La ricerca dell’identità - giuntios.it · zientemente davanti all’uscita degli artisti e le...

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P S I C O L O G I A

Anna Oliverio Ferraris

La ricercadell’identità

Come nasce, come cresce,come cambia l’idea di sé

www.giunti.it

© 2002, 2007 Giunti Editore S.p.A.Via Bolognese, 165 - 50139 Firenze - ItaliaVia Dante, 4 - 20121 Milano - Italia

ISBN 9788809755321

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Prima edizione digitale 2010

È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasimezzo, se non espressamente autorizzata dall’editore.

Indice

I. La ricerca dell’identità 9

Bisogno d’identità 9Una realtà polimorfa 12Identità per sé e per gli altri 16Trasformazioni dell’identità nel tempo e nello spazio 22Un processo in divenire 25L’identità come rappresentazione 27

II. La costruzione dell’identità 30

I bambini tra Io e Noi 30Il Noi familiare 36L’Altro Generalizzato 39Identificazione, identità ausiliarie, identità personale 40Adolescenti in crisi 42Identità transitorie 44Quale identità? 46Dalla droga al carcere 49Riti integrativi e disintegrativi 52Identità o identificazione? 55

III. L’identità nel tempo 57

Il decollo dell’Io 57L’Io nella polis e nella città medioevale 61Con l’Umanesimo compare il Soggetto 65Regole di vita 68Generazione X 69Dal conflitto alla depressione 73

IV. Negativismo e falso Sé 76

Le difese del Sé 76Il negativismo al servizio dell’identità personale 79Negativismo e identità di gruppo 82Negativismo patologico 85Il falso Sé 88Un Sé proteiforme 93

V. L’“ex” 97

Uscire dal ruolo 97Disinnesto: dubbi e alternative 100Disinnesto: il giro di boa 104Relazioni infrante e difficili equilibri 108Da maschio a femmina 112

VI. Identità contro 118

Lotte tra etnie 118Catene di casta 121Hooligan o patrioti? 124Antagonismi e appartenenze 128La forza coesiva dell’appartenenza 131

VII. Tra due mondi 134

L’emigrante 134Tra due culture 138I protestanti cinesi di Belfast 141Svalorizzazione e difesa dell’identità 143Il percorso di Mag 146La storia di Gjon 149I due mondi dell’adottato 152

VIII. Il corpo 155

Unicità e continuità del corpo 155Progettare il corpo 158Body-building e anoressia 163La malattia come progetto 168Il dolore come cura 172

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IX. Presenze virtuali 176

L’Io in scena 176La maschera e il volto 179Maggiore consapevolezza? 183Adolescenti in rete 186Saltabeccando da un’identità all’altra 189Rifugi della mente 192Identità eccessive 195

X. Identità in crisi 200

I volti dell’identità 200Rinunce impossibili 202Comprare per esistere 206Conversioni identitarie 208Concludendo 213

Bibliografia 219

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La ricerca dell’identità

BISOGNO D’IDENTITÀ

Mara approda nello studio del suo attuale psicotera-peuta dicendo di chiamarsi Elisa e di non sapere più co-sa fare della propria vita. In alcuni momenti vorrebbesuicidarsi, in altri vorrebbe invece uccidere l’uomo cheè all’origine della sua sofferenza, di quello stato d’ansiaestrema e di confusione in cui si trova. Da quando la sto-ria con Roberto è finita, non è più capace di fare nulla.Ha lasciato il lavoro. Di notte, in preda al panico, si agi-ta e non chiude occhio. Di giorno non riesce a fare altroche camminare per ore, spostandosi da un luogo all’al-tro senza meta. Che cosa le è successo? Procediamo conordine, partendo dall’inizio.

Mara, che nel tempo libero recita in una filodramma-tica di periferia, circa un anno e mezzo fa incontra Ro-berto. Dopo avere assistito alla recita, lui l’aspetta pa-zientemente davanti all’uscita degli artisti e le offre dabere in un locale poco distante. Mentre bevono seduti l’u-no di fronte all’altra lui non smette di guardarla e di sor-riderle: «Hai un viso perfetto», le sussurra prendendolela mano. Poi si complimenta per le sue qualità di attrice:«Hai una mimica efficace, che rispecchia le emozioniche hai dentro».

Mara è lusingata da questi complimenti, perché di-ventare un’attrice è sempre stato il suo obiettivo. Studia

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recitazione da anni e interpreta piccole parti in teatri diperiferia, nella speranza di potere, un giorno, imprimereuna svolta alla sua vita, avere successo e guadagnare de-naro a sufficienza per vivere nell’agiatezza. Il suo inse-gnante, un vecchio attore che ha alle spalle una lunga egloriosa carriera, le ripete continuamente che ha le dotiper farcela. Sentirsi apprezzata anche da uno spettatoredisinteressato la rende euforica. E, quando Roberto le chie-de il numero di telefono per poterla rivedere, Mara nonesita a darglielo.

Infatti si rivedono. Mara resta conquistata dai modi diRoberto. Nessuno l’aveva mai guardata con tanta insistenteammirazione, nessuno l’aveva mai trattata con tanta gen-tilezza. Quell’uomo dall’aspetto elegante, più vecchio dilei di almeno quindici anni, esercita un fascino misterio-so. Così, quando lui le dice che nel suo viso vede le stesseespressioni e l’identico sorriso della sua ex moglie, Mara,invece di risentirsi, ne è lusingata. La sua ex, raccontaRoberto, si è risposata e ora vive in Sud America.

Le cose vanno avanti. Quando entra per la prima vol-ta nella casa di Roberto, un attico elegante con vista sul-la città, Mara è colpita da una grande foto della moglie,collocata al centro di una parete. La somiglianza è dav-vero sorprendente, anche se i capelli e l’abbigliamento so-no molto diversi. Un po’ per scherzo e un po’ sul serio,Roberto le chiede di fare un gioco: dovrebbe indossareuno degli abiti della moglie rimasti nel guardaroba, pervedere se la somiglianza aumenta. Mara accetta. Lui laosserva a lungo, con ammirazione. Le dice che è bella,sexy… Hanno un rapporto sessuale.

In seguito, proseguendo in quello che è ormai diven-tato il loro “gioco segreto”, Roberto la invita a tagliarsidi alcuni centimetri i capelli che le scendono disordina-tamente sulle spalle, a stirarli e tingerli di un colore scu-ro ramato, come quelli della sua ex moglie. Mara accon-

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sente e, quando si rivedono, fresca di parrucchiere, Ro-berto, per mostrare il suo gradimento, le propone una bre-ve vacanza in un albergo romantico in riva a un lago. Ledirà poi che lì era stato, anni addietro, con la moglie.Mara, in ogni caso, non è per nulla gelosa.

Col passare del tempo, Roberto avanza altre richie-ste. Le propone di usare lo stesso tipo di rossetto e diprofumo, di parlare con un tono di voce più basso, diutilizzare alcuni intercalari ed espressioni che la sua exmoglie era solita usare… Ogni volta che lei riesce a mo-dificarsi nella direzione indicata, lui la incoraggia, la lo-da, le fa complimenti e regali. A Mara il gioco piace, l’e-lettrizza, la fa sentire al centro di una storia intrigante, uni-ca. L’ultima richiesta di Roberto è quella di poterla chia-mare col nome della moglie, Elisa. Mara accetta senza mo-strare alcuna esitazione.

La bizzarra recita prosegue fino all’improvvisa quan-to imprevista ricomparsa della moglie, che non era affat-to divorziata, come Roberto aveva raccontato, ma soltantoseparata e che non viveva in Sud America, ma a pochichilometri di distanza. I due ex si rimettono insieme,Roberto torna a vivere con la vera Elisa e congeda quel-la falsa con una lettera di spiegazioni, accompagnata daun gioiello.

Che dire di questa eccentrica e assurda vicenda? Perquanto riguarda Roberto, non è difficile capire la mecca-nica del suo comportamento, improntato ad un totaleegocentrismo: innamorato della moglie che lo aveva lasciato,ha cercato di ricrearla attraverso Mara, illudendosi di ave-re ancora Elisa accanto. Difficile è invece comprendere lafacilità con cui Mara ha accettato di recitare la parte diElisa, se non si conosce la sua vicenda esistenziale.

Mara ha accettato docilmente di entrare nel ruolo diElisa non perché soggiogata da Roberto, ma perché eraalla ricerca di un’identità. La sua vita, fino a quel momento,

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si era svolta all’insegna del caos: abusata sessualmentedal patrigno durante l’infanzia, nell’adolescenza aveva se-guito il suo ragazzo in un gruppo di drogati e, cedendoai loro ricatti, si era prostituita più di una volta per pro-curare la droga e pagare i debiti di gioco del suo ragaz-zo. Con Roberto era arrivata l’occasione per rimettereordine nella sua vita, riscattarsi, prendere le distanze daun passato che voleva cancellare. Chiedendole di recita-re il ruolo di Elisa, Roberto le aveva dato l’opportunitàdi diventare un’altra persona. Ciò che a una donna sod-disfatta di sé, della propria vita, e con un Io più struttu-rato, sarebbe parso un affronto intollerabile, a lei, chevoleva dimenticare se stessa, era invece sembrata “la so-luzione”, l’inizio di una nuova vita.

Più che una delusione d’amore, ciò che tormenta Ma-ra è la mancanza di un’identità, il crollo di un’immaginepositiva di sé ancora fragile, ma che le aveva dato l’illu-sione di poter diventare un’altra persona. Miracolosa-mente era riuscita a liberarsi del pesante retaggio di Ma-ra ed entrare nella personalità “pulita” di Elisa. Ma orache Elisa ha ripreso il suo posto e Roberto non le dicepiù come deve comportarsi per essere approvata e ac-cettata, non sa chi è, né chi deve, o può, essere. Ciò spie-ga il suo stato d’ansia incontenibile.

Il compito del terapeuta sarà quello di aiutarla ad ab-bandonare definitivamente l’illusione di poter essere Eli-sa e a costruirsi una nuova identità, una base di partenzasufficientemente coerente e autentica che le consenta divivere il presente e di progettare un futuro non più reci-tato, ma reale.

UNA REALTÀ POLIMORFA

Il caso di Mara pone in primo piano una delle dimen-sioni fondamentali della personalità, l’identità, e ci fa com-

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prendere quanto questa dimensione della psiche possaessere problematica e al tempo stesso indispensabile. L’i-dentità è come la pelle che ci ricopre: impossibile farne ameno, perché segna il confine tra l’interno e l’esterno di noi,tra la sfera della soggettività e quella dell’oggettività, cidefinisce e ci consente di entrare in relazione col mondo.

Secondo una metafora di William James (1890), il pri-mo psicologo che ha affrontato in modo sistematico que-sto tema, l’identità è un torrente che ha 1) confini ben net-ti, “distinti”, nei confronti dell’ambiente che lo circon-da, 2) “continuità” nella direzione della sua lunghezza eche 3) si muove in “autonomia”, sotto il proprio peso edimpeto. La perdita di uno di questi tre aspetti del sensod’identità è associata a disagio, senso di depersonalizza-zione, a volte panico. Si può avere l’impressione che i pro-pri confini si siano dissolti e gli altri possano “vedere lanostra anima”, una sensazione di carenza nella coesionee continuità personale, la convinzione che le proprie azio-ni e i propri pensieri siano controllati da forze esterne (co-me emerge in alcuni disturbi mentali o situazioni estre-me). Ci si può anche ritrovare privi di obiettivi e di ruo-li sociali o, al contrario, imprigionati in ruoli da cui sivorrebbe fuggire, in un’identità che è in contrasto con inostri valori, desideri o aspirazioni.

Senza un’identità è difficile posizionarsi nel mondo,compiere delle scelte coerenti, relazionarsi con gli altri,individuare una linea di condotta che abbia un significa-to. È quanto viene descritto, ad esempio, nel film L’uo-mo che non c’era (2001), dei fratelli Coen, dove la deso-lazione interiore, legata all’assenza d’identità, porta il pro-tagonista a compiere una serie di assurdità che alla finelo condurranno alla sedia elettrica. Sarà proprio la penacapitale che, per assurdo, riuscirà a dare forma, in extre-mis, al destino dell’“uomo che non c’era”, regalandogli fi-nalmente un’identità, precisa e ufficialmente riconosciu-

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ta, quella, appunto, di “condannato a morte”. Questa iden-tità gli consentirà di acquisire una collocazione precisa nelcontesto sociale: rimasto marginale alla collettività per tut-ta la vita, sconosciuto agli altri come a se stesso, negli ul-timi istanti della sua esistenza quest’uomo sa con certez-za di essere un “condannato a morte”, quindi anche checosa lo aspetta, qual è il copione che deve recitare, comedeve comportarsi di fronte al gruppo dei testimoni del-l’esecuzione. Una consapevolezza e un protagonismoche gli consentono, per la prima volta, di sentirsi vivo epartecipe. Se consideriamo il senso di vuoto e di depres-sione che può originare dall’assenza d’identità e, di con-seguenza, dall’impossibilità di avere un ruolo socialmen-te riconosciuto, non è difficile comprendere come an-che una definizione negativa di sé e un ruolo distruttivopossano essere preferibili all’assenza di qualsiasi defini-zione e di qualsiasi ruolo.

L’identità è però una dimensione psichica complessa,una sintesi tra: 1) l’immagine che abbiamo di noi stessi edegli altri (come separati e diversi da noi), in rapportoanche ai nostri desideri, aspirazioni, emozioni, senti-menti; 2) le nostre diverse appartenenze, o ruoli sociali,che acquisiamo nel corso della nostra vita e che possonotrasformarsi sotto l’azione di forze interne o esterne divaria natura (appartenenze e ruoli che possono essere inperfetto accordo con il nostro Sé profondo, oppure in par-ziale o totale disaccordo); 3) l’immagine che gli altri han-no di noi (in rapporto a loro stessi) e che ci riflettono(con le loro valutazioni, conferme, rifiuti o disconfermeo, se si preferisce, con la loro azione modellante) quan-do interagiscono con noi, oppure quando ci ignorano oci evitano; 4) le differenti percezioni che abbiamo di noistessi e dei nostri ruoli (percezioni che, a livello cogniti-vo, analizziamo continuamente e cerchiamo di organiz-zare in insiemi significativi e il più possibile coerenti).

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Gli altri hanno un ruolo di spettatori attivi molto im-portante. Come ha spiegato il filosofo e sociologo Geor-ge Mead (1934), gli altri possono validare e invalidare lanostra identità o alcuni aspetti di essa, più o meno im-portanti per la nostra integrità psichica e per l’immaginecoerente che abbiamo di noi stessi. Possono anche spin-gerci verso forme di identità collettiva (pensate alle tifo-serie ultrà) o, al contrario, incoraggiarci nella costruzio-ne di un’identità separata e autonoma. L’identità può espri-mersi, infatti, a livello dell’individuo, del gruppo e dellasocietà, può subire trasformazioni nel tempo, essere sta-bile o transitoria, forte o debole e, naturalmente, puòentrare in crisi.

Quest’ultima eventualità si verifica generalmente quan-do «quello che io sono non corrisponde più a chi sono,perché il modo in cui agisco non è più la logica espres-sione di ciò che ho scelto di essere o di diventare e le ra-gioni che porto a giustificazione delle mie azioni non so-no più delle buone ragioni» (Hollis, 1977). Per esempio,una donna lesbica che passi per eterosessuale sperimen-ta un’incompatibilità tra ciò che lei sa, o pensa, di sé eciò che ritiene di dover apparire agli occhi degli altri,per evitare reazioni negative o di difficile gestione: il di-vario che esiste tra il suo Sé (soggettivo) e il suo Io (sociale)crea una complessità nei rapporti con gli altri e nellapresentazione di sé al mondo, una sorta di doppio livel-lo, dove essere e apparenza sono opposti e separati, edove sull’apparenza il soggetto svolge un lavoro costan-te di copertura e modellamento, teso a non lasciar trape-lare, sulla scena pubblica, le proprie tendenze sessuali.

Nel corso della vita può capitare di vivere una o più cri-si d’identità, di perderne una e di acquisirne un’altra, disentirsi imprigionati in un’identità imposta e di desiderarequella di un’altra persona (come nel caso di Mara), diessere indotti, da forze esterne, ad aderire o a contrapporsi

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ad un’identità collettiva (ad esempio, etnica). Può anchecapitare di giocare con l’identità, come fanno per mestieregli attori. Ma c’è di più. L’identità non è unica e indivisi-bile, come sembrerebbe dall’uso che di questo termineviene fatto nel linguaggio comune. In realtà, la nostra iden-tità è il prodotto di diverse identità più o meno integratetra loro. «Siamo tutti degli esseri poli-identitari», scrive-va Edgard Morin in Penser l’Europe (1987), «nel senso cheuniamo in noi un’identità familiare, un’identità regiona-le, un’identità trans-nazionale, ed eventualmente un’i-dentità confessionale o dottrinale». Ma le identità nonfiniscono qui…

IDENTITÀ PER SÉ E PER GLI ALTRI

Stiamo dunque parlando di una realtà psicologica com-plessa, variegata, dalle molte sfaccettature, ognuna dellequali la rappresenta e la spiega solo in parte. È da tempoche gli studiosi si confrontano con questa dimensione del-la personalità e si adoperano per comprenderla e descri-verla. Ogni volta che si cerca di analizzarne e definirne tut-te le sue componenti, però, si verifica qualcosa di analo-go a quel che accade ad un biologo che guardi al micro-scopio una cellula: se ne mette a fuoco una struttura de-ve rinunciare a vederne altre, pure importanti, che scom-paiono del tutto alla vista, oppure appaiono sfocate.

Per i filosofi dell’antica Grecia l’identità personalenasce nel passaggio dell’anima da uno stato di “disper-sione” ad uno stato di “concentrazione”. «Partendo datutti i punti del corpo in cui è dispersa come un “sof-fio”», spiega Platone nel Fedone, «l’anima si raccoglie pu-ra in se stessa e sciolta dalla catene fisiche». Si forma co-sì un nucleo permanente e stabile, al di là di quelle mu-tazioni che l’individuo subisce per effetto del «disordinedelle passioni e del corrompersi della materia». Quel

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nucleo è l’identità personale, che ha come suo implicitoriconoscimento l’alterità dell’altro: perché ciascuno è sestesso soltanto se è altro rispetto a colui (o colei, o colo-ro) da cui si differenzia.

Il primo pensatore moderno a cimentarsi con una de-scrizione dell’identità fu il filosofo inglese John Locke. Nelsuo Saggio sull’intelletto umano (1694) Locke descrissel’esperienza di sperimentare il mondo separando il sen-so di sé dall’esperienza delle proprie azioni interne ed ester-ne: in questo mondo non ci si limita a vivere o ad agire,ma si è anche consapevoli del proprio vivere e del pro-prio agire. Ogni essere umano possiede un “Sé puntuale”,che non coincide con le proprie azioni e le proprie espe-rienze e che può essere pensato disgiunto da esse. No-nostante la molteplicità e discontinuità delle nostre espres-sioni spazio-temporali percepiamo un senso di unita-rietà e di continuità. Questo centro di consapevolezza rap-presenta, per Locke, il nocciolo dell’identità personale,la quale non va certamente immaginata come una “co-sa” concreta, bensì come una struttura psichica dotatadi una sua organizzazione interna e di una sua continuitàtemporale. Elementi costitutivi dell’identità sono l’auto-coscienza e la continuità della memoria del proprio pas-sato. È la memoria la dimensione psichica che consenteall’identità personale di esistere e, anche se non siamo ingrado di ricordare tutto ciò che abbiamo vissuto o agito,ricordiamo molto bene chi siamo e con chi siamo stati. L’i-dentità si avvale non solo della memoria individuale, maanche di quella collettiva: le memorie comuni e le espe-rienze condivise definiscono, spiega il filosofo inglese, lenostre appartenenze, che altrimenti non esisterebbero, esostengono, completano e confermano i nostri ricordi per-sonali. Cosicché, la carenza di memorie condivise è spes-so all’origine di crisi, sensazioni d’indecidibilità e d’in-quietudine, che mettono in moto un processo di ricerca.

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Ce lo spiega Norma, una giovane donna adottata in Bra-sile, all’età di otto anni, da una famiglia italiana: «La per-sona adottata ha dei ricordi che non può condividere. Nonc’è nessuno accanto a lei che può dire: “Sì, questa cosa èvera”. Così alla fine metti in dubbio i tuoi ricordi: nonsai dire che cosa sia vero e che cosa sia frutto della tuafantasia e questo ti dà un senso di vuoto. Ho dentro dime immagini, odori, sogni in cui ricorrono alcune situa-zioni incomplete… Voglio tornare in Brasile per vederese un certo colore che mi ricordo c’è davvero o se c’è uncerto portico. Devo sapere con chi ho vissuto prima diincontrare mamma, papà e mio fratello… se ho vissuto, sec’è stato davvero qualcos’altro […]. In casa c’era un uo-mo che secondo me non era mio padre: me lo ricordo per-fettamente, lo potrei disegnare nei minimi particolari…ma come faccio a dimostrarlo? Non c’è nessuna vocefuori campo che mi possa dire: “Sì, Norma, hai ragione,quello non era tuo padre”. Io mi ricordo di una vita con-tadina con i nonni: era spettacolare, da film. C’erano an-che gli armadilli e i cavalli. Io adoro i cavalli. Quando nevedo uno lo devo toccare, perché mi riporta a immaginie sensazioni lontane. Per i cavalli provo un grande affet-to. Il guaio è che non esiste una conferma per me se que-sti ricordi sono reali e in quale successione devono esse-re collocati. È tremendo questo. Voglio tornare in Brasi-le per cercare di ricostruire una mappa della memoria»(Oliverio Ferraris, 2002).

Le riflessioni di John Locke sulle diverse forme e per-cezioni dell’identità furono riprese e approfondite dalfilosofo e psicologo pragmatista statunitense William Ja-mes nel capitolo «La coscienza di Sé» del volume Princi-pi di psicologia (1890). James affrontò un punto crucialedel discorso sull’identità, quello del rapporto che esistetra l’identità “per noi” e l’identità “per gli altri”, e descrissetre aspetti, o livelli, dell’identità: 1) il “Sé materiale”, ov-

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vero il nostro modo abituale di presentarci (corpo, fami-glia, oggetti particolari, abiti, casa), la nostra parte visibile,che non è solo un elenco anonimo di caratteristiche, matutto ciò che ci caratterizza allo sguardo esterno; 2) il“Sé sociale”, vale a dire il riconoscimento che riceviamodal mondo esterno cui apparteniamo, la nostra “dignità”,il nostro posizionarci nella comunità o nella società at-traverso l’attività lavorativa o altri ruoli pubblici, l’insie-me, spesso complesso e contraddittorio, delle nostre im-magini sociali; 3) il “Sé spirituale”, ovvero l’identità psi-cologica colta nella sua interiorità e privatezza, l’insiemedelle facoltà psichiche o disposizioni personali: tale iden-tità la si coglie attraverso un processo riflessivo che com-porta l’abbandono del nostro abituale guardare versol’esterno a favore di uno sguardo interno, introspettivo.È la sensazione intima che permette ad ognuno di noi didire a se stesso e di affermare apertamente: «Io sono io,unico e diverso da tutti gli altri».

Secondo James l’identità globale personale, descrittadal punto di vista dell’Io osservante, è il Me, o Sé empi-rico. Inoltre, se a livello sociale l’identità personale èconfermata dalle relazioni, dai riconoscimenti, dai titoli,dalle cariche (insegnante, ufficiale giudiziario, manova-le, studente, coniugato, ecc.), a livello individuale è con-fermata, invece, da procedure più intime, quali le con-valide che provengono dai ricordi, dalla famiglia, daisimboli e dagli oggetti personali, dai comportamenti abi-tuali, ecc.

Le riflessioni e le elaborazioni teoriche di Locke e Ja-mes diedero inizio a due grandi filoni di ricerca: uno acarattere sociologico, che studia le identità individuali(considerandole però dall’esterno, nella loro dimensio-ne sociale, o pubblica), di gruppo, familiari e collettive,nonché le influenze che su di esse hanno gli altri, l’am-biente e la cultura, e uno più psicologico, che guarda

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agli aspetti interni (soggettivi, o privati) delle identità in-dividuali e alle modalità di elaborazione interiore delleesperienze. Tuttavia, il sociologo e psicologo statuniten-se George Mead, uno tra i fondatori della psicologia so-ciale, ha sottolineato come una distinzione netta tra per-sonale e sociale sia difficile da realizzare e come il Sé (prin-cipio autocosciente) si sviluppi grazie all’immagine che glialtri gli rimandano. Mead distingue due componenti delSé: il Me, che corrisponde all’interiorizzazione degli at-teggiamenti degli altri, ed è pertanto la parte socializzatadell’individuo, e l’Io, che si riferisce alle capacità dina-miche e creatrici del soggetto, alla sua forza vitale di es-sere sempre qualcosa di diverso e di distinto dalla situa-zione che sperimenta e vive. Quella di Mead è una con-cezione interazionista: l’identità è infatti sì la risultantedell’Io (principio attivo che percepisce, costruisce e iniziale azioni) e del Me (la parte della personalità percepita da-gli altri), ma anche di un Io che riesce ad immedesimar-si nel punto di vista dell’altro consentendo al Sé la for-mazione di norme generali e di un quadro di riferimen-to oggettivo.

Anche per lo psicoanalista statunitense di origine te-desca Erik Erikson (1959) l’identità individuale inglobasia la dimensione personale che quella sociale, cioè sia il«sentirsi come se stessi» nel corso della propria esisten-za, sia l’«avvertire chiaramente la propria appartenenzaalla comunità, il senso di unità di quest’ultima con lapropria storia e il proprio futuro», cosicché ognuno si sfor-za inconsciamente di adeguarsi agli ideali del gruppo diappartenenza. Per Erikson l’identità è un “processo di sin-tesi” in cui convergono le immagini consce e inconsce cheognuno ha di sé. È una funzione autoregolativa che sisviluppa gradualmente, con l’emergere dell’Io e con l’e-laborazione delle identificazioni con persone significati-ve del presente e del passato (genitori, fratelli, insegnan-

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