LA RICOSTRUZIONE DI RAGUSA IBLA, LA PARTE PIÙ … · Ibla quindi anche dopo il terremoto era sotto...

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Autore: Giacomo Giampiccolo 02/11/2018 1 LA RICOSTRUZIONE DI RAGUSA IBLA, LA PARTE PIÙ ANTICA DEL COMUNE CAPOLUOGO, DOPO IL TERREMOTO DEL 1693

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LA RICOSTRUZIONE DI RAGUSA IBLA, LA PARTE PIÙ

ANTICA DEL COMUNE CAPOLUOGO, DOPO IL

TERREMOTO DEL 1693

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INDICE

PREMESSA

LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1693 al 1760)

IL NUOVO ABITATO OTTIENE L'AUTONOMIA AMMINISTRATIVA: 13 APRILE 1695

RIUNIONE DELLE DUE RAGUSE: 28 MARZO 1703

SI STABILISCE L’UNIONE DELLE DUE CHIESE: 25 MARZO 1705

GLI ANNI D’ORO DELLA RICOSTRUZIONE (1720 -1770)

LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1771 al 1858)

LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1861 al 1925)

RAGUSA SI DIVIDE ANCORA IN DUE COMUNI

1893 VIENE ATTIVATA LA FERROVIA

PALAZZO AREZZI DI SAN FILIPPO DELLE COLONNE

ALTRE COSTRUZIONI

NOTE

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

I ruderi del

castello

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PREMESSA

Prima del terremoto del 1693 la Ragusa antica (che abbiamo chiamata la "Prima Ragusa" o

“Ragusa medievale”) si era espansa verso nord. La denominazione "Prima Ragusa" si è resa

necessaria per distinguere questa città dalla "Seconda Ragusa" o “Ragusa Barocca” cioè quella

che si sviluppò dopo il sisma (la parte verde a sinistra nella figura sotto), e dalla "Terza Ragusa"

o “Ragusa fascista” quando diventò provincia.

Anche se con ritmi diversi, la

ricostruzione cominciò

contemporaneamente nelle

due città subito dopo il

terremoto e proseguì per

quasi 200 anni. Per mettere

ordine a questa lunga fase di

ricostruzione ho preferito

elencare, in ordine temporale

e in due files diversi (uno per

Ibla ed uno per Ragusa) i

lavori e gli avvenimenti più

significativi per le due città.

TORNA

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LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1693 al 1760)

I primi mesi dopo il terremoto furono molto difficili, mancava tutto: alloggi, cibo, vestiario, beni

di prima necessità, difficoltà a recuperare i cadaveri (basti ricordare che dei 15.000 abitanti ne

morirono ben 5.050, cioè il 33,6% della popolazione). Era difficile parlare anche della

ricostruzione e quando ciò avveniva quasi sempre nascevano violente discussioni fra i circa 9.950

superstiti divisi in due partiti (Sangiovannari e Sangiorgiari).

I primi volevano che la ricostruzione avvenisse nella collina Patro; gli altri invece nel suolo natio.

Non poche famiglie, pur di non dover prendere una decisione in merito, si trasferirono in altre

parti della Sicilia. La ricostruzione fu possibile grazie alla forte pressione del “Clero”, che,

sfruttando l’ignoranza del popolo, presentò il terremoto come un “castigo di Dio”, come la

dannazione eterna e utilizzando lo spauracchio dell’inquisizione terrena incitava a costruire, fin

da subito, nuove, grandi e belle chiese per ottenere il perdono divino. Questo sottile e subdolo

terrorismo religioso spinse le diverse classi sociali a fare cospicue donazioni, in particolar modo

si distinsero le famiglie aristocratiche. I “Nobili”, fra l’altro, avevano l’abitudine di mandare i

figli cadetti (figli maschi non primogeniti) per preservare il patrimonio familiare

(la frammentazione ereditaria falcidiavano l’enorme patrimonio familiare), in cambio l’ordine

religioso riceveva una ricca dote (gioielli o denaro) in proprietà. Per questo motivo la ricchezza

di certi ordini religiosi crebbe in maniera sproporzionata al contesto economico e sociale del

tempo e ciò spiega il gran numero di chiese e monasteri costruiti dopo il sisma. L’aristocrazia

disponendo di diversi palazzi si adoperò in tutti i modi per edificare, seguendo i nuovi dettami

architettonici, anche le ville di campagna dove svernava o si trasferiva in estate.

Ibla quindi anche dopo il terremoto era sotto l’egida delle storiche classi dominanti: i nobili

e i preti.

Il popolino, privo di capitali com’era, non riusciva a sganciarsi da certi schemi prefissati ed

immutabili che si erano inculcati nella società. Per il popolo era più facile e rassicurante

sottostare alla classe dominante, si sentiva protetto e non sentiva il bisogno di mettere in atto

alcuna iniziativa commerciale privata.

Ritornando alla ricostruzione, i nobili fecero di tutto per impedire la fuga della popolazione

perché ciò avrebbe potuto causare la svalutazione dei loro palazzi e delle loro rendite. Per loro

era ancora molto importante dimostrare il loro prestigio e la loro potenza finanziaria.

(Foto storica risalente al 1890 che ritrae i

ruderi del castello di

Ibla dopo il terremoto

del 1693)

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Ma i problemi da risolvere erano tanti per cui i lavori procedettero con maggiore lentezza,

occorreva: livellare, spianare, definire dove far sorgere le piccole e grandi piazze, i raccordi, le

strade e soprattutto come aiutare i superstiti. Interi quartieri, quelli più devastati, non vennero

neanche ricostruiti, come: Penninelli, Spirito Santo e San Bartolomeo, dove furono riedificate

solo alcune chiese. La gente minuta, braccianti, ortolani, servi, legata economicamente ai baroni,

timorosa dell’avventura del Patro, insediò le loro minuscole case entro il circuito del castello

facendo di questa la parte di Ibla dove le particelle risultarono più frazionate. Esaminiamo allora

i vari momenti della ricostruzione, evidenziando per sommi capi gli aspetti più importanti.

(Ruderi del Castello su dipinto 1950 – 1955. Il Castello sarebbe stato abbattuto nel 1908

Nel febbraio del 1694 furono

ricostruite le case di Margherita

Lorefice nei pressi di Porta Modica e

la chiesa del Convento di S. Maria di

Gesù, che aveva subito gravi danni

durante il terremoto (vedi foto

sotto).

Il portale della chiesa

Nell’ottobre del 1694 fu

edificata provvisoriamente la

nuova chiesa di S. Giorgio,

costruita accanto alle rovine

della vecchia chiesa distrutta.

Sui pochi muri rimasti in piedi fu

infatti edificata una chiesa in

legno, che nel giro di pochi anni,

presentava 7 altari e ben 3.000

posti per i fedeli. Rappresentava

il segno della continuità. Tale chiesa fu utilizzata per il culto fino al 1739 TORNA

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IL NUOVO ABITATO OTTIENE L'AUTONOMIA AMMINISTRATIVA: 13 APRILE 1695.

Il 13 aprile del 1695 per evitare scandali, gelosie, controversie e dipendenza degli abitanti

dell’una e dell’altra città il Vicerè di Sicilia Giovan Francesco Paceco, duca di Uzeda (1687 –

1696) dispose che la città di Ragusa venisse divisa in due: la Ragusa Vecchia, poi Ragusa

Inferiore, poi Ragusa Ibla e la Ragusa Nuova, poi Ragusa Superiore ed infine Ragusa.

ANOMALA RIPARTIZIONE DEL TERRITORIO: DISSIDI FRA GLI STESSI SANGIOVANNARI.

Spettò al Governatore della Contea, Don Bernardo Arezzo Valseca il compito di dividere in due

la città, ma il criterio che usò, suggerito dal clero, fu alquanto discutibile: la città nuova e buona

parte di quella vecchia costituirono Ragusa Nuova, la parte rimanente della città vecchia costituì

Ragusa Vecchia.

Così Ragusa Nuova aveva 7.248 abitanti; mentre Ragusa Vecchia ne aveva solamente 1.400.

Tale ripartizione risultò molto strana, incomprensibile ed inaccettabile per i “sangiorgiari”

che considerarono i sangiovannari traditori e stranieri. I “sangiorgiari” non accettarono di

buon grado l’assegnazione alla città Nuova dell'area della vecchia parrocchia di San

Giovanni Battista, il tradizionale quartiere dei "cosentini" posto fuori le mura della città

medievale e collocato a cerniera fra i due nuclei.

Al contrario per i Sangiovannari la nuova ripartizione costituì una vittoria che fu salutata con

spari di mortaretti. San Giovanni, finalmente, fu proclamato patrono di Ragusa Nuova e per

sugellare l’avvenimento il Governatore della Contea di Modica Don Bernardo Arezzo Valseca fece

erigere un arco di trionfo in prossimità del Largo Camarina, vicino alla Porta Modica.

A parte i festeggiamenti, i dirigenti

della nuova città si resero subito conto

che lo sdoppiamento della città avrebbe

creato problemi di gestione e che i

Sangiorgiari avrebbero fatto di tutto

per revocare il decreto di divisione. Per

risolvere questo spinoso problema

cercarono in tutti i modi, con metodi

leciti e illeciti di convincere quei

Sangiovannari che volevano rimanere a

Ibla di ricostruire sulla collina del Patro.

Un modo per convincere questi ultimi fu

il comportamento utilizzato dalla

commissione edilizia, che cominciò a

negare il rilascio delle licenze sia per

l'edificazione di nuove abitazioni, che

per la ricostruzione degli edifici

esistenti. (nella foto accanto il “Mercato

degli Archi”). Come se non bastasse i

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dirigenti di Ragusa Nuova negarono agli stessi Sangiovannari di Ibla la possibilità di creare una

chiesa filiale di San Giovanni, secondo quanto prescritto dal vescovo, che voleva andare incontro

alle necessità dei parrocchiani impossibilitati nella pratica dei sacramenti. Ben presto tale

conflitto interno sfociò nella formazione di un terzo partito "il partito degli Archi" composta da

quei Sangiovannari che volevano restare nel vecchio abitato e che considerarono la chiesa del

Purgatorio il loro punto di riferimento.

Nel 1702 Filippo V (vedi foto sotto) aveva inviato Giovanni Tommaso Enriquez-Cabrera,

almirante di Castiglia e conte di Modica, come primo ambasciatore presso la corte francese. Ma

l’Almirante, recatosi in Portogallo presso i fautori del granduca d’Austria, si schierò

apertamente per il pretendente asburgico. Accusato di fellonia e alto tradimento, fu

condannato a morte in contumacia e gli furono confiscati tutti i beni, cosicché anche la contea di

Modica fu incorporata al

demanio regio e passò sotto il

controllo diretto del Vicerè,

nel caso specifico di:

Francesco Cardinal del Giudice

(1702-1705). La contea

rimase inclusa nel demanio

spagnolo dal 1703 al 1713.

Giovanni Tommaso, dal canto

suo, riuscì a scappare e si

rifugiò in Portogallo, dove morì

in battaglia tre anni dopo, nel

1705.

L’amministrazione della

giustizia nella Contea era

affidata ad un Procuratore

generale che risiedeva a

Palermo per curare gli affari

più importanti del conte (che a

sua volta risiedeva in Spagna).

Nel 1703 procuratore

generale era: Don Giovanni

Anderas. TORNA

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RIUNIONE DELLE DUE RAGUSE: 28 MARZO 1703

L’iniziale distinzione e

separazione di nome e

di fatto tra le due

città diede luogo,

purtroppo, sin dalla

fondazione della

Nuova Ragusa, a tali e

tante rivalità, rancori

e controversie fra i

due abitati da rendere

necessario, il 28

Marzo 1703,

l’intervento del

Viceré che dette

ordine al Governatore

Generale dello Stato

Comitale di Modica

Don Antonio Nigri di

riunire i due Comuni

e distruggere ogni

traccia di divisione.

Piazza degli Archi nel 1954

Tale ordine era la conseguenza di una petizione presentata dal Reggente in carica, il ragusano

don Giovanni Ioppolo, in data 10 dicembre 1702 che chiedeva la riunione dei due comuni, già

divisi nel 1695. Il 24 settembre dello stesso anno il re stesso Filippo IV fece arrivare da Madrid

un dispaccio con una precisa ripartizione delle cariche pubbliche del comune. Alla vecchia città

spettò il Capitano di Giustizia e due giurati, al quartiere degli Archi un giurato ed il sindaco, ai

quartieri del Carmine e del Patro un solo giurato ed un secreto. Le riunioni si sarebbero tenute in

un luogo a metà strada fra la Chiesa di S. Nicolò e la Piazza degli Archi (vedi foto sopra) . Il

decreto regio sancì anche la supremazia dell’oligarchia “sangiorgiara” ed il suo monopolio

pressoché esclusivo delle cariche pubbliche e del potere locale. Nonostante la disparità di

popolazione fra i due comuni, il governo della cosa pubblica era saldamente in mano ai

“sangiorgiari”.

Era evidente che questa volta il quartiere del Patro ne uscì molto svantaggiato.

Piazza degli Archi diventò il punto di contatto, nodo di comunicazione e di scambio tra il vecchio

ed il nuovo insediamento e per congiungere le due città venne costruita una scalinata di 370

gradini.

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La riunificazione delle due città provocò l’aumento delle dispute anche sanguinose fra le due

fazioni e poiché la situazione stava diventando insostenibile, il Vicerè Cardinale Francesco Lo

Giudice (1702 – 1705) ordinò la demolizione dell’arco divisorio costruito nel 1695, nominò un

unico magistrato per governare la città, furono vietati i termini "Ragusa antica" e "Ragusa

nuova", in quanto esisteva un'unica Ragusa, pene severe per chi non rispettava queste regole.

Quartiere degli archi

Ogni traccia di divisione fra i due comuni doveva essere distrutta. San Giorgio ritornò ad essere

la chiesa madre e l’unico santo patrono.

Sempre nel 1703, Re Filippo V riconfermò con un dispaccio l’unione l’unione fra i due comuni e

sollecitò (invano) la risoluzione delle cause fra le due chiese rivali.

Nel 1703 fu riedificata in forma ridotta, con un’unica navata anziché tre rispetto alla vecchia,

la chiesa di San Giovanni. A dire il vero questa chiesa era stata risparmiata dal terremoto, ma fu

distrutta dagli stessi “sangiovannari”.

Sembra un assurdo ma fu proprio così, una delle tante dimostrazioni di odio e di rancore

reciproco fra le due tifoserie. I “sangiovannari” non volevano concedere ai “sangiorgiari”,

l’utilizzo della propria chiesa per le funzioni religiose e preferirono addirittura distruggerla con

un’esplosione. La detronizzazione di un patrono in favore di un altro e le ribellioni dei

devoti del santo rivale sarebbero continuate ancora per molto tempo. C’è da dire anche che

attorno a queste manifestazioni popolari girava una cospicua quantità di denaro poiché il clero,

per aumentare il lustro della chiesa, stabiliva dei contributi che alimentavano la gare fra

parrocchiani ad incassare più elemosine. TORNA

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SI STABILISCE L’UNIONE DELLE DUE CHIESE: 25 MARZO 1705

Il vicario don Pietro La Grua, per far cessare l’odio fra le due fazioni, il 25 marzo del

1705 riuscì a convocare i cittadini moderati delle due correnti e, dopo animata discussione, li

convinse a mettere in atto reciproche rinunzie e concessioni per riunire le due chiese e far

sorgere "una sola grandiosa chiesa" dedicata a San Giorgio e San Giovanni da costruire dove per

secoli si trovava la chiesa di San Nicola, equidistante dalle due chiese distrutte. La nuova chiesa

doveva avere due cappelle identiche dedicate ai due Santi.

L’accordo di conciliazione fu trascritto con atto notarile presso lo studio del notaio Paolo

Francalanza.

Il tempo passava e la costruzione della nuova chiesa stentava ad iniziare.

Purtroppo il campanilismo fra le due fazioni non cessava mai e spesso riaffioravano rancori, liti,

disaccordi, come negli anni: 1710, 1816, 1820, 1837 e così via fino al 1865 quando la città fu

nuovamente divisa.

Stufi di queste lungaggini i Sangiovannari, dopo alcuni anni, trasgredirono il patto iniziale e

decisero di erigere la loro chiesa sulla collina del Patro. In attesa che la nuova chiesa venisse

completata trasferirono nella chiesa di Santa Maria delle Scale, una delle poche chiese rimasta

quasi intatta, tutto ciò che fu possibile recuperare dalle macerie della vecchia chiesa, compreso

le reliquie del Battista.

Provvisoriamente costruirono una chiesetta in

legno sulla collinetta sovrastante, a metà strada

fra la nuova chiesa e Santa Maria delle Scale.

Tutto ciò non fece altro che riaprire

nuovamente e con maggiore forza i rancori e

l’odio fra le due fazioni.

L’agnello, che il santo porta in

braccio, ha appeso al collo uno

scudo d’argento con incisa una

croce (vedi anno 1896 pag. 25 )

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A distanza di 20 anni dal terremoto, nel censimento del 1713 la popolazione di Ragusa passò da

9.950 (numero dei superstiti del terremoto) a 8.863 abitanti facendo registrare un trend

negativo di 687 abitanti, probabilmente dovuto all’emigrazione di alcune famiglie in altre parti

della Sicilia.

Nel 1713, con il trattato di Utrecht, la Sicilia fu concessa al Duca Vittorio Emanuele II di

Savoia. I Savoia, pur di acquisire in fretta il loro primo titolo, cedettero agli spagnoli il possesso

della Contea di Modica e di tutti i beni personali che il re di Spagna possedeva in Sicilia. In

sostanza dal 1713 al 1720 la contea fu di Filippo V che la rese un’enclave spagnola autonoma

all’interno del Regno di Sicilia in mano ai Savoia. Si venne a creare così la strana situazione

dell’esistenza di un feudo del re di Spagna nel regno di Vittorio Amedeo. Filippo V poteva essere

considerato (e questo avvenne effettivamente) come un barone spagnolo soggetto al re sabaudo.

Nel 1714 con una bolla pontificia, Papa Clemente XI (1700-1721) concesse ai “sangiovannari” la

separazione dalla chiesa di San Giorgio. Ma gli effetti di tale separazione si ebbero dopo 15 anni,

cioè nel 1729 con la nomina di Don Francesco Guarino a parroco di S. Giovanni. TORNA

GLI ANNI D’ORO DELLA RICOSTRUZIONE (1720 -1770).

Il miracolo della ricostruzione di Ibla barocca si realizzò in gran parte nel cinquantennio

che va dal 1720 al 1770. Le opere eseguite dopo questo periodo non raggiunsero mai le

altissime vette dei capolavori degli anni d’oro, il Gagliardi era invecchiato, anche se con la

mente lucida, faceva fatica a parlare “loquela non tam expeditus”. Nel frattempo tutto il

territorio della Contea di Modica tornava nelle mani degli Enriquez Cabrera, siamo nel

1722.

Fra il 1720 ed il 1730 fu ristrutturata dal Gagliardi la chiesa del Purgatorio, che durante il

terremoto aveva subito pochi danni.

Nel 1724 iniziò la costruzione del Palazzo Battaglia-Giampiccolo, il primo ed il più fastoso

costruito dopo il terremoto (vedi foto sotto la facciata secondaria del palazzo). Ad iniziare la

costruzione fu il barone Grandonio Battaglia di Torrevecchia, che acquistò alcune case distrutte

e demolite. Il figlio del barone Giovanni Paolo Battaglia ampliò il palazzo con l’ala settentrionale,

ma morì anzitempo ed il palazzo passò alla sorella Vincenza che era sposata con il barone

Giampiccolo di Cammarana.

La famiglia Giampiccolo risultava presente a Ibla fin dal 1282 con Iohanni Pichulo, uno dei soldati

a cavallo forniti dalla città al re di Sicilia Pietro III d’Aragona, in carica dal 1282 al 1285.

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Nel 1730 le due parrocchie stabilirono un nuovo concordato per definire in modo più equo i

confini fra le due parrocchie. I 10.094 abitanti furono così divisi in parti uguali, per cui i

quartieri di Raffo, Pirrera, Archi e Mocarda passarono alla parrocchia di San Giorgio. La chiesa

delle Anime del Purgatorio passò quindi ai “sangiorgiari”. Nonostante la riunificazione formale le

dispute, le liti, le ingiurie, le risse si protrassero fino all’arrivo dei Borboni e cioè fino al

1735.

GLI IBLEI FINALMETE DECIDONO DI COSTRUIRE LA LORO CHIESA.

Nel 1738, dopo 45 anni dal terremoto, gli iblei, spinti dall’antagonismo nei confronti dei

sangiovannari, decisero finalmente di dare l’incarico della costruzione della nuova chiesa

all’architetto Rosario Gagliardi a cui erano stati versati 8 onze come compenso per il disegno

della nuova chiesa. Venne decisa la ricostruzione della chiesa di San Giorgio spostandola in una

posizione più centrale, esattamente nel sito dove sorgeva l’antica chiesa di San Nicola eretta dai

bizantini ormai completamente rovinata.

Il 25 ottobre del 1739 si pose la prima pietra della nuova Chiesa di San Giorgio progettata

dall’architetto Rosario Gagliardi. La chiesa sarebbe stata completata dopo quasi 36 anni, cioè nel

1775. La cupola fu iniziata invece nel 1810 e terminata nel 1820. Costruendo la chiesa di San

Giorgio, il partito dei Sangiorgiari volle dimostrare la loro superiorità sociale e culturale, la

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maggiore raffinatezza del gusto nei confronti dei più grossolani Sangiovannari.

La chiesa di S. Giorgio, in effetti, rappresenta uno dei più begli esempi di tutta la Sicilia e non

solo del Val di Noto. Per maggiori informazioni vedi: www.terraiblea.it e nel menu principale

selezionare: IBLA/CHIESE UNESCO/SAN GIORGIO

Fra il 1730 ed il 1740 l’area intorno a Piazza degli Archi e alla Chiesa delle Anime del

Purgatorio si arricchisce di raffinate costruzioni come la Chiesa dell’Itria, il Palazzo della

Cancelleria, ed il Palazzo Sortino-Trono. Con il ripristino delle botteghe, delle locande, dei

laboratori, dei mulini danneggiati, ma anche con l’apertura di nuove attività artigianali, l’area

attorno a Piazza degli Archi divenne il centro commerciale della Collina.

Su progetto di Rosario Gagliardi, architetto siracusano attivo a Noto, l’edificazione della chiesa

iniziò nel 1744 e terminò, ad eccezione della cupola, nel 1775.

Nel 1760 fu portato a termine il Palazzo Nicastro o della Cancelleria, i cui lavori erano iniziati

dopo il terremoto

del 1693. Il palazzo

è un monumento

riconosciuto

dall'Unesco e poggia

su di un altro

edificio il cui

impianto è ancora

visibile per la

presenza di una

stalla, che risale a

prima del periodo

barocco. L’edificio si

trova lungo la Salita

del Commendatore,

dopo il Palazzo

Cosentini, e la

Chiesa dell'Itria.

Nel 1761 dopo 48

anni dall’ultimo

censimento (1713) la

popolazione passa da

8.863 a 13.500 con

un aumento

percentuale del 34%

circa.

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Nel 1767 nel quartiere degli Archi venne inaugurato il Palazzo Cosentini, iniziato nel 1762,

grazie all’interessamento del barone Raffaele Cosentini (morto giovanissimo a soli 39 anni nel

1782) e del figlio Giuseppe. Il palazzo era collegato con la Chiesa dell’Itria dove la famiglia

Cosentini aveva una cappella di famiglia con altare e sulla quale chiesa i Cosentini esercitavano lo

Jus patronato. TORNA

LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1771 al 1800)

Nel 1772 gli abitanti delle due Raguse erano 12.213, un decremento di 1.287 persone rispetto al

1761.

Nel 1776 fu ricostruita la Chiesa di Santa Petronilla che era stata distrutta dal terremoto. La

chiesa, situata oltre le mura del Castello, in fondo alla Cava del Pozzo fu ricostruita nello stesso

sito. Più avanti nel tempo, sarebbe stata sconsacrata e venduta a dei privati.

Nel 1778 iniziarono i lavori di ampliamento e ristrutturazione del Palazzo Sortino-Trono, che

sarebbero finiti dopo 15 anni nel 1793. I primi proprietari furono i Distefano, baroni di Cutalia

che lo abitavano già nel ‘600. Dopo il terremoto il palazzo passò nelle mani del barone Sortino-

Trono e ancora dopo alla famiglia Trifiletti.

Nel 1780 fu completato il Palazzo la Rocca di proprietà del barone di Sant’Ippolito: Saverio La

Rocca. La costruzione si trova, alle spalle della chiesa di S. Giorgio, lungo quella che era la strada

principale dell'antico abitato di Ragusa detta la "Ciancata" perché l'unica strada pavimentata

con lastre di calcare chiamate "cianche”. Acquistato dalla provincia oggi è sede del Musac

(Museo di Storia dell’Architettura e della Costruzione).

Nel 1796 si completò la ricostruzione della Chiesa di San Giuseppe. I lavori erano iniziati nel

1759.

Nel 1798 il barone

Corrado Arezzo (diversi

furono gli Arezzo di nome

Corrado, vedi prospetto sotto)

decise di costruire la parte più

cospicua del Palazzo Arezzo di

Donnafugata di Corso XXV

aprile, (nella foto a destra),

conferendogli l’aspetto che

ancora oggi presenta. Il palazzo

era crollato durante il

terremoto, ma era stato subito

ricostruito dal prozio il Barone

Vincenzo Arezzo, senatore a

Caltagirone dal 1706 al 1707.

Dopo la morte del barone

Corrado Arezzo (1824-1895)

tale palazzo passò alla nipote

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Maria Paternò Arezzo che sarebbe morta nel terremoto di Messina assieme al marito nel 1908

senza lasciare eredi. Erede della principessa ed esecutore delle disposizioni testamentarie fu il

nipote Corrado Arezzo Giampiccolo (1893 – 1974). Il palazzo infine passò alle due figlie:

Costanza (morta nel 2009) e Vincenza sposata con Salvatore Scucces.

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Nel 1800 fu restaurata la Chiesa dell’Annunziata (vedi foto sotto) in stile neoclassico,

danneggiata dal terremoto. Era stata costruita nel 1550 con il nome di Chiesa di Santa Maria di

Porto Salvo (1) sulle rovine di una sinagoga costruita dagli ebrei abitanti a Ragusa (2) che a loro

volta, dopo la cacciata dei saraceni, l’avevano edificata al posto di una antica moschea (3),

quest’ultima eretta a sua volta al posto di un tempio pagano (4) (quante trasformazioni!).

Dopo il terremoto in questa chiesa fu istituito da cittadini caritatevoli il Monte di Pietà,

soppresso nel 1806 da Ferdinando IV. (Interno della chiesa)

Segue esterno della chiesa

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Nel 1801, per contribuzione spontanea della popolazione, iniziarono i

lavori della Chiesa del Santissimo (o del Signore) Trovato. La

popolazione con quel gesto volle ricordare il ritrovamento della sacra

pisside (contenitore) con le ostie consacrate rubate il primo marzo

del 1801 nella chiesa di Sant’Antonino da un certo Cassarà

forestiero a Ragusa che catturato e incarcerato moriva di lì a poco

in prigione per la disperazione (così come diceva una canzone

popolare). La chiesa sorgeva a ridosso del “muro bizantino”. I lavori

terminarono nel 1807.

Il 20 maggio del 1815 venne ratificata la decisione del Congresso

di Vienna (1° novembre 1814 – 9 giugno 1815) di unificare in un solo

regno i due regni borbonici: Regno di Napoli e Regno di Sicilia.

L’unificazione avverrà l’8 dicembre del 1816 e fu portata avanti fino al 17 febbraio 1861 e

con la proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo dello stesso anno.

Il 10 ottobre del 1833 a causa di piogge ininterrotte le terre erano intrise d’acqua e i fiumi

ingrossati scaricavano verso il mare l’eccesso di acqua. L’Irminio straripò causando la morte dei

componenti della famiglia Garozzo, ricco agricoltore, che avevano una casa presso la Fiumara,

morirono ben 7 persone i cui corpi non furono mai trovati.

IL COLERA DEL 1837. Periodicamente il colera, terribile morbo che fino al secolo scorso

infestava il mondo mietendo

milioni di vittime, colpiva la

città di Ibla e ne decimava la

popolazione. Così avvenne nel

1552, nel 1576 (con 4.500

morti su 10.000 abitanti), nel

1626, nel 1729. La mancanza

di adeguati rimedi

terapeutici (vaccini), le

insufficienti misure di

profilassi, le cattive

condizioni igieniche

estremamente malsane, la

carenza di acquedotti, e

fognature erano le cause

principali della diffusione di

questo morbo. Il morbo

(chiamato anche “mortifero

vomito orientale”) aveva

avuto il suo focolaio nel 1829

in Russia e Polonia, nel 1831

era passato in Inghilterra,

nel 1835 in Francia, nel 1837

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in Italia ed il 7 giugno del 1837 colpì il Regno delle due Sicilie. Ad Ibla il 19 agosto morì un

giovane contadino che nei giorni precedenti aveva avuto contatti con persone di Siracusa dove il

morbo era arrivato al culmine. Dopo pochi giorni centinaia di persone morirono nelle due Raguse.

Fuggirono improvvisamente medici, preti, becchini, per cui molti cadaveri rimasero insepolti

nelle case e perfino nelle strade, favorendo la diffusione del morbo. Quei pochi eroici medici

che si prodigarono a curare, visitare e medicare gli ammorbati come i dottori: Cascone, Cabibbo,

e Rimmaudo furono sospettati dal popolo di spargere polverine venefiche per diffondere il

morbo.

Casi di eroismo ci furono anche fra i preti, da citare il canonico Battaglia (parroco di San

Giorgio), padre Zaccaria Gurrieri che, incuranti del contagio, somministrarono i Sacramenti e

recarono conforto alla popolazione sfiduciata. Nonostante gli aiuti portati da una colonna di

militari svizzeri l’11 settembre del 1837, nella sola giornata del 21 settembre ben 54 perone

morirono per l’infezione. I morti trasportati da una mula bianca, senza guida, venivano raccolti in

una fossa comune. Non esisteva ancora il cimitero comunale che sarebbe sorto nel 1884 per

merito del sindaco Cav. Paolo La Rocca Impellizzeri.

Nel 1850 fu realizzato ad Ibla il Palazzo Arezzo di Trifiletti di proprietà del barone Carmelo

Arezzo (1795 – 1864). Nello stesso anno il 12 ottobre 18 soci, nobili ragusani di Ibla che non

professavano alcuna attività lavorativa in quanto nobili, si tassarono per realizzare il “Circolo di

Conversazione” (vedi foto). Furono versati 390 onze (pari a circa 70.200 €) e ognuno contribuì

per quanto gli era possibile.

Nel 1857 il sacerdote Giuseppe Vitale, basandosi sulla lettura di un documento del 1642

rappresenta Ibla con la forma di un pesce. Nello schizzo sono rappresentate 43 chiese,

l’Archivio Comunale, il Tocco, il Castello.

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Nel 1858 fu realizzato ad Ibla il Giardino Ibleo per iniziativa di alcuni nobili locali (Cav.

Emanuele La Rocca Impellizzeri, Cav. Carmelo Arezzo di Treffiletti (o Trifiletti) ed il Marchese

Giuseppe Maggiore di S. Barbara) e di buona parte del popolo che vi lavorarono gratuitamente.

Confinavano con questo giardino la Chiesa di San Vincenzo Ferreri, la chiesa di S. Giorgio, la

Chiesa di S. Giacomo e la Chiesa di Sant’Agata annessa al Convento dei Cappuccini.

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LA RICOSTRUZIONE DI IBLA (dal 1861 al 1925)

Nel gennaio del 1861 nel primo Consiglio comunale di Ragusa, furono eletti esclusivamente

abitanti di Ragusa Superiore, gli abitanti di Ibla non ottennero alcun rappresentante. Ciò

avvenne per la notevole differenza di abitanti fra le due città (17.162 a Ragusa Superiore, 5.720

a Ragusa Inferiore), 22.882 abitanti in tutto. Ragusa si ponevai al secondo posto nella

graduatoria provinciale preceduta solo da Modica e seguita dalla stessa Siracusa.

I contrasti fra le due fazioni non si fecero attendere. I Sangiorgiari rappresentati dalle

famiglie aristocratiche più antiche e facoltose, da secoli detentori del potere economico e

politico, non volevano assolutamente essere spodestati dai Sangiovannari, rappresentati da una

nobiltà e da un ceto borghese di più recente formazione e da un vastissimo strato di contadini,

artigiani e commercianti. Ciò spinse i cittadini di Ibla a chiedere la divisione amministrativa che

fu ottenuta 4 anni dopo. TORNA

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RAGUSA SI DIVIDE ANCORA IN DUE COMUNI.

Si erano già divisi una prima volta il 17 aprile del 1695, si erano riuniti il 10 marzo del 1703 e

dopo le elezioni comunali presentarono una petizione per chiedere la divisione amministrativa,

che avrebbero ottenuta il 10 dicembre del

1865. Ragusa Superiore finisce in

prossimità di Santa Maria delle Scale, dopo

comincia Ragusa Inferiore. Questa

suddivisione, ordinata dal Prefetto, non

rispettava affatto la differenza di

popolazione fra i due comuni e causò una

serie di polemiche religiose che si

protrassero per ben 50 anni e che finirono

solo quando Ragusa diventò Provincia nel

1926.

Nel 1865 il barone Corrado Arezzo (1824 –

1895) decise di trasformare la tenuta di

Donnafugata.

Il 21 gennaio del 1866 venne sciolto il

Consiglio Comunale visto che la città si era

divisa in due. L’11 marzo avvennero le

elezioni e per Ragusa Inferiore venne

eletto come podestà Giuseppe Nicastro.

Sempre nello stesso anno crollò

definitivamente per incuria ed abbandono la

chiesa dello Spirito Santo che era stata

costruita tra il 1542 ed il 1597. Durante il

terremoto aveva subito pochi danni.

(Ritratto del Barone Corrado Arezzo De Spuches (1824-1895)

Il 15 agosto del 1867 il governo italiano varò un decreto per sopprimere tutti gli ordini

religiosi ritenuti superflui alla vita religiosa del paese. Per non perdere quadri di notevole valore,

dipinti da grandi artisti siciliani, preziosi oggetti e libri, il barone Corrado Arezzo assieme al

barone Paolo La Rocca Impellizzeri improvvisarono, nell’ex monastero di S. Giuseppe, una

Pinacoteca comunale dove trasferirono tutti i preziosi beni rendendoli così non sequestrabili dal

governo perché appartenenti al comune e non alle chiese.

Nel 1871 Ragusa Inferiore contava 6.820 abitanti

Il 12 maggio del 1881 venne presentata al Consiglio comunale una petizione di alcuni cittadini

che chiedevano di aprire una strada di comunicazione utilizzando i ruderi del Castello per avere

altri spazi edificabili. Dovettero passare 25 anni per vedere l’inizio dei lavori (settembre del

1906) e sarebbero finiti il 24 ottobre del 1908. Il 23 luglio dello stesso anno venne presentato

un progetto per realizzare una strada rotabile interna per collegare le due Raguse, ma l’opera

sarebbe cominciata nel 1922 e terminata nel 1931.

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Sotto 1882 Festa di San Giorgio a Ragusa Ibla.

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Nel 1884 nacque di fatto il cimitero di Ibla per l’interessamento del Sindaco Cav. Paolo La

Rocca Impellizzeri che espropriò il terreno al notaio Veninata, che si oppose energicamente.

Il primo morto che fu sepolto e che inaugurò il nuovo cimitero fu proprio il fabbro comunale, che

stava realizzando il cancello del futuro cimitero.

1893 VIENE ATTIVATA LA FERROVIA

Nel 1893 venne attivata a Ibla la linea ferroviaria Siracusa – Gela - Caltanissetta Xirbi. La

ferrovia metteva in comunicazione la parte ionica della Sicilia con quella che si affaccia sul

Canale di Sicilia. Con andamento est-ovest la linea ferroviaria collegava fra loro un buon numero

di grossi centri urbani (come Modica e Ragusa).

Il collegamento con Ragusa alta avvenne nel 1896. In quell’anno Ragusa contava 31.836 abitanti,

Ibla invece 6.830. Sempre nel 1896 a Ragusa Superiore venne concesso il diritto di avere come

proprio patrono San Giovanni, così si ebbero due città con due patroni.

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Nel 1896 S.

Giovanni venne

riconosciuto

Patrono di Ragusa

superiore e

necessariamente

la chiesa venne

riconosciuta

matrice. In quella

occasione i

cittadini di

Ragusa donarono

a San Giorgio la

lancia d’argento e

quelli di Ragusa

inferiore

donarono a San

Giovanni lo

stemma di San

Giorgio: la croce

in uno scudo

d’argento (visibile

sul collo

dell’agnello che la

statua di San

Giovanni porta in

braccio.

TORNA

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Nel 1901, per recuperare nuovi spazi edificabili, dato l’aumento della popolazione, venne

deliberata l’apertura di una strada che da Piazza Duomo, attraverso l’apertura di un passaggio

sotto il Palazzo Arezzi di San Filippo delle Colonne (prima del terremoto apparteneva alla

famiglia Tommasi e vi erano nati Giulio nel 1669 e Carlo nel 1675) doveva raggiungere la parte

più alta della collina, utilizzata come orto demaniale e che conservava ancora resti dell’antico

castello distrutto dal terremoto.

Gli allora proprietari dell’immobile, i

fratelli Arezzi Pollara, si opposero a

tale progetto, ma il ricorso fu

respinto dal re Vittorio Emanuele

III. Nel 1903 il Consiglio comunale

diede mandato all'Ing. Vaccarisi di

Catania di completare il progetto

tagliando la casa Arezzi Pollara dal

portone principale, per cui nel 1906

furono abbattuti il primo piano ed il

piano terra, collegando

precariamente con una struttura di

legno le due ali del palazzo. I lavori

terminarono nel 1908. TORNA

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ALTRE COSTRUZIONI.

Nel 1903 in Piazza della Repubblica, all’Archi, fu fondato il “Circolo Operai G.B. Marini” in un

locale a pianoterra, che successivamente sarebbe stato acquistato dai soci.

Nel 1908 vennero abbattuti i ruderi del Castello con una procedura non del tutto trasparente

(si sospettò il pagamento di una mazzetta e la complicità di alcuni funzionari).

Nel 1910 sulla spianata della collina di Ibla, dove prima c’erano i ruderi del Castello, fu

costruito il Villino Arezzo di Trifiletti, in stile liberty e neoclassico. Le quattro facciate

rispettano i quattro punti cardinali e quella principale si affaccia sul piazzale con due rampe di

scala simmetriche e opposte che al centro finiscono con un baldacchino con arco a tutto sesto

retto da 4 colonne con capitelli. Il villino, progettato dall'Ingegnere ragusano Giorgio Migliorisi,

fu il primo edificio antisismico di Ragusa, e sicuramente l'edificio nobiliare più recente di Ibla.

Dopo il terremoto tutta l'area era rimasta in parte abbandonata tranne che il limitato uso di una

palazzina adibita a carcere. Per la famiglia Arezzo la scelta di questi luoghi fu dettata dal fatto

che non esisteva a

quel tempo ad

Ibla uno spazio

libero per una

nuova residenza

con giardino e

quindi

l'amministrazione

comunale pensò di

riconquistare la

collina, che

presentava gli

unici spazi aperti

rimasti liberi, per

l'edificazione.

Durante i lavori di

costruzione della

villa si narra che

furono ritrovate

sia le segrete del

castello con le camere di tortura, che le grandi cisterne le quali approvvigionavano il conte e la

guarnigione durante il soggiorno. Nel 1914, , l’Italia dichiara la propria neutralità, per poi

partecipare al conflitto a fianco della Triplica Alleanza (Germania, Austria-Ungheria-

Italia) il 24 maggio del 1915. TORNA

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NOTE

SECRETO= Al "secreto" era affidato un determinato territorio ("secrezia") e deteneva il

registro nel quale erano depositati gli atti pubblici di propria competenza. Le sue funzioni erano

relative a mansioni di carattere fiscale e giuridico. TORNA

VALSECA= Bernardo Arezzo Valseca, primo barone di Serri, di S. Filippo e di Gaddimeli (o

Caddimeli, o Cadimeli, o Candimele) visse prima e dopo il devastante terremoto. Prima del sisma

fu Procuratore del conte Giovanni Tommaso Enriquez Cabrera, (conte di Modica dal 1691 al

1702) che aveva accumulato con la famiglia Valseca un debito di 1164 onze (circa 150-200 mila

euro attuali). Nell’agosto 1693 fu nominato Governatore e Maestro Razionale della Contea

(costui svolgeva diversi importanti compiti, quali: esercitare il controllo di legittimità sui

provvedimenti regi e viceregi che comportavano un onere di spesa, nonché il controllo

sull'attività contabile svolta dagli ufficiali) ed ebbe l’incarico di accordare e delimitare il

territorio di “Ragusa Nuova”.

Un suo antenato il dottore in legge Andrea Valseca di Modica nel 1596 aveva acquistato la

contrada di Gaddimeli, una delle tre contrade che assieme a Mazzarelli e Castellana costituivano

Marina di Ragusa. All’epoca, cioè nel 1596, la Contea di Modica era governata da Ludovico II

Enriquez de Cabrera, detto Luigi II Enriquez Cabrera che aveva ereditato dalla madre Anna

Cabrera la contea. TORNA

QUELLA VECCHIA= Il Governatore incluse nel nuovo comune tutto il territorio delimitato dalla

vecchia parrocchia di San Giovanni in Piazza degli Archi. Per ricordare l'avvenimento il

Governatore fece innalzare un arco di trionfo sul più stretto limite dei due comuni o sull'unica

via che li univa (vicino largo Camerina) vicino alla Porta dei Mulini. TORNA

PETIZIONE= Promotore e firmatario di questa petizione, insieme con gli altri officiali, nobili,

baroni ed il clero dell’antico quartiere, fu Don Giovanni Martinez, giurato nobile della corte

giuratoria di Ragusa, il quale, precedentemente eletto, per acclamazione di tutto il popolo

superstite, presidente della commissione per la scelta del sito ove fabbricare la nuova città,

aveva, prima <<. . . caldeggiato la scelta di un luogo centrale per meglio provvedersi ai bisogni e ai

vantaggi dell’agricoltura, unica sorgente di ricchezza per il paese>> ed aveva deciso infine,

dinanzi alla più accetta proposta del concittadino barone Leggio, di edificare la nuova città

sull’antistante altura di Santa Maria delle Scale. TORNA

CHIESA DI SAN NICOLA= Il canonico Giorgio Occhipinti (poeta e storico 1872 - 1959)

scrisse a proposito: "....per cui si dovette ricorrere ad innalzare una chiesa provvisoria in

legname addossata alla parte meno danneggiata del pericolante edifizio (cioè la vecchia chiesa di

San Nicola), molto vasta per essere capace di contenere ben 3.000 persone e con 7 altari...."

continuando "....il 28 giugno 1738, i resti di Bernardo Cabrera, la lapide delle sua tomba e quanto

di pregevole è recuperato nella chiesa gotica, sono trasportati, con una solenne processione e

con l'intervento dei giurati, del Capitano e del Procuratore Generale della Contea nella nuova

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Capanna di San Giorgio allestita nella Chiesa di San Nicola in attesa della costruzione del Duomo.

TORNA.

PALAZZO DELLA CANCELLERIA= I lavori in effetti finirono nel 1760, ma si chiamava Palazzo

Nicastro. Nel 1840 diventerà Palazzo della Cancelleria quando sarà acquistato dal Comune.

TORNA.

RELIQUIE DEL BATTISTA= il braccio reliquiario d’argento, utilizzato oltretutto nei secoli

successivi per garantire la protezione durante gli interventi chirurgici, che viene esposto ancora

oggi in Cattedrale durante le ricorrenze del Santo e il piatto argenteo contenente la testa del

Battista, nella cui bocca è incastonato un dente del Santo. TORNA

COLERA= Il colera è causato da un batterio (vibrio cholerae o vibrione) che se respirato

s’introduce nell’organismo moltiplicandosi nell’apparato digerente. I sintomi classici iniziano da

due ore a cinque giorni dopo l'esposizione e si presentano con: diarrea profusa, crampi muscolari,

vomito, occhi infossati, pelle fredda e bluastra, diminuita elasticità della cute e rughe delle mani

e dei piedi. La diarrea può essere così grave che può portare in poche ore ad una grave

disidratazione e quindi alla morte. TORNA

UCEDA= Duca di Uceda (O Uzeda) è un titolo nobiliare creato dal re di Spagna Filippo III il 16

maggio 1610 in favore di Cristobal de Sandoval-Rojas y de la Cerda (1577-1624), 1º duca di Cea

dal 1604, 2º duca di Lerma. Cristóbal Gómez de Sandoval-Rojas y de la Cerda era un político

spagnolo, figlio di Francisco Gómez de Sandoval y Rojas, meglio noto come 1º duca di Lerma, a cui

succedette come favorito (valido) del re di Spagna Filippo III, e di Catalina de la Cerda, prima

cameriera della regina Margherita d'Austria. TORNA

ENCLAVE= In geografia politica, un'enclave è una regione interamente compresa all'interno di

uno Stato, che però appartiene ed è governata da un altro Paese. Viceversa, la parte di

territorio di uno stato sovrano che giace all'esterno dei confini della nazione si chiama exclave.

TORNA

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BIBLIOGRAFIA

Giovanni Distefano “Ragusa, atlante storico” Casa Editrice Supernova. Edizione 2017

Mimì Arezzo “Una Ragusa da amare” Vol. 3° Mim’ Arezzo Editore. Ristampa del 2013

Amalia Cornale “Ragusa un piccolo viaggio nel tempo” Edizione Cora Banche. Stampa 2013

SITOGRAFIA

https://www.facebook.com/archiviodistato.ragusa/photos/d41d8cd9/1849251865329792/

http://www.terraiblea.it/il-terremoto-del-1693.html

http://www.ibla.it/pages/55-san-giorgio