La Scelta della voce. La svolta lirica di Antonio Porta

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LA SCELTA DELLA VOCE CRITICA E TESTI Alessandro Terreni La svolta lirica di Antonio Porta Introduzione di Gianni Turchea

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Poeta d’avanguardia, narratore sperimentale, drammaturgo. E poi manager, editore, pubblicista, operatore culturale... La complessa figura di Antonio Porta, al secolo Leo Paolazzi, ha lasciato importanti segni nella cultura, italiana e non solo, del secondo Novecento, con libri, articoli, scelte editoriali. Della sua trentennale e articolata carriera, il volume ricostruisce il significato e le forme della scelta della voce, con la quale il poeta attraversa l’esperienza dell'avanguardia. Alla metà dei fatidici anni Settanta, Porta coglie infatti l’involuzione manieristica dell’avanguardia e sente addirittura come possibile la rinuncia alla parola. La via d’uscita è la scelta della voce, strumento di una radicale riconfigurazione della scrittura poetica, scossa a tutti i livelli: metrico, retorico, sintattico, oltre che tematico e figurativo. Le raccolte degli anni Ottanta esprimono così un nuovo soggetto integralmente rifondato percettivamente e ideologicamente che, lungi da ripiegamenti intimistici e da cedimenti corrivi, ricostruisce la propria identità nella continua dialettica, mai pacificata, con i suoi lettori/ascoltatori.Un peculiare lettore/uditore, da "Passi passaggi" in poi, è tenuto ad accogliere una lirica che “buca la pagina” e penetra, per forza di voce, nell'oceano prelinguistico delle percezioni e dell’esperienza vitale, in cui convivono desiderio e bisogno, attestazione e progetto, critica e slancio

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LA SCELTA DELLA VOCE

CRITICA E TESTI

Alessandro Terreni

€ 20,00 (iva assolta a cura dell’editore)

Alessandro Terreni

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La svolta lirica di Antonio Porta

Poeta d’avanguardia, narratore speri-mentale, drammaturgo. E poi manager, editore, pubblicista, operatore cultura-le... La complessa figura di Antonio Porta, al secolo Leo Paolazzi, ha lascia-to importanti segni nella cultura, italia-na e non solo, del secondo Novecento, con libri, articoli, scelte editoriali. Della sua trentennale e articolata carrie-ra, il volume ricostruisce il significato e le forme della scelta della voce, con la quale il poeta attraversa l’esperienza dell’avanguardia. Alla metà dei fatidici anni Settanta, Porta coglie infatti l’involuzione manieristica dell’avanguardia e sente addirittura come possibile la rinuncia alla parola. La via d’uscita è la scelta della voce, strumento di una radicale riconfigurazione della scrittura poetica, scossa a tutti i livelli: metrico, retorico, sintattico, oltre che tematico e figurativo. Le raccolte degli anni Ottanta esprimono così un nuovo soggetto rifondato percettivamente e ideologicamente che, lungi da ripiega-menti intimistici e da cedimenti corrivi, ricostruisce la propria identità nella continua dialettica, mai pacificata, con i suoi lettori/ascoltatori.Un peculiare lettore/uditore, da Passi passaggi in poi, è tenuto ad accogliere una lirica che “buca la pagina” e penetra, per forza di voce, nell’oceano prelingui-stico delle percezioni e dell’ esperienza vitale, in cui convivono desiderio e bisogno, attestazione e progetto, critica e slancio.

Alessandro Terreni (1969) è docente a contratto presso il Dipartimento di scienze della mediazione linguistica e culturale dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di letteratura e cultura italiana contemporanea. Ha all’attivo numerose collaborazioni didattiche: con il Dipartimen-to di Studi letterari, filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano; con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione Riccardo Massa e con il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Milano Bicocca. Dal 2003 scrive di mercato librario per l’annuario “Tirature”, a cura di Vittorio Spinazzola. Ha studiato le antologie di prosa per L’antologia, forma letteraria del Novecento, a cura di Paolo Giovannetti e di Sergio Pautasso (Lecce, 2004), e ha curato, con Gianni Turchetta, gli atti del convegno milanese Mettersi a Bottega. Antonio Porta e i mestieri della letteratura (Roma, 2012). È inoltre membro della Mod, Società per lo studio della modernità letteraria.

In copertina: Antonio Porta, Festival di Poesia di Rotterdam 1984, www.antonioporta.it.

In quarta di copertina: Autografo di Antonio Porta redatto in occasione del Festival di Poesia di Rotterdam del 1975. Cortesia di Rosemary Porta.

Antonio Porta legge La scelta della voce, h t t p s : / / s o u n d c l o u d . c o m / r o s e m a r y 5 4 / antonio-porta-legge-la-scelta-della-voce.

Introduzione diGianni Turchetta

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Alessandro Terreni

LA SCELTA DELLA VOCE La svolta lirica di Antonio Porta

Introduzione diGianni Turchetta

Milano 2015

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Indice

Introduzione di Gianni Turchetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

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La svolta comunicativa degli anni Settanta: Antonio Porta tra versi e prosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.1 Quanto ha da dirci Antonio Porta . . . . . . . . . . . . 17

1.2 La scelta del romanzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

1.3 Quanto ho da dirvi e l’identità dell’autore . . . . . 41

2

Prima della svolta: il paradigma lirico portiano . . . . . . . . . . 47

2.1 Forme del soggetto lirico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

2.2 Forme della testualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

2.3 Affioramenti della prima persona . . . . . . . . . . . . 63

2.4 L’io occhio: sguardo, crudeltà e tragedia nel primo Porta . . . . 70

3

La svolta lirica e la scelta della voce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

3.1 Verso l’io voce: esemplificazioni testuali del nuovo paradigma . . . 91

3.2 La scelta della voce: parlo dunque sono . . . . . . . . 105

3.3 Strutture e significati di La scelta della voce . . . . 119

3.4 Forme della testualità oralizzante . . . . . . . . . . . . 142

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3.4.1 La sovrabbondanza metrica – excursus sulla versificazione portiana . . . . . . . . . 142

3.4.2 Le forme della ricorrenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

4

Dall’occhio all’orecchio: sulla testualità portiana . . . . . . . . . 191

4.1 La poesia da dire: un radicale di presentazione orale . . . . . . . . . . . . 191

4.2 La poesia da guardare: il radicale scritto del primo Porta . . . . . . . . . . . . . 212

Nota bibliografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229

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INTRODUZIONE

È difficile, se non impossibile, leggere la poesia di Antonio Porta sen-za ricollegarla subito al gruppo ’63. D’altro canto, il suo percorsopoetico appare decisamente irriducibile all’identificazione con la pa-rabola della neo-avanguardia, per vari motivi. In generale, il critici-smo avanguardistico convive in Porta con una persistente vitalità,tesa a valorizzare il positivo del mondo, nonostante tutto. Analoga-mente, se in moltissimi suoi testi l’enigmaticità dei significati mimala difficoltà, per l’uomo contemporaneo, di trovare un senso al pro-prio agire in un mondo alienato, tuttavia vi continua a balenare lapossibilità di una comunicazione, verso la quale percepibilmenteconvergono i moduli narrativi e dialogici, al limite apertamente tea-trali. Se nell’opera di Porta è comunque rinvenibile un’unità profon-da, d’altro canto la sua parabola registra un marcato, deciso riorien-tamento intorno alla fine degli anni Settanta. Da qui prende avviola densa, rigorosa monografia di Alessandro Terreni, La scelta dellavoce. La svolta lirica di Antonio Porta, che ha le carte in regola perdiventare uno dei testi di riferimento per l’interpretazione di que-st’ultima fase in particolare, ma anche di un po’ tutta l’opera portia-na. Terreni avvia la propria istruttoria attraverso un fitto lavoro diricostruzione delle numerose dichiarazioni di poetica di Porta in que-gli anni e dalla scelta singolare, se non unica, di segnare il propriocambiamento di rotta mediante una riedizione, che insieme riprendee riorganizza la produzione precedente, preparando l’avvio di unanuova stagione. Con Quanto ho da dirvi (1977), Porta tira le sommedella propria attività poetica, avviando una nuova fase, contrasse-

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gnata al tempo stesso dalla constatazione della difficoltà, se non ad-dirittura dell’impossibilità, di proseguire ancora sul fronte di unasperimentazione radicale, ma anche dalla persistente percezione, eticae politica, della necessità di non cadere nel silenzio, di continuare acomunicare e di combattere le tentazioni sia dell’afasia post-simbo-lista, sia dell’irrazionalismo attivistico, così diffuse, e così pericolose,proprio in quegli anni, già di piombo, di crisi mortale del “movi-mento” scaturito dal Sessantotto. Non è difficile capire i motivi, percosì dire politico-letterari, dell’accoglienza a dir poco perplessa,quando non decisamente ostile, che la critica di matrice avanguar-distica ebbe a riservare alle nuove proposta di Porta. E d’altro cantoappare necessario il consolidamento di un’interpretazione serena ecomprensiva, non assillata da preoccupazioni militanti, sia del com-plesso dell’opera di Porta, sia, in particolare, proprio della produzio-ne che va dal 1977 alla sua morte, fulminea e inopinata, avvenutanel 1989, a soli 54 anni.

Terreni, fra le altre cose, mette bene a fuoco lo stretto rapportoche si istituisce fra il Porta scrittore di versi e il Porta prosatore. Inparticolare, i segni della svolta comunicativa si manifestano vistosa-mente nel passaggio dall’“onirismo straniante” di un romanzo pie-namente sperimentale come Partita (1967) a Il re del magazzino(1978), romanzo sulle parole perdute di una civiltà morente, ma an-che sulle parole ancora da dire. Del resto, la stessa riproposta dellapropria produzione poetica precedente, in Quanto ho da dirvi, conlo scompaginamento sistematico delle strutture macro-testuali delleraccolte pure lì ripubblicate, si configura come un insieme di “istru-zioni per l’uso” per il lettore, sotto il segno di una ritrovata “comu-nicatività costruttiva” e di una positività possibile: alla quale si af-fianca la marcata riaffermazione di una rinnovata identità autoriale.

D’altro canto, l’indagine analitica sulle linee di forza dell’ultimoPorta viene preparata da Terreni, e attentamente contrappuntata,dallo studio delle dinamiche costruttive profonde della poesia delprimo Porta. Segnata, per dirlo in modo ultra-sintetico, dalla messain campo di una debordante oggettività, correlativa a un programmadi spettacolare regressione dell’io poetico, avversato e ridotto, feno-menologicamente, e anche un po’ sartrianamente (come parrebberosegnalare formulazioni come “si va verso l’Essere, o si va verso l’io”),a strumento di manifestazione del mondo, hic et nunc irriducibilenella sua flagrante materialità, proprio nel mentre che viene ridottoai minimi termini: dove “l’accentuazione di corporeità”, osserva acu-

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tamente Terreni, “piuttosto che darsi come fondamento dell’io, con-tribuisce alla sua riduzione”. Questo soggetto elementare, pulsionalee paradossalmente pre-soggettivo, si manifesta nel dispiegarsi stessodella testualità, rifrangendosi in una fenomenologia assai varia, dicui Terreni delinea alcuni fondamentali tratti formali e tematici: lasemantizzazione della disposizione grafica; l’ossessione giustapposi-tiva e iterativa, in una calcolata meccanicità, contrassegnata da “unoltranzistico anaforismo su base sintattica”; l’accostamento di seriediscontinue, che senza sosta disorientano il lettore; l’impossibilità diuna “normalizzazione del senso per via di metafora”, con la correla-tiva necessità di leggere “alla lettera”, come già persuasivamente in-dicato da Sanguineti. Per altri versi, l’invasione senza scampi del “ma-re dell’oggettività” produce, con un ulteriore apparente paradosso,l’accamparsi residuale di un io molto ben evidenziato, se non addi-rittura teatralizzato, e sia pure come luogo minimo di percezione edunque di manifestazione degli oggetti. Da questo punto di vista,come fa notare Terreni, quest’io “postula un uditorio presente e re-attivo”, e configura una relazione dialogica, nonostante tutto: unarelazione che non è forzato collocare già su una linea di relativa con-tinuità rispetto al dialogismo programmatico dell’ultima fase. D’altrocanto , l’inflessibile resistenza dello sguardo, minima e pure estremaresistenza di un’istanza ordinatrice del caos del mondo, si collocasotto il segno dell’allucinazione e della crudeltà, di una costante pro-vocazione nei confronti del lettore. Il che equivale al dispiegarsi diuna vigorosa istanza critica verso un mondo connotato come senzascampo violento e alienato. D’altro canto, come suggerito da NivaLorenzini e ben ribadito da Terreni, si manifesta un’ambivalenza pro-fonda, per cui il “distacco epochizzante, che cerca di cogliere i feno-meni nell’impassibilità di un soggetto ridotto, a-paticamente, a puraistanza epistemica”, e la stessa evidenza di un soggetto “assillato dallavisione del male”, convivono con l’“attrazione vitalistica per la mol-teplicità brulicante del reale, declinata biologicamente, verso la qualenon è possibile distogliere mai lo sguardo”.

Il passaggio di Porta a una lirica più apertamente comunicativa,al di là della questione delle percentuali di continuità o discontinuitàrispetto al percorso precedente, segna indubbiamente una ricolloca-zione all’interno di più complessive dinamiche di romanzizzazione,per dirla con Bachtin, del sistema letterario. Terreni fa peraltro op-portunamente notare come Porta recensisca in modo molto tempe-stivo Estetica e romanzo (uscito in traduzione italiana nel 1979), sul

Introduzione 9

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«Corriere della Sera» (La miniera Bachtin, 6 gennaio 1980). Parlaredi “romanzizzazione” della poesia, del resto, significa molte cose: an-zitutto, segnalare l’eclissi di un paradigma novecentista che certoPorta aveva subito risolutamente rifiutato, fin dai primi testi neo-avanguardistici; ma anche additare un percorso che privilegia insiemeuna dimensione narrativa e una dimensione dialogica. A questo pun-to, Porta “ha dunque deposto la tragica contrapposizione tra purosguardo e irriducibile violenza dei fenomeni, e ha riformulato il con-cetto di reale come campo di tensione dialettica tra soggetto e realtà”,dove il linguaggio appare come una dimensione “eminentemente di-namica e pragmatica”, ripensata a partire della teoria degli SpeechActs, di cui pure Porta è convinto fautore. Il soggetto in generale, equello poetico in specie, viene così ripensato a partire dalla necessitàdell’apertura agli altri soggetti: impegnando la scrittura poetica inuna torsione verso la comunicazione, dai caratteri marcatamente eticie in questo senso “lombardi”. Ne sono testimonianza alcuni feno-meni testuali, che Terreni indaga con puntuale acribìa: a cominciaredal tendenziale ricostituirsi dei nessi sintattici, che ne è con ogni pro-babilità il tratto più vistoso e caratterizzante. Ma l’accamparsi di unaspiccata dimensione dialogica fa tutt’uno anche con l’accentuarsidella teatralità, con importanti conseguenze anche sul piano dellascelta dei generi testuali (si pensi per esempio a Il giardiniere controil becchino). Soprattutto, si afferma in modo flagrante la dimensionedell’oralità, intesa sia come modalità comunicativa, sia come mani-festarsi della stessa materialità fonica dei suoni, nella sua necessariacompresenza con la materialità corporea del soggetto enunciatore.

Terreni studia con rigore le forme della testualità oralizzante delleopere di questo Porta, approfondendo i modi in cui la rimodulazionedel discorso poetico modifica, in particolare, la tessitura metrico-rit-mica, definita nel suo complesso come programmaticamente “so-vrabbondante”, e la costellazione delle forme retoriche della ripeti-zione. È doveroso sottolineare la finezza e l’autorevolezza con cui leanalisi di Terreni ridefiniscono le strutture dei versi prevalentementeaccentuativi di Porta, delineando un passaggio sostanziale a una poe-sia prevalentemente auditiva e orale, in ben percepibile contrappuntocon la dimensione invece spiccatamente visiva e scritta della poesiadel primo Porta. Le scelte di Porta appaiono, fra l’altro, decisamenteconsonanti con le intuizioni di Marshall McLuhan, secondo cui l’af-fermazione dei media elettrici ha dato luogo nella tarda modernità auna complessiva riaffermazione dell’oralità, a scapito della visività

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prevalente nell’era gutemberghiana. Per altri versi, il prepotente ri-torno della voce fa tutt’uno con la rinnovata valorizzazione del desi-derio, e del corpo in cui s’incarna. Al tempo stesso, il lavoro di Portamostra la vigorosa persistenza di una ineludibile dimensione etica elato sensu politica: la sua parola poetica appare infatti tutta tesa a farsipercepire come parola in atto, costantemente abitata da una sorta dicogenza performativa, nella quale la corporeità di ogni soggetto ap-pare sempre protesa verso la corporeità degli altri soggetti. In questomodo, la parola si afferma come gesto, come azione, e in quanto taleimplica ad ogni passo un’assunzione di responsabilità, un’etica delfare: perché lo scrivere è già fare, e come tale contribuisce alla fon-dazione di una collettività. Come spiega Terreni, “La nuova misura[…] risiede nella voce e nel respiro, attestazioni del soggetto presentein atto di comunicare, fondazione di un’intersoggettività condivisanell’irreversibilità storica dell’accadere.” Era necessario scegliere lavoce, insomma, per continuare a comunicare, e per continuare a spe-rare nella possibilità di cambiare il mondo.

Gianni Turchetta

Introduzione 11

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LA SVOLTA COMUNICATIVA DEGLI ANNI SETTANTA:

ANTONIO PORTA TRA VERSI E PROSA

1.1 Quanto ha da dirci Antonio Porta

Nel 1977, Antonio Porta è uno dei più affermati protagonisti dellascena culturale italiana: si è imposto all’inizio degli anni Sessanta neicircoli esclusivi della poesia d’avanguardia, e ha successivamente pra-ticato la narrativa sperimentale con il romanzo Partita; gli intellettualiconoscono i suoi contributi al dibattito su riviste come «il verri»,«Quindici», «Marcatré», mentre i non addetti ai lavori apprezzano lasua firma di critico militante su «Giornolibri». Ma Antonio Porta,come sappiamo, è lo pseudonimo utilizzato, per la sua attività poeticae letteraria, da un signore che, in realtà, si chiama Leo Paolazzi, ed èun’autorevole figura dell’editoria milanese e, di conseguenza, dell’in-dustria culturale italiana.

Nel 1977, Leo Paolazzi ha quarantun anni, e può vantare una pre-stigiosa carriera editoriale che, benché dietro le quinte della ribaltadove si presenta come il poeta Antonio Porta, lo ha portato a ricoprirenumerosi incarichi dirigenziali ai vertici delle maggiori case editricimilanesi: come manager, Leo Paolazzi ha infatti lavorato, tra il ’56 eil ’67, per Rusconi e Paolazzi1, dove si è occupato di riviste come

1 La casa editrice apparteneva, come noto, a Edilio Rusconi e a Pietro Paolazzi,padre di Porta, industriale nel campo della grafica e della cartotecnica.

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«Gioia», «Gente», «Rakam», del «Corriere dello Sport» e del settorelibri; nel ’68 è passato a Bompiani, dove è stato direttore amministra-tivo e assistente alla presidenza, e poi direttore generale di Bompiani,Sonzogno, Etas Libri, infine direttore editoriale della sola Bompiani.Dal 1977, inoltre, lavora nella direzione di Feltrinelli, da cui uscirànel 1981.

Antonio Porta/Leo Paolazzi può dunque vantare una quasi ven-tennale attività di versificatore, nonché la conoscenza diretta dei piùcomplessi meccanismi editoriali, allorché pubblica, nel 1977, unnuovo volume di versi, dal titolo Quanto ho da dirvi. Nel libro, intro-dotto da un acuto e affettuoso intervento dell’amico scrittore Giu-seppe Pontiggia2, Porta ristampa, disponendo i singoli testi in meroordine cronologico di stesura, le raccolte di versi che aveva pubblicatofino a quel momento, scompaginandone così le strutture macrote-stuali; il nuovo libro offre, in chiusura, tre nuovi poemetti datati trail 1974 e il 19753, precedentemente editi solo in rivista.

Quanto ho da dirvi segna uno spartiacque netto nell’attività poeticadi Porta: in seguito, infatti, la lirica portiana manifesterà apertamenteuna serie di sostanziali cambiamenti, al punto che è possibile per noi,oggi, scandire la trentennale carriera del poeta in due periodi distinti,articolati editorialmente in un prima e dopo il 1977. Le raccolte suc-cessive, a partire da Passi passaggi (1980), manifestano infatti, sia nellostile sia nell’impianto ideologico sotteso alla scrittura, una svolta moltopercepibile, che Fausto Curi sintetizzò in poche, lapidarie righe: «DaPassi passaggi [...] la poesia di Porta è presa gradatamente in una sortadi deriva soggettiva e lirica, mentre l’aggressività e la crudeltà si atte-nuano fino quasi a sparire e sfumature patetiche ne prendono ilposto»4. Curi svaluta la poesia del secondo Porta, poiché sente veniremeno «l’oscura e lampeggiante violenza delle prime opere» alla quale

2 Pontiggia 1977. 3 Si tratta delle tre lasse di Sull’alba, datate 1974; dei sette pezzi multistrofici diCrimini della poesia, datati 1973, 1974 e 1975; dei dieci pezzi prevalentemente mo-nostrofici di Passeggero, datati 1975. Sull’alba e Crimini della poesia erano stati pub-blicati per la prima volta in «Almanach de Shakespeare and company», n. 2, 1975,rispettivamente alle pp. 183-185, e alle pp. 186-192; Passeggero era uscito su «il verri»,n. 2, settembre 1976, pp. 10-13.4 Curi 1999, p. 384.

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«rimane affidata la sua memoria di scrittore fra i più straordinari delsecolo»5:

quando quella sua folle, insaziabile pulsione a ferire e a lacerare gliviene meno, o s’attenua, diventa un poeta come molti altri e piace aipinzocheri della nostra poesia, che prima ne avevano paura o lo di-sprezzavano, come può piacere un convertito in chiesa6.

Il giudizio di Curi, che circoscrive i migliori esiti portiani all’avan-guardismo più aggressivo, lungi dal risultare isolato, si inserisce in unalinea già tracciata, anni prima, da Romano Luperini. Luperini, pergiunta, retrodatava il riassorbimento della carica oppositiva portianagià alla metà degli anni Sessanta, dopo il primo libro: l’innovativitàdel poeta, dopo I rapporti, subisce, secondo Luperini, un manieristico«processo d’astrazione [che] induce a una rarefazione asemantica»7.Scriveva il critico:

questa negazione oppositiva tende a stemperarsi, sostituita talora daun rigurgito di lirismo (seppure sempre filtrato da moduli oggettivi),più frequentemente da una formalizzazione sempre più astratta conuna conseguente neutralizzazione degli oggetti e degli eventi messi incampo8.

Luperini e Curi esprimono, con particolare efficacia, un punto divista interno alle intransigenze dell’avanguardismo destruens: secondola loro lettura, la scrittura di Porta disegnerebbe un percorso involu-tivo, di graduale indebolimento, fino all’esaurimento dell’iniziale ca-rica di aggressività che era stata efficacemente scagliata, nelle primeprove dell’autore, contro forme, contenuti e pubblico della lirica po-stermetica; l’assunzione, all’interno del testo poetico, di una modalitàdi lirismo corrivo, precedentemente aggredito e pervicacementeespunto dai testi, viene interpretata come inaccettabile infiacchimentodell’urto contro la società e il pubblico borghesi, dunque come ripro-vevole allontanamento dalla linea baudelaireiana, esaltata con consa-pevole oltranzismo dai Novissimi, come spiegava Sanguineti: «Da

5 Ibidem.6 Ivi, p. 379.7 Luperini 1981, p. 845.8 Ibidem.

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Baudelaire in poi, ma più esattamente e più largamente, per tuttol’arco romantico e borghese, tutta la verità occulta dell’arte sta nel-l’avanguardia, che ne confessa indiscretamente il meccanismo nasco-sto, e in cui, finalmente, tutto il movimento della cultura romanticae borghese precipita con ferma logica»9.

Se, da una parte, la formula critica di Luperini su Porta non pareaccettabile senza riserve, specie davanti a testi, come in Cara, nei qualil’algido formalismo e l’esplosione fenomenica, combinati in esiti sin-tattico-figurativi di sconcertante provocatorietà, sembrano difficil-mente descrivibili in termini di «formalizzazione sempre più astratta»e di «neutralizzazione degli oggetti e degli eventi», dall’altra, però, èpossibile sostenere, con Curi e contro di lui, che Passi passaggi rappre-senti l’avvenuto attraversamento della poetica avanguardistica. Il rilievodi Curi coglie infatti in sintesi, per quanto lo valuti ne ga tivamente, losnodo cruciale della ricerca poetica di Porta, già interessata, in passato,da consapevoli mutamenti di direzione, come il poeta stesso tematizzapiù volte, e come vuole mettere in evidenza con la ripartizione diQuanto ho da dirvi in due sezioni, articolate attorno all’annus mirabilisdel 1968. Va detto, peraltro, che il discrimine della Contestazione pa-reva, al Porta del 1977, molto più importante per il suo lavoro diquanto non appaia a noi, oggi, quando esaminiamo la compiutezzadella sua produzione: anche per Porta, con Mengaldo, «è difficile [...]dire fino a che punto il “sessantotto” costituisca un discrimine»10 inmateria di poesia secondonovecentesca.

Il Sessantotto, infatti, non sembra comportare immediate ricadutedi rilievo sulla testualità portiana, benché eserciti importanti conse-guenze sulle pratiche sociali della sua scrittura: la crisi delle neoavan-guardie e la fine del Gruppo 63 sono, infatti, connesse ai ribollimentiideologici che accentuano la percezione dell’inanità della prassi lette-raria, ritenuta troppo debole e incapace di efficaci interventi sul reale,delegati ora a una prassi politica concepita sempre più estensivamente,fino all’inclusione del privato, secondo il noto slogan sessantottesco«il personale è politico»11. Ne conseguiva, come ha ricordato Vittorio

9 Sanguineti 1963, p. 57.10 Mengaldo 1978, p. LIX.11 Ginsborg 1989, p. 497.

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Spinazzola, la proclamazione del «primato assoluto dell’azione socialerispetto a qualsiasi esperienza di creatività artistica personalizzata»12,primato che investì, disgregandolo, il gruppo della neoavanguardia,posto di fronte alla divaricazione dell’intellettuale tra, ricorda Muz-zioli, «due figure opposte: il militante e l’operatore (un modello “tuttoideologia”, alla cinese, e un modello “tutto tecnica” da capitalismoavanzato)»13. Anche se, con Curi, «la totalizzazione della parola poli-tica minaccia di togliere spazio alla parola letteraria» e «si tratta alloradi politicizzare la parola letteraria»14, la contrapposizione tra parolaletteraria e azione sociale non sembra dialettizzabile, così che il lette-rario deve cedere alla concreta opzione politica, secondo l’esplicita sol-lecitazione di Balestrini:

Le ultime esperienze [del Gruppo 63 e delle nuove avanguardie] nonsono nuovi «ismi», sono la liquidazione generale: l’impossibilità og-gettiva di scrivere coerentemente altri romanzi, di fare altri quadri,di comporre altra musica nell’ambito dell’arte della borghesia. Ma lamorte dell’arte gridata dagli ideologi borghesi non è che la mortedell’arte borghese [...]. Fatta dalle masse e per le masse, una nuovaarte rivoluzionaria [...] può nascere solo da un salto rivoluzionario[...]. Non si tratta allora di “accantonare l’esteticità” […], si tratta diaccantonare l’esteticità borghese; e di operare politicamente per lanuova cultura rivoluzionaria15.

Anche Porta, alla vigilia della Contestazione, sembrò, sul pianodella riflessione teorica, schierarsi per un “salto rivoluzionario”: nel1967 l’autore lanciava un allarme contro la normalizzazione esteticadell’avanguardia (problema già esaminato da Sanguineti nelle sue im-plicazioni sociologiche e di mercato16), e affermava che «è assoluta-mente pericoloso usare delle tecniche [dell’arte d’avanguardia] comedi una langue: significherebbe il ritorno inevitabile alla “tradizione” el’adesione al riformismo in un momento in cui solo la rivoluzione èragionevole»17. A Contestazione avviata, però, l’attivismo di un’azione

12 Spinazzola 1989, pp. 7-8.13 Muzzioli 1982, p. 66.14 Curi 1969, p. 415.15 Balestrini 1969, pp. 10–11. Corsivi nel testo. 16 Cfr. Sanguineti 1963.17 TI, p. 26. Corsivo mio.

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esterna alle pratiche di formalizzazione artistica viene respinto: man-tenendo costantemente viva, nei decenni, la funzione mediatrice, direirazionalizzante (nel senso etimologico di misuratrice, ordinatrice) dellinguaggio nei confronti del caos fenomenico reale, Porta, semmai,approfondisce la ricerca di una modalità di intervento dialettico sulreale che operi attraverso la prassi di elaborazione testuale. Rievocando«Quindici», e con un’allusione nemmeno troppo indiretta al citato ar-ticolo di Balestrini, intitolato La rivoluzione dei pifferi18, Porta sinte-tizza, anni dopo, la sua visione dei rapporti tra impegno politico eimpegno artistico, in affermazioni le cui implicazioni polemiche, sep-pure raffreddate dalla distanza cronologica, sono ancora oggi chiara-mente percepibili:

L’arte, diceva Vittorini, non può certo “suonare il piffero della rivo-luzione”: non basta: l’arte deve fare qualcosa di radicalmente diversoe opposto, perché chi fa l’arte deve sapere bene che Rivoluzione e Po-tere sono soltanto le due facce del medesimo Dio […]. Ora, che l’artesia anche un atto politico non è possibile negarlo, ma si tratta delsenso politico di una società che è già altra, cioè di un’affermazionedi principi che riguardano l’esistenza: che nulla hanno più a che farecon quelli tenuti in circolazione come moneta buona dalla “ClasseDominante”, cui certo non si oppone, né mai si è davvero opposta,l’Élite Rivoluzionaria, proprio perché entrambe utilizzano un tipo diImmaginazione funzionale alla strategia del Dominio; dunque quellache c’è sempre stata, quella che lo slogan del ’68 voleva sostituire conun’immaginazione altra che riguarda, ce ne siamo resi conto a con-clusione degli anni ’70, molto più la creatività individuale e socialeche non un’alternativa strettamente politica, la quale sarebbe possibilesoltanto dopo l’affermarsi di principi di elaborazione del conoscerenon più compromessi dai parametri di una ragione legata alle strategiedel dominio (UV3, p. 8)19.

Il percorso intellettuale che conduce Porta, tra la Contestazione ela fine degli anni Settanta, ad assestarsi progressivamente su versantiche, a chi professava il superamento della dimensione intellettuale daparte dell’azione politica, poterono sembrare per lo meno moderati,

18 Con esplicito richiamo alla celebre lettera aperta di Vittorini a Togliatti, sul nu-mero 35 del «Politecnico», nel 1947.19 Corsivi nel testo.

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se non decisamente di retroguardia, si precisa in una poetica della mu-tazione: Porta, desumendone il concetto da scienze naturali come labiologia e la genetica, colloca la mutazione al centro della sua «ideo-logia della trasformazione che potrà certo essere accusata di “riformi-smo” ma che può, nello stesso tempo, ribadire con forza la necessitàdi ridefinire una poetica in progress, capace di racchiudere in sé tuttele energie che scaturiscono dall’idea di trasformare il mondo»20.

L’immagine della mutazione rimanda alla continuità naturale nellamolteplicità delle sue forme, come ad affermare che natura non facitsaltus. Il male, già enunciato con gelido sgomento ontologico nei Rap-porti, viene così ricompreso materialisticamente all’interno dell’inar-restabile ciclo naturale di vita e morte, avvertito da Porta, con irrisoltaambiguità neoromantica, come fondo autentico dell’esistenza sul qualeprogettare una collettività che risolva il politico nell’antropologico,nell’umano. Porta, di fronte alla scelta tra letteratura e azione diretta,opta pertanto per la continuità creativa, come si può constatare nelleraccolte che seguono il Sessantotto le quali, infatti, pur nel complessivosnellimento dell’impianto macrotestuale, mantengono rapporti moltostretti, sul piano dei singoli testi, con la poesia del de cennio prece-dente.

Metropolis (1971) e Week-end (1974), infatti, si collocano in conti-nuità con le più vistose scelte formali delle precedenti raccolte: si pensi,ad esempio in Metropolis, alle sequenze rigidamente anaforiche diQuello che tutti pensano, in cui si richiamano i martellanti sintagmi adue ictus di Come se fosse un ritmo in Cara, secondo un processo di am-plificatio ritmica che dilata sintatticamente i versi, ma ne trattiene i li-miti metrici entro due prominenze intonative (le segnalo in corsivo):

si servono di uncini si alzano dalle sediechiedono dei fagioli azzannano i bambiniamano la musica si tolgono le scarpeballano in cerchio seguono lo spartitoescono dalle finestre vanno a fare il bagnoaprono la botola rientrano dalla finestra (CA, p. 173)

20 UV1, p. 9. Corsivi nel testo.

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che occorre ignorare i rapporti umaniche le minoranze sono sempre più intelligentiche il dolore è utileche la civiltà si fonda sulla morteche la felicità è il nuovo mito consumisticoche la realtà deve avere un futuroche è finita l’arte borghese non l’arteche un nuovo stato rivoluzionario esprimerà una nuova arte(ME, pp. 233-34).

La continuità dell’oltranzismo formale si osserva anche nella costel-lazione (tipo)grafica di Rimario, che chiude Week-end, e riafferma unatendenza all’iconizzazione del testo, affiorata localmente nei Rapporti(in Quadro sinottico, per esempio; o, conclamata, in Zero) e vistosa-mente sfruttata in Cara, come vedremo meglio. Proprio nel -l’introduzione di Week-end, Maria Corti deve sostenere che «in ognisuo libro [l’autore] si è investito del ruolo di sperimentatore dei possi-bili rapporti tra sé e il mondo»21, e sottolinea così come Porta non ri-nunci comunque, anche a decennio inoltrato, ad operare un’inesaustasperimentazione di forme.

Seppure, quanto agli esiti formali sulla poesia portiana, vada alloraridimensionato, l’urto del Sessantotto non va, però, sottovalutato: laContestazione accentua, in Porta, l’insofferenza per i modi più anti-comunicativi dello sperimentalismo, da lui già praticati, e per un lin-guaggio che viene percepito da Porta stesso, dopo Cara, come manierapostuma: come dirà l’autore, «la fase più strettamente sperimentaledel mio lavoro si è chiusa nel ’69 con Cara» (PR). L’intrinseca obso-lescenza delle avanguardie, alle cui radicali innovazioni, come ha spie-gato Schulz-Buschhaus22, il pubblico della modernità si abitua

21 Corti 1974, p. 9.22 Schulz-Buschhaus 1995, pp. 43-44: «Dal punto di vista della produzione, l’in-vecchiamento dell’avanguardia si manifesta nel rischio di una progressiva afasia. [...]Si vede così come proprio la legge dell’innovazione, cioè la legge fondamentale delmoderno, assorbisca e consumi inevitabilmente le sue stesse risorse. Quanto più lepossibilità artistiche si rinnovano, tanto più si allarga contemporaneamente (e ne-cessariamente) l’arsenale dei procedimenti che ci risultano convenzionali. È facileosservare come di fronte a questa aporia l’arte radicalmente moderna si è avvicinatasempre più al silenzio».

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rapidamente, aveva quindi fatto sentire i suoi effetti, disinnescandola carica inizialmente eversiva della poesia novissima; a ciò si aggiun-geva, poi, l’espropriazione della critica dello status quo: rivendicata dallinguaggio poetico come propria e strategica funzione, la protesta, dalSessantotto, era passata all’azione diretta. D’altro canto la poetica delsilenzio, suggeritagli, nel 1971, anche da Amelia Rosselli (che non ca-pisce, recensendo Metropolis, «dove porti l’autodistruzione verbale cheil poeta fa di se stesso: meglio forse il silenzio, l’attività politica reale»23),sarebbe apparsa a Porta come un’inaccettabile abdicazione intellettualedi fronte alla rapidità e alla molteplicità dei mutamenti socioculturaliin atto, i quali proprio nel linguaggio poetico potevano continuare atrovare, attraverso la comunicazione, uno strumento di coscienza e diemancipazione dal potere: dichiarerà Porta che «un progetto comequello della nuova avanguardia ha bisogno di un gruppo. Quandoquesto progetto linguistico finisce, si prova per forza il desiderio di[…] esplorare le forme più dirette, più semplici, più comunicative.[…] Ecco che allora comunicare diventa il nuovo progetto»24. Controil silenzio della poesia, e schierandosi per una poesia come pratica diautonomia, dal significato in sé anche politico, Porta stesso renderàesplicite le sue argomentazioni qualche anno dopo la sua crisi:

Diciamo più correttamente che c’è un maggiore spostamento in di-rezione del versante comunicativo che non in direzione del silenzioe il lavoro della poesia è fatto proprio per evitare di cadere nella trap-pola che è la poetica del silenzio. A questa poetica io mi oppongo vio-lentemente perché essa equivale al riconoscimento rassegnato che nonabbiamo più niente da dire. Questa posizione equivale a dire: «fatevoi»; no, non ci sto: «facciamo noi». Proprio questi sono i duemondi, il mondo del «fate voi» è costituito dai critici, dai professori,dai politici che si servono di un sapere dato; la poesia, invece, pro-duce sul versante opposto, non vuole deleghe, le toglie (SP, pp. 141-42)25.

Da Cara alla metà degli anni Settanta, allora, Porta affronta, dauna parte, l’impossibilità di proseguire la ricerca in senso rigorosa-

23 Rosselli 1971, p. 26.24 Sasso 1980, p. 5.25 Corsivo mio.

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mente formalistico/sperimentale, vuoi per l’esaurimento interno dellatensione manipolatoria sul linguaggio, dopo gli esiti estremi del libroe di alcuni testi delle raccolte successive, vuoi per la paura di cadere,iterando soluzioni formali precedentemente escogitate, nell’accademi-smo autocelebrativo della propria maniera; dall’altra, però, si proponedi vincere la sfida irrazionalistica dell’azione senza linguaggio, resi-stendo allo scacco della parola e al silenzio, e opta, responsabilmente,per il «progetto di dare forma alla comunicazione» (NF, p. 76).

Proprio dalla quarta di copertina di Quanto ho da dirvi, dunquedopo Cara ma prima di Passi passaggi, il lettore di Porta apprende chela comunicazione è un «elemento non trascurabile» dell’intera operadell’autore: Porta ha già deciso, a metà decennio, per l’oltrepassamentodei modi anticomunicativi dello sperimentalismo radicale, benchénon per l’abbandono della sperimentazione tout court. Il linguaggiopiù diretto di Passi passaggi, nel 1980, non rappresenta, dunque, uncambiamento repentino, o un cedimento corrivo, ma viene preparatoda almeno mezzo decennio di ricerca linguistico/formale: la scritturadel secondo Porta attua, pur mantenendosi entro i difficili confinidell’iperletterarietà, una transizione verso una nuova leggibilità che,se non è di massa, è certo meno ardua, fondata come appare su unamaggiore trasparenza semantica e una più salda coesione sintattica deitesti, e in corrispondenza di un atteggiamento autoriale più portatoalla collaborazione che alla colluttazione con i lettori. Come infattiPorta dirà nel 1985, «avevo [...] l’impressione di aver toccato il limitedi certo mio trobar clos con Passeggero e che fosse giunto il tempo diuna svolta decisiva» (NF, p. 75): Passeggero è precisamente il poemetto,datato 1975, che chiude Quanto ho da dirvi.

Il nuovo progetto di poetica risale all’anno successivo: «Almenodal ’76 in poi, io preferisco lavorare più sul versante della comunica-zione poetica» (PC, p. 290); la contrapposizione con il primo periodoviene esplicitamente tematizzata, dal momento che, ricorda Porta, aitempi delle avanguardie «si lavorava di più sulle strutture del linguag-gio poetico [...] pur senza perdere di vista il significato» (PC, p. 289).La poetica portiana si muove così verso un decremento dell’opacitàtestuale, che aveva caratterizzato gli anni Sessanta26, e si misura ora

26 Moroni 1991, pp. 44 sgg.

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con forme di comunicatività, attraverso l’innovativo progetto delleBrevi lettere in versi. Porta stesso, ripercorrendo con John Picchionequesta sua fase, ricorderà:

Penso addirittura di poter dare una data a questa svolta perché mi ri-cordo abbastanza bene il periodo: è il 1976 [...]. Ad un certo puntomi sono reso conto che tutti i progetti che avevo portato a termine,compreso appunto Passeggero, mi portavano in una situazione senzauscita: o potevo diventare ripetitivo, allora diventavo, come dire, unmanierista di me stesso, oppure dovevo assolutamente trovare una viad’uscita. La via d’uscita può essere definita come un progetto di co-municazione poetica, ecco perché ho cominciato a scrivere le brevilettere. Brevi lettere era il primo titolo di questa serie che ho comin-ciato proprio nel 1976. La via d’uscita può essere definita come unprogetto di comunicazione poetica27.

Il progetto delle Brevi lettere in versi, che Porta inaugura nel 1976e che condurrà, inframezzandolo con altri progetti, fino alla pubbli-cazione di L’aria della fine (1982), segna la transizione tra il paradigmaespressivo del primo Porta e la sua riconfigurazione, pienamente com-piuta in Passi passaggi, in un sistema rinnovato.

Risulta interessante, a questo punto, notare che tale riconfigura-zione prende le mosse da un’istanza di pedagogismo illuminista, privodi garanzie trascendenti e immanentemente fondato, visto che il pro-getto delle Brevi lettere, come dice Porta, nasce su diretta richiesta «deimiei primi due figli [...] di comunicare per mezzo delle mie poesieche fino a quel momento erano sembrate loro troppo chiuse, troppoda interpretare»28. Dunque una poesia che, lontana tanto dai cerebra-lismi combinatori di Cara quanto dalla reazione orfica del canto in-namorato, si assesta nel concreto e intersoggettivo campo dell’utile,dell’utilizzabile, del comunicabile. Si rilegga, allora, la Lettera n. 7, da-tata 19.4.1976 ed esplicitamente rivolta ai figli adolescenti, i ragazziniche, se privati di un metodo, non potranno salvare né il mondo néloro stessi:

educare al razionale all’interrogarecosì come s’interroga il linguaggio col fare

27 Picchione 1986, p. 248. Corsivo mio.28 Ivi, p. 75.

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la poesia ricercare la poesia ragionareè non per quell’educazione sentimentaleda maiale feroce da tacchino omicida da bufalodunque fuori dalla famiglia questo sì molto fuoriluogo dell’educazione sentimentalevi ho portati fuori questo è vero per via della salute:passeggiare ragionare opporrebaciare senza mordere (AF, pp. 369-70).

Il testo è radicalmente critico dei fallimentari modelli educatividella tradizione cattolico-borghese che maschera, con l’ideologia delsentimentalismo naturale, un modello aggregativo (nella fattispecie,qui, famigliare) fondato, in realtà, sulla prevaricazione del più forte.Viene dunque respinta l’irriflessa «educazione sentimentale/da maialeferoce da tacchino omicida da bufalo» imposta ai giovani (la voce liricasi rivolge ai suoi figli adolescenti29), a vantaggio di una salutare con-sapevolezza, empiricamente sollecitata, delle relazioni umane («pas-seggiare ragionare opporre»: esperire e confrontare), consapevolezzache può maturare razionalmente solo nella lontananza dalle asfitticheistituzioni della società borghese («fuori dalla famiglia questo sì moltofuori/luogo dell’educazione sentimentale/vi ho portati fuori») all’in-terno delle quali viene preclusa la pienezza della «salute» materiale, odella “salvezza” che dir si voglia.

Nel contempo l’io lirico afferma l’esigenza di accompagnare, allasua pedagogia dell’esperienza vitale, una reversibile dialettica tra azionee parola, di «interrogare il linguaggio col fare», affinché non vengameno l’esercizio di una ragione critica che, mediando l’impatto conl’immanente, converta la violenza dello stato naturale, repressa equindi esasperata dall’educazione cattolico-borghese, in una proget-tualità di contatto costruttivo («baciare senza mordere»), sullo sfondodi un orizzonte epistemologico che mantiene ben distinte azione e pa-rola, e non stabilisce nessuna supremazia dell’una sull’altra, anzi ne

29 Voce lirica che, ovviamente, non corrisponde a quella dell’Antonio Porta padrereale, anche se così l’autore affermerà successivamente, ma si tratta della voce del-l’anonimo protagonista del Re del magazzino il quale, nella finzione narrativa, scrivele sue brevi lettere come missive per i figli.

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postula la reciproca necessità dialettica. Si legge infatti nella Lettera n.28:

se dice: è una misuratu pensa: è una contromisurase dice: è contro l’inflazionetu pensa: è per l’inflazionese dice: stangatatu sai: stavolta deve essere vero(questa lettera è semplicecome il gioco delle tre tavolette)pur conosciuto il marchingegno ingannaper davvero Achille non raggiunge mai la tartarugail dire non è mai il fare(AF, p. 380).

Come si può notare, la demistificazione – di ascendenza novissima– degli usi indotti del linguaggio, qui rappresentati dalle formule ste-reotipate e massmediaticamente amplificate della politica, resta vigilee attiva nella nuova poesia di Porta. E si riafferma la distinzione, chenon diviene mai un’alternativa, tra azione e parola: se «il dire non èmai il fare», anche il fare non è mai solo il dire, perché le diversificateforme della prassi materiale richiedono, tra loro, un’integrazione re-ciproca, nell’orizzonte di una comunicazione progettuale in cui il testosi lascia leggere soprattutto per ciò che ha da dire e non, metatestual-mente, per ciò che è o, che è lo stesso, per come funziona.

Possiamo dunque individuare, nella svolta poetica di Porta, ancheil passaggio dalla prevalenza di una visione intransitiva del testo, con-cepito come opaco oggetto verbale, tendenzialmente iconico, da de-codificare metatestualmente nei suoi meccanismi di aggregazionemateriale, alla prevalenza, dopo la svolta, di una visione del testo poe-tico come semanticamente – benché non aproblematicamente – at-traversabile, pur mantenendo esso la proprietà, di matrice novissima,dell’utilizzabilità, proprietà che richiama, a sua volta, l’azione mate-riale del testo sulla «vitalità del lettore» già affermata da Giuliani30, eche ricolloca con decisione il baricentro della dialettica testo-lettoreverso il secondo polo della relazione, più che sul primo. La forma lin-

30 Giuliani 1961, p. 17.

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guistica della poesia, infatti, si dà ora come funzionale alla trasmissionedi un messaggio che si vuole accolto da un destinatario, cui l’io liricosi rivolge direttamente nei modi elocutivi, spesso confidenziali, di unconfronto in praesentia:

[…] dico loro «le rosesono rose e i nomi nomi [...] la mia poesia, continuoè un fare non è un essere, o l’essere,se proprio lo volete, per me è un fare...(IN, p. 408).

La poesia agisce («è un fare»), allora, nello iato dialettico tra «rose»(le cose, le singole realtà esistenti) e «nomi» (la parole saussuriana, il co-dice astratto che denota ciò che percepiamo), come messaggio da con-dividere con gli altri («dico loro», «se proprio lo volete»), in unascommessa comunicativa individuale («la mia poesia»), sprovvista di qua-lunque garanzia trascendente, dal momento che essere è fare, mutamentoimmanente, prassi materiale, dialettica storica che sempre si rinnova.

Lungi dunque dal segnare un arretramento verso la restaurazionedi modalità espressive già demistificate dalle nuove avanguardie, ilpercorso di Porta va letto come la coerente evoluzione di un linguaggioche, già additata attraverso l’avanguardismo la convenzionalità storicadi linguaggi e sensi dati dal capitale come assoluti, rivolge ora su sestesso la consapevolezza della propria, storica, mutabilità. La trasfor-mazione espressiva che ne consegue evita, così, la sclerosi astorica delmanierismo che, nel quadro di una coerente dialettica materiale deilinguaggi, non può in alcun modo sussistere, poiché

Qualsiasi lingua, qualsiasi linguaggio, poetico o artistico, non puòinfatti rimanere vivo e vitale se tolto dal mondo che lo ha concepitoe fatto nascere; non esiste, in altre parole, un linguaggio assoluto equello che a noi pare “eterno” è in realtà sempre e comunque una let-tura attualizzata di un’opera (NM, p. 60).

Sono affermazioni degli anni Ottanta, certo, ma non è chi nonveda la coerenza di metodo con quanto Porta affermava già nel fatidicoanno di fondazione del Gruppo 63, richiamando l’inessenzialità del-l’appartenenza a un gruppo e l’intrinseca oltrepassabilità dei linguaggiche si vogliano d’avanguardia:

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Chiunque deve sapere che la sua posizione è automaticamente d’avan-guardia una volta che si sia posto in condizione di operare in ricercheal di là del noto. […] Ed è contro l’avanguardia che deve armarsi chi ha scelto, bene, unaposizione di mobilità avanzata. Sembra paradossale ma è indispensa-bile che i momenti di proiezione trovino la loro ragione profonda neimomenti di ripiegamento. L’avanguardia deve perdere ogni altro si-gnificato che non sia quello di stimolo: l’artista si trova a disposizionei mezzi desiderati per un impiego proficuo e deve evitare di far girarecatastroficamente a vuoto i meccanismi preziosi (CN, pp. 74-75).

La svolta di linguaggio non implica peraltro l’abbandono, sulpiano rappresentativo, della vigorosa denuncia delle forme storichedel male il quale, semmai, da indeterminato e ineludibile principiometafisico, come si presenta nei Rapporti, si identifica ora con maggiorprecisione nelle sue manifestazioni storiche, concretamente materiali.Le Brevi lettere del 1976, per esempio, con gli espliciti richiami al mas-sacro del Circeo («la ragazza/sprangata soffocata annegata e prima vio-lentata/coi cazzi coi manici delle scope che ora giace/ai pedi dell’autodove è stata rinchiusa»), al genocidio palestinese di Tall el Zaatar («perla prima volta un giornale che dicono/di opinione laica a diffusionenazionale ha scritto in grande/la parola tabù: genocidio per informarcidi quello che succede/da un mese a Tall el Zaatar»), ai duri scontrioperai in Polonia («dicono che sono 17 e non 3 le vittime operaie») ead altri episodi della cronaca corrente (la cattura del cannibale di Dui-sburg, o la morte del boia nazista di Boves, Joachim Peiper), sembranodifficilmente riconducibili, pur nella loro sintassi più distesa, e tuttaviasempre arditamente manipolata, all’adesione di Porta a modalità discrittura decorative e neoborghesi; e anche in seguito, fino al Giardi-niere, ad esempio in Fuochi incrociati (1988), l’irruzione della violenza,sotto forma di terrorismo politico che sconvolge la già feroce inco-municabilità della matura coppia altoborghese protagonista deldramma, non sembra rientrare nei canoni del gusto ultralirico, graditoai pinzocheri della nostra poesia, che Porta avrebbe abbracciato, vol-tate le spalle all’oltranzismo avanguardistico, secondo certa critica.

Un’efficace esemplificazione della nuova sintassi della poesia por-tiana, dai modi più aperti alle consuetudini del lettore, e tuttavia scon-certante (e forse, in quando meglio comprensibile, in modo più ef ficace)nei contenuti, è costituita dalla Lettera n. 10, datata 28.4.1976: l’ag-

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gressione omicida a Gaetano Amoroso, militante di sinistra, vittima diun’attentato squadrista nel centro di Milano il giorno prima della ste-sura del testo, viene ricondotta dal poeta alla mai totalmente rimossacultura fascista che, nascosta dalla facciata delle istituzioni repubbli-cane, riprende vigore negli anni Settanta, intaccando pericolosamenteil funzionamento democratico della società italiana:

[…] le lamele stesse che due/tre ore fa hanno usato qui a duecento metridal posto dove lavoro così continuo a riscriverlo che qui dentro c’è nazismo in tutti gli angoli la pisciadi quel potere che sono costretto a usarla questa parola concretacome l’aria tagliente che in giro sono i coltelli e tuche m’informi «ma i fasci le pistole ce l’hanno» e si sase ti chiamano compagno e ti volti ti bucano: «come si faa fare senza» ma rispondo che arrivano sempre da una parte solala loro e lì ritornano dunque a che scopo continuare a scrivervisolo per questo per potervelo direche avete proprio ragione e nel profondo a non sopportarliquesti noi adulti/bambini che i fascisti se li tengonoanche nella camera dei deputati come nello zoo(AF, p. 371).

Il nuovo rapporto con il lettore, come si capisce, si esercita concre-tamente, vien da dire punto per punto, sui fatti reali, anche della cronacaminore, cittadina, come anche nei versi seguenti, in cui ogni sospettodi sentimentalismo neocrepuscolare (il testo si chiude con un «vi ab-braccio forte») viene a priori spazzato via nella cruda violenza delle im-magini e del linguaggio, equivalenti figurativi della violenza reale che,ossessivamente, continua a turbare lo sguardo del soggetto enunciante:

mi racconti: il poliziotto li ammanettava alle sbarrelì in piazza stuparich dove c’è la cancellata e charliemingus – poi gli dava col manganello sui coglioni e chiedevati fa male? e la risposta era: sì! e allora menavadi nuovo e la risposta era: no! allora smetteva e smettevanoanche sugli altri legati al cancello con le manette [...](AF, p. 369)31.

31 Si fa riferimento ai disordini del 25 marzo 1976 all’allora Palalido di Milano(piazza Stuparich n. 1), in occasione di un concerto del musicista jazz Charlie Min-

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Come poi si vede, Porta non abbandona lo sperimentalismo toutcourt – di cui i testi citati costituiscono già un esempio, nella loroquasi programmatica mimesi del parlato – né si acquieta in formulericonoscibili di canto spiegato (benché luoghi di effusione lirica par-ticolarmente tersi affiorino fin dalle lettere del Re del magazzino 32),né fonda soggettivisticamente – e quindi neoidealisticamente – il suolinguaggio, che una riflessione teorica parallela alla scrittura in versi,sparsa in recensioni e interventi via via più fitti nel corso degli anni,connette con insistenza a un piano esistenziale storicamente e social-mente determinato, come si è in parte già visto.

Fondamentale per la svolta portiana è la rielaborazione autonomadel pensiero di Bachtin, che la cultura italiana incontra alla fine deglianni Sessanta: il filosofo russo, di cui Porta recensì, nel 1980, Esteticae romanzo33, corrobora la visione portiana del linguaggio poetico comesocialmente fondato, sia nel senso della presenza di una tematica diinteresse collettivo all’interno dei suoi versi, sia nel senso di una fon-dazione sociostorica della lingua poetica: «il linguaggio della poesiasta “dentro” la lingua, come la storia degli uomini ce la consegna, nonfissata per sempre ma in continua trasformazione» (NF, p. 5). In-somma, anche dal punto di vista della socialità del linguaggio dellapoesia, oltre che dal punto di vista schiettamente formale, Porta cercadi impostare anti-idealisticamente un percorso dialettico che coinvolgalinguaggio, esperienza e società, all’interno di un’operazione intellet-tuale che si scopre, nei suoi continui richiami al reale della contingenzastorica, in stretta contiguità con l’esperienza della linea lombarda.Porta coglie, con sicura sensibilità, l’esigenza di riportare il poeta e ilsuo linguaggio sul piano materiale della storia, come terza via rispettoall’isterilimento autoreferenziale e alla dialettica coatta avanguardia –accademia, secondo quanto anche Walter Siti auspicava in quegli stessianni di postavanguardia:

gus, organizzato in collaborazione con il quotidiano «Avanti!» in sostegno dell’occu-pazione di alcune fabbriche. Negli scontri tra polizia e gruppi di giovani rimase leg-germente ferito anche il socialista Ugo Intini, allora direttore della testata.32 Come la mai più ristampata Poesia dedicata a Scardanelli: «lì dove un ordito s’in-crina/sono gli dèi/dove le screpolature della terra accolgono semi/lì sono gli dèi [...]»(RM, p. 111).33 Cfr. MB.

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Tutto il lavoro di «scomposizione in fattori» è nato dalla necessità didemistificare la «soggettività lirica» come falsa individualità; ma si di-rebbe che il discorso è andato troppo oltre, e si è spinto fino a negarein assoluto la soggettività, senza avvertire che in una situazione comequella attuale del rapporto tra poesia e pubblico la soggettività è forsel’unico ponte verso la riconquista di un discorso intersoggettivo. Soloriflettendo sul proprio «mestiere» il poeta può uscire dall’isolamentoe ricollegarsi a un discorso storico34.

Si tratta di un orizzonte comunicativo certamente mai irenica-mente istituito una volta per tutte, privo com’è di qualsivoglia garanziametafisica, ma soggetto a crisi continue, vuoi per l’escursione moltoampia di temi e di toni nei testi dell’autore, vuoi per l’assenza, dopola mareggiata avanguardistica, di un complesso di convenzioni stabiliche garantiscano l’automatica e aproblematica riconoscibilità dellospazio poetico, da ridefinirsi perciò ogni volta: come si diceva, il su-peramento dell’avanguardia non implica né l’abbandono della speri-mentazione, né la capitolazione a lirismi entusiastici di sorta.

1.2 La scelta del romanzo

Confermata la periodizzazione di Curi e assunto Passi passaggicome opera inaugurale della seconda stagione lirica portiana, si segnalaperò che la ricerca di maggiore leggibilità aveva già dato un importanteesito editoriale due anni prima, con l’uscita, nel 1978, del secondoromanzo di Porta, Il re del magazzino. La relazione tra l’evoluzione dellinguaggio poetico dell’autore e il romanzo è molto stretta: alcuni trattiformali dell’opera risultano, infatti, vistosamente allineati alla ricercadi comunicatività in versi, i cui primi esiti, le Brevi lettere del 1976,vengono integrati nella narrazione che, a loro volta, avevano solleci-tato. Afferma infatti l’autore:

nel 1976 […] dopo avere scritto una serie di poesie in forma di let-tera, mi è venuto in mente di spingermi al di là della cronaca che le

34 Siti 1975, pp. 61-2.