LA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI. UNA PRIORITA’ … · E’ giusto tuttavia puntare...

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1 LA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI. UNA PRIORITA’ NELL’AGENDA DEL NUOVO GOVERNO di Giorgio Lovili La legge di stabilità del 2013 (L. 228/2012) ha posto mano ad alcuni correttivi della legislazione in atto –in primis l’attribuzione ai Comuni dell’IMU sulle abitazioni-, la sospensione del “riordino” delle Province; ma non ha risolto i gravi problemi strutturali delle Autonomie locali comprese le questioni legate al “Patto di stabilità”. Emergono con maggiore frequenza responsabilità gestionali di Comuni, Province e Regioni attribuibili agli Amministratori. Per questo il Legislatore ha attivato misure per il rafforzamento dei controlli esterni ed interni ( d. l. 174/2012 conv. In L. 213/2012” ed affidato agli Enti locali la responsabilità di disciplinare le azioni preventive anti-corruzione (L. 190/2012). Mancano le misure per l’attuazione del pareggio di bilancio per una maggiore responsabilità contabile degli Enti locali. Sono tutte priorità dell’azione del nuovo Governo Il punto sulla crisi: le responsabilità. Nonostante siano evidenti e diffusi i segni di cattiva salute che provengono dalle Autonomie locali dopo la chiusura della legislatura e, soprattutto, dopo un anno di legislazione affidata ad un Governo tecnico, non è un esercizio retorico chiedersene le ragioni. E ciò per almeno due motivi. Consente di mettere “in fila” innanzitutto i problemi che sono da considerarsi prioritari per individuare una vera linea riformatrice (una sorta di “Agenda”, termine ormai entrato prepotentemente nel lessico della politica) per la semplificazione del sistema autonomistico nel segno della maggiore efficacia ed efficienza rispetto alle necessità di governare il territorio; e ciò per consegnarlo al nuovo Governo che, essendo frutto di una elezione, non potrà esimersi da una scelta politica in merito. In secondo luogo, ed imprescindibilmente dalla prima analisi, l’approfondimento delle ragioni della crisi permette di valutare i motivi anche interni alle gestioni locali di una situazione così gravida di problematiche. E’ indubbio, infatti, che essa è provocata anche da gestione del potere locale per lo meno improvvide ed, in alcuni casi, caratterizzate da comportamenti disonesti da parte di amministratori come hanno clamorosamente attestato alcuni scandali emersi in Regioni ma anche in Comuni e Province di primo piano. Le cause interne Anche se la legislazione, specie nell’ultimo anno, non ha certo valorizzato il principio autonomistico su cui si fonda l’essenza della nostra Costituzione, potrebbe infatti costituire un alibi attribuire alle difficoltà operative incontrate per l’applicazione di norme troppo rigide, come nel caso della normativa sul “Patto di stabilità” o di provvedimenti di natura istituzionale estemporanei dettate dallo stato emergenziale e suggeriti nell’ambito della riduzione dei “costi della politica” (come è il caso, con i dovuti distinguo dell’aggregazione dei piccoli Comuni e del riordino delle Province). Il caso “default” e di strutturale crisi finanziaria di alcuni importanti Comuni (come è il caso di Alessandria, Catania, Taranto) sempre più numerosi i casi di

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LA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI. UNA PRIORITA’ NELL’AGENDA DEL NUOVO GOVERNO

di Giorgio Lovili

La legge di stabilità del 2013 (L. 228/2012) ha posto mano ad alcuni correttivi della legislazione in atto –in primis l’attribuzione ai Comuni dell’IMU sulle abitazioni-, la sospensione del “riordino” delle Province; ma non ha risolto i gravi problemi strutturali delle Autonomie locali comprese le questioni legate al “Patto di stabilità”.

Emergono con maggiore frequenza responsabilità gestionali di Comuni, Province e Regioni attribuibili agli Amministratori.

Per questo il Legislatore ha attivato misure per il rafforzamento dei controlli esterni ed interni ( d. l. 174/2012 conv. In L. 213/2012” ed affidato agli Enti locali la responsabilità di disciplinare le azioni preventive anti-corruzione (L. 190/2012). Mancano le misure per l’attuazione del pareggio di bilancio per una maggiore responsabilità contabile degli Enti locali.

Sono tutte priorità dell’azione del nuovo Governo

Il punto sulla crisi: le responsabilità.

Nonostante siano evidenti e diffusi i segni di cattiva salute che provengono dalle Autonomie

locali dopo la chiusura della legislatura e, soprattutto, dopo un anno di legislazione affidata ad

un Governo tecnico, non è un esercizio retorico chiedersene le ragioni. E ciò per almeno due

motivi.

Consente di mettere “in fila” innanzitutto i problemi che sono da considerarsi prioritari per

individuare una vera linea riformatrice (una sorta di “Agenda”, termine ormai entrato

prepotentemente nel lessico della politica) per la semplificazione del sistema autonomistico nel

segno della maggiore efficacia ed efficienza rispetto alle necessità di governare il territorio; e

ciò per consegnarlo al nuovo Governo che, essendo frutto di una elezione, non potrà esimersi da

una scelta politica in merito.

In secondo luogo, ed imprescindibilmente dalla prima analisi, l’approfondimento delle ragioni

della crisi permette di valutare i motivi anche interni alle gestioni locali di una situazione così

gravida di problematiche. E’ indubbio, infatti, che essa è provocata anche da gestione del potere

locale per lo meno improvvide ed, in alcuni casi, caratterizzate da comportamenti disonesti da

parte di amministratori come hanno clamorosamente attestato alcuni scandali emersi in Regioni

ma anche in Comuni e Province di primo piano.

Le cause interne

Anche se la legislazione, specie nell’ultimo anno, non ha certo valorizzato il principio

autonomistico su cui si fonda l’essenza della nostra Costituzione, potrebbe infatti costituire un

alibi attribuire alle difficoltà operative incontrate per l’applicazione di norme troppo rigide,

come nel caso della normativa sul “Patto di stabilità” o di provvedimenti di natura istituzionale

estemporanei dettate dallo stato emergenziale e suggeriti nell’ambito della riduzione dei “costi

della politica” (come è il caso, con i dovuti distinguo dell’aggregazione dei piccoli Comuni e del

riordino delle Province). Il caso “default” e di strutturale crisi finanziaria di alcuni importanti

Comuni (come è il caso di Alessandria, Catania, Taranto) sempre più numerosi i casi di

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accertato dissesto finanziario e di” pre dissesto”, suggeriscono di scandagliare l’origine di

queste crisi verificandone le ragioni interne alle gestioni.

E’ comunque un dato incontrovertibile, ad esempio che, nonostante la legislazione previgente

prevedesse (art.147 del TUEL) la possibilità per gli Enti locali di dotarsi autonomamente di un

sistema interno di controlli anche sulla regolarità amministrativa oltre che sulla gestione, sono

una minoranza gli Enti che vi hanno provveduto .E’ infatti noto che, prima della previsione

della tipologia dei controlli ,vertente in particolare sulla regolarità amministrativa e contabile,

contenuta nell’articolo 147 del TUEL, il tema dei controlli interni era trattato nel D.lgs.29/1993

e successive modificazioni a proposito della responsabilità dirigenziale e, soprattutto dal

Dlgs.n.286/1999 in attuazione della L.n.59/1997, la cosiddetta “Bassanini1”ove già si

puntualizzavano le varie tipologie di controllo ed i soggetti ad essi assegnati. Senza contare che

la legge n.20/1994 che, pur riguardava la riforma della Corte dei Conti, e quindi affrontava in

prevalenza il controllo esterno, trattava anche in relazione al D.lgs n.29,del controllo interno sui

risultati dell’azione amministrativa, sulla congruenza di questa con i programmi politico –

amministrativi, sul costo dei servizi e delle “perfomance” dei dirigenti; tema ripreso dal

D.lgs.n.150/2009 (riforma “Brunetta”).

Riferimenti, quelli accennati, che avevano in sé le caratteristiche per divenire operativi

all’interno degli Enti ma che ,fatta eccezione per la riforma “Brunetta” per la intrinseca sua

cogenza in relazione alla possibilità di erogare le indennità di risultato e dei premi di

produttività al personale, non assunsero carattere di sistema all’interno degli Enti.

A proposito poi del riordino dei piccoli Comuni si deve evidenziare che una parte di

responsabilità della mancata attuazione delle precedenti disposizioni di razionalizzazione

contenuta nell’art.16 del D. L. n.138/2011 è da ascrivere agli stessi Sindaci che hanno opposto

una sostanziale resistenza a questa riforma nonché alle Regioni e agli organismi rappresentativi

dei Comuni che non hanno esercitato la necessaria spinta propulsiva.

Le cause esterne

E’ giusto tuttavia puntare l’attenzione sulle cause esterne per analizzare lo stato di salute delle

Autonomie locali in quanto il riferimento normativo costituisce il quadro entro cui può

esprimersi la volontà discrezionale di ogni pubblica amministrazione. E, a questo proposito,

poiché l’Italia fa parte a tutti gli effetti di un contesto “globalizzato” non si può prescindere da

quanto è accaduto (ed accade) in questi anni nel contesto dell’economia mondiale e, specie negli

ultimi due anni, in quello europeo.

Dal 2008, con la bancarotta della Banca “Lehman Brothers” è iniziata una crisi dell’economia

mondiale che, pur iniziando oltre oceano, ha avuto immediati riflessi negativi anche in Europa

la quale, a sua volta, ha conosciuto dal 2010 con il “caso Grecia” una propria situazione di

allarme economico finanziario dovuto all’eccessivo accumularsi del debito pubblico da parte di

molti Paesi dell’Eurozona, compresa l’Italia, fino a minacciare la tenuta della moneta europea

ed a costringere l’Unione Europea ad adattare misure drastiche per regolamentare i bilanci dei

Paesi membri al fine di contenere e ridurre il debito pubblico di ogni Paese. E’ stata per questo

ridisegnata la “governance” europea con l’adozione di nuova regolamentazione sui bilanci ed il

rafforzamento delle norme del Trattato Europeo riguardanti la stabilità monetaria e l’istituzione

di un meccanismo assistenziale finalizzato alla stabilità finanziaria dei Paesi dell’Eurozona.

Tutti provvedimenti quelli accennati che, oltre che costosi in termini finanziari per gli stessi

Paesi membri, hanno costretto ciascuno di essi ad adottare nei propri ordinamenti misure di

grande impatto, come è il caso dell’adeguamento all’obbligo di “pareggio di bilancio” a cui

l’Italia si è adeguata con una modifica alla propria Costituzione (modifica dell’art.81 cost.) che

hanno avuto come corollario l’estensione a tutte le pubbliche amministrazioni dell’obbligo di

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garantire gli equilibri finanziari dei bilanci di assicurare la sostenibilità del debito pubblico “in

coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea” (modifica dell’art. 97 cost.). una specifica

norma costituzionale è stata individuata a proposito dell’autonomia finanziari di Comuni,

Province, Regioni e Città metropolitane principio che è stato reinterpretato più rigorosamente

precisandone i confini (nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci) e nel contesto della

“osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”

(modifica all’art.119 cost.), i quali divenivano limiti invalicabili del sistema delle Autonomie

cui doveva presidiare la legislazione dello Stato prevedendo verifiche sugli andamenti di finanza

pubblica riguardo all’accertamento degli scostamenti dei bilanci pubblici rispetto alle previsioni

e, specificatamente riguardo a Comuni, Province, Regioni e Città metropolitane, prevedendo

apposita legislazione applicativa per definire gli ambiti in cui tali Enti avrebbero potuto

esercitare la facoltà di ricorrere all’indebitamento e le modalità attraverso le quali tali Enti

avrebbero potuto concorrere alla sostenibilità del debito “del complesso delle pubbliche

amministrazioni” (norma integrativa all’art. 81 cost. di cui al sesto comma della legge

costituzionale n. 1/2012).

Una cornice normativa, quella descritta, che comportava un intervento di razionalizzazione della

spesa pubblica, finalizzato alla sua concreta riduzione ed al suo rigoroso controllo attraverso

adeguate misure contabili e con l’attivazione di meccanismi di auto-controllo interno soprattutto

in relazione alla salvaguardia degli “equilibri finanziari” considerato l’indice più rilevante della

sussistenza di sana amministrazione.

Come si può notare, si trattava di un intervento normativo che, oltre ad essere giustificato dal

ciclo economico sfavorevole, intendeva innovare i meccanismi di gestione finanziaria in modo

da permettere ,attraverso significative modifiche di contabilità pubblica, di mettere in luce la

reale virtuosità del sistema della pubblica amministrazione e del sistema delle autonomie locali.

A questi positivi intenti è seguita anche la proposta di legge di attuazione del principio del

“pareggio di bilancio” di cui al citato sesto comma dell’art.81 cost. che avrebbe dovuto

decorrere dall’esercizio finanziario 2014, tuttavia la tardiva presentazione del disegno di legge e

la concomitante fine anticipata della legislatura, peraltro unita alla decisione (unanime) dei

gruppi parlamentari di non iscriverla tra i provvedimenti da assumere prioritariamente ne ha

vanificato l’approvazione. Nel contempo, tuttavia, erano andati “a segno” una serie di misure

anti-crisi che hanno invece inciso pesantemente sul “welfare” e quindi sul tenore di vita della

fasce più deboli dei cittadini cui avrebbero dovuto rispondere in prima istanza le

amministrazioni locali.

Ad esse si erano aggiunti, come detto, estemporanei provvedimenti di revisione di natura

istituzionale sotto la parola d’ordine della “riduzione dei costi della politica”.

Con l’approvazione della legge di contenimento della spesa pubblica (la cosiddetta “spending

review” – D.L. n. 95/2012) il Legislatore ha assunto infatti decisioni radicali riguardo l’assetto

del governo locale con la previsione di unioni forzose dei Comuni al di sotto dei mille abitanti

ed il cosiddetto riordino delle Province.

Tale riordino non era altro che un forzoso accorpamento di alcune Province sulla base di

parametri pre-costituiti ma privi di contenuto e logica territoriale (esso tuttavia è intervenuto

come correzione dell’originaria impostazione, contenuta nell’art.23 D.L. n.201/2011 il

cosiddetto “Salva Italia” che in pratica ne stabiliva la soppressione.

Al di là dell’indubbia necessità di una riforma complessiva dei poteri locali in funzione di una

loro maggiore efficienza riducendone anche la frammentazione specie con riferimento ai piccoli

Comuni ciò che è risultato inaccettabile agli amministratori delle istituzioni interessate è

l’assunto ideologico sottostante al provvedimento e cioè la considerazione che la

semplificazione del sistema autonomistico attraverso la soppressione delle sedi di

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rappresentanza del potere locale costituisse uno strumento decisivo per il risanamento

dell’economia generale.

A parte che questa considerazione, di natura strettamente finanziaria, risulta tutt’ora

indimostrata e che comunque tutto al più, nel caso delle Province solo potenziale, il Legislatore,

nella circostanza, non ha avuto presente un principio consolidato nella cultura del nostro Paese e

cioè che i rapporti tra Stato ed i soggetti delle Autonomie locali sono indirizzati “nel verso

dell’attuazione del principio costituzionale di autonomia: verso non invertibile senza

vulnerarne il principio, poiché la Costituzione prefigura un processo espansivo, e, una volta

che questo si sia realizzato non consente un ritorno all’accentramento” (S. Staiano da

“Federalismi.it” n.17/2012).

Che questo processo, nel bene e nel male, si sia realizzato nel tempo è indubbio, se è vero che

nel solco della modifica costituzionale del titolo V (L. cost. 3/2001) e della legge di

adeguamento (L. 131/2003), sono state prodotte leggi sul “federalismo” con la costruzione del

suo primo pilastro (L.42/2009) cui ne sono seguite altre in coerenza rispetto a questa scelta.

Come è altrettanto vero che, purtroppo, questo processo si è interrotto con le modifiche

istituzionali operate dall’accennata legge sulla” spending review”.

E’ stato solo un caso( l’ anticipata fine della legislatura) a bloccarne la pratica attuazione. Ha

fatto giustizia momentanea al riguardo la disposizione contenuta nella legge di stabilità (comma

115 n.228/2012) che blocca fino al 31 dicembre 2012 il riordino delle Province con la

motivazione di “consentire la riforma organica della rappresentanza locale.

Questa decisione consegna al nuovo Governo un argomento –quello della riforma organica delle

Autonomie locali- da inserire ai primi posti nelle priorità programmatiche.

Il tema tuttavia è complessivo e non riguarda ovviamente solo il riordino delle Province ma

soprattutto la definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province, Regioni e Città

metropolitane ( la cui costituzione è stata di conseguenza rinviata) ed il loro razionale assetto

nell’ambito della vigente costituzione.

A tal proposito non potrà che essere riesaminato il Disegno di legge costituzionale di nuova

riforma del Titolo V della costituzione depositato dal Governo con il quale si prospetta, accanto

alla riduzione dei poteri legislativi delle Regioni specie in materia di legislazione concorrente, la

contestuale riappropriazione dei poteri legislativi da parte dello Stato e l’attribuzione ad esso di

ulteriori funzioni in materie ritenute strategiche.

Una proposta che ha risentito troppo degli effetti popolari riguardo alle cattive gestioni di alcune

Regioni emerse nei recenti clamorosi scandali e che risulta fondata sulle motivazioni

dell’emergenza economica, la quale tuttavia, coma ha precisato la Corte Cost. (sent. N. 148 del

4-7 giugno 2012) “non può legittimare lo Stato ad esercitare funzioni legislative in modo da

sospendere le garanzie costituzionali degli Enti territoriali, in particolare dell’art.119 cost.”. E,

aggiungiamo , le modifiche alla Costituzione che non tenessero conto del principio

autonomistico, o vi contravvenissero, violerebbero l’impianto costituzionale sia in riferimento

ai suoi “ principi fondamentali “ (art.5 cost.) e, non ultime, al le disposizioni vigenti di natura

costituzionale che risultano in linea “con l’obbligo- posto a carico della Repubblica dalla IX

disp. Transitoria- di adeguamento delle leggi alle esigenze delle Autonomie locali e alla

competenza legislativa attribuita alle Regioni” (S. Staiano “Federalismi.it pg.10 cit).

Il tutto può essere considerato come condizione della realizzabilità di una amministrazione

pubblica orientata al “buon andamento” ed alla responsabilizzazione dei propri

funzionari(art.97 c.2,3Cost.).

Forse non deve essere stato un caso se “in limine mortis”, e cioè con l’ultimo provvedimento

utile prima dello scioglimento delle Camere , hanno trovato risposta, peraltro non prive di

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contraddizioni, temi delicati quali l’attribuzione ai Comuni del gettito derivante dall’IMU la

definizione di alcuni tributi locali, il infatti che sull’attribuzione del gettito IMU ai Comuni, i

Sindaci hanno effettuato oltre che ad una dura e assidua battagli attraverso l’ANCI e il

Parlamento, culminata con una unanime clamorosa protesta pubblica con minaccia di dimissioni

in blocco, frenata solo dalla crisi politica e dalla prospettiva della fine anticipata della

legislatura.

Veniamo dunque ai particolari della legislazione citata.

La legge di stabilità: le disposizioni per le Autonomie locali.

Riguardo all’IMU, la legge di stabilità (c. 380) opera una improvvisa quanto importante

inversione di marcia attribuendo, in parte, l’esclusiva competenza del gettito ai Comuni. A

partire dal 2013 la totalità del gettito sulle abitazioni viene infatti destinata ai Comuni

riservando allo Stato il gettito prodotto dagli immobili di classe D (destinati all’impresa,

alberghi fabbricati produttivi in agricoltura) misurata sull’aliquota del 7.6 per mille. Il

Legislatore aggiunge anche la facoltà di applicare da parte dei Comuni una maggiorazione del 3

per mille portando l’aliquota massima al tetto attuale del 10,6 per mille. A titolo di

compensazione il Legislatore procede al taglio pressoché totale dei trasferimenti statali agli Enti

locali con la conseguente soppressione del fondo di riequilibrio sostituito dal nuovo fondo detto

“di solidarietà comunale”, alimentato da una quota IMU comunale per assicurare secondo

modalità da definirsi in apposito Decreto, l’assistenza ai Comuni con minore capacità fiscale

sulla base di una valutazione di una pluralità di elementi.

Altra modifica significativa in tema di tributi locali è operata (c. 387) con l’avvio della

operatività della Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi già istituita con l’art.14 D.L. n.

201/2011 detto “Salva Italia”. Tributo che sostituisce la Tarsu e la Tia e che è destinata a

finanziare tutti i servizi fondamentali dei Comuni da quelli istituzionali (anagrafe, polizia

locale) a quelli “indivisibili” (illuminazione pubblica, manutenzione strade) fino allo

smaltimento dei rifiuti. Il gettito sarà commisurato alla superficie calpestabile dell’immobile già

in possesso dei Comuni per l’applicazione della Tarsu e della Tia. L’indicazione dei dati

catastali oltre che della numerazione civica interna ed esterna è resa obbligatoria per consentire

un definitivo accertamento e controllo di tali dati mediante l’attività di collaborazione con

l’Agenzia del Territori. Per queste ragioni i Comuni, a titolo cautelativo, utilizzano i dati

catastali nella misura dell’80%.

La nuova disposizione che modifica inoltre in senso più favorevole al cittadino il meccanismo di

pagamento che partirà da luglio 2013 permette ai Comuni di gestirla attraverso le Società che al

momento riscuotono la Tarsu o la Tia superando il divieto imposto dalla normativa istitutiva.

Pur trattandosi di decisioni improntate sulla ragionevolezza, si deve sottolineare che manca

ancora la visione organica dei tributi locali che potrebbe provenire solo da una riforma fiscale

complessiva.

Oltre ad un aggravio tariffario che inciderà soprattutto sulle famiglie numerose essendo la

Tarsu calcolata sui componenti dell’unità abitativa in base al metraggio dell’abitazione, si deve

rilevare che la mancanza di valutazione dei costi reali di alcuni servizi indivisibili (vedi

manutenzione strade) costringerà i Comuni meno accorti ad applicare un supplemento di

maggiorazione (0,40 euro) oltretutto con l’eventualità che il cittadino non riesca a vedere in

concreto il reale effetto applicativo del gettito sul territorio. Dovrà pertanto essere l’Organo di

revisione interno al Comune ad agire con competenza richiedendo i dati reali dell’applicazione

del tributo e valutandone l’applicazione.

Ma c’è un altro aspetto che potrebbe fare inceppare il meccanismo di funzionamento del tributo:

l’art.34 c.23 della Legge 221/2012 (decreto sviluppo bis) a scrivere agli Ambiti Territoriali

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Ottimali la gestione dei servizi pubblici a rete a rilevanza economica ( quindi, anche i rifiuti)

fissando la competenza riguardo alle tariffe. Questo aspetto è del tutto ignorato dalla norma

applicativa della Tares mettendo i Comuni in obiettiva difficoltà riguardo al calcolo del gettito

in entrata e comunque creando disagio agli Ambiti, specie quelli più grande di estensione e

numerosità dei Comuni i quali dovranno riunire con fatica tutte le delibere dei numerosi Comuni

per la determinazione delle tariffe.

La” Legge di stabilità” interviene anche in tema di assunzione del personale con qualche

apertura. Essa consente, infatti, (c.404) l’assunzione a tempo indeterminato in relazione alle

cessazioni che si sono verificate nell’anno 2011 (finora impossibili a causa del sostanziale

blocco del “turn-over”). Inoltre consente (c.400) alle Amministrazioni pubbliche la possibilità,

previo la stipula degli accordi decentrati con le OO.SS. più rappresentative, di prorogare fino al

31 luglio 2013 i contratti a tempo determinato che superano il limite dei 36 mesi.

Tale facoltà è tuttavia condizionata al taglio del 50% del budget per il lavoro flessibile. Tenendo

conto delle questioni sospese in materia di personale (ad esempio la questione tutt’ora

inconclusa degli esuberi nella P.A.), possono sorgere dubbi sulla praticabilità dell’operazione.

Con una disposizione “secca” che modifica il D. Lgs. N. 165/2001 art. 35, la legge di stabilità

introduce infine (c.401) la possibilità di prevedere una riserva del 40% dei posti a favore di chi

ha già svolto almeno tre anni di servizio e contestualmente permette di premiare nel punteggio

di merito chi ha svolto tre anni di servizio in qualità di co.co.co.. l’applicazione di tale misura

deve rientrare comunque nell’ambito del tetto del 50% delle risorse finanziarie disponibilità ed i

concorsi comunque dovranno essere inclusi nella programmazione triennale.

Si tratta evidentemente di misure “tampone” che rispondono ad una esigenza emergenziale

dell’occupazione resa più pesante dalla crisi economica. La drammatica situazione complessiva

dell’occupazione in Italia ed Europa ed il bisogno di efficienza e di qualità nei servizi pubblici

ed istituzionali, esigono evidentemente una vera politica del lavoro pubblico che non può che

essere inclusa tra le priorità del nuovo Governo.

Passando all’ultimo aspetto dei temi più rilevanti dalla” Legge di stabilità” e cioè alle misure sul

“Patto di stabilità”, occorre ricordare che, insieme alla questione della ripartizione del gettito

dell’IMU ai Comuni, l’argomento ha costituito uno dei punti più critici nella dialettica

Autonomie locali e Governo verificatesi nell’ultimo anno.

E’ stato infatti evidenziato unanimemente dai Comuni, Province e Regioni che, a fronte della

necessità di concorrere alle finalità di finanza pubblica in coerenza con le normative

comunitarie, il Governo avrebbe dovuto intervenire adattando le disposizioni del “Patto” alla

situazione italiana la normativa rispetto alla necessità di rilancio economico e alle esigenze di

sviluppo che hanno come i territori governati dalle autonomie locali. In proposito specie da

parte dei Sindaci si sono sottolineate le distorsioni che l’applicazione del “Patto” produce sui

bilanci locali e sulla qualità e quantità dei servizi da erogare ai cittadini, chiedendo al Governo

di intervenire in proposito anche forzando la normativa comunitaria.

Gli amministratori pubblici, nel criticare il “Patto” hanno da sempre evidenziato come esso:

costituisca freno agli investimenti; rende difficile la programmazione a livello locale; ostacoli

l’utilizzo dell’avanzo finalizzato a finanziare gli investimenti; generi problemi nello

smaltimento dei residui passivi in conto capitale che invece si accumulano; provochi ritardo nei

pagamenti alle imprese a fronte dell’esecuzione di lavori e di opere pubbliche regolarmente

finanziate.

Rilievi anche di natura tecnica che sono stati finora inascoltati e che non trovano risposta

nemmeno nella normativa contenuta nella Legge di Stabilità 2013.

Essa infatti ha lasciato sostanzialmente inalterato la struttura di base del “Patto” (c.428 e ss.);

anzi, modificando il decorso del triennio di riferimento (2007-2009 invece che 2006-2008),

finisce per appesantire dal 2013 gli obietti del “patto” posti a carico dei singoli Enti.

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Inoltre la normativa conferma che a decorrere proprio dal 2013 sono assoggettati al patto anche

i Comuni minori con popolazione compresa tra i 1001 abitante ed i 5000 sebbene con una

percentuale agevolata. Per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016 gli Enti locali dovranno

conseguire un saldo finanziario calcolato in termini di competenza mista non inferiore al valore

dell’obiettivo “specifico” da conseguire che tiene conto della media triennale 2007-2009 della

spesa corrente tenendo conto della virtuosità dell’Ente di cui la legge modifica alcuni parametri

rispetto agli indicatori previsti dall’art.20 c.2 D.L. n.28/2011 introducendo anche criteri di

valutazione socio-economica.

Vengono riscritte con qualche attenuazione le norme sulle sanzioni per lo sforamento del patto

(c.439) e viene precisato che la plusvalenza conseguita dall’alienazione dei beni patrimoniali

possono essere usate esclusivamente per operazione di investimento e di riduzione del debito

(c.441-443: norme che era prevista nel d.d.l. di attuazione del “pareggio di bilancio”) vengono

infine confermate le forme di cooperazione del patto “orizzontale e verticale” e del patto

integrato che tuttavia slitta al 2014.

Nonostante gli aggiustamenti evidenziati rimangono i difetti strutturali del “Patto” che, da una

lato, necessitano di una seria rinegoziazione da parte dell’Italia con la” governance” europea per

rideterminarne i principi di finanza pubblica e, dall’altro, richiedono misure contabili organiche

rigorose in corrispondenza con l’impegno da parte degli Enti locali di porre ogni attenzione alla

salvaguardia degli equilibri finanziari nel contesto delle esigenze di finanza pubblica.

Tutto ciò non può che provenire evidentemente da una azione organica da parte di un Governo

legittimato dal voto popolare.

Il rafforzamento dei controlli interni ed esterni dell’Ente locale. Il regolamento dei controlli interni.

L’ultimo scorcio di legislatura ha riservato per le Autonomie locali alcune decisioni in tema di

controlli interni ed esterni dovute principalmente, come detto, alla riottosità degli Enti locali ad

auto organizzarsi forme di controllo .Ha certamente concorso in questa direzione la reazione

pubblica al diffondersi nella pubblica amministrazione ed in particolare nelle Regioni e nei

Comuni più importanti, di fenomeni di corruzione.

Il legislatore ha dunque risposto con il rafforzamento dei controlli e con l’approvazione della

Legge di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione.

Il D.L. 174/, convertito in Legge n. 213/2012, costituisce il primo tassello.

Tale normativa, a ben vedere, costituiva la diretta conseguenza dell’inserimento nella nostra

Costituzione del principio del “pareggio di bilancio” (L.Cost. n.1/2012) che, come già

evidenziato, in riferimento alle autonomie locali si traduceva “nel rispetto dell’equilibrio dei

rispettivi bilanci” e nell’obbligo di concorrere “ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici

e finanziari derivanti dall’Ordinamento dell’Unione Europea” (integrazione dell’art.119 cost.).

Essa inoltre costituiva anche, per i Comuni e le Province, l’attuazione della norma generale sulla

tipologia dei controlli interni già previsti nell’art.147 del TUEL, che, per quanto concerne le

Regioni avrebbe dovuto essere realizzato in forza di norme statutarie ed attuato con la

legislazione regionale e con provvedimenti amministrativi.

Ma proprio l’emergenza economica e a causa dei riflessi sociali determinatisi rispetto ai fatti

degenerativi di alcune gestioni locali, hanno consentito di mettere in luce la carenza quasi

generalizzata nei Comuni e nelle Province di organici sistemi di controllo amministrativi e

contabili interni nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione sui controlli interni sopra

accennata ed ,in particolare, dal D.Lgs. N.286/1999 e, soprattutto, dell’art.147 TUEL.

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La carenza maggiore e più significativa in questo ambito riguardava tuttavia le Regioni che

come detto in forza della loro autonomia statutaria rafforzata dalla modifica del Titolo V della

Costituzione e dalla Legge n.131/2003 avrebbero dovuto provvedere autonomamente per la

disciplina dei controlli interni.

Naturalmente rispetto a questa tendenza elusiva, vi erano da segnalare anche diverse esperienze

virtuose e cioè di Enti locali che si erano dotati di un sistema di controllo di regolarità

amministrativa e contabile basato sul campionamento delle determinazioni dirigenziali

(provincia di Lucca, Comune di Montecatini, Provincia di Cremona).

In buona sostanza, nonostante che il dibattito sulla necessità di una sistematica normativa sui

controlli interni verificatosi nel tempo avesse prodotto proposte di “tipizzazione dei controlli” si

fosse riacceso a seguito del disegno di legge riguardante il codice delle Autonomie locali e poi

nella bozza Calderoli negli anni 2009 e 2010, l’unico presidio di controllo interno

“indipendente” , a parte quello esercitato dai responsabili interni ai sensi dell’art.49 TUEL

attraverso i pareri obbligatori sui provvedimenti e sulle “determine” dirigenziali, era costituito

dall’Organo di Revisione attraverso l’esercizio delle funzioni ad esso attribuito e

progressivamente ampliato stabilito all’art. 239 del TUEL.

Al culmine dei fatti degenerativi delle gestioni degli enti locali già citati, il Governo è dunque

intervenuto con un provvedimento d’urgenza (D.L. 174/2012) approvando norme che

sottoponevano le Regioni al controllo della Corte dei Conti, essendo tale controllo esterno di

fatto inesistente finora, e per quanto riguarda gli altri enti locali, a specificare le forme di

controllo interno ed esterno.

Per quanto concerne le Regioni il provvedimento legislativo si è soffermato sulla necessità di

riscontro da parte della Corte dei Conti della copertura finanziaria delle leggi attraverso

l’indicazione delle tecniche di quantificazione degli oneri, sia con riferimento ai bilanci

preventivi e consultivi, comprendendo anche le aziende sanitarie.

Tra i riscontri affidati alle sezioni regionali di controllo è stato incluso ,anche a seguito dei

clamorosi esempi di abusi emersi in alcune Regioni, il rendiconto dei gruppi consiliari e sotto la

voce “riduzione dei costi della politica nelle regioni” è finito anche il controllo dell’utilizzo dei

trasferimenti erariali in riferimento all’erogazione delle indennità di funzione e di carica nonché

delle spese di esercizio del mandato da parte dei Consiglieri ed Assessori regionali specificando

che il loro riscontro positivo ne avrebbe determinato la virtuosità; condizione per il

completamento dell’erogazione dei trasferimenti da parte dello Stato.

Riguardo ai controlli interni dei Comuni, delle Province e Città metropolitane, il Legislatore ha

letteralmente trasferito le disposizioni già previste in particolare dal D.d.l. “Bozza Calderoli”

dettagliando le tipologie di controllo ivi contenute.

L’impianto pertanto consiste nel “controllo di regolarità amministrativa e contabile” art.147 bis;

“controllo strategico”, art.147 ter; “controllo sulle Società partecipate non quotate”, art.147

quater; “controllo sugli equilibri finanziari”, art. 147 quinquies ed ha trovato conferma in sede

di conversione seppure con qualche lieve modifica riguardante alla tempificazione dei controlli

alle partecipate e all’attivazione del controllo strategico riferita in senso decrescente alla

popolazione di riferimento.

Di particolare effetto politico amministrativo risulta inoltre la disposizione relativa all’obbligo

di adozione del Regolamento per l’attivazione dei controlli da parte degli Enti locali da adottarsi

in tempi assai ristretti sul quale sia riguardo ai termini di formulazione sia riguardo la sua

operatività il Legislatore ha previsto la vigilanza del Prefetto e della sezione regionale di

controllo della Corte dei Conti.

Il Prefetto infatti trascorso infruttuosamente l’eventuale termine di proroga deve avviare la

procedura di scioglimento dell’Organo ai sensi dell’art.141 TUEL. Alla sezione regionale di

controllo spetta invece il compito di vigilare sull’efficacia e l’adeguatezza del sistema di

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controllo degli Enti con riferimento alla relazione semestrale obbligatoriamente trasmessa dal

Sindaco e dal Presidente della Provincia avvalendosi del Segretario o, ove esista, dal Direttore

Generale. La notizia di eventuali disfunzioni nei controlli accertate è trasmessa alle sezioni

giurisdizionali della stessa Corte per la comminatoria delle sanzioni agli amministratori

responsabili.

A questo proposito, si ritiene che della regolamentazione dei controlli interni debba far parte

anche la disciplina del controllo di regolarità amministrativa nella versione del controllo

successivo.

E ciò almeno per tre ragioni, le quali,tra l’altro, costituiscono l’ “ossatura”del regolamento

generale dei controlli interni.

Devono essere definiti i principi generali della revisione di tipo aziendale, nonché il

meccanismo di selezione casuale che si intende adottare.

Deve essere evidenziata la “tipizzazione” degli atti soggetti a controllo all’interno della

tipologia definita dal Legislatore nonché la frequenza dei controlli stessi.

Infine, dovendo costituire elemento di valutazione del personale, devono essere

preventivamente definite le “griglie di riferimento” delle prestazioni in riferimento all’attività

amministrativa da parte dei responsabili. La complessità di questa materia può suggerire che del

regolamento complessivo dei controlli interni la parte riferita al controllo di regolarità

amministrativa possa essere predisposta come allegato. Tanto più che nell’organizzazione del

sistema dei controlli, accanto alle responsabilità specifiche previste dalla legislazione, dovrà

essere prevista una unità tecnica di supporto di “Internal Auditing” con funzioni di verifica

indipendente, al servizio dei responsabili dell’organizzazione amministrativa per consentire loro

di adempiere efficacemente ai loro compiti gestionali.

Come è già stato ampiamente rilevato, il concetto- chiave su cui ruota la decisione del

rafforzamento dei controlli interni (ed esterni) per le autonome locali è il rispetto degli” equilibri

finanziari” ai fini di “concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari

derivanti dall’ordinamento della UE”.

In questo contesto, il ruolo di interprete delle disposizioni dell’ordinamento europea spetta

(giustamente) allo Stato in qualità di interlocutore della” governance” europea e come soggetto

garante dell’unitarietà della politica di finanza pubblica.

Proprio per queste esigenze di integrazione e di connessione di funzioni e di competenze,la

Regolamentazione dei controlli interni dovrà caratterizzarsi come “sistema integrato”delle

diverse tipologie di controlli che si riassumono di seguito per evidenziarne le caratteristiche al

fine della disciplina regolamentare:

-“controllo di regolarità amministrativa e contabile”,finalizzato a garantire la

legittimità,regolarità e correttezza dell’azione amministrativa,nonché a garantire la regolarità

degli atti nella loro formazione attraverso gli strumenti del “visto”e del parere di regolarità

contabile concomitante al controllo degli “equilibri finanziari”e di bilancio.;

-“controllo di gestione”con cui si verifica l’efficacia,l’efficienza ed economicità dell’azione

amministrativa ed ottimizzazione del rapporto costi-risultati;

-“controllo strategico”finalizzato a valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di

attuazione dei piani,programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico,in

termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti;

-“controllo sulle società partecipate non quotate”. finalizzato a rilevare i rapporti tra ente

proprietario e le società,la situazione contabile ,gestionale e organizzativa delle società,i

contratti di servizio,la qualità dei servizi,il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza

pubblica;

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-“controllo sulla qualità dei servizi erogati”.finalizzato alla misurazione della soddisfazione

degli utenti esterni ed interni dell’ente;

-“controllo sugli equilibri finanziari”: riguardante il mantenimento degli equilibri di bilanci

per la gestione di competenza ,dei residui e di cassa,alla cui disciplina provvede l’ente con

l’approvazione del Regolamento di contabilità.

Controlli interni ed esterni: la valorizzazione della Corte dei Conti e di figure interne.

Nell’ambito normativo così tracciato la normativa punta l’attenzione su Comuni e Province ma

prevede “ex novo” un’ apposita disciplina dei controlli preventivi e successivi relativamente alle

Regioni sulle leggi di spesa e sui bilanci affidandone la competenza alle sezioni regionali di

controllo. Affida alla Corte dei Conti il ruolo centrale del sistema dei controlli esterni nei

confronti degli Enti locali introducendo l’art.148 TUEL, modificato, la competenza sulla

vigilanza del funzionamento dei controlli interni degli Enti locali evidenziandone con apposita

normativa di dettaglio aggiunta in sede di conversione i compiti di soggetto tutore in qualità di

Organo ausiliario dello Stato e della corretta gestione finanziaria degli Enti locali (art.148 bis) in

base ai principi prima enunciati.

Riguardo all’organizzazione dei controlli interni di Comuni e Province il Legislatore ha puntato

su alcune figure degli Enti: il Responsabile dei servizi finanziari, l’Organo di revisione, il

Segretario comunale e provinciale (in alternativa per alcune attribuzioni, e laddove è consentito

dalla legge, il Direttore Generale), oltre ai Dirigenti responsabili dei servizi come referenti

delle loro ordinarie funzioni gestionali ed agli Organi di governo locale per le loro specifiche

responsabilità in ordine ai compiti di programmazione e di responsabilità politica

amministrativa .

Da segnalare a proposito degli organi politici ,l’obbligo posto a carico del capo

dell’amministrazione di inviare una relazione di” inizio mandato” la cui stesura è affidata

tuttavia a due figure tecniche: il Responsabile finanziario ed il Segretario comunale e

provinciale.(art.4 bis L.n.213/2012 .

Compito speculare all’obbligo di predisporre una dichiarazione di “fine mandato” anch’essa

redatta dal Segretario e dal Responsabile finanziario, certificata dall’Organo di revisione da

inviare al tavolo tecnico della Conferenza Unificata.

Si tratta di un controllo “incrociato” che potrà avere indubbia efficacia non solo sul piano

politico, ma anche su quello della verifica della capacità ed affidabilità programmatica dell’ente,

in una parola della sua “virtuosità” .

E’, al riguardo, significativo che il Legislatore abbia previsto obbligatoriamente sia la relazione

di “inizio mandato” per “verificare la situazione finanziaria patrimoniale e la misura

dell’indebitamento dei medesimi Enti” (art.4 bis L. n. 213/2012),che quella di” fine mandato”,

per rendicontare (oltre che su quelle voci) riguardo :il funzionamento dei controlli interni,

nonché sui rilievi eventuali della Corte dei Conti, per descrivere le azioni intraprese in ambito

finanziario e del contenimento della spesa e lo stato di convergenza ai bisogni “standard”

E’ la realizzazione di un “sistema circolare” di controlli interni che vede come attori gli

organismi tecnici più volte richiamati ,con il coinvolgimento (obbligatorio) del vertice politico

amministrativo, i quali rispondono insieme per le proprie specifiche responsabilità con la

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comminatoria di eventuali sanzioni pecuniarie in caso di mancato rispetto delle suddette

prescrizioni .

Il Responsabile finanziario nell’azione di salvaguardia degli “equilibri finanziari”

Il Responsabile finanziario, nonostante la opportuna modifica operata in sede di conversione

della previsione di uno “status” privilegiato relativo alla tutela particolare riguardo la revoca che

nella versione del DL era addirittura sottoposta al parere del Ministero dell’Interno(poi corretto

affidando l’obbligo del parere all’Organo di Revisione interno), è visto come figura-chiave per

la “salvaguardia degli equilibri finanziari” e per i controlli della “realizzazione degli obiettivi di

finanza pubblica determinati dal patto di stabilità interno” (art.147 le.. c).

Riguardo al primo aspetto il Responsabile finanziario è infatti il cardine del sistema, sebbene

con il concorso, in termini di vigilanza dell’Organo di revisione e con il “coinvolgimento attivo

degli Organi di Governo, del Direttore Generale, ove previsto, del Segretario e dei Responsabili

dei servizi secondo le rispettive responsabilità “ ( art. 147 quinquies).

La rilevanza dei compiti affidati al Responsabile finanziario in ordine al controllo degli

“equilibri” è definita con ampiezza e precisione implicando esso “anche la valutazione degli

effetti che si determinino per il bilancio finanziario dell’Ente in relazione all’andamento

economico finanziario degli organismi gestionali esterni” (c.3).

Ciò significa che la verifica deve essere effettuata in termini prognostici per effetti dinamici

della spesa sui bilanci anche con riferimento alle gestioni dei soggetti” partecipati” .

Il tutto deve essere disciplinato in apposito regolamento di contabilità dell’Ente “nel rispetto

delle disposizioni dell’ordinamento finanziario contabile degli Enti locali e delle norme che

regolano il concorso degli Enti locali alla realizzazione degli obiettivi della finanza pubblica,

nonché delle norme dell’art. 81 cost.” (c.2).

Risulta chiara la volontà del Legislatore di istaurare uno stretto collegamento delle norme locali

di contabilità con quelle nazionali di finanza pubblica.

Quest’ultima poi deve essere vista in stretta correlazione con le attribuzioni riferite al controllo

esterno della Corte dei Conti ai sensi degli artt. 148 e 148 bis prima accennati. Vi è ,infatti

,l’obbligo da parte del responsabile finanziario di “tener conto degli indirizzi della Ragioneria

dello Stato applicabili agli Enti Locali in materia di programmazione e gestione delle risorse

pubbliche” e “segnalare alla Corte dei Conti i casi di gestione che possa pregiudicare gli

equilibri finanziari”(art.153 c .5 e 6 modificato dall’art.3 DL 174, convertito in legge 213/2012).

Si può parlare di stretta correlazione di questa figura con i nuovi compiti affidati alla Corte dei

Conti anche a proposito di ciò che dispone l’art.148 bis riguardo al rispetto degli obiettivi

annuali posti dal “Patto”; al controllo dell’osservanza del vincolo di indebitamento(art.119 .c.6

Cost) ;alla verifica della sostenibilità dell’indebitamento ;alla verifica dell’assenza di irregolarità

che possano pregiudicare gli equilibri (come già rilevato).Attività cui concorre l’Organo di

revisione anche perché in caso di accertamento di irregolarità da delle sezioni regionali di

controllo della Corte ,dopo un breve periodo (60 più 30) senza provvedere, all’ente è inibita

l’attuazione dei programmi di spesa “per i quali è stata accertata la mancata copertura o

l’insussistenza della relativa sostenibilità”.

Il sistema dei controlli in questo specifico campo richiama dunque le attribuzioni stabilite dal

Legislatore per l’Organo di revisione.

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L’Organo di Revisione: l’ampliamento delle funzioni e il rapporto con la Corte dei Conti

Queste ultime risultano notevolmente ampliate riguardo alle materie oggetto di parere

obbligatorio (spiccano, in proposito, materie riguardanti la programmazione economico

finanziaria, le proposte di riconoscimento dei debiti “fuori bilancio”, prima previste solo se in

relazione a variazioni di bilancio conseguenti, proposte di indebitamento e di utilizzo di finanza

innovativa, ecc.) –art. 239 c.1 lett. b).

Competenze, alle quali va aggiunta l’accennata vigilanza sull’attività del Responsabile

finanziario in ordine alla salvaguardia degli “equilibri finanziari” .

Ne deriva il disegno di tale importanza riguardo al funzionamento ordinario dell’attività

amministrativa dell’Ente da prefigurarne un ruolo di Organo “terzo” con compiti di garanzia

rispetto agli obiettivi di finanza pubblica confermata anche dal ruolo di referente della Corte dei

Conti (art.239 c.1 lett. e) e c.2 lett. a)).

Un Organo che seppur interno al sistema dei controlli dell’Ente, è caratterizzato da una forte

indipendenza, caratteristica che viene confermata dalla previsione del Legislatore di affidarne la

scelta delle nomine ad un meccanismo del tutto innovativo quel è quello dell’estrazione casuale

sulla base di un Albo Nazionale formato appositamente dal Ministero dell’Interno in relazione a

specifiche domande da parte di soggetti iscritti agli ordini professionali in possesso di particolari

requisiti formativi (crediti conseguiti in corsi autorizzati dallo Stesso Ministero).

Tutto ciò è previsto da una specifica normativa intervenuta in attuazione della Legge n.148/2011

art. 16, c.25, attuato con Decreto ministeriale n.23 del 15 febbraio 2012.

Di particolare rilevanza è la disposizione riguardante la natura dei pareri (art.1 bis, art.239

TUEL inserito dal D.L. n. 174/2012). Si tratta di “un motivato giudizio di congruità, di coerenza

e di attendibilità contabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti” con l’obbligo

di “suggerire al consiglio le misure proposte dall’Organo di revisione”.

La previsione, unitamente a tutta l’attività dell’Organo di revisione, va collegata con l’ipotesi

sanzionatoria prevista dallo stesso Legislatore (art.3 c.1 lett.s), L.213/2012 che integra l’art.248

TUEL), a carico dei componenti il collegio dei revisori nell’ipotesi di accertamento di “gravi

responsabilità” da parte della Corte dei Conti “nello svolgimento dell’attività” o nella “ritardata

o mancata comunicazione” delle informazioni secondo le norme vigenti le quali, all’esito

dell’accertamento possono inibire la nomina di revisore fino a dieci anni oltre che la

sospensione dall’elenco dei revisori e la comminatoria di sanzioni disciplinari da parte degli

Ordini professionali di appartenenza.

Non va dimenticato in proposito le responsabilità di ordine generale attribuibili ai componenti

gli Organi di revisione in connessione alla caratterizzazione di “pubblico ufficiale” ai sensi

dell’art. 357 c.p.; alle responsabilità di mandatario art. 1723 c.c. e di organo amministrativo;

oltre alle responsabilità per danno erariale tipizzate: indebitamento (ex art.30 L.289/2002);

spesa per il personale (legge 78/2010).

La disposizione stabilisce correlativamente specifiche sanzioni agli amministratori di

incandidabilità per dieci anni che la Corte dei Conti ha eventualmente ritenuto responsabile,

anche in primo grado, “di aver contribuito con condotte dolose o gravemente colpose, sia

omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario”.

Le attribuzioni affidate all’Organo di revisione, nonché per quello di direzione e coordinamento

del controllo degli equilibri finanziari e della gestione finanziaria in ordine al rispetto del “Patto

di stabilità” da parte del Responsabile finanziario, sono da mettere in correlazione con le ipotesi

di intervento della Corte dei Conti così come sono previste dalla legislazione vigente.

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E cioè alla violazione del” Patto di stabilità” (art.1 c.166 L.266/2005); alla elusione del” Patto”

(art.20 D.L. n.9a8/2011);alle vicende che preludono alla violazione del “Patto” o al dissesto

(art.6 D.Lgs. 149/2011) che può comportare l’ipotesi di scioglimento del Consiglio);alla

vigilanza sul riequilibrio finanziario “pluriennale” (art.243 bis TUEL);al controllo concomitante

degli equilibri finanziari (art.148).

In questo contesto vanno pure inserite le misure di carattere normativo e contabile in parte già

inserite nel disegno di legge per l’attuazione del “pareggio di bilancio” ai sensi del nuovo art.81

cost. non completato a seguito dell’anticipata conclusione della legislatura, sui quali è prevista

la competenza dell’Organo di revisione e la vigilanza della Corte .

Tra esse alcune tra le più rilevanti riguardano:

- la limitazione dell’utilizzo dell’avanzo non vincolato in caso di utilizzo di entrate a specifica

destinazione (art.195 TUEL) ed in caso di utilizzo di anticipazione di tesoreria (art. 222

TUEL disposizione che modifica l’art.187 TUEL);

- il riconoscimento da parte del Consiglio del provvedimento assunto dalla Giunta per il

finanziamento urgente di lavori pubblici di “somma urgenza” che rientra come ulteriore

causa di riconoscimento dei debiti fuori bilancio ai sensi dell’art.194 TUEL (modifica al

vigente art. 191 c.3 TUEL);

- l’inclusione nel piano esecutivo di gestione del piano dettagliato degli obiettivi, art.108

TUEL, e del piano delle performance, art. 10 D.Lgs. 150/2009 (modifica all’art. 109 c.3

TEUL);

- l’introduzione del nuovo utilizzo del “fondo di riserva” ex art. 166 TUEL;

- l’inibizione dell’utilizzo dell’avanzo di amministrazione in caso di anticipazione di cassa o

di utilizzo di fondi vincolati (modifica all’art.187 TUEL);

- la possibilità di utilizzo dell’anticipazione di tesoreria ex art.222 per gli Enti locali in

dissesto in caso di “grave indisponibilità di cassa” certificata congiuntamente dal

Responsabile finanziario e dall’Organo di revisione(integrazione al vigente art.222 TUEL);

- l’inclusione tra gli Enti strutturalmente deficitari di quegli Enti che pur non risultandolo

non presentino il certificato di rendiconto di gestione previsto dall’art.161 (integra

l’articolo 243 TUEL);

- la previsione della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale per gli Enti locali in cui

sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto sulla base di

pronunce delle sezioni regionali di controllo o delle informazioni rese dal collegio dei

revisori e in caso di insufficienza delle misure di riequilibrio introdotte (art.243 bis TUEL).

Oltre alla previsione di misure integrative in caso di dissesto accertato con nuovi provvedimenti

presenti negli articoli 243 ter, quater e le già accennate disposizioni in tema di conseguenze

della dichiarazione di dissesto a carico di amministratori e di revisori.

Il Segretario Comunale e Provinciale nel controllo successivo

Il nuovo sistema dei controlli interni valorizza un’ altra figura istituzionale che il legislatore ha

messo in rilievo anche nell’attivazione della disciplina dei meccanismi preventivi da adottare

per contrastare il fenomeno della corruzione nella pubblica amministrazione (legge 190/2012).

Si tratta del Segretario comunale provinciale.

A questa figura, nonostante che sia ancora posta in alternativa a quella del Direttore Generale

laddove essa sia prevista ed attiva in forza della legge (e cioè nei Comuni oltre i 100 mila

abitanti e nelle Province come da disposizione dell’art.2 L.191/2009 e art.2 c.186 L.42/2009),

sono attribuite competenze di grande rilevanza nel caso di “controllo di regolarità

amministrativa” di atti a carattere gestionale (determinazioni dirigenziali) o di a altri atti

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amministrativi e di governo dell’Ente (come i contratti e gli atti-provvedimento), nella fase

successiva prevista dal c.2 dell’art-147 bis; attività finalizzata per espressa disposizione del

Legislatore anche alla valutazione, in base al disposto della L.150/2009, da parte degli Organi di

valutazione interna (c.3, art.147 bis).

Oltre al concorso nell’attività del “controllo degli equilibri finanziari” (art.147 quinquies), di cui

si è parlato in precedenza ed all’attività riferita al “controllo strategico” (art.147 ter) , alla

responsabilità dell’invio della relazione semestrale “sulla regolarità della gestione e sulla

efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni” adottato dall’Ente, attività che sono

attribuite in alternativa alla presenza del Direttore Generale, spetta infatti al Segretario la

competenza esclusiva della direzione dell’attività di controllo successivo e della trasmissione

del relativo periodico referto dell’attività di riscontro della regolarità “amministrativa” che,

all’origine includeva anche l’aspetto “contabile” poi soppresso in sede di conversione. Gli

interlocutori sono, in proposito, oltre che al massimo Organo Rappresentativo dell’Ente

(Consiglio comunale e provinciale), ai Responsabili dei servizi, all’Organo di revisione, e per la

valutazione dei risultati del controllo, agli Organi di valutazione dei dipendenti.

Questa attività dopo l’abrogazione del parere di “legittimità” ex L.142/1990 da parte del

Segretario e dei controlli esterni sugli atti da parte dei Co.Re.Co. , operate con una successione

di norme (L. c. n.3/2001, L. 131/2003, D.Lgs. n.170/2006), era in pratica solo enunciata

nell’art.147 TUEL al c.1 lett.a) che stabiliva il principio del “legittimità, regolarità e correttezza

dell’azione amministrativa” da garantire “attraverso il controllo di regolarità amministrativa e

contabile” da affidare agli Enti locali “ nell’ambito della loro autonomia normativa ed

organizzativa” e cioè affidandola alla loro volontà discrezionale senza individuarne modalità,

compiti responsabilità funzionali e senza indicarne i soggetti responsabili.

Tali ragioni hanno in parte favorito, come già rilevato, la sostanziale elusione della norma anche

per il motivo dell’acquisizione di un ruolo di maggior rilevanza dell’Organo di revisione.

La necessità di operare da parte degli Enti in modo corretto e trasparente fondando la loro

azione amministrativa sui criteri e le linee gestionali stabilite da una pluralità di riferimenti

(norme speciali, norme amministrative, norme contabili, statuto, regolamenti interni, procedure

amministrative, contratti stipulati) aveva indotto alcuni Enti (si è già detto delle esperienze

consolidatesi in alcune Province: Lucca e Cremona, ed in Comuni: Montecatini Terme) ad

adottare procedure di “controllo amministrativo e contabile” interno attraverso la

“procedimentalizzazione” dell’attività amministrativa basata sul controllo” a campione” delle

determinazioni dirigenziali, la realizzazione di “report” contenenti segnalazioni di irregolarità e

attraverso la redazione di relazioni sui rilievi e riguardo a raccomandazioni e proposte ai

Dirigenti responsabili.

L’organizzazione di un’attività obiettivamente complessa esigeva tuttavia anche il supporto

tecnico ed organizzativo “Internal Auditing” per la selezione dei dati e la loro interpretazione

univoca, di un efficace ed efficiente servizio informatico, della standardizzazione degli

strumenti di controllo per le varie tipologie di atti da sottoporre al controllo con l’indicazione

degli elementi necessari per la costruzione dei provvedimenti in base alle leggi, alle normative e

direttive di riferimento, oltre che dal indispensabile coinvolgimento dei Responsabili della

gestione. Il tutto non poteva che essere codificato da una apposita regolamentazione.

Come si può vedere, si trattava di elementi di difficile elaborazione, resa ancora più

problematica in quanto affidata alla volontà discrezionale degli Enti, culturalmente e poco

sensibili sia al controllo in forma di auto-tutela (considerata una forma di limitazione alla

discrezionalità politico-amministrativa) che alla valutazione delle prestazioni, ritenute di

difficile attuazione in quanto da realizzare con metodologie aziendalistiche non esportabili in

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una realtà come quella delle amministrazioni locali orientate alla erogazione di servizi alla

socialità.

Con la disposizione contenuta nell’art.147 bis, il legislatore ha distinto la procedura del

“controllo amministrativo e contabile” in due fasi: preventiva e successiva.

La prima da effettuarsi “in itinere” e cioè nel corso della formazione dell’atto, ed affidata ad

“ogni responsabile di servizio” attraverso il parere di regolarità tecnica e della correttezza

amministrativa ex art.49 TUEL che comunque il Legislatore con la modifica operata con l’art.3

c.1 lett.b) L. n.213 del 2012, ha esteso alla valutazione degli “effetti diretti o indiretti sulla

situazione economico-finanziaria e/o sul patrimonio dell’Ente” e al Responsabile finanziario cui

spetta la valutazione dell’aspetto “contabile attraverso il rilascio del parere di regolarità

contabile e del visto attestante la copertura finanziaria” anch’esso in base all’art.49 TUEL.

Quella successiva è affidata, come detto, alla competenza esclusiva del Segretario comunale

provinciale cui compete la direzione dell’attività di riscontro di regolarità amministrativa

(quello “contabile” è dunque solo preventivo)”secondo principi generali di revisione aziendale e

modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa” (e cioè mediante predisposizione di

apposito regolamento interno), da effettuarsi su una serie tipizzata di atti (determinazioni,

contratti, altri atti amministrativi) da scegliersi “secondo una selezione casuale effettuata con

motivate tecniche di campionamento”.

Allo stesso Segretario compete, come detto, la responsabilità di redigere i referti periodici e la

relazione finale .

Le modifiche del controllo successivo in sede di conversione(criticità)

Se la fase di controllo preventivo si inserisce tra le pratiche di attuazione del principio di

autotutela amministrativa, quella successiva assume maggiormente un profilo pro-attivo e

valutativo funzionale al miglioramento “quali-quantitativo” dell’attività amministrativa.

Anche per questa ragione è discutibile la decisione, assunta in sede di conversione del D.L.

n.174/2012 già citato di espungere dal testo originale l’aspetto riguardante il controllo

“contabile” previsto accanto a quello “amministrativo”.

E’ infatti vero che, sul piano pratico, un rilievo di irregolarità contabile reso successivamente

all’esecutività dell’atto non avrebbe effetto in quanto l’atto è formato regolarmente ed ha

dispiegato i suoi effetti ed anzi potrebbe produrre effetti conflittuali sui terzi interessati dal

provvedimento, oltre a produrre incongruenze procedurali senza avere efficacia sulle stesse.

Non sembra tuttavia altrettanto sostenibile la decisione se questo aspetto si valuta sul piano

giuridico.

La mancanza di valutazione anche “contabile”, infatti, oltre a non permettere al Segretario di

concorrere in termini incisivi nell’azione di verifica della salvaguardia degli equilibri finanziari

per quanto attiene gli aspetti eventualmente sfuggiti al controllo preventivo, impedisce di fatto

l’inclusione di un aspetto più che rilevante tra i “documenti utili per la valutazione” da parte

dell’Organismo di valutazione come prescritto dal Legislatore.

Al Segretario non spetterà solo il compito di direzione dell’attività ma anche quello, almeno

come azione di supporto giuridico normativo al servizio di “auditing”, della definizione della

proposta di pianificazione dell’attività di controllo attraverso il piano annuale dei controlli

disciplinato dal Regolamento, dei relativi obiettivi e della proposta complessiva di

regolamentazione dell’attività stessa.

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Più tecnica e necessaria di professionalità adeguate da rintracciarsi esternamente se non è

prevista una unità interna di “auditing”, è la definizione dei criteri di controllo.

Su questo aspetto va fatto riferimento ad alcune linee-guida esistenti a livello internazionale ed

europeo. Tra questi ultimi si può segnalare quella redatta nel 1998 e conosciuta come “manuale

di controllo sistematico secondo modelli privatistico-aziendali” nel quale vengono individuati

“standard” quali il controllo di regolarità di procedure, di affidabilità dei dati e dei sistemi di

controllo, gli indicatori di funzionalità.

Secondo questo modelli internazionali il piano annuale dei controlli si dovrebbe realizzare

seguendo queste sequenze:

La scelta delle aree funzionali per il controllo supportato dalla verifica dei dati normativi e

di comportamento sintetizzate in apposita scheda di raffronto e di riferimento normativo e

programmatico per la verifica procedurale e di regolarità dell’atto opportunamente

individuato in riferimento all’area da controllare;

il monitoraggio “a campione” con definizione del campione (la scelta sperimentata nella

provincia di Cremona era basata su una formula matematica tradotta in un semplice

programma informatico in cui erano inseriti indicatori relativi alla frequenza di

“confidenza” in base alla probabilità di trovare o meno irregolarità negli atti);

la redazione di” report” periodici con segnalazione di irregolarità e con la richiesta di

chiarimenti, la proposta di circolari sbrigative e con la relazione finale con cui valutare in

modo complessivo il sistema di regolarità di affidabilità dei dati e con cui si effettuano le

proposte di modifica del sistema ed eventualmente dei regolamenti interni vigenti.

L’azione conclusiva dovrà puntare sull’affinamento sulla base dell’esperienza “in itinere” di

alcuni elementi: elaborazione e diffusione di “griglie” di confronto e di eventuali “schema-tipo”

per le procedure più frequenti e complesse (nonché di eventuali “fac-simile per gli atti più

complessi); nonché lo sviluppo di attività consulenziale interna di tipo tecnico-giuridico con la

programmazione di moduli formativi e di aggiornamento basati sulle attività e gli argomenti di

maggior rilievo evidenziati dall’esperienza di controllo.

Un cenno va fatto anche per quanto concerne il controllo di regolarità dei contratti e degli altri

atti amministrativi.

Per quanto concerne i contratti occorre evidentemente che siano repertoriati, registrati e idonei a

dispiegare ogni effetto previsto dal rapporto sinallagmatico.

Individuate le categorie di atti occorrerà anche adottare dei criteri tali da determinare l’utilità del

controllo sia ai” fini dei riflessi diretti ed indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul

patrimonio dell’ente”( ambito nel quale è obbligatorio il parere del Responsabile del servizio

finanziario così come la conseguente motivazione da parte dell’organo preposto in caso di non

conformità al parere stesso) che ai fini del riscontro della “legittimità, regolarità e correttezza

dell’azione amministrativa”.

E’ perciò evidente che, ai fini dell’efficacia dell’azione di controllo, dovranno essere escluse le

“determine” dirigenziali non comportanti impegni di spese ,così come atti normativi e generali

senza riflessi attuali e futuri di natura economico-finanziaria. Riguardo al controllo sui

contratti, occorrerà individuare un criterio che non privilegi esami formali del rapporto

contrattuale già costituito, se non in ragione dell’eventuale attivazione del recesso per giusta

causa ai sensi dell’art.1,c.13 del DL,n.95/2012, ma possa consentire una vera “manutenzione, e

cioè della regolare e puntuale sua esecuzione, da parte dei responsabili tecnici.

Si tratta di una attività che va vista nell’ottica di ottenere risultati utili al miglioramento” quali-

quantitativo” dell’azione amministrativa anche in una prospettiva di innovazione amministrativa

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che comunque deve essere considerata l’elemento “ontologico” ed addirittura prevalente rispetto

agli obiettivi di conformità e di “compliance” (adeguamento alle regole) che il Legislatore

impone. Per queste ragioni essa non può che essere rapportata ad una dimensione dinamica con

riflessi organizzativi e funzionali a medio termine.

Criticità ed opportunità da una esperienza concreta.

In proposito può essere utile riportare alcune conclusioni che sono state tratte dall’esperienza

della Provincia di Cremona in epoca antecedente all’approvazione della normativa contenuta

nell’art.147 bis e durata nel suo complesso circa tre anni.

Nel tempo infatti si sono registrate criticità nonché positività ed opportunità organizzative che

sinteticamente si riportano.

Quanto alle prime:

­ possibilità di situazione di attrito e di tensione all’interno dell’organizzazione di lavoro

a causa della difficoltà di accettare da parte dei Dirigenti e responsabili di servizio

osservazioni postume rispetto al proprio operato;

­ possibile instaurazione di contenzioso con i terzi( ditte e privati) destinatari dei

provvedimenti oggetto di rilievo nel controllo i quali venivano fatti oggetto di

contestazione dopo che i provvedimenti stessi avevano dispiegato i propri effetti

(eventuali possibile danni all’immagine);

­ difficoltà nel coinvolgimento dell’apparato ad ogni livello per la non completa volontà

di recepire le osservazioni formulate in sede di controllo e di adeguarvisi;

­ scarsa incisività dei dirigenti e responsabili dei servizi a diffondere la cultura del valore

del controllo ai fini del miglioramento organizzativo.

Riguardo alle opportunità :

­ di utilizzare l’occasione del funzionamento del controllo per por mano ad un sistema di

valutazione del personale in particolare dirigente costituito non solo da “performance”

di natura gestionale ma anche da parametri che sappiano misurare la qualità

amministrativa del personale;

­ possibilità di implementazione della preparazione giuridica del personale ad ogni

livello e grado di responsabilità attraverso una formazione “ad hoc”;

­ possibilità di realizzazione di una “check list” (lista di controllo) per ogni attività

amministrativa dell’ente che richiede particolare attenzione in relazione alle attività ed

ai servizi erogati ai cittadini in funzione di una ma con la normativa “anti-corruzione”

Esse sono necessarie per ricordare sinteticamente le finalità ed i principi per la migliore

operatività possibile di tale innovativa funzione e per sottolineare la necessità di un suo

coordinamento con l’altra funzione, altrettanto innovativa,quella relativa alla predisposizione e

gestione del “Piano anticorruzione”,di cui alla L.n.190/2012 e del controllo e della vigilanza

del “ Programma di trasparenza”,in attuazione della richiamata Legge (di cui il Governo,in data

22 gennaio scorso,ha approvato lo schema di decreto).

Oltre che trattarsi di una esigenza di sistematicità dovuta all’ambito comune della materia,il

coordinamento si rende ancor più necessario in quanto il soggetto responsabile di tali funzioni è

lo stesso:il Segretario comunale provinciale ,a condizione che egli sia nominato dall’Organo di

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indirizzo politico dell’ente locale .Come si vedrà più avanti,infatti,il legislatore individua tale

figura come prioritaria(“ di norma”,c.7,L.190) ma tale opzione può essere derogata dalla stessa

amministrazione con atto adeguatamente motivato.

Su questo aspetto si segnala tuttavia l’intervento della Funzione pubblica che,con circolare n.1

del 25 gennaio 2013,fornisce un’interpretazione tale da fugare ogni dubbio riguardo la

fondatezza della priorità dell’affidamento della funzione di “Responsabile” al Segretario. Sui

contenuti di tale interpretazione ci si soffermerà più avanti.

Quanto alle finalità ed i principi del controllo successivo ,occorre ricordare ai fini operativi e

come del resto si desume dalla citazione delle esperienze concrete intervenute, che tale

funzione ,oltre a monitorare e verificare la regolarità amministrativa delle procedure e degli atti

adottati;a rilevarne la legittimità in relazione alle norme comunitarie

,costituzionali,legislative,statutarie e regolamentari;ad attivare procedure omogenee e

standardizzate per l’adozione di determinazioni di tipologie simili e di costruire un sistema di

regole condivise per migliorare l’azione amministrativa mediante l’assistenza ,il

monitoraggio,le valutazioni e le raccomandazioni a tutti i soggetti dell’amministrazione,si pone

come principale obiettivo di :

- sollecitare l’esercizio del potere di “autotutela” da parte dei responsabili gestionali,ove

vengano ravvisate patologie;

- di indirizzare l’attività amministrativa verso percorsi semplificati che garantiscano il rispetto

della legalità e della massima” trasparenza”.

Come si vede,ritorna il concetto di tutela della “buona amministrazione”( traduzione del

principio costituzionale di “buon andamento e imparzialità dell’amministrazione”,art 97) che,

se ,a proposito di questa tipologia di controllo,è visto nell’ottica dei principi della utilità

operativa e funzionale ( i risultati devono essere utili al miglioramento quali- quantitativa degli

atti in funzione dei servizi da rendere al cittadino),della condivisione con tutte le strutture

operative e della oggettività (attraverso la predisposizione di “standards” di riferimento),nonché

della tempestività( per assicurare l’efficacia delle azioni correttive) dell’azione di controllo,

richiamano automaticamente l’aspetto della prevenzione nell’azione amministrativa.

Essa si può attivare attraverso la costruzione di una” rete”informativa che possa fornire gli

elementi per migliorare l’organizzazione interna anche per prevenire,attraverso il risultato del

riscontro di anomalie giuridiche, la commissione di illeciti amministrativi e penali da parte dei

soggetti con responsabilità gestionale.

E’ evidente ,a questo punto ,il collegamento con le esigenze della tutela contro la corruzione e

la violazione delle regole della trasparenza di cui si è occupato recentemente il Legislatore con

la normativa citata.

Ed è pure del tutto funzionale per le amministrazioni prevedere le necessarie correlazioni

organizzative interne al fine di rendere efficace e virtuosa l’azione amministrativa nei confronti

dei cittadini e per la salvaguardia degli interessi generali.

Quale migliore motivazione per riunire in un unico soggetto( il Segretario ) la responsabilità

dell’esercizio di tali funzioni?

Nel caso,comunque ,che l’amministrazione scegliesse una figura alternativa al Segretario per

svolgere tale funzione,secondo la Circolare citata, dovrà essere un Dirigente con rapporto

stabile con l’amministrazione che i motivi “eccezionali”( uno di essi potrebbe essere il

comportamento non integerrimo del Segretario,o il fatto di essere di provvedimenti giudiziali)

di tale decisione andranno adeguatamente motivati.

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In tal caso comunque il Segretario, per le competenze delineate a proposito della attività di

direzione del controllo interno successivo, sarà un necessario punto di connessione tra le varie

competenze finalizzato a migliorare l’azione amministrativa attraverso una migliore

organizzazione dell’ente di riferimento.

Le misure anticorruzione (legge 190/2012): trasparenza e piano anticorruzione. Compiti ed opportunità per gli Enti locali e per il Segretario comunale Provinciale.

L’approvazione, dopo un lungo tentennamento durato oltre due anni, della legge ormai

conosciuta come “Prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”, in realtà

rubricata come “Disposizioni per la prevenzione e repressione della corruzione e della illegalità

nella pubblica amministrazione “ (legge n. 190/2012 dall’originario disegno di legge 2156-B

già presentato nel 2010), fornisce alcuni ulteriori elementi agli Enti locali per un riordino

organizzativo e funzionale che richiederà lo sviluppo di nuove professionalità oltre al

perfezionamento delle competenze del Segretario comunale provinciale, cui il Legislatore

affida la responsabilità della disciplina della prevenzione della corruzione negli enti locali(

sebbene con la locuzione prudenziale nel rispetto all’autonomia organizzativa degli Enti), “di

norma” (art.1 c.7) ma con la significativa puntualizzazione “salva diversa e motivata

determinazione” con la quale si intende sottolineare la priorità della scelta.

.Di ciò si è già accennato poco più indietro e se ne tratterà più approfonditamente in

conclusione.

In questa sede non resta che dire che questa priorità è confermata, tra l’altro, come si dirà più

avanti, dall’ ulteriore disposizione della Legge che prevede una sorta di procedura di tutela

rispetto alla revoca del Segretario, prevista dal c.82 della legge in commento, ove si modifica

l’art.100 c.1 del TUEL.

E che sembra d’accordo su questa tesi la Funzione Pubblica che,con circolare n.1 del 25

gennaio 2013, considera la funzione del Responsabile ex lege 190 come “naturalmente

integrativa “della competenza generale che spetta al Segretario in base al disposto dell’art.97

TUEL).

E’ importante tutto ciò perché,collegato alla Legge ,ed alle problematiche accennate,è il decreto

attuativo per la parte relativa alla “trasparenza” ed agli obblighi di pubblicità degli enti

pubblici.

Tale Dlgs è stato emanato dal Presidente della Repubblica con atto n.33 del 14 marzo 2013 ed

è entrato in vigore il 5 aprile.

Ma prima di affrontare questi argomenti è opportuno svolgere un rapido “excursus “ del

contenuto della legge.

La normativa.

A testimonianza della laboriosità con cui è venuta alla luce la legge si riporta un dato : la

versione originale, dopo la ripresa del suo “iter” e dopo il primo apporto della Camera dei

deputati, era contenuta in 27 articoli, nel testo definitivo è invece composta da un unico

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articolo con ben 83 commi ,frutto del lavoro di un incessante lavoro integrazione e del

conclusivo voto di fiducia (la legge ,data 6 novembre 2012, è entrata in vigore il 28 novembre

2012).

La sua complessità e la varietà degli argomenti contenuti ,consentono in questa sede di

accennare solo ad alcuni aspetti della normativa cercando di cogliere quelli più funzionali al

discorso in atto riguardante la prospettiva di riforma delle Autonomie locali di cui sia il

rafforzamento dei controlli interni di cui al DL n.174/2012 che la normativa, ora in commento,

costituiscono tasselli fondamentali.

Occorre dire subito che il Legislatore affronta il tema del contrasto alla corruzione nella

Pubblica amministrazione su due versanti :quello penale e quello amministrativo. E che

,quest’ultimo,è assai ricco di novità sia sotto il profilo degli adempimenti per gli enti e sia

riguardo le ricadute organizzative che lo sviluppo di tale aspetto impone sia alla parte politica

che a quella gestionale degli enti stessi.

Più minimalista ,anche se molto incisiva per le sue novità, è la parte riguardante le misure di

carattere penale previste.

Come a dire che la soluzione dei delicati problemi riguardanti il contrasto alla corruzione

nell’ambito pubblico si dovrà trovare all’interno degli enti migliorando l’assetto organizzativo

e puntando sull’azione preventiva di carattere amministrativo piuttosto che davanti al Giudice.

Entrambe le prospettive,tuttavia, rispondono ad una comune esigenza : quella

dell’adeguamento ai livelli di attenzione internazionali del fenomeno corruttivo nella pubblica

amministrazione. Il legislatore infatti si rifà alla necessità di dare attuazione alla Convenzione

dell’ONU del 2003 ed a quella relativa alla Convenzione penale di Strasburgo del 1999,tutte

ratificate dal nostro Paese con ragguardevole(e significativo ritardo,rispettivamente ,nel 2009 e

nel giugno del 2012).

Per queste ragioni , come prima disposizione organizzativa a carattere generale,vengono

individuate le figure centrali dalle quali dipendono, per competenza, le misure di contrasto

della corruzione con la predisposizione del “Piano nazionale anticorruzione”( affidato alla

Funzione Pubblica),la sua approvazione, nonchè la vigilanza ed i controlli sull’effettiva

applicazione delle misure anti corruzione da parte degli enti( da parte dell’Autorità Nazionale

impersonata nella CIVIT) ,a cui devono riferirsi tutti i soggetti cui spetta l’attuazione della

Legge( tutta la PA) sia riguardo ai principi che relativamente ai contenuti essenziali

,nell’adozione dei rispettivi “Piani” (c.59 e 60 L.190).E’ fissato ,allo scopo,un termine per la

sua prima applicazione che ,in considerazione della complessità della materia e della precarietà

della situazione politica generale, appare poco realistico( 120 giorni dall’entrata in vigore della

Legge e cioè il 30 marzo c.a.).

Le disposizioni di carattere penale

Il legislatore interviene chirurgicamente individuando nuove forme di reato ed affinando le

fattispecie tradizionali dei reati propri e sintomatici della corruzione appesantendo le sanzioni.

A tal proposito è però utile, per definire l’ambito penale in deve muoversi la lotta alla

corruzione riportare la precisazione della Circolare della Funzione pubblica del 25 gennaio

2013.tale riferimento deve essere inteso come riferimento ampio,e cioè alle “varie situazioni in

cui ,nel corso dell’attività amministrativa,si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere

a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”Il che significa che devono essere compresi

tutti i reati dal Titolo II,capo I,del codice penale,cioè i reati contro la Pubblica amministrazione.

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Concretamente,al comma 75, sono previste modifiche al vigente codice penale in ordine ai reati

di “concussione” ,di cui all’art 317 cp, di “corruzione” ,art 318 cp ed aggiunte nuove ipotesi

delittuose “concussione per induzione” art.319 ter, “traffico di influenze illecite”,art.346 bis ed

è previsto l’aumento del minimo sanzionatorio per il peculato, la corruzione, l’abuso d’ufficio

.E’ rese più ampia la pena accessoria della “ interdizione perpetua dai pubblici uffici” ed è

stata modificata la fattispecie della “confisca”(art.322 cp) allineandosi al diritto dell’Unione

Europea.

E’ introdotta una modifica nell’art.2635 del c.c. prevedendo l’illecito “corruzione tra privati”

(art.20) con la previsione per la responsabilità riguardante sia i nuovi reati penali che l’ipotesi di

“corruzione tra privati” di inclusione tra le ipotesi di responsabilità amministrativa prevista

dall’art.25 D.Lgs. n.231/2001 (c.76,77.) ed il coordinamento del codice di procedura penale

riguardo le ipotesi di illeciti penali (c78.) e di contrasto alla criminalità mafiosa

. Con la disposizione prevista al c.81 viene modificato il TUEL, agli art.58 e 59, riguardanti

le cause di incandidabilità nelle elezioni comunale, provinciali e circoscrizionali e di ricoprire

cariche presso gli Organo rappresentativi degli stessi Enti, così come si prevede( c.63) la delega

al Governo per il riordino delle ipotesi di incandidabilità a membri del Parlamento

europeo,nazionale ,alle elezioni regionali e amministrative comunali , provinciali e

circoscrizionali e di divieto a ricoprire cariche di presidente ,di componente del cda di consorzi

,aziende speciali ed istituzioni e di comunità montane. La delega riguarda( c.64) anche i casi di

incandidabilità temporanea a parlamenta nazionale nelle ipotesi di condanna ai sensi dell’art.51

,commi51,commi 3 bis e quater del cpp e dei delitti previsti nel libro secondo,titolo II,capo I del

cp( delitti contro la PA).

Le misure di carattere amministrativo

Mediante la previsione di misure amministrative si vuole rafforzare il tessuto connettivo in cui

si esprime l’azione amministrativa affidandosi, con terapie mirate e con intenti preventivi, .Esse

intendono agire pertanto in ambito strutturale con effetti organizzativi e funzionale nel “corpo”

dell’ente locale.

La vera novità della nuova legge è quella di affidare all’efficacia delle misure amministrative

interne non solo il contrasto della corruzione ma anche ,a mezzo di essa, la trasformazione della

pubblica amministrazione.

Vengono previste misure di dettaglio per la trasparenze dell’attività amministrativa consistenti

nella generalizzazione della pubblicazione sui siti web di ogni Ente di tutte le informazioni

riguardanti l’attività dell’Ente come stazione appaltante comprese le notizie riguardanti i tempi

di esecuzione e l’importo delle somme liquidate, notizie che saranno liberamente scaricabili

una volta pubblicate (31 gennaio di ogni anno) in tabelle riassuntive in formato digitale da

trasmettere alla Agenzia per la vigilanza dei contratti pubblici, pena in caso di omissione la

trasmissione della notizia alla Corte dei Conti e con l’applicazione delle sanzioni pecuniarie

previste dalla legge. E’ infine prevista in proposito la delega al Governo per il riordino della

disciplina degli obblighi di pubblicità e di trasparenza degli Enti e dei dati relativi ai titolari di

incarichi politici ed incarichi dirigenziali, nonché per la previsione di nuove forme di pubblicità

(art.3).

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Viene modificata,con intenti semplificativi, la legge sul procedimento amministrativo legge

241/1990 a proposito: dell’obbligo di trasparenza per i soggetti privati preposti all’esercizio di

attività amministrative( c.37); di casi di motivazione semplificata del provvedimento

conclusivo in caso di “manifesta irricevibilità ,inammissibilità,improcedibilità o in fondatezza

della domanda di accesso(c. 38); dei casi di conflitto di interesse e della motivazione riguardo

gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento ( c.41.).

E’ sottoposto a censimento il conferimento delle posizioni dirigenziali attribuite a persone

individuate discrezionalmente senza procedura selettiva pubblica (c.39).

Sono sottoposte a misure di restrizione gli incarichi extra-istituzionali previsti dall’art.53

D.Lgs. n.165/2001 ( c.42), con particolare riguardo alla verifica di “situazioni di conflitto,

anche potenziale, di interessi che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite

al dipendente” e vengono incentivate le forme di pubblicità dell’affidamento di consulenze

prevedendo il formato digitale “standard” liberamente scaricabile. La disposizione riguarda

anche gli incarichi conferiti dall’amministrazione“a titolo gratuito”i quali vanno comunque

comunicati alla Funzione Pubblica.

Con l’intento di evitare la commistione di ruoli che possono arrecare danno

all’amministrazione o presentare conflitto di interesse ,il legislatore ha previsto, per i

dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato”poteri autoritativi o negoziali

per conto delle pubbliche amministrazioni”, l’ inibizione,nei tre anni successivi, allo

svolgimento di attività lavorativa o professionale presso soggetti privati destinatari di attività

con la stessa pubblica amministrazione( si aggiunge il c.16 ter all’art.53 Dlgs n.16572001).

Così come viene radicalmente mutata la disciplina del “Codice di comportamento” già previsto

dall’art.54 D.Lgs. n.165/2001 con l’obbligo di predisposizione da parte di ogni Ente sulla base

dei principi formulati dalla legge ( c.44 ). Sono altresì fissati i criteri per la prevenzione del

fenomeno corruttivo nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici(c.45, con

l’inserimento dell’ art.35 bis del Dlgs.n.165/2001).

Una nuova disciplina sanzionatoria viene delegata al Governo per la definizione degli illeciti

disciplinari riguardanti la violazione dei termini dei procedimenti amministrativi ( c.48 ).

Viene prevista apposita delega al Governo per la disciplina dei casi di non conferibilità e di

incompatibilità degli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle

pubbliche amministrazioni e negli enti privati sottoposti al controllo pubblico che esercitano

funzioni amministrative o gestiscono ovvero producono servizi pubblici (c.49 e 50.).

E’ introdotta una sorta di particolare tutela (la denuncia è sottratta all’accesso di cui alla legge

241/1990) per il dipendente pubblico che denuncia e riferisce condotte illecite apprese in

ragione del suo rapporto di lavoro. La previsione è attenuata dall’esclusione di tale prerogativa

in caso di accertamento di responsabilità di natura penale per calunnia e diffamazione ovvero

responsabilità civile per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. (c.51 ).Riservando una specifica

trattazione,in questa sede occorre dire che la previsione ,pur rispondendo ad una prassi assai

diffusa anche in ambito europeo ,è da applicare con estrema prudenza per le possibili

implicazioni funzionali all’interno degli enti.

Sono individuate particolari misure di natura procedimentale preventiva riguardo l’attività di

imprese particolarmente esposte al rischio di infiltrazioni mafiose (c.52,53 ).

Viene dedicata particolare attenzione ad una materia ritenuta particolarmente sensibile alla

commissione di reati rientranti nell’ambito corruttivo:il conferimento di appalti pubblici , le

relative procedure (sotto il profilo della trasparenza e della pubblicità) e soprattutto

dell’esecuzione dei relativi contratti. Perciò è sottoposto a modifica l’art 135 del” Codice dei

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contratti”(Dlgs n.163 /2006) integrando le cause di risoluzione del contratto con l’appaltatore

con il riferimento alla sentenza definitiva di condanna nei suoi confronti per gravi reati penali

elencati espressamente nella norma (c 58.).Con finalità di semplificazione delle procedure di

soluzione delle controversie in tema di difesa dei diritti soggettivi nell’ esecuzione dei contratti

pubblici (ai quali vanno aggiunte anche le controversie relative a concessioni ed appalti delle

società partecipate),è previsto,in alternativa al ricorso al Giudice ordinario, il deferimento della

causa ad arbitri scelti dalla stessa amministrazione previa autorizzazione( commi 19 e 20).

Trattasi in proposito, di un tema assai dibattuto per la sua delicatezza che ,comunque,nonostante

il tentativo del legislatore di fornire elementi utili ad una sua regolamentazione ( commi 21 e

segg,), è prevedibile che trovi difficoltà operative sia all’interno degli enti per le implicazioni

organizzative sia nei privati coinvolti a causa di una possibile perplessità in ordine all’efficacia

della soluzione arbitrale.

Puntuale,per la necessità di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa, è da

ritenersi invece la precisazione dell’obbligo di adeguata motivazione riguardo al ricorso da parte

dell’ente agli accordi ex art 11 della L.241 /1990(,accordi integrativi o sostitutivi del

provvedimento).Disposizione appropriata per la necessità di dar conto,ai fini di dimostrare la

sussistenza dell’interesse pubblico, del procedimento logico con cui l’amministrazione giunge a

tale conclusione ( c.47) che potrebbe nascondere un abuso di potere.

E’ dedicata una intera norma alla prevenzione della corruzione nelle Regioni, negli Enti locali,

negli enti pubblici e nei soggetti di diritto privato (società partecipate) sottoposti a loro controllo

( c 59.).

E’ previsto l’obbligo(c.60) di redigere un “Piano triennale di prevenzione della corruzione” a

partire da quello relativo al 2013-2015; la disposizione va vista in correlazione a quanto

disposto dal c.7 a proposito dei compiti affidati al Responsabile dell’anticorruzione negli enti

locali( Segretario), così come vanno collegate alla disposizione evidenziata nel disposto del c.8,

l’obbligo di regolamentare l’affidamento degli incarichi sulla base delle nuove disposizioni e di

adottare il codice di comportamento. A questo proposito, l’Autorità Anticorruzione ha risolto

con proprio parere il problema interpretativo riguardante l’individuazione dell’organo di

indirizzo politico cui spetta la nomina dando valenza all’aspetto rappresentativo ed

amministrativi –gestionale della funzione e ,perciò, mettendola in capo alla figura del Sindaco .

Con il c.62 si dispongono norme per la disciplina al “danno all’immagine alla pubblica

amministrazione”, fissandone l’entità finora determinata discrezionalmente in sede giudiziaria

(si modifica l’art.1 della legge n.20/1994).

Si prevedono anche norme in materia di collocamento fuori ruolo di magistrati ordinari,

amministrativi e contabili e degli avvocati e procuratori dello Stato con divieto espresso in caso

di ricollocazione in ruolo, con apposita delega al Governo (c.67 e segg.).

Come già anticipato , viene modificato l’art. 100 in relazione alle ipotesi di revocabilità del

Segretario per il quale, in relazione alla sua responsabilità nell’attività di prevenzione della

corruzione viene, viene coinvolta l’Autorità anticorruzione con relativa sospensione temporanea

del procedimento (c.82).

La normativa conclude (art.2) con una disposizione di “invarianza finanziaria” ormai abituale

per la legislazione attuale così sensibile alle ragioni economico finanziarie. Clausola che risulta

quanto mai inopportuna specie in relazione all’attuazione di obblighi e all’attivazione di

procedure assai innovative per le quali, come nel caso degli Enti locali occorre sicuramente uno

sviluppo formativo “ad hoc” se non nuove professionalità (del resto questa necessità è ben

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individuata dallo stesso Legislatore che prevede procedure appropriate per selezionare a formare

i dipendenti da adibire a tale scopo .

La formazione del piano anticorruzione: analogie con la costruzione del “modello organizzativo” di cui al D.Lgs. n.231/2001.

Quest’ultima considerazione è ampiamente suffragata dalla necessità di individuare per le

predisposizione del piano triennale anticorruzione e, soprattutto, per la sua attuazione ed il

monitoraggio ipotesi metodologiche e procedurali al momento del tutto sconosciute all’interno

degli Enti locali.

Esse sono invece presenti in realtà private e pubbliche che hanno dovuto applicare per obbligo

di legge, la metodologia di analisi dei rischi aziendali, il cosiddetto “risk management” per la

costruzione di un modello organizzativo di prevenzione dei rischi che il Legislatore sanziona

severamente sia con sanzioni pecuniarie che con l’interdizione dell’attività e la confisca dei

beni.

Si tratta dell’applicazione delle norme previste dal D.Lgs. n.231/2001, approvata alla legge

delega n.300/2000, proprio per contrastare il fenomeno di corruzione internazionale in ambito

economico finanziario. La necessità di adottare norme specifiche per il contrasto della

“criminalità economica” è partita dalla constatazione della inadeguatezza dei sistemi di

prevenzione e controllo e repressione del fenomeno esistenti e dalle prove dell’esistenza di forte

radicazione del potere politico con il sistema delle imprese ai fini illeciti, hanno indotto la

legislazione internazionale ed in conseguenza il legislatore nazionale, sulla base di accordi

convenzionali, a dotarsi di apposite norme particolarmente innovative per l’ordinamento

giuridico nazionale che al riguardo, era sempre ancorato al brocardo “societas delinquere non

potest”.

E’ stato necessario pertanto realizzare una sorta di rivoluzione culturale alla quale si è adeguata,

seppur gradualmente, l’organizzazione di impresa privata e pubblica (è ormai pacifica infatti

l’applicazione della normativa alle cosiddette s.p.a. pubbliche, le società “partecipate”) dietro la

spinta di una giurisprudenza sempre più puntuale e perentoria che comminava severe sanzioni di

ordine pecuniario ma anche interdittive a chi non adottasse misure di prevenzione e di riduzione

dei rischi aziendali riguardo l’eventuale commissione di reati-presupposto di “responsabilità

amministrativa”(forma del tutto nuova di responsabilità, una sorta di “tertium genus” tra quella

penale e quella amministrativa con una particolare forma di funzionamento che vede l’ente

come possibile responsabile in via diretta dell’azione illecita compiuta da un proprio dipendente

se agisce in nome dello stesso ente) .

E’ dunque a questa esperienza ed alla metodologia di approccio al tema della prevenzione del

fenomeno corruttivo che anche gli Enti locali possono riferirsi.

Del resto è la stessa normativa Anticorruzione ad evocarne il riferimento laddove si sofferma

sulle caratteristiche che deve avere il “Piano triennale anticorruzione” (c.9 ) prevedendo le

diverse esigenze cui esso deve rispondere.

Si tratta infatti di “individuare le attività … nell’ambito delle quali è più elevato il rischio di

corruzione” (fruendo delle proposte dei dirigenti nell’esercizio delle loro competenze); di

“prevedere per le attività individuate … meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle

decisioni idonei a prevenire il rischio di corruzione”; di “prevedere, con particolare riguardo alle

attività individuate obblighi di informazione nei confronti del responsabile”; di “monitorare il

rispetto dei termini previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti”;

di “monitorare i rapporti tra l’amministrazione ed i soggetti che con la stessa stipulano contratti

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o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi

economici di qualunque genere”, avendo cura di verificare “eventuali relazioni di parentela o

affinità sussistenti” tra i titolari ed amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti con i

dirigenti ed i dipendenti dell’amministrazione.

Sono elementi, che già di per sé individuano le fasi di una procedura da seguire la quale è molto

simile al sistema di controllo interno praticato per l’applicazione della “231” per l’analisi dei

rischi (“risk assessement”) e per la costruzione del modello organizzativo di prevenzione.

Nella normativa anticorruzione mancherebbe ciò che nella realtà aziendale riguarda l’analisi

finalizzata a fornire notizie sul raggiungimento degli obiettivi aziendali attraverso le attività, le

informazioni, le procedure di finanziamento.

Esse sono facilmente rapportabili all’Ente locale poiché si possono identificare nell’analisi

delle competenze affidate alle unità organizzative, alle procedure seguite per l’attività di spesa e

di entrata, alla regolamentazione e alle procedure seguite per la ricerca del contraente, nonché al

monitoraggio dell’attività di gara pubblica da confrontarsi con le disposizioni di legge e con la

coerenza rispetto ai documenti programmatori in relazione al mandato politico elaborato dal

Sindaco e dal Presidente della Provincia.

Proseguendo nell’analogia con la metodologia della “231”, la definizione del “Piano

pluriennale anticorruzione” può essere rapportato alla costruzione del “modello organizzativo”

che comporta oltre all’analisi dei rischi (“risk assessement”), la loro “mappatura” la quale deve

essere costruita sulla base dei “processi sensibili” identificate in sede di analisi, dei

“comportamenti a rischio”, delle “aree e funzioni interessate” dalle “misure di contrasto

esistenti e quelle adottate”.

Si tratta di elementi che o sono già stati inquadrati nella precedente analisi, ovvero sono

facilmente desumibili dalla osservazione/monitoraggio delle attività esistenti.

La parte più delicata che comunque deve far parte della” mappatura”, è quella della

“misurazione” delle probabilità che tali rischi si realizzino, nonché dell’impatto sull’azione

amministrativa che essi possono avere e la possibilità che tali fattori determinino un rischio più

o meno accettabile.

Così procedendo la previsione del “Piano” (cui corrisponde la costruzione del “modello”231),

può acquisire gli elementi di base.

Essi tuttavia andrebbero completati con l’eventuale revisione delle competenze e con la loro

puntualizzazione in relazione ai maggiori o minori rischi potenziali (in termini tecnici si tratta di

un’operazione chiamata di “segregazione” dei compiti), nonché attraverso la predisposizione di

appositi regolamenti e la ricognizione di quelli esistenti, e con la predisposizione di appositi

“protocolli di comportamento”, con l’adozione/revisione di mansionari e soprattutto con la

dotazione di un “codice disciplinare” nonché di un “Codice Etico”.

Quest’ultimo , rapportato all’organizzazione dell’Ente locale, può essere previsto come

un’apposita sezione all’interno del “Codice di Comportamento” la cui predisposizione è

obbligatoriamente stabilita dal Legislatore al comma 44 che sostituisce radicalmente l’esistente

art.54 TUEL.

A carico del Responsabile del sistema anti-corruzione (e cioè, per gli Enti locali, del Segretario)

il Legislatore ( c.9) ha previsto compiti di gestione del “Piano” consistenti nella verifica

dell’efficace attuazione del “Piano” e della sua “idoneità”, nonché di proposta di modifica dello

stesso “Piano” , “quando sono accertate significative violazioni delle prescrizioni ovvero

quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività dell’amministrazione”. Allo

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stesso Responsabile spetta altresì il compito di verificare che nelle attività più a rischio si

realizzi una “effettiva rotazione degli incarichi” (che evidentemente dovrà essere previsto come

adempimento con i relativi criteri, nello stesso “Piano”). Così come al suddetto Responsabile è

affidata l’individuazione del personale da inserire nei programmi di formazione i quelli saranno

predisposti dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione ( c.11).

Si può riscontrare una stretta analogia anche su questo punto rispetto alle disposizioni del

D.Lgs. n.231/2001.

Costruito il “modello”, infatti, il Legislatore “231” ha puntato l’attenzione su alcune sue

caratteristiche ritenute determinanti: “idoneità” (possesso dei requisiti essenziali per evitare i

rischi), la sua “effettività” (attuazione in concreto), “adeguatezza” (capacità di prevenzione dei

rischi), “funzionalità” (efficacia nel tempo).

La differenza, peraltro assai rilevante rispetto alle previsioni della legge anticorruzione, si

riscontra nel fatto che a compiere questa azione di controllo nel sistema “231” è chiamato un

organismo “terzo” con spiccate caratteristiche di indipendenza (Organismo di Vigilanza).

Questo Organismo nell’azione di verifica, di valutazione di controllo dell’attivazione del

“modello”, agisce in stretta connessione sia con il “management”, sia con l’organo di gestione

(C.d.A.) avvalendosi per la proposta di modifica del modello, per la riduzione “in itinere” dei

rischi o per il suo adattamento a nuove esigenze organizzative di un supporto costituito da una

unità informatica per la “circolarizzazione” dei flussi informativi finalizzati a segnalare

l’esistenza di anomali, l’insorgenza di nuove aree di rischio, l’eventuale irrogazione di sanzioni,

o di provvedimenti da parte dell’autorità giudiziaria, riguardo al rilascio di autorizzazioni,

nonché relativamente alla partecipazione a gare d’appalto, alla conclusione di operazioni

commerciali rilevanti da parte dell’Ente.

Nel caso della legge anticorruzione invece l’azione di controllo e di verifica spettano allo stesso

Responsabile del “Piano”.

Tale azione non potrà essere compiuta con efficacia se non con il supporto di una unità

organizzativa appositamente formata e strutturata che ne garantisca la certezza dei dati

attraverso un regolare flusso informativo relativo a tutte le attività sensibili emerse dalla analisi

dei rischi. Su questo aspetto ha soffermato la propria attenzione la citata Circolare della

Funzione Pubblica ( pag.9 ove si dice della necessità di individuazione di personale altamente

qualificate e di risorse adeguate per svolgere l’incarico”)

Per una maggiore funzionalità del sistema, oltre che per una tutela dello stesso Responsabile,

sarebbe stato più opportuno scindere le competenze riguardo la predisposizione del “Piano”

dalla sua verifica e controllo collocando le diverse competenze in capo a figure differenti ovvero

utilizzare un organismo di supporto analogo a quello della “231”.

Ciò anche perché il Legislatore ( commi.12,13,14) ha posto in capo alla figura del Responsabile,

in caso di accertamento del reato di corruzione nell’ambito della organizzazione dell’ente con

sentenza passata in giudicato, severe sanzioni sul piano disciplinare (che vanno dalla

sospensione dal servizio e dalla retribuzione, c., alle sanzioni riferite alla responsabilità

dirigenziale ex art. 21 D.Lgs. n.165/2001), nonché l’eventualità di rispondere alla Corte dei

Conti per danno erariale ed all’immagine dell’Ente. Eventualità che può essere scongiurata solo

provando da parte dello stesso Responsabile sia di aver predisposto il “Piano” antecedentemente

alla commissione del reato sia per il fatto che il “Piano” sia completo dei requisiti richiesti e,

qualora ciò sia avvenuto, di aver vigilato sul suo funzionamento e sulla osservanza da parte dei

Responsabili.

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E’ un tipo di responsabilità che è prevista anche per il Responsabile del “Programma di

trasparenza” che nello “schema” del Decreto attuativo della L.190 è la stessa figura cui è

affidata la responsabilità dell’anti corruzione.

Anche da queste clausole si rintraccia la possibilità di acquisire elementi di compatibiltà con il

sistema “231” rispetto al “Piano”.

Infatti il modello” 231” acquista la caratteristica di “modello esimente” da accertare comunque

in sede giudiziaria, laddove vengano dimostrati oltre al requisito dell’esistenza del modello e

della sua idoneità la persistenza del requisito di effettività nonché di adeguatezza e di

funzionalità nel tempo; caratteristiche cui è preposto nel sistema “231” l’attività di controllo e

verifica dell’O.d.V..

La differenza sostanziale rispetto a quanto previsto dal Legislatore dell’anticorruzione è che, di

norma e salvo particolari casi, l’onere della prova della insussistenza dei requisiti costitutivi del

“modello esimente”, nel sistema “231” è affidato allo stesso Organo giudicante.

Tuttavia, insieme ad altre specificità, si tratta di differenze necessarie in quanto la finalità del

sistema “231” è quella di accertare la responsabilità amministrativa dell’Ente (soggetto

giuridico) in ordine agli illeciti penali che il Legislatore elenca con ampiezza di casi, commessi

da propri rappresentanti, agenti per conto dello stesso Ente e per i quali essi stessi rispondono

penalmente, da cui l’Ente stesso abbia tratto vantaggio o sia provato uno specifico interesse;

requisiti che, per l’appunto devono essere provati in sede di giudizio dal Giudice medesimo.

Dove tuttavia il percorso analogico trova il suo vero limite è nella responsabilità specifica del

“Responsabile anticorruzione” di fronte verificarsi dell’ illecito penalmente perseguibile. Questi

infatti nella sua qualità di “pubblico ufficiale” ha l’obbligo di immediata denuncia(“ notitia

criminis”) ai sensi degli articoli 357 e 358 codice penale.

Di fronte a questa eventualità non può certo proseguire l’iter della costruzione e della gestione

del “Piano”attraverso un’operazione di semplice “compliance program” che nel sistema “231”è

predisposto per evitare la responsabilità amministrativa..

Ciò che può certamente essere utilizzato della procedura “231” è,come già accennato, la parte

riguardante l’analisi e la mappatura dei rischi , nonché quella riferita alle procedure ad alle

prassi per attuare le misure preventive nei settori operativi particolarmente “sensibili” alla

corruzione.

Il legislatore ,seppur indirettamente trattando della competenza dei livelli essenziali da garantire

attraverso la legislazione statale sulla base dell’art.117 ,secondo comma,lett. m) della

Cosituzione, fa riferimento(c.16) ad una serie di istituti e procedure :

autorizzazioni ,concessioni; scelta del contraente per l’affidamento di lavori,forniture e servizi

di cui al Dlgs n.163/2006; concessione ed erogazione di sovvenzioni,contributi,sussidi,ausili

finanziari,nonché di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e

privati;concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di

cui all’art.24 del Dlgs .n.150/2009.

Questi ambiti possono costituire la traccia per stilare il piano dei controlli successivi da parte del

Segretario comunale e provinciale cui è affidata la direzione della funzione.

Sul piano operativo il Segretario dovrà aver riguardo in speciale modo degli affidamenti

avvenuti senza gara pubblica o con procedure semplificate in base alla discrezionalità tecnica

prevista dal” Codice degli appalti”(artt. 19,20,21: “servizi esclusi” dalla disciplina del codice o

da affidare con procedure semplificate; art 57: procedura semplificata senza pubblicazione del

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bando di gara;art.123: procedura semplificata per appalti di lavori).Con l’ovvia integrazione di

quanto previsto nei Regolamenti dei contratti interni agli enti relativamente alle procedure di

dettaglio sull’argomento.

Così come dovranno ricadere in questa ottica le fasi procedurali relative a concessioni ed

autorizzazioni,che necessitano di protocolli e di procedure adeguate per limitare la

discrezionalità tecnica dei responsabili gestionali in rapporto con il privato anche solo

potenzialmente interessato.

Da inserire nel programma dei controlli successivi, in quanto area soggetta a rischio a causa

della scarsa attenzione agli effetti sinallagmatici protratti nel tempo,è la contrattualistica in

generale ed ,in particolare, quella riguardanti agli appalti di lavori ,forniture servizi; alle

concessioni di lavori e servizi; ai contratti di “projet financing”, di concessione e gestione di

servizi ed opere pubbliche;ai contratti di servizio con le” partecipate” ed alle reazioni negoziali

dell’Ente con le stesse” partecipate” ed in particolare alle società” in house”.

Come si può vedere si tratta di un’elencazione di grande ampiezza (che , per giunta ,è tutt’altro

che esaustiva) che andrà concretamente individuata dal Segretario con il concorso dei

Responsabili della gestione e degli organi politici per ottenere la massima condivisione sul

programma di controllo , sugli obiettivi da perseguire e sui risultati da conseguire.

Per l’efficacia e l’utilità dell’attività di controllo successivo e per la riuscita dell’azione di

contrasto alla corruzione è pertanto manifesta l’esigenza di individuare forme stabili di

coordinamento , attraverso la definizione di prassi e di procedure condivise tra i Responsabili

delle rispettive funzioni , la dirigenza , i responsabili dei servizi e degli uffici con il concorso

degli organi degli indirizzi politici. Da qui l’esigenza della necessaria integrazione dei compiti

in caso di identificazione nello e stesso soggetto Responsabile ( nel caso del Segretario) o della

indispensabile connessione in caso che i soggetti siano distinti.

Il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità,l’obbligo di pubblici nel Decreto

attuativo

In correlazione alle misure di contrasto della corruzione nella Pubblica Amministrazione il

Legislatore ha previsto disposizioni per la trasparenza amministrativa e per l’obbligo di

pubblicazione di procedimenti nonché di provvedimenti amministrativi e per la diffusione di

informazioni a carico delle amministrazioni pubbliche ( art.1,commi 15-34). Inoltre ha affidato

specifica delega al Governo (c.35) per il riordino della disciplina della materia prevedendo

anche nuove forme di pubblicità fissandone i criteri direttivi:

-ricognizione e coordinamento delle disposizioni vigenti ;

-obbligo di pubblicità in ordine all’uso delle risorse pubbliche e dei risultati delle funzioni

amministrative;

-individuazione degli obblighi di pubblicità dei dati( patrimoniali al momento di entrata in

carica,la titolarità di imprese od azioni dl coniuge e dei parenti entro il secondo grado) dei

titolari di incarichi politici di carattere elettivo o di esercizio di poteri politici a livello

statale,regionale,locale;

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-ampliamento delle ipotesi di pubblicità nei siti web istituzionali,di informazioni riguardo ai

titolari di incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni;

-definizione delle categorie e delle modalità dei formati, delle informazioni obbligatorie da

parte delle amministrazioni;

-obbligo di pubblicare tutti gli atti,documenti ed informazioni anche in formato elettronico

elaborabile e in formati aperti resi disponibili e fruibili;

- definizione della durata e dei termini di aggiornamento per ciascuna pubblicazione

obbligatoria( con revisione della disciplina vigente);

- definizione delle responsabilità e delle sanzioni per il mancato,ritardato o inesatto

adempimento degli obblighi di pubblicazione(con revisione della disciplina vigente).

Dopo l’approvazione dello schema di Decreto da parte del Consiglio dei Ministri ,in data 22

gennaio scorso, il Decreto Legislativo ha visto la luce ed è entrato in vigore dal 5 aprile 2013(

Dlgs.n. 33 del 14 marzo 2013.

Due concetti ne sono la caratterizzazione. “ la trasparenza come “accessibilità totale” e

l’attività amministrativa conseguente come “livello essenziale “ delle prestazioni che devono

essere garantite su tutto il territorio nazionale e perciò ricadente nel disposto

dell’art.117,comma 2 lett.m) Costituzione e pertanto spettante alla legislazione dello Stato.

Sebbene il concetto di “accessibilità totale” fosse già presente nel Dlgs.n.150/2009( Riforma

Brunetta) con riferimento all’organizzazione della p.a.(art.11), nella legge ma ,soprattutto nel

Decreto, trovano una specificazione chiarissima anche sotto il profilo dell’indirizzo politico e

delle sue conseguenze amministrative.

La “trasparenza” infatti( se è così intesa):

-favorisce “forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e

sull’utilizzo delle risorse pubbliche;

-“ concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di uguaglianza ,di

imparzialità,buon andamento ,responsabilità,efficacia ed efficienza ,nell’utilizzo di risorse

pubbliche,integrità e lealtà nel servizio alla nazione”;

- “integra il diritto ad una buona amministrazione”;

-“concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta al servizio del cittadino”

Sono frasi riportate letteralmente dall’art .1 del Decreto che danno l’idea di un concetto molto

ampio , quasi filosofico ,della trasparenza che tuttavia dovrà avere il suo “banco di prova”nella

concreta attuazione cui sono chiamati tutti i soggetti pubblici e cioè tutta la Pubblica

amministrazione .E’ ,dunque, anche un indirizzo programmatico per tutti gli organi di indirizzo

politico degli enti e ,insieme, l’obiettivo da attuare da chi è preposto all’attività gestionale ,oltre

a chi avrà il compito di predisporre il “Programma triennale di trasparenza”e di gestirlo nella

sua cadenza annuale( il “Responsabile dell’anticorruzione”, ai sensi dell’art.43 Decreto) .

Conseguenza del concetto di “accessibilità” sono le modalità, la tempestività,la semplicità,la

completezza delle informazioni e la leggibilità dei dati portati a conoscenza del cittadino con

l’accessibilità e la pubblicazione .In una parola viene alla luce l’esigenza di fornire al cittadino

,ai fini della realizzazione del principi del controllo democratico( che comporta per il cittadino

il diritto a conoscere la verità sull’eventuale malfunzionamento dell’amministrazione pubblica),

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una forma di accessibilità qualitativamente comprensibile nel linguaggio utilizzato e nella forma

di pubblicizzazione dei dati .L’informazione sui procedimenti amministrativi più sensibili, già

delineati dal legislatore a livello esemplificativo (art .16 Legge),dovrà pertanto essere di “facile

accessibilità ,completezza e semplicità di consultazione”( art.1,c.15 della Legge) : per questo si

parla dell’esistenza da parte del cittadino di un “diritto alla conoscibilità”( art.3 Decreto).

Nel Decreto si riscontra altresì una forte spinta alla cosiddetta “Freedom of

information”,secondo il modello statunitense che è tradotto nel “ diritto di chiunque di accedere

ai siti direttamente ed immediatamente ,senza autenticazione ed identificazione”( art .2);sebbene

temperato dalla previsione dei casi in cui si può ricorre all’anonimato( art.4 ) che sono

individuati nelle disposizioni contenute nell’art.24 L.n.241/90 ai commi 1 e 6.

A questo proposito, a parte l’evidente necessità di stabilire una forma concreta di

coordinamento con tale legge ( che dovrà spettare necessariamente a chi la dovrà applicare

negli enti), non c’è dubbio che le disposizioni sul principio di trasparenza così inteso ponga un

problema , non solo di compatibilità con la” 241” ma di prevalenza normativa che il Decreto

non risolve,anzi ,che ,per l’aspetto del coordinamento,complica con la previsione del

cosiddetto”accesso civico”(art.5).

Esso consiste nel diritto a richiedere documenti ,dati ed informazioni di cui le amministrazioni

hanno omesso la pubblicazione obbligatoria (c.1).tale richiesta” non è sottoposta ad alcuna

limitazione quanto alla legittimazione oggettiva del richiedente, non deve essere motivata,è

gratuita”.Come si notare,trattasi di disposizione che deroga dalle regole fissate in proposto dalla

normativa della “241” che prevede la verifica dello “ status”del richiedente in tema di

dimostrazione dell’interesse a richiedere ( diretto,concreto,attuale).Assai semplice ,e del tutto

speciale, è la procedura susseguente:obbligo di risposta entro 30 giorni per la pubblicazione sul

sito di quanto richiesto;avvio dei poteri sostitutivi in caso di ritardo o mancata risposta,ai sensi

del disposto dell’art.2 ,c 9 bis l.241.

Come si può constare il tema della compatibilità/prevalenza con la” 241”sussiste ed è molto

delicato . Non basta ,infatti, la disposizione di rinvio alla disciplina della legge 241 con

riferimento alle informazioni relative ai provvedimenti e procedimenti amministrativi che

riguardano gli interessati., fornita dalla Legge (art.1 c.30). “si dovrà distinguere …tra quanto è

oggetto di pubblicazione per legge ,per cui vale la disciplina dell’accesso civico e il resto ,per

cui si dovrà fare riferimento ancora alla disciplina della l.241/90” ( dalla relazione

dell’Avv.Mariangela Di Giandomenico convegno”La legge anticorruzione e il sistema dei

controlli”,Roma ,4 febbraio 2013,pag.6). Così, giocoforza,a chiarire questi aspetti non potrà che

essere”il giudice amministrativo ,cui è rimessa la giurisdizione (esclusiva)sul diritto di accesso

civico (art.5,c.6),così come sulle controversie relative agli obblighi di trasparenza (art.50

Decreto)” ( ibidem,pag .6).

Delle misure relative agli obblighi di pubblicazione si è fatto cenno nella esposizione della

Legge n.190;in questa sede ci si limita a dire che i settori dei contratti pubblici di lavori ,servizi

e forniture sono particolarmente sottoposti all’ attenzione del Decreto perla previsione degli

obblighi a fornire dettagliate informazioni, così come le informazioni riguardanti la “

restante”attività amministrativa,l’organizzazione della pa( artt.14, 15 ) le notizie relative ai

titolari di incarichi politici(art,14,c1), nonché quelle sui titolari di incarichi dirigenziali anche

con riferimento alla liquidazione dei relativi compensi(art.15) e dei dati relativi agli enti

pubblici vigilati ,controllati o partecipati( art 22).

Rilevanti sono le disposizioni previste relativamente alla formazione del “Programma triennale

per la trasparenza e l’integrità “( art ,10) e quelle concernenti la vigilanza( artt.43,44 e 45) su di

esso e delle sanzioni in caso di violazione o inadempimento( art 46).

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Sotto la vigilanza ed il controllo del “ Responsabile dell’anticorruzione” che assume,come già

rilevato, la veste anche di “Responsabile della trasparenza”(art.44) ,il “Programma triennale

per la trasparenza e l’integrità”è predisposto dallo stesso “Responsabile”( come si vedrà

commentando l’art.10) ed è adottato da “ogni amministrazione,sentite le associazioni

rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti”.Si tratta di un’assoluta

novità per la verità positiva in quanto espressione delle esigenze della popolazione in funzione

del più volte accennato “controllo democratico. Tuttavia essa è prevedibile che possa creare

qualche problema organizzativo in sede locale per i comuni non capoluoghi di provincia dove

non esiste una rappresentanza locale di questa organizzazione ma forse anche problema

funzionale perché potrebbe far correre il rischio della perdita di originalità delle disposizioni

locali in funzione delle esperienze già maturate in realtà vicine o in sede provinciale.

La norma attuativa si preoccupa di precisare che il “Programma” dovrà essere aggiornato

annualmente;ciò significa che sarà anche opportuno che esso sia anche scandito su base annua.

Gli aspetti di maggiore rilievo sono tuttavia presenti nei contenuti e nelle finalità previste nel

Decreto .Esse costituiscono le linee-guida che ogni amministrazione dovrà seguire nell’adattare

il programma alla realtà di riferimento. Di seguito,se ne elencano le più salienti tra quelle

contente nei commi 2-9 dell’art.10.

Viene precisato (c.2) innanzitutto che il “Programma” dovrà costituire una sezione del “Piano

anticorruzione”.Ciò significa che esso dovrà essere approvato dall’organo di indirizzo dell’ente

e che dovrà essere predisposto dal “Responsabile dell’anticorruzione” aumentando

,ovviamente,la rilevanza di questa figura.

E’ stabilita la connessione tra il “Programma” e la”programmazione strategica e operativa

dell’amministrazione” che viene definita in coordinamento con il Dlgs.n.150 , “Piano delle

performance” da tradursi nella “definizione di obiettivi organizzativi e individuali”( c.3).Su

questo aspetto le amministrazioni dovranno prestare particolare attenzione “garantendo la

massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance” (c.4) e presentando il

Piano e la relazione sulla performance alle associazioni di consumatori ed utenti nella

particolare occasione delle “giornate della trasparenza”da organizzare appositamente( c.6).

Attenzione specifica è richiesta riguardo il controllo dei costi dei “servizi erogati” agli utenti finali e

intermedi di cui le amministrazioni dovranno rendere conto evidenziando i” costi effettivi” e “ di quelli

imputati al personale” suddivisi e distinti per” ogni servizio erogato” pubblicando i dati relativi sui

propri siti istituzionali.(c.5)

Si può immaginare in proposito la rivoluzione culturale che attende gli Enti Locali con la veridicità dei

dati riguardanti le proprie aziende.

Per sottolineare l’impegno organizzativo dedicato dall’ente,è pure richiesto di

specificare”modalità”,”tempi di attuazione” “,risorse dedicate”e”strumenti di verifica dell’efficacia

delle iniziative” di trasparenza effettuate dall’ente( c.7).

E’ richiesta agli enti l’istituzione nel proprio sito istituzionale di apposita sezione denominata

“Amministrazione trasparente”ove compiere le pubblicazioni dei documenti più importanti ai fini della

trasparenza (“Programma” “Piano performance e Relazione” ,nominativi e “curricula” dei componenti

l’Organismo indipendente di valutazione, nonché i “curricula”dei dirigenti e delle posizioni

organizzative,le retribuzioni dei Dirigenti).

L’articolo presenta infine una norma “di chiusura “sul valore operativo del principio della

trasparenza:essa infatti ”rileva come dimensione principale della determinazione degli standard di

qualità dei servizi pubblici da adottare con le carte dei servizi” con ricaduta sui rapporti con l’utenza e

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della difesa dei propri diritti ai sensi dell’art.11 del Dlgs n.286/1999 modificato dall’art.28 Dlgs n.150

/2009 .Ciò varrà ai fini della valutazione della performance e della responsabilità dirigenza ai sensi

dell’atr.21 Dlgs.165/2001.

Riguardo alla vigilanza ed ai controlli il Decreto stabilisce che esse siano attribuite al “Responsabile

della trasparenza”, all’OiV alla CIVIT ,quale Autorità nazionale anticorruzione sui responsabili della

trasparenza e alla Corte dei Conti in caso di inadempienze riscontrate (Artt.43,44,45) :su tutti spetta al “

Responsabile per la trasparenza” il compito del controllo continuo e dell’aggiornamento del programma

e dell’attuazione dell’accesso civico.

In caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati o la mancata predisposizione del “Programma

“,fa scattare a carico del “Responsabile” la responsabilità dirigenziale;può essere causa di responsabilità

per danno all’immagine ed incide sulla corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento

accessorio .Con esclusione,tuttavia ,della responsabilità in caso di comprovata non imputabilità

dell’inadempimento (art.46).

Rimane da formulare una considerazione sulla disposizione con cui viene attratta alla competenza

esclusiva dello Stato ai sensi dell’art.117,c.2,lett.r) Cost. in relazione al “ coordinamento informativo

statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale,regionale,locale”,cosi come la previsione di

considerare le disposizioni sulla trasparenza come livello essenziale delle prestazioni erogate dalle

amministrazione pubbliche ,ai sensi dello stesso art.Cost., secondo comma ,lett.m) ( art.1 c.3 Decreto).

L’argomento presenta indubbie problematicità che il Governo ritiene di aver risolto alla luce della

sentenza della Corte costituzionale (sentenza n.271 /2005) che ritiene compatibile con la competenza

dello Stato quella delle Regioni in materia.

Alcuni casi particolari ( minori ma degni di attenzione)

La limitazione degli incarichi extra-istituzionali ai dipendenti.

Meritano alcune considerazioni le disposizioni con le quali il Legislatore ha inteso limitare

l’affidamento ai dipendenti pubblici di incarichi extra istituzionali da parte delle

amministrazioni da cui dipendono. L’intento è quello di ridurre o eliminare i conflitti di

interesse ritenuti fonte di possibile illiceità.

Tutte le disposizioni in esame riguardano anche gli Enti locali, Regioni comprese, le quali

pertanto dovranno recepirle nei relativi Regolamenti interni riguardanti la disciplina degli uffici

e dei servizi.

Riguardo alla previsione di norme più restrittive per l’affidamento di incarichi esterni al

personale dipendente, il Legislatore (c.42) pone l’accento sulla verifica delle situazioni “di

conflitto, anche potenziale, di interessi che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni

attribuite al dipendente” vincolando le Amministrazioni ad un dettagliato rapporto al

Dipartimento della Funzione Pubblica degli incarichi autorizzati (nonché delle consulenze) con

l’obbligo, oltre che di specificare “l’oggetto, la durata ed il compenso dell’incarico”, di aver

provveduto ad accertare “l’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di

conflitto di interesse”. Tra gli incarichi oggetto di segnalazione obbligatoria alla Funzione

Pubblica il Legislatore ha incluso anche gli incarichi conferiti dall’amministrazione “a titolo

gratuito”.Evidentemente si è ritenuto,con qualche fondamento,che attraverso tali incarichi si

possa celare l’abuso con la promessa di un vantaggio futuro.

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E’ demandato inoltre al Ministro per la Pubblica Amministrazione il compito di individuare, con

apposito Regolamento ex art.17,c.2 ,L. n.400/1988(avente efficacia normativa) gli incarichi

vietati ai dipendenti di tutte le Pubbliche Amministrazioni differenziandoli per qualifiche e ruoli

professionali.

Si è dell’opinione tuttavia che, per gli Enti locali, in ragione della loro autonomia organizzativa,

anche se si tratta di normativa amministrativa il Regolamento governativo debba fungere da

“cornice” della discrezionalità amministrativa degli Enti stessi.

Del resto le Amministrazioni locali più accorte nel dotarsi del Regolamento che disciplina le

incompatibilità e le autorizzazioni per l’assunzione di incarichi presso Enti pubblici o datori di

lavoro privato, avrebbero dovuto adottare misure che vietassero anche per il personale in

rapporto di lavoro “part-time” al 50% .

Ad esempio ,vietando lo svolgimento di attività potenzialmente conflittuali con quella

istituzionale richieste al dipendente (attività effettuate a favore di soggetti nei confronti dei quali

i dipendenti od il settore di appartenenza svolgono funzioni di controllo o vigilanza, svolgano

attività a seguito di rilascio di concessioni od autorizzazioni o siano fornitori di beni e servizi

per l’Amministrazione di appartenenza), ovvero inibendo l’effettuazione di attività libero-

professionali di natura tecnica esercitate con sede nell’ambito del territorio ove è situato l’ente

nel caso in cui il dipendente interessato ricopra all’interno dell’ente un profilo professionale di

natura tecnica in relazione all’attività concretamente svolta. Così come si sarebbe dovuto

prevedere la restituzione del compenso per attività non autorizzate, oltre che la comminatoria di

sanzioni disciplinari e l’eventuale remissione alla Corte dei Conti per danno erariale nel caso di

mancata esecuzione della disposizione.

Tutte misure che oggi il Legislatore stabilisce modificando l’art.53 del D.Lgs. n.165/2001 ..

La stringente normativa riguardante l’obbligo di fornire informazioni e documentazioni sulla

materia alla Funzione Pubblica, con significativa abbreviazione dei termini e la previsione della

totale accessibilità dei dati sia al riguardo degli incarichi che della consulenza, attesta in effetti

una certa prevenzione alla prassi del cumulo degli incarichi anche autorizzati cui tuttavia non è

seguita la modifica sostanziale del regime derogatorio al principio dell’esclusività dell’impiego

pubblico adottato con le disposizioni contenute nello stesso art.53 c.7 e seguenti.

Se si può dire che è manifesta la volontà del legislatore di contenere ,ad esempio, il fenomeno

delle autorizzazioni al lavoro extraistituzionale da parte dei dipendenti anche in rapporto” part-

time ”il prevedere la valutazione di situazioni di “conflitto anche potenziale” o di interessi

pregiudiziali “l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente”,essa può risultare

un’impresa improbabile e ,quando fosse verificata, produrrebbe effetti tardivi.

Varrebbe la pena pertanto rivedere tutta la materia riportando un po’ del principio

dell’esclusività del pubblico che, comunque, è tuttora in vigore .

La limitazione delle deroghe che rendono tale principio di fatto quasi inesistente , aiuterebbe a

limitare il fenomeno della commistione di interessi che, pur non essendo un vero e proprio

conflitto, ne potrebbe essere il prodromo,se non addirittura il presupposto..

,

La inconferibilità od incompatibilità degli incarichi dirigenziali.

Ragionevole ma necessaria di disposizioni molto tempestive, è la previsione di disciplinare i

casi di “non conferibilità” o di” incompatibilità” degli incarichi dirigenziali che il Legislatore

(comma 49 ) affida al Governo con apposita delega da esercitarsi entro sei mesi dall’entrata in

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vigore della Legge (e cioè maggio 2013), termine che ricadendo in periodo post-elettorale

potrebbe risultare insufficiente).

La modifica delle modalità degli incarichi dirigenziali, in funzione della prevenzione e del

contrasto della corruzione,non riguarda,secondo la previsione normativa .solo le pubbliche

amministrazioni ma si estende agli incarichi presso “enti di diritto privato sottoposti al controllo

pubblico” esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione, attività di produzione di

beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione dei servizi pubblici” (in

sostanza tutte le cosiddette “partecipate”, le società “in house”) che, al momento, sono

sottoposti esclusivamente alla previsione statutaria e regolamentare dei singoli soggetti giuridici

che, seppur approvate dall’Ente pubblico proprietario, sono spesso privi di regole specifiche.

Novità rilevante è la prospettiva della revisione delle cause di incompatibilità in materia di

compatibilità fra gli incarichi dirigenziali e lo “svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la

titolarità di interessi privati con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate”. Tale

assunto è meglio precisato allorché si determinano i principi ed i criteri che devono costituire la

guida per l’emanazione dei Decreti Legislativi( c.50).

A parte il criterio di “non conferimento di incarichi a coloro che sono stati condannati, “anche

con sentenza non passata in giudicato” per reati rientranti nell’ambito della legislazione in

argomento, il Legislatore delegante ha indicato come regola per la conferibilità degli incarichi il

trascorrere di un “congruo tempo” indicato in un periodo “non inferiore ad un anno” rispetto al

termine di attività svolte con incarichi professionali o cariche societarie in “enti di diritto privato

sottoposti al controllo o finanziati da parte delle amministrazione che conferisca l’incarico”.

La misura corrisponde sicuramente al “sentire sociale” che rifiuta radicalmente la prassi di

privilegiare nell’affidamento da parte dei vertici del governo locale di incarichi aventi valenza

tecnica e professionale spesso assai rilevante a soggetti politici al termine dei loro mandati

politico-amministrativi i quali ,in molti casi sono privi dei requisiti specifici a svolgere attività

gestionali in enti istituzionali o società pubbliche partecipate.

Il Decreto che attua i principi enunciati nel comma 50 della Legge è stato emanato

recentissimamente (Dlgs. dell’8 aprile 2013) .La parte che riguarda la inconferibilità di incarichi

in caso di condanna ,anche non passata in giudicato, risulta la più severa per evidenti ragioni di

opportunità Appare perciò del tutto opportuna la previsione dell’inibizione di almeno cinque

anni al conferimento degli incarichi in caso di condanne per reati contro la Pubblica

amministrazione(art.3) .La previsione di una moratoria breve tra la cessazione del mandato

politico e l’eventuale incarico amministrativo della stessa persona ,appare invece piuttosto

tenue(art.7) Come non giustificata risulta la diversificazione del periodo in base

all’appartenenza ad organi di governo regionale( due anni) rispetto a quelli provinciali o

comunali superiori ai 15 mila abitanti( un solo anno). La previsione di una moratoria breve

proprio per chi ha rivestito cariche pubbliche in sede locale può alimentare ancor più

fondatamente il sospetto del conferimento dell’incarico “per meriti politici”.Opportuna invece

appare la precisazione che l’inconferibilità degli incarichi dirigenziali trova l’eccezione per quei

dipendenti che,all’atto della assunzione della carica politica “erano titolari di incarichi”.Per essi,

infatti, si tratterebbe di una palese violazione di un diritto oltre che di un danno economico, non

poter rientrare nell’originaria funzione. Così come appare efficace la previsione di severe

tipologie sanzionatorie,in primis quelle di nullità degli incarichi conferiti in violazione(art.17) e

di decadenza dall’incarico se ricadente in una causa di incompatibilità( 19).

La particolare tutela dei dipendenti che denunciano casi di corruzione.

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Così come andrebbe analizzata con grande accortezza l’applicazione della previsione del

Legislatore (c.51 che istituisce apposita norma al D. Lgs. 165/2001 aggiungendo l’art.54 bis) di

accordare una particolare tutela del dipendente che segnala illeciti.

Tale tutela consiste nel divieto dell’Ente di appartenenza di “comminare sanzioni”, di sottoporre

“ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro” o

addirittura di licenziare il dipendente che denunci condotte illecite “di cui sia venuto a

conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”.

Si tratta di una misura di evidente carattere eccezionale ma comportante la possibilità del

verificarsi di delicate conseguenze sul piano funzionale nelle organizzazioni pubbliche, anche

se, per la verità, il Legislatore le contorna di alcune misure prudenziali quali la possibilità di

imputazioni dello stesso soggetto denunciante di “ responsabilità a titolo di calunnia o

diffamazione”, le quali, in sede di seconda lettura da parte della Camera dei Deputati, sono state

rafforzate sia prevedendo a proposito delle responsabilità penali anche quella civile ex art.

2043, sia indicando specificatamente i soggetti deputati a raccogliere la denuncia “Autorità

giurisdizionali o Corte dei Conti”, ovvero il “proprio superiore gerarchico” ma soprattutto

stabilendo che l’eventuale fase successiva comportante l’azione disciplinare a carico del

soggetto individuato come responsabile dell’illecito sia sottoposto a seguito “ accertamenti

distinti ed ulteriori rispetto alla segnalazione”.

Precisazioni doverose per evitare abusi relativi a possibili ritorsioni nell’ambito del personale od

a leggerezze colpevoli, ma che non appaiono del tutto sufficienti. Resta infatti la fondata

convinzione che queste disposizioni possano provocare pericolose distorsioni di principi

incontrovertibili nell’ordinamento giuridico come la sospensione a favore del denunciante del

principio di trasparenza riguardante l’aspetto della garanzia dell’anonimato (attenuata

solamente dall’indispensabile diritto alla difesa da parte del denunciato) e la sottrazione della

denuncia dal diritto di accesso agli atti previsto dall’art.22 e seguenti della Legge n. 241/1990 e

sue modificazioni .Misura che potrà essere superata solo in caso di esercizio da parte del

denunciato del diritto di difesa. ( si deve sottolineare in proposito che tale tutela è stata aggiunta

in seconda lettura dalla Camera a testimonianza).

Il sistema di riconoscere piena valenza istituzionale a chi denuncia fatti illeciti acquisiti in

ragione del proprio ufficio è utilizzato in paesi di cultura anglosassone anche in molte nazioni

europee in ragione di una formazione di cultura giuridica che riconosce alla prassi un

fondamento giuridico pari ,se non prevalente,alla norma giuridica formale.

La disposizione in commento pare essere il frutto estemporaneo dell’adeguamento agli

“standards” europei senza tuttavia che vi sia traccia di alcun” seme” nel terreno giuridico del

nostro Paese dato il suo carattere prevalente di eccezionalità.

.La disposizione rimane, dunque, densa di pericoli discorsivi specie nella sua gestione,Ai sicuri

e deflagranti effetti negativi immediati sull’organizzazione e ,probabilmente, sulla funzionalità

ente, soprattutto in caso di accertata infondatezza della denuncia , corrisponderebbero ben pochi

benefici.

Essa, in sostanza, attesta l’esistenza di una sostanziale debolezza da parte del legislatore ad

affrontare in termini ordinari il fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione e ciò

nonostante l’esistenza di ausili istituzionali di forte tradizione e prestigio costituzionale deputati

al controllo preventivo e successivo esterno( Corte dei Conti).

Questa disposizione inoltre certifica una chiara sfiducia nell’apparato pubblico e nei sui

componenti nonché la ritenuta labilità di principi quali il dovere di “fedeltà” cui sarebbe tenuto

il pubblico dipendente .

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Senza contare che, oltretutto, questa misura, per il suo profilo derogatorio del principio di

trasparenza ,si pone in contraddizione rispetto al rigoroso richiamo alla perentorietà dei termini

per la definizione dei procedimenti amministrativi riaffermato dallo stesso Legislatore con

l’affidamento al Governo del riordino dei procedimenti amministrativi e del rafforzamento delle

sanzioni in caso al superamento dei termini per la loro conclusione (c. 48).

In conclusione è molto flebile la speranza che attraverso questa misura si possa vincere la lotta

alla corruzione.

Un altro argomento da aggiungere all’elenco della nuova Agenda di Governo.

Il nuovo ruolo del Segretario Comunale e Provinciale.

Dalla legislazione con cui vengono rafforzati i controlli interni ( DL n.174/2012 ,convertito in

L.n.213/2012) e con la quale vengono stabilite norme per il contrasto alla corruzione nella

pubblica amministrazione (L.n.190/2012) ,nonché dallo schema del Decreto attuativo della

trasparenza (approvato dal Consiglio dei ministri in data 22 gennaio scorso), si possono

riscontrare alcune significative novità riguardo alla figura del Segretario comunale e provinciale

che il legislatore arricchisce di nuove attribuzioni cui corrispondono incisive responsabilità

aggiuntive rispetto a quelle previste dall’art.97 TUEL.

Su di esse è utile soffermarsi in quanto sembrano preludere ad un ruolo più definito ed

innovativo rispetto a quello di “garante” della legalità interna , pur denso di significato e di

responsabilità,ruolo che,peraltro, rimane intatto.

Dalle nuove attribuzioni conferite al Segretario in tema di direzione del controllo

successivo(art.148 bis TUEL) emerge una complessa azione non solo di istituzionale verifica

giuridica ma anche di elaborazione dei sistemi dei controlli interni in senso “manageriale” la

quale , vista in coordinamento con i compiti a questi affidati in materia di “anticorruzione”,in

particolare quelli di elaborazione e gestione del “Piano Anticorruzione”e con l’attribuzione di

funzioni di vigilanza e controllo del “Programma di trasparenza”, caratterizzano la figura, come

corresponsabile interno all’ente del principio costituzionale del” buon andamento ed

imparzialità” dell’amministrazione (art.97 Cost.) ,nonché come punto di “snodo” della azione

amministrativa dell’ente locale tra l’attività di indirizzo e quello di gestione e cioè all’interno

della ripartizione su cui si basa il nuovo rapporto di pubblico impiego “contrattualizzato”.

L’esame di alcuni aspetti della citata normativa sembra confermare un simile convincimento.

Il compito della direzione del controllo successivo della “regolarità amministrativa” degli atti

più rilevanti dell’amministrazione implicano l’elaborazione di criteri di estrapolazione

manageriale che non sono riscontrabili nel tradizionale” bagaglio” istituzionale del Segretario.

Così come il compito della conclusione del processo di comunicazione delle risultanze del

controllo che vede come riferimento gli organi interni del controllo nonché gli organi politici al

massimo livello, non è una semplice operazione di trasmissione dei risultati del controllo ,bensì

la conclusione stessa del lavoro di controllo per la quale la figura del Segretario diventa

l’interlocutore fondamentale di tutto il processo.

La nuova caratura istituzionale del Segretario emerge pure dall’attribuzione in capo ad esso dei

delicati compiti di “responsabile interno della anticorruzione” nell’ente di riferimento (art.1,c.7

L. n.190/2012 ) che .tra l’atro ,sembra connettersi assai bene con il compito di direzione del

controllo successivo sugli atti gestionali dei dirigenti(“determinazioni”) ed i contratti in essere,

,nonché gli altri atti se essi si esaminano nell’ottica dell’analisi dei rischi (“risk assessement”) e

della individuazione dei settori cosiddetti “sensibili”al rischio di corruzione come quello degli

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appalti ,delle concessioni,delle autorizzazioni e delle procedure concorsuali che risultano gli

ambiti più osservati dalla legislazione specifica ed a cui il Segretario nel programma annuale dei

controlli successivi così come nella predisposizione del Piano pluriennale” anti

corruzione”,nonché del controllo del Programma di trasparenza ,dovrà maggiormente puntare

l’attenzione.

Anche a questo proposito si tratta di un compito tutt’altro che burocratico in cui la figura del

Segretario può manifestarsi per capacità di approfondimento normativo, di analisi , di sensibilità

organizzativa, nonché di proposta e di impulso ,quale richiedono sia la predisposizione del

lavoro di analisi dei rischi e della loro “mappatura”( “risk assessment”) l’attività per una

efficace gestione dei rischi individuati (“risk management”) ai fini della loro riduzione a mero

rischio residuo (e cioè ineliminabile) .

Si tratta di compiti da esercitare in forma interdisciplinare in collaborazione con la Dirigenza

ed ai responsabili del governo locale (capo dell’amministrazione per il suo ruolo di

rappresentanza legale dell’ente) e dell’organo di indirizzo politico ,che l’Autorità anticorruzione

ha individuato nel Sindaco , cui spetta dunque la responsabilità della nomina del

Responsabile”anticorruzione e l’approvazione del”Piano” (soggetti che possono essere

considerati il “management”in senso allargato dell’ente) anche utilizzando l’esperienza che è

servita per la costruzione del” modello 231 “(Dlgs.n.231/2001) per la prevenzione della

“responsabilità amministrativa” da cattiva organizzazione negli enti privati e pubblici (società

“partecipate”da enti locali).

Essa comporta , oltre che una forte capacità di relazione interorganica, anche una propensione

all’ approfondimento di una vasta letteratura e documentazione dottrinale e giurisprudenziale

che pone il Segretario, nella sua funzione di Responsabile de procedimento e del processo

riorganizzativo che essa comporta ai fini circoscrivere e vigilare sulle aree più sensibili e sui

relativi responsabili , come figura innovativa all’interno dell’organizzazione dell’ente locale.

Nell’ottica della innovazione e della valorizzazione della figura del Segretario va pure vista

l’attribuzione, inserita significativamente in sede di conversione del DL 174, del compito di

direzione del “controllo strategico”, anche se in alternativa al Direttore Generale, figura peraltro

assente nella stragrande maggioranza dei Comuni.

Tale compito pone la figura del Segretario in una posizione prossima all’attività di indirizzo e

di gestione politico-amministrativa degli Organi di governo locale inserendola nel processo

amministrativo come interlocutore istituzionale dell’amministrazione nel suo complesso.

Così come si può cogliere una significativa conferma di questo nuovo ruolo nell’attribuzione

del compito della predisposizione, in concorso il Responsabile finanziario e con l’apporto

dell’Organo di revisione, delle relazioni di “inizio” e di “fine” mandato; vere “cartine di

tornasole” dello stato di salute degli enti.

Un compito,anche questo, sicuramente di natura “tecnico – giuridico” ma con valenza decisiva

per la qualificazione dell’ente stesso sotto il profilo delle conseguenze del controllo esterno da

parte della Corte dei Conti che il legislatore rafforzata nei compiti di vigilanza sul

funzionamento dei controlli interni all’ente(nuovo art.148 TUEL), nonché in quelli dei controlli

sulla salvaguardia degli equilibri finanziari e del rispetto del “Patto di Stabilità”come indicatori

“sana amministrazione” e di” virtuosità “dell’ente (148 bis TUEL) e sui quali lo stesso

legislatore ha previsto il concorso interno all’ente dello stesso Segretario (sebbene in alternativa

al Direttore generale qualora previsto),insieme ai responsabili di settore e ,soprattutto ,il

Dirigente del servizio finanziario e dell’Organo di revisione anch’essi assai valorizzati in

funzione dell’efficacia del sistema dei controlli preventivi interni.

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Ulteriore conferma della presenza di nuove caratteristiche della figura del Segretario si

riscontra anche nella particolare cura posta dal legislatore a proposito della sua tutela.

L’eventuale proposta di revoca, infatti, dovrà essere sottoposta a specifica procedura (che

modifica la disposizione contenente l’ipotesi di revoca l’art. 100 c.1 TUEL) coinvolgendo, da

parte del Prefetto, l’Autorità nazionale anticorruzione che si deve esprimere al riguardo entro

trenta giorni accertando che la revoca “non sia correlata alla attività svolta dal Segretario in

materia di prevenzione della corruzione” (comma n.82 L.190).

La prova che può apparire decisiva circa l’evoluzione del ruolo del Segretario negli enti locali

nei confronti dell’azione amministrativa , è fornita ancor più dalla funzione “Responsabile della

trasparenza”( se ed ,in quanto,”Responsabile dell’anticorruzione”) che gli conferisce lo Schema

di decreto attuativo con il quale Governo,come già accennato,ha approvato la disciplina

riguardante gli obblighi di pubblicità e trasparenza ,in attuazione dei criteri di delega stabiliti

dalla Legge n.190 ( Commi 15-33)..Anche su questo aspetto il compito da svolgere è delicato ed

innovativo rispetto a quelli istituzionali finora previsti. Si tratta della predisposizione, della

funzione di predisposizione, controllo e vigilanza( con il concorso del vertice politico interno,

della CIVIT in qualità “Autorità nazionale anticorruzione) , dell’aggiornamento del Programma

di trasparenza e della garanzia dell’accesso civico(art.5” Schema”) e cioè del diritto per

“chiunque” di richiedere documenti ,dati ed informazioni di cui le amministrazioni pubbliche

abbiano omesso la pubblicazione, nonostante l’obbligo a farlo.

Si potrà obiettare che tale funzione è semplicemente conseguente alla nomina del Segretario a

“Responsabile dell’anticorruzione”e che quest’ultima,nonostante che il legislatore la preveda

come la priorità nella procedura di individuazione dell’organo di indirizzo, può essere superata

,sebbene con l’obbligo di una congrua motivazione, affidandola ad altro Dirigente.

A chiarire questo aspetto ,che rientra pertanto nella espressione di volontà discrezionale

dell’Ente come unico responsabile dell’organizzazione dei ruoli interni ad esso,è intervenuta la

Funzione Pubblica che ,con propria Circolare n.1 del 25 gennaio 2013,ha chiarito innanzitutto

che la” ratio” di tale scelta è quella di considerare la funzione di responsabile” ex lege” 190

come “naturalmente integrativa”della competenza generale che spetta per legge al Segretario in

base all’art.97 TUEL.,e che l’affidamento dell’incarico a Dirigenti titolari (solo a quelli! Dice la

circolare) dovrebbe avvenire esclusivamente in ipotesi eccezionali,oltre ad essere ,come già

rilevato,adeguatamente motivato.

L’unico dubbio ,al riguardo, è che trattasi ancora di uno “Schema “di Decreto da sottoporre al

vaglio della Conferenza unificata con la prospettiva dell’incertezza elettorale.

Tuttavia,qualora, per questa funzione, la scelta non dovesse cadere sul Segretario(anche perché

egli potrebbe essere in posizione di incompatibilità o di innominabilità dovuta alla sua

posizione giudiziaria o al comportamento disciplinare),questa figura dal complesso delle

attribuzioni in materia di controlli interni,esce sicuramente rivitalizzata. Non può sfuggire infatti

che ,per le competenze ad esso attribuite non solo per l’esercizio della direzione del controllo

successivo dei principali atti amministrativi ,ma anche nel concorso al controllo degli equilibri

finanziari ,al Segretario spetta un ruolo centrale nell’organizzazione dei Comuni e delle

Province per la necessità di connessione che la Dirigenza, ed eventualmente , le figure del

Responsabile dell’anticorruzione e della trasparenza ,dovranno instaurare con esso.

Non è certo esagerato,dunque, parlare della figura del Segretario come punto di “snodo”

nell’azione amministrativa di Comuni e Province da cui dipenderà per competenze e cultura

giuridica attualizzata nella nuova legislazione come una sorta di”manager”giuridico, una buona

parte della possibilità di realizzare in tali enti una “buona amministrazione”nel senso indicato

dal principio costituzionale contenuto nell’art.97.

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.Quella del Segretario comunale e provinciale è una figura che,da istituzionale sotto il profilo di

garanzia della legalità interna attualmente anche un po’ indecifrata a seguito della riforma

compiuta dalla legge” Bassanini 1” con l’istituzione della Direzione generale(peraltro già

ridimensionata da successivi interventi normativi) , si appresta a compiere un sostanziale

cambiamento ed a essere pertanto una risorsa rinnovata a disposizione delle Autonomie locali

in tempo di crisi economico finanziaria con accentuate manifestazioni di degrado istituzionale .

Ovviamente per questo passaggio occorre che vi sia una condizione indispensabile: e cioè che lo

stesso Segretario , supportato dalla categoria cui appartiene, sappia assecondare il

cambiamento.

Sbaglierebbe pertanto chi , ritenendo l’esercizio di tali compiti non rientranti nei canoni

tradizionali del Segretario comunale e provinciale ,o peggio, manifestando perplessità nell’

esercitarli in relazione alle nuove responsabilità che comportano non sufficientemente

supportate da adeguata formazione, non si facesse carico di dare un contributo concreto alla

costruzione di un nuovo ruolo per il Segretario comunale e provinciale orientato ad una forte e

spiccata interdisciplinarietà ,capacità di analisi e di adattabilità ai fenomeni socio economici

esterni ,pur strutturato su una solida base tradizionale di conoscenze normative che ne ha da

sempre connotato la professionalità all’interno dell’ente.

Come si rischierebbe di vanificare le finalità della legislazione complessiva sui controlli e sul

contrasto della corruzione all’interno degli enti locali nel senso del miglioramento effettivo

dell’azione amministrativa in funzione del servizio al cittadino,qualora non ci si avvalesse in

pieno delle potenzialità di questa figura rinnovata e non fornisse ad essa gli adeguati suppporti

professionali e tecnologici per consentire la piena efficienza dei meccanismi di controllo e di

prevenzione. Anche se questo rischio ,in via teorica, è fugato a seguito dei chiarimenti della

Funzione Pubblica che ,nella Circolare citata,soffermandosi sul ruolo di impulso che deve avere

il” Responsabile dell’anticorruzione,sostiene “la necessità di assicurare ad esso ,personale

altamente qualificato e formato ,nonché adeguate risorse materiali che devono essere utilizzate

per lo svolgimento del’incarico”.

Ma sappiamo che tutto ciò deve essere calato concretamente nella realtà di ogni ente e

che,dunque, la sensibilità degli organi politici risulterà determinante.

Rimane tuttavia aperto il problema della necessità, anche per la persistenza degli equivoci

evidenziati a proposito dell’attribuzione delle funzioni di vertice nell’organizzazione dell’Ente

Locale, di un riordino strutturale ed organico della figura del Segretario all’interno della

complessiva riforma delle Autonomie Locali.

Anche questo tema pertanto andrà inserito, in termini organici rispetto alla complessiva riforma

delle Autonomie ,nell’Agenda del nuovo Governo.

Integrato dopo l’emanazione dei Dlgs .n.33 e 39 2013.

Aprile 2013.