.C.: Ci si rivolge a un quattordicenne
curioso, con quel linguaggio si arriva a qualsiasi adulto) dal momento che in televisione
“la sopravvivenza delle trasmissioni dipende dall’audience” (G.C.).
La linea editoriale del programma risponde alle esigenze della rete e al rispetto assoluto
del concetto di servizio pubblico: “Angela ha un’idea della divulgazione quasi missionaria,
se ne fa un dovere suo e il dovere primario, principale, della televisione, del servizio
pubblico, deve parlare a tutti, soprattutto a chi non ha i mezzi” (M.G.R.). Questa attenzione
nell’intercettare il pubblico più ampio possibile in virtù della necessità della rete
generalista per eccellenza di rispondere degli obblighi che spettano al servizio pubblico in
qualche misura limita il ventaglio dei linguaggi e delle forme espressive, la complessità
degli argomenti e il loro sviluppo nel tempo, come affermato, non senza ironia, da G.P.:
“Piero Angela direbbe: come se dovessi raccontare un fatto a un contadino di Arcinazzo,
che non capisce un cazzo, aggiungo io. […] Il problema è che è un linguaggio giusto per i
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cinquecentomila ragazzi che ogni anno si affacciano a Quark, ma i padri e i nonni non ne
possono più di sentire come è fatta la cellula”. Di questa esigenza è cosciente anche L.F.
(Io sarei a volte tentata di fare qualcosa di più, […] si potrebbe differenziare l’offerta,
anche con un linguaggio più sofisticato o argomenti più alti. La risposta [di Piero Angela,
N.d.I.] è sempre la stessa: non pensare ai tuoi amici, ma a chi non ha la possibilità di
disporre dell’informazione) per la quale è importante offrire stimoli nuovi a un pubblico
che viene percepito come stabile negli anni. È questa una costante de soggetti intervistati
che sottolineano in vari modi l’unicità del pubblico della divulgazione scientifica rispetto a
quello di altri generi televisivi: “il nostro pubblico è un pubblico particolare. È più
motivato, si sceglie il programma ed è molto attento. Il nostro pubblico, attraverso degli
studi che abbiamo fatto, è diviso in due: una parte che segue tutte le trasmissioni di
divulgazione, però poi seleziona molto. C’è uno zoccolo duro molto attento e molto
grosso, che qualsiasi cosa venga prodotta da Angela, in qualsiasi fascia oraria, la segue”
(M.G.R.). La produzione, per motivi organizzativi estremamente attenta alla composizione
del pubblico, è spinta a garantire uno standard qualitativo per soddisfare un pubblico
fidelizzato nel tempo, uno “zoccolo duro che è cresciuto con noi” (L.F.). Il conduttore ne
sottolinea la caratteristica più saliente: Il nostro è un pubblico molto diversificato, al di là
del livello scolastico raggiunto e dell’istruzione, ha però una caratteristica comune che è
quello della curiosità. È un pubblico che è interessato e stimolato, si affeziona a programmi
che soddisfano questa sua esigenza (P.A.). Per quanto riguarda il rapporto diretto tra
pubblico ed emittente e il fine tuning dell’offerta in seguito a fenomeni di retroazione da
parte del pubblico è interessante notare attraverso le parole di L.F. che la redazione ha “dei
rapporti non puntuali, addirittura ossessivi con il pubblico. Se andiamo in onda oggi su un
x soggetto dall’archeologia all’energia, domani ci arrivano tremila e-mail, se abbiamo fatto
un piccolo errore, se abbiamo fatto bene o male. È il nostro pubblico, il nostro zoccolo
duro, tre milioni e mezzo di persone”. Questo feedback che arriva dal pubblico coinvolge
solo marginalmente gli autori: “a volte riceviamo lettere ecc., ma il giornalista ha una
propria rappresentazione del proprio pubblico. Una parte importante del bagaglio
professionale di un giornalista è conoscere il proprio pubblico, e questa è una delle
maggiori qualità di Piero Angela, che lo conosce come le sue tasche, prevedendo
comprensione e reazioni in maniera sofisticata” (G.C.). Riguardo l’idea che l’esperienza
determina il grado di comprensione delle possibili reazioni del pubblico, è possibile
affermare (G.P: Anche adesso un programma ben fatto, anche se va in onda a mezzanotte,
127
vedi che sale l’interesse) che la qualità gioca un ruolo fondamentale, anche perché “i
programmi scientifici meno approfonditi e meno rigorosi fanno all’inizio un ascolto più
ampio, che poi si va ad assottigliare” (L.F.).
Secondo il conduttore l’alfabetizzazione scientifica è un parametro che non è
necessariamente proporzionale al livello d’istruzione: “perché se si spiega genetica a un
magistrato bisogna spiegarla come a qualcuno che non ha una formazione scientifica, che i
suoi studi di biologia sono quelli del liceo ormai dimenticati e superati”. Lo spettatore
modello è dunque “un ragazzo intelligente di quindici anni. Questo è il pubblico della
televisione e anche dei libri e dei giornali, che a meno che abbia una sua formazione o
interesse particolare, dipende dalla chiarezza di chi con competenza e onestà intellettuale
trasferisce le informazioni dal mondo della ricerca al vasto pubblico” (P.A.).
8.6 - La selezione degli argomenti
La selezione degli argomenti che diventeranno servizi e documentari sembra avvenire
attraverso almeno due criteri: la disponibilità delle immagini e l’aderenza all’attualità
scientifica, che ha tempi diversi da quelli dell’attualità strettamente giornalistica.
La scelta, dunque, “dipende dalle immagini, anche se non devono seguire
pedissequamente ciò che viene detto. [...] Si va molto sull’esempio e sull’uso astratto e
metaforico dell’immagine” (G.C.). Gli argomenti che sono documentabili con immagini
nuove o con materiale acquistato hanno la precedenza sugli altri (G.P.: Gli illustratori,
quelli che fanno i servizi, cercano quelli più illustrabili in linguaggio televisivo, gli altri si
arrangiano, con i cartoni animati o con uno che parla) e in ogni caso la redazione “tiene
conto della attualità e della diversità dei temi, del materiale a disposizione” (L.F.). Gli
argomenti che possono essere formulati attraverso il linguaggio iconico devono rispondere
anche a criteri di attualità particolari, relativi alla comunicazione scientifica e a quella
televisiva. I tempi di produzione da una parte e l’integrazione e il consolidamento delle
notizie scientifiche propriamente dette nel contesto della ricerca dall’altra fanno dilatare i
tempi dell’attualità che regolano le trasmissioni di divulgazione scientifica (G.C.: Nel
giornalismo la notizia è una cosa nuova, il problema sono i tempi di produzione. Quando
andavamo in onda parallelamente alla produzione aprivamo sempre con temi di
strettissima attualità, adesso passano dei mesi, può succedere di tutto. Anche nelle riviste
scientifiche, la maggior parte delle cose non sono di attualità, perché la notizia
128
propriamente detta in campo scientifico raramente è interessante, sono una serie di notizie,
di scoperte che insieme fanno maturare un settore). Secondo i soggetti intervistati coinvolti
nella produzione di SuperQuark la copertura della notizia scientifica, una scoperta ad
esempio, non rientra nel concetto di attualità che la televisione come medium ha gli
strumenti per trattare dal momento che “l’attualità sulla ricerca va fatta con altri mezzi”
(M.G.R.). Per G.P., ad esempio, la previsione sul ciclo di vita di un argomento è un criterio
di selezione: “si fa una ricerca e cerchi qualcosa che si interessante possibilmente per i
prossimi uno o due anni”. È interessante osservare come questi criteri spesso guidino le
scelte relative all’acquisto del materiale: “Ricordo quando c’è stato il terremoto in
Giappone. Poco prima avevamo comprato un documentario sulle esercitazioni
antisismiche, perché un terremoto ci sta sempre bene. Prima o poi un terremoto arriva.
Abbiamo ricevuto i complimenti della rete per essere stati sul pezzo” (L.F.). Una regola
d’oro: “per tutti i fenomeni naturali è consigliabile tenersi dei coccodrilli nel cassetto...”
(M.G.R.).
Per quanto riguarda la proporzione degli argomenti all'interno del testo televisivo nelle
puntate pluritematiche il criterio di base nella produzione dei testi è quello della varietà
(G.C.: Il pubblico sa che dopo una cosa che magari non gli interessa ce n’è un’altra. Ci
vuole un equilibrio tra archeologia, cose più scientifiche, cose più seriose come scienza e
società, certe cose vanno messe in una percentuale piccola) mentre nell'organizzazione
generale della trasmissione i valori in gioco riguardano dinamiche complesse relative
all'audience (G.C.: Io ho curato una rubrica sulla sessualità che veniva messa alla fine, non
per i bambini, ma perché uno alla fine diceva: “ah, c’è il sesso!”, e su questo viene studiato
in maniera spasmodica l’andamento degli ascolti, e diventa un’arte raffinata).
8.7 – Credibilità e fonti
Le fonti usate nella divulgazione scientifica rappresentano il rapporto referenziale che
lega rappresentazione e realtà: la formulazione di discorso televisivo si avvale di una
composizione variabile di riferimenti a pubblicazioni di varia natura integrate da elementi
esterni relativi e competenze degli autori e tecniche espressive.
È opinione diffusa che i soggetti intervistati sono dell’idea che i paper dei ricercatori non
siano da considerarsi fonti rilevanti per la divulgazione, nonostante gli stessi soggetti
129
intervistati ritengano cruciale la sua funzione di mediazione e traduzione. Gli articoli dei
journals, fonte primaria del discorso scientifico e formato consueto della comunicazione
scientifica nelle traiettorie di routine, non hanno un’influenza diretta nella traduzione in
linguaggio non specialistico dei concetti e delle teorie che concorrono a costruire.
“Raramente si va al lavoro scientifico originale perché molto spesso è incomprensibile.
Capita con i temi che sono più vicini a quello che ho studiato, ma quasi sempre sono
incomprensibili e invalutabili. Raramente un singolo lavoro scientifico da un’idea
dell’argomento, essendo molto settoriale. Parlare con l’esperto ha il vantaggio che conosce
tutto il contesto” (G.C.). La prima forma di mediazione avviene dunque attraverso il
rapporto diretto con l’esperto che elabora le conoscenze in un contesto non specialistico.
Questa necessità di personalizzazione delle conoscenza avviene per motivi legati
all’elevato grado di specializzazione raggiunto dalle scienze (G.C.: Ci sono tanti livelli di
competenza, a partire dal giornalista scientifico che si trova in una situazione particolare:
ci sono tanti argomenti che cambiano velocemente e siamo tutti degli ignoranti,
specialmente sugli argomenti che hanno pochi specialisti in Italia e nel mondo). Le
pubblicazioni che vengono usate come materiale per la divulgazione sono soprattutto
bridge journals: “tanti campi hanno la loro letteratura intermedia: l’alta divulgazione, le
review, gli articoli de Le scienze che offrono un livello intermedio. [...] Quasi mai il
giornaletto, la rivista divulgativa, sempre cose come Nature” (G.C.). La diffusione
televisiva della scienza si avvale dunque di strumenti che sono già delle rappresentazioni
mediate di argomenti specialistici: “alcuni autori si rifanno a pubblicazioni scientifiche, ma
soprattutto Nature e riviste che sono già una mediazione, partire dalla pubblicazione
scientifica, dall’abstract del professore avviene raramente” (M.G.R.). Tutti i soggetti
intervistati sottolineano l’importanza del processo di verifica delle fonti; questo processo
diventa cruciale dal momento che le fonti non sono dirette ma sono testi di divulgazione,
anche se caratterizzati da etichette autorevoli come Nature. Un processo simile a quello di
verifica delle fonti scientifiche avviene per selezionare i materiali non di divulgazione
usati per confezionare le conoscenze in forma narrativa, ovvero testi di fiction e citazioni
(L.F.: I testi di finzione sono solo un supporto per il racconto, e deve essere tutto
controllato).
Il rapporto diretto con l’esperto, contemporaneamente diffusione e interpretazione di
conoscenze, sembra essere la fonte più preziosa della divulgazione. La voce viva di un
esperto elimina i problemi legati a una cattiva interpretazione di testi specialistici e
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settoriali e consente di condividere l’autorevolezza della fonte esperta, ferma restando la
necessità di verificare la genuinità delle informazioni: “Uno parte da una ipotesi, va a
parlare con gli esperti e si fa mandare le carte. Sono due strade: o intervisti direttamente gli
esperti o te ne strafotti e scrivi una specie di pastone dicendo che l’ha detto tal dei tali,
sempre informandoti che non stai dicendo una fregnaccia. Poi cerchi il caso che possa
documentare questo fatto. Prima c’è l’informazione scientifica, poi visivamente,
l’esperimento scientifico. C’è un rischio gravissimo su Internet dove si trova di tutto e di
più, non c’è un bollino verde delle fonti, l’hanno proposto ma chi dovrebbe metterlo?”
(G.P.). Dunque è possibile affermare che la fonte esperta coinvolta direttamente consente
di facilitare il processo di verifica delle informazioni, che diventa più complesso nella
redazione di testi compilativi (M.G.R.: Noi lavoriamo soprattutto con materiale d’acquisto
e lo passiamo al vaglio di consulenti tecnici scientifici, anche per quanto riguarda la
traduzione), e permette inoltre di evitare fonti disponibili e facilmente reperibili ma non
completamente affidabili come Internet.
Il rapporto con gli esperti e le riviste ritenute più prestigiose e autorevoli dalla comunità
scientifica, quelle con maggiore impatto nei meccanismi di negoziazione della scienza,
sono le fonti che andrebbero privilegiate: “le fonti attendibili e credibili […] sono in
definitiva le persone che per le loro capacità e per i loro metodi sono quelle che pubblicano
sulle riviste importanti. Nel mondo della ricerca si sa che quello che si chiama impact
factor, il fattore di impatto, e che sono le citazioni su altre riviste di articoli apparsi in
precedenza. […] Questo meccanismo che non ha un valore in sé ma ha un valore indiretto
è quello che poi fa sì che le grandi riviste internazionali che hanno il maggior numero di
impact factor sono quelle di maggior prestigio come Nature, come Science” (P.A.). D’altro
canto anche il consenso della comunità scientifica ha un peso nella selezione delle fonti
(P.A.: Si sa nell’ambiente chi sono persone che hanno scritto cose importanti su riviste
importanti e sono quelle i punti di riferimento. […] Perché altrimenti […] il divulgatore se
si rivolge a una persona semplicemente perché è professore in qualche materia, perché la
insegna o ha un dottorato, questo non vuol dire che le cose che dice sono le più attendibili).
8.8 - Il patto comunicativo
La credibilità dell'emittente è la componente essenziale per stabilire un patto
comunicativo col fruitore per quanto riguarda la divulgazione scientifica. Parlando di
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SuperQuark emerge dalle parole degli attori che la credibilità raggiunta dal programma
durante gli anni è ciò che la differenzia da altre trasmissioni di genere: il patto col fruitore
“dipende dalla trasmissione, e cambia moltissimo. SuperQuark ha una grandissima
credibilità, anche alla luce delle ricerche che abbiamo fatto. Quando ci fu l’entrata in
vigore dell’euro, Ciampi chiese che se ne parlasse in televisione, ed è stata fatta un’analisi
su chi il pubblico voleva che se ne occupasse. Piero Angela risultò come il più credibile. È
una cosa costruita nel tempo attraverso l’onestà nel lavoro. La fiducia è spiegata da fatto
che Quark non dà mai fregature, perché c’è un continuo controllo. Dopo che ho fatto un
servizio lo faccio rileggere all’esperto, chiedo l’opinione di un altro esperto. Poi c’è una
piccola rete di ricercatori in vari campi con un rapporto di conoscenza, ci propongono delle
cose e poi andiamo a vedere che non è così, come una notizia gonfiata. Per un giornalista
scientifico la credibilità è una delle caratteristiche essenziali. Un cronista politico può dire
una cosa e il giorno dopo il suo contrario e nessuno può dirgli niente, su questo mestiere la
reputazione conta” (G.C.).
La precisione dell'informazione deve caratterizzare la comunicazione scientifica, in
quanto per M.G.R. e L.F. sussiste, nonostante l'evoluzione dei linguaggi televisivi, un
patto di veridizione che lega mezzo e fruitore in virtù del quale “lo spettatore medio è
ancora convinto che l’ha detto la televisione” (M.G.R.). Ciò si aggiunge alle affermazioni di
G.C. riguardo la percezione di autorevolezza del pubblico nei confronti di SuperQuark e
del suo volto Piero Angela, “perchè se l’ha detto la televisione, e la televisione dice tante
idiozie ed è pericoloso, ma se l’ha detto Piero Angela è veramente il verbo” (M.G.R.). Si
nota una percezione di responsabilità dei soggetti coinvolti nella produzione della
trasmissione per quanto riguarda la precisione dei contenuti dovuta alla certezza che il
mezzo televisivo conserva nella trasmissioni di divulgazione scientifica tutto il suo potere
veridittivo: “ad esempio prima di dare una notizia allarmista ci pensiamo cento volte,
perché se l’ha detto Piero Angela una notizia viene come convalidata” (L.F.). Questo
potere asseverativo nei confronti dei contenuti riformulati dalla televisione tende secondo
questi soggetti a generare nel pubblico una percezione di oggettività circa i contenuti
televisivi, di verità incontrovertibile delle conoscenze diffuse (L.F.: Alcune persone sono
venute qui pretendendo di avere una testimonianza in tribunale da parte di Piero Angela su
fatti scientifici).
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8.9 - Linguaggi, parole e immagini
I linguaggi della divulgazione scientifica e le forme espressive e narrative a disposizione
dei produttori di rappresentazioni televisive della scienza sono chiamati a rispettare le fonti
scientifiche e documentare la realtà dal momento che devono rappresentare una
semplificazione accurata di conoscenze verificate attraverso il metodo scientifico. Inoltre
emerge la necessità di attrarre lo spettatore, di essere comprensibili, di ricorrere a forme di
story-telling: “sappiamo che dobbiamo dare al nostro pubblico una serie di cose, la prima è
la chiarezza di linguaggio, la seconda è una costruzione del servizio che abbia dei momenti
anche emotivi, di nobile emotività, naturalmente. Magari costruito sotto forma di storia”
(P.A.). Lo stesso processo di scrittura e di costruzione del testo televisivo in una certa
misura può essere visto come una pratica sperimentale: “parto con un’ipotesi di lavoro, che
poi sono disposto a smontare. Poi faccio un’immersione nell’argomento, vado sempre a
parlare con un esperto, e metto insieme una serie di fatti interessanti. Di solito mentre parlo
con gli esperti, di quelle cento cose che mi dicono mi vengono in mente quelle venti o
trenta che messe in fila formano un racconto, ed ogni servizio in questo è diverso. È una
cosa che nasce dalla ricerca, da un accumulo di fatti e suggestioni e dalla scelta del modo
per raccontarli” (G.C.).
La scelta di un filo conduttore nella narrazione è essenziale per rendere coerente una
narrazione e collegare informazioni indipendenti, anche se si nota una differenza nel
modus operandi dei due autori intervistati dal momento che G.C. sembra affidarsi a
ispirazioni legate alle conoscenze apportate dall’esperto che vanno a influenzare la
produzione di immagini usate per documentare il testo, mentre G.P. ritiene che l’apporto
informativo debba venire dalle immagini, intorno alle quali deve ruotare la costruzione del
testo. Un esempio della modalità usata da G.C. può essere rintracciato nel racconto della
ricerca di un filo conduttore in un lavoro recente: “Sto facendo un’inchiesta sulle infezioni
gravi ospedaliere, che fanno più vittime degli incidenti stradali e domestici messi insieme,
e mi è venuta in mente l’idea di farla attraverso la storia di un paziente che entra in
ospedale con un problema perfettamente guaribile ed incappa in un problema di infezione
grave, che causa una corsa contro il tempo. È una cosa che scopro quando vado là, quando
l’esperto mi dice che è tutto una questione di rapidità della diagnosi e di un’analisi
batteriologica tempestiva dato che servono tre giorni, e lo racconto come una corsa contro
il tempo. Entrato dentro l’argomento, trovo un spunto che può funzionare. Lì con due fini:
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com’è andata a finire oggi? Bene... non si può far morire il paziente, e come andrà domani,
con una serie di strumenti diagnostici che invece di due giorni ci mettono un’ora.” (G.C.).
È diametralmente opposta la concezione di G.P. per quanto riguarda la formulazione
narrativa dei testi: “Bisogna capovolgere il ragionamento. Il testo lo scrivo alla fine. La
tendenza che corre adesso è quella di fare l’articolo illustrato ed è la novità assoluta. È una
grande differenza nel linguaggio televisivo. Prima per fare un’inchiesta si andava in giro
con una scalettina e poi alla fine montavi le immagini, e quando erano sufficienti non
scrivevi una cazzo di parola, lasciavi là una musichetta o stavi anche zitto, adesso si
scrivono i testi prima, poi si mandano in giro quei disgraziati che ha visto qui sotto [si
riferisce alla redazione di SuperQuark, N.d.I.] a illustrare i testi degli autori, che non vuol
dire niente, cambia il ritmo, il montaggio cambia tutto.” Per G.P. dunque la divulgazione
scientifica in televisione tende ad avere un rapporto indiretto con la realtà che viene usata
per “illustrare” le informazioni che prendono forma narrativa, mentre viene meno la
funzione epistemologica della documentazione della realtà come apporto di conoscenze:
“quello che comanda è il testo illustrato, è la tecnica del telegiornale. […] Io, Marco
Visalberghi mai più, Lorenzo Pinna... l’ho fatto, sennò gli veniva un fegato così, siamo
solo noi che scriviamo il testo dopo, gli altri lavorano prima sul testo. Approvato, per
giunta. Ma mica solo Piero Angela lavora così, tutti. Poi ci mettono dentro qualche
intervistina. Questo è un cambiamento epocale nel linguaggio televisivo” (G.P.).
Le immagini dunque spesso vengono concepite come didascalie del testo, in una sorta di
capovolgimento delle funzioni. Il continuo processo di verifica delle fonti scientifiche e
l’attenzione per la scrittura dei testi stabilisce un rapporto puntuale tra immagini e testi
(G.P.: Quando è un cane vedi un cane, su questo Piero ci ha rotto le scatole per anni, ma
c’è il rischio dell’illustrazione pedissequa. Bisogna riuscire a mettere quel qualcosa in più
che non vedi). Trovare nel linguaggio iconico televisivo l’unità di significato
corrispondente al linguaggio verbale è un’impresa ardua per tutte quelle conoscenze
difficilmente rappresentabili come ad esempio le scienze pure (M.G.R.: Esiste il cosiddetto
cane-cane, gatto-gatto) e questo rafforza il concetto che spesso le conoscenze scientifiche
vengono selezionate dalla divulgazione anche in base alla loro possibilità di essere
rappresentate attraverso immagini efficaci.
Secondo P.A. sono gli argomenti selezionati a determinare il tipo di formulazione
televisiva che verrà usata: “Ci sono argomenti nei quali la parte visiva prevale. Per fare un
esempio banale l’etologia, lo studio del comportamento animale, si basa su immagini che
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sono di per sé estremamente attraenti, e naturalmente il commento deve dare significato a
queste immagini. Ci sono altri servizi che riguardano ad esempio studi di genetica, lì non
c’è nessuna possibilità di filmare i geni e tantomeno di vedere cose appassionanti. Quindi è
soprattutto al parte verbale che prevale e la parte visiva si adatta a questo discorso” (P.A.).
A tal proposito secondo G.P. vengono privilegiati i linguaggi verbali a scapito di quelli
visivi. Ciò può provocare difficoltà nella ricezione del messaggio se le immagini non sono
in grado di rappresentare con chiarezza le informazioni veicolate dal linguaggio verbale:
“il problema grosso è che molti dei giornalisti scientifici vengono dalla carta stampata,
fanno fatica a inventarsi i modi per raccontare le cose. Tu scrivi le cose, come i testi che
diamo a nostri ragazzi, ma con le immagini li devi seguire e certe cose sono difficilissime.
Per creare un racconto bisogna mettersi con umiltà e dire questo chi lo capirebbe? Qual è il
target al quale devo parlare?” (G.P.).
8.10 - Tra scienza e pubblico
Una delle idee di fondo che emergono dalle interviste effettuate è che il giornalista
scientifico, il divulgatore, è cosciente della responsabilità che lo investe in quanto
mediatore tra mondi che non hanno possibilità di contatto. Secondo G.C. i divulgatori
hanno il compito di semplificare le conoscenze e selezionare quelle che si ritiene
interessino il fruitore. Queste due funzioni rappresentano la specificità del giornalismo
scientifico, che nel loro esercizio si rende autonomo dal mondo della scienza: “non si
possono fare compromessi, non si posso addomesticare i contenuti per far piacere a
qualcuno, né compromessi sul linguaggio, altrimenti non si viene capiti. Se per essere
accurato e preciso devo perdermi per strada chi mi ascolta... A volte mi accorgo che di un
argomento non se ne può parlare perché semplificandolo lo si fa a pezzi, allora lasciamo
stare. Però se la semplificazione non diventa una mistificazione si semplifica” (G.C.). Le
prese di posizione su temi controversi rappresentano il momento più significativo della
difesa da parte della divulgazione della mentalità scientifica, e soprattutto vengono
rivendicate come esclusiva di SuperQuark (G.C.: Essere dalla parte della scienza,
prendersi la briga di dire cose che vanno contro opinioni molto diffuse è un tratto molto
nostro, altri non lo fanno. Siamo l’unica trasmissione che parla ogni tanto di biotecnologie,
raccontando la posizione della scienza: ci sono dei potenziali rischi, ma controllabili e
sono gli stessi delle tecniche di agronomica tradizionali che funzionano da decenni. Anche
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su temi come l’omeopatia prendiamo delle posizioni impopolari, non lisciamo il pubblico,
per questo siamo dalla parte della scienza, oltre al rispetto necessario dei contenuti). La
divulgazione dunque ha potenzialità di intervenire nel mondo sociale, rinegoziare concetti
e favorire la comprensione critica di argomenti complessi anche secondo i soggetti che ne
avevano sottolineato soprattutto la funzione di trasferimento di conoscenze come G.C.: “ad
esempio nella puntata su Chernobyl, mentre quella cosa sugli Ogm è una stronzata, come
sull’elettrosmog, lì ci sono delle scelte da fare, e ci si sforza di raccontare tutta la verità,
raccontare pregi e difetti di tutte le varie opzioni, perché si può anche peccare di
omissione. Si fa presto a parlare male di una fonte di energia, prendere una decisione
perché l’energia ci serve è un’altra cosa” (G.C.).
Chi si occupa di divulgazione (P.A.: Il profano, il giornalista, il divulgatore) “è
necessario che sia uno specialista in una materia, del resto la divulgazione a tutto campo
[…] richiede soprattutto una capacità di sapere, conoscere quali sono i metodi, il quadro
generale su cui si muove la ricerca e soprattutto riferirsi a delle fonti attendibili e
credibili”. Il territorio entro il quale deve muoversi la divulgazione è dunque quello che ha
come limiti l’accuratezza e la comprensibilità, con le parole di P.A.: “la formula è da un
lato dalla parte degli scienziati per quanto riguarda i contenuti, e dalla parte del pubblico
per quanto riguarda il linguaggio”.
La funzione asseverativa della televisione circa le teorie controverse e le deviazioni della
comunicazione scientifica pubblica dalle traiettorie di routine ha la funzione di fornire una
rappresentazione fedele della ricerca: “Noi facevamo gli interessi della ricerca, e gli altri ci
guardavano un po’ così. […] Uno in teoria dovrebbe essere al servizio del pubblico, ma
anche il pubblico va iniziato. Se la gente non sa cosa succede là dentro nascono quei casini
tipo gli antivivisezionisti a oltranza, dico gli estremisti. Molte cose fatte o dette succedono
perché non si sa che succede dentro” (G.P.). Una rappresentazione fedele del ruolo della
scienza all’interno della società dunque permetterebbe di mediare tra il mondo della
scienza, spesso poco propenso ad accettare le semplificazioni dovute alla riformulazione
delle informazioni in linguaggi non specialistici, e di fornire al pubblico strumenti corretti
nel dibattito pubblico, nella costruzione delle rappresentazioni sociali, nei processi di
negoziazione.
Per quello che riguarda la scelta di un programma migliore e uno peggiore nello scenario
della divulgazione scientifica attuale, è interessante notare che G.C. non risponde perché
non gli sembra giusto indicare un programma peggiore (G.C.: No, non si può...) ma anche
136
perché non è uno spettatore assiduo (G.C.: Anche perché ne guardo pochissima di
televisione) mentre G.P. si esprime su alcune delle trasmissioni più seguite: “Io non
considero trasmissioni di divulgazione scientifica quelle che vengono messe insieme come
la Wanna Marchi, dove c’è un presentatore che non sa un tubo che prende cose acquistate
da fuori, li mette insieme e te li vende bene. Tanto per non far nomi, La Macchina del
Tempo. […] Monti [Sfera, La7, N.d.I.] ora ha cominciato ad andare in giro anche lui, dopo
tanti anni l’ha capito. Lo stesso discorso vale per Gaia. […]. Tradizionalmente parlando
quella fatta meglio rimane SuperQuark” (G.P.).
8.11 - Futuro della scienza, della divulgazione, dell’intervistatore…
Gli obiettivi e gli scenari futuri della scienza secondo G.C. sono inimmaginabili dal
punto di vista delle conoscenze, mentre G.P. pone l’accento sulla deontologia della ricerca.
“Tutte le previsioni anche a breve termine sono state sempre puntualmente smentite, come
gli esempi storici clamorosi, alla fine dell’Ottocento si diceva la fisica è finita, l’anno dopo
arriva Einstein e cambia tutto. Nelle scienze applicate si conoscono dei problemi, ma poi le
soluzioni... Come diceva qualcuno, prevedere il futuro è una delle forme più grandi di
stupidità” (G.C.). Lo stesso P.A. non ritiene possibile prevedere gli sviluppi futuri della
ricerca, dal momento che nei decenni scorsi tutte le previsioni circa la scienza
contemporanea sono state inattese (P.A.: Quando io ho cominciato si pensava che per
esempio per tutto quanta riguarda ora la genomica, il trasferimento di geni, terapie geniche,
mutazioni guidate, fossero cose quasi di fantascienza, in realtà nell’arco di trenta anni
queste cose sono diventate una realtà galoppante, e la stessa microelettronica negli anni
Sessanta sembrava essere più una curiosità. […] Ci sono invece dei campi in cui si puntava
molto, fuori dei quali si pensavano progressi molto rapidi, in realtà sono completamente
bloccati. Le faccio un esempio, quello della fusione nucleare. […] Quindi a volte questi
sviluppi della scienza incontrano campi difficili anche nella realizzazione pratica che
bloccano le promettenti ricerche di base. Quindi quello che succederà nei prossimi anni
non lo possiamo sapere).
Per G.P. c’è il pericolo che il tramonto della Big Science e l’aumentare dei finanziamenti
privati nella ricerca rispetto quelli pubblici possa facilitare comportamenti poco etici negli
scienziati: “io ritengo che la scienza va nella direzione in cui è sempre andata, se è
esercitata da scienziati coscienti. Può cambiare direzione se succedesse... gli scienziati
137
sono come le altre persone, sono figli di mignotta pure loro. Bisognerebbe vedere quale
percentuale di ricercatori rimane legata al proprio giuramento di ricerca, come i medici a
quello di Ippocrate e quanti si vendono, o quanti, e questo è dimostrato, si inventano
papocchi totali pur di spaventare e ottenere soldi per una ricerca che non c’entra un tubo
con quella che è la loro ricerca. L’esempio classico è quello degli Stati Uniti negli anni
Ottanta con la storia delle guerre stellari che bisognava assolutamente fare il cannone o lo
scudo. Quando andavo a Berkeley e a Livermore che conoscevo tutti è venuti fuori che si
erano inventati tutto così l’esercito gli dava i soldi per fare lo studio sulle particelle.
[..]Anche in Corea per le cellule staminali era una cosa per farsi dar soldi, come la fusione
fredda, le mucillagini dell’Adriatico. Però io ritengo che siano eccezioni. Bisogna stare
attenti. Anche perché la parola scienziato ha assunto un significato negativo in alcune
frange in campo ambientale, per far capire come arriva il messaggio bisognerebbe usare un
po’ di più la parola ricercatori. Anche perché è un concetto più vicino a uno che non ne sa
niente, è uno che ricerca, è un’idea più romantica. Lo scienziato è legato alla bomba
atomica, a immaginari non scientifici, a Frankenstein. […] Bisogna anche che i ricercatori
non venissero continuamente sollecitati da interessi privati, e mollassero per guadagnare di
più. Bisogna, per cominciare, che guadagnassero di più. La privatizzazione della ricerca
implica che il ricercatore venga sollecitato a divulgare cose all’uso di chi gli da i soldi, e
via di seguito. Un rischio potrebbe essere una deviazione dalla linea che la scienza ha
seguito fino a adesso che lo scienziato per qualche soldo in più taciti la propria coscienza.”
(G.P.). Per quanto riguarda la divulgazione “secondo me va fatta nella televisione
generalista. La divulgazione dovrebbe essere l’esca che permettere di attirare verso la
scienza la gente che non glie ne può fregare di meno. Nei canali tematici puoi fare quello
che vuoi. […] Quello che interessa a me, che sono della generazione che cercava di tirare
su le masse, è quello di dargli la possibilità di incuriosirli, e di mandarli sui metodi
tradizionali, libri riviste scientifiche, se hanno voglia di andarsele a vedere, o su Internet.
Secondo me deve andare sulla generalista, e deve dare queste cose. Il dramma è che si
continua a dividere la ricerca scientifica, a tenerla separata dalla realtà economica e
sociale, generale del paese, perché è una cosa come le altre, altrimenti è la torre d’avorio.
La gente non capisce perché, allora finanzia solo le staminali ad esempio” (G.P.). Il terreno
su cui la divulgazione scientifica dovrà misurarsi è dunque non tanto la soddisfazione
della curiosità di una parte specifica del pubblico, una nicchia altamente motivata,
possibile attraverso la moltiplicazione dell’offerta avvenuta con l’avvento della televisione
138
digitale, ma continuare a stimolare la curiosità del pubblico più ampio possibile per
costruire e diffondere lo spirito critico insito nel rispetto del metodo scientifico. Secondo
P.A. il futuro della divulgazione dipende dalle capacità e sensibilità dei giornalisti,
indipendentemente dall’uso di nuovi linguaggi: “ci saranno altri sistemi, ma dietro ci sarà
sempre l’uomo, l’individui con la sua capacità di immedesimarsi negli altri, di mettersi nei
panni del prossimo e creargli dei discorsi, dei libri, della televisione, su misura. Spesso in
passato ma ancora oggi c’è gente che scrive non tenendo conto delle misure del suo
interlocutore, per cui si rischia o di avere delle scarpe troppo strette che fanno male ai piedi
o troppo larghe che non si riescono neanche a infilare” (P.A.).
La risposta alla provocazione (interessata) dell’intervistatore circa la differenza di
prospettive di carriera nella comunicazione scientifica di un laureato in Scienze della
Comunicazione e di un laureato in Astrofisica è (tristemente) unanime. Lo scarto
principale nella preferenza di una facoltà scientifica consiste soprattutto nel metodo
scientifico. È possibile affermare che è preferibile una laurea in Astrofisica “non per le
conoscenze che si sanno ma per capire il modo di procedere della scienza, il modo di
pensare di chi fa scienza. Chi non ha avuto una formazione scientifica rimane sempre un
po’ al di fuori. Il capirsi umanamente è fondamentale in questo lavoro” (G.C.).
All’angoscia dell’intervistatore si aggiunge quella di G.P.: “È una cosa che mi ha
angosciato per anni. […] Quando sono venuti fuori tutti questi ragazzi di Scienze della
Comunicazione è stato un disastro. Dov’è il mercato? Adesso i presidi si incazzano... Ma
sapete quanti siete? Ci vuole una specializzazione ferrea” (G.P.). Dello stesso avviso G.C.,
che intravede nella specializzazione lo spiraglio per occuparsi di divulgazione provenendo
da studi non scientifici: “ci sono persone come Piero Angela che vengono da altri settori,
ma è necessario fare un grande lavoro negli anni” (G.C.).
P.A. distingue tra le competenze che possono derivare dai diversi corsi di sudio: “cienze
naturali per chi vuole fare il divulgatore a tutto campo, dà un po’ l’idea generale della
scienza. Però molti si specializzano, allora in fisica piuttosto che in biologia, piuttosto che
in medicina, quindi ci sono delle specializzazioni. Il fatto della scienza delle
comunicazioni permette di migliorare le tecniche della comunicazione, del linguaggio. […]
Il problema è quello di saper raccontare, saper scrivere, saper spiegare. Però comunque il
saper spiegare è solo una parte, per saper spiegare bisogna come prima cosa capire, e chi
ha una laurea in una materia scientifica ha certamente più attrezzi per riuscire a capire
quello che si sta facendo nel mondo della ricerca”.
139
Dunque l’importanza del rigore scientifico per comprendere sia le conoscenze che il
modus operandi dei ricercatori deve integrarsi alle capacità esplicative: “Un astrofisico se
ha la capacità di comunicare ha il metodo scientifico. Quando io ho cominciato sono stato
fortunato, ho mandato una lettera alla Rai dicendo che ero laureato in fisica terrestre e
volevo fare trasmissioni. Gallinari mi disse: venga non la vuole fare nessuno” (G.P.).
140
Conclusioni
La mediazione
I modelli della diffusione e le teorie dominanti evidenziano la funzione di mediazione
della comunicazione scientifica pubblica limitando l’attività della ricerca all’attenersi ai
fatti e alla realtà dei fatti e quella della divulgazione al ridurre il reale e ciò che viene
percepito, il fatto alla sua descrizione.1 Dato che non è prevista una retroazione tra il
destinatario della divulgazione e gli specialisti, il mondo della scienza risulterebbe come
chiuso e autosufficiente. A condividere i due tipi di sapere, esperto e laico, deve essere il
mediatore,2 che si trova nella condizione di esercitare il potere di partecipare al processo di
produzione di senso. La mancata considerazione nei modelli della diffusione di flussi
comunicativi complessi che compartecipano alle dinamiche di negoziazione della scienza
porta alla conclusione che le teorie dominanti non descrivano in modo esaustivo i
meccanismi della divulgazione scientifica in televisione. Alla luce delle interviste
qualitative a osservatori privilegiati effettuate con soggetti coinvolti nella produzione di
SuperQuark è possibile affermare che il modello della continuità3 descrive con maggiore
precisione le dinamiche che sottostanno alla produzione di rappresentazioni televisive della
scienza dal momento che prende in considerazione diverse forme di trasferimento delle
conoscenze. Le interviste effettuate, che non hanno la pretesa di essere un campione
rappresentativo della divulgazione scientifica in generale ma si limitano a descrivere
pratiche produttive circoscritte ad alcuni soggetti e a una trasmissione specifica,
sottolineano come la composizione delle fonti utilizzate favorisca da una parte il rapporto
diretto con l’esperto e dall’altra l’uso di periodici ponte classificabili nella categoria della
comunicazione interspecialistica, di fatto estromettendo dal processo produttivo le
pubblicazioni scientifiche dirette. Questi flussi comunicativi caratterizzati da diversi gradi
di formalizzazione, dunque, sono facilmente collocabili lungo il continuum del modello
della continuità e nelle deviazioni comunicative delle traiettorie di routine del modello del
salvagente proposto nel paragrafo 2.2.5, anche se è interessante notare come la percezione
degli attori intervistati riguardo il ruolo della divulgazione scientifica sia da un lato
aderente ai modelli della diffusione, mediazione tra saperi diversi attraverso la traduzione
1 Schiele B., “Vulgarisation et télévision”, Social Science Information, n. 25, 1986, p. 203 2 Guizzardi G., La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, pp. 14-15 3 Cfr. paragrafo 2.2.5
141
da linguaggi specialistici a linguaggio comune, dall’altro ponga l’accento sulla sua
dimensione sociale: la costruzione di spirito critico nel fruitore non solo attraverso la
diffusione di conoscenze, ma attraverso il rispetto del metodo scientifico. È dunque
necessario non trascurare la dimensione sociale della divulgazione dal momento che è
evidente che le dinamiche di riformulazione delle conoscenze in linguaggio televisivo
siano solo una parte delle sue funzioni e potenzialità.
A tal proposito è opportuno evidenziare la coerenza tra i punti di vista dei soggetti
ascoltati nelle interviste e lo schema di Braga incentrato sulla responsabilizzazione
riportato nel paragrafo 1.2. È possibile affermare che l’alto grado di responsabilizzazione
della trasmissione secondo questo schema e l’uso di forme espressive volte a non creare
tensione ed eccessiva preoccupazione nel pubblico, sono caratteristiche evidenziate dalle
argomentazioni dei soggetti intervistati e rappresentano una formula efficace per la
divulgazione.4
L’unicità dei mediatori
La volontà di responsabilizzare il pubblico che anima o dovrebbe animare gli attori della
divulgazione scientifica è una peculiarità che contraddistingue pochi generi televisivi della
televisione attuale. Emerge pertanto una percezione di unicità negli attori della
divulgazione scientifica, vista da alcuni come “una posizione di arroccamento in una
riserva continuamente minacciata”.5 Una spiegazione circa questa percezione di unicità
della divulgazione scientifica può risiedere nella chiusura, almeno in Italia, del mondo
della scienza, anche se col tramonto della Big Science sono sempre più frequenti le
deviazioni delle traiettorie di routine della comunicazione scientifica finalizzate ad
acquisire visibilità. Questa unicità è espressa nelle funzioni di verifica della fonti, di
richiesta continua dei pareri degli esperti e della comprensione degli argomenti controversi.
4 Si porta come esempio il racconto della nascita di un servizio di Giovanni Carrada, autore, in cui è evidente la volontà di responsabilizzare il pubblico su un argomento ritenuto importante e l’attenzione nel non diffondere un sentimento di tensione: “sto facendo un’inchiesta sulle infezioni gravi ospedaliere, che fanno più vittime degli incidenti stradali e domestici messi insieme, e mi è venuta in mente l’idea di farla attraverso la storia di un paziente che entra in ospedale con un problema perfettamente guaribile ed incappa in un problema di infezione grave, che causa una corsa contro il tempo. È una cosa che scopro quando vado là, quando l’esperto mi dice che è tutto una questione di rapidità della diagnosi e di un’analisi batteriologica tempestiva dato che servono tre giorni, e lo racconto come una corsa contro il tempo. Entrato dentro l’argomento, trovo un spunto che può funzionare. Lì con due fini: com’è andata a finire oggi? Bene... non si può far morire il paziente, e come andrà domani, con una serie di strumenti diagnostici che invece di due giorni ci mettono un’ora.” 5 Braga P., La divulgazione scientifica in televisione, p. 190
142
Queste funzioni così importanti nei processi di negoziazione dei concetti scientifici
comunque devono essere esercitate dalle trasmissioni sempre attraverso la proposta di un
patto comunicativo basato sulla compresenza di elementi cognitivi e percettivi,6 ovvero dei
patti dell’apprendimento e dello spettacolo. La divulgazione scientifica ha bisogno di
stabilire un patto di veridizione che leghi lo spettatore al mezzo che oltre a essere percepito
come credibile deve rispondere alle promesse di intrattenimento diffuse in tutto il flusso
televisivo.7 Inoltre si tende a sottolineare l’elemento cognitivo della comunicazione anche
nei casi in cui sembra emergere l’elemento percettivo, come nei documentari. Il rapporto di
fiducia, dunque, è basato sull’attendibilità e sul modo di presentazione delle conoscenze
all’interno del patto di apprendimento, ed è possibile osservare uno spostamento
dell’autorevolezza necessaria per parlare di scienza in tv. Da una fiducia istituzionale,
relativa al mezzo e al suo rapporto con la realtà e con il fruitore, si passa a una fiducia
personalizzata costruita intorno alla figura del conduttore. Emerge chiaramente anche dalle
interviste effettuate che il volto del conduttore abbia la funzione di asseverare le
informazioni che veicola, costruendo una credibilità personalizzata indipendente8
dall’emittente: la divulgazione ha bisogno di un surplus di autorevolezza rispetto al patto
di veridizione ordinario della televisione generalista. Dunque la contemporaneità dei
processi di polarizzazione verso il piano dell’intrattenimento della triade reithiana anche
nei programmi di divulgazione scientifica e dei processi attraverso i quali le trasmissioni
omnibus e quelle enciclopedico-divulgative della paleotelevisione hanno abbandonato il
commento dell’immagine in favore di uno stile conversazionale imperniato sulla figura del
conduttore, elemento di personalizzazione, ha spostato gli equilibri della credibilità
televisiva. All’interno della formula dell’‘educare intrattenendo’, o viceversa, si assiste a
una contrazione dei tempi con un relativo aumento del ritmo espositivo, e alla
focalizzazione solo su alcune aree del sapere, al trasferimento di un rapporto fiduciario
istituzionale sul piano della personalità.9
6 Ghislotti S., Di Chio F, Questioni di tempo, questioni di fiducia, in Casetti F., Di Chio F., Tra me e te. Strategie di coinvolgimento dello spettatore nei programmi della neotelevisione, VPT/ERI, Roma 1988, pp. 134-141 7 Ibidem, pp. 136-141 8 Monica Giorgi Rossi, produttrice di SuperQuark, a tal proposito: “lo spettatore medio è ancora convinto che l’ha detto la televisione, [...] ma se l’ha detto Piero Angela è veramente il verbo” 9 Ortoleva P., Di Marco M.T., Luci del teleschermo. Televisione e cultura in Italia, Mondadori-Electa, Milano 2004, pp. 214-215
143
Unicità del pubblico
La disgiunzione tra sapere esperto e sapere laico non può essere ridotta a un mero
dislivello informativo tra specialisti e grande pubblico. La conoscenza fattuale è solo un
aspetto del sapere laico, entro il quale operano diversi fattori come giudizi di valore e il
grado di fiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche che rendono nel complesso il
sapere laico articolato almeno quanto quello specialistico. È interessante osservare come i
soggetti coinvolti nella produzione di rappresentazioni televisive della scienza che sono
stati intervistati ritengano il proprio pubblico unico, estremamente motivato a fruire di
divulgazione scientifica, omogeneo negli anni. Questa dimensione è simmetrica alla
percezione di unicità da parte della divulgazione, che si estende dunque nella definizione
dell‘obiettivo della comunicazione. I linguaggi televisivi sono strettamente collegati alla
configurazione dello spettatore ideale, dal momento che le scelte stilistiche e di contenuto
sono incentrate, nel caso analizzato, a soddisfare i doveri del servizio pubblico. A tal
proposito è interessante notare la compresenza di anime diverse nella divulgazione: da una
parte la vocazione pedagogica, il trasferimento di principi scientifici semplificati
confezionati in formato omnibus, dall’altra la volontà, a volte soffocata, di collegare la
rappresentazione della scienza con la partecipazione sociale, di costruire
contemporaneamente uno spirito critico e civico attraverso il metodo scientifico.10 La
percezione del pubblico da parte degli attori intervistati evidenzia che la modalità di
fruizione più diffusa sia simile alla lettura pedagogica (beneficiary reading) proposta da
Suzanne de Cheveigné secondo la quale il fruitore percepisce il mezzo televisivo come una
fonte autorevole di conoscenza, preferisce la presenza di un conduttore e cerca di integrare
le informazioni ricevute con le sue conoscenze di sfondo.
10 Giangi Poli espone con queste parole due diverse forme di fare divulgazione: “La prima è volteriana, illuminista, neopositivista dei primi decenni del secolo scorso, cioè la scienza che viene insegnata al volgo. […] L’altra […] consiste ad esempio nel parlare dell’inquinamento che fa crepare i pesci. Ma il discorso mio è che fa crepare anche gli operai che stanno in fabbrica, poi è uscito fuori ed è arrivato negli ambienti borghesi ed è venuta fuori l’ecologia, perché prima non glie ne fregava niente a nessuno. Non era un discorso inquinamento e posti di lavoro ma inquinamento e maggior profitto. Collegare il discorso scientifico a quello sociale”
144
La notizia scientifica
La newsworthness, la notiziabilità di un evento, è frutto di una concezione per la quale
“determinati eventi vengono riconosciuti degni di fare notizia solo qualora si conformino a
determinati criteri di selezione”, i valori notizia, “piuttosto che da un riferimento al ‘mondo
reale’ degli eventi”.11 La divulgazione scientifica in televisione è comunque un genere
dotato di caratteristiche specifiche che lo differenziano da altri contenitori della notizia
scientifica. Le finalità comunicative a volte più pedagogiche che informative, i tempi di
produzione anche molto lunghi che sconvolgono i concetti di attualità e tempestività della
notizia, la difficoltà nel rappresentare in linguaggio iconico teorie e conoscenze
influenzano non poco i criteri di selezione e produzione della divulgazione scientifica.
I valori notizia più consolidati,12 che comunque sono mutevoli nel tempo e generali,
vengono solitamente accostati ad alcuni più televisivi come il coinvolgimento sia emotivo
che narrativo, ritmo e storia. D’altronde le potenzialità di intrattenimento e la possibilità di
trasformare la notizia in storia sono criteri di selezione riconosciuti della notizia
scientifica.13 Gli argomenti che possono essere formulati attraverso il linguaggio iconico
devono rispondere a criteri di attualità particolari: i tempi di produzione da una parte e
l’integrazione e il consolidamento delle notizie scientifiche propriamente dette nel contesto
della ricerca dall’altra ne fanno dilatare i tempi. La singola notizia è raramente
rappresentabile in maniera efficace, mentre la maturazione di un settore attraverso diverse
scoperte in un filone di ricerca può diventare un argomento televisivo, specialmente se
questo rientra in temi facilmente formulabili come i temi dal contenuto forte o i temi del
momento.14 La disponibilità del materiale acquistato o a disposizione nelle libraries è un
criterio relativo al mezzo in sé ma è anche guidato da previsioni sul ciclo di vita di un
argomento.15
11 Mc Quail D., Le comunicazioni di massa, il Mulino, Bologna 1993, p. 227 12 Ad esempio novità, vicinanza, human interest, etc. 13 Papuzzi A., Professione giornalista, Donzelli, Roma 2003, p. 207 14 Fava T., Scienza e media: le notizie scientifiche nei notiziari di Rai e Mediaset, in Guizzardi G. (a cura di) La scienza negoziata, scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002, pp. 85-89 15 “Ricordo quando c’è stato il terremoto in Giappone. Poco prima avevamo comprato un documentario sulle esercitazioni antisismiche, perché un terremoto ci sta sempre bene. Prima o poi un terremoto arriva. Abbiamo ricevuto i complimenti della rete per essere stati sul pezzo” (Laura Falavolti, curatrice). Una regola d’oro: “per tutti i fenomeni naturali è consigliabile tenersi dei coccodrilli nel cassetto... ” (Monica Giorgi Rossi, produttrice)
145
Le fonti
Le fonti scientifiche rappresentano insieme alla documentazione dell’immagine un tipo
di rapporto con la realtà. Se i documentari sono una formulazione della realtà in linguaggio
visivo le fonti scientifiche rappresentano il materiale utilizzato per la costruzione testuale
che spesso influenza in maniera determinante la scelta e la produzione delle immagini.
Figura 10 – Il modello della continuità e le fonti scientifiche della divulgazione
È interessante sottolineare che, nonostante la divulgazione venga percepita tra l’altro
come una attività di traduzione del linguaggio specialistico utilizzato nella produzione di
conoscenza scientifica, non sembra usuale un utilizzo diretto delle produzioni scientifiche,
degli articoli dei journals specializzati.
Le fonti privilegiate dai giornalisti scientifici sembrano essere il colloquio diretto con gli
esperti e i periodici ponte, le riviste come Nature e Le Scienze che nel modello della
continuità costituiscono strumenti di comunicazione interspecialistica. Dunque si può
provare a sovrapporre le osservazioni dell’intervista qualitativa a osservatori privilegiati
che è stata svolta con i flussi descritti dal modello della continuità, e si osserva come la
traiettoria di routine descritta da produttori di rappresentazioni televisive della scienza di
SuperQuark parta da un contatto diretto con l’expertise, passi attraverso le pubblicazioni
intermedie, i cosiddetti bridge journals, integri le conoscenze e le suggestioni narrative
dell’autore e si trasformi in linguaggio televisivo.
146
Se si volesse sottolineare la raccolta delle fonti sarebbe opportuno schematizzare questi
flussi prendendo in considerazione non solo le traiettorie di routine ma anche le deviazioni,
dal momento che la rappresentazione televisiva costruita intorno al rapporto diretto con
l’esperto è il frutto di un’apertura della scienza che può essere già considerata
divulgazione. Si evidenziano, dunque, le deviazioni comunicative privilegiate dai soggetti
intervistati all’interno del modello del salvagente (bucato) proposto nel capitolo 2.
Figura 11 – Salvagente (bucato) e fonti scientifiche della divulgazione
Alla luce di queste osservazioni è interessante avanzare alcune considerazioni sul ruolo
dell’esperto nella divulgazione scientifica in televisione. Dalla letteratura analizzata in
questa sede emerge l’idea di un’evoluzione dei linguaggi televisivi verso la
personalizzazione delle informazioni, e più precisamente un potenziamento della figura del
conduttore che, entità anfibia, oltre a incarnare i valori di rete e di testata, condivide
qualcosa con il pubblico. Questo emerge chiaramente nella divulgazione scientifica nella
sua funzione di mediatore tra mondi e linguaggi altrimenti inaccessibili al grande pubblico,
dove la figura del conduttore in fatto di credibilità ed autorevolezza sembra aver raggiunto
quella dell’esperto; queste due tipologie di soggetti, infatti, spesso interagiscono in modo
147
simmetrico.16 Relativamente a SuperQuark è interessante notare come l’accrescere della
forza del conduttore abbia diminuito le occasioni di asseverazione delle conoscenze da
parte dell’esperto durante l’interazione col pubblico, mentre rimane cruciale il suo ruolo e
la forza del suo status durante la produzione dei testi, per la verifica delle fonti e della
genuinità delle informazioni che vengono formulate in linguaggio televisivo. Un ulteriore
compito della divulgazione dovrebbe essere dunque quello del controllo di una pluralità di
fonti, in modo che la comunicazione scientifica non possa correre i rischi descritti da
Hilgartner relativi a un uso scorretto da parte degli scienziati delle etichette
‘semplificazione accurata’ e ‘distorsione’17 dal momento che ciò dovrebbe essere
considerato un inquinamento della genuine science ma qualcosa di simile a una
controversia scientifica, tra l’altro interessante da rappresentare televisivamente.
È opportuno sottolineare che l’esperto a cui ci si riferisce ha le caratteristiche che
Semprini riconosce nello studioso, figura dalle competenze eminentemente intellettuali,
che instaura rapporti di asimmetria col pubblico basati sulla possibilità di legittimare gli
enunciati.18
Secondo Guizzardi la posizione cruciale nei processi di negoziazione è occupata dalla
figura dell’esperto, figura astratta in cui è accumulato il potere di definizione della
situazione in virtù del consenso istituzionale del mondo della ricerca dal quale l’esperto è
legittimato. Accanto a questa forma di definizione del “vero” la funzione della
divulgazione e del giornalismo scientifico risiede nella definizione del “nuovo” e
dell’”utile”, in base sia ai criteri di notiziabilità che quelli di formulabilità televisiva. In
alcune situazioni particolari verità, novità, e utilità della comunicazione scientifica
televisiva rientrano nella categoria del ‘giusto’, ad esempio per quanto riguarda la
comunicazione del rischio o le politiche ambientaliste.19 È interessante notare come nel
caso analizzato l’esperto tenda a mantenere il potere di definizione del vero, non inteso
come atto di fede ma come conoscenza prodotta nel rispetto del metodo scientifico, mentre
utilità e novità siano criteri usati spesso dai mediatori per selezionare gli argomenti,
processo che avviene prima della ricerca delle fonti e quindi dell’apporto dell’esperto. In
ogni caso è utile ricordare che anche la scienza non rinuncia a forme di narrativizzazione,
le quali non sono dovute solo all’utilizzo del mezzo televisivo ma anche alla dialettica
16 Ungaro P., Gli attori della divulgazione, pp. 112-123 17 Hilgartner S., The dominant view of popularisation 18 Semprini A., Analizzare la comunicazione. Come analizzare la pubblicità, le immagini, i media, pp. 264-
268 19 Guizzardi G, La negoziazione della scienza nello spazio pubblico, pp. 43-45
148
all’interno del discorso scientifico tra conoscenza mitica e mimetica, e che la composizione
di rapporti diretti con l’expertise e di pubblicazioni interspecialistiche osservata in questo
studio offre la garanzia oltre che del rispetto del metodo scientifico, che non si può
riscontrare ad esempio in alcune forme di deviazione dalle traiettorie consuete della
comunicazione scientifica, anche la certezza di diffondere conoscenze condivise dalla
comunità della scienza.
Linguaggi e rappresentabilità
Riguardo le interviste raccolte, la varietà dei punti di vista sui linguaggi televisivi
utilizzati e utilizzabili dalla divulgazione scientifica è certamente indicativa della capacità
di rappresentazione del mezzo televisivo. Tra gli elementi che si trovano a monte di queste
problematiche è possibile notare la grande attenzione alla parte verbale del discorso
televisivo, la funzione esplicativa delle immagini e il rispetto del mandato di servizio
pubblico da parte dei soggetti intervistati coinvolti nella produzione di SuperQuark. Questi
presupposti favoriscono una formulazione dei contenuti che secondo alcuni capovolge il
primato dell’immagine, della documentazione della realtà.20 Si tende spesso ad avere un
rapporto indiretto con la realtà che viene usata per ‘illustrare’ le conoscenze che prendono
forma narrativa, mentre viene meno la funzione epistemologica della documentazione della
realtà come apporto di conoscenze. Le immagini dunque spesso vengono concepite come
didascalie del testo, in una sorta di capovolgimento delle funzioni.
Questa doppia natura della divulgazione deriva dalla necessità di instaurare un patto
comunicativo col fruitore che includa sia caratteristiche del patto dell’apprendimento che
dello spettacolo. La commistione di elementi cognitivi e percettivi non è uniforme sia per
quanto riguarda le trasmissioni, dove intervengono scelte redazionali relative al
posizionamento dei programmi in relazione all’audience e alla personalità di rete, che per
quanto riguarda i singoli testi televisivi dal momento che gli argomenti trattati dalla
divulgazione scientifica godono di gradi di rappresentabilità diversi.
20 “La tendenza che corre adesso è quella di fare l’articolo illustrato ed è la novità assoluta. È una grande differenza nel linguaggio televisivo. Prima per fare un’inchiesta si andava in giro con una scalettina e poi alla fine montavi le immagini, e quando erano sufficienti non scrivevi una cazzo di parola, lasciavi là una musichetta o stavi anche zitto, adesso si scrivono i testi prima, poi si mandano in giro quei disgraziati che ha visto qui sotto [si riferisce alla redazione di SuperQuark, N.d.I.] a illustrare i testi degli autori, che non vuol dire niente, cambia il ritmo, il montaggio cambia tutto” (Giangi Poli, redattore scientifico)
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Una considerazione che si ritiene opportuna in chiusura di questo lavoro è che l’uso di
linguaggi televisivi che hanno grande diffusione nella sfera dell’intrattenimento può
dimostrarsi estremamente efficace anche nella diffusione della scienza e nella
comunicazione scientifica, come osservato nel paragrafo 7.6. Ci sono linguaggi che in
determinati generi tendono a ridimensionare il ruolo del conduttore nelle trasmissioni della
televisione generalista, come si avverte dal progressivo indebolimento dei reality show in
favore delle docusoap. La tendenza alla personalizzazione dei programmi in favore della
figura del conduttore in gran parte dei testi televisivi, e in maniera evidente nella
divulgazione scientifica dove la funzione di asseverazione delle conoscenze è
progressivamente passata dall’esperto al conduttore, dunque non è inarrestabile. Ciò che
preme sottolineare in questa sede è che si ritiene dannoso non sperimentare linguaggi
diversi nella comunicazione pubblica della scienza, anche alla luce della tendenza alla
convergenza dei diversi media, ormai non più uno scenario lontano. Alcuni linguaggi
risultano logorati nella sfera dell’entertainment, erosi nella loro forza epistemologica
attraverso la costruzione di una realtà in vitro, ma possono essere estremamente efficaci
nella comunicazione scientifica sia per quanto riguarda la produzione di testi televisivi che
la promozione di forme di interazione diretta tra fruitore ed emittente. Ci si riferisce per
tanto all’uso dell’immagine come fonte principale di documentazione e all’uso di una
pluralità di media per stabilire flussi di comunicazione complessi col fruitore. È utile
sottolineare nuovamente che l’interazione è uno degli obiettivi della divulgazione,
finalizzata tra l’altro a indirizzare il fruitore verso l’approfondimento delle conoscenze
formulate in linguaggio televisivo.
Il limite più evidente della divulgazione scientifica in tv è quello di rappresentare la
scienza come prodotto, invece come processo. La prima concezione, l’unica diffusa dal
broadcasting, è legata indissolubilmente a un uso didascalico delle conoscenze e delle
immagini, esplicative le prime, illustrative le seconde. Rappresentare la scienza come
processo permetterebbe invece l’utilizzo di linguaggi sperimentali legati alla
documentazione della realtà e all’interazione del fruitore col testo, e inoltre di rendere un
servizio efficace alla scienza sottolineando l’importanza del metodo scientifico, la
descrizione delle discontinuità e delle differenze, l’ingresso del fruitore nei centri di ricerca
della comunità scientifica cancellando la sensazione che questa si trovi in una torre
d’avorio. Sarebbe opportuno superare il concetto di traduzione delle conoscenze in favore
di quello di comprensione dei processi che sottostanno alla ricerca.
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Appendici – Trascrizione delle interviste Trascrizione dell’intervista a Giovanni Carrada, autore. Cos’è la scienza. G.C.: Produzione organizzata di conoscenze controllate. Cos’è la divulgazione. G.C.: La divulgazione è il racconto delle conoscenze che si producono nel mondo della scienza per chi è fuori da questo processo con i linguaggi, i limiti e i vincoli... Rappresentazione della scienza. G.C.: È una rappresentazione molto parziale, perché la televisione è un mezzo che seleziona gli argomenti molto più di qualsiasi altro. In televisione si parla della scienza più semplice, perché le esigenze del pubblico televisivo sono le più basiche, ma anche perché è un mezzo che ti costringe a usare immagini in movimento, tende a escludere intere branche della scienza che non sono rappresentabili: la matematica, la chimica, la genetica, la biologia molecolare. Di fatto taglia fuori gran parte della scienza contemporanea. Ideologie della televisione. G.C.: La difficoltà nasce non dalla narrazione, ma dalla rappresentazione di alcune scienze. Cosa faccio vedere? Faccio la radio? Spettatore modello o omnibus. G.C.: In televisione si è obbligati a parlare a tutti, al pubblico più ampio, proprio per un vincolo economico che ha la televisione, la sopravvivenza delle trasmissioni dipende dall’audience, bisogna fare la divulgazione più ampia possibile. Ci si rivolge a un quattordicenne curioso, con quel linguaggio si arriva a qualsiasi adulto. In questo la scienza è veramente diversa da altri settori. Ci sono tanti livelli di competenza, a partire dal giornalista scientifico che si trova in una situazione particolare: ci sono tanti argomenti che cambiano velocemente e siamo tutti degli ignoranti, specialmente sugli argomenti che hanno pochi specialisti in Italia e nel mondo. Cos’è la televisione G.C.: La televisione è un racconto per immagini, anche se la nostra trasmissione si basa molto sui testi, e analisi sul pubblico che abbiamo fatto fare evidenziano che il nostro pubblico e il pubblico di trasmissioni analoghe si comportano maniera diversa, dando molta importanza alla parte testuale. Il pubblico. G.C.: Ogni comunicazione è una conversazione immaginaria con qualcuno, io devo avere un modello mentale del mio interlocutore. A volte riceviamo lettere ecc., ma il giornalista ha una propria rappresentazione del proprio pubblico. Una parte importante del bagaglio professionale di un giornalista è conoscere il proprio pubblico, e questa è una delle maggiori qualità di Piero Angela, che lo conosce come le sue tasche, prevedendo comprensione e reazioni in maniera sofisticata. Selezione degli argomenti. G.C.: Dipende dalle immagini, anche se non devono seguire pedissequamente ciò che viene detto. La divulgazione adopera molti linguaggi che servono a risolvere il problema della rappresentabilità: si usano metafore, disegni, metafore visive, ci si arrampica sugli specchi. La scienza non è solo una collezione di fatti, ma anche di concetti ed idee, che sono le cose che la televisione è meno adatta a rappresentare. Si va molto sull’esempio e sull’uso astratto e metaforico dell’immagine. In che modo la scienza diventa racconto G.C.: Parto con un’ipotesi di lavoro, che poi sono disposto a smontare. Poi faccio un’immersione nell’argomento, vado sempre a parlare con un esperto, e metto insieme una serie di fatti interessanti. Di solito mentre parlo con gli esperti, di quelle cento cose che mi dicono mi vengono in mente quelle venti o trenta che messe in fila formano un racconto, ed ogni servizio in questo è diverso. È una cosa che nasce dalla ricerca, da un accumulo di fatti e suggestioni e dalla scelta del modo per raccontarli. Sto facendo un’inchiesta sulle infezioni gravi ospedaliere, che fanno più vittime degli incidenti stradali e domestici messi insieme, e mi è venuta in mente l’idea di farla attraverso la storia di un paziente che entra in ospedale con un problema perfettamente guaribile ed incappa in un problema di infezione grave, che causa una corsa contro il tempo. È
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una cosa che scopro quando vado là, quando l’esperto mi dice che è tutto una questione di rapidità della diagnosi e di un’analisi batteriologica tempestiva dato che servono tre giorni, e lo racconto come una corsa contro il tempo. Entrato dentro l’argomento, trovo un spunto che può funzionare. Lì con due fini: com’è andata a finire oggi? Bene... non si può far morire il paziente, e come andrà domani, con una serie di strumenti diagnostici che invece di due giorni ci mettono un’ora. Selezione delle fonti e proporzione tra fonti diverse G.C.: Raramente si va al lavoro scientifico originale perché molto spesso è incomprensibile. Capita con i temi che sono più vicini a quello che ho studiato, ma quasi sempre sono incomprensibili e invalutabili. Raramente un singolo lavoro scientifico da un’idea dell’argomento, essendo molto settoriale. Parlare con l’esperto ha il vantaggio che conosce tutto il contesto. Tanti campi hanno la loro letteratura intermedia: l’alta divulgazione, le review, gli articoli de Le scienze che offrono un livello intermedio, è il tipo di materiale che mi faccio mandare insieme anche siti web molto ben fatti che mi permettono una prima sgrossatura. Quasi mai il giornaletto, la rivista divulgativa, sempre cose come Nature... Il patto comunicativo della scienza in televisione G.C.: Dipende dalla trasmissione, e cambia moltissimo. SuperQuark ha una grandissima credibilità, anche alla luce delle ricerche che abbiamo fatto. Quando ci fu l’entrata in vigore dell’euro, Ciampi chiese che se ne parlasse in televisione, ed è stata fatta un’analisi su chi il pubblico voleva che se ne occupasse. Piero Angela risultò come il più credibile. È una cosa costruita nel tempo attraverso l’onestà nel lavoro. La fiducia è spiegata da fatto che Quark non dà mai fregature, perché c’è un continuo controllo. Dopo che ho fatto un servizio lo faccio rileggere all’esperto, chiedo l’opinione di un altro esperto. Poi c’è una piccola rete di ricercatori in vari campi con un rapporto di conoscenza, ci propongono delle cose e poi andiamo a vedere che non è così, come una notizia gonfiata. Per un giornalista scientifico la credibilità è una delle caratteristiche essenziali. Un cronista politico può dire una cosa e il giorno dopo il suo contrario e nessuno può dirgli niente, su questo mestiere la reputazione conta. Proporzione e disposizione degli argomenti G.C.: In genere diamo una sufficiente varietà: il pubblico sa che dopo una cosa che magari non gli interessa ce n’è un’altra. Ci vuole un equilibrio tra archeologia, cose più scientifiche, cose più seriose come scienza e società, certe cose vanno messe in una percentuale piccola. Ad esempio io ho curato una rubrica sulla sessualità che veniva messa alla fine, non per i bambini, ma perché uno alla fine diceva: “ah, c’è il sesso!”, e su questo viene studiato in maniera spasmodica l’andamento degli ascolti, e diventa un’arte raffinata. Dalla parte della scienza o del pubblico. G.C.: Non si possono fare compromessi, non si posso addomesticare i contenuti per far piacere a qualcuno, né compromessi sul linguaggio, altrimenti non si viene capiti. Se per essere accurato e preciso devo perdermi per strada chi mi ascolta... A volte mi accorgo che di un argomento non se ne può parlare perché semplificandolo lo si fa a pezzi, allora lasciamo stare. Però se la semplificazione non diventa una mistificazione si semplifica. Di solito si sceglie una sola cosa, seuendo un solo filo, ma anche lì non si possono fare compromenssi. Essere dalla parte della scienza, prendersi la briga di dire cose che vanno contro opinioni molto diffuse è un tratto molto nostro, altri non lo fanno. Siamo l’unica trasmissione che parla ogni tanto di biotecnologie, raccontando la posizione della scienza: ci sono dei potenziali rischi, ma controllabili e sono gli stessi delle tecniche di agronomica tradizionali che funzionano da decenni. Anche su temi come l’omeopatia prendiamo delle posizioni impopolari, non lisciamo il pubblico, per questo siamo dalla parte della scienza, oltre al rispetto necessario dei contenuti. Ad esempio nella puntata su Chernobyl, mentre quella cosa sugli Ogm è una stronzata, come sull’elettrosmog, lì ci sono delle scelte da fare, e ci si sforza di raccontare tutta la verità, raccontare pregi e difetti di tutte le varie opzioni, perchè si può anche peccare di omissione. Si fa presto a parlare male di una fonte di energia, prendere una decisione perché l’energia ci serve è un’altra cosa. L’attualità come criterio di selezione degli argomenti G.C.: Nel giornalismo la notizia è una cosa nuova, il problema sono i tempi di produzione. Quando andavamo in onda parallelamente alla produzione aprivamo sempre con temi di strettissima attualità, adesso passano dei mesi, può succedere di tutto. Anche nelle riviste scientifiche, la maggior parte delle cose non sono di attualità, perché la notizia propriamente detta in campo scientifico raramente è interessante, sono una serie di notizie, di scoperte che insieme fanno maturare un settore. La grande svolta avviene in un certo arco di tempo attraverso diversi studi.
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Programma migliore e programma peggiore G.C.: No, non si può... anche perché ne guardo pochissima di televisione. Obiettivi futuri della scienza G.C.: Tutte le previsioni anche a breve termine sono state sempre puntualmente smentite, come gli esempi storici clamorosi, alla fine dell’Ottocento si diceva “la fisica è finita”, l’anno dopo arriva Einstein e cambia tutto. Nelle scienze applicate si conoscono dei problemi, ma poi le soluzioni... Come diceva qualcuno, prevedere il futuro è una delle forme più grandi di stupidità. Astrofisica o Scienze della Comunicazione G.C.: Meglio in astrofisica, non per le conoscenze che si sanno ma per capire il modo di procedere della scienza, il modo di pensare di chi fa scienza. Chi non ha avuto una formazione scientifica rimane sempre un po’ al di fuori. Il capirsi umanamente è fondamentale in questo lavoro. Detto questo ci sono persone come Piero Angela che vengono da altri settori, ma è necessario fare un grande lavoro negli anni. Trascrizione dell’intervista a Monica Giorgi Rossi, produttrice e Laura Falavolti, curatrice. Cos’è la scienza? L.F.: La ricerca delle risposte sul funzionamento del sistema universo e dell’uomo. M.G.R.: La ricerca delle risposte rispettando sempre il metodo, che siano possibili le verifiche. Cos’è la divulgazione? L.F.: Come ha insegnato Piero Angela è tradurre dall’italiano all’italiano, stando per i concetti dalla parte degli scienziati, per il linguaggio dalla parte dello spettatore. M.G.R.: Anche perché l’ha inventata lui la divulgazione, è quello che ha più successo. Si vede dalla risposta del pubblico, per il quale è il più compreso e la divulgazione è rendere certi concetti comprensibili. Il rapporto col pubblico. Feedback come risorsa. L.F: Abbiamo un grandissimo feedback, dei rapporti non puntuali, addirittura ossessivi con il pubblico. Se andiamo in onda oggi su un x soggetto dall’archeologia all’energia, domani ci arrivano tremila email, se abbiamo fatto un piccolo errore, se abbiamo fatto bene o male. È il nostro pubblico, il nostro zoccolo duro, tre milioni e mezzo di persone. M.G.R.: Il nostro pubblico è un pubblico particolare. È Più motivato, si sceglie il programma ed è molto attento. Il nostro pubblico, attraverso degli studi che abbiamo fatto, è diviso in due: una parte che segue tutte le trasmissioni di divulgazione, però poi seleziona molto. C’è uno zoccolo duro molto attento e molto grosso, che qualsiasi cosa venga prodotta da Angela, in qualsiasi fascia oraria, la segue. L.F.: I programmi scientifici meno approfonditi e meno rigorosi fanno all’inizio un ascolto più ampio, che poi si va ad assottigliare. Spettatore modello o omnibus M.G.R.: Piero Angela la fa per tutti. Ha lavorato per la prima rete, che è per tutti. Un giudizio personale: Angela ha un’idea della divulgazione quasi missionaria, se ne fa un dovere suo e il dovere primario, principale della televisione, del servizio pubblico. Deve parlare a tutti, anzi, soprattutto a chi non ha i mezzi. C.F: Io sarei a volte tentata di fare qualcosa di più, dato che abbiamo questo zoccolo duro che è cresciuto con noi, si potrebbe differenziare l’offerta, anche con un linguaggio più sofisticato o argomenti più alti. La risposta è sempre la stessa: “Non pensare ai tuoi amici, ma a chi non ha la possibilità di disporre dell’informazione”. La rappresentazione della scienza in televisione M.G.R.: Ultimamente si è allargato il ventaglio dell’offerta, è cresciuta anche la domanda, e soprattutto perché la scienza è diventata un business, ci sono i musei della scienza le riviste... Si è allargata molto anche per questo. C.F.: Per quanto riguarda le trasmissioni ce ne sono alcune, anche per quanto riguarda l’informazione, molto puntuali e curate come Tg Leonardo, con i quali abbiamo dei rapporti, ma ci sono delle trasmissioni border line, tra scienza e mistero, che veramente sono ignobili perché giocano tra la linea di confine tra la ricerca di qualcosa e il generico fumus.
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Differenze di orientamenti, discipline, paradigmi. M.G.R.: Non ci sono tante scienze. La scienza è una, che viene convalidata dal metodo scientifico e quindi condivisa dalla scienza. Laddove ci siano delle teorie controverse, dove c’è dibattito, si cerca di dar voce delle due teorie. L.F.: Le persone non possono seguire tutti i professori nei meandri dei laboratori, la divulgazione deve aspettare che le teorie siano accettate, per essere divulgate al popolo! Cos’è la televisione? L.F.: Un mezzo straordinario. M.G.R.: L’importanza del mezzo è data dalla duttilità dei veicolare qualsiasi contenuto con la diretta, la sua specificità, e con la possibilità offerta dal digitale per ognuno di fare la propria televisione diventa il mezzo di comunicazione per eccellenza. Anche Internet vive di televisione, dovrà comunque diffondere immagini televisive. Selezione degli argomenti. M.G.R.: Nasce da un dibattito attento con gli autori e da uno sguardo sul mondo. L’attualità sulla ricerca va fatta con altri mezzi. L.F.: Tiene conto della attualità e della diversità dei temi, del materiale a disposizione. Ricordo quando c’è stato il terremoto in Giappone. Poco prima avevamo comprato un documentario sulle esercitazioni antisismiche, perché un terremoto ci sta sempre bene! Prima o poi un terremoto arriva. Abbiamo ricevuto i complimenti della rete per essere stati sul pezzo. M.G.R.: Per tutti i fenomeni naturali è consigliabile tenersi dei coccodrilli nel cassetto. Le fonti: provenienza e proporzione. L.F.: I testi di finzione sono solo un supporto per il racconto, e deve essere tutto controllato. M.G.R.: Noi lavoriamo soprattutto con materiale d’acquisto e lo passiamo al vaglio di consulenti tecnici scientifici, anche per quanto riguarda la traduzione. Alcuni autori si rifanno pubblicazioni scientifiche, ma soprattutto Nature e riviste che sono già una mediazione, partire dalla pubblicazione scientifica, dall’abstract del professore avviene raramente. L’ispirazione però può venire da qualunque parte, l’importante è la verifica della fonte. Patto comunicativo L.F.: A volte si da per scontato che ciò che offre la televisione sia il peggio, invece non bisogna confondere contenuti e mezzo, che è stato sottovalutato, e questo è stato un errore degli intellettuali del nostro paese. M.G.R.: Lo spettatore medio è ancora convinto che “l’ha detto la televisione”. Il nostro compito è di essere attenti con le notizie, sicuri delle fonti, non dire sciocchezza. L.F.: Ad esempio prima di dare una notizia allarmista ci pensiamo cento volte. Perché se l’ha detto Piero Angela una notizia viene come convalidata M.G.R.: Perchè se l’ha detto la televisione, e la televisione dice tante idiozie ed è pericoloso, ma se l’ha detto Piero Angela è veramente il verbo. L.F.: Alcune persone sono venute qui pretendendo di avere una testimonianza in tribunale da parte di Piero Angela su fatti scientifici. Linguaggio verbale e immagini. M.G.R.: Qua esiste il cosiddetto cane-cane, gatto-gatto. Trascrizione dell’intervista a Giangi Poli, redattore scientifico. Cos’è la scienza G.P.: La scienza è un modo razionale e umano, cioè che non coinvolge visioni metafisiche, per conoscere il mondo dove siamo, in un modo che sia verificabile sperimentalmente da tutti e nel tempo. Il metodo serve a distinguere il fatto scientifico dall’opinione attraverso la ripetibilità degli esperimenti. Come la conoscenza, la scienza è un modo per istituzionalizzare la curiosità, bisogna essere curiosi e applicare un metodo. Cos’è la divulgazione G.P.: Non l’ho mai chiamata divulgazione, ho sempre usato l’espressione diffusione della scienza, perché del concetto di volgo non me ne può fregare di meno. Sono quaranta anni che mi occupo di giornalismo scientifico e Quark è l’ultima delle cose di cui mi sono occupato, ed è il modo per dare i mezzi a chi non li ha, gli elementi per non farsi fregare. Strumenti per sviluppare lo spirito critico che viene fuori applicando il
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metodo scientifico, altrimenti ci si fa fregare dal primo che passa. La diffusione della scienza è diversa dall’erudizione scientifica, alla quale dovrebbe pensare la scuola. La diffusione della scienza non deve far vedere un vulcano, ma deve spiegare perché fa certe cose, perché provoca frane e la gente muore. Sono due le linee di pensiero, e sono sempre esistite. Una è quella alla Piero Angela ed ha molti vantaggi, ti dice come sono le cose. L’altra è quella della scienza e società, di non collocare gli scienziati un po’ fuori, come fa Piero con il quale lavoro da venticinque anni, ma considerare la scienza come una delle tante attività, come pittura e scultura, e deve essere collegata a ciò che succede nella società, l’economia, la morale. La prima è volteriana, illuminista, neopositivista dei primi decenni del secolo scorso, cioè la scienza che viene insegnata al volgo, quindi il termine divulgazione. L’altra, la linea che ho usato nelle mie inchieste prima di approdare a Quark già dal Settanta consiste ad esempio nel parlare dell’inquinamento che fa crepare i pesci. Ma il discorso mio è che fa crepare anche gli operai che stanno in fabbrica, poi è uscito fuori ed è arrivato negli ambienti borghesi ed è venuta fuori l’ecologia, perché prima non glie ne fregava niente a nessuno. Non era un discorso inquinamento e posti di lavoro ma inquinamento e maggior profitto. Collegare il discorso scientifico a quello sociale. Cos’è la televisione G.P.: La televisione avrebbe qualcosa di importante che non ha più. La televisione è stato per moltissimi anni il mezzo che non poteva essere smentito, mentre con le chiacchiere puoi fare qualsiasi cosa. I primi programmi l’ho fatti nel ’62 e allora era importante il fatto di documentare cose che avvenivano contemporaneamente e farle vedere. La gente guardava la televisione, e parlo del discorso politico e della scienza, non dello spettacolo, per avere una prova incontrovertibile della realtà. A parole si può dire di tutto. Nel linguaggio radiofonico ad esempio c’è incontrollabilità da parte dell’ascoltatore, nel linguaggio televisivo non puoi raccontare che l’acqua di un fiume va in su, perché si vede che va in giù, e questo vale per la miseria nei quartieri bassi di Napoli e per il cattivo uso della scienza che fanno alcuni programmi. A causa delle manipolazioni politiche dal ’62 fino ad oggi si è sempre più ridotta la parte visiva mentre è aumentata quella parlata. Se una casalinga la mattina può tenere la televisione accesa e seguire mentre fa le sue cose, quella non è televisione, è radio. Se deve andare a vedere cos’è vuol dire che è televisione, l’autore o il giornalista ha fatto un lavoro che implica l’uso dell’immagine. Questo discorso dà fastidio politicamente perché se l’Etna erutta e distrugge le case devi far vedere che le seconde case lì non le devi far costruire, se invece dici che è tutta una catastrofe naturale, allora dici “ah, poveretti!”. L’attuale scarsità di offerta culturale, per usare delle belle parole, come se stiamo a offrire qualcosa, è cominciata prima della concorrenza, che quando è arrivata ha trovato terreno fertile, cioè non gli è parso vero a questi qua che potevano trasferire altrove [cultura e scienza, N.d.I.], ci siamo capiti, anche quando è nato il secondo canale e il terzo c’erano già tra di noi delle battaglie e non gli è parso vero con la storia della pubblicità e della concorrenza di mandare a mignotte tutto quanto. Il cambiamento linguistico è funzionale alla scelta che è stata fatta, più panem et circenses dai... Un’altra cosa seria e grave è che durante la gestione democristiana della faccenda sono stato censurato, risse furibonde, ogni cosa tu dicessi c’erano non un ma tre censori, perché per contratto dovevo fare cinque ore di programma all’anno, per fare un’inchiesta grossa. Tre mesi di ricerche, tre mesi di sopralluoghi, tre mesi di riprese, tre mesi di montaggio e tre mesi di censura, e quindi il contratto scadeva perché c’erano liti furibonde. Io non sono mai stato democristiano, ma devo ammettere che c’era però un tentativo, di stampo volteriano e neopositivista, di tirare su, per così dire, la gente. Odio il termine tirare su, ma c’era questa volontà. Dopo, con il secondo e il terzo canale, c’era chi voleva farsi vedere, ma c’era anche la voglia di tirare su il volgo, da qui divulgazione. Con la concorrenza si è invece seguito pedissequamente il gusto della gente con la scusa della concorrenza che non c’è, perché c’è omologazione. È successo come con le privatizzazioni: hanno fatto il cartello. Quindi la tendenza democristiana e socialista, e poi della terza rete, era di dare una massa di informazioni, quella della concorrenza di inseguire il gusto. È come la democrazia diretta: se questi vogliono vedere culi e tette, facciamogli vedere culi e tette. Però se fai vedere qualche altra cosa scopri che la gente non è stupida per niente. Anche adesso un programma ben fatto, anche se va in onda a mezzanotte, vedi che sale l’interesse. Per quanto riguarda l’offerta culturale, la Rai la deve fare, ma a orari tali.. dice: “ci sono i registratori!”. Li fa ad orari improponibili solo per giustificare il canone. La selezione degli argomenti Bisogna capovolgere il ragionamento. Il testo lo scrivo alla fine. La tendenza che corre adesso è quella di fare l’articolo illustrato ed è la novità assoluta. È una grande differenza nel linguaggio televisivo. Prima per fare un’inchiesta si andava in giro con una scalettina e poi alla fine montavi le immagini, e quando erano sufficienti non scrivevi una cazzo di parola, lasciavi là una musichetta o stavi anche zitto, adesso si scrivono i testi prima, poi si mandano in giro quei disgraziati che ha visto qui sotto [si riferisce alla redazione di SuperQuark, N.d.I.] a illustrare i testi degli autori, che non vuol dire niente, cambia il ritmo, il montaggio cambia tutto. I sette specifici del cinema vanno a farsi fottere, quello che comanda è il testo illustrato. È la
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tecnica del telegiornale, io ho lavorato a Tv7, il primo, arrivavi il venerdì alle cinque che andavi in onda alle nove, non potevi stare lì a fare i giochetti, scrivevi e mettevi l’immagine. Questo diventa una palla in una trasmissione che dura come una di divulgazione scientifica. Io, Marco Visalberghi mai più, Lorenzo Pinna... l’ho fatto, sennò gli veniva un fegato così, siamo solo noi che scriviamo il testo dopo, gli altri lavorano prima sul testo. Approvato, per giunta. Ma mica solo Piero Angela lavora così, tutti. Poi ci mettono dentro qualche intervistina. Questo è un cambiamento epocale nel linguaggio televisivo. Per selezionare gli argomenti stiamo dietro alle riviste grosse, e ora c’è anche internet ma bisogna stare attenti che si raccontano un sacco di balle. Si fa una ricerca e cerchi qualcosa che si interessante possibilmente per i prossimi uno o due anni, magari si sviluppano cose che uno ha fatto nella propria carriera. Non è che si fa una bibliografia. Gli illustratori, quelli che fatto i servizi, cercano quelli più illustrabili in linguaggio televisivo, gli altri si arrangiano, con i cartoni animati o con uno che parla. Immagini e fonte Se uno parte da una ipotesi va a parlare con gli esperti e si fa mandare le carte. Sono due strade: o intervisti direttamente gli esperti o te ne strafotti e scrivi una specie di pastone dicendo che l’ha detto tal dei tali, sempre informandoti che non stai dicendo una fregnaccia. Poi cerchi il caso che possa documentare questo fatto. Prima c’è l’informazione scientifica, poi visivamente, l’esperimento scientifico. C’è un rischio gravissimo su internet dove si trova di tutto e di più, non c’è un bollino verde delle fonti, l’hanno proposto ma chi dovrebbe metterlo? Scienza e narrazione G.P.: Il problema grosso è che molti dei giornalisti scientifici vengono dalla carta stampa fanno fatica a inventarsi i modi per raccontare le cose. Tu scrivi le cose, come i testi che diamo a nostri ragazzi, ma con le immagini li devi seguire e certe cose sono difficilissime. Per creare un racconto bisogna mettersi con umiltà e dire “questo chi lo capirebbe? Qual è il target al quale devo parlare?” Anche perché è un conto fare televisione in prima serata e un conto in seconda o in terza. Piero Angela direbbe: “come se dovessi raccontare un fatto a un contadino di Arcinazzo”, che non capisce un cazzo, aggiungo io. Una volta è successo un qui pro quo con uno dei montatori che era di Arcinazzo che diceva che sua moglie... è successo un casino, vabbè questo è gossip... Comunque dipende dal target, con le inchieste quelle grosse si sa dove si va. Il problema è che è un linguaggio giusto per i cinquecentomila ragazzi che ogni anno si affacciano a Quark, ma i padri e i nonni non ne possono più di sentire come è fatta la cellula. Il racconto comunque deve passare per l’immagine, altrimenti diventa radio. Certo, quando è un cane vedi un cane, su questo Piero ci ha rotto le scatole per anni, ma c’è il rischio dell’illustrazione pedissequa. Bisogna riuscire a mettere quel qualcosa in più che non vedi. Autopercezione: scienza o pubblico G.P.: Se fai un discorso di erudizione, “io erudisco il pupo”, vai tutto da una parte, invece se inserisco un discorso economico, morale, sociale, della scienza all’interno, stai anche dalla parte degli scienziati. Forse non è come ci vediamo noi, la questione, perché abbiamo fatto una battaglia furibonda per anni per far parlare bene gli scienziati, stavano in una torre d’avorio, ogni volta non c’era verso: “si arrangi lei”, tant’è che ho tradotto dall’italiano all’italiano, mettevamo una voce femminile sotto al professore, italiano sottolineo, che parlava. Quando andavo sei o sette mesi negli Stati Uniti per fare inchieste scientifiche, molto prima di Quark, gli scienziati cercavano te, televisione italiana, senza alcun ritorno, economico o altro perché non andavamo in onda lì, perché negli Stati Uniti l’idea di far sapere cosa fa la ricerca, a chiunque della stampa, ha un ritorno sui fondi, perché se la gente sa, è più facile che dia i soldi. Qua è tutto un altro discorso. Noi facevamo gli interessi della ricerca, e gli altri ci guardavano un po’ così, tranne per la ricerca medica, sempre porte aperte. La ricerca medica sempre le porte aperte. È chiaro il ritorno, tu guardi tizio e tutti quanti si fiondano lì, invece del fisico e del chimico non glie ne frega niente a nessuno. Uno in teoria dovrebbe essere al servizio del pubblico, ma anche il pubblico va iniziato. Se la gente non sa cosa succede là dentro nascono quei casini tipo gli antivivisezionisti a oltranza, dico gli estremisti. Molte cose fatte o dette succedono perché non si sa che succede dentro. Programma migliore e peggiore. G.P.: Io non considero trasmissioni di divulgazione scientifica quelle che vengono messe insieme come la Wanna Marchi, dove c’è un presentatore che non sa un tubo che prende cose acquistate da fuori, li mette insieme e te li vende bene. Tanto per non far nomi, La Macchina del Tempo. Dove c’è una persona per bene, il quale però per me fa come Mike Bongiorno o Pippo Baudo, prima vende i materassi e poi fa le trasmissioni... Queste categorie qua sono la maggioranza delle trasmissioni. Monti ora ha cominciato ad andare in giro anche lui, dopo tanti anni l’ha capito. Lo stesso discorso vale per Gaia che ultimamente si sono messi. Di Mario Tozzi si dice in giro che è un po’ malato di protagonismo. Tradizionalmente parlando quella
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fatta meglio rimane SuperQuark, anche se Angela sa bene che io vorrei una linea editoriale più sui fatti sociali, ma lui proprio non lo sente questo discorso... ciccia. Certo, tre querele se le è beccate lui perché io andavo a rompere i coglioni. Allora lui quando dissente da me dice “c’è andato Giangi Poli, e si è anche divertito”. Il che vuol dire “cazzi suoi”. Come sull’omeopatia, sulle erbe malefiche o sull’inceneritore lo scorso anno... “e si è anche divertito”. Adesso ce ne è uno sull’acqua, sulla privatizzazione, che è un problema spaventoso che sta arrivando. Bisogna parlare dello stato dell’acqua attuale, e dire che è un po’ un merdaio e che lo stato si muovesse prima di darlo a privati. Che poi fanno i cazzi loro, come per i telefoni, l’energia. Rimane ancora la nostra [trasmissione, N.d.I.] che fa pezzi un po’ più lunghi, approfonditi. Ormai io e lui [Angela, N.d.I.] abbiamo i capelli bianchi. Le altre sì, Tozzi si vede bene... c’ha sempre il martelletto [da geologo, N.d.I.] parla di chimica e fisica, va sempre in giro col martelletto anche quando parla di extraterrestri. Seondo me anche quando scopa c’ha il martelletto. Speriamo che non sente questa intervista... Futuro della scienza e della divulgazione G.P.: Io ritengo che la scienza va nella direzione in cui è sempre andata, se è esercitata da scienziati coscienti. Può cambiare direzione se succedesse... gli scienziati sono come le altre persone, sono figli di mignotta pure loro. Bisognerebbe vedere quale percentuale di ricercatori rimane legata al proprio giuramento di ricerca, come i medici a quello di Ippocrate e quanti si vendono, o quanti, e questo è dimostrato, si inventano papocchi totali pur di spaventare e ottenere soldi per una ricerca che non c’entra un tubo con quella che è la loro ricerca. L’esempio classico è quello degli Stati Uniti negli anni Ottanta con la storia delle guerre stellari che bisognava assolutamente fare il cannone o lo scudo. Quando andavo a Berkeley e a Livermore che conoscevo tutti è venuti fuori che si erano inventati tutto così l’esercito gli dava i soldi per fare lo studio sulle particelle. E che mai c’era stata un’accelerazione sugli studi sulle particelle come negli anni Ottanta o Novanta. Anche se sapevano che non serviva a niente, perché bastava che un missile ruotasse per raffreddare, ma loro andavano avanti lo stesso, ed è finito in burla, inventandosi che i Russi chissà che cazzo facessero. Anche in Corea per le cellule staminali era una cosa per farsi dar soldi, come la fusione fredda, le mucillagini dell’Adriatico. Però io ritengo che siano eccezioni. Bisogna stare attenti. Anche perché la parola scienziato ha assunto un significato negativo in alcune frange in campo ambientale, per far capire come arriva il messaggio bisognerebbe usare un po’ di più la parola ricercatori. Anche perché è un concetto più vicino a uno che non ne sa niente, è uno che ricerca, è un’idea più romantica. Lo scienziato è legato alla bomba atomica, a immaginari non scientifici, a Frankenstein, Frank Einstein... Bisogna anche che i ricercatori non venissero continuamente sollecitati da interessi privati, e mollassero per guadagnare di più. Bisogna, per cominciare, che guadagnassero di più. La privatizzazione della ricerca implica che il ricercatore venga sollecitato a divulgare cose all’uso di chi gli da i soldi, e via di seguito. Un rischio potrebbe essere una deviazione dalla linea che la scienza ha seguito fino a adesso che lo scienziato per qualche soldo in più taciti la propria coscienza. La divulgazione secondo me va fatta nella televisione generalista. La divulgazione dovrebbe essere l’esca che permettere di attirare verso la scienza la gente che non glie ne può fregare di meno. Nei canali tematici puoi fare quello che vuoi. Fai un canale che fai vedere le operazioni al cuore, se lo vedono i cardiochirurghi. Quello che interessa a me, che sono della generazione che cercava di tirare su le masse, è quello di dargli la possibilità di incuriosirli, e di mandarli sui metodi tradizionali, libri riviste scientifiche, se hanno voglia di andarsele a vedere, o su internet. Secondo me deve andare sulla generalista, e deve dare queste cose. Il dramma è che si continua a dividere la ricerca scientifica, a tenerla separata dalla realtà economica e sociale, generale del paese, perché è una cosa come le altre, altrimenti è la torre d’avorio. La gente non capisce perché, allora finanzia solo le staminali ad esempio. Ho fatto uno studio adesso, lo sa che anche quella è una ricerca fatta per i soldi? Ma per studiare meglio, attenzione. Dai risultati troppo rapidi e veloci per avere sempre più soldi per farlo. Quando dai a un cardiopatico la speranza... La notizia esce e butti i soldi della ricerca, come è successo alla terapia genica. Sull’informazione scientifica è un discorso un po’ schifoso. Io mi occupo dell’informazione a Fisica Terrestre all’Università di Padova, quindi dovrei stare dalla parte di questi qua, ma questo è un sistema che si rivolterà contro [si riferisce al fatto che alcuni scienziati diffondano le proprie scoperte non attraverso i canali tradizionali delle riviste e del peer reviewing ma con conferenze stampa, N.d.I.] perché quando fai una dichiarazione pubblica e ha milioni di persone che la sentono e poi sbagli o non si avvera, la gente dice “quello è un tonto”, ma non solo lui, la ricerca intera. Io sono estremamente sospettoso quando uno fa il comunicato stampa di una grossa scoperta, ma finchè è un comunicato stampa, ma quando cominci a dire in prima persona e compagnia bella, è un’altra questione. Questo discorso va contro il discorso che abbiamo fatto, che un fatto è scientifico se può essere ripetuto da chiunque avendo i dati, nel tempo e dappertutto. Questo può avvenire solo con le riviste scientifiche, le conferenze, dove ti spennano vivo e dopo che tutti hanno provato e riprovato, quello diventa un fatto scientifico, che si può cambiare più avanti se arrivano cose nuove, ma è sempre un fatto scientifico.
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Astrofisica o in Scienze della Comunicazione. G.P.: Astrofisica. È una cosa che mi ha angosciato per anni. Io prima di fare Quark facevo inchieste su scienza e società. La vita prima della nascita e l’aborto ho fatto cinque puntate di un ora. L’inchiesta sull’ambiente nel Settanta sul petrolio ha messo in moto la commissione Fanfani in Italia, erano tegole che venivano giù. Quando sono venuti fuori tutti questi ragazzi di Scienze della Comunicazione è stato un disastro. Dov’è il mercato? Adesso i presidi si incazzano... Ma sapete quanti siete? Ci vuole una specializzazione ferrea. Un astrofisico se ha la capacità di comunicare ha il metodo scientifico. Quando io ho cominciato sono stato fortunato, ho mandato una lettera alla Rai dicendo che ero laureato in fisica terrestre e volevo fare trasmissioni. Gallinari mi disse: “venga non la vuole fare nessuno”. Trascrizione dell’intervista a Piero Angela, ideatore e conduttore di SuperQuark La scienza P.A.: La scienza risponde alle antiche domande dei filosofi, da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo, cos’è la materia. La formazione dell’universo è la cosmologia, cos’è la terra è la geologia, la nascita della vita la biochimica, lo sviluppo dell’uomo paleontologia umana, lo sviluppo del cervello neurofisiologia eccetera, l’atomo fisica atomica. Bisogna distinguere, cosa che non si fa spesso, scienza e tecnologia. Bisogna dire che le due cose sono sempre più intrecciate, comunque la scienza è la scoperta, la tecnologia è l’invenzione che per essere applicata ha bisogno di mezzi forniti dall’industria, dalla politica, dal mercato, e non è più filosofia ma diventa ben altro. Questo deve essere ben chiaro nella mente delle persone, perché si danno colpe agli scienziati che non sono loro e non si pensa a controllare i politici dell’uso che fanno delle scoperte e anche dei fondi che le tasse mettono a loro disposizione. La divulgazione P.A.: La divulgazione è qualcosa che partendo da quanto gli scienziati hanno detto, scritto pubblicato, cerca di tradurre dall’italiano in italiano, cioè riassume in modo chiaro per un pubblico vasto le cose che sono significative sia nel campo della scienza che della tecnologia e che possono avere più implicazioni, spiegando anche quali. La divulgazione non ha attinenza con la qualità del pubblico, con il livello di istruzione, perché se si spiega genetica a un magistrato bisogna spiegarla come a qualcuno che non ha una formazione scientifica, che i suoi studi di biologia sono quelli del liceo ormai dimenticati e superati. Quindi direi un ragazzo intelligente di quindici anni. Questo è il pubblico della televisione e anche dei libri e dei giornali, che a meno che abbia una sua formazione o interesse particolare, dipende dalla chiarezza di chi con competenza e onestà intellettuale trasferisce le informazioni dal mondo della ricerca al vasto pubblico. Credibilità e fonti P.A.: Non è necessario che sia uno specialista in una materia, del resto la divulgazione a tutto campo, come facciamo noi a SuperQuark o come si fa in una rivista o in un giornale, richiede soprattutto una capacità di sapere, conoscere quali sono i metodi, il quadro generale su cui si muove la ricerca e soprattutto riferirsi a delle fonti attendibili e credibili. Quali sono queste fonti? Sono in definitiva le persone che per le loro capacità e per i loro metodi sono quelle che pubblicano sulle riviste importanti. Nel mondo della ricerca si sa che quello che si chiama impact factor, il fattore di impatto, e che sono le citazioni su altre riviste di articoli apparsi in precedenza. Le persone che hanno più citazioni sono quelle considerate fautori di articoli di ricerca importanti. Le riviste sulle quali queste cose sono pubblicate sono quelle che hanno maggior impact factor, maggior numero di citazioni. Questo meccanismo che non ha un valore in sé ma ha un valore indiretto è quello che poi fa sì che le grandi riviste internazionali che hanno il maggior numero di impact factor sono quelle di maggior prestigio come Nature, come Science, come tante altre soprattutto inglesi e americane. Si sa nell’ambiente chi sono persone che hanno scritto cose importanti su riviste importanti e sono quelle i punti di riferimento o comunque i gruppi in cui lavorano, le università in cui hanno dei dipartimenti attivi e quindi scendendo per i rami, ovviamente con tanti altri punti di riferimento, delle fonti, che però siano quelle che hanno una credibilità all’interno del mondo scientifico. Perché altrimenti il profano, il giornalista, il divulgatore se si rivolge a una persona semplicemente perché è professore in qualche materia, perché la insegna o ha un dottorato, questo non vuol dire che le cose che dice sono le più attendibili. Parole e immagini P.A.: Ovviamente questi due canali viaggiano parallelamente, il video e l’audio. Ci sono argomenti nei quali la parte visiva prevale. Per fare un esempio banale l’etologia, lo studio del comportamento animale, si basa su immagini che sono di per sé estremamente attraenti, e naturalmente il commento deve dare significato a queste immagini. Ci sono altri servizi che riguardano ad esempio studi di genetica, lì non c’è nessuna possibilità di filmare i geni e tantomeno di vedere cose appassionanti. Quindi è soprattutto al parte verbale che prevale e la parte visiva si adatta a questo discorso, anche se le due cose hanno un’interazione continua e
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quindi si avvale di animazioni, o la storia di un paziente di cui si racconta un po’ tutta la cronistoria. Non ci sono delle regole, la regola è che alla fine del servizio uno deve aver capito una cosa e aver trovato interessante quello che è stato detto. Pubblico P.A.: Il nostro è un pubblico molto diversificato, al di là del livello scolastico raggiunto e dell’istruzione, ha però una caratteristica comune che è quello della curiosità. È un pubblico che è interessato e stimolato, si affeziona a programmi che soddisfano questa sua esigenza. Per la confezione dei programmi sappiamo che dobbiamo dare al nostro pubblico una serie di cose, la prima è la chiarezza di linguaggio, la seconda è una costruzione del servizio che abbia dei momenti anche emotivi, di nobile emotività, naturalmente. Magari costruito sotto forma di storia. Quando non ci sono immagini di creare immagini artificiali attraverso la computer grafica o altre cose che consentano di visualizzare ciò che non può essere tradotto in immagini reali. E poi piccole cose che di volta in volta cerchino di essere vicine agli interessati. In sostanza la formula è da un lato dalla parte degli scienziati per quanto riguarda i contenuti, e dalla parte del pubblico per quanto riguarda il linguaggio. Per quanto riguarda il linguaggio, non solo in quanti testo ma come struttura di racconto che si avvale delle innovazioni sfruttando sia le tecnologie che le tecniche disponibili, ma anche con metafore e con esempi che possano chiarire meglio i concetti. In sostanza alla fine del servizio il pubblico deve essere tra virgolette interessato e divertito perché questo gli ha dato qualche cosa in più di quello che sapeva prima. Futuro della scienza P.A.: Il futuro della scienza nessuno sa qual è. Se avessi dovuto prevedere nell’arco degli ultimi trenta quaranta anni, da quando mi occupo di divulgazione scientifica, cosa sarebbe successo nei primi cinque o dieci anni sarei stato incapace. Quello che ho visto è uno sviluppo rapidissimo in due campi che all’inizio sembravano o poco promettenti o comunque di interesse non così vasto, parlo della microelettronica e della genetica. Quando io ho cominciato si pensava che per esempio per tutto quanta riguarda ora la genomica, il trasferimento di geni, terapie geniche, mutazioni guidate, fossero cose quasi di fantascienza, in realtà nell’arco di trenta anni queste cose sono diventate una realtà galoppante, e la stessa microelettronica negli anni Sessanta sembrava essere più una curiosità, un sistema adatto per grandi università, grandi aziende o pr i militari, nessuno avrebbe previsto che sarebbe entrata così massicciamente nell’uso comune e diffondendo anche informazione attraverso Internet, il web eccetera. Ci sono invece dei campi in cui si puntava molto, fuori dei quali si pensavano progressi molto rapidi, in realtà sono completamente bloccati. Le faccio un esempio, quello della fusione nucleare. La fusione nucleare è quel tipo di energia che è creata per esempio all’interno delle stelle e che si pensava di replicare sulla terra entro gli anni Ottanta, Novanta. Oggi siamo nel duemila, si parla di cose fattibili forse fra trenta o quaranta anni. Quindi a volte questi sviluppi della scienza incontrano campi difficili anche nella realizzazione pratica che bloccano le promettenti ricerche di base. Quindi quello che succederà nei prossimi anni non lo possiamo sapere. Futuro della divulgazione P.A.: Sappiamo certamente una cosa. Cambierà forse nei moduli attraverso tecniche diverse, io mi avvalgo della mia esperienza, ho visto cambiare moltissimo, parliamo semplicemente della computer grafica che ha rivoluzionato tantissime cose nel modo di spiegare i concetti di fisica ma anche di genetica. Quindi ci saranno altri sistemi, ma dietro ci sarà sempre l’uomo, l’individui con la sua capacità di immedesimarsi negli altri, di mettersi nei panni del prossimo e creargli dei discorsi, dei libri, della televisione, su misura. Spesso in passato ma ancora oggi c’è gente che scrive non tenendo conto delle misure del suo interlocutore, per cui si rischia o di avere delle scarpe troppo strette che fanno male ai piedi o troppo larghe che non si riescono neanche a infilare. Astrofisica o Scienza della Comunicazione P.A.: Forse scienze naturali per chi vuole fare il divulgatore a tutto campo, dà un po’ l’idea generale della scienza. Però molti si specializzano, allora in fisica piuttosto che in biologia, piuttosto che in medicina, quindi ci sono delle specializzazioni. Il fatto della scienza delle comunicazioni permette di migliorare le tecniche della comunicazione, del linguaggio. Tanto per fare un esempio anche nella nostra redazione alcuni hanno la laurea in geologia o biologia, altri no, uno è laureato in filosofia, altri non sono laureati. Il problema è quello di saper raccontare, saper scrivere, saper spiegare. Però comunque il saper spiegare è solo una parte, per saper spiegare bisogna come prima cosa capire, e chi ha una laurea in una materia scientifica ha certamente più attrezzi per riuscire a capire quello che si sta f acendo nel mondo della ricerca.
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