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CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALICONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALICONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALICONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI
anno 2011
Le forme associative
dei Comuni
L’evoluzione storica, la rassegna comparativa
della legislazione delle Regioni Umbria,
Toscana ed Emilia Romagna e la disciplina
attuale
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INDICE
Parte I
1. L’associazionismo comunale dalla Costituzione del 1948 alla novella costituzionale
del 2001
1.1 I piccoli Comuni: le origini
1.2. I Comuni nella Costituzione repubblicana
2. Le forme associative
2.1. I Consorzi
2.2. Le Comunità montane
2.3. Le Unioni di Comuni
3. La legge 59 del 1997 e il d.lgs. 112 del 1998: gli effetti sul sistema delle autonomie
3.1. Il nuovo ruolo delle Regioni nell’organizzazione dei sistemi locali.
Parte II
L’evoluzione delle forme associative dalla novella costituzionale del 2001 al 2009
1. L’ampliamento delle competenze comunali ed il principio di sussidiarietà
2. La legge 131 del 2003 e la realizzazione del nuovo assetto amministrativo delle
funzioni.
3. Le “funzioni fondamentali” nella legge 5 maggio 2009, n. 42, “Delega al Governo
in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione»
4. Le Comunità montane dopo la riforma del Titolo V: dal “disinteressamento” dello
Stato, al tentativo di ”autoriforma”, alla progressiva soppressione.
5. I consorzi obbligatori per la gestione dei SPL: gli ATO
6. Le Unioni dei comuni: la situazione al 2009.
7. Le Fusioni
Parte III
Le forme associative “obbligatorie”
1. Premessa.
2. La nuova disciplina delle forme associative: la disciplina del 2010
3. La peculiare disciplina dei Comuni fino a 1.000 abitanti del 2011
4 le Forme associative: la Convenzione
4.1. Convenzione di costituzione di ufficio comune
4.2 Convenzione di delega
5. Le modifiche successive
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Parte IV
La pluralità dei modelli di unioni
1. La sequenza dei diversi modelli di Unione di Comuni
Parte V
Analisi comparativa delle esperienze associative tra le Regioni Umbria, Toscana
ed Emilia Romagna
1. La legislazione regionale fino al 2009
1.1. Le Comunità montane 1.2. Le Unioni dei comuni
2. La legislazione regionale successiva alla decretazione d’urgenza sulle Unioni dei Comuni del 2010 e 2011
ALLEGATI:
Modelli di convenzione
Cronogramma adempimenti
Statuto tipo
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Parte I
1. L’associazionismo comunale dalla Costituzione del 1948 alla novella
costituzionale del 2001
1.1 I piccoli Comuni: le origini
I Comuni rappresentano la prima forma di organizzazione politica di livello locale dopo la caduta dell’Impero romano ed affondano le proprie radici i tra il XIV e il XVI secolo, riflettendo l’articolazione che gli insediamenti rurali avevano assunto in rapporto alla tipologia di coltivazioni svolte. Abbiamo, così, una frammentazione comunale quasi esasperata, come nella zona della Valnerina, dove si sviluppano essenzialmente villaggi di piccolissime dimensioni. In Puglia e in alcune zone della Sicilia, invece, il sistema di produzione agricolo di tipo estensivo comporta la formazione di insediamenti rurali radi e fortemente concentrati riuniti in Comuni di grande dimensione. Rispetto a tale assetto, anche il periodo di più drastica ridefinizione della geografia amministrativa, corrispondente al periodo napoleonico ha potuto poco o nulla, non riuscendo a mutare in modo netto l’articolazione delle circoscrizioni comunali così come erano arrivate al XIX secolo. I fenomeni di urbanizzazione e progressivo spopolamento delle campagne indurranno a realizzare tra la fine dell’800 e i primi del ’900 i cosiddetti incameramenti di Comuni rurali all’interno di Comuni urbani più ampi. Da tali evoluzioni storiche ereditiamo una configurazione che, alla fine del 2008, si
compone complessivamente di 8.100 Comuni, entro i quali vi sono ampi margini di
eterogeneità sia per quanto riguarda la popolazione, passando dal Comune di Roma,
con i suoi 2.724.347 abitanti, al Comune di Pedesina (in Provincia di Sondrio) con soli 33
abitanti, sia per quanto riguarda la superficie, passando sempre dal Comune di Roma,
con 1.285,30 kmq, al Comune di Fiera di Primiero (in Provincia di Trento), con 0,15 kmq.
1.2. I Comuni nella Costituzione repubblicana
La Carta costituzionale afferma il principio autonomistico (art. 5 Cost. ) quale uno dei
principi fondamentali della Repubblica. I Comuni e Province sono infatti riconosciuti, e
non istituiti ex novo, come enti esponenziali di collettività territoriali, portatori di una
tradizione storica ed istituzionale che precede di decenni la stessa Carta costituzionale.
Tale articolo, tuttavia, non si limita al mero riconoscimento di Comuni e Province come
enti preesistenti, ma si carica del compito attivo di «promuovere» le autonomie stesse
rendendo il principio sancito nel suddetto articolo realmente operativo attraverso
l’adozione di opportune misure legislative.
2. Le forme associative
2.1. I Consorzi. L’unico riferimento normativo riferito all’associazionismo comunale
esistente all’indomani dell’entrata in vigore della Carta è rappresentato dal Regio
decreto 383 del 1934 che, dall’articolo 156 all’articolo 172, disciplina il Consorzio.
L’istituto consortile trova una discreta diffusione tra quegli enti locali legati tra loro da
un interesse comune e dal fatto che questo è parte integrante dei fini istituzionali degli
stessi enti consorziati. La legge prevede infatti che i Comuni possano unirsi tra loro, o
con la Provincia, per assolvere a compiti di interesse comunale (art. 156, 1° comma) la
cui titolarità spetta e resta in capo ai singoli enti, provvedendo invece il trasferimento
del mero esercizio della funzione in capo all’ente consortile. Il Consorzio è un ente con
propria personalità giuridica, definito dall’art.162 come «ente morale» al quale vengono
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delegate competenze volte alla realizzazione di un’opera, all’impianto ed esercizio di
servizi e uffici, nonché alla migliore utilizzazione di determinati beni. E’ possibile
distinguere tali Consorzi sia in base al servizio prestato, sia in base agli enti che ne
fanno parte. Per quanto concerne il primo profilo, gli enti consortili possono essere
istituiti per servizi facoltativi o per servizi obbligatori. I primi (art. 156) sono istituiti
sempre su base volontaria, sono regolati dalle norme generali di legge sui Consorzi e
non è possibile aggiungere a questi compiti nuovi in modo coattivo. I secondi (art. 157),
invece, possono nascere sia spontaneamente, in base ad una libera scelta dei soggetti
promotori, sia coattivamente per atto dell’autorità governativa. Questi ultimi, oltre a
dover rispettare le norme generali, saranno regolati altresì dalle norme specifiche
riguardanti il servizio che deve essere erogato obbligatoriamente. In tal caso, inoltre, i
Comuni non potranno delegare a questi l’esercizio di ulteriori funzioni. Da un punto di
vista soggettivo, vi possono essere Consorzi costituiti da soggetti omogenei (vale a dire
da Comuni e/o Province), ma anche Consorzi a cui aderiscono anche altri enti pubblici
(art. 172). In tal caso la partecipazione di detti soggetti sarà condizionata a quanto
previsto dalle leggi che li disciplinano.
L’istituzione di un Consorzio volontario tra Comuni avviene mediante un accordo
amministrativo, successivamente ratificato con decreto prefettizio, udite le Giunte
Provinciali Amministrative.
Per quanto concerne le funzioni, le deliberazioni, la finanza, la contabilità si applicano al
Consorzio le norme valide per il Comune consorziato che conta il maggior numero di
abitanti o quelle valide per il Comune capoluogo di provincia qualora questo ne faccia
parte (art. 165, 1° comma).
Anche il Consorzio, così come allora tutti gli enti locali, è soggetto alla vigilanza e alla
tutela governativa che l’art. 165, 2° comma prevede che sia svolta dal Prefetto, dalle
Giunte Provinciali Amministrative e dal Consiglio di Prefettura dove ha sede
l’Amministrazione consorziale.
L’avvio della regionalizzazione e in particolare l’entrata in vigore del D.P.R. n.616 del
1977 rappresenta un punto di svolta: l’art. 25 di detto decreto, infatti, prevede che «la
Regione determina con legge, sentiti i Comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati
alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli
enti locali territoriali, e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo comma
dell’art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi».
Con questa disposizione dunque, basata sull’ultimo comma del vecchio art. 117 Cost., le
Regioni hanno l’onere di definire eventuali aree amministrative più vaste in ragione
delle particolari funzioni concernenti i servizi sociali e sanitari e delle dimensioni dei
Comuni.
Viene modificata la Legge comunale e provinciale del 1934 in modo tale da renderla
coerente con la nuova realtà istituzionale. Per tutti i Consorzi nati per gestire funzioni
attribuite dalla Regione, lo Statuto deve essere approvato dal Presidente del Consiglio
regionale e non più dal Prefetto; i controlli sugli atti dei Consorzi sono svolti dalle
sezioni provinciali dei Comitati regionali di controllo e non più dalle Giunte provinciali
amministrative; infine la cessazione di un Consorzio viene disposta con decreto del
Presidente della Giunta regionale.
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Il D.P.R. 616 conduce dunque a un’opera di ridefinizione del profilo funzionale dei
Consorzi che si trasformano da enti di gestione di funzioni e finanziamenti comunali a
punto di riferimento per l’esercizio di alcune funzioni spettanti alle Regioni, le quali
intervengono sulla loro disciplina, provvedono al finanziamento e talvolta attribuendo
loro un ruolo più complessivo ed organico in alcune aree di intervento, un sorta di
delega in bianco. L’intervento pubblico inizia pertanto ad assumere i profili di grande
eterogeneità tra Regione e Regione che vedono il Consorzio come una forma di
organizzazione in grado di offrire un buon livello di elasticità in quanto permette si
svolgere una pluralità di funzioni anche al di fuori di quei settori in cui operano forme
istituzionalizzate di associazione; l’intervento normativo delle Regioni adotta il più delle
volte lo schema della delega condizionata e quello del finanziamento condizionato. Nel
primo caso la Regione delega ai Comuni lo svolgimento di talune funzioni
amministrative solo se questi provvedono a consorziarsi tra di loro. Nel secondo caso la
Regione prevede finanziamenti ai Comuni per l’esercizio di determinati funzioni
amministrative solo a condizione che essi si consorzino. L’Umbria adotta un modello che
vede la suddivisione della regione in 12 comprensori, all’interno dei quali vengono
costituiti due consorzi, uno economico urbanistico e per i beni culturali e l’altro socio
sanitario.
L’attività di sperimentazione a livello regionale si conclude, tuttavia, negli anni ‘80
quando numerose Regioni intraprendono un percorso normativo di abrogazione delle
realtà consortili, comprensoriali e associative conferendo le funzioni svolte da questi ai
Comuni o alle Province.
Con la legge 142 del 1990 per i Consorzi muta la natura giuridica: non più un vero e
proprio ente locale, ma un ente strumentale dell’ente locale che decide autonomamente
di costituirlo. Il recupero del Consorzio, abbandonato in larga parte negli anni ‘80 in
considerazione del profilo monofunzionale, avviene proprio con la previsione che esso
possa essere creato «per la gestione di uno o più servizi» e pertanto si vieta
esplicitamente che «tra gli stessi Comuni e Province non possa essere costituito più di
un Consorzio». L’affermazione del termine «stessi», tuttavia, fa sì che la norma possa
essere facilmente raggirata nella misura in cui si un Comune potrebbe partecipare a più
Consorzi, ciascuno con differente estensione territoriale.
Scompare, inoltre qualsivoglia intervento di organi esterni: approvazione dello Statuto
dal parte del Prefetto o del Presidente del Consiglio regionale. Pertanto, il Consorzio
risulterà giuridicamente costituito nel momento in cui le delibere di approvazione della
Convenzione e dello Statuto di tutti gli enti aderenti avranno acquisito il valore di
esecutività.
Al comma 7 dell’articolo 25 si prevede, altresì, la possibilità di istituire Consorzi
obbligatori i quali tuttavia dovranno essere costituiti con legge del Stato in caso di
rilevante interesse pubblico per la gestione di determinate funzioni o servizi.
L’attuazione concreta degli stessi verrà quindi demandata alle Regioni che, da parte
loro, quindi non potranno fare alcuna scelta circa l’obbligatorietà o meno della nascita
di un Consorzio.
Il TUEL del 2000 sancisce poi che il Consorzio, oltre all’erogazione di servizi, può
essere preposto alla gestione di funzioni amministrative.
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2.2. Le Comunità montane
«La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane» recita il secondo comma
dell’articolo 44 della Costituzione significando che per i territori montani debbano
essere oggetto di particolari interventi normativi volti a prevenire le problematiche di
carattere idro-geologico, economico-produttivo e sociale. Dopo una serie di interventi
normativi con l’istituzione dei Consigli di Valle, con la legge 23 dicembre 1971, n. 1102
recante «Nuove norme per lo sviluppo della montagna» si decise di introdurre un vero e
proprio nuovo livello di governo intermedio tra il Comune e la Provincia con specifici
compiti di pianificazione per lo sviluppo economico-sociale per affrontare le
arretratezze ormai croniche che affliggevano i territori montani, nei confronti delle quali
la storica frammentazione comunale non poteva incidere efficacemente.
Un nuovo organismo di diritto pubblico i cui tratti specifici dovevano essere tracciati da
ogni singola Regione, nel rispetto dei principi sanciti dal legislatore nazionale,
attraverso il ricorso alla potestà legislativa integrativa ed attuativa riconosciuta in capo
alle Regioni al secondo comma del vecchio art. 117 Cost. In base all’art. 4, infatti, le
Regioni erano chiamate, con legge regionale, a delimitare le zone omogenee e indicare
i Comuni chiamati a dare vita alle Comunità montane; a definire l’articolazione e la
composizione degli organi della Comunità; a fissare i criteri per la ripartizione dei piani
previsti dalla legge; ad approvare gli Statuti
Con il D.P.R. 616 del 1977 si realizza il primo cambio di volto delle Comunità Montane:
il quarto comma dell’art. 25 prevede che, qualora gli ambiti territoriali definiti dalla
Regione per la gestione dei servizi sociali e sanitari coincidano con quelli delle
Comunità montane, le funzioni relative vengano assunte da queste ultime: si concretizza,
così, la mutazione genetica delle Comunità da ente di programmazione a ente di
gestione ed erogazione di servizi. Il protagonismo delle Comunità in questo ambito sarà
infatti confermato successivamente dalla legge 2 dicembre 1978, n. 833 di «Istituzione
del servizio sanitario nazionale», dove si afferma che la Comunità montana rappresenta
l’organo di gestione dell’Unità sanitaria locale in caso di coincidenza territoriale. Tutto
ciò fino al 1991 con il commissariamento, prima e l’aziendalizzazione, poi delle ASL
Con la legge 142 del ’90, le Comunità montane diventano veri e propri enti locali: enti
intermedi tra i Comuni e le Province da una parte, e la Regione e i suoi enti strumentali
dall’altra. Configurandosi essenzialmente come espressione dei Comuni ricadenti nel
rispettivo territorio, le Comunità godono di una sfera di autonomia e di
autodeterminazione piuttosto ampia che si esplica innanzitutto nell’autonomia statutaria.
Il TUEL ripropone poi, l’attività di programmazione e pianificazione attraverso dei Piani
pluriennali di sviluppo, attività che si lega strettamente all’attività svolta da parte della
Provincia: infatti le indicazioni urbanistiche contenute nel Piano pluriennale di sviluppo
sono proprio destinate alla Provincia quale contributo per l’elaborazione del Piano
territoriale di coordinamento.
2.3. Le Unioni di Comuni. L’articolo 26 della Legge 142 introduce una nuova tipologia
di ente locale frutto di una lunga gestazione iniziata agli inizi degli anni ‘70 con una
proposta elaborata da parte dell’Associazione nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI).
L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere il più possibile la fusione tra loro di
Comuni contigui e di piccole dimensioni e la creazione del modello dell’Unione di
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Comuni andava proprio in questo senso. Rispetto al Consorzio, l’Unione si configura
come un vero e proprio ente locale, mentre il Consorzio assume la fisionomia di
un’azienda speciale cui i singoli Comuni possono contribuire in proporzione difforme; in
secondo luogo se questo può essere costituito per l’esercizio di una o più funzioni,
l’Unione nasce invece come ente a carattere polifunzionale.
La legge 265 del 1999 riversata poi nel Testo unico modifica drasticamente la disciplina
di tale forma associativa cassando l’espressione «in previsione di una loro fusione» con
la quale le Unioni di Comuni venivano caratterizzate e che aveva rappresentato il primo
vero limite alla diffusione su larga scala di questo istituto. Con la modifica da parte della
legge n. 265 si riassumono nel primo comma le condizioni che permettono a due o più
Comuni di addivenire alla costituzione di una Unione di Comuni. In primo luogo gli enti
costituenti devono essere «di norma» contermini, prevedendo con ciò la possibilità che i
Comuni aderenti ad una Unione possano anche non essere confinanti tra loro,
escludendo dunque in tal caso che essi possano decidere di fondersi tra loro per dare
vita ad una nuova entità comunale. Al tempo stesso dunque non è più previsto che tali
Comuni debbano necessariamente appartenere alla stessa Provincia.
Infine l’affermazione che l’ Unione di Comuni è un «ente locale» ha come conseguenza
che ad essa viene attribuita la potestà regolamentare che l’ente potrà esercitare per la
disciplina della propria organizzazione nell’ambito dei principi stabiliti dallo Statuto,
per regolare lo svolgimento delle funzioni ad essa affidate e per definire i rapporti,
anche finanziari, con i singoli Comuni aderenti.
3. La legge 59 del 1997 e il d.lgs. 112 del 1998: gli effetti sul sistema delle
autonomie.
La legge 15 marzo 1997, n. 59 ed i successivi decreti attuativi rappresentano, a vent’anni
di distanza dal DPR 616, una nuova spinta verso le autonomie tendente a valorizzarne il
ruolo e il profilo spostando ulteriormente verso territori i compiti di gestione ed
esercizio delle funzioni amministrative. Il cuore del progetto è riassunto da molti in quel
«principio di sussidiarietà» che esprime la necessità di rendere tutte le attività svolte
dagli appartati amministrativi le più vicine possibile ai cittadini stessi e che, oltre a
rappresentare la migliore risposta alle domande di autonomia, permette al tempo stesso
di completare finalmente l’attuazione in forma aggiornata del progetto costituzionale e
dei principi sanciti in materia di amministrazione quali quello di autonomia di cui all’art.
5, quelli di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97, nonché di quello di
responsabilità sancito all’art. 28.
In questo modo la legge 59 del 1997, i decreti attuativi successivi e soprattutto il
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 sono provvedimenti tendenti ad uscire dalla
logica del mero decentramento statale nell’attribuzione delle funzioni amministrative
alle autonomie territoriali arrivando dunque a riconoscerne finalmente il carattere di
enti esponenziali di determinate collettività territoriali dotati di una capacità di governo
tendenzialmente generale e capaci di farsi portatori di tutte le istanze provenienti da
queste, facendo in questo modo dell’amministrazione locale la sede primaria
dell’amministrazione generale, in perfetta aderenza a quel principio di sussidiarietà che
impone un rapporto che sia il più prossimo possibile tra i cittadini e l’attività di
amministrazione.
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La portata innovativa di tale legge, infatti, sta proprio nel fatto che essa arriva ad
affermare che nella generalità delle materie la titolarità di queste spetti a Regioni,
Province, Comuni e ad altri enti locali e che solo in quelle espressamente e
tassativamente individuate dalla legge la competenza rimanga in capo allo Stato. In
particolare il comma 2 dell’art. 1 della legge 59 specifica che sono «conferite alle
Regioni e agli enti locali (...) tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura
degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità».
Un’affermazione simile porta ad un radicale ribaltamento del criterio base di riparto
delle funzioni amministrative tra Stato, da una parte, e Regioni ed enti locali dall’altra,
andando ben oltre la sfera delle competenze regionali individuata dalla precedente
formulazione del primo comma dell’art. 117 della Costituzione.
Il principio di sussidiarietà diventa dunque un principio di sistema che produce una
vera riforma istituzionale a carattere generale e che conduce a ribattezzare tale
provvedimento come legge sul federalismo amministrativo, nella misura in cui essa
provvede a disegnare un assetto decentrato che non si muove più dall’alto verso il
basso, ma, rovesciando i criteri tradizionali, dal basso verso l’alto.
Accanto alla sussidiarietà vengono poi all’art. 4, enunciati altri principi:
• principio di unità e responsabilità, in base al quale le funzioni devono essere
conferite in modo unitario in capo al soggetto che ne sia titolare e in maniera da
costituire la responsabilità di un servizio, di un’attività, di un risultato nei confronti
dei destinatari o degli interessati.
• principio di efficienza e di economicità, volto a far sì che la pubblica
amministrazione sia in grado si realizzare le stesse funzioni amministrative
attraverso l’impiego sempre minore di risorse economiche e alla parallela
riduzione degli sprechi attraverso la soppressione delle funzioni e dei compiti
divenuti superflui.
• principio di omogeneità, volto a fare in modo che agli stessi livelli di governo
vengano il più possibile attribuite le medesime funzioni e i medesimi compiti, e
quello di cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali, sancito tra le altre cose
anche al fine di «garantire un’adeguata partecipazione alle iniziative adottate
nell’ambito dell’Unione europea».
• principi di adeguatezza e differenziazione che consentono di dare sostanza quali
criteri ordinatori all’attuazione della sussidiarietà e, conseguentemente, del
federalismo amministrativo nella nuova ripartizione delle competenze tra i vari
livelli di governo.
• principio di adeguatezza che comporta che il conferimento di funzioni venga
effettuato «in relazione all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente a
garantire, anche in forma associata con altri enti, l’esercizio delle funzioni».
• principio di differenziazione, in base al quale l’allocazione di funzioni deve essere
effettuata «in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative,
demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi».
3.1. Il nuovo ruolo delle Regioni nell’organizzazione dei sistemi locali.
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Nel nuovo ordinamento spetta alle Regioni di organizzare l’esercizio delle funzioni
amministrative a livello locale, attraverso i Comuni e le Province «identificando (…) gli
interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del
territorio»: ciascuna Regione è chiamata a determinare le funzioni amministrative che
richiedono l’esercizio unitario a livello regionale, conferendo tutte le altre agli enti
locali. In particolare le misure di incentivazione contenute nell’art. 6 della legge 265
riprendono in sostanza quanto previsto all’art. 3, comma 2 del medesimo d.lgs. in cui si
afferma che «al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei Comuni di minore
dimensione demografica, le Regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle
stesse».
Coerentemente con l’impianto del TUEL che non considera più come prioritario il
processo di fusione dei piccoli Comuni tra loro, le disposizioni del nuovo art. 11
prevedono che le Regioni non definiscano più un programma di riordino delle
circoscrizioni comunali, bensì «un programma di individuazione degli ambiti per la
gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi», da definire nelle apposite sedi
concertative. Tale programma può prevedere che la gestione associata di funzioni e
servizi venga svolta innanzitutto attraverso l’istituzione di Unioni di Comuni che
diventano in questo modo la principale forma associativa a carattere polifunzionale,
ferma restando la possibilità di ricorrere a Consorzi, Convenzioni e Comunità montane.
La legge prevede poi che il programma regionale può definire i criteri per la
corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione con cui si intende
comunemente che la gestione associata delle funzioni possa tendere alla fusione tra loro
dei piccoli Comuni che vi ricorrono. Il programma viene aggiornato ogni tre anni e la
Regione può provvedere a incentivare l’esercizio associato da parte dei Comuni
attraverso erogazioni finanziarie, attenendosi ad una serie di principi quali la
graduazione dei benefici in relazione al livello di unificazione dei Comuni rilevato in
base alla tipologia e alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati o trasferiti
«in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima
integrazione» e prevedendo altresì una particolare maggiorazione «nei casi di fusione e
di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale» e graduando le l’entità
dei contributi in modo più che proporzionale al numero di Comuni coinvolti, in modo da
incentivare gli altri Comuni ad adottare tale forma di gestione.
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Parte II
L’evoluzione delle forme associative dalla novella costituzionale del 2001 al 2009
1. L’ampliamento delle competenze comunali ed il principio di sussidiarietà. La
riforma costituzionale ha inteso valorizzare il ruolo centrale dei Comuni: il nuovo
articolo 118, introducendo il principio della cd. “sussidiarietà verticale”, statuisce che
“le funzioni amministrative sono svolte, di regola, dai Comuni, salvo che, per
esigenze di carattere unitario, siano attribuite ai livelli di governo superiori”.
Ma i problemi fondamentali, con i quali la maggioranza dei Comuni italiani si era dovuta
confrontare a partire dalla legge 142 erano già legati al progressivo ampliamento delle
competenze, in una realtà di diffusa “polverizzazione” degli enti: più di 8.000 Comuni,
dei quali soltanto 136 hanno una popolazione superiore ai 50.000 abitanti: una
dimensione, geografica e demografica, non solo non idonea per la realizzazione di
politiche pubbliche efficaci, ma che non permetteva anche l’economicità dell’azione
amministrativa
Il nuovo assetto delle funzioni amministrative progettato dal Titolo V, conduce, poi, ad
un potenziale ulteriore aumento del carico funzionale in capo ai Comuni, i quali si
trovano a dover fare i conti con la loro capacità e la loro idoneità ad esercitare
efficacemente le nuove e maggiori funzioni loro spettanti verificando in particolare gli
aspetti organizzativi, gestionali e finanziari. Di fronte ad un situazione simile, si sono
poste due opzioni organizzative possibili:
• la prima passa per un’applicazione del principio di differenziazione tendente ad
attribuire le funzioni amministrative in modo disomogeneo per ciascun livello
territoriale in ragione delle caratteristiche dimensionali e delle capacità
organizzative di ogni singolo ente, nel rispetto del livello di adeguatezza
individuato;
• la seconda tende invece a procedere ad un’attribuzione omogenea delle funzioni
amministrative per ciascun livello territoriale di governo favorendo processi di
ricomposizione delle istituzioni locali, tali da garantire che ogni livello, e in
particolare il livello comunale, raggiunga soglie dimensionali adeguate al nuovo
ruolo è chiamato a svolgere.
Ma la prospettiva della differenziazione delle funzioni amministrative all’interno di uno
stesso livello di governo, attribuendo uno stesso compito ora ad un livello di governo
ora ad un altro condurrebbe alla realizzazione di un modello “a macchia di leopardo”
difficilmente gestibile perché all’interno di una stessa realtà territoriale un medesima
funzione potrebbe essere svolta, o dal Comune o dalla Provincia.
Così è stata avanzata l’ipotesi, maggiormente coerente con il disegno delineato da
parte del nuovo Titolo V, di intervenire sulle stesse autonomie comunali in modo da
realizzare compiutamente i livelli di adeguatezza indispensabili per realizzare un
modello amministrativo efficace, potendo in questo modo assegnare una tipologia
particolare di funzioni indistintamente ad uno stesso livello di governo, evitando così
qualsiasi duplicazione, confusione o incertezza. Si tratta di intervenire sui livelli di
governo comunali ma non ridefinendone in modo autoritativo le dimensioni
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eventualmente attraverso la prospettiva delle fusioni coattive, ma, a fronte dei nuovi ed
ampi compiti, prevedendo forme non facoltative di esercizio associato di funzioni e
servizi
2. La legge 131 del 2003 e la realizzazione del nuovo assetto amministrativo delle
funzioni. Tale legge - cosiddetta legge La Loggia - contiene una delega al Governo per
procedere alle revisione dell’ordinamento degli enti locali e del testo unico del 2000
limitatamente alle norme che contrastano con il sistema costituzionale degli enti locali
definito dal nuovo Titolo V, prevedendo la «modificazione, l’integrazione, la
soppressione e il coordinamento formale delle disposizioni vigenti, anche al fine di
assicurare la coerenza sistematica della normativa, l’aggiornamento e la semplificazione
del linguaggio normativo»: una Carta delle autonomie locali che fosse perfettamente
coerente con il nuovo dettato costituzionale e ponesse fine a tutte le incertezze
normative che erano iniziate a porsi nei primi anni di vigenza delle nuove norme.
Essa prevede, altresì, che il Governo, al fine di agevolare l’esercizio della potestà
legislativa secondo le nuove attribuzioni, e in particolare della potestà legislativa
concorrente, fosse delegato ad emanare uno o più decreti legislativi «meramente
ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie
previste dall’articolo 117, terzo comma» (art. 1, comma 4).
La legge si occupa, inoltre, della individuazione da parte dello Stato delle funzioni
fondamentali in base alla lett. p) del terzo comma dell’art. 117 Cost., identificate dall’art.
2 come quelle «essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città
metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di
riferimento, nel rispetto delle competenze legislative delle Regioni». In base ai criteri
contenuti nella delega, le funzioni fondamentali dovranno essere individuate valutando
innanzitutto le caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente; la natura essenziale e
imprescindibile delle funzioni rispetto alle esigenze di funzionamento dell’ente e ai
bisogni primari delle comunità amministrate; le funzioni che storicamente sono state
svolte da parte dei Comuni e delle Province (considerando altresì l’assenza di qualsiasi
tradizione per le Città metropolitane); le funzioni che devono garantire i servizi
essenziali su tutto il territorio nazionale secondo i criteri di razionalizzazione e
adeguatezza.
L’attuazione dell’art. 118 Cost. è prevista invece all’art. 7 il quale prevede che lo Stato e
le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedano a conferire le funzioni
amministrative di cui erano titolari al momento dell’entrata in vigore della stessa legge
n. 131 del 2003 e che richiedono l’unitarietà di esercizio a Province, Città metropolitane,
Regioni e Stato secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Tutte
le funzioni che lo Stato e le Regioni non conferiscono esplicitamente ad alcun ente
spettano automaticamente ai singoli Comuni.
3. Le “funzioni fondamentali” nella legge 5 maggio 2009, n. 42, “Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della
Costituzione»
Poiché dal 2003 al 2009, nonostante tre disegni di legge presentati dai Ministri dei tre
Governi che di sono succeduti in tale lasso di tempo. Pisanu, Lanzillotta e Maroni,
nessuno è pervenuto a buon fine, tale legge, in assenza di un quadro normativo chiaro
13
della disciplina fondamentale delle autonomie locali, si vede “costretta ad introdurre
una serie di disposizioni di carattere transitorio valide in sede di prima applicazione dei
decreti legislativi dalla stessa previsti. Tra queste viene pertanto inserita una
individuazione transitoria delle funzioni fondamentali, valida «ai soli fini dell’attuazione
della presente legge, e in particolare della determinazione dell’entità e del riparto dei
fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale».
Il comma 3 dell’art. 21 prevede che le spese riguardanti le funzioni fondamentali
riguardano
• le funzioni di amministrazione, gestione e controllo;
• le funzioni di polizia locale;
• le funzioni di istruzione locale, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di
assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;
• le funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
• le funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione
per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché
per i sevizio idrico integrato;
• le funzioni del settore sociale.
4. Le Comunità montane dopo la riforma del Titolo V: dal “disinteressamento”
dello Stato, al tentativo di ”autoriforma”, alla progressiva soppressione.
Per le Comunità montane la riforma del Titolo V della Costituzione rappresenta un vero
e proprio spartiacque. La competenza del legislatore statale sull’ordinamento degli enti
locali, che nella Costituzione del ’48 trovava fondamento nell’art. 128, viene circoscritta,
nel 2001, a “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, comma 2, lett. p). Le Comunità
montane non sono, invece, nominate in Costituzione e sulla base di questo argomento è
da escludersi che competa ancora allo Stato individuare in modo uniforme a livello
nazionale i modelli associativi tra enti locali. Sul punto era intervenuto dapprima il
Consiglio di Stato (parere 29 gennaio 2003, n. 1506/02) che aveva ricondotto le
Comunità montane alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni, in quanto la
materia non risultava inserita né tra le competenze esclusive statali, né tra quelle
concorrenti regionali. Tale orientamento ha trovato sempre più conferme nella
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze nn. 229 del 2001, 244 e 456 del
2005). La Corte ha affermato che la disciplina delle Comunità montane rientra nella
competenza legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 4, della
Costituzione .
Il Governo Prodi accoglie nel 2007 la proposta di autoriforma delle Comunità Montane
dell’UNCEM con la legge n. 244/2007 - Legge finanziaria 2008 - ispirata al principio del
contenimento dei costi ed al mantenimento di tali enti superando l’approccio
centralistico e punitivo che aveva connotato l’azione statale nei confronti delle comunità
montane. ne segue una stagione «straordinaria» di riordino delle Comunità montane da
parte delle Regioni. Nonostante l’intensa attività legislativa delle Regioni volta a
ridisegnare un ruolo per le Comunità montane, quale soggetto associativo delle realtà
rurali e montane del Paese, l’evoluzione legislativa statale successiva è andata in
14
tutt’altra direzione, solo se si considera la recente legislazione in materia menziona solo
le Unioni o le convenzioni quali strumenti idonei all’adempimento delle obblighi imposti
dalla legge. Emerge quasi un “monito implicito” per in quanto, rientrando la disciplina
delle Comunità montane nella competenza residuale delle regioni, spetta a queste
ultime provvedere al loro finanziamento, insieme ai Comuni di cui costituiscono la
proiezione. Ne consegue che la recente legislazione regionale, salvo Lombardia e
Veneto, ha proceduto a riconsiderare il ruolo delle Comunità montane equiparandole
ad Unioni dei Comuni, con alcuni elementi di “specialità”
3. I consorzi obbligatori per la gestione dei SPL: gli ATO
Con la legge 5 gennaio 1994, n. 36 (c.d. legge “Galli”) si attribuisce alle Regioni il
compito di suddividere il territorio in ambiti territoriali ottimali, all’interno dei quali
favorire forme di gestione integrata del servizio idrico mentre, con il d.lgs. 5 febbraio
1997, n. 22 (c.d. decreto “Ronchi”), si impone la gestione unitaria dei rifiuti urbani per
ambiti territoriali ottimali e si prevede l’istituzione di forme di cooperazione tra enti
locali all’interno di ogni ambito territoriale ottimale .
Il legislatore, consapevole della frammentazione che per troppo tempo aveva
caratterizzato il mercato dei servizi idrici e della gestione dei rifiuti urbani, ha voluto
porvi fine, obbligando all’individuazione di livelli sovracomunali entro i quali
organizzare l’offerta delle prestazioni. E così il legislatore statale, con l’approvazione
del d.lgs. 152/2006, ha previsto esplicitamente, sia per la gestione dei servizi idrici che
per quella dei rifiuti urbani, che gli enti locali debbano partecipare
“obbligatoriamente” all’Autorità d’ambito costituita nell’ATO.
Nel campo del servizio idrico integrato o della gestione integrata dei rifiuti l’autonomia
decisionale dei Comuni deve, così, cedere il passo a determinazioni rimesse all’agenzia
d’ambito, titolare del potere di disporre degli affidamenti e, conseguentemente, di
elaborare le concrete politiche di gestione dei servizi pubblici locali.
Il potere di disciplina della forma di cooperazione spetta, alla luce di quanto disposto
dal codice dell’ambiente (e già precedentemente dalla legge Galli e dal decreto
Ronchi) alle Regioni.
Le Regioni hanno così adottato normative di attuazione in materia di servizio idrico
integrato e di gestione integrata dei rifiuti.
Sia l’art. 148 d.lgs. 152/2006 (relativo al servizio idrico integrato) che l’art. 201 d.lgs.
152/2006 (relativo alla gestione integrata dei rifiuti) hanno definito l’Autorità d’ambito
come “una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito
territoriale ottimale delimitato dalla competente Regione, alla quale gli enti locali
partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze
loro spettanti” in materia di gestione delle risorse idriche e in materia di gestione
integrata dei rifiuti.
Più precisamente, nella legge Galli e nel decreto Ronchi il legislatore statale,
nell’attribuire il potere alle Regioni di disciplinare le forme e i modi di cooperazione tra
gli enti locali, indicava, al contempo, alle stesse anche la normativa – rappresentata
dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 – a cui far riferimento per individuare la forma
organizzativa delle proprie Autorità d’ambito. Si riconosceva, pertanto, il ricorso tanto
15
alle forme convenzionali di aggregazione, ricalcanti le convenzioni di cooperazione
previste dal vecchio art. 24 legge 142/1990, quanto alle forme associative stabili, quali i
consorzi per lo svolgimento delle funzioni degli enti locali previsti dall’art. 25 legge
142/1990 (oggi art. 31 d.lgs. 267/2000).
Nel codice dell’ambiente, invece, il legislatore non indica alle Regioni alcun atto
normativo a cui far riferimento per individuare la forma delle proprie Autorità d’ambito.
A prescindere dal nome che gli si conferisce – Autorità d’ambito, Ente d’ambito,
agenzia d’ambito – e dalla forma che gli si riconosce (consorzio obbligatorio – che
sembrerebbe preferibile – piuttosto che convenzione o società di capitali), tale modello
organizzativo rappresenta la struttura unitaria competente all’esercizio associato delle
funzioni degli enti locali relative all’organizzazione del servizio pubblico e, soprattutto,
delle funzioni di scelta della forma di gestione e del gestore nonché di vigilanza nei
confronti dello stesso. Il che spiegherebbe anche perché tale forma di cooperazione
non possa svolgere attività di gestione del servizio: il vigilante si confonderebbe con il
vigilato.
L’art. 2, comma 186-bis, della Legge 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall’art. 1,
comma 1-quinquies della Legge 26 marzo 2010 n. 42 ha previsto che “Decorso un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorità d'ambito
territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorità
d'ambito territoriale è da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate
dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n.152 del 2006
sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale
di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.Tale disposizione, introdotta
dal Parlamento in sede di conversione del decreto legge 25 gennaio 2010 n. 2
“Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni” ha inserito – ma sarebbe meglio
dire riproposto – la soppressione degli ATO fra le misure finalizzate al contenimento
delle spese negli enti locali.
Va ricordato, infatti, che già l'art. 2, comma 38, della Legge Finanziaria 2008 (Legge 24
dicembre 2007 n. 244) già prevedeva: che "Per le finalità di cui al comma 33, le regioni,
nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e
gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti (…),
procedono entro il 1º luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere,
alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi
servizi secondo i principi dell'efficienza e della riduzione della spesa nel rispetto dei
seguenti criteri generali, quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica.
Se la necessità di ridurre la spesa pubblica e il tentativo di perseguire l’efficienza sono
stati negli anni ’90 tra i motivi che avevano sostenuto la nascita delle Autorità d’ambito,
gli stessi “principi” sono, alla luce di quanto disposto nell’art. 2, comma 38, della legge
24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008), alla base di una riforma tendente a far
scomparire le forme di cooperazione in oggetto.
16
Col tempo, infatti, è emersa la fragilità del sistema e l’inadeguatezza delle figure
organizzative a far fronte alle criticità per il superamento delle quali erano state
pensate: le differenti situazioni locali hanno determinato conflittualità all’interno delle
Autorità d’ambito tra gli enti locali partecipanti, con conseguenti difficoltà operative per
le stesse, che hanno impedito di perseguire quei tanto auspicati vantaggi per cui si era
fatto ricorso alla gestione associata; la separazione tra regolazione e gestione dei servizi
ha fatto fatica a realizzarsi; la necessità di mantenere l’apparato amministrativo-
burocratico dei soggetti in questione, più che ridurre le spese, in molte realtà, le ha
aumentate. Per di più, l’eccessiva frammentazione del territorio in ATO da parte dei
legislatori regionali ha comportato il diffondersi di un numero elevatissimo di Autorità
d’ambito, con conseguente incremento dei costi .
Trasferendo alle province le funzioni delle Autorità d’ambito, con conseguente
scomparsa di quest’ultime, si pensa di offrire un segnale di chiarezza, concentrando
finalmente in un unico soggetto pubblico ruoli e responsabilità di gestione dei servizi, in
considerazioni delle quali saranno poi valutati gli amministratori locali da parte dei
cittadini-elettori.
Non tutte le Regioni hanno provveduto a riorganizzare il servizio idrico integrato e il
servizio di gestione integrata dei rifiuti come richiesto dalla legge 244/2007, anche
perché il termine originariamente previsto è stato successivamente protratto nel tempo.
Alcune Regioni continuano a non disporre neppure di leggi che disciplinano i servizi in
questione, nonostante siano passati ormai quasi quindici anni dall’approvazione della
legge Galli e circa dodici dall’approvazione del decreto Ronchi.
Tra le Regioni adempienti all’ultima normativa citata si segnalano: la scelta della
Campania di istituire ATO provinciali, quella delle Marche che prevede che l’Autorità
d’ambito si costituisca tramite consorzio obbligatorio dei Comuni appartenenti all’ATO,
salvo che, nel caso in cui i Comuni non addivengano ad un accordo, le funzioni verranno
assunte dalla Provincia e, quella recente, dell’Emilia Romagna che prevede un’unica
Agenzia regionale.
5 Le Unioni dei comuni: la situazione al 2009.
Fino all’emanazione del Testo Unico del 2000, il ricorso alle Unioni di Comuni si era
rivelato sporadico ed inefficace ai fini del raggruppamento delle autonomie locali, in
quanto tale forma organizzativa era strumentale alla fusione tra Comuni, Dopo la legge
265/1999 l'Unione di Comuni è diventata una semplice forma associativa tra gli enti
locali, al pari di convenzioni e consorzi.
Lo sviluppo numerico. Sono 313, secondo una ricerca ANCI a fine 2009, le Unioni di
Comuni, distribuite in 17 regioni italiane e comprendenti 1.561 Comuni. Pur all’interno
di un unico quadro normativo nazionale, le singole Regioni hanno adottato nel tempo
specifiche policy finalizzate di volta a favorire in misura più o meno diretta il percorso di
unificazione comunale. Queste scelte hanno portato a una forte differenziazione nella
distribuzione territoriale delle Unioni.
La distribuzione geografica. L’analisi della distribuzione delle Unioni sul territorio
italiano indica una forte polarizzazione tra le Regioni: risalta il dato delle regioni
Lombardia e Piemonte che con, rispettivamente, 53 e 50 Unioni da sole contribuiscono
per quasi un terzo al totale nazionale..
17
Ma in termini relativi è nelle Isole- Sicilia e Sardegna - che si trova la più elevata
concentrazione, dove quasi un Comune su due (il 49%) aderisce ad un’Unione. Sul piano
provinciale, invece, si segnala il dato della provincia di Pavia, quella con il maggior
numero di Unioni (19) sul proprio territorio, seguono Lecce e Palermo, entrambe con 16
Unioni.
La dimensione. In Italia, al 31 dicembre 2009, secondo i dati dell’Istat, 5.758.607
persone vivono in Comuni che appartengono a un’Unione, vale a dire quasi un italiano
su 10 (il 9,5% della popolazione). Pur a fronte di una netta predominanza quantitativa
dei Comuni di piccole dimensioni, la variabilità della popolazione di quelli che
appartengono alle Unioni è molto ampia: si va dagli 89.735 abitanti di Brindisi (che
appartiene all’Unione dei Comuni Valesio) ai 66 di Rima S. Giuseppe dell’Unione Val
Pitta in provincia di Vercelli o ai 68 di Rocca S. Giorgio dell’Unione dei Comuni
Oltrepadani bis in provincia di Pavia.
Questa variabilità è confermata anche a livello regionale dove, ad eccezione di Trentino
Alto Adige Toscana e Umbria (che avevano all’interno dei propri confini una sola
Unione), troviamo divari significativi tra Comuni più e meno popolosi. Mediamente le
Unioni italiane sono composte da 5 Comuni, anche se il range di variabilità è molto
ampio e va da un minimo di 2 Comuni a un massimo di 20.
Ovviamente non esiste una dimensione ottimale, ma i dati nazionali testimoniano un
forte sbilanciamento in favore delle Unioni composte da pochi Comuni. Basti ricordare
che il numero di Comuni che compone un’Unione che ricorre con maggiore frequenza è
3 e la mediana, vale a dire il numero che occupa la posizione centrale di un insieme di
numeri, ovvero una metà dei numeri ha un valore superiore rispetto alla mediana,
mentre l'altra metà ha un valore inferiore, è 4.. Un altro elemento significativo lo
troviamo all’interno di quel 20% di Unioni la cui popolazione non raggiunge i 5.000
abitanti, rimanendo quindi al di sotto della soglia convenzionale che identifica i “piccoli
Comuni”. Sono infatti ben 36 le Unioni che in questo insieme raccolgono 3 o più Comuni,
raffigurando in modo chiaro la volontà di superare i limiti gestionali e operativi imposti
dalle minuscole dimensioni dei cosiddetti “Comuni polvere”, che vengono da più parti
additati come uno dei maggiori rischi di dispersione delle risorse all’interno del sistema
delle autonomie locali.
Le funzioni esercitate. A fronte di una grande varietà di servizi e funzioni gestiti in
forma associata, solo uno interessa la maggioranza delle Unioni: la Polizia Municipale;
per ciascuno degli altri servizi non si arriva al 50% del campione.
In media le Unioni italiane gestiscono in forma associata quasi 9 servizi ciascuna, con un
minimo di uno ed un massimo di 29 conferimenti. Più del 60% delle Unioni gestiscono
per conto dei Comuni un numero superiore ai 6 servizi, segno di un consolidamento
molto forte di questa realtà su tutto il territorio nazionale, anche se è da rimarcare come
le “eccellenze” in questo senso sono tutte al Nord, dove 5 Unioni gestiscono in forma
associata più di 20 servizi.
Le economie realizzate. I servizi che determinano maggiori economie quando
associati riguardano l’area dei lavori pubblici e delle manutenzioni, seguiti dal servizio
di mensa scolastica e dalla funzione “Gare e appalti”. Appaiono rilevanti anche le
opportunità di risparmio generate per le funzioni di segretariato generale e affari
generali: questi, unitamente ai servizi di gestione dei Tributi, rappresentano un fronte
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ad oggi poco frequentato, ma potenzialmente utile per aumentare la strutturazione
complessiva dell’Ente. Non risultano, invece, economie realizzate in nessuna Unione
nella funzione di Polizia municipale, la quale peraltro è la più presente, segnalando i
limiti di un’esperienza
Tra i diversi benefici sicuri e positivi generati dall’Unione, da registrare: l’aumento
della qualità dei servizi erogati tende ad essere un effetto maggiormente percepito per
quei servizi che tendenzialmente non esisterebbero in assenza di Unione: URP, Turismo,
Sportello unico per le imprese. Si tratta di un’indicazione interessante per capire come
questo livello di governo possa apportare valore aggiunto specifico.
6. Le Fusioni
Sono 8 le fusioni di Comuni siglate dal 1990 al Giugno 2011 oggi secondo l'istantanea
dell'Istat. Un esempio per tutte: la fusione nel nuovo Comune di Ledro (Trentino) è
iniziata con la creazione di un circolo culturale e un coro valligiano, poi con l'unione
costituita a quattro e poi a sei, diventata operativa nel 2001. Un unico ufficio tecnico, così
come una sola segreteria e un ufficio ragioneria, fino a un unico segretario comunale. Il
traguardo effettivo è arrivato nel 2006-2007, con la condivisione di tutte le competenze,
tranne l'urbanistica e il territorio che sono rimasti servizi decentrati. Un ménage che si è
rafforzato negli anni, fino all’unione del primo gennaio 2010. Come sede del Municipio,
sempre in ricordo dello spirito della valle, è stata scelto Pieve di Ledro, che ospitava
un'antica repubblica. Le difficoltà maggiori riscontrate sono state l'accorpamento
dell'anagrafe e la toponomastica per la presenza di doppioni di nomi delle vie.
19
Parte III
Le forme associative “obbligatorie”
1.Premessa.
L’impianto originario delle forme associative (art. 24, l. n. 142/1990) presentava confini
più netti tra le diverse forme, poiché l’unione era finalizzata alla fusione tra i comuni, il
consorzio era previsto per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica e la
convenzione era la forma generale e residuale. Ma quest’ultima, a ben vedere,
costituisce la forma più semplice di gestione associata:
• non comportando la costituzione di un nuovo soggetto come accade, invece, per il
consorzio o l’unione di comuni;
• venendo stipulata per singoli servizi (l’art. 30 parla di “funzioni e servizi
determinati”), dei quali definisce ex ante tutte le condizioni operative, a
differenza, anche qui, di consorzi ed unioni (tramite cui, rispettivamente, l’art. 31
consente “la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di
funzioni”, e l’art. 32 di “esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni”);
• potendo essere disposto tra le parti il suo scioglimento in modo meno gravoso
rispetto alle altre forme associative.
Tali caratteristiche, invero, rappresentano, di converso, anche i limiti del modello
convenzionale, laddove “la definizione ex ante richiesta per la sua approvazione ed
operativizzazione, se da una parte permette di definire, almeno teoricamente, tutte le
condizioni di scambio e di risultato atteso, dall’altro può ingessare le potenzialità del
processo associativo ad un accordo rigido […]. Ciò significa che i servizi e le funzioni
gestite tramite convenzione sono pressoché privi di capacità di adattamento e sviluppo
strategico se nei termini previsti dall’accordo stesso”; con la logica conseguenza che “le
convenzioni sono, da questo punto di vista, uno strumento adatto se le condizioni di
partenza sono chiare, condivise e se non mutano troppo rapidamente nel tempo” .
All’opposto delle convenzioni si collocano le Unioni di comuni, le quali, come sopra
descritto, sono, a tutti gli effetti, come vere e proprie istituzioni pubbliche aggiuntive,
con ciò godendo di una maggiore autonomia gestionale nello svolgimento dei compiti
loro affidati e, al contempo, patendo le criticità connesse alla necessità di prevedere
costi aggiuntivi, anche se in previsione di risparmi per economie di scala, e dalla
condizione del perdurare di un forte accordo politico sotteso.
Sotto tale ultimo profilo, meno implicazioni sembra portare con sé la forma associativa
consortile – nelle due distinte tipologie (originariamente) previste del consorzio di
gestione (di servizi), cd. “consorzio a struttura imprenditoriale” o “consorzio-azienda”;
e del consorzio di (esercizio di) funzioni, cd. “consorzio burocratico” o “consorzio
istituzionale”– la quale, tendenzialmente, si viene a collocare in posizione di mera
strumentalità rispetto agli enti locali consorziati: questi, infatti, ne approvano lo statuto,
ne compongono l’assemblea, e ne nominano il consiglio di amministrazione.
2. La nuova disciplina delle forme associative: la disciplina del 2010
Prima di esaminare le novità del 2010, occorre ricordare che, in tema di gestioni
associate di funzioni (ma anche di servizi e di strutture), il comma 28°, dell’articolo 2,
20
della legge n. 244/2007, stabilisce quanto segue:
a) Ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative
comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e
delle strutture, ad ogni amministrazione comunale è consentita l'adesione ad una unica
forma associativa, per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31 (Consorzio), 32
(Unione di Comuni) e 33 (esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni).
b) Sono fatte salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del
servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti.
c) A partire dal 1° gennaio 2009, se permane l'adesione multipla ogni atto adottato
dall'associazione tra Comuni è nullo ed è, altresì, nullo ogni atto attinente all'adesione o
allo svolgimento di essa da parte dell'amministrazione comunale interessata.
d) L’indicata disciplina non si applica per l'adesione delle amministrazioni
comunali ai consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi nazionali e regionali.
La gestione associata delle funzioni è stata interessata, dal 2010 in poi, da un ricorrente
intervento legislativo, teso, primariamente e senza infingimenti, al perseguimento di
un unico obiettivo: la riduzione della spesa pubblica!
Il primo intervento, l’intervento del 2010, si è manifestato con l’articolo 14 del
decreto legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010. Tale disposizione
normativa, rubricata “Patto di stabilità interno ed altre disposizioni sugli enti
territoriali”, presenta i seguenti ed importanti commi:
25. “Le disposizioni dei commi da 26 a 31 sono dirette ad assicurare il coordinamento
della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l'esercizio delle funzioni
fondamentali dei comuni”. La disposizione normativa si pone come introduzione alla
“manovra” del 2010 sugli Enti locali ed evidenzia, chiaramente come anticipato, il fine
primario ed unico dell’intervento normativo: contenere le spese per l'esercizio
delle funzioni fondamentali dei Comuni, cioè ridurre l’intera spesa correlata
all’esercizio di tali funzioni. La finalità, che viene indicata cronologicamente come
prima, cioè il “coordinamento della finanza pubblica”, non deve trarre in inganno, nel
senso che costituisce un fine recessivo in confronto al secondo. Ciò che è importante è il
contenimento della spesa pubblica ed, attraverso il perseguimento di tale fine, è
possibile garantire il coordinamento della finanza pubblica. In altri termini, la finanza
pubblica deve essere coordinata (da qui, la sollecitazione alla valorizzazione della
gestione associata) al fine primario di ridurre la spesa pubblica. Eclatante conferma
di tale verità ci perviene, non solo dall’ultima “manovra d’agosto”, ma anche da una
chiara asserzione, contenuta in una recente pronuncia, formulata da un autorevolissimo
organo giurisdizionale. Le sezioni riunite della Corte dei conti, nella recente pronuncia
n. 50/contr/11 del 21 settembre 2011, sono state chiamate in causa da contrasti
interpretativi intercorsi fra le sezioni Emilia-Romagna e Lombardia, in merito alle
seguenti questioni: 1) E’ possibile escludere dalla limitazione, di cui al comma 6°,
articolo 7, legge n. 122/2010 (limitazione delle spese per consulenze e studi al 20
per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009) le “consulenze ad alto tasso di
specializzazione”, che fanno riferimento a competenze così elevate, che sono quasi
introvabili negli Enti? 2) Rientrano nell’alveo applicativo dell’articolo 6, comma 7°
predetto, le spese di comunicazione istituzionale, di cui alla legge n. 150/2000? Le
21
Sezioni riunite hanno dato risposta negativa al primo quesito e positiva alla seconda.
Ciò che interessa, invero, non è propriamente il merito delle questioni controverse
sottoposte al suo vaglio, bensì una significativa frase, posta al termine della
pronuncia, a giustificazione delle decisioni assunte. La frase è la seguente: “Del
resto va anche evidenziato come una qualsiasi scelta di contenimento della spesa sia
suscettibile, per sua natura, di produrre effetti negativi sull’efficienza ed efficacia
dell’azione amministrativa”. Cosa vuol dire ciò? Al di là di inutili formalismi, vuol dire
che se si decide di contenere la spesa pubblica, non possono che prodursi effetti
negativi sull’intera azione amministrativa. Dunque, il fine primario delle manovre in
materia di enti locali e gestioni associate è unico: ridurre la spesa. Il resto è secondario!
26. “L'esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni è obbligatorio per l'ente
titolare”. Una disposizione quasi pleonastica, che ribadisce un ovvio principio: il
Comune deve esercitare le “funzioni fondamentali”. Quali sono le “funzioni
fondamentali”?
27. “Ai fini dei commi da 25 a 31 e fino alla data di entrata in vigore della legge con cui
sono individuate le funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera
p), della Costituzione, sono considerate funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui
all'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42”. Ecco la risposta. Nell’attesa
di un riordino costituzionale, le “funzioni fondamentali” sono quelle indicate al
comma 3°, dell’articolo 21 della legge n. 42/2009 e, cioè:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura
complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio
disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) funzioni di polizia locale;
c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di
assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;
d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il
servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il
servizio idrico integrato;
f) funzioni del settore sociale.
28. “Le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall'articolo 21, comma 3, della citata
legge n. 42 del 2009, sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso
convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a
5.000 abitanti, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o
di più isole" ed il comune di Campione d’Italia. Tali funzioni sono obbligatoriamente
esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni,
appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge
regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti”. La disposizione introduce le modalità
di estrinsecazione della gestione associata delle funzioni e, precisamente:
a) I Comuni, con popolazione superiore a 1.000 e fino a 5.000 abitanti (esclusi i comuni
il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole" ed il comune di
Campione d’Italia) devono esercitare le predette funzioni fondamentali in forma
22
associata, attraverso i modelli della Convenzione o dell’Unione di Comuni.
b) I Comuni, appartenenti o già appartenuti a Comunità Montane, con
popolazione stabilita dalla legge regionale e, comunque, inferiore a 3.000 abitanti
soggiacciono alla medesima disciplina sub “a”.
29. “I comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in
forma associata. La medesima funzione non può essere svolta da più di una forma
associativa”. La disposizione introduce un chiaro vincolo, diretto a realizzare, oltre che
ad evitare duplicazioni, la gestione associata quale unica forma di esercizio delle
funzioni. In altri termini:
a) I Comuni non possono esercitare, in modo singolo, le “funzioni fondamentali”
svolte in forma associata;
b) La medesima funzione fondamentale non può essere svolta da più di una forma
associativa, Convenzione od Unione di Comuni che sia.
30. “La regione, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della
Costituzione, individua con propria legge, previa concertazione con i comuni interessati
nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e
omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata
da parte dei comuni con dimensione territoriale inferiore a quella ottimale, delle
funzioni fondamentali di cui all'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42,
secondo i principi di economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, fermo restando
quanto stabilito dal comma 28 del presente articolo. Nell'ambito della normativa regionale
i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il
termine indicato dalla stessa normativa. I comuni capoluogo di provincia e i comuni con un
numero di abitanti superiore a 100.000 non sono obbligati all'esercizio delle funzioni in
forma associata”. La disposizione disciplina l’intervento della Regione ed il “dialogo
collaborativo”, che deve sussistere in materia fra Regioni e Comuni, nel seguente modo:
a) La Regione, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della
Costituzione, individua con propria legge, previa concertazione con i Comuni
interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale
ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma
obbligatoriamente associata da parte dei Comuni con dimensione territoriale inferiore
a quella ottimale, delle funzioni fondamentali, secondo i principi di economicità, di
efficienza e di riduzione delle spese, nel rispetto dei criteri dimensionali di cui al
precedente comma 28°.
31. ”Il limite demografico minimo che l’insieme dei comuni che sono tenuti ad esercitare
le funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere è fissato in 10.000 abitanti,
salvo diverso limite demografico individuato dalla regione entro due mesi dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138. I
comuni assicurano comunque il completamento dell’attuazione delle disposizioni di cui ai
commi da 26 a 30 del presente articolo:
a) entro il 31 dicembre 2011 con riguardo ad almeno due delle funzioni fondamentali loro
spettanti, da essi individuate tra quelle di cui all’articolo 21, comma 3, della legge 5
maggio 2009, n. 42;
23
b) entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali loro
spettanti ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della citata legge n. 42 del 2009”.
Si tratta di una disposizione, che introduce ulteriori precisazioni temporali alle modalità
di gestione delle funzioni in forma associata e, precisamente:
• I Comuni devono garantire, nell’esercizio delle funzioni fondamentali in
forma associata, un limite demografico minimo, pari ad almeno 10.000 abitanti. In altri
termini, tale soglia deve essere raggiunta, quale soglia minima, con la Convenzione o
con l’Unione di Comuni.
• Tuttavia, è possibile un diverso limite, che le Regioni possono individuare entro
due mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 148/2011, di
conversione del decreto legge n. 138/2011 (17 novembre 2011).
• Ad ogni modo, i Comuni devono garantire la gestione associata (cioè il rispetto
della disciplina sin qui esaminata) nel seguente modo:
- entro il 31 dicembre 2011, con riguardo ad almeno due funzioni fondamentali;
- entro il 31 dicembre 2012 con riguardo a tutte le sei funzioni fondamentali loro
spettanti.
3. La peculiare disciplina dei Comuni fino a 1.000 abitanti del 2011
1. La “manovra di agosto” (decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14
settembre 2011, n. 148) introduce una specifica disciplina per i Comuni di piccole
dimensioni, contenuta nell’articolo 16, che prescrive quanto segue:
a) A partire dalle prime elezioni amministrative successive alla data del 13 agosto
201240, i Comuni, con popolazione fino a 1.000 abitanti, esercitano obbligatoriamente in
forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti
sulla base della legislazione vigente (comma 1°).
b) La gestione associata deve aver luogo attraverso l’istituzione di un’unione di
comuni (art. 32 TUEL) (comma 1°).
c) Le finalità che presiedono la nuova disciplina sono le seguenti: assicurare il
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l’ottimale coordinamento della
finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali ed il migliore
svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici (comma 1°).
d) Tali disposizioni, contenute nel comma 1° (lettere “a”, “b” e “c”), non si applicano
ai Comuni, il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole,
nonché al comune di Campione d’Italia (comma 1°).
e) A ciascuna Unione hanno facoltà di aderire anche Comuni con popolazione superiore
a 1.000 abitanti, al fine dell’esercizio in forma associata di tutte le funzioni fondamentali
loro spettanti sulla base della legislazione vigente e dei servizi ad esse inerenti, anche
al fine di dare attuazione alle disposizioni prima illustrate (articolo 14, commi 28, 29, 30
e 31, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 122 del 2010 (comma 2°).
24
f) Tali Comuni (i “facoltizzati”), in alternativa, hanno la facoltà di esercitare mediante
tale unione tutte le funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della
legislazione vigente (comma 2°).
g) Alle Unioni di Comuni, costituite dai soli Comuni con popolazione fino a 1.000
abitanti, si applica una disciplina specifica, organizzativa e funzionale, che in parte
deroga alla disciplina ordinaria delle Unioni (art. 32, commi 2°, 3°, 5° secondo periodo
TUEL) (comma 3°).
h) All’unione sono affidate, per conto dei Comuni che ne sono membri, la
programmazione economico-finanziaria e la gestione contabile (II^ parte del TUEL), con
riferimento alle funzioni da essi esercitate per mezzo dell’unione (comma 4°).
i) I Comuni, che sono membri dell’unione, concorrono alla predisposizione del bilancio
di previsione dell’unione per l’anno successivo, mediante la deliberazione, da parte del
consiglio comunale, da adottare annualmente, entro il 30 novembre, di un documento
programmatico, nell’ambito del piano generale di indirizzo deliberato dall’unione entro
il precedente 15 ottobre. La concreta disciplina di tali competenze e dei connessi
provvedimenti è rinviata ad un futuro regolamento governativo (comma 4°).
j) L’unione succede, a tutti gli effetti, nei rapporti giuridici in essere, alla data del 13
agosto 2012, che siano inerenti alle funzioni ed ai servizi ad essa affidati ai sensi dei
commi 1, 2 e 4, ferme restando le disposizioni dell’articolo 111 del codice di procedura
civile (Successione a titolo particolare nel diritto controverso) (comma 5°).
k) Alle unioni, costituite dai Comuni fino a 1.000 abitanti, sono trasferite tutte le risorse
umane e strumentali relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati ai sensi dei commi 1,
2 e 4, nonché i relativi rapporti finanziari risultanti dal bilancio. A decorrere dall’anno
2014, tali Unioni sono soggette alla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti
locali prevista per i comuni aventi corrispondente popolazione (comma 5°)
l) Le unioni, costituite dai Comuni fino a 1.000 abitanti, sono istituite in modo che la
complessiva popolazione residente nei rispettivi territori43 sia di norma superiore a
5.000 abitanti, ovvero a 3.000 abitanti qualora i Comuni, che intendono comporre una
medesima unione appartengano o siano appartenuti a comunità montane (comma 6°).
m) Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto legge (17 novembre 2011), ciascuna Regione ha facoltà di individuare diversi
limiti demografici (comma 6°).
n) Le Unioni di comuni, che risultino costituite alla data del 13 agosto 2012, e di cui
facciano parte uno o più comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, entro i successivi
quattro mesi adeguano i rispettivi ordinamenti alla disciplina delle unioni, prevista
dall’articolo 16 (comma 7°).
o) I Comuni appartenenti a forme associative (convenzioni e consorzi) cessano di diritto
di farne parte alla data in cui diventano membri di un’unione obbligatoria (comma 7°).
p) Entro il termine perentorio del 17 marzo 2012, i Comuni fino a 1.000 abitanti, con
deliberazione del consiglio comunale, da adottare, a maggioranza dei componenti,
avanzano alla Regione una proposta di aggregazione, di identico contenuto, per
l’istituzione della rispettiva unione. Nel termine perentorio del 31 dicembre 2012, la
Regione provvede, secondo il proprio ordinamento, a sancire l’istituzione di tutte le
25
unioni del proprio territorio come determinate nelle proposte. La Regione provvede
anche qualora la proposta di aggregazione manchi o non sia conforme alle disposizioni
dell’articolo 16 (comma 8°).
q) A decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del
comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per primo interessato al rinnovo,
nei Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti che siano parti della stessa unione,
nonché in quelli con popolazione superiore che esercitino mediante tale unione tutte le
proprie funzioni, gli organi di governo sono il sindaco ed il consiglio comunale, e le
giunte in carica decadono di diritto. Ai consigli dei comuni, che sono membri di tale
unione, competono esclusivamente poteri di indirizzo nei confronti del consiglio
dell’unione, ferme restando le funzioni normative che ad essi spettino in riferimento alle
attribuzioni non esercitate mediante l’unione (comma 9°).
r) Gli organi dell’unione, costituita dai Comuni fino a 1.000 abitanti, sono il consiglio, il
presidente e la giunta (comma 10°).
s) Il Consiglio dell’unione è composto da tutti i sindaci dei comuni, che sono membri
dell’unione, nonché, in prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di
essi. I consiglieri sono eletti, non oltre venti giorni dopo la data di istituzione dell’unione
ai sensi del comma 9, in tutti i comuni che sono membri dell’unione dai rispettivi
consigli comunali, con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni. Fino
all’elezione del presidente dell’unione ai sensi del comma 12, primo periodo, il sindaco
del comune avente il maggior numero di abitanti tra quelli che sono membri dell’unione
esercita tutte le funzioni di competenza dell’unione medesima (comma 11°).
t) La legge dello Stato può stabilire che le successive elezioni avvengano a suffragio
universale e diretto contestualmente alle elezioni per il rinnovo degli organi di governo
di ciascuno dei comuni appartenenti alle unioni. La legge dello Stato disciplina
conseguentemente il sistema di elezione; l’indizione delle elezioni avviene ai sensi
dell’articolo 3 della legge 7 giugno 1991, n. 182, e successive modificazioni. Al consiglio
spettano le competenze attribuite dal citato testo unico di cui al decreto legislativo n.
267 del 2000 al consiglio comunale, fermo restando quanto previsto dai commi 4 e 9
dell’articolo 16 (comma 11°).
u) Entro trenta giorni dalla data di istituzione del’unione, il consiglio è convocato di
diritto ed elegge il presidente dell’unione tra i propri componenti. Al presidente, che
dura in carica due anni e mezzo ed è rinnovabile, spettano le competenze attribuite al
sindaco dall’articolo 50 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000,
ferme restando in capo ai sindaci di ciascuno dei comuni che sono membri dell’unione
le attribuzioni di cui all’articolo 54 del medesimo testo unico (comma 12°).
v) La Giunta dell’unione è composta dal presidente, che la presiede, e dagli assessori,
nominati dal medesimo fra i sindaci componenti il consiglio in numero non superiore a
quello previsto per i comuni aventi corrispondente popolazione. Alla giunta spettano le
competenze, di cui all’articolo 48 TUEL (comma 13°).
w) Lo Statuto dell’unione individua le modalità di funzionamento dei propri organi e ne
disciplina i rapporti. Il consiglio adotta lo statuto dell’unione, con deliberazione a
maggioranza assoluta dei propri componenti, entro venti giorni dalla data di istituzione
dell’unione (comma 14°).
26
x) Ai consiglieri, al presidente ed agli assessori dell’unione si applicano le disposizioni
di cui agli 82 ed 86 del TUEL ed ai relativi atti di attuazione, in riferimento al trattamento
spettante, rispettivamente, ai consiglieri, al sindaco ed agli assessori dei comuni aventi
corrispondente popolazione. Agli amministratori dell’unione che risultino percepire
emolumenti di ogni genere in qualità di amministratori locali ai sensi dell’articolo 77,
comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, fino al
momento dell’esercizio dell’opzione, non spetta alcun trattamento per la carica
sopraggiunta (comma 15°).
y) L’obbligo, per i Comuni fino a 1.000 abitanti di istituire le Unioni, non trova
applicazione nei riguardi dei Comuni che, alla data del 30 settembre 2012, risultino
esercitare tutte le funzioni amministrative e i servizi pubblici mediante convenzione
(comma 16°) .
z) A decorrere dal primo rinnovo di ciascun consiglio comunale, successivo alla data di
entrata in vigore della legge di conversione (comma 17°):
a) per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, il consiglio comunale è
composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri (prima: Sindaco + 9
consiglieri);
b) per i comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 3.000 abitanti, il consiglio
comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sei consiglieri ed il numero
massimo degli assessori è stabilito in due (prima: Sindaco + 9 consiglieri, con
giunta di tre);
c) per i comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 5.000 abitanti, il consiglio
comunale è composto, oltre che dal sindaco, da sette consiglieri ed il numero
massimo degli assessori è stabilito in tre (prima: Sindaco + 12 consiglieri, con
giunta di quattro);
d) per i comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 10.000 abitanti, il
consiglio comunale è composto, oltre che dal sindaco, da dieci consiglieri ed il
numero massimo degli assessori è stabilito in quattro (prima: Sindaco + 12
consiglieri, con giunta di quattro).
A decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di governo del
comune che, successivamente al 13 agosto 2012, ai consiglieri dei comuni con
popolazione fino a 1.000 abitanti non sono applicabili le disposizioni di cui all’articolo 82
TUEL (indennità). Non sono inoltre applicabili le disposizioni di cui all’articolo 80 TUEL
(permessi retribuiti, ad esclusione delle assenze dal servizio “per il tempo strettamente
necessario per la partecipazione ai Consigli” (comma 18°). Oltre tali interventi,
riguardanti primariamente i Comuni di piccole dimensioni (Comuni fino a 1.000 abitanti
e fino a 5.000 abitanti), vi sono altre disposizioni, che possono essere così riassunte:
a) Nei Comuni fino a 15.000 abitanti, i consigli comunali devono tenersi
preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l’orario di lavoro dei
partecipanti (comma 19°).
b) Nei Comuni fino a 15.000 abitanti, le giunte comunali devono tenersi
preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l’orario di lavoro dei
partecipanti (comma 20°) (comma 20°).
27
c) Vengono ridotti i permessi di assenza dal servizio per tutti i consiglieri comunali,
per la partecipazione alle sedute, per il tempo strettamente necessario per la
partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento
del luogo di suo svolgimento (comma 21°).
d) Nuova disciplina per la nomina dell’organo di revisione (comma 25°):
A decorrere dal primo rinnovo dell’organo di revisione successivo alla data di entrata in
vigore del presente decreto, i revisori dei conti degli enti locali sono scelti mediante
estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a
livello regionale, nel Registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio
2010, n. 39, nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Con decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti criteri per
l’inserimento degli interessati nell’elenco di cui al primo periodo, nel rispetto dei seguenti
principi:
a) rapporto proporzionale tra anzianità di iscrizione negli albi e registri di cui al
presente comma e popolazione di ciascun comune;
b) previsione della necessità, ai fini dell’iscrizione nell’elenco di cui al presente
comma, di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell’organo
di revisione degli enti locali;
c) possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica
e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali.
Non vi è dubbio che la nuova disposizione introduce un nuovo sistema di individuazione
del Revisore dei conti. In luogo dell’elezione, da parte del Consiglio comunale, come
tuttora dispone l’articolo 234 del D.Lgs n. 267/2000, viene previsto l’innovativo sistema di
individuazione, costituito dall’estrazione da un elenco regionale. Invero, il punto decisivo
della nuova normativa è rappresentato dal rinvio, che la disposizione medesima compie,
ad un futuro decreto applicativo, che dovrà delineare le "modalità di attuazione" della
norma medesima, cioè le concrete modalità di svolgimento del nuovo sistema di estrazione
dall’elenco. Ora, appare ben plausibile la tesi, secondo la quale il nuovo sistema non può
“funzionare”, cioè non può essere in alcun modo operativo, se manca il decreto
applicativo. A questo punto, nell’imminenza della scadenza e nell’impossibilità di utilizzare
il nuovo sistema (a causa dell’assenza del decreto applicativo), a fronte della necessità di
dover, comunque, individuare il Revisore, l’unica soluzione appare essere la seguente:
• eleggere o rieleggere, secondo l’attuale sistema (ancora in vigore, in quanto la
disciplina del D.Lgs n. 267/2000 non è stata né abrogata né modificata) il Revisore,
con l’espressa clausola (che dovrà essere condivisa anche dal Revisore prescelto)
che l’elezione sarà da intendersi automaticamente decaduta al momento dell’entrata
in efficacia dell’atteso decreto. Fra l’altro, tale soluzione appare confortata dal fatto
che la possibile prorogatio per legge può durare solo 45 giorni (ai sensi dell'articolo
3, comma 1°, del Decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293, convertito con modificazioni
nella legge 15 luglio 1994, n. 444 – Disciplina della proroga degli organi
amministrativi). Infatti, decorso tale termine, potrebbe ancora non essere
sopravvenuto il decreto applicativo, per cui il problema non sarebbe affatto risolto.
28
e) Nuove modalità di rendicontazione delle spese di rappresentanza degli amministratori,
da inviare alla Corte dei conti (comma 26°).
f) Anticipo al 31 dicembre 2012 per la cessione delle partecipate comunali dei Comuni fino
a 30.000 abitanti (comma 27°).
g) Attribuzione ai Prefetti delle competenze in materia di accertamento degli obblighi di
“riduzione delle spese” a carico degli Enti Locali (comma 28°).
h) Le disposizioni dell’intero articolo 16 si applicano ai comuni appartenenti alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto degli statuti
delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto
previsto dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (comma 29°).
i) Dall’applicazione di ciascuna delle disposizioni dell’articolo 16 non devono derivare
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Si ribadisce il cardine
dell’invarianza della spesa (comma 30°).
j) A decorrere dall’anno 2013, le disposizioni vigenti in materia di patto di stabilità interno
per i Comuni trovano applicazione nei riguardi di tutti i Comuni con popolazione superiore
a 1.000 abitanti (comma 31°).
4 le Forme associative: la Convenzione
Mentre per l’Unione dei Comuni non vi sono alcune novità, in quanto quale strumento
associativo essa presenta esperienze ormai consolidate, la Convenzione, da
Cenerentola delle forme associative è diventata per le motivazioni sopra esposte la più
indicata per il nuovo assetto funzionale delle funzioni amministrative.
1. L'esercizio associato, può essere attivato mediante la stipula di apposita convenzione,
prevista dall’articolo 30 del TUEL, con la quale sono costituiti uffici comuni o è
individuato l’ente delegato ad esercitare la funzione.
2. La convenzione indica:
a) la funzione oggetto dell’esercizio associato;
- la durata dell’esercizio associato;
- l’ente che assume la responsabilità dell’esercizio associato, presso il quale, a
seguito della costituzione dell’ufficio comune o per effetto della delega, è
operante la struttura amministrativa competente all’esercizio della funzione;
b) i criteri per la definizione dei rapporti finanziari tra gli enti, in particolare per la
partecipazione alle spese derivanti a qualsiasi titolo dall’esercizio associato;
c) la costituzione e le norme di funzionamento di un organo comune, composto dai
sindaci o presidenti di provincia, o loro delegati, che assume il compito di
esprimere l’indirizzo politico, il coordinamento dell’organizzazione e dello
svolgimento dell’esercizio associato, e la definizione dei rapporti finanziari tra gli
enti;
d) le modalità per il recesso dal vincolo associativo da parte del singolo ente; le
modalità semplificate nel caso in cui il recesso sia motivato da esercizio della
funzione mediante unione di comuni;
29
e) le modalità per lo scioglimento consensuale del vincolo associativo da parte degli
enti partecipanti; gli effetti derivanti dal recesso e dallo scioglimento, i comuni o le
province associati che, rispettivamente, succedono nei rapporti attivi e passivi e nel
contenzioso insorto, i comuni o le province associati tenuti alla conclusione dei
procedimenti amministrativi in corso e la disciplina da applicare per garantire la
continuità amministrativa;
f) le norme regolamentari applicabili, anche mediante rinvio a regolamenti approvati
o da approvarsi da parte dell’ente responsabile dell’esercizio associato, per lo
svolgimento dell’esercizio medesimo.
3 Se la convenzione non specifica i procedimenti, i servizi e le attività che rientrano
nell'esercizio associato della funzione, l'esercizio medesimo è costituito dall'insieme
dei procedimenti, dei servizi e delle attività ad essa inerenti secondo l'ordinamento
vigente.
4. Per quanto non previsto dalla convenzione ai sensi del paragrafo 1.2, lettera f), l’ente
che assume la responsabilità dell’esercizio associato approva la disciplina
regolamentare per lo svolgimento della funzione.
5. La convenzione può prevedere la partecipazione degli enti alle spese a qualunque
titolo derivanti da contenzioso, che sono sostenute dall’ente responsabile dell’esercizio
associato.
6. Le norme della convenzione integrano, quale disciplina specifica che si applica per
l'esercizio associato, le norme regolamentari dei singoli enti.
7. In mancanza o carenza di disciplina della convenzione sugli effetti del recesso, l’ente
recedente resta obbligato per le obbligazioni assunte e per le spese deliberate prima
del recesso.
8. Se la convenzione non ha disciplinato le modalità di scioglimento, prima della
scadenza del termine di durata, del vincolo associativo, questo cessa di avere effetto a
seguito della stipula di una specifica convenzione di scioglimento, con la quale sono
individuati gli enti che sono tenuti alla conclusione dei procedimenti in corso e gli enti
che succedono nei rapporti attivi e passivi, e sono stabiliti gli altri effetti, anche
patrimoniali e finanziari, dello scioglimento.
9. In mancanza o carenza di disciplina della convenzione sugli effetti dello scioglimento
consensuale del vincolo associativo, gli enti locali che avevano sottoscritto la
convenzione succedono ad ogni effetto nei rapporti giuridici instaurati a seguito
dell’esercizio associato, secondo i principi della solidarietà attiva e passiva.
10. Salvo diversa disciplina prevista dalla convenzione, se un comune esercita una
funzione mediante convenzione con una unione di cui non fa parte, e successivamente
intende esercitare la stessa funzione partecipando ad un'altra unione:
a) il recesso dal vincolo associativo precedente relativo alla funzione opera dalla data
che lo statuto di detta unione prevede per l'avvio dell'esercizio associato;
b) l’ente recedente è tenuto a comunicare ai soggetti sottoscrittori della convenzione
l'atto di approvazione dello statuto;
30
c) l'ente recedente resta comunque obbligato per le obbligazioni assunte e per le
spese deliberate prima del recesso dal vincolo associativo.
4.1. Convenzione di costituzione di ufficio comune
1.Con la convenzione di cui sopra gli enti locali possono costituire un ufficio comune,
che opera per l’esercizio delle funzioni oggetto della convenzione medesima, in luogo
dei singoli uffici già competenti in via ordinaria.
2.La convenzione individua l’ente presso il quale l’ufficio comune è costituito.
3.L’u.c. opera come struttura di ogni singolo ente, al quale sono imputati ad ogni effetto i
relativi atti.
4.La convenzione può altresì prevedere che l’ufficio possa gestire procedimenti unici
che riguardano una pluralità di enti associati; in questo caso, l’ufficio agisce
contemporaneamente in qualità di struttura degli enti associati per i quali opera e gli
effetti degli atti sono imputati a tutti gli enti associati.
5.La convenzione deve stabilire se il responsabile dell’ufficio adotta gli atti di gestione
finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa, sul bilancio di ogni singolo
ente ovvero sul bilancio dell’ente presso cui l’ufficio è costituito. In mancanza, il
responsabile dell'ufficio adotta gli atti di gestione finanziaria esclusivamente sul bilancio
dell'ente presso cui l'ufficio opera.
6.La convenzione detta le norme per l’organizzazione dell’ufficio comune. Per quanto
non previsto dalla convenzione, l’ufficio è considerato come struttura dell’ente presso
cui è costituto.
4.2 Convenzione di delega
1. Con la convenzione di cui sopra gli enti locali possono delegare l’esercizio di funzioni
ad uno degli enti partecipanti all’accordo, che opera in luogo e per conto degli enti
deleganti.
2. La delega non può essere limitata allo svolgimento di attività istruttorie, e deve
comportare l’adozione dei provvedimenti amministrativi attinenti l’esercizio della
funzione, compresi gli atti di gestione. Gli atti adottati nell'esercizio della delega sono
imputati ad ogni effetto all'ente delegato.
3. La convenzione non può contenere disposizioni che limitano l’autonomia
organizzativa dell’ente delegato nell’esercizio delle funzioni oggetto della delega.
4. Le modifiche successive, Il D.L. n. 216/2011 Decreto Milleproroghe, convertito
nella Legge n. 14 del 2012, all’art. 29, comma 11, che tratta la proroga di termini
prevedeva testualmente: che “ I termini indicati dal comma 31, lettere a) e b),
dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e sue successive modificazioni, sono prorogati di 9
mesi, così come sono stati prorogati di nove mesi anche i termini di cui ai commi da 1 a
16 dell’art. 16 del DL n. 138/2011 (legge n. 148/2011) riferiti ai Comuni con popolazione
fino a 1.000 abitanti, per assicurare un passaggio più graduale e “morbido” dall’attuale
sistema a quella associata, evitando squilibri dannosi al sistema delle autonomie locali.
31
Parte IV
La pluralità dei modelli di unioni
1. La sequenza dei diversi modelli di Unione di Comuni
L‟accelerazione riformatrice impressa al sistema delle autonomie locali dalla gravissima
e inedita emergenza economica e finanziaria ha generato un modello di associazione fra
piccoli comuni nuovo, variegato, incerto nella configurazione giuridica e funzionale,
oltreché dubbio nelle potenzialità applicative.
Si tratta di un modello che si differenzia da quelli avvicendatisi con esiti alterni nei
decenni trascorsi. Esso si presenta come l’ultima generazione di un sistema associativo
pur sempre essenziale e irrinunciabile, del quale, tuttavia, non risultano chiari i
caratteri giuridici, i profili di governance, i presupposti di fattibilità e le condizioni
di effettività. Esemplificativa è la vicenda delle Unioni di comuni. Essa è caratterizzata
da una sequenza di modifiche disciplinari realizzate con cadenza periodica, in modo
sperimentale, spesso contraddittoria, risoltasi in una sovrapposizione di modelli che
risultano discordanti e configgenti.
Primo modello Il primo modello, introdotto nell‟ordinamento repubblicano dall‟art. 26
della legge n. 142 del 1990 (“Ordinamento delle autonomie locali”), è rimasto privo di
sostanziale seguito; basti pensare che un decennio dopo l‟approvazione della legge
sono stati segnalati più comuni di quelli registrati alla vigilia, vale a dire 8.103 rispetto
agli 8.088 iniziali. Esso muoveva dall‟esigenza di far fronte al fenomeno dei c.d.
comuni polvere, al fine di contrastare la relativa frammentazione territoriale e di
favorire l‟aggregazione e la riorganizzazione comunale. L‟Unione di comuni, in tal
senso, si configurava in modo strumentale, quale nuovo e temporaneo ente locale
istituito in vista della necessaria “fusione” fra i comuni coinvolti, da realizzarsi nei
successivi dieci anni; per il resto, rimaneva secondaria la finalità contingente indicata
dalla legge, riguardante “l‟esercizio di una pluralità di funzioni o servizi” (art. 26,
comma 1).
Il modello associativo, in tal senso, appariva quale ente intermedio,
teleologicamente destinato a mutarsi in un nuovo e più vasto comune all‟esito di
un processo coattivo di razionalizzazione funzionale per accorpamento delle realtà
interessate. Proprio la coattiva transitorietà della formula, tuttavia, si è dimostrata
ostativa alla relativa applicazione e diffusione. Essa ha ingenerato nelle popolazioni
locali il timore della perdita della propria identità simbolica (tradizioni, ricorrenze,
particolarismi a forte connotazione identitaria), mal disponendo le comunità interessate
a essere coartate nella realizzazione di un disegno istituzionale suscettibile di
stemperare i più minuti elementi di connotazione popolare . Del
resto, è proprio dell’ autonomia comunale nutrirsi “della storia e del
senso di autoidentificazione delle comunità, grandi e piccole, sul quale è destinato ad
infrangersi ogni disegno «razionalizzatore» astratto”.
Secondo modello Tale modello, originariamente introdotto dall’art. 6, comma 5, della
legge 265 del 1999 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali,
32
nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142)
e poi ripreso dall‟art. 32 del
decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali), ha riscontrato un più diffuso favore in ragione della differente impostazione
sottesa. Le esigenze e gli interessi delle realtà locali non hanno più rappresentato un
disvalore, quasi a costituire il retaggio di un‟organizzazione territoriale superata,
insostenibile e da modernizzare per mezzo di una radicale razionalizzazione
funzionale per soppressione ; al contrario, sono stati valutati positivamente, quali
condizioni per mantenere e incrementare quel surplus storico, artistico e culturale che
proviene al Paese dalle minori identità locali. Ne è derivato un modello promozionale
volto a favorire la libera associazione fra i comuni, al fine di tutelare i contenuti della
cittadinanza e la garanzia dei diritti fondamentali dei relativi abitanti . Alle piccole realtà
locali è stato così riconosciuto di poter salvaguardare la propria identità,
avvalendosi dei vantaggi finanziari derivanti sia dagli incentivi statali e regionali a
disposizione, sia dal concreto esercizio collegiale delle funzioni eventualmente
coinvolte.
Svanito il timore dell‟effetto dissolutivo disposto dal precedente modello, i comuni
sono stati indotti ad aggregarsi nel nuovo ente locale. Determinante al riguardo è stato il
più agile razionalismo gestionale dimostrato dal nuovo modello, da realizzarsi
per mezzo della semplice finalizzazione congiunta delle risorse finanziarie e
professionali . La flessibilità di disciplina consentita dal testo legislativo ha poi fatto il
resto, contribuendo ad arricchire il modello associativo d‟impronta statale sulla base
delle singole integrazioni locali e delle necessità variamente emerse. L‟Unione di
comuni, per tale via, si è configurata non solo quale
ente a vocazione plurifunzionale, secondo quanto già previsto dallo stesso art. 32
Tuel, ma anche quale “proiezione dell‟autonomia comunale”, dimostrando così una
natura sostanzialmente assimilabile a quella esponenziale dei comuni e partecipe
dello stesso carattere autonomo. Considerazione, questa, che attesta ulteriormente
come la percorribilità del processo di fusione fra comuni sia realizzabile in via non già
necessitata e coattiva, bensì eventuale e all‟esito di un‟esperienza associativa capace di
trasfondere nell‟unione medesima i caratteri propri della natura esponenziale e
autonoma dei comuni partecipanti.
Terzo modello Il terzo modello, integrativo in senso funzionale del secondo, è
stato introdotto in via provvisoria dall’art. 14 del decreto legge n. 78 del 2010 e dalla
seguente legge di conversione n. 122 del 2010 (“Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”), in vista
dell‟approvazione legislativa della più dettagliata disciplina predisposta dalla Carta
delle autonomie locali. Nelle more, tuttavia, con un‟anticipazione sul previsto d.P.C.M.
di completamento, esso ha ricevuto un’ improvvisa e confusa accelerazione a seguito
delle due manovre finanziarie che si sono caoticamente sovrapposte nell’estate 2011
(L. n. 111 del 2011, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6
luglio 2011, n.98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, e L. n. 148
del 2011, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”). In
particolare, al fine di “assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il
contenimento delle spese per l‟esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni”, la
33
legge statale (art. 14, commi 25-31, L. n. 122/2010 e successive modifiche) ha
disposto l‟obbligo dei comuni con popolazione superiore a 1.000 e fino a 5.000 abitanti
di esercitare “in forma associata, attraverso convenzione o unione” le funzioni
fondamentali elencate in via transitoria dalla legge delega sul federalismo fiscale
(amministrazione generale, polizia municipale, istruzione, viabilità e trasporti, territorio
e ambiente, servizi sociali - art. 21, comma 3, L. n. 42 del 2009). La legge ha poi
assegnato alle Regioni e al Governo il compito di meglio determinare i modi e i tempi
dell’azione comunale associata. Alle Regioni, è derivato l‟obbligo d‟individuare in via
legislativa e nel rispetto dei principi di economicità, di efficienza e di riduzione delle
spese, “la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica” per lo
svolgimento associato delle funzioni fondamentali, indicando altresì il termine entro cui
avviare il tutto da parte dei Comuni interessati (art. 14, comma 30, L. n. 122/2010).
Al Governo, del pari, è derivato l‟obbligo di intervenire con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri, sia per fissare il termine entro cui assicurare il
completamento dell’attuazione delle disposizioni varate da parte dei Comuni, sia per
stabilire, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, “il
limite demografico minimo, che l‟insieme dei comuni che sono tenuti ad esercitare le
funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere”. Nelle more
dell’adozione del d.P.C.M., tuttavia, è intervenuto direttamente il legislatore
statale a disciplinare il tutto, modificando per ben due volte la disposizione interessata
(art. 14, comma 31, L. n. 122/2010). E così, il limite demografico minimo
dell’associazione dei comuni è stato fissato in “10.000 abitanti, salvo diverso limite
demografico individuato dalla regione entro due mesi dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138”; del pari, il
termine di completamento dell‟attuazione comunale è stato definito in via progressiva,
in modo da fare individuare ai comuni il primo anno (31 dicembre 2011) “almeno due
delle funzioni fondamentali loro spettanti” e in quello successivo (31.12.2012) le
restanti funzioni (L. n. 111/2011 e 148/2011, art. 16, comma 24).
Per tale via, di conseguenza, è ricaduto sui piccoli comuni, sulle province e sulle
regioni il peso di un‟implementazione ardua, in quanto subordinata alla composizione
di presupposti e di questioni difficilmente conciliabili. Detto modello, infatti, non
solo si discosta in peius dalle aspettative di riforma variamente prospettate, ma segna
altresì un regresso rispetto alla caratterizzazione giuridica, funzionale e culturale già
maturata dalle Unioni di comuni.
In particolare, considerate la frammentazione delle esperienze e la moltiplicazione dei
micromodelli verificatesi nel vigore del precedente impianto, i piccoli comuni avevano
ripetutamente rimarcato l‟esigenza di un “modello di ente unitario ed espressione
degli stessi comuni” ; un modello “flessibile nelle dimensioni e negli obiettivi in
relazione alle diverse esigenze territoriali, stabile, durevole, autorevole e di diretta
derivazione comunale nella struttura organizzativa”; tale, insomma, da mantenere
inalterata la connotazione di ente locale sovracomunale e la sua natura tendenzialmente
esponenziale, al fine di favorirne la capacità contrattuale e di rafforzarne l‟idoneità
alla gestione associata delle funzioni fondamentali per l‟erogazione di servizi ai
cittadini e per l‟esercizio di politiche per lo sviluppo e la coesione locale.
34
Per contro, la risposta legislativa è apparsa improntata a una prospettiva non certo di
consolidamento istituzionale. Essa ha introdotto un modello associativo debole
nei presupposti metodologici, nella natura giuridica, nell‟impianto di governance e
nelle conseguenti potenzialità di sviluppo.
E così, in definitiva, il passaggio legislativo dalla precedente disciplina di adesione
libera e incentivata dei comuni a un ente locale supercomunale, a quella di adesione
coattiva e necessitata a una più blanda forma associativa fra i medesimi comuni, segna
la cifra di una riforma tutta ancora da sperimentare anche sul piano dell’effettività.
Quarto modello Vi è poi l’ulteriore modello di Unione di comuni predisposto dalla
seconda manovra estiva del 2011 (art. 16, D.l. n. 138 del 2011) e poi ridefinito dalla
successiva legge di conversione (art. 16, L. n. 148 del 2011). Esso si configura in modo
inedito e dissonante rispetto alla modellistica a disposizione e alle relative ipotesi di
riforma. Sono molteplici, infatti, i profili di criticità variamente eccepiti in termini di
legittimità, di metodo e di merito ad opera sia dell’ANCI in sede politico-istituzionale,
sia di talune regioni in sede di controllo di costituzionalità .
La nuova normativa prevede che i comuni fino a 1.000 abitanti esercitino
obbligatoriamente in forma associata e per mezzo di un nuovo modello di Unione tutte
le funzioni amministrative, tanto fondamentali, quanto delegate e/o attribuite dalle
Regioni (comma 1). I piccoli comuni, di conseguenza, svuotati pressoché integralmente
di funzioni, strutture e risorse, conservano spazi di autonomia assai residui, se non
proprio simbolici, per il resto configurandosi come vuoti involucri e mere
circoscrizioni elettorali da aggregare al nuovo ente.
Per un verso, è disposto che le funzioni di programmazione economico-finanziaria
e la gestione contabile siano di competenza dell’Unione (comma 4). A favore di
quest’ultima è poi sancita la successione in tutti i rapporti giuridici pendenti in capo
ai Comuni, nonché il trasferimento sia di tutte le risorse umane e strumentali relative
alle funzioni e ai servizi loro affidati, sia dei relativi rapporti finanziari risultanti dal
bilancio; è altresì disposto che a decorrere dall‟anno 2014 le nuove Unioni siano
soggette alla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali prevista per i
comuni aventi corrispondente popolazione (comma 5). Per altro verso, del pari, sono
individuati puntualmente gli organi e il funzionamento del nuovo ente: quanto ai
primi, è stabilito che l‟Unione è dotata di un Consiglio composto dai Sindaci e da un
certo numero di Consiglieri dei Comuni membri, i quali eleggono il Presidente
che, a sua volta, nomina la Giunta; quanto al secondo, sono minutamente
disciplinati composizione, funzioni, durata in carica ed emolumenti degli stessi
organi, prevedendosi altresì che “la legge dello Stato può stabilire che le
successive elezioni avvengano a suffragio universale e diretto” (commi 10-15).
La sostanziale opera di fusione dei piccoli comuni nel nuovo modello di Unione
presenta molteplici profili di criticità variamente rilevati.
Sul piano della legittimità costituzionale è stata lamentata l‟incompatibilità con i
principi coinvolti. La nuova disciplina, infatti, trasferendo integralmente tutte le funzioni
comunali all‟organismo associativo, anzitutto è parsa configurare un surrettizio
accorpamento dei piccoli comuni, con un conseguente aggiramento della relativa
competenza regionale (art. 133, comma 2, Cost.). In secondo luogo, istituendo una nuova
35
forma associativa titolare della gestione di ogni funzione e servizio comunali, è parsa
lesiva della pari dignità istituzionale tra gli enti territoriali (art. 114, Cost.), operando una
differenziazione generale e onnicomprensiva dei comuni all‟interno dell‟unica relativa
categoria. Il tutto, sulla scorta di una disciplina legislativa giudicata altresì lesiva della
competenza regionale in tema sia di forme associative dei comuni (ai sensi
dell‟orientamento giurisprudenziale in tema di comunità montane), sia di allocazione
delle funzioni diverse da quelle fondamentali (art. 117, commi 3 e 4, Cost.). Le censure
hanno anche riguardato talune misure strumentali contestualmente introdotte dal
legislatore nazionale: da un lato, la riserva al Ministero dell‟Interno del potere di valutare
l‟adeguatezza delle diverse forme di cooperazione al fine di esonerare i piccoli comuni
dalla partecipazione alle unioni speciali; dall‟altro, il potere di supervisione attribuito ai
prefetti in relazione al conseguimento di vari obiettivi di semplificazione e riduzione delle
spese imposti agli enti locali da leggi statali previgenti .
Sul piano del metodo, parimenti, è stata contestata la scelta del ricorso alla decretazione
d‟urgenza per la definizione di un problema complesso e certamente non risolvibile
in modo sbrigativo e per via traversa, qual è quello del riassetto delle
autonomie locali. Di conseguenza, anche ai fini dell‟eccepita illegittimità
costituzionale, è stato stigmatizzato un approccio riformatore realizzato “con strumenti
impropri e improvvisati nella fretta, paralizzando, oltretutto, il lavoro di elaborazione
condivisa che da tempo si stava sviluppando nelle sedi istituzionali disponibili”.
L‟andazzo, del resto, è ormai quello di considerare i “decreti legge poco più di
«prove d'autore», tanto poi ci pensano il Parlamento e le lobby più svariate a
correggere gli errori più madornali. [Anche se], com‟è accaduto anche in questo
caso, molte novità che andavano a intaccare posizioni di rendita e di privilegio sono
state soppresse o annacquate cedendo alle pressioni di parte” .
Sul piano del merito, in egual modo, è stata variamente criticata la normativa in
esame per l‟estemporaneità e l‟irrazionalità dimostrate. I dissensi non hanno
riguardato solamente le preoccupazioni sul futuro dei piccoli comuni, resi destinatari
di un modello associativo di difficile congruenza e attuazione, oltreché
costituzionalmente improbabile; più ancora, hanno interessato le gravi conseguenze
derivanti da un tale impianto sulla vita delle comunità locali, specialmente con
riferimento alla prevista sottoposizione dei medesimi comuni alla disciplina del patto di
stabilità, tale da far temere il blocco totale degli investimenti e l‟ingestibilità dei
bilanci. Per non dire delle gravi implicazioni ravvisate ai danni delle capacità di
azione amministrativa, di presidio territoriale e di tenuta economica e sociale, proprie
delle piccole comunità locali . Il tutto, per giunta, nella prospettiva di un risparmio
economico e finanziario tutt‟altro che realistico, solo a considerare che, se i relativi
risparmi non sono quantificabili ex ante, nemmeno sono prevedibili gli oneri
derivanti dalla realizzazione della nuova istituzione; tanto più che il relativo
personale amministrativo è inevitabilmente destinato ad aumentare per le maggiori
necessità coinvolte, accentuate dalla possibile distanza fra gli enti non necessariamente
“contermini” .
Sul piano politico-legislativo, infine, è da ravvisare un ulteriore elemento di
criticità, derivante dalla proposizione regionale dei ricorsi di costituzionalità su
sollecitazione dell’ANCI. Se obiettivo dichiarato dei piccoli comuni italiani è sempre
stato quello di contrastare nelle sedi istituzionali disponibili la proliferazione regionale
36
dei micromodelli associativi, l‟intervento riformatore improvvidamente compiuto dal
Governo nell’estate 2011 rischia ora di vanificarne la realizzazione. La prospettiva
regionale, infatti, in quanto finalizzata all‟espresso riconoscimento di una propria
esclusiva competenza in materia di forme associative comunali, difficilmente risulta
conciliabile con quella dei piccoli comuni, invece volta alla realizzazione di un modello
unitario per tutto il territorio nazionale. Con la paradossale conseguenza che la
perseguita illegittimità della disciplina delle Unioni di comuni potrebbe risolversi nella
sostanziale legittimazione della frammentazione regionale delle esperienze associative
locali.
di comuni (art. 4, comma 5, L. n. 131 del 2003) . Il tutto, ferma restando la facoltà
delle Regioni d‟intervenire nell’esercizio della propria competenza.
Quinto modello Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 – Salvaitalia- convertito con
legge 22 dicembre 2011, n. 214 , all’art.23 “Riduzione dei costi di funzionamento di
Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province” in
relazione alle Province”, dopo aver modificato radicalmente il ruolo ed i compiti e le
modalità di elezione, stabilendo che spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni
di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni, che gli organi della Provincia
sono eletti dai Comuni e che lo Stato e le Regioni trasferiscono ai Comuni, le attuali
funzioni delle Province, statuisce che “ I Comuni possono istituire unioni o organi di
raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo
l'invarianza della spesa”. Si tratta, in tutta evidenza, della previsione di un’ulteriore
forma associativa tra Comuni, di natura diversa dalle Unioni di comuni già conosciute, in
quanto non è finalizzata a consentire ai Comuni di raggiungere il dimensionamento
strutturale minimo per rendere efficiente la gestione delle proprie funzioni
fondamentali, ma si tratta di uno strumento di area vasta in cui svolgere le funzioni già
di competenza della Provincia, che transiteranno, ai sensi di tale normativa, ai Comuni.
A tal proposito occorre precisare che l’attuazione di tale nuova forma associativa non
sarà immediata in quanto gli attuali organi delle Province completeranno il periodo di
consiliatura già previsto per legge -2014-, ma può costituire, già da ora, un modello per
dare attuazione alla riforma di servizi già previsti dalla legge di dimensione
tendenzialmente provinciale, come gli ATO o ATI
Sesto modello L’ultimo modello è quello prefigurato dalla legislazione di alcune
Regioni, cioè l’Unione speciale, per prima prevista dalla regione Toscana per
trasformare in modo istituzionalmente “indolore” le Comunità montane che a seguito
delle previsioni della Legge finanziaria 2008 - vedi sopra – non possedevano più i
requisiti di montanità. in tale modello si assommano le funzioni amministrative
fondamentali ex legge 49/ 2009 con le funzioni “obbligatorie” proprie del modello
Comunità montane. Tale modello è stato assunto anche dalla Regione Umbria con la
L..R. n. 18/ 2011, la quale, dopo aver definito tali unioni come “forme di cooperazione
tra gli enti locali territoriali, con personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia
regolamentare, organizzativa e di bilancio nell’ambito delle risorse attribuite dalla
Regione e dagli altri enti locali territoriali in ragione delle funzioni conferite alle
medesime” ne prevede l’obbligatorietà della costituzione da parte dei Comuni,
lasciando agli stessi la sola facoltà, ancorché limitata anch’essa, di decidere con quali
Comuni unirsi.
38
Parte V
Analisi comparativa delle esperienze associative tra le Regioni Umbria, Toscana
ed Emilia Romagna
I Parte
la legislazione regionale fino al 2009
1. LE COMUNITÀ MONTANE. NELLA FASE ISTITUTIVA DELLE COMUNITÀ MONTANE DOPO LA
LEGGE 1102 DEL 1971 NON SI REGISTRANO PARTICOLARI DIFFERENZE NELLA LEGISLAZIONE
REGIONALE DELLE TRE REGIONI. LE MATERIE NELLE QUALI LA REGIONE UMBRIA A PARTIRE DAL
1974 HA DELEGATO LE COMUNITÀ MONTANE LE FUNZIONI TRASFERITELE DALLO STATO, SONO
LE SEGUENTI:
• INDENNITÀ COMPENSATIVA,
• IRRIGAZIONE E BONIFICA IDRAULICA,
• CREDITO AGRARIO,
• FORESTAZIONE E BONIFICA MONTANA,
• TARTUFICOLTURA,
• PATRIMONIO AGROFORESTALE REGIONALE,
• FORMAZIONE PROFESSIONALE,
• BENI ED ATTIVITÀ CULTURALI,
• PARCHI NATURALI,
• VINCOLO IDROGEOLOGICO,
• INCENDI BOSCHIVI,
• ALBERI, FLORA, FAUNA SPONTANEA ED AMBIENTE,
• URBANISTICA,
• ZOOTECNIA E FAUNISTICA,
• INFRASTRUTTURE RURALI,
• ATTIVITÀ PROMOZIONALI,
• PATRIMONIO EDILIZIO REGIONALE
• VIVAISMO VERDE PUBBLICO,
• DISCIPLINA RACCOLTA FUNGHI,
• RICETTIVITÀ RURALE ITINERARI TURISTICI
Anche la legislazione delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna si muove su tali
direttrici.
Le differenze più significative si avvertono dopo la legge Bassanini, la n. 59 del 1997,
con i nuovi compiti assegnati alle Regioni
EMILIA ROMAGNA. La legge regionale n. 2/04 al fine di realizzare una
programmazione dal basso - bottom-up -individua lo strumento ”Accordo di
programma” per realizzare tale obiettivo stabilendo appunto che tale Accordo
definisce, coerentemente agli obiettivi assunti, gli ambiti di intervento prioritari e le
azioni progettuali specifiche che costituiscono il riferimento per l’allocazione delle
risorse disponibili a titolo del Fondo regionale per la montagna integrate con le altre
risorse poste a carico dei bilanci degli soggetti sottoscrittori. La Comunità Montana è
l’Ente titolare dell’attuazione dell’Accordo alla quale provvede attraverso
l’approvazione dei Programmi Annuali Operativi (PAO) e la realizzazione, anche
39
attraverso i Comuni sottoscrittori, dei progetti in essi previsti. I PAO attuano il
Programma di interventi definendo nel dettaglio le azioni di progetto e il quadro
finanziario per ogni annualità. Viene istituita la Conferenza di Programma, presieduta
dalla Comunità Montana e costituita dai rappresentanti di tutti i soggetti pubblici e
privati sottoscrittori
TOSCANA . Con la legge regionale n. 37 del 2008 la regione Toscana individua, anche,
un nuovo modello di programmazione attuativa Il piano di sviluppo delle Comunità
montane diventa “lo strumento di programmazione locale che definisce gli indirizzi
politici e gli obiettivi programmatici della comunità montana e individua gli interventi e
le opere idonei a realizzarli. Il piano è redatto in conformità al modello analitico
approvato dalla Giunta regionale. La struttura regionale competente fornisce il supporto
tecnico per la redazione del piano.Le C.C.M.M. procedono poi all’approvazione di
programmi annuali per la realizzazione delle azioni e dei progetti previsti dal piano
pluriennale, di norma in occasione dell’approvazione del bilancio annuale di
previsione.
I progetti e le azioni previsti dalla comunità montana costituiscono priorità
dell’intervento regionale, In ragione del valore che assumono i Piani di sviluppo
vengono modificate le modalità di approvazione degli stessi che non è più di
competenza dell’Amministrazione provinciale di riferimento ma si stabilisce che la
comunità montana dovrà trasmettere lo schema preliminare di piano, o le eventuali
modifiche a quello in vigore alla Giunta regionale che, nei successivi sessanta giorni,
avranno la possibilità di esprimere osservazioni in ordine alla coerenza di quanto
inviato con gli strumenti della programmazione regionale e locale.
Gestione Piano di sviluppo rurale. Le Comunità Montane per delega della Regione
Toscana gestiscono il PSR sul proprio territorio,ed , in particolare: amministrano le
risorse finanziarie che le vengono attribuite, ricevono e istruiscono le domande di
adesione, collaudano gli interventi e provvedono ad inviare all'organismo pagatore gli
elenchi di liquidazione.
Nell'ambito delle priorità definite dal PSR le Comunità Montane predispongono un
proprio Piano Locale di Sviluppo Rurale (PLSR), soggetto a revisione annuale, che
individua le priorità e l'indirizzo strategico da perseguire, sulla base delle
caratteristiche e delle problematiche del proprio territorio. Nell'arco dei sei anni di
validità del PSR sono attribuite alla nostra Comunità risorse finanziarie pari ad oltre 6
milioni di euro.
Il meccanismo di finanziamento di tali attività è compreso in un fondo unico per le
Comunità montane che comprende tutte le funzioni attribuite in Agricoltura e pertanto
necessita di un ulteriore approfondimento, attraverso la comparazione degli attuali
trasferimenti alle Comunità montane in Umbria ed in Toscana, a fronte delle competenze
esercitate
UMBRIA. Dopo la legge regionale n.13 del 2000 sulla programmazione regionale
viene istituito il “Patto per lo sviluppo dell'Umbria”, un metodo strutturato di
programmazione in base al quale tutti i soggetti istituzionali, economici, sociali e
culturali della regione contribuiscono ad affrontare le tematiche complesse dello
sviluppo e della coesione sociale, tutti riuniti in un unico tavolo a livello regionale dove,
in tale unica sede, decidono le scelte della programmazione regionale. Tale modello ha
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subito varie successive evoluzioni, diventando poi l’”Alleanza per lo sviluppo” ma
mantenendo le sue caratteristiche fondamentali. Le Comunità montane perdono in tale
contesto ogni protagonismo nei rispettivi territori ed il loro Piano pluriennale di
sviluppo socio-economico rimane uno strumento inattivo.
2. Le Unioni di Comuni
Tutte e tre le regioni hanno approvato il loro “Programma di riordino territoriale”,
previsto dalla legge La Loggia ma hanno adottato comportamenti operativi diversificati
EMILIA ROMAGNA. La Regione, che presenta una forte diversificazione nel proprio
territorio tra pianura e montagna e per quanto riguarda la pianura, tra le Associazioni
nate prima del 1999 e le Unioni successive, con sovrapposizione di appartenenze, arriva a definire un Patto interistituzionale nel dicembre 2007, volto a:
a) il perseguimento di un unico ambito territoriale plurifunzionale a livello
intercomunale, in cui non vi sia sovrapposizione di enti e competenze;
b) l’incentivazione dell’Unione di comuni quale ente locale di governo nell’ambito
ottimale plurifunzionale;
c) il riordino istituzionale e riduzione del numero delle Comunità montane;
d) la eliminazione progressiva delle misure di incentivazione finanziaria della
gestione associata di funzioni attraverso le Associazioni intercomunali di cui alla
l.r. n. 11/2001.
La Regione nel governare il processo di aggregazione ha adottato un metodo in
progress, con l’adozione di successivi Programmi di Riordino territoriale, con cadenza
biennale. Le forme associative costituite in tale Regione alla data del 1 aprile 2009 sono
53, delle quali 15 Associazioni intercomunali, 18 Comunità montane e 20 le Unioni dei
Comuni.
TOSCANA. Il Programma di riordino territoriale della Toscana che individua gli ambiti
ottimali, sconta, come l’Umbria il fatto che avendo un territorio montuoso e collinare , lo
stesso è già organizzato su base associativa da un Ente la Comunità montana i cui ambiti
sono decisi dalla regione e non dalla concorde volontà dei Comuni. Pertanto sulla base
di tale programma si è registrata fino alla fine del 1999 una sola esperienza di Unione di
Comuni, anche se particolarmente significativa, sia per il numero di Comuni coinvolti,
sia per la popolazione servita,- oltre 120.000 abitnti, sia, infine per le funzioni esercitate.
Si tratta dell'Unione Valdera, nata dal progetto Valdera 2020, un processo
partecipativo attivato con il sostegno dell'Autorità regionale per la Partecipazione della
Toscana. L'Unione Valdera raggruppa 15 comuni appartenenti alla zona socio-sanitaria
Valdera (Comuni di Bientina, Buti, Calcinaia, Capannoli, Casciana Terme, Chianni,
Crespina, Lajatico, Lari, Palaia, Peccioli, Ponsacco, Pontedera, Santa Maria a Monte e
Terricciola). Essa rappresenta il punto di arrivo qualificato di un processo decisionale
protratto nel tempo, che ha raccolto anche i segnali e le opinioni provenienti dalle
componenti della società civile. Il nuovo ente si pone come strumento di governo dei
servizi e delle funzioni che possono essere organizzati in forme più efficienti ed efficaci
attraverso l’integrazione stabile delle risorse, delle competenze e delle esperienze
possedute dai comuni della Valdera e dalle persone che vi operano. L’Unione vuole
sviluppare nel proprio ambito e territorio le pari opportunità (garantire a tutti i cittadini
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dell’area i medesimi diritti di accesso ai servizi, con particolare riguardo ai residenti nei
piccoli comuni), l’ efficienza e il contenimento dei costi (conseguire economie di scala
attraverso l’uso integrato dei fattori di produzione), la qualità dei servizi (aumentare la
specializzazione degli addetti per un miglior servizio al pubblico), l’elaborazione di
politiche integrate unitarie, (impiegare al meglio le vocazioni e potenzialità di ciascun
territorio), l’aumento del peso politico dell’area (elevare la forza contrattuale della zona
rispetto ai livelli politici e amministrativi sovraordinati).Le funzioni ed i servizi gestiti
dall'Unione Valdera interessano:
• l'area dei servizi generali (Personale, Agenzia formativa, Sistemi informativi e
innovazione tecnologica, Statistica)
• l'area dei servizi socio-educativi (Servizi educativi per ogni età, Reti per la cultura
Biblioteche e Musei, Progetti e interventi sociali, Contributi a persone e famiglie,
Servizi scolastici),
• l'area dei servizi tecnici (Protezione civile e ambiente, Gestione PIP - PEEP e opere
pubbliche, Suap, Turismo e Servizi alle imprese)
• l'area dei servizi territoriali (Polizia locale, Tributi e Raccolta e trasporto nettezza
urbana).
UMBRIA Anche l’Umbria aveva formulato gli “Indirizzi generali per la formulazione del
programma di riordino territoriale” acquisendo i prescritti pareri del Consiglio delle
autonomie locali” con delibera n. 414/04, ma poi gli orientamenti della Giunta regionale
si sono mossi nella direzione di procedere ad una riforma degli ambiti delle Comunità
montane con la legge n. 24 del 2007, senza attivare le procedure ivi previste. Per
quanto attiene all’esperienza delle Unioni dei Comuni la regione registra come la
Toscana una sola Unione, quella delle “terre dell’Olio e del Sacrantino” costituita da 8
Comuni per l’esercizio della funzione di polizia municipale, cui si sono poi aggiunte le
funzioni di gestione del centro servizi associato e dell'ufficio ecografico-catastale e del
sistema informativo territoriale. E’ da precisare che tali Comuni tutti e otto facevano
parte anche della “Comunità montana dei Monti Martani e del Serano”, realizzando così
una duplicazione di appartenenza.
2. La legislazione regionale successiva alla decretazione d’urgenza sulle Unioni
dei Comuni del 2010 e 2011
2.1.Regione Emilia Romagna
La Regione Emilia Romagna non ha adottato una specifica legge attuativa finalizzata a
dare attuazione alla normativa di urgenza sia del 2011 che del 2012 relativa alle
associazioni dei Comuni, in quanto ha ritenenuto valida ed attuale l’impianto legislativo
del 2008 cioè L. R. 30 giugno 2008, n. 10 “Misure per il riordino territoriale,
l'autoriforma dell'amministrazione e la razionalizzazione delle funzioni”, con la
quale aveva già provveduto da una parte alla riforma delle Comunità montane, con la
revisione dei rispettivi ambiti territoriali e la loro valorizzazione quali enti di presidio
dei territori montani e di esercizio associato delle funzioni comunali, assimilandole alle
Unioni di Comuni e, dall’altra, a sostenere l'incentivazione delle Unioni di Comuni, quali
livelli istituzionali appropriati per l'esercizio associato delle funzioni e dei servizi e per
la stabile integrazione delle politiche comunali.
42
Pertanto la regione ha mantenuto le stesse previsioni, che si prevedevano le seguenti
azioni:
• Ridelimitazione degli ambiti territoriali delle Comunità montane e assimilazione
del loro ordinamento a quello delle Unioni di Comuni rinominandole “Nuove Comunità
montane”
• Promozione delle Unioni di Comuni quali livelli istituzionali appropriati per
l'esercizio associato delle funzioni e dei servizi e per la più efficace e stabile
integrazione sul territorio delle politiche settoriali;
Previo accordo con le Province, qualora sia ritenuto necessario per la dimensione
ottimale dell'esercizio delle funzioni, promozione dell'esercizio in forma associata anche
di funzioni provinciali;
Incentivazione dell'unificazione in livelli dimensionali adeguati all'esercizio di funzioni e
servizi comunali attraverso l'eliminazione di sovrapposizioni, valorizzando a tal fine le
Comunità montane e le Unioni di Comuni;
Definizione di principi sull'allocazione delle funzioni amministrative, volti a conseguire
l'efficienza e l'economicità, perseguendo, attraverso le forme associative tra gli enti
locali, l'adeguatezza degli enti a svolgere i compiti assegnati;
Completezza, omogeneità e unicità della responsabilità amministrativa in capo agli enti,
per assicurare l'unitaria responsabilità di servizi o attività amministrative omogenee
nonché una effettiva autonomia di organizzazione e di svolgimento;
Graduale superamento della sovrapposizione di enti di governo e di gestione di
servizi negli stessi ambiti territoriali, mediante unificazione in capo ad un solo ente
di compiti e responsabilità, tenendo conto del rilievo pubblicistico delle attività di
indirizzo politico-programmatico spettanti a ciascun livello istituzionale;
Armonizzazione degli strumenti, generali e settoriali, della programmazione per lo
sviluppo della montagna.
In particolare per le Comunità montane sono previste le seguenti opzioni:
a) l'accorpamento di Comunità montane;
b) lo scioglimento di Comunità montane ed eventuale contestuale trasformazione in
Unioni di Comuni, anche allargate ad altri Comuni;
c) lo scioglimento della Comunità montana e contestuale incorporazione in una Unione
di Comuni preesistente;
d) la fusione in un unico Comune montano di Comuni facenti parte della Comunità
montana che conseguentemente viene soppressa.
Per quanto attiene specificatamente alle Unione di Comuni poiché in tale regione sono
ancora presenti Associazioni di comuni monofunzionali, la Regione favorisce la
razionalizzazione del processo di riorganizzazione delle funzioni, dei servizi e delle
strutture incentivando le forme associative con personalità giuridica a vocazione
plurifunzionale e in ambito sovracomunale in cui non vi sia sovrapposizioni di enti e di
competenze Ed, inoltre, la Regione si assegna come obiettivo prioritario la fusione tra
Comuni.
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2. Regione Toscana
Con la legge regionale n.68 del 27 del Dicembre 2011 “Norme sul sistema delle
autonomie locali”, la Regione ridefinisce tutta la materia dell’associazionismo comunale,
procedendo a riordinare la normativa regionale di settore nel quadro della riforma
nazionale dell’ordinamento locale, individuando le principali aggregazioni di livello
intercomunale nell’ambito delle quali possa svolgersi una più intensa cooperazione
degli enti locali, e si prefigura il ruolo dei comuni per l’attivazione di servizi di sportello
ai cittadini e alle imprese e per mantenere e diffondere i servizi di prossimità, pubblici
e privati, nel territorio.
Poiché le Comunità montane non sono individuate dallo Stato tra gli enti mediante i quali
i Comuni possono esercitare le funzioni fondamentali, se ne prevede pertanto
l’estinzione.
Si dà poi, attuazione alle norme del decreto-legge 78/2010 convertito con legge
122/2010, per l’esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali dei comuni.
La disciplina delle unioni è dettata in legge con disposizioni in gran parte cogenti nei
confronti degli statuti dell’unione, in alcuni casi cedevoli, in altre integrative nei
confronti di quest’ultimi. Esse hanno l’obiettivo di assicurare il buon funzionamento di
un soggetto che è destinato ad assolvere ad un ruolo nuovo e di grande rilievo per i
comuni di minore dimensione demografica obbligati dalla legge dello Stato all’esercizio
associato delle funzioni fondamentali. L’unione deve perciò essere dotata di organi che
siano in grado di costruire un indirizzo politico-amministrativo unitario e deve
funzionare con continuità, adeguando la composizione dei propri organi al mutare degli
organi dei comuni che la costituiscono.
Per la composizione dei consigli dell’unione, i criteri individuati dalla legge fanno
riferimento ai limiti disposti dall’articolo 37 del TUEL in combinato con quanto affermato
dal Consiglio di Stato (parere n. 1506/2003, sezione I, 29.1.2003) sulla prevalenza del
principio di rappresentanza delle minoranze rispetto alla necessità di limitazione
numerica della rappresentanza stessa.
Si dispone pertanto che, in via ordinaria, per ogni singolo comune siano presenti, oltre
al sindaco, due rappresentanti, uno di maggioranza ed uno di minoranza, prevedendo
poi che i comuni più grandi, con popolazione superiore a 10.000 abitanti abbiano diritto
ad esprimere un numero maggiore di rappresentanti e cioè quattro e che un eventuale
ulteriore incremento di alcune unità possa prodursi, al fine di garantire una più ampia
rappresentanza delle minoranze, comunque fino al limite massimo previsto dal TUEL;
Si favorisce, altresì, la presenza, nel consiglio dell’unione, di consiglieri di entrambi i
generi, con la disposizione di legge secondo la quale gli statuti devono prevedere
norme atte ad assicurare la rappresentanza di genere e con lo stabilire lo scioglimento
di diritto del consiglio nel caso in cui lo stesso risulti composto da soggetti di un unico
genere;
Al fine di consentire ai comuni obbligati all’esercizio associato, mediante convenzione o
unione, di adempiere a tale obbligo, la legge dà compiuta attuazione alle norme
dell’articolo 14, commi da 26 a 30, del decreto-legge 78/2010, prevedendo
l’identificazione di 37 ambiti di dimensione territoriale adeguata, nei quali sono
compresi tutti i 90 comuni tenuti a detto esercizio, identificati sulla base delle soglie di
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popolazione definite dalle norme statali, nonché, per favorire i processi di unità
dell’amministrazione, anche comuni non obbligati all’esercizio associato;
Si disciplinano gli adempimenti della Regione e dei comuni con popolazione fino a 1000
abitanti relativi all’istituzione delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 16 del decreto-
legge 138/2011 convertito dalla legge 148/2011 per l’esercizio obbligatorio, in forma
associata, di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici di cui sono titolari;
si dettano norme, in particolare, sulla la proposta di aggregazione territoriale da parte
dei comuni interessati e l’eventuale definizione, in alternativa, da parte della Giunta
regionale, dell’aggregazione stessa.
Si favoriscono, infine, processi aggregativi, anche attraverso l’incentivazione
all’istituzione delle stesse unioni di comuni, che possano portare nel tempo a fusioni. E’
stabilito, perciò, il principio che la Regione promuove i processi di fusione, in
particolare dei comuni tenuti all’esercizio obbligatorio di funzioni fondamentali,
dandovi attuazione attraverso la previsione di contributi regionali di sostegno alle
fusioni, di disciplina degli effetti della fusione, di impegni specifici per raggiungere
intese e promuovere le leggi di fusione;
In coerenza con la legge 42/2009, la Regione intende prevedere misure di premialità
per le unioni di comuni. Una disciplina specifica è dedicata, in questo quadro, al
sostegno ai servizi di prossimità;
3. Regione Umbria
La Regione Umbria ha adottato la legge regionale 23 dicembre 2011, n. 18 “Riforma
del sistema amministrativo regionale e delle autonomie locali e istituzione
dell’Agenzia forestale regionale. Conseguenti modifiche normative.” con la quale
individua le azioni, le misure e gli interventi strategici di razionalizzazione,
semplificazione e riordino del sistema amministrativo regionale e delle autonomie
locali.
T a l i finalità sono raggiunte trasferendo le funzioni di carattere politico e
amministrativo agli enti locali territoriali, nonché alle loro forme associative, mentre
quelle di carattere tecnico, gestionale ed operativo ad enti strumentali regionali.
La Regione favorisce e promuove la costituzione delle unioni speciali di comuni allo
scopo di assicurare un efficace esercizio, in ambiti adeguati, delle funzioni
attribuite dalla legge e di quelle comunali fondamentali ed a tal fine la Regione eroga
incentivi e assicura il supporto tecnico e logistico per l’attivazione e il
funzionamento delle unioni speciali di comuni.
Al fine di rendere effettivo da parte dei comuni, e in particolare di quelli di minore
dimensione demografica, l’esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali
nonché di quelle attribuite dalla legge regionale stessa, definisce la dimensione
territoriale ottimale per l’esercizio delle stesse e stabilisce le condizioni per la
costituzione della forma associativa concordandoli con i comuni nell’ambito del
Consiglio delle autonomie locali (CAL).
Si procede quindi alla definizione delle “unioni speciali di comuni” che sono forme di
cooperazione tra gli enti locali territoriali, con personalità giuridica di diritto
pubblico, autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio nell’ambito delle
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risorse attribuite dalla Regione e dagli altri enti locali territoriali in ragione delle
funzioni conferite alle medesime.
A tali unioni speciali di comuni si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del
TUEL
Viene poi previsto che i comuni esercitino in forma obbligatoriamente associata,
mediante le unioni speciali di comuni, le funzioni trasferite dalla Regione, pur nel
rispetto della normativa statale in materia di funzioni fondamentali dei comuni.
E’ previsto poi un termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore della legge, per
l’adozione da parte della Giunta regionale, sentito il CAL, del piano di riordino
territoriale nel quale la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area
geografica delle unioni speciali di comuni, viene individuata sulla base della
dimensione territoriale coincidente con una o più “zone sociali” previste da una vigente
legge in tema di Sistema Integrato di Interventi e Servizi Sociali, purché ricadenti nella
stessa AUSL e con territori contigui.
In quanto agli organi dell’unione speciale di comuni vengono previst i il presidente
e l’assemblea costituita dai sindaci, o da assessore o da consigliere comunale dagli
stessi delegati.
Lo statuto individua la sede e le funzioni dell’unione speciale di comuni, i poteri degli
organi dell’unione e le modalità per la loro costituzione e insediamento, compatibili
all’esercizio in forma associata delle funzioni conferite all’unione medesima. Lo statuto
individua inoltre gli atti di maggior rilevanza sui quali è chiamata a deliberare
l’assemblea dell’unione speciale di comuni in ordine ai quali i sindaci o loro delegati
possono procedere a deliberare in assemblea sentiti i rispettivi consigli comunali.
Trascorsi trenta giorni dal ricevimento degli atti di maggior rilevanza da parte di
ciascun consiglio comunale, l’assemblea dell’unione speciale delibera in ogni caso. Tra
gli atti di maggior rilevanza sono ricompresi gli atti di programmazione pluriennale, il
bilancio di previsione e il conto consuntivo.
Viene stabilito un termine per l’adozione dello statuto: novanta giorni dalla data di
approvazione del piano di riordino territoriale e nel caso di inosservanza dei termini la
Giunta regionale esercita il potere sostitutivo La Regione svolge attività di controllo e di
vigilanza in relazione all’espletamento delle funzioni regionali conferite, nonché sul
relativo andamento finanziario.
4. Analisi comparativa della legislazione
la legislazione delle tre regioni contiene profili accentuati di diversificazione. Si
segnalano i più rilevanti:
• Comunità montane. La Regione Emilia Romagna mantiene “intatto” l’apparato
istituzionale e programmatorio relativo alla governante delle zone montane
della regione, con gli Enti rinominati Nuove Comunità montane, ma anche gli
strumenti come la Conferenza sulla montagna e gli Accordi di programma con le
Nuove Comunità montane. La Regione Toscana e la Regione Umbria aboliscono
le Comunità montane
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• Unioni di Comuni . La Regione Emilia Romagna mantiene intatto l’apparato
normativo previgente al 2010, mentre le Regioni Toscana ed Umbria
intervengono, con la previsione delle Unioni speciali di comuni;
• Struttura delle Unioni. Le differenze più significative appaiono quelle relative
agli organi: mentre Emilia Romagna e Toscana prevedono per l’Unione l’identico
schema esistente per il Comune, cioè Consiglio, Giunta, Presidente, con una particolare
attenzione a normare espressamente la composizione dei Consigli per assicurare la
rappresentanza, sia delle minoranze dei singoli Consigli comunali , che quella di
genere, la Regione Umbria adotta il modello Assemblea dei Sindaci- Presidente che
assicura una maggiore operatività, ma obiettivamente non favorisce percorsi di sbocco
verso le fusioni.
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ALLEGATI
Allegato n. 1
GUIDA ALLA REDAZIONE DI CONVENZIONE per lo svolgimento associato di funzioni
comunali mediante costituzione di un ufficio comune
INDICE
Capo I – Disposizioni generali
Art. 1 – Oggetto della convenzione
Art. 2 – Enti partecipanti alla gestione associata e ente responsabile della gestione
Art. 3 – Finalità
Art. 4 – Funzioni, attività e servizi svolti dall’ufficio comune e procedimenti
amministrativi di
competenza
Art. 5 – Attività che restano nella competenza degli enti partecipanti
Capo II – Funzionamento dell’ufficio comune
Art. 6 – Regole per l’organizzazione ed il funzionamento dell’ufficio comune
Art. 7 – Regolamenti per lo svolgimento delle funzioni
Capo III – Rapporti tra i soggetti convenzionati
Art. 8 – Decorrenza e durata della convenzione
Art. 9 – Strumenti di consultazione tra gli enti contraenti; funzioni di indirizzo sull’ufficio
comune
Art. 10 – Risorse per la gestione associata, rapporti finanziari, garanzie
Art. 11 – Dotazione di personale
Art. 12 – Beni e strutture
Art. 13 – Recesso, scioglimento del vincolo convenzionale
Art. 14 – Altri rapporti
Capo IV – Disposizioni finali
Art. 15 – Disposizioni di rinvio
Art. 16 – Esenzioni per bollo e registrazione
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CONVENZIONE PER LA GESTIONE ASSOCIATA DI FUNZIONI AMMINISTRATIVE E
SERVIZI IN MATERIA DI ………….. MEDIANTE ISTITUZIONE DI UFFICIO COMUNE
**********
L’anno …….. il giorno …….... del mese di ………. presso la sede di …………. posta in
…….….
tra
1 – Il Comune di ……, in persona del ……………………, domiciliato per la sua carica in
…………., il quale interviene nel presente atto in forza della delibera consiliare n.
………..
del ……., esecutiva, con la quale si è altresì approvata la presente convenzione;
2 – Il Comune di ……, in persona del ……………………, domiciliato per la sua carica in
…………., il quale interviene nel presente atto in forza della delibera consiliare n.
……….. del ……., esecutiva, con la quale si è altresì approvata la presente
convenzione;
3. Il Comune ………
PREMESSO CHE
-….. Nelle premesse è utile citare in primo luogo le normative che attribuiscono le
funzioni, le attività, i servizi oggetto della convenzione alla competenza del Comune; in
tale ambito sarà opportuno segnalare le disposizioni (di legge ed eventualmente degli
Statuti) che consentono ai soggetti firmatari della convenzione di rappresentare i
rispettivi enti in questa sede.
In caso di convenzione con ente diverso dal Comune, si citeranno la normativa che
disciplina il funzionamento dell’ente stesso, la possibilità di gestire funzioni per conto
dei Comuni, e l’articolo o gli articoli del decreto legislativo n. 267/2000 (l’articolo 30, ed
eventualmente altri che siano rilevanti nella fattispecie) e le principali normative che
disciplinano la forma associativa prescelta.
Si dovranno poi indicare le precedenti convenzioni, accordi di programma e intese già
stipulati dai soggetti contraenti nelle funzioni, nelle attività, nei servizi oggetto della
presente convenzione, dando conto se alcuni di essi siano mantenuti in vigore in quanto
compatibili; si indicheranno inoltre le valutazioni di opportunità ed in generale tutti i
presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato l’attivazione della gestione
associata.
Sarà utile anche fare riferimento alle leggi che regolano le funzioni, le attività, i servizi
oggetto di conferimento, eventualmente menzionandone gli articoli particolarmente
significativi.
si conviene e si stipula quanto segue:
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CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
(Oggetto della convenzione)
§1. Con il presente articolo si istituisce l’ufficio comune per l’esercizio associato di
funzioni, attività e servizi comunali, ai sensi dell’articolo 30 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267; si indicano inoltre in modo sintetico le funzioni, le attività e i servizi
che dovranno essere svolti dall’ufficio.
Art. 2
(Enti partecipanti alla gestione associata e ente responsabile della gestione)
§1. Si dovranno qui indicare i Comuni che aderiscono alla convenzione, specificando
l’ente presso cui è costituito l’ufficio comune, che è considerato ente responsabile della
gestione.
Art. 3
(Finalità)
§1. Si esplicitano gli obiettivi comuni alle amministrazioni stipulanti, che si intendono
perseguire con la gestione associata: economicità, efficacia ed efficienza
dell’amministrazione; miglioramento del servizio e distribuzione ottimale dei servizi sul
territorio; valorizzazione e sviluppo delle professionalità degli operatori, ecc.
Art. 4
(Funzioni, attività e servizi svolti dall’ufficio comune e procedimenti amministrativi di
competenza)
§1. Si individuano in modo dettagliato le funzioni e i servizi oggetto della gestione
associata, anche mediante riferimento alle normative che ne regolano lo svolgimento e
l’erogazione.
§2. In particolare, dovrà essere specificato se l’ufficio comune avrà soltanto funzioni
amministrative istruttorie (nel qual caso l’adozione dei provvedimenti resterà di
competenza di altri organi dei singoli Comuni territorialmente competenti) o anche
funzioni amministrative decisorie (e quindi l’ufficio potrà adottare provvedimenti come
organo del Comune convenzionato).
§3. Se l’ufficio interviene nell’erogazione di servizi alle persone dovranno essere
indicate le funzioni amministrative decisorie di competenza dell’ufficio e dovrà essere
specificato se l’ufficio gestisce direttamente l’erogazione (in economia, in appalto, ecc.)
o l’organizza sotto la sua diretta responsabilità, indicando le attività che questa gestione
comporta (gestione del personale, gestione dei contratti, gestione dei procedimenti di
accesso alle prestazioni, gestione dei procedimenti autorizzatori, attività di controllo,
gestione di specifici interventi, ecc.). La scelta in ordine alle attribuzioni dell’ufficio
comune (istruttorie, decisorie, di erogazione di servizi) deve cogliere, in relazione alla
diversa natura di funzioni, attività e servizi, il nucleo fondamentale della gestione
51
associata, in modo tale che risulti inequivocabilmente l’integrazione di competenze,
risorse e personale, che giustifica la gestione associata e la rende economica, efficace,
efficiente, migliorativa dei servizi per i cittadini.
§4. Ai fini della concreta definizione dei compiti dell’ufficio comune, e della massima
chiarezza e consapevolezza degli effetti che conseguono alla stipula della convenzione,
è necessario fornire una indicazione precisa dei servizi, delle attività e dei procedimenti
che rientrano nella competenza dell’ufficio.
§5. Le attribuzioni dell’ufficio comune, oltre all’elencazione (puntuale e necessaria)
prevista dal §4, posso essere ovviamente più ampie. Queste ulteriori attribuzioni devono
essere a loro volta sufficientemente specificate; si ritiene anche possibile che siano
indicate in maniera non tassativa, ad esempio facendo riferimento a tutti gli ulteriori
servizi, attività, interventi, procedimenti amministrativi che attengono ad una certa
materia di competenza degli enti, magari per non irrigidire le competenze dell’ufficio
solo per quanto ulteriormente elencato e consentire di adeguare il contenuto della
convenzione alla discipline successive della materia.
Questa operazione deve risultare chiaramente, quale effettiva intenzione degli enti
partecipanti; appare anche necessario che si individui la Conferenza dei Sindaci quale
organo cui affidare il completamento dell’elenco. Ovviamente, il rinvio ad ulteriori atti
integrativi ha senso solo se ha carattere sussidiario, cioè solo se la convenzione è
sufficientemente dettagliata anche per questa parte più ampia. Questa tecnica potrebbe
anche essere utilizzata, e dunque prevista espressamente in convenzione, per
aggiornare il contenuto delle attribuzioni a successive discipline di legge, che
intervengono su specifici procedimenti amministrativi o attività; questa operazione
tuttavia deve ritenersi possibile solo se quanto attribuito in modo espresso all’ufficio sia
sufficientemente dettagliato, in modo da rendere chiaro il carattere sostanzialmente non
innovativo dell’eventuale specificazione. Negli altri casi (ad esempio nel caso di
attribuzione di nuove competenze per lo svolgimento di servizi) si ritiene necessario
integrare il contenuto della convenzione con un ulteriore atto associativo.
§6. Resta comunque fermo il pieno rispetto di ogni altra normativa inderogabile da parte
degli enti partecipanti.
Art. 5
(Attività che restano nella competenza degli enti partecipanti)
§1. Sarà utile indicare quei procedimenti, subprocedimenti e attività che, nella materia
oggetto di gestione associata, restano di competenza dei singoli Comuni, tenuto conto
di quanto già stabilito dall’articolo 4. Questa indicazione, cui deve porsi attenzione per
evitare duplicazioni o incongruenze rispetto all’oggetto della gestione associata, è
particolarmente significativa ai fini della corretta interpretazione della convenzione.
CAPO II
FUNZIONAMENTO DELL’UFFICIO COMUNE
Art. 6
(Regole di organizzazione e funzionamento dell’ufficio comune)
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§1. Nel presente articolo si delineano gli elementi essenziali di organizzazione
dell’ufficio comune, in modo tale che questo possa essere immediatamente operativo.
Le regole di funzionamento devono essere sufficientemente dettagliate, in modo da
garantire il regolare funzionamento dell’ufficio comune sin dal momento della stipula
della convenzione.
§2. Sarà utile stabilire che, per quanto non espressamente disciplinato ai sensi del §1,
l’ufficio comune funzionerà secondo le modalità di organizzazione degli uffici e del
personale vigenti nel Comune presso cui è costituito.
§3. Gli enti contraenti, per garantire il miglior collegamento dell’ufficio comune con le
proprie strutture, provvederanno ad adeguare i rispettivi regolamenti di
organizzazione, disciplinando a tal fine i rapporti dell’ufficio con il resto
dell’organizzazione comunale, in armonia con quanto stabilito dalla convenzione.
§4. All’ente responsabile della gestione associata, presso cui l’ufficio è costituito, deve
essere affidato il compito di adottare gli atti necessari per la costituzione concreta
dell’ufficio e per la nomina, se del caso previo parere della Conferenza dei Sindaci, del
suo responsabile.
§5. In coerenza con quanto previsto dal successivo articolo 11, e in osservanza delle
previsioni dell’articolo 107, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000,
verranno definiti i compiti del responsabile dell’ufficio e le principali figure
professionali che sono o saranno coinvolte nell’organizzazione. Il responsabile, ove
l’ufficio comune abbia funzioni esclusivamente istruttorie, svolge comunque le funzioni
di gestione del personale assegnato all’ufficio stesso, e le funzioni di responsabile del
procedimento per le attività ed i procedimenti oggetto della gestione associata.
§6. Si ricorda che, ai fini della concessione del contributo, occorre che l’ufficio comune
sia effettivamente costituito e che ne sia anche individuato il responsabile da parte
dell’ente responsabile della gestione associata.
Art. 7
(Regolamenti per lo svolgimento delle funzioni)
§1. Particolare attenzione dovrà essere data ai regolamenti che l’ufficio comune dovrà
applicare per lo svolgimento della gestione associata.
§2. Lo svolgimento della funzione o l’erogazione del servizio, potranno essere regolati
dalla convenzione o da un apposito regolamento uniforme approvato contestualmente
(allegato alla convenzione medesima). In linea di massima, ferma restando l’unicità
dell’ufficio comune, lo svolgimento della funzione potrebbe restare nel campo di
regolamentazione di ogni singolo Comune; è evidente, tuttavia, che la funzionalità
dell’ufficio è assicurata anche dal fatto che questo sia messo in condizione di applicare
regolamenti sufficientemente uniformi (anzi, di regola, tra i suoi compiti dovrebbe
essere inserita anche l’istruttoria sui regolamenti che incidono sullo svolgimento delle
funzioni e dei compiti affidati all’ufficio). La scelta più opportuna ed efficace sulla
regolamentazione dello svolgimento delle funzioni va posta in stretta relazione con il
contenuto essenziale della gestione associata e con le attività che si sono indicate per
l’ufficio comune (istruttorie, decisorie, di erogazione di servizi). Ad esempio, se per
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l’erogazione di un servizio in forma associata è necessaria la disciplina uniforme dei
requisiti di accesso, questa non potrà essere affidata a diversi regolamenti comunali, ma
dovrà essere stabilita, come si è detto, in modo unitario. E’ comunque opportuno che
nella convenzione gli enti si impegnino a risolvere questo problema secondo modalità
condivise, curando il rispetto delle forme di pubblicità che sono richieste dagli Statuti,
dalle leggi di settore e, in linea generale, dalla legge 241/90. La chiara disciplina delle
competenze regolamentari, anche in una fase transitoria, rappresenta una garanzia sul
buon funzionamento della gestione associata e sulla effettiva possibilità di esercitare le
attività previste dalla convenzione.
CAPO III
RAPPORTI TRA SOGGETTI CONVENZIONATI
Art. 8
(Decorrenza e durata della convenzione)
§1. La convenzione prevista dall’articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000 deve
obbligatoriamente stabilire la decorrenza e la durata espressa del vincolo associativo.
Per essere considerata nella concessione del contributo, la durata della convenzione
deve avere entrambi i seguenti requisiti: deve essere almeno di due anni dalla
stipulazione e, in aggiunta, di almeno un anno dalla data prevista per la conclusione del
procedimento di concessione del contributo. In sostanza, saranno escluse dal contributo
le gestioni associate per le quali non è prevista espressamente una durata minima, che
dia il senso della volontà degli enti di impegnarsi reciprocamente per realizzare una
esperienza associativa compiuta. La durata così espressa non esclude comunque la
previsione della facoltà di recesso di singoli partecipanti o lo scioglimento consensuale
del vincolo associativo.
§2 - Nell’articolo si espliciteranno anche la possibilità e le formalità di rinnovo della
convenzione.
Art. 9
(Strumenti di consultazione tra i contraenti; funzioni di indirizzo sull’ufficio comune)
§1. La gestione associata deve operare nell’interesse di tutti gli enti partecipanti, a
prescindere dalla loro quota di partecipazione, e di tutti i cittadini dei Comuni
interessati.
§2. L’articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede l’indicazione delle
forme di consultazione tra gli enti contraenti come un elemento essenziale della
convenzione: a tal fine, dovrà individuarsi un apposito organismo che comprenda i
Sindaci dei Comuni convenzionati (es. Conferenza dei Sindaci) o i loro delegati, che –
nel rispetto delle norme sul riparto delle competenze politiche e gestionali di cui al
Titolo III, Capo I, del decreto legislativo n. 267 del 2000, in relazione all’articolo 107 del
decreto legislativo medesimo – svolga funzioni di programmazione ed indirizzo generali
sull’ufficio comune, esamini le questioni di interesse comune e verifichi la rispondenza
dell’azione dell’ufficio ai programmi delle rispettive amministrazioni. Posto che ai sensi
dell’articolo 50, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000 i Sindaci sovrintendono al
funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti, è necessario
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individuare all’interno della gestione associata un organo che si confronti su tali temi ed
eserciti suddetti poteri in modo coordinato. E’ evidente, infatti, che le funzioni di
indirizzo politico sull’ufficio comune devono essere rispondenti agli obiettivi per i quali
si è proceduto alla sua istituzione.
§3. Alcuni enti associati prevedono nelle convenzioni anche la costituzione di comitati o
gruppi di lavoro composti da loro rappresentanti o referenti tecnici, anche con funzioni
di supporto alle sedi di consultazione istituzionale; ove si proceda in tal senso, occorre
delimitare con chiarezza i compiti di questi organismi, onde evitare che assumano su di
sé parte dei compiti propri dell’ufficio comune, mettendo sostanzialmente in
discussione l’effettività della gestione associata.
Art. 10
(Risorse per la gestione associata, rapporti finanziari, garanzie)
§1. Nel presente articolo si darà conto dei rapporti finanziari, sulla base dei quali i
soggetti convenzionati attribuiscono all’ufficio comune le risorse necessarie
all’espletamento delle proprie funzioni.
§2. A tal fine si indicheranno le somme – ovvero le modalità di ripartizione delle quote –
che i Comuni si impegnano a destinare all’ente responsabile della gestione, per
sostenere le spese di funzionamento.
§3. Si regolano inoltre le modalità di attribuzione delle risorse per lo svolgimento della
funzione: in linea di massima la scelta può andare nel senso che esse vengano attribuite
direttamente all’ufficio mediante gli atti di bilancio dei singoli Comuni (prevedendo la
possibilità per il responsabile dell’ufficio comune di assumere impegni di spesa
direttamente sui bilanci dei Comuni convenzionati), ovvero che le risorse vengano
trasferite all’ente presso cui l’ufficio è costituito, sulla base delle spese che l’ente stesso
sostiene nell’immediato, e che vengono successivamente rendicontate ai vari Comuni
contraenti.
§4. Fermo restando il rispetto delle norme sull’ordinamento finanziario e contabile degli
enti locali, si dovrà pertanto introdurre da parte dei Consigli Comunali nei rispettivi
regolamenti di contabilità (o sui contratti) – contestualmente all’approvazione della
presente convenzione e in coerenza con le scelte di cui al paragrafo precedente – una
norma apposita che assicuri il corretto funzionamento dell’ufficio comune.
§5. I soggetti firmatari dovranno comunque verificare la coerenza complessiva dei loro
strumenti contabili con la gestione associata, e adottare i provvedimenti più opportuni
perché tale coerenza sia realizzata tempestivamente.
Art. 11
(Dotazione di personale)
§1. In questo articolo si definisce la dotazione di personale necessaria per l’esercizio
dell’attività dell’ufficio comune, individuando le capacità professionali essenziali. §2.
L’ufficio potrà operare con personale in dotazione all’ente responsabile della gestione,
ovvero con personale distaccato o comandato dagli enti partecipanti presso lo stesso
ente responsabile della gestione, nel quale l’ufficio comune è costituito.
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§3. Se, in particolare, è previsto che le attività siano svolte in modo non continuativo da
parte dell’ufficio competente, è opportuno convenire la possibilità di avvalersi del
personale in dotazione agli enti convenzionati in relazione ai vari procedimenti
attivabili, stabilendo le modalità ed i limiti di tale avvalimento.
§4. La concreta attribuzione del personale di cui sopra avverrà con appositi atti di
carattere organizzativo, da adottarsi entro un termine stabilito tra le parti.
Art. 12
(Beni e strutture)
§1. La sede dell’ufficio comune è individuata presso l’ente responsabile della gestione;
si potranno inoltre indicare le strutture e le attrezzature conferite all’ente medesimo
perché vengano utilizzate dall’ufficio comune.
§2. In linea generale, l’ente presso cui l’ufficio comune è costituito provvede a dotare
l’ufficio delle risorse necessarie per il funzionamento ordinario; per gli acquisti di beni e
servizi di carattere straordinario, si potrebbe inoltre prevedere il previo assenso della
Conferenza dei Sindaci.
§3. Ai fini della migliore dislocazione dei servizi sul territorio, si potrà prevedere di
istituire sportelli decentrati per il pubblico, esclusivamente con funzioni di front office, e
posti sotto la direzione del responsabile della gestione associata.
Art. 13
(Recesso, scioglimento del vincolo convenzionale)
§1. Si prevederanno in questo articolo le formalità e gli obblighi di preavviso per il
recesso da parte di singoli Comuni, nonché le modalità di definizione di eventuali
residui patrimoniali.
§2. Ugualmente, potranno prevedersi delle procedure apposite per lo scioglimento
contestuale dei vincoli convenzionali da parte di tutti gli enti e la soppressione
dell’ufficio comune.
Art. 14
(Altri rapporti)
§1. Nella convenzione è necessario indicare le modalità con cui si intendono utilizzare
gli eventuali contributi per la gestione associata, concessi dalla Regione; è altresì
opportuno indicare le modalità con cui gli enti regolano i rapporti tra loro in caso di
revoca – parziale o totale – dei contributi medesimi, stante il fatto che la revoca opererà
da parte della Regione esclusivamente nei confronti dell'ente risultante beneficiario.
§2. Si potrà prevedere, in relazione agli obblighi convenzionali, tempi e procedure per
la contestazione di eventuali inadempimenti o di comportamenti, anche omissivi, che
contrastano con il contenuto della convenzione, stabilendo eventuali specifiche
conseguenze per il mancato adempimento.
§3. Qualora sia ritenuto opportuno, gli enti contraenti potranno affidare agli stessi
organismi di consultazione (o ad appositi organismi a tal fine costituiti) la risoluzione di
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problematiche attinenti lo svolgimento della gestione associata o l’interpretazione della
convenzione.
CAPO IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 15
(Disposizioni di rinvio)
§1. Per quanto non previsto nella presente convenzione, potrà rinviarsi alle norme del
codice civile applicabili e alle specifiche normative vigenti nelle materie oggetto della
convenzione. §2. Eventuali modifiche o deroghe alla Convenzione potranno essere
apportate dai Consigli Comunali soltanto con atti aventi le medesime formalità della
presente.
Art. 16
(Esenzioni per bollo e registrazione)
§1. Per tali adempimenti, si osserveranno le norme di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.
642, allegato B, articolo 16, e al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
*********
Atto redatto dal …………., letto e sottoscritto dai contraenti e dagli stessi approvato per
essere in tutto conforme alla loro volontà, atto che si compone di n. …. pagine, che
viene firmato dalle parti.
Sottoscrizione di tutti i partecipanti
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GUIDA ALLA REDAZIONE DI CONVENZIONE
per lo svolgimento di funzioni comunali mediante delega ad altro ente locale
INDICE
Capo I – Disposizioni generali
Art. 1 – Oggetto della convenzione
Art. 2 – Enti partecipanti alla gestione associata e ente responsabile della gestione
Art. 3 – Finalità
Art. 4 – Funzioni, attività e servizi conferiti; procedimenti di competenza dell’ente
delegato
Art. 5 – Attività che restano nella competenza dei singoli Comuni
Capo II – Disciplina delle funzioni delegate
Art. 6 – Regolamenti per lo svolgimento delle funzioni
Capo III – Rapporti tra i soggetti convenzionati
Art. 7 – Decorrenza e durata della convenzione
Art. 8 – Strumenti di consultazione tra i contraenti
Art. 9 – Risorse per la gestione associata, rapporti finanziari, garanzie
Art. 10 – Dotazione di personale
Art. 11 – Beni e strutture
Art. 12 – Recesso, scioglimento del vincolo convenzionale
Art. 13 – Altri rapporti
Capo IV – Disposizioni finali
Art. 14 – Disposizioni di rinvio
Art. 15 – Esenzioni per bollo e registrazione
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CONVENZIONE PER LA GESTIONE ASSOCIATA DI FUNZIONI AMMINISTRATIVE E
SERVIZI IN MATERIA DI ………….. MEDIANTE DELEGA A …………………
**********
L’anno …… il giorno …... del mese di ….… presso la sede di ……………... posta in …….
Tra
1 – Il Comune di ……, in persona del ……………………, domiciliato per la sua carica in
…………., il quale interviene nel presente atto in forza della delibera consiliare n.
………..
del ……., esecutiva, con la quale si è altresì approvata la presente convenzione;
2 – Il Comune di ……, in persona del ……………………, domiciliato per la sua carica in
…………., il quale interviene nel presente atto in forza della delibera consiliare n.
………..
del ……., esecutiva, con la quale si è altresì approvata la presente convenzione;
3 – Il Comune…….
PREMESSO CHE
-…… Nelle premesse è utile citare in primo luogo le normative che attribuiscono le
funzioni, le attività, i servizi oggetto della convenzione alla competenza del Comune; in
tale ambito sarà opportuno segnalare le disposizioni (di legge ed eventualmente degli
Statuti) che consentono ai soggetti firmatari della convenzione di rappresentare i
rispettivi enti in questa sede.
In caso di convenzione con ente diverso dal Comune), si citeranno la normativa che
disciplina il funzionamento dell’ente stesso, la possibilità di gestire le funzioni per conto
dei Comuni, e l’articolo o gli articoli del decreto legislativo n. 267/2000 (l’articolo 30, ed
eventualmente altri che siano rilevanti nella fattispecie) e le principali normative che
disciplinano la forma associativa prescelta.
Si dovranno poi indicare le precedenti convenzioni, accordi di programma e intese già
stipulati dai soggetti contraenti nelle funzioni, nelle attività, nei servizi oggetto della
convenzione, dando conto se alcuni di essi siano mantenuti in vigore in quanto
compatibili; si indicheranno inoltre le valutazioni di opportunità ed in generale i
presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato l’attivazione della gestione
associata.
Sarà utile anche fare riferimento alle leggi che regolano le funzioni, le attività, i servizi
oggetto di conferimento, eventualmente menzionandone gli articoli particolarmente
significativi.
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si conviene e si stipula quanto segue:
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
(Oggetto della convenzione)
§1. Con la presente convenzione si conferisce la delega, ai sensi dell’articolo 30 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di funzioni e servizi comunali ad uno degli
enti firmatari, che accetta di esercitare tale delega; si indicano inoltre in questo articolo
le funzioni e i servizi oggetto del conferimento.
Art. 2
(Enti partecipanti alla gestione associata e ente responsabile della gestione)
§1. Si indicano i Comuni che aderiscono alla Convenzione e che conferiscono la delega,
nonché il Comune o l’ente locale che accetta di esercitarla.
Art. 3
(Finalità)
§1. Si esplicitano gli obiettivi comuni alle amministrazioni stipulanti, che si intendono
perseguire con la gestione associata: economicità, efficacia ed efficienza
dell’amministrazione; miglioramento del servizio e distribuzione ottimale dei servizi sul
territorio; valorizzazione e sviluppo delle professionalità degli operatori, ecc.
Art. 4
(Funzioni, attività e servizi conferiti; procedimenti di competenza dell’ente delegato)
§1. Si individuano in modo dettagliato le funzioni e i servizi oggetto della gestione
associata, anche mediante riferimento alle normative che ne regolano lo svolgimento o
l’erogazione.
§2. In particolare, dovrà essere specificato l’oggetto della delega: questa potrà essere
più o meno ampia, e concernere l’insieme delle funzioni amministrative di competenza
comunale (regolative, gestionali, di erogazione di servizi) in una certa materia, o
soltanto alcune di queste funzioni, specificamente indicate.
§3. La scelta in ordine alle attribuzioni dell’ente delegato deve cogliere, in relazione alla
diversa natura di funzioni, attività e servizi, il nucleo fondamentale della gestione
associata, che la rende economica, efficace, efficiente, migliorativa dei servizi per i
cittadini. In ogni caso, non è possibile limitare la delega solo a compiti istruttori o ad
alcune attività di organizzazione del servizio (sovrintendenza, coordinamento, ecc.),
poiché la delega ha la caratteristica di spostare l’esercizio della competenza da un
soggetto ad un altro, cosicché quest’ultimo, in sostanza, si vede dilatata la sfera di
azione sul territorio di tutti i Comuni partecipanti, nel quale agisce, appunto, come
soggetto delegato.
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§4. Ai fini della corretta definizione dei contenuti della delega, e della massima
chiarezza e consapevolezza degli effetti che conseguono alla stipula della convenzione,
è necessario fornire una indicazione precisa dei servizi, delle attività e dei procedimenti
amministrativi che devono essere svolti sulla base della delega medesima.
§5. La delega, oltre all’elencazione (puntuale e necessaria) prevista dal §4, può
ovviamente avere ulteriori contenuti. Questi ulteriori contenuti dovrebbero essere a
loro volta sufficientemente specificati; si ritiene anche possibile che siano formulati in
maniera non tassativa, ad esempio facendo riferimento a tutti gli ulteriori servizi, attività,
interventi, procedimenti amministrativi che attengono ad una certa materia di
competenza degli enti, magari per non irrigidire le competenze dell’ente delegato solo
per quanto ulteriormente elencato e consentire di adeguare il contenuto della delega
alla discipline successive della materia. Questa operazione deve risultare chiaramente,
quale effettiva intenzione degli enti partecipanti; appare però necessario che si
individui la Conferenza dei Sindaci quale organo cui affidare, con atto ricognitivo, il
completamento dell’elenco. Ovviamente, il rinvio ad ulteriori atti ricognitivi ha senso
solo se ha carattere sussidiario, cioè solo se la convenzione è sufficientemente
dettagliata anche per questa parte più ampia. Questa tecnica potrebbe anche essere
utilizzata, e dunque prevista espressamente in convenzione, per aggiornare il contenuto
della delega a successive discipline di legge, che intervengono su specifici
procedimenti amministrativi o attività; questa operazione tuttavia deve ritenersi
possibile solo se quanto conferito in modo espresso sia sufficientemente dettagliato, in
modo da rendere chiaro il carattere sostanzialmente ricognitivo e non innovativo
dell’eventuale specificazione. Negli altri casi (ad esempio nel caso di attribuzione di
nuove competenze per lo svolgimento di servizi) si ritiene necessario integrare il
contenuto della convenzione con un ulteriore atto associativo.
§6. Resta comunque fermo il pieno rispetto di ogni altra normativa inderogabile da parte
degli enti partecipanti.
Art. 5
(Attività che restano nella competenza dei singoli Comuni)
§1. Sarà utile indicare quei procedimenti, subprocedimenti e attività che, nella materia
oggetto di gestione associata, restano di competenza dei singoli Comuni, tenuto conto
di quanto stabilito all’articolo 4. Questa indicazione, cui deve porsi attenzione per
evitare duplicazioni o incongruenze rispetto all’oggetto della delega, è particolarmente
significativa ai fini della corretta interpretazione della convenzione.
CAPO II
DISCIPLINA DELLE FUNZIONI DELEGATE
Art. 6
(Regolamenti per lo svolgimento delle funzioni)
§1. Particolare attenzione dovrà essere data ai rapporti tra la convenzione di delega e la
regolamentazione dello svolgimento delle funzioni delegate.
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§2. In linea di massima, la regolamentazione dello svolgimento delle funzioni potrebbe
restare in capo ad ogni singolo Comune, senza determinare particolari problemi
amministrativi. Nella maggioranza dei casi, tuttavia, la funzionalità del servizio è
assicurata anche dal fatto che l’ente delegato è messo in condizione di applicare
regolamenti sufficientemente uniformi. Per conseguire questo risultato appare
possibile: a) affidare l’adozione del regolamento sullo svolgimento della funzione
all’ente destinatario della delega, che lo eserciterà sulla base delle direttive contenute
nella convenzione o adottate dalla Conferenza dei Sindaci; b) procedere da parte degli
enti convenzionati (deleganti e delegato) all’adozione di singoli regolamenti aventi il
medesimo contenuto, eventualmente approvati insieme alla convenzione. E’ comunque
opportuno che nella convenzione gli enti si impegnino a risolvere questo problema
secondo modalità condivise, curando il rispetto delle forme di pubblicità che sono
richieste dagli Statuti, dalle leggi di settore e, in linea generale, dalla legge 241/90. La
chiara disciplina delle competenze regolamentari, anche in una fase transitoria,
rappresenta una garanzia sul buon funzionamento della gestione associata e sulla
effettiva possibilità di esercitare le attività previste dalla convenzione.
§3. La scelta più opportuna ed efficace sulla regolamentazione dello svolgimento delle
funzioni va posta in stretta relazione con il contenuto essenziale della gestione associata
e con le caratteristiche delle funzioni delegate (decisorie e di erogazione di servizi).
CAPO III
RAPPORTI TRA SOGGETTI CONVENZIONATI
Art. 7
(Decorrenza e durata della convenzione)
§1. La convenzione prevista dall’articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000 deve
obbligatoriamente stabilire la decorrenza e la durata espressa del vincolo associativo.
Per essere considerata nella concessione del contributo, la durata della convenzione
deve avere entrambi i seguenti requisiti: deve essere almeno di due anni dalla
stipulazione e, in aggiunta, di almeno un anno dalla data prevista per la conclusione del
procedimento di concessione del contributo. In sostanza, saranno escluse dal contributo
le gestioni associate per le quali non è prevista espressamente una durata minima, che
dia il senso della volontà degli enti di impegnarsi reciprocamente per realizzare una
esperienza associativa compiuta. La durata così espressa non esclude comunque la
previsione della facoltà di recesso di singoli partecipanti o lo scioglimento consensuale
del vincolo associativo.
§2 - Nell’articolo si espliciteranno anche la possibilità e le formalità di rinnovo della
convenzione.
Art. 8
(Strumenti di consultazione tra i contraenti)
§1. La gestione associata deve operare nell’interesse di tutti gli enti partecipanti, a
prescindere dalla loro quota di partecipazione, e di tutti i cittadini dei Comuni
interessati.
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§2. L’articolo 30 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede l’indicazione delle
forme di consultazione tra gli enti contraenti come un elemento essenziale della
convenzione: a tal fine, dovrà individuarsi un apposito organismo che comprenda i
Sindaci dei Comuni convenzionati (es. Conferenza dei Sindaci) o i loro delegati, che –
nel rispetto delle norme sul riparto delle competenze politiche e gestionali di cui al
Titolo III, Capo I, del decreto legislativo n. 267 del 2000, in relazione all’articolo 107 del
decreto legislativo medesimo – esamini le questioni di interesse comune, verifichi la
rispondenza dell’azione dell’ente delegato ai programmi delle rispettive
amministrazioni, ed eserciti in modo unitario il potere di sovrintendenza generale sul
funzionamento dei servizi.
§3. L’istituto stesso della delega intersoggettiva (tra enti locali) comporta che l’esercizio
della funzione viene conferita all’ente delegato. Pertanto, il responsabile operativo della
gestione associata, individuato dall’ente delegato, sarà sottoposto ai poteri di indirizzo e
controllo esclusivamente da parte del Sindaco (o del Presidente) del proprio ente di
appartenenza; le regole sugli strumenti di consultazione servono anche a sollecitare il
confronto tra tutti i rappresentanti politici dei Comuni convenzionati. In queste sedi
istituzionali di consultazione possono essere espresse le direttive comuni per la
gestione della funzione delegata. Non sarebbe invece coerente affidare il potere di
direttiva ad ogni singolo ente delegante, poiché tale singola attribuzione contrasta con il
tratto comune della gestione associata.
§4. Alcuni enti associati prevedono nelle convenzioni anche la costituzione di comitati o
gruppi di lavoro composti da loro rappresentanti o referenti tecnici, anche con funzioni
di supporto alle sedi di consultazione istituzionale; ove si proceda in tal senso, occorre
delimitare con chiarezza i compiti di questi organismi, onde evitare che assumano su di
sé parte dei compiti propri degli uffici dell’ente delegato, mettendo sostanzialmente in
discussione l’effettività della gestione associata.
§5. Si ricorda che, ai fini della concessione del contributo, anche in caso di delega
occorre che sia individuata la struttura operativa destinata a svolgere concretamente i
compiti e le funzioni attributi all’ente delegato, e che ne sia anche individuato il
responsabile. Si suggerisce di non inserire dette disposizioni in convenzione,
eventualmente prevedendo invece tempi e modi per questa individuazione; se si
sceglie comunque di provvedere in tal senso direttamente in
convenzione, sarà opportuno prevedere comunque la possibilità di effettuare una
diversa individuazione della struttura e, soprattutto, del suo responsabile, senza perciò
dover modificare la convenzione.
Art. 9
(Risorse per la gestione associata, rapporti finanziari, garanzie)
§1. Nel presente articolo si darà conto dei rapporti finanziari tra gli enti convenzionati in
relazione alle funzioni oggetto di delega. Anche la disciplina di questi rapporti è
obbligatoria per legge.
§2. A tal fine si indicheranno le somme – ovvero le modalità di ripartizione delle quote –
che i Comuni si impegnano a destinare all’ente delegato per le funzioni oggetto di
delega, possibilmente distinguendo tra le spese ordinarie di funzionamento e le risorse
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per lo svolgimento della funzione; si potranno inoltre prevedere le modalità di
rendicontazione delle spese ai soggetti deleganti.
§3. I soggetti firmatari dovranno comunque verificare la coerenza complessiva dei loro
strumenti contabili ed organizzativi con la gestione associata, ed adottare i
provvedimenti più opportuni perché tale coerenza sia realizzata tempestivamente.
Art. 10
(Dotazione di personale)
§1. Se ritenuto necessario, in questo articolo si individuerà la dotazione di personale che
si ritiene congrua per l’esercizio dei compiti conferiti: l’ente delegato potrà operare con
personale in propria dotazione, o con personale distaccato o comandato dagli altri enti
partecipanti.
§2. Se, in particolare, è previsto che le attività siano svolte in modo non continuativo da
parte dell’ufficio competente, è opportuno convenire la possibilità di avvalersi del
personale in dotazione agli enti convenzionati in relazione ai vari procedimenti
attivabili, stabilendo le modalità ed i limiti di tale avvalimento.
§3. La concreta attribuzione del personale di cui sopra avverrà con appositi atti di
carattere organizzativo, da adottarsi entro un termine stabilito tra le parti.
Art. 11
(Beni e strutture)
§1. Per l’esercizio delle funzioni associate, potranno essere indicate le sedi, le strutture
e le attrezzature messe a disposizione, o che è stabilito che siano messe a disposizione,
dell’ente delegato da parte dei Comuni contraenti.
§2. Ai fini di una migliore dislocazione dei servizi sul territorio, si potrà prevedere
l’utilizzazione di sportelli decentrati per il pubblico, esclusivamente con funzioni di front
office, e posti comunque sotto la direzione del responsabile della gestione associata.
Art. 12
(Recesso, scioglimento del vincolo convenzionale)
§1. Si prevederanno in questo articolo le formalità e gli obblighi di preavviso per il
recesso da parte di singoli Comuni, nonché le modalità di definizione di eventuali
residui patrimoniali.
§2. Ugualmente, potranno prevedersi delle procedure apposite per lo scioglimento
contestuale dei vincoli convenzionali da parte di tutti gli enti.
Art. 13
(Altri rapporti)
§1. Nella convenzione è necessario indicare le modalità con cui si intendono utilizzare
gli eventuali contributi per la gestione associata. E’ altresì opportuno indicare le
modalità con cui gli enti regolano i rapporti tra loro in caso di revoca – parziale o totale
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– dei contributi medesimi, stante il fatto che la revoca opererà da parte della Regione
esclusivamente nei confronti dell'ente risultante beneficiario.
§2. Si potrà prevedere, in relazione agli obblighi convenzionali, tempi e procedure per
la contestazione di eventuali inadempimenti o di comportamenti, anche omissivi, che
contrastano con il contenuto della convenzione, stabilendo eventuali specifiche
conseguenze per il mancato adempimento.
§3. Qualora sia ritenuto opportuno, gli enti contraenti potranno affidare agli stessi
organismi di consultazione (o ad appositi organismi a tal fine costituiti) la risoluzione di
problematiche attinenti lo svolgimento della gestione associata o l’interpretazione della
convenzione.
CAPO IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 14
(Disposizioni di rinvio)
§1 - Per quanto non previsto nella presente convenzione, potrà rinviarsi alle norme del
codice civile applicabili e alle specifiche normative vigenti nelle materie oggetto della
convenzione.
§2 – Eventuali modifiche o deroghe alla convenzione potranno essere apportate dai
Consigli Comunali con atti aventi le medesime formalità della presente.
Art. 15
(Esenzioni per bollo e registrazione)
§1 - Per tali adempimenti, si osserveranno le norme di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.
642, allegato B, articolo 16, e al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
************
Atto redatto dal ……., letto e sottoscritto dai contraenti e dagli stessi approvato per
essere in tutto conforme alla loro volontà, atto che si compone di n. …. pagine, che
viene firmato dalle parti.
Sottoscrizione di tutti i partecipanti
…………..
…………..
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STATUTO TIPO Unione speciale dei Comuni
STATUTO DELL'UNIONE SPECIALE DEI COMUNI…….
TITOLO I
PRINCIPI FONDAMENTALI Art.1 - Istituzione dell'Unione speciale tra i Comuni di ………………………………………. Art.2 - Finalità dell'Unione Art.3 - Principi e criteri generali dell'azione amministrativa Art.4 - Durata dell'Unione Art.5 - Funzioni dell’Unione Art.6 - Attribuzione di ulteriori competenze all'Unione
TITOLO II ORGANI DI GOVERNO
Art. 7 - Organi Art. 8 - Composizione ed organizzazione interna Art.9 - Competenze Art.10 - Diritti e doveri dei consiglieri Art.11 - Decadenza e dimissioni dei Consiglieri Art.12 - Normativa applicabile
TITOLO III ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Art.13 - Principi generali Art.14 - Principi in materia di gestione del personale Art.15 – Segretario e Direttore Art.16 - Principi di collaborazione Art.17 - Principi della partecipazione Art.18 - Principi in materia di servizi pubblici locali
TITOLO IV FINANZA E CONTABILITA' Art.19 - Finanze dell’Unione Art.20 - Bilancio e programmazione finanziaria Art.21 - Ordinamento contabile e servizio finanziario Art.22- Revisione economica e finanziaria Art.23 - Affidamento del servizio di tesoreria
TITOLO V NORME TRANSITORIE E FINALI
Capo I - Norme transitorie Art.24 - Atti regolamentari Capo II – Norme finali Art.25 - Inefficacia delle norme regolamentari comunali incompatibili Art.26 - Proposte di modifica dello Statuto Art.27 - Norma finanziaria Art.28 - Norma finale
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TITOLO I PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1 Istituzione dell'Unione speciale tra i comuni di
………………………………………………….
1. Il presente statuto, approvato dai consigli comunali di ………… . con le procedure e le maggioranze richieste per le modifiche statutarie individua gli organi, le modalità per la loro costituzione, le funzioni e le corrispondenti risorse dell'Unione speciale istituita con L.R. n. 18/2011 e denominata ……………. 2. L’Unione speciale si costituisce per lo svolgimento di una pluralità di funzioni e servizi dei Comuni aderenti 3. La sede dell'Unione è situata a ………………………..., i suoi organi ed uffici possono rispettivamente riunirsi ed essere situati anche in sede diversa, purché ricompresa nell'ambito del territorio che la delimita. 4. L'ambito territoriale dell'Unione coincide con quello dei Comuni che la costituiscono. 5. L'Unione può dotarsi, con delibera consiliare, di un proprio stemma, la cui riproduzione e l'uso sono consentiti previa autorizzazione del Presidente.
Art. 2 Finalità del Unione
1. L’Unione speciale persegue l’autogoverno e promuove lo sviluppo delle Comunità locali che la costituiscono. 2. Con riguardo alle proprie attribuzioni l’Unione rappresenta la Comunità di coloro che risiedono sul suo territorio e concorre a curarne gli interessi. 3. L’Unione ha lo scopo di migliorare la qualità dei servizi erogati attraverso la realizzazione, in forma associata, degli assetti organizzativi più appropriati per lo svolgimento adeguato e ottimale delle funzioni, il perseguimento di economie di scala, l’integrazione e quindi il potenziamento delle strutture. 4. L’Unione persegue la collaborazione e la cooperazione con tutti i soggetti pubblici e privati e promuove la partecipazione delle cittadine e dei cittadini, delle forze sociali, economiche, sindacali alla amministrazione. 5. L’Unione costituisce, ai sensi della legislazione statale e regionale, ambito territoriale ottimale per lo svolgimento di funzioni e servizi comunali in forma associata. 6. L’Unione concorre alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi comunali, della Regione Umbria, dello Stato e dell’Unione Europea e provvede alla loro specificazione ed attuazione. 7. E’ compito dell’Unione promuovere la progressiva integrazione dell’azione amministrativa fra i Comuni che la costituiscono, da realizzarsi anche mediante il trasferimento di ulteriori funzioni e servizi comunali oltre a quelli trasferiti con il presente Statuto
Art. 3 Principi e criteri generali dell'azione amministrativa
1. L’Unione speciale dei Comuni ……………..in seguito chiamata “Unione”, è costituita ai sensi della L.R. n. 18/2011, a partire dal ………... 2. L’unione è Ente Locale, fa parte del sistema delle autonomie locali della Repubblica Italiana, delle comunità locali della Regione Umbria ed è costituita per l’esercizio delle funzioni e dei servizi indicati nel successivo art. 5. 3. L’azione amministrativa dell’Unione tende al costante miglioramento dei servizi
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offerti e alla estensione della loro fruibilità, alla tempestività e semplificazione degli interventi di propria competenza e al contenimento dei costi. 4. In particolare l’Unione assume il metodo e gli strumenti della programmazione, raccordando la propria azione amministrativa con quella degli altri Enti pubblici operanti sul territorio; informa i rapporti con i comuni partecipanti e con gli altri enti pubblici al principio della leale collaborazione; organizza la propria struttura secondo criteri di responsabilità e di separazione funzionale tra indirizzo politico e gestione; assume e gestisce i servizi pubblici locali secondo criteri di economicità, efficacia ed efficienza; promuove la semplificazione dell’attività amministrativa.
Art. 4 Durata dell'Unione
1. L’Unione è costituita a tempo indeterminato.
Art. 5 Funzioni dell'Unione
1. I Comuni possono conferire all'Unione l'esercizio di ogni attività e funzione amministrativa propria o ad essi delegata, nonché la gestione, diretta o indiretta, di servizi, compatibilmente con le normative disciplinanti la materia. 2. E’ attribuito all’Unione, in via di primo conferimento da parte di tutti i Comuni, l'esercizio delle seguenti funzioni amministrative fondamentali di cui al comma 3 dell’art. 21 della legge n 49/ :
- … . . - … . . - … . . - … . . Possono essere conferite in fasi successive, da parte di due o più comuni, le funzioni riconducibili alle seguenti aree: - … . . - … . . - … . . - … . . - … . . 3. Il conferimento di funzioni e servizi all’Unione di cui al comma 2 si perfeziona con l’approvazione a maggioranza semplice, da parte dei Consigli comunali aderenti e subito dopo del Consiglio dell’Unione, di conformi delibere comprendenti uno schema di convenzione, da sottoscrivere formalmente e nella quale si prevede: a) il contenuto della funzione o del servizio conferito, b) i criteri relativi ai rapporti finanziari tra gli enti, c) gli eventuali trasferimenti di risorse umane, finanziarie e strumentali, d) la durata, qualora non coincidente con quella dell’Unione, e) le modalità di revoca. 4. Il conferimento dei servizi e delle funzioni all’Unione implica il subentro dell'Unione stessa in tutte le funzioni amministrative connesse, già esercitate dai Comuni, secondo le modalità indicate nelle convenzioni, nei relativi contratti attivi e
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passivi stipulati dai Comuni, nonché nelle concessioni per l'affidamento dei servizi pubblici. 5. Sono, altresì esercitate dall’Unione speciale dei Comuni le seguenti funzioni conferite dalla Regione Umbria: Funzioni in materia di politiche sociali
a) funzioni attribuite agli A.T.I. ai sensi della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 26 (Disciplina per la realizzazione del sistema integrato di Interventi e Servizi Sociali).
Funzioni in materia di turismo
a) informazione e accoglienza turistica, sulla base di indirizzi, criteri e standard stabiliti, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lett. d) della l.r. 18/2006. Al fine di garantire omogeneità dell’informazione e dei servizi su tutto il territorio regionale, alla Regione compete il coordinamento, anche tecnico, delle funzioni, ivi compresa la definizione della consistenza e della dislocazione degli uffici di informazione e accoglienza turistica di area vasta;
b) raccolta e trasmissione alla Regione dei dati statistici mensili, acquisiti dai comuni, sul movimento turistico, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, lett. e), punto 1 della l.r. 18/2006;
c) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive e conseguente rilascio dei cartellini vidimati, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, lett. e), punto 2 della l.r. 18/2006;
d) raccolta e redazione delle informazioni turistiche locali ai fini dell’implementazione del portale turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on line;
e) vigilanza e controllo, ivi compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture e le attività ricettive, sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in forma professionale e non professionale, sull’esercizio delle professioni turistiche, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, lett. f) e g) della l.r. 18/2006, nonché sulle attività connesse alla statistica sul turismo;
f) realizzazione di specifici progetti in materia di valorizzazione dell’offerta turistica locale, approvati dalla Giunta regionale ed espressamente affidati all’unione speciale di comuni.
Funzioni in materia di boschi e di terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici
a) autorizzazioni per la realizzazione di interventi fatto salvo quanto disposto dall’articolo 22 bis della legge regionale 18 febbraio 2004, n. 1 (Norme per l’attività edilizia);
b) tabellazione delle strade e piste sulle quali è vietata la circolazione nei terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici e nei boschi;
c) individuazione delle aree nelle quali è consentita la circolazione dei veicoli a motore per lo svolgimento di manifestazioni pubbliche e gare;
d) esame dei ricorsi avverso le sanzioni;
e) rilascio delle autorizzazioni all’abbattimento e spostamento di alberi sottoposti a tutela e raccolta ed estirpazione delle specie erbacee ed arbustive sottoposte a tutela in aree diverse da quelle indicate all’articolo 3, comma 3, della l.r. 28/2001;
f) autorizzazioni all’impianto di talune specie arboree, secondo quanto indicato all’articolo 15 della l.r. 28/2001;
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g) autorizzazioni in deroga alle prescrizioni in materia di incendi boschivi, ai sensi dell’articolo 24, comma 2 della l.r. 28/2001;
h) tenuta dell’elenco delle ditte boschive e degli operatori forestali;
i) funzioni amministrative concernenti l’imposizione, l’esclusione e l’esenzione sui terreni del vincolo idrogeologico;
j) rilascio di certificati di provenienza per il materiale forestale di moltiplicazione.
Funzioni in materia agricola
a) riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto ai sensi dell’articolo 48 della legge 2 giugno 1961, n. 454 e successive modificazioni e integrazioni e di imprenditore agricolo professionale ai sensi dell’articolo 1 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 come modificato e integrato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101, ai fini dell’applicazione delle norme nazionali, regionali, provinciali, comunali, vigenti;
b) attestazione all’Ufficio del Registro del mantenimento benefici fiscali a favore del coltivatore diretto ai sensi della legge 6 agosto 1954, n. 604 e dell’imprenditore agricolo professionale ai sensi della legge 21 febbraio 1977, n. 36;
c) controllo in ordine al compendio unico sul rispetto dei termini e delle condizioni previste dall’articolo 7 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 e successive modificazioni e integrazioni;
d) gestione degli impianti irrigui già in carico all’Agenzia regionale umbra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (ARUSIA) ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 26 ottobre 1994, n. 35, compresa l’emissione di ruoli per il pagamento dell’acqua da parte dell’utenza ai sensi della legge regionale 23 dicembre 2004, n. 30;
e) attività istruttoria relativa ad interventi mirati alla ripresa delle attività produttive a seguito di calamità naturali ai sensi del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 102 e successive modifiche e integrazioni;
f) attività connesse al servizio a favore Utenti Motori Agricoli con esclusione delle funzioni previste dall’articolo 3, comma 3, dall’articolo 8 del D.M. 14 dicembre 2001, n. 454, delle funzioni previste dall’articolo 2, comma 2, dall’articolo 7, comma 2 e dall’articolo 8 del Regolamento regionale 9 gennaio 2003, n. 1 e delle funzioni previste dal D.M. 26 febbraio 2002;
g) attività istruttoria relativa alle rilevazioni statistiche (campionarie e periodiche) in agricoltura;
h) parere relativo alla estinzione anticipata, alla restrizione ipotecaria ed accollo operazioni creditizie agrarie agevolate ai sensi dell’articolo 47 del d.lgs. 1 ettembre 1993, n. 385;
i) verifica della idoneità tecnico-produttiva dei vigneti, ai fini della rivendicazione della produzione di vini a D.O./I.G. ai sensi del d.lgs. 8 aprile 2010, n. 61;
j) accertamenti sugli impianti viticoli connessi alla estirpazione, reimpianto e nuovi impianti ai sensi del Regolamento C.E. n. 1234 del 22 ottobre 2007 e successive modifiche e integrazioni;
k) autorizzazione all’acquisto di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, disciplinati dagli articoli 25 e 26 del d.p.r. 23 aprile 2001, n. 290;
l) controllo delle aziende che praticano metodi di produzione biologica previsto dalla legge regionale 28 agosto 1995, n. 39;
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m) individuazione degli elementi per la definitiva assegnazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate ai sensi della legge 4 agosto 1978, n. 440 e della legge regionale 29 maggio 1980, n. 59;
n) vertenze su patti e contratti agrari ai sensi degli articoli 16, 17, 31, 46 e 50 della legge 3 maggio 1982, n. 203.
Funzioni in materia di funghi e tartufi
a) autorizzazioni alla raccolta di funghi a particolari categorie di raccoglitori ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge regionale 21 febbraio 2000, n. 12 e ai non residenti in Umbria, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della medesima legge;
b) irrogazione delle sanzioni per le violazioni alle disposizioni non comprese nel Titolo II della l.r. 12/2000 ai sensi dell’articolo 14, comma 1, della medesima legge;
c) attestazioni di riconoscimento delle tartufaie controllate o coltivate ai sensi dell’articolo 9, comma 1, della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6;
d) approvazione della delimitazione del comprensorio consorziato di cui all’articolo 4, comma 2 della legge 16 dicembre 1985, n. 752, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, della l.r. 6/1994;
e) limitazione o temporanea sospensione della raccolta, ai sensi dell’articolo 12, comma 9, della l.r. 6/1994;
f) rilascio tesserini di autorizzazione alla raccolta ai sensi degli articoli 13 e 14, della l.r. n. 6/1994;
g) istituzione di appositi albi, nei quali sono iscritte le tartufaie controllate e coltivate ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della l.r. 6/1994;
h) mappatura delle zone particolarmente vocate alla diffusione della tartuficoltura ai sensi dell’articolo 19, comma 1, della l.r. 6/1994;
i) funzioni amministrative in materia di sanzioni ai sensi dell’articolo 20, comma 1, della l.r. 6/1994;
j) funzioni amministrative inerenti l’applicazione della legge regionale 28 maggio 1980, n. 57 e successive modificazioni e integrazioni, compresa la decisione dei ricorsi amministrativi e di rappresentanza in giudizio ai sensi dell’articolo 22, comma 5, della l.r. 6/1994;
k) iniziative di tutela, di valorizzazione ed incremento del patrimonio tartuficolo, ai sensi dell’articolo 15 della l.r. 6/1994.
Funzioni in materia di bonifica (l.r. 30/2004 e s.m. e i.) nei territori ove non operano i consorzi di bonifica
a) la sistemazione e l’adeguamento della rete scolante, le opere di raccolta, le opere di approvvigionamento, utilizzazione e distribuzione di acqua ad uso irriguo;
b) le opere di sistemazione e regolazione dei corsi d’acqua di bonifica e irrigui, comprese le opere idrauliche sulle quali sono stati eseguiti interventi ai sensi del r.d. 215/1933;
c) le opere di difesa idrogeologica;
d) gli impianti di sollevamento e di derivazione delle acque;
e) le opere per la sistemazione idraulico-agraria e di bonifica idraulica;
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f) le infrastrutture di supporto per la realizzazione e la gestione di tutte le opere di cui alle precedenti lettere;
g) le opere finalizzate alla manutenzione e al ripristino, nonché quelle di protezione dalle calamità naturali, in conformità al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102;
h) le opere di completamento, adeguamento funzionale e normativo, ammodernamento degli impianti e delle reti irrigue e di scolo;
i) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere di cui alle precedenti lettere;
j) gli interventi e le opere di riordino fondiario.
Art. 6
Attribuzione di ulteriori competenze all'Unione e revoca 1. Il trasferimento di ulteriori competenze all’Unione da parte di due o più Comuni aderenti, è deliberato dai Consigli Comunali e dal Consiglio dell’Unione, a maggioranza assoluta, mediante approvazione di una convenzione contenente gli elementi di cui all’art. 6 comma 3, entro il mese di settembre ed ha effetto a decorrere dal 1°gennaio dell’anno successivo; 2. La revoca all’Unione di funzioni e compiti già conferiti è deliberata dai Consigli dei comuni interessati a maggioranza assoluta entro il mese di giugno di ogni anno ed ha effetto a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo. Con lo stesso atto i Comuni provvedono a regolare gli eventuali profili successori.
TITOLO II ORGANI DI GOVERNO
Art. 7
Organi 1. Gli organi di governo dell’Unione sono l’Assemblea ed il Presidente 2. Assumono la qualità di organi di gestione il Segretario Generale, il Direttore e tutti i dipendenti ai quali siano state attribuite le funzioni di direzione. 3. I componenti degli organi istituzionali dell’Unione esercitano il loro mandato senza percepire indennità di funzione. Agli stessi spetta il rimborso delle spese, eventualmente, sostenute per l’esercizio e la partecipazione alle attività istituzionali degli organi.
Capo II L’Assemblea
Art. 9
Composizione ed organizzazione interna 1. L ’Asse mb le a è composta dai Sindaci dei Comuni partecipanti o da Assessori o Consiglieri dagli stessi Sindaci delegati,. 2. L ’Asse mb le a dell’Unione viene integrata dai nuovi rappresentanti ogni qualvolta si proceda all’elezione della/del sindaco ed al rinnovo del consiglio comunale in uno dei Comuni facenti parte. .
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Art. 10 Competenze
1. All’Asse mb le a spetta determinare l’indirizzo politico-amministrativo dell’Unione e controllarne l’attuazione. L ’Assemb le a, in particolare, è competente per l’adozione dei seguenti atti a maggior rilevanza(atti di cui all’art. 42 del D.Lgs 267/2000, in quanto compatibili):
• gli atti di programmazione pluriennale;
• il bilancio di previsione e il conto consuntivo;
• ……………
• …………… 2. L’Assemblea dell’Unione promuove altresì il coordinamento delle decisioni dei singoli Comuni nelle residue materie di loro competenza; a tal fine ciascuno dei Comuni può sottoporre al consiglio dell’Unione gli schemi di deliberazione da adottare. 3. L’Assemblea dell’Unione adotta i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi dell’unione. 4. L’ Assemblea adotta gli atti di amministrazione anche a rilevanza esterna che non rientrino nelle competenze, previste dal D. Lgs. 267/2000 T.U.E.L. o dal presente statuto, della/del Presidente, della/del Segretario, della/del Direttore o delle/ dei funzionari. 5. L’Assemblea regolamento per disciplinare il proprio funzionamento, nel quadro dei principi stabiliti dal presente statuto, in particolare, le modalità per la convocazione, la presentazione e la discussione delle proposte, il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza, nella prima convocazione, della metà più uno dei consiglieri assegnati. Il regolamento dovrà comunque garantire ai consiglieri tutte le prerogative e garanzie previste dalla legislazione vigente in materia
Art. 10 Diritti e doveri dei Consiglieri
1. I Consiglieri rappresentano l'intera comunità dell'Unione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato. 2. I Consiglieri esercitano le funzioni e godono delle prerogative stabilite dalla legge, secondo le procedure e le modalità stabilite dal regolamento per il funzionamento del consiglio. Essi hanno diritto di ottenere dagli uffici tutte le notizie e le informazioni in loro possesso utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge. Hanno inoltre il diritto di presentare interrogazioni, interpellanze e mozioni.
Art. 11 Il Presidente
1. Le funzioni del Presidente vengono svolte da uno dei Sindaci dei Comuni appartenenti all’Unione. 2. Fino all’elezione del Presidente le funzioni sono esercitate dal Sindaco del Comune di………………..
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3. Successivamente a tale data, le funzione di Presidente vengono assunte alternativamente ed a rotazione, con periodicità annuale, dai Sindaci dei Comuni aderenti all’Unione, secondo il seguente ordine: …………………………………... 4. Ogni causa di cessazione dalla carica di Sindaco, diversa dalla scadenza naturale, determina, appena divenuta efficace, la cessazione di diritto dalla carica di Presidente dell'Unione. In tal caso le funzioni di Presidente sono svolte dal p r e c e d e n t e Presidente fino alla sua sostituzione come disciplinata al comma 3. 5. Il Presidente svolge le funzioni attribuite dalla legge al Sindaco ed alla Giunta comunale, in quanto compatibili con il presente Statuto. In particolare, il Presidente presiede l’Assemblea, sovrintende all’espletamento delle funzioni attribuite all’Unione ed assicura l’unità di indirizzo politico- amministrativo dell’Ente. 6.Sulla base degli indirizzi stabiliti dall’Assemblea dell’Unione, il Presidente provvede alla nomina, alla designazione ed alla revoca dei rappresentanti dell’Unione presso enti, aziende, istituzioni e società.
Art. 12
Normativa applicabile 1. Ove compatibili e non diversamente stabilito, si applicano agli organi dell'Unione e ai loro componenti le norme sul funzionamento, il riparto delle competenze, lo stato giuridico ed economico e le incompatibilità stabilite dalla legge per i Comuni.
TITOLO III ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
Art. 13
Principi generali 1. L’organizzazione degli uffici deve assicurare l’efficace perseguimento degli obiettivi programmatici stabiliti dagli organi di governo. L’ordinamento generale degli uffici è determinato, nel rispetto della legge, del presente statuto e dei contratti collettivi di lavoro, da uno o più regolamenti deliberati dalla Giunta nell’ambito dei principi stabiliti dal Consiglio. 2. L’Unione può disporre di uffici propri o avvalersi degli uffici dei comuni partecipanti. 3. L’Unione adotta ogni utile strumento di verifica e monitoraggio degli obiettivi previsti nei programmi e progetti.
Art. 14
Principi in materia di gestione del personale 1. L’Unione si avvale di personale trasferito dalla regione Umbria in relazione alle funzioni trasferite e di personale dei Comuni in relazione alle funzioni dagli stessi conferite 2.L’Unione provvede alla formazione ed alla valorizzazione del proprio personale, diffondendo la conoscenza delle migliori tecniche gestionali; cura la progressiva informatizzazione della propria attività.
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3. Il personale dipendente è inquadrato nei ruoli organici ed inserito nella struttura dell’Unione secondo criteri di funzionalità e flessibilità operativa.
Art. 15 Segretario e Direttore
1. L’Unione ha un Segretario ed un Direttore, nominati dal Presidente, sentita l’Assemblea, di norma, tra i Segretari e Direttori dei comuni aderenti all’Unione. 2. Il Segretario ed il Direttore verranno nominati dal Presidente al momento del suo insediamento; 3. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi regolerà tutti gli aspetti relativi alle funzioni.
Art. 16 Principi di collaborazione
1. L'Unione ricerca con i comuni aderenti ogni forma di collaborazione organizzativa idonea a rendere la reciproca azione più efficace, efficiente ed economica. 2. L'Unione può proporre ai Comuni di avvalersi, per specifici compiti, di uffici, mezzi e personale comunali, mediante provvedimenti di distacco e/o comando, se del caso assunti mediante rotazione, a tempo pieno o parziale. L'Unione ed i Comuni, a seconda delle specifiche necessità, di norma correlate al carico delle attribuzioni rimesse alla competenza dell'Unione, possono altresì avvalersi dei vigenti istituti della mobilità volontaria e d'ufficio. 3. Il modello di organizzazione mediante avvalimento degli uffici comunali è subordinato alla stipula di un'apposita convenzione con i comuni interessati, ove saranno determinate le modalità di raccordo con i sistemi di direzione tanto dell'Unione quanto degli stessi comuni. 4. L'Unione adotta iniziative dirette ad assimilare ed unificare i diversi metodi e strumenti dell'attività amministrativa tra i comuni partecipanti. 5. L’Unione può effettuare assunzioni di personale anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate dai Comuni aderenti.
Art. 17 Principi della partecipazione
1. L'Unione assicura a tutti i cittadini il diritto di partecipare alla formazione delle proprie scelte politico-amministrative, e favorisce l'accesso alle informazioni, ai documenti ed agli atti amministrativi formati o comunque detenuti. 2.Le forme della partecipazione e dell'accesso sono stabilite da appositi regolamenti approvati dal consiglio, i quali disciplinano le procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte da parte dei cittadini, singoli o associati, dirette a promuovere interventi per la migliore tutela degli interessi collettivi.
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Art. 18 Principi in materia di servizi pubblici locali
1. L'Unione gestisce i servizi pubblici locali e strumentali di cui abbia la titolarità nelle forme previste dalla legge. 2. L'Unione non può dismettere l'esercizio di un servizio di cui abbia ricevuto la titolarità dai comuni senza il loro preventivo consenso. 3. L'Unione si impegna ad adottare e diffondere, con riguardo a tutti i servizi pubblici da essa direttamente od indirettamente assunti, lo strumento della Carta dei servizi.
TITOLO IV FINANZA E CONTABILITA'
Art. 19
Finanze dell'Unione 1. L'Unione ha autonomia finanziaria, nell'ambito delle leggi sulla finanza pubblica locale, fondata sulla certezza delle risorse proprie e trasferite. 2. L'Unione ha autonomia impositiva. Spettano all’Unione gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe, dalle sanzioni amministrative e dai contributi sui servizi ad essa affidati. 3. Il Presidente dell'Unione provvede alle richieste per l'accesso ai contributi statali e regionali disposti a favore delle forme associative.
Art.20 Bilancio e programmazione finanziaria
1. L'Unione delibera, entro i termini previsti per i Comuni, con i quali si coordina al fine di assicurare la reciproca omogeneità funzionale, il bilancio di previsione per l'anno successivo. A tal fine i comuni deliberano i propri bilanci prima dell'approvazione del bilancio dell'Unione. 2. Il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica e da un bilancio di previsione pluriennale di durata triennale. Tali documenti contabili sono redatti in modo da consentirne la lettura per programmi, servizi ed interventi.
Art. 21 Ordinamento contabile e servizio finanziario
1. L'ordinamento contabile dell'Unione e, in particolare, la gestione delle entrate e delle spese previste nel bilancio, sono disciplinati dalla legge e dal regolamento di contabilità approvato dal consiglio dell’Unione. 2. Il responsabile del servizio finanziario esprime il parere di regolarità contabile
sulle proposte di deliberazione da sottoporre alla Giunta e al Consiglio, qualora l’atto comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, nonché appone il visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria sui provvedimenti adottati dai responsabili dei servizi.
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Art. 22 Revisione economica e finanziaria
1. Il consiglio dell'Unione elegge, ai sensi di legge, l'organo di revisione che, nell'espletamento delle sue funzioni, ha diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi dell'Unione e, se del caso, dei comuni partecipanti.
Art. 23 Affidamento del servizio di Tesoreria
1. Il servizio di tesoreria dell'Ente nella prima fase di attività viene gestito, mediante estensione dell'affidamento in corso, dall’istituto cassiere del comune di …...
TITOLO V NORME TRANSITORIE E FINALI
Capo I Norme transitorie
Art. 24
Atti regolamentari 1. Ove necessario, sino all'emanazione di propri atti regolamentari, l’unione applicherà provvisoriamente i regolamenti del Comune di ……. Fino all'adozione del proprio regolamento interno, il consiglio dell'Unione applica, in quanto compatibile, il regolamento consiliare del comune di …………………..
Capo II Norme finali
Art. 25
Inefficacia delle norme regolamentari comunali incompatibili 1. Il conferimento di funzioni comunali all'Unione determina, salvo diversa volontà espressa recata negli atti di trasferimento e fatti comunque salvi i diritti dei terzi, l'inefficacia delle normative comunali dettate in materia. Tali effetti si producono dal momento in cui divengono esecutivi gli atti dell'Unione. 2. Gli organi dell'Unione curano di indicare, adottando gli atti di propria competenza, le normative comunali rese, in tutto o in parte, inefficaci.
Art. 26 Proposte di modifica dello statuto
1.Le proposte di modifica del presente statuto, deliberate dal consiglio dell'Unione, sono inviate ai consigli dei comuni partecipanti per la loro approvazione.
Art.27 Norma finanziaria
1. In sede di prima applicazione e sino all'approvazione del primo bilancio di previsione, i singoli comuni costituiscono in favore dell'Unione un fondo per le spese di primo funzionamento ed impianto.
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Art. 28 Norma finale
1. Per quanto non espressamente disciplinato dal presente statuto, si rinvia alle disposizioni vigenti in materia di enti locali. 2. Copia del presente statuto e degli atti che eventualmente lo modificano sono pubblicati all'Albo pretorio dei comuni aderenti all'Unione per trenta giorni consecutivi, e sul B.U.R., ed inviati al Ministero dell’Interno per essere inseriti nella Raccolta ufficiali degli Statuti. 3. Lo Statuto e le successive modifiche entrano in vigore decorsi 30 giorni dalla pubblicazione all’Albo Pretorio di tutti i Comuni aderenti.