La scala spezzata

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Prigioniero della propria fama per la celebre trasvolata del 1927, assediato dai media che ne hanno fatto la prima vera star globale, Charles Lindbergh si rifugia con la giovane moglie a Hopewell, nel New Jersey. Una notte del 1932 la grande villa in mezzo ai boschi che Lindbergh ha fatto costruire per difendere la privacy della famiglia si trasforma in un luogo da incubo: qualcuno penetra nel rifugio e rapisce Charles Jr...

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Marco Bardazzi

LA SCALASPEZZATARomanzo

Editrice FiorentinaSocietà

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In copertina:Poster diffuso dalle autorità del New Jersey

dopo la scomparsa di Lindbergh Jr., 1932(© Bettmann/Corbis)

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A Letizia

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Parte prima

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1. spirit

20-21 maggio 1927

Forse era il momento giusto per il primo panino.A Long Island, in un’alba lattiginosa lontana secoli, il

droghiere ne aveva preparati cinque per lui, tutti al prosciut-to. Erano ancora là sotto, avvolti nel sacchetto di carta mar-rone. Bastava allungare una mano per tastarne la presenzarassicurante, sotto il sedile rudimentale della cabina di pilo-taggio, così spoglia nella sua essenzialità di metallo. Volavada quindici ore e tutto quello che si era concesso era statoqualche sorso d’acqua.

Un panino poteva aiutare. Del resto, che altro c’era dafare? Le stelle comparivano di tanto in tanto ed erano l’uni-ca possibilità per tentare di orientarsi. Spirit of St. Louis erapiombato dentro una serie di immensi banchi di nuvole emicroscopici ghiaccioli, nel pieno di una tempesta magneti-ca che aveva reso inutilizzabile anche la bussola.

Inutile sporgersi dai finestrini laterali, per cercare unvarco in quella montagna di vapore acqueo che avvolgeval’aereo.

Nel buio più totale.In un luogo da qualche parte sopra l’Oceano Atlantico.La temperatura era scesa sensibilmente e l’uomo solitario

ai comandi si strinse dentro il giubbotto da aviatore. Tenevala cloche con una sola mano, per permettere all’altra di tro-vare un po’ di tepore sotto un’ascella. Con la mano attiva,cercava di avvertire ogni minima variazione nelle vibrazioniche la struttura dell’aereo trasmetteva al polso, al bracciostanco e al corpo indolenzito. Sotto il casco di pelle, le orec-chie erano tese per intercettare possibili segnali d’allarme: unbattito fuori ritmo nel rumore monotono del motore, un tin-

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tinnio metallico insolito. Modifiche impercettibili nella rou-tine sonora che potevano essere avvisaglie di un disastro.

No, niente panino per ora. C’era da risolvere un proble-ma più serio.

Sopravvivere.Di deviare la rotta per puntare a sud, cercando di uscire

dal banco di nuvole, neppure a pensarci. Aveva impiegatosettimane a calcolare quanto carburante stipare nei serbatoie a togliere ogni peso superfluo per far spazio a gocce ulte-riori del prezioso liquido: non poteva permettersi di spreca-re niente. Parigi era ancora lontana, lontanissima.

Se mai ci fosse arrivato.L’unica speranza era l’istinto. «Ho visto di peggio», con-

tinuava a ripetersi, tornando con la memoria alle avventuredegli anni passati, ai terribili rischi dei voli tra St. Louis eChicago affrontati ogni giorno per consegnare i sacchi dellaposta. L’istinto e la capacità di ragionare a mente lucidaanche nei momenti peggiori lo avevano sempre aiutato, insie-me a una buona dose di fortuna. Non era un caso se la stam-pa lo aveva ribattezzato con quel soprannome che franca-mente odiava, Lucky Lindy.

Se gettava uno sguardo indietro, al percorso tortuoso deiventicinque anni che lo avevano portato fin dove si trovavaora, non era certo di rintracciare molte prove della fortunache tutti gli attribuivano. C’erano state disgrazie, una casache da piccolo adorava andata in fiamme, la famiglia sfascia-ta. Per non parlare dei soldi, che mancavano sempre. Manessun momento, meglio di quello attuale, poteva servire adimostrare se davvero la buona sorte provava una qualchesimpatia nei suoi confronti.

Controllò per l’ennesima volta il pannello dei comandi,illuminato debolmente da una lampadina tascabile. Unaparete di strumenti occupava tutto lo spazio dove avrebbedovuto trovarsi il parabrezza. Si sorprese a sorridere, ricor-dando gli sguardi allibiti dei progettisti della Ryan di SanDiego, quando aveva descritto loro l’aereo che voleva pertentare l’impresa. La cabina di pilotaggio più arretrata del

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solito, per lasciare spazio a serbatoi supplementari. Un solomotore, per guadagnare peso. Nessuna vista anteriore: l’uni-co modo che aveva per guardare cosa c’era fuori era spor-gersi dai finestrini laterali. Per decolli e atterraggi non eracerto una condizione ottimale.

Alla Ryan avevano dovuto minacciarlo per convincerlo ainstallare un periscopio, così da avere almeno una possibilitàdi vista frontale. Ma il periscopio pesava e aveva accettato dimontarlo solo a patto di togliere altri strumenti preziosi erinunciare così a un peso equivalente a quello che venivaaggiunto.

Nuvole.Nebbia.Oscurità.Gli occhi bruciavano in modo insopportabile. Il sonno era

il suo peggior nemico. Non dormiva ormai da trentacinqueore. Ci aveva provato, ma era stato inutile. La sera prima eratornato tardi al Garden City Hotel e aveva trovato il solitoaccampamento di giornalisti ad attenderlo. Si era scusato,spiegando di aver bisogno di riposare un po’. Chiunque altro,al suo posto, non se la sarebbe cavata così a buon mercato difronte al branco di taccuini affamati, pronti a scattare e sbra-nare. Invece si erano scansati, lasciandolo passare, lanciando-gli sguardi ammirati e stupiti. Per loro era ancora un pianetasemi-sconosciuto, un ragazzone del Minnesota piombatoall’improvviso a New York per un’impresa che nessun uomoaveva mai tentato. I suoi modi gentili, i silenzi, l’atteggiamen-to timido, enigmatico e nello stesso tempo maestoso, quellamiscela insolita aveva conquistato tutti. Era un dio grecocaduto sulla Terra e loro, semplici mortali, non potevano checoncedergli il rispetto che toccava a una divinità.

L’aviatore era entrato in camera a mezzanotte e avevalasciato un ragazzino, George Stumpf, a far la guardia al suoriposo, chiedendogli di non svegliarlo prima delle due e unquarto. Mentre stava per piombare nel sonno prezioso,George aveva bussato con violenza alla porta.

«Slim» – aveva chiesto con voce da bambino, chiamando

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il dio greco con il soprannome che toccava in sorte a ogniamericano più magro della norma – «cosa farò quando saraipartito?».

Non lo aveva mandato al diavolo, perché non era abitua-to a essere brusco. Ma il sonno era ormai diventato un mirag-gio. Si era alzato, rinunciando a dormire. Alle quattro e unquarto era nell’hangar di Roosevelt Field, circondato daigiornalisti. Alle sette e cinquantaquattro della mattina del 20maggio, Spirit of St. Louis era decollato da Long Island ver-so l’oceano.

Le palpebre adesso erano pesanti, il rumore del motorediventava un ronzio lontano. Non doveva addormentarsi.Non ora. Il momento sarebbe arrivato, ma non ora.

Lanciò un altro sguardo fuori dal finestrino, ma il picco-lo aereo era un puntino inghiottito dalla vastità di una per-turbazione atlantica.

Nessun uomo aveva mai volato così a lungo.Nessun uomo, in tutta la storia, era mai stato così solo in

mezzo all’immenso come Charles Augustus Lindbergh.

Il pettine passò una volta ancora in mezzo ai capellicoperti di Vaseline. Calvin Coolidge lo impugnava con ladestra, mentre la sinistra era impegnata ad aiutare la metodi-ca stiratura della scarsa capigliatura. Era un rituale che glipiaceva, come tutte le cerimonie precise e immutabili chesommate insieme formavano la sua giornata. Osservò nellospecchio gli occhi azzurri gelidi, le labbra sottili e inevitabil-mente serrate, la fronte ampia. Tentò di raggiungere la colo-nia che qualcuno tra i domestici aveva riposto sullo scaffalepiù alto del bagno, ma sembrava fuori della portata del suometro e settanta.

Imprecò per la milionesima volta contro la PattersonHouse. Due mesi in quel posto gli sembravano già il massi-mo che potesse concedere alla propria sopportazione e inve-ce doveva fare i conti con la prospettiva di dover trascorreretutta l’estate nella villa di Dupont Circle. I lavori di restauroalla Casa Bianca non sarebbero finiti prima di settembre. Ma

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il trentesimo presidente degli Stati Uniti non aveva voglia diaspettare. Gli mancavano gli oggetti della sua routine. Glimancava soprattutto la sella elettrica su cui si divertiva a sali-re e a gridare come un cowboy, fingendo di cavalcare nellepraterie del West.

Tornò nell’ufficio privato. La pausa per il rito della liscia-tura dei capelli di metà mattinata era finita. Il segretario loaccolse con le ultime notizie sull’impresa di Lindbergh.

«Continua a tenermi aggiornato, mi raccomando», loesortò Coolidge, prima di congedarlo. Non c’era molto chepotessero raccontargli, ma ciononostante non voleva perde-re alcun passaggio di quello che stava avvenendo.

Come il presidente, milioni di americani erano in attesaansiosa di notizie su Lindy. Il pilota era solo in mezzo al nien-te, ma nello stesso tempo nessun uomo era mai stato con-temporaneamente nei pensieri e nei cuori di così tanti suoisimili. L’America sembrava essersi fermata in silenzio, adaspettare. L’Europa seguiva il tentativo con altrettanta trepi-dazione.

Dopo il decollo, un aereo carico di giornalisti aveva inse-guito per un po’ Spirit, per poi abbandonarlo al suo destino.Gli ultimi a segnalare la presenza di Lindbergh erano stati gliabitanti di St. John’s, in Newfoundland. Poi il velivolo e ilcoraggioso pilota erano scomparsi, svaniti nella distesa infini-ta dell’oceano. E nessuno sapeva se sarebbero più stati rivisti.

Nelle ore successive, migliaia di newyorchesi si eranoradunati come per un richiamo magico in Times Square, nel-la speranza che dagli uffici del «New York Times» arrivassequalche notizia. Il paese più dinamico e distratto della Terrad’un tratto si era reso conto dell’enormità di quello che sta-va accadendo e aveva cominciato a trattenere il fiato. Il gio-vane spilungone biondo, con gli occhi azzurri, la faccia puli-ta e i tratti scandinavi dei suoi avi svedesi, era un nuovo Cri-stoforo Colombo. Anzi, qualcosa di più e di diverso: Colom-bo non era solo nella sua impresa, tre navi piene di uominicondividevano con lui le ansie e le speranze del viaggiomisterioso.

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Lindbergh era un nuovo Ulisse in viaggio verso le Colon-ne d’Ercole. Era l’incarnazione del sogno che univa uomini edonne in attesa silenziosa, mano nella mano, sui marciapiedidi Manhattan. Era l’epilogo e nello stesso tempo il prosegui-mento della grande avventura dei pionieri.

Milioni di bambini, dal più sperduto villaggio del NorthDakota al delta del Mississippi, andarono a letto pregandoper Lindy. Milioni di adulti, senza avere il coraggio di con-fessarlo, fecero altrettanto nel silenzio delle loro coscienze.

In una casa di Detroit, una donna minuta pregava per lasalvezza del figlio, mentre nel suo giardino la polizia teneva abada una folla di giornalisti e curiosi.

Evangeline Lindbergh si scoprì a comprendere qualcosaa cui non aveva mai pensato: «Anche Cristoforo Colombodeve aver avuto una madre terrorizzata per lui». Si chiesecosa poteva aver provato quella donna, costretta a sperimen-tare quattrocentotrentacinque anni prima di lei l’angoscia diavere messo al mondo un eroe.

Alla sera, il presidente Coolidge entrò sotto le lenzuoladi lino e avvertì la consueta sensazione di piacere nel ran-nicchiarsi in posizione fetale, come amava fare fin da pic-colo nel letto scomodo e ruvido della casa di famiglia, su inVermont. Pensò che se Lindbergh ce l’avesse fatta sarebbestato un successo da sfruttare fino in fondo, per dimostra-re a tutti la potenza e il coraggio della sua America ricca espensierata.

Ma il buonumore svanì dopo pochi istanti, lasciandoposto a un crudo realismo.

Con ogni probabilità, purtroppo, quel ragazzo era soloun suicida. Avrebbe fatto la fine dei due piloti francesi chepochi giorni prima erano scomparsi nell’Atlantico, tentandola mitica trasvolata.

Inatteso, come un dono inviato dal Cielo, un raggio diluna entrò nella cabina di pilotaggio e colpì gli occhi stanchidi Charles Lindbergh. Sorpreso dal chiarore, ebbe un sus-sulto, scuotendosi dal pericoloso torpore che lo stava inva-

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dendo. Le nuvole si stavano aprendo, le stelle tornavano aessere visibili.

Con la bussola e la carta di Mercatore acquistati in unnegozietto in California, uniche guide per il grande viaggio,verificò la rotta. Poi prese qualche appunto sul diario di bor-do. Piccoli gesti che ripeteva da ore, metodicamente. L’uni-ca sua speranza di seguire la direzione giusta. Di restare sve-glio. Di restare in vita.

Da tempo aveva superato il punto di non ritorno, ilmomento in cui, anche volendo, non poteva più invertire larotta: il carburante non sarebbe stato sufficiente. Adesso c’e-ra solo da aspettare che comparisse un pezzo d’Europa,magari l’Irlanda. Ma per il momento, da ore e ore, c’era sol-tanto l’oceano, sopra il quale era anche sceso a volare in unpaio di occasioni a così bassa quota da aver fatto sfiorare leonde alle ruote.

La schiena cominciava a far male, le gambe erano rat-trappite. Lindbergh cercò di sistemarsi meglio sul sedile dal-lo schienale di vimini – un altro accorgimento per guadagna-re peso – e fu in quel momento che li vide. Erano figure, vol-ti che fluttuavano nella cabina. Erano entità inconsistenti chegli mormoravano parole indescrivibili. Messaggeri venuti adaffidargli segreti impensabili.

Stropicciò le palpebre stanche, scosse la testa, bevve unsorso d’acqua. Ma i compagni d’avventura di quel fantasticoviaggio erano ancora là, insieme a lui, in volo verso la Storia.

Un brivido lo fece sussultare. Un’improvvisa consapevo-lezza, una sensazione inaspettata e dolcissima. Lassù, in volosopra la distesa d’acqua infinita, in compagnia di cinquepanini e qualche fantasma, Lindbergh si sentì incredibilmen-te felice.

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indice

Parte prima9 1. Spirit

16 2. Bowery25 3. Aquilotto35 4. Alba46 5. Buster56 6. Professore67 7. Jafsie76 8. Fango89 9. John96 10. Granturco

100 11. Nelly106 12. Empire115 13. Ceneri122 14. Ricordi130 15. Scienza143 16. Letteratura147 17. Follie

Parte seconda153 18. Strada159 19. Bruno167 20. Liberty175 21. Main Street183 22. Palo191 23. Tribunale201 24. Male206 25. Biscotti215 26. Giuria221 27. Patriota228 28. Interrogativi237 29. Nellie243 30. Fisch252 31. Duello260 32. Verdetto272 33. Cielo

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