LA RESPONSABILITA' PENALE DELL'AMMINISTRATORE IN … · I reati ex artt. 2321 e ss. c.c. 2. False...

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1 LA RESPONSABILITA' PENALE DELL'AMMINISTRATORE IN AMBITO BANCARIO TRATTAZIONE SCHEMATICA PER UN PRIMO ORIENTAMENTO Indice CAPITOLO I Parte generale 1. Premessa e note di consultazione. 2. Le principali fonti normative ed i relativi rapporti. 3. La figura dell'amministratore di fatto. 4. La responsabilità dell'amministratore non esecutivo. e la responsabilità dell'amministratore per omissione. 5. Poteri e funzionamento degli organi straordinari. CAPITOLO II Parte speciale 1. Premessa. Sezione I I reati ex artt. 2321 e ss. c.c. 2. False comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c. 3. False comunicazioni sociali in danno della società, dei 5 6 13 17 21 29 25

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LA RESPONSABILITA' PENALE

DELL'AMMINISTRATORE

IN AMBITO BANCARIO

TRATTAZIONE SCHEMATICA

PER UN PRIMO ORIENTAMENTO

Indice

CAPITOLO I

Parte generale

1. Premessa e note di consultazione.

2. Le principali fonti normative ed i relativi rapporti.

3. La figura dell'amministratore di fatto.

4. La responsabilità dell'amministratore non esecutivo.

e la responsabilità dell'amministratore per omissione.

5. Poteri e funzionamento degli organi straordinari.

CAPITOLO II

Parte speciale

1. Premessa.

Sezione I

I reati ex artt. 2321 e ss. c.c.

2. False comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c.

3. False comunicazioni sociali in danno della società, dei

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soci

e dei creditori ex art. 2622 c.c.

4. Impedito controllo ex art. 2625 c.c.

5. Indebita restituzione dei conferimenti ex art. 2626 c.c.

6. Illegale ripartizione degli utili e delle riserve ex art.

2627 c.c.

7. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della

società controllante ex art. 2628 c.c.

8. Operazioni in pregiudizio dei creditori ex art. 2629 c.c.

9. Degli illeciti mediante omissione, ovvero il reato di

omessa comunicazione del conflitto di interessi ex art.

2629 bis c.c. e le sanzioni amministrative di omessa

comunicazione di denunce, comunicazioni o depositi ex

art. 2630 c.c. e di omessa convocazione dell'assemblea

ex art. 2631 c.c.

10. Formazione fittizia del capitale ex art. 2632 c.c.

11. Infedeltà patrimoniale ex art. 2634 c.c.

12. Corruzione tra privati ex art. 2635 c.c.

13. Illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 c.c.

14. Aggiotaggio ex art. 2637 c.c.

15. Ostacolo all'esercizio delle funzioni della autorità

pubbliche di vigilanza ex art 2638 c.c.

16. Estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c.,

circostanza attenuante ex art. 2640 c.c., confisca ex art.

2641c.c.

Sezione II

I reati previsti dal T.U.B.

17. I reati di abusivismo bancario e finanziario.

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18. I reati relativi alle obbligazioni degli esponenti bancari

ex art. 136 T.U.B. e di mendacio e falso interno ex art.

137 T.U.B.

19. I reati relativi alle partecipazioni.

Sezione III

I reati previsti dal T.U.F.

20. I reati di cui artt. da 166 a 168 ss. T.U.F. e di cui all'art. 170

T.U.F.

21. I reati di partecipazione al capitale ex art. 169 T.U.F. e di

ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della

Consob di cui all'art. 170 bis T.U.F.

22. I reati di irregolare acquisto di azioni ex art. 172 T.U.F.,

omessa alienazione di partecipazioni ex art. 173 T.U.F. e

falso in prospetto ex art. 173 bis T.U.F.

23. Il reato di abuso di informazioni privilegiate ex art. 184

T.U.F.

24. Il reato di manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F.

Sezione IV

Ulteriori direzioni di analisi

25. La responsabilità degli amministratori: le difficoltà ed i

percorsi di accertamento.

26. I reati fallimentari.

27. La responsabilità amministrativa dell'impresa ex D.l.gs.

231/2001.

28. Considerazioni finali.

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Indice dei

Chiarimenti tecnici e giuridici

1. Il concorso apparente tra norme. 9

2. Il concorso formale e la continuazione ex art. 81 c.p. 11

3. Il reato "comune" ed il reato "proprio". Il concorso dello

estraneo nel reato proprio. 16

4. L'elemento soggettivo del reato. Delitti e

contravvenzioni e rapporti con la prescrizione. 31

5. La procedibilità d'ufficio ed a querela di parte. 35

6. Il concorso di persone nel reato. L'associazione per

delinquere 38

7. I reati di danno e di pericolo. Il tentativo. 42

8. Il dolo. In particolare il dolo eventuale. 50

9. Il bilanciamento delle circostanze. 58

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CAPITOLO I

Parte generale

1. Premessa e note di consultazione.

La disciplina del comportamento degli amministratori che prestano la loro

opera in favore di una banca deve essere orientata verso molteplici

tecniche di tutela, poiché diversi sono gli interessi in gioco.

I rischi di una mala gestio sono infatti multiformi: dalla più ovvia messa in

pericolo dell'integrità del patrimonio sociale è possibile volgere lo sguardo

fino alla tutela di rilevanti beni giuridici di pubblico interesse, la cui

eventuale lesione merita una risposta così incisiva da implicare il ricorso

alla sanzione penale.

Tali considerazioni, valide in generale, divengono di assoluta evidenza

laddove ci si riferisca ad illeciti compiuti in ambito bancario.

L'intrinseca struttura di tale tipologia di impresa tende infatti a

coinvolgere fondamentali valori superindividuali, quali la fiducia del

pubblico nell'intero sistema bancario e la capienza del patrimonio dei

singoli istituti nei confronti di ampie platee di creditori.

Il Legislatore, da sempre avveduto di tali circostanze, ha dunque

proceduto alla creazione di un sistema penalistico specializzato, complesso

e proveniente da diverse fonti normative.

Si tratta di una conseguenza inevitabile a fronte dell'elevatissimo tasso di

tecnicismo della materia che, eventualmente riflesso nel modus commissi

delicti del singolo reato, ne conforma sovente le concrete manifestazioni in

un'ottica particolarmente articolata e, spesso, di difficile individuazione e

repressione.

Ulteriori complicazioni emergono nel caso di crisi dell'istituto bancario:

imprescindibile necessità degli eventuali commissari nominati, infatti, è

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quella di individuare al più presto e con estrema efficacia le eventuali

responsabilità penali degli amministratori che li hanno preceduti.

Il presente scritto, dunque, si propone proprio l'arduo compito di fornire

un primissimo orientamento a tali figure professionali ex artt. 71 e

ss. T.U.B., ovviamente suscettibile di un approfondimento molto

maggiore in sede di eventuale applicazione ad un ipotetico fatto concreto.

In tale ottica, dunque, appare opportuno fornire una nota di consultazione:

la principale finalità è quella di evitare esasperati tecnicismi giuridici.

I più delicati dibattiti dottrinari e giurisprudenziali - pur particolarmente

vivaci ed interessanti - sono filtrati da un'esposizione il più possibile

lineare e periodicamente dotata di "Chiarimenti giuridici in estrema sintesi",

posti nel testo in campi e con caratteri differenti.

Al fine di garantire una più agevole lettura, infatti, i passaggi chiarificatori

dei più rilevanti concetti giuridici - soprattutto di carattere generalissimo -

sono tenuti separati dall'analisi delle singole fattispecie di reato, con

l'intento di consentire una facile lettura anche indipendentemente da

una specifica esperienza del campo penalistico.

2. Le principali fonti normative ed i relativi rapporti.

Risulta fin troppo agevole sottolineare l'importanza, nell'ambito bancario,

del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni (d'ora in poi

citato come T.U.B.).

Si tratta di un testo ampio e fondamentale, in grado di disciplinare non

solo l'attività fisiologica dell'istituto bancario e dei relativi amministratori,

ma anche di individuare i primi lineamenti della loro responsabilità penale.

Occorre iniziare l'esame della normativa vigente dall'art. 135 T.U.B.: "Le

disposizioni contenute nel titolo XI del libro V del codice civile si applicano a chi

svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso

banche, anche se non costituite in forma societaria".

7

Dunque tutti i così detti reati societari che, per tradizione, sono contenuti

nel codice civile (ma sono strutturati comunque su paradigmi e principi

penalistici) si applicano anche agli amministratori delle banche.

Si tratta di un vasto compendio normativo formato da numerose ipotesi di

reato: nel seguito di questo scritto ne verranno illustrati i principali

lineamenti ma, per ora, urge illustrare una diversa circostanza.

Infatti il rinvio ex art. 135 operato dal T.U.B. al codice civile (Libro V,

Titolo XI, per la precisione), non è sufficiente ad individuare un unico e

monolitico corpus di norme, sufficiente a disciplinare l'intero statuto

penalistico degli amministratori delle banche.

Al contrario numerose ulteriori fattispecie di reato sono disciplinate - ma

in altre disposizioni - dallo stesso T.U.B., nonché dal d.lgs. del 24 febbraio

1998 n. 58 e successive modificazioni (d'ora in poi citato come T.U.F.).

I testi fondamentali, dunque, sono almeno tre: codice civile, T.U.B. e

T.U.F., ma ve ne sono anche molti altri rilevanti in subiecta materia.

Si pensi, ad esempio, alle norme in materia di responsabilità

amministrativa delle imprese (ex d.lgs. 231/2001) che, pur non

riguardando la responsabilità penale degli amministratori, da quest'ultima

- spesso - è generata1.

Appena il caso di sottolineare, inoltre, l'importanza della più generale

normativa penalistica sostanziale e processuale, all'interno dei cui

istituti, ovviamente, va valutata e giudicata la responsabilità penale

derivante dalle fattispecie incriminatrici a cui si è accennato.

Deve essere ricordato, inoltre, che le banche popolari e le banche di credito

cooperativo, in relazione alla loro diversa intrinseca struttura, anche

normativa, presentano delle particolarità2 suscettibili di riflettersi -

almeno potenzialmente - su alcuni profili penalistici.

1 Cfr. INFRA, Cap. II, par. 27. 2 Cfr. artt. 149 e ss. T.U.B.

8

Si tratta di un aspetto, comunque, da vagliare necessariamente in rapporto

ad un eventuale caso concreto.

Chiarite tali coordinate sistematiche generali, occorre sgombrare il campo

da un primo dubbio interpretativo che potrebbe affliggere chi, senza una

specifica preparazione penalistica, si avvicinasse alla materia.

La normativa in parola, infatti, può sembrare confusa, eccessivamente

frammentaria ed a volte fonte di non chiare sovrapposizioni.

Ebbene, non si nega che ciò - in parte - sia frutto di una tecnica legislativa

non sempre ponderatissima, ma ciò non toglie che tali difficoltà

interpretative - peraltro in gran parte inevitabili - possono comunque

essere superate.

Non si intende affrontare, in questa fase della trattazione, la ben più

complessa tematica della distinzione tra le singole fattispecie in seguito

illustrate, ma semplicemente fornire una regola generalissima sempre

valida in campo penale.

L'art. 15 c.p., infatti, stabilisce l'unica regola positivamente indicata dal

Legislatore in sede di distinzione tra le aree applicative dei vari reati:

"quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano

la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge

o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito".

In altre parole, dunque, tra due fattispecie di reato entrambe

apparentemente applicabili ad uno stesso fatto, si applica solo quella più

specifica (con la relativa pena).

Ciò avviene quando la norma "speciale" disciplina un "sottoinsieme" di

situazioni rispetto a quella generale.

In altre parole tutte le condotte punite dalla norma speciale sarebbero

risultate punibili (ai sensi della norma generale), anche se quella speciale

non fosse esistita.

9

La norma speciale, dunque, contiene un elemento - appunto specializzante

- in più rispetto a quella generale, configurando un rapporto di genere a

specie.

In quel caso si applica solo la norma speciale.

Se invece due norme non sono tali da essere una in rapporto di genere a

specie rispetto all'altra, allora si applicheranno entrambe, con conseguente

irrogazione di entrambe le pene, salvo i criteri moderatori ex art. 78 c.p.

(che comunque è scarsamente applicabile alla materia in oggetto) e 81 c.p.,

che invece, come illustrato a breve3, riveste una notevole rilevanza.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 1

In estrema sintesi: il concorso apparente tra norme.

L'ottica di semplificazione e linearità sistematicamente perseguita nel presente scritto non può

trascurare la necessità di periodici chiarimenti tecnico - giuridici.

Si tratta sempre di principi generalissimi (a loro volta suscettibili di amplissimo

approfondimento), qui presentati solo nei loro lineamenti assolutamente fondamentali e rivolti

agli operatori privi di una specifica esperienza penalistica.

L'eventuale applicazione dei concetti qui indicati ad un ipotetico caso concreto consentirà tale

vasto approfondimento e specificazione ma, per ora, si descrivono (in questa come in tutte le

altre tabelle di chiarimento), solo gli aspetti più indispensabili.

In relazione al concorso tra norme, oltre al criterio di specialità ex art. 15 c.p. (che resta

comunque il più rilevante), occorre considerare anche i concetti di sussidiarietà e di

assorbimento4.

Ancor prima di analizzare tali ulteriori criteri, tuttavia, va valutato un ulteriore aspetto del

principio di specialità, cioè quello della specialità così detta "reciproca".

Questa è individuata dalla giurisprudenza in quei casi in cui, a seconda delle modalità di

realizzazione del fatto, trovi applicazione l'una o l'altra fattispecie di reato a seconda che siano

realizzati gli elementi specializzanti della prima o della seconda5.

3 Cfr. Chiarimento tecnico - giuridico n. 2. 4 FIANDACA, MUSCO, Diritto penale parte generale, Bologna, Zanichelli 2011, pp. 679 e ss.

10

Non si tratta, in quel caso, di un rapporto di genere a specie (come avviene in un

"sottoinsieme"), ma di due norme in cui ognuna è caratterizzata da un elemento specializzante

assente nell'altra.

In tali ipotesi si applicheranno entrambe le norme e, quindi, entrambe le pene, salva

l'applicazione del criterio moderatore ex art. 81 c.p.6

Ulteriore criterio per risolvere le problematiche in tema di concorso apparente di norme è,

come detto, quello della sussidiarietà, per effetto del quale una disposizione penale

incriminatrice è applicabile solo laddove non sia prevista l'applicazione di una diversa

disposizione.

Frequentemente il criterio della sussidiarietà è insito nella stessa formulazione della norma, che

fa espressamente salvo il caso in cui il fatto "non costituisca più grave reato"7.

Si applica, in tal caso, una sola norma e, dunque, una sola pena.

Ulteriore strumento interpretativo per la soluzione delle problematiche in oggetto è quello

dell'assorbimento.

In tali ipotesi accade che il disvalore penale connesso alla violazione più grave assorba quello

relativo alla violazione meno grave.

Ciò si verifica, ad esempio, laddove sussista una progressione criminosa per la quale, dal fatto di

reato meno grave, si passa al più grave (ad es. dalle percosse alle lesioni).

Si applica, anche in tale ipotesi, una sola norma e, dunque, una sola pena, che nello specifico

sarà quella più grave.

Se, al contrario, nessuno dei criteri illustrati risultasse conforme al caso concreto, sarebbe

necessario applicare entrambe le norme e, dunque, entrambe le pene8.

Rilevanti problematiche sono poste dai concetti di antefatto o postfatto non punibili.

La materia meriterebbe ampio approfondimento ma, per esigenze di sintesi, basti dire che

determinate condotte (che altrimenti sarebbero penalmente rilevanti) non portano

all'applicazione di nessuna pena, perché ritenute immediata conseguenza di altri reati (questi

5 MAGRA, Concorso apparente di norme, Overlex 2006, http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=943 6 Cfr. INFRA, chiarimento tecnico giuridico n. 2. 7 Cfr. ad esempio, in materia di diritto penale finanziario, l'art. 167 T.U.F, rubricato "gestione infedele". 8 Cfr. però, anche in questo caso, il chiarimento tecnico - giuridico n. 2.

11

ultimi, ovviamente, puniti).

L'ipotesi probabilmente più rilevante è quella del così detto auto-riciclaggio, a tutt'oggi non

punibile nel nostro ordinamento, sebbene periodicamente (anche in questo momento storico)

oggetto di intenso dibattito in relazione alla sua introduzione.

Nello specifico chi compie un reato che gli causa un beneficio economico non è punibile anche

per il diverso reato di riciclaggio se compie delle condotte idonee ad ostacolare l'individuazione

della provenienza delittuosa del denaro.

Le stesse condotte, invece, sono punibili per riciclaggio9 se poste in essere autonomamente da

chi non ha compiuto il reato che ha generato il profitto economico.

Ulteriore aspetto d'interesse riguarda il concorso tra norma penale ed amministrativa, anch'esso

prevalentemente risolvibile tramite il ricorso al principio di specialità10.

Più in generale tuttavia, nella concreta applicazione di tutti i criteri indicati, non si può

prescindere dalla giurisprudenza di Legittimità di volta in volta formatasi in relazione alle varie

ipotesi di reato, nell'ambito di un giudizio che trova tutta la sua efficacia solo nel confronto tra

norme puntualmente individuate in relazione ad un caso concreto.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 2

In estrema sintesi: il concorso formale e la continuazione ex art. 81 c.p.

Se l'applicazione dei criteri appena indicati porta a stabilire che più di una norma (e,

conseguentemente, più di una pena), debba essere applicata, allora occorrerrà verificare le

modalità di calcolo della sanzione.

Il principio generale prevede che, laddove siano commessi più reati, si debba procedere alla

semplice somma algebrica delle pene irrogate per ognuno, salvi i criteri moderatori ex art. 78

9 Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648. 10 Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 1963/2011.

12

c.p.11

Conseguenze ben diverse, tuttavia, si riscontrano nei casi di applicazione dell'art. 81 c.p.12

Si tratta degli istituti del concorso formale e della continuazione.

Il concorso formale si applica a chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni

di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

In quel caso, anziché procedere alla somma algebrica di tutte le pene irrogabili per il singolo

reato, si individua l'ipotesi delittuosa più grave e questa viene aumentata di un quantum

(ampiamente discrezionale) da parte del Giudice, ma comunque in misura minore rispetto alla

somma algebrica ed in ogni caso, anche in presenza di reati numerosissimi, mai oltre il triplo del

reato ritenuto più grave.

Si tratta di un istituto evidentemente molto favorevole al reo.

Analoghe conseguenze in punto di pena si riscontrano in tema di continuazione.

In questo caso, tuttavia, non è nemmeno necessario che i reati siano compiuti con una sola

azione od omissione, essendo sufficiente il più lato requisito dell'unicità del disegno

criminoso.

Questo viene individuato nel caso concreto dal Giudice, sulla base dei criteri sintomatici

individuati dalla giurisprudenza di Legittimità:

11 Art. 78 c.p., cit.: "Limiti degli aumenti delle pene principali. Nel caso di concorso di reati preveduto dall'articolo 73, la pena da applicare a norma dello stesso articolo non può essere superiore al quintuplo della più grave fra le pene concorrenti, né comunque eccedere: 1) trenta anni per la reclusione; 2) sei anni per l'arresto; 3) euro 15.493 per la multa e euro 3.098 per l'ammenda; ovvero euro 64.557 per la multa e euro 12.911 per l'ammenda, se il giudice si vale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell'articolo 133-bis. Nel caso di concorso di reati preveduto dall'articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell'articolo stesso non può superare gli anni trenta. La parte della pena eccedente tale limite è detratta in ogni caso dall'arresto." 12 Art. 81 c.p., cit.: "È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Nei casi preveduti da quest'articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti. Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, l'aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave".

13

distanza cronologica tra i fatti;

modalità della condotta;

sistematicità ed abitudini programmate di vita;

tipologia dei reati;

bene protetto;

omogeneità delle violazioni;

causale;

condizioni di tempo e di luogo.

Risulta sufficiente anche "la constatazione di alcuni soltanto di detti indici - purché siano pregnanti e idonei

ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo in questione”13.

Innumerevoli altri aspetti, quali la continuazione tra delitti e contravvenzioni, l'individuazione

"in astratto o in concreto" della violazione più grave, il trattamento dei recidivi, la prescrizione e

il divieto di reformatio in pejus (oltre a molte altre questioni), potranno essere approfondite in

relazione ad un caso specifico.

3. La figura dell'amministratore di fatto.

Il presente scritto, incentrato sulla responsabilità penale

dell'amministratore che opera nell'ambito bancario, non può prescindere

dalla figura dell'amministratore di fatto.

Nello specifico emerge l'importanza di un percorso ermeneutico proposto

dalla Corte di Cassazione14 secondo cui è possibile riconoscere la

responsabilità penale dell’amministratore di fatto che - pur in assenza di

valida ed efficacia delibera assembleare di nomina - abbia esercitato, in

modo continuativo ed in posizione di autonomia decisionale, funzioni

gestorie (anche se parziali) che sono di competenza degli amministratori

regolarmente investiti di tale incarico da parte dell’assemblea.

13 Ex multis, Cass. Pen., sent. n. 1587/2000. 14 Cass. Pen., sent n. 25432/2012.

14

Secondo i Giudici di legittimità il cosiddetto amministratore occulto, che

operi in posizione di dominus della società, assume (anche in ragione di

quanto previsto dall’art. 2639 c.c.) l’intera gamma di doveri cui è soggetto

l’amministratore di diritto per cui, ove concorrano le altre condizioni di

ordine oggettivo e soggettivo, è responsabile per tutti i comportamenti a

quest’ultimo addebitabili.

La responsabilità penale coinvolge anche il cosiddetto amministratore di

comodo, ovvero quell’amministratore regolarmente investito dal mandato

che avrebbe, però, rivestito solo formalmente un determinato ruolo, senza

aver pienamente operato quale gestore effettivo15.

In tal caso la così detta "testa di legno" concorre nel reato16 unitamente

all’amministratore di fatto, a fronte di una condotta omissiva che consiste

nella mancata e consapevole adozione dei comportamenti che avrebbero

impedito il verificarsi dell’evento.

In altre parole gli amministratori di diritto (anche se nominati per ragioni

semplicemente formali e “scalzati” dal loro ruolo dai cosiddetti

amministratori occulti o di fatto) sono sempre investiti di una vera e

propria posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato

(soprattutto il patrimonio sociale), con la conseguenza che è configurabile,

in capo ai medesimi, una responsabilità in tutti i casi in cui sia accertata la

violazione anche solo dell’obbligo di vigilare e di attivarsi in presenza di

condotte pregiudizievoli per la società o per i creditori17.

L’amministratore di diritto (anche se semplice prestanome) è dunque

tenuto ad intervenire per impedire la realizzazione di fattispecie criminose

da parte di altri soggetti e/o organi societari.

15 Ex multis, Cass. pen., sent. n. 47110/2013. 16 Si fa riferimento, soprattutto, al reato di bancarotta, cfr. INFRA Cap. II, par. 26. 17 PROVERA, Amministratore di comodo. Anche una "testa di legno" si può rompere, 2013, http://www.diritto24.ilsole24ore.com/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2013/04/anche-una-testa-di-legno-si-puo-rompere.php

15

In difetto, può subentrare la sua responsabilità penale ai sensi dell’art. 40

comma secondo codice penale18.

Occorre ricordare, inoltre, che la punibilità per l'amministratore di fatto è

espressamente prevista dal Legislatore in rapporto ai reati del Titolo XI

del Libro V del c.c. (artt. 2621 e ss. c.c.), in base alla disposizione di cui

all'art. 2639 c.c.19

Anche in relazione alla figura di chi è tenuto alla gestione della

banca in seguito ad una nomina da parte dell'Autorità giudiziaria o

da parte dell'Autorità pubblica di vigilanza è prevista un'analoga

estensione della responsabilità penale (art. 2639 c.c., secondo comma

c.c.) in ipotesi di commissione di uno dei reati previsti dal codice civile.

Anche al di fuori di tale ipotesi, comunque, basta il mero esercizio "in modo

continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla

funzione" per rispondere dei reati che presuppongono l'assunzione della

qualifica di amministratore.

In altre parole molti dei reati più rilevanti in subiecta materia sono reati c.d.

"propri" ma, sia in virtù dell'espressa norma di cui all'art. 2639 c.c., sia in

relazione alla già citata giurisprudenza20, frequentemente non è possibile

limitare la punibilità ai soli soggetti che formalmente rivestono la qualifica

di amministratore.

18 Art. 40 c.p.: "Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". 19 Art. 2639 c.c.: "Estensione delle qualifiche soggettive. Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi". 20 Cass. Pen., sent n. 25432/2012, cit.

16

L'applicazione delle norme penali, al contrario, può estendersi anche a chi

esercita, in maniera analoga, i poteri propri di tali qualifica.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 3

In estrema sintesi: il reato "comune" ed il reato "proprio". Il concorso

dell'estraneo nel reato proprio.

Si definisce reato "comune" quello che può essere commesso da "chiunque" ponga in

essere un determinato comportamento, indipendentemente da qualsivoglia qualifica

soggettiva rivestita dal reo21.

E' invece "proprio" il reato che può essere commesso solo da chi riveste una determinata

qualifica (si pensi, ad esempio, alla rilevantissima casistica dei reati dei pubblici ufficiali

contro la pubblica amministrazione).

Come già accennato molti dei reati che qui interessano sono di carattere "proprio", ma tale

caratteristica non va intesa in senso formale, ma sostanziale e concreta.

Al di là di tale ipotesi, tuttavia, è configurabile anche un caso diverso, ovvero quello del

concorso di persone che collaborano nel reato "proprio", tra le quali solo una abbia la

qualifica necessaria (ad es. amministratore della banca), mentre le altre ne siano, anche

di fatto, del tutto prive.

Ebbene, al fine di chiarire i lineamenti basilari di tale complessa problematica occorre

valutare in primo luogo l'art 117 c.p.22, il quale costituisce una deroga23 ai principi generali

21 GUERRIERI, Studi monografici di diritto penale, 2007 Halley editrice, pp. 372 e ss. 22 Art. 117 c.p.: "Mutamento del titolo di reato per taluno dei concorrenti. Se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistano le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena". 23 Si tratta, in verità, di una deroga che mostra il fianco a serie problematiche di legittimità costituzionale. Risulta opportuno, dunque, proporre un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma che, evitando inaccettabili ipotesi di responsabilità oggettiva, valorizzi i principi espressi dalla Corte Costituzionale (fin dalle storiche sentenze n. 368/1988 e n. 1085/1988), richiedendo un minimo di rimproverabilità soggettiva in relazione al mutamento del titolo di reato, seguendo un percorso analogo a quello delineato dalla giurisprudenza in relazione all'art. 116 c.p. (cfr., in proposito, Corte Cost. sent. n. 42/1965 nonché, ex multis, Cass. Pen., sent. n. 1958/2002).

17

in tema di dolo (ovvero la coscienza e volontà di partecipare al reato) e determina un

mutamento del titolo di reato24.

Quindi, in determinate circostanze, il codice prevede che per i soggetti privi della qualifica

necessaria per la commissione del reato possa essere disposta solo una riduzione della

pena prevista per la loro condotta.

L'art 117 c.p. configura, dunque, una circostanza attenuante facoltativa: al soggetto dotato

della particolare qualifica soggettiva (es.: pubblico ufficiale) sarà applicata per intero la

pena, mentre il concorrente non dotato di detta qualità potrà ottenere un diminuzione fino

ad un terzo della pena, ma comunque risponderà del reato proprio.

L'estraneo, invece, non avrebbe affatto risposto del reato proprio se avesse agito da solo,

fatta salva l'eventualità di rispondere (per la stessa condotta) di un reato comune

comunque applicabile25.

Si affaccia, in tale ipotesi, la differenza tra reato proprio esclusivo e non esclusivo, a

seconda che vi sia una più generica figura di reato (indipendente dalla qualifica soggettiva),

o questa sia assente, rendendo per l'estraneo non concorrente il comportamento

penalmente lecito.

Si tratta, evidentemente, di una valutazione da svolgere in concreto riguardo specifiche

figure delittuose.

4. La responsabilità dell'amministratore non esecutivo e la

responsabilità dell'amministratore per omissione.

L’art. 2381 c.c.26 delinea la figura dell'amministratore delegato; è

così possibile individuare la categoria degli amministratori esecutivi,

24 ABBATTISTA, I reati propri ed impropri. Il concorso dell'extraneus nella corruzione, 2013, http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_13665.asp 25 L'estraneo, ad esempio, può rispondere di estorsione ex art. 629 c.p. anziché di concussione ex art. 317 c.p. perché sprovvisto della qualifica di pubblico ufficiale. 26 Art. 2381 c.c.: "Presidente, comitato esecutivo ed amministratori delegati. Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri. Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti. Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sè

18

costituita dagli amministratori impegnati nella gestione della società in

virtù delle deleghe gestionali attribuite loro dal consiglio.

Rientrano in questa categoria gli amministratori delegati, tra cui anche il

presidente, nei casi in cui gli vengano attribuite deleghe individuali di

gestione, nonché gli amministratori che ricoprono funzioni direttive nella

società o in società controllate27.

Non tutti gli amministratori, dunque, ricoprono sempre la stessa

immediata e diretta responsabilità in relazione ad ogni singola attività

posta in essere nell'impresa, nel caso che qui interessa una banca.

Occorre chiarire, dunque, il profilo di responsabilità degli amministratori

non delegati.

Questi, in primis, possono partecipare nella forma commissiva ad uno

qualsiasi dei reati societari.

Possono, in altre parole, commettere d irettamente degl i

i l lec iti penal i (s i pensi soprattutto al le ipotes i di concorso

morale 28) .

operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis. Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate. Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società." 27 LAFRATTA, Profili penali della responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione non delegati, http://www.academia.edu/2521340/Profili_penali_della_responsabilita_dei_membri_del_consiglio_di_amministrazione_non_delegati 28 Ex art. 110 c.p. risponde del reato chiunque concorre nel reato, anche tramite un'attività solamente morale, sia essa propria del "mandante" del reato, o di semplice rafforzamento del proposito criminoso altrui.

19

In tali casi non suss istono part icolari problemi nel ri tenere

responsabile l’amministratore per la commissione delle rispettive

figure delittuose di volta in volta integrate.

Risultano problematici, invece, i casi in cui l’amministratore non delegato

- in presenza di una fattispecie delittuosa realizzata dai delegati -

non si opponga alla stessa, tenendo una condotta meramente

passiva.

Occorre, in tale ambito, tenere presente l'art. 2392 c.c.29, che prevede la

responsabilità solidale degli amministratori che, "essendo a conoscenza di

fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il

compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose".

Tale fattispecie, attentamente analizzata anche dalla giurisprudenza30,

porta ad una sicura estensione della responsabilità in campo civilistico agli

amministratori non esecutivi anche nelle ipotesi di mera inerzia.

Ciò, tuttavia, deve essere parametrato in campo penale alle ipotesi di

responsabilità dolosa, che prevedono l'effettiva conoscenza dell'attività

criminosa altrui e non la semplice - sebbene colpevole - inconsapevolezza

della stessa.

Occorre, inoltre, verificare l'esistenza del nesso di causalità tra l'inerzia

dell'amministratore non delegato e l'effettiva commissione del reato.

29 Art. 2392 c.c.: "Responsabilità verso la società. Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale." 30 Cass. Pen., sent. n. 23838/2007.

20

Tale operazione concettuale va eseguita secondo le logiche del così detto

"giudizio controfattuale"31: occorre rimuovere mentalmente l'inerzia

(asseritamente illecita) dell'amministratore e sostituirla - in un giudizio ex

post ed evidentemente solo ipotetico - con la condotta doverosa omessa.

Se il fatto di reato sarebbe stato ugualmente commesso, allora il

comportamento inerte dell'amministratore non delegato è penalmente

irrilevante, altrimenti costituisce reato, poiché in questo secondo caso la

sua inerzia è rimproverabile in quanto, se si fosse attivato, il reato non

sarebbe stato compiuto32.

Si riscontra altresì, in giurisprudenza, un più generale dovere di “agire

informati” dei consiglieri non esecutivi, che si atteggia in modo

particolarmente stringente in materia di organizzazione e governo

societario delle banche.

Il loro dovere di agire informati non si esaurisce nel ricevere le

informazioni che gli amministratori delegati forniscono.

Essi sono compartecipi delle decisioni assunte dall’intero Consiglio e

hanno, come ribadito dalla Suprema Corte33, l’obbligo di contribuire ad

assicurare un "governo efficace dei rischi" in tutte le aree della banca e di

attivarsi in modo da poter utilmente ed efficacemente esercitare una

funzione dialettica e di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi

esecutivi, attraverso il vaglio di un costante flusso informativo.

Tale impostazione appare corretta anche in ragione degli interessi protetti

dall’art. 47 della Costituzione - tutela del risparmio ed esercizio del credito

- che sostanziano la specialità dell’impresa bancaria34 e che impongono, sul

punto, una tutela particolarmente efficace.

31 TORIELLO, I reati omissivi e la causalità omissiva, 2012, https://www.unisalento.it/c/document_library/get_file?uuid=75713e5c-3291-47ae-8a1e-331b42cc9f9f&groupId=6113369 32 Ex multis Cass. Pen., sent. n. 13758/2011. 33 Cass., sent. nn. 2737, 2738 e 2739 del 5.2.2013. 34 BARBAGALLO, Doveri e responsabilità degli amministratori delle banche. Il punto di vista della Banca d'Italia, 2014, http://www.bancaditalia.it/interventi/altri_int/2014/Barbagallo-25-marzo.pdf

21

5. Poteri e funzionamento degli organi straordinari.

Nei momenti di crisi dell'azienda bancaria diviene particolarmente

rilevante la figura degli organi straordinari.

Questi sono nominati dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 71 T.U.B.35,

dopo l'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze

che stabilisce lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione

e di controllo delle banche, ex art. 70 T.U.B.36

35 Art. 71 T.U.B.: "Organi della procedura. 1. La Banca d'Italia, con provvedimento da emanarsi entro quindicigiorni dalla data del decreto previsto dall'articolo 70, comma 1, nomina: a) uno o più commissari straordinari; b) un comitato di sorveglianza, composto da tre a cinque membri, che nomina a maggioranza di voti il proprio presidente. 2. Il provvedimento della Banca d'Italia e la delibera di nomina del presidente del comitato di sorveglianza sono pubblicati per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Entro quindici giorni dalla comunicazione della nomina, i commissari depositano in copia gli atti di nomina degli organi della procedura e del presidente del comitato di sorveglianza per l'iscrizione nel registro delle imprese. 3. La Banca d'Italia può revocare o sostituire i commissari e i membri del comitato di sorveglianza. 4. Le indennità spettanti ai commissari e ai componenti il comitato di sorveglianza sono determinate dalla Banca d'Italia in base ai criteri dalla stessa stabiliti e sono a carico della banca sottoposta alla procedura. 5. La Banca d'Italia, fino all'insediamento degli organi straordinari, può nominare commissario provvisorio un proprio funzionario, che assume i medesimi poteri attribuiti ai commissari straordinari. Si applicano gli articoli 70, comma 3, e 72, comma 9. 6. Agli organi della procedura si applicano i requisiti di onorabilità stabiliti ai sensi dell’articolo 26". 36 Art. 70 T.U.B.: "Provvedimento. 1. . Il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta

della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di

amministrazione e di controllo delle banche quando:

a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca; b) siano previste gravi perdite del patrimonio; c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall'assemblea straordinaria. 2. Le funzioni delle assemblee e degli altri organi diversi da quelli indicati nel comma 1 sono sospese per effetto del provvedimento di amministrazione straordinaria, salvo quanto previsto dall'articolo 72,comma 6. 3. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze e la proposta della Banca d'Italia sono comunicati dai commissari straordinari agli interessati, che ne facciano richiesta, non prima dell'insediamento ai sensi dell'articolo 73

22

Tale decreto determina l'inizio della fase di amministrazione

straordinaria della banca, normalmente della durata di un anno,

decorrente dal decreto stesso.

Una fase così delicata dell'istituto bancario è ovviamente disciplinata nel

dettaglio dagli artt. 70 e ss. T.U.B., prevalentemente tramite normative

dirette a regolare la gestione dell'impresa, la cui analisi esula dall'ambito

del presente scritto, prettamente penalistico.

Ciò non toglie, comunque, che il T.U.B. fornisce anche importanti

disposizioni che, anche indirettamente, influiscono in ambito penalistico.

La più rilevante è probabilmente quella che prevede che i commissari,

nell'esercizio delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali, ex art. 72

comma primo T.U.B.

Ciò, dunque, determina l'applicabilità ai commissari di tutti i reati

"propri" del pubblico ufficiale (che cioè possono essere commessi solo

da chi riveste tale qualifica, salva la tematica del concorso dell'extraneus nel

reato proprio37).

A mero titolo d'esempio, dunque, il commissario potrà essere chiamato a

rispondere di tutti gli innumerevoli delitti contro la Pubblica

4. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 5. L'amministrazione straordinaria dura un anno dalla data di emanazione del decreto previsto dal comma 1, salvo che il decreto preveda un termine più breve o che la Banca d'Italia ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali la procedura può essere prorogata, per un periodo non superiore a sei mesi, con il medesimo procedimento indicato nel comma 1; si applicano in quanto compatibili i commi 3 e 4. 6. La Banca d'Italia può disporre proroghe non superiori a due mesi del termine della procedura, anche se prorogato ai sensi del comma 5, per gli adempimenti connessi alla chiusura della procedura quando le relative modalità di esecuzione siano state già approvate dalla medesima Banca d'Italia. 7. Alle banche non si applica il titolo IV della legge fallimentare e l'articolo 2409 del codice civile. Se vi è fondato sospetto che i soggetti con funzioni di amministrazione, in violazione dei propri doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla banca o ad una o più società controllate, l'organo con funzioni di controllo od i soci che il codice civile abilita a presentare denuncia al tribunale, possono denunciare i fatti alla Banca d'Italia, che decide con provvedimento motivato 37 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 3.

23

Amministrazione ex artt. 314 e ss. c.p.38, nonché di tutti gli altri reati che

prevedono tale qualifica soggettiva.

Sono previste, inoltre, particolari discipline relative alle modalità con cui

proporre le azioni di responsabilità, nonché l'obbligo di procedere ad una

adeguata valutazione - evidentemente con il supporto di consulenti

giuridici - in relazione all'opportunità di proporre le eventuali azioni

risarcitorie in sede civile od in sede penale.

Si tratta, evidentemente, di una tematica di estremo interesse ma che,

tuttavia, deve essere necessariamente valutata in relazione ad un eventuale

caso concreto.

Va ricordato, inoltre, che l'art. 72 ultimo comma T.U.B. prevede una

tutela a favore dei commissari straordinari nel campo civilistico, visto

che le azioni contro tale figura soggettiva possono essere proposte solo

previa autorizzazione della Banca d'Italia.

Come ovvio, tuttavia, un'analoga autorizzazione in campo penalistico

sarebbe impensabile e contraria ai principi generali (anche costituzionali)

che regolano la materia, ragion per cui il commissario risponde di tutti

i reati da lui compiuti con dolo o, nei casi in cui ciò è previsto, con

colpa39, indipendentemente da qualsiasi autorizzazione al perseguimento

degli stessi.

Deve essere ricordato, inoltre, il lungo elenco di sanzioni amministrative

ex art. 144 T.U.B.40 che possono gravare sugli amministratori41.

38 Solo a citare i più rilevanti: peculato, corruzione, concussione, abuso d'ufficio, omissione di atti d'ufficio, rivelazione ed utilizzazione dei segreti di ufficio etc. 39 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 4. 40 Art. 144 T.U.B.: "Altre sanzioni amministrative. 1. Nei confronti dei soggetti che svolgono

funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti si applica la sanzione

amministrativa pecuniaria da euro 2.580 a euro 129.110 per l'inosservanza delle norme degli

articoli 18, comma 4, 26, commi 2 e 3, 34, comma 2, 35, 49, 51, 53, 54, 55, 64, commi 2 e 4, 66,

67, 68, 108, 109,comma 3, 110 in relazione agli articoli 26 commi 2 e 3, 64, commi 2 e 4,114-

quinquies.1, 114-quinquies.2, 114-quinquies.3, in relazione all’articolo26, commi 2 e 3, 114-

octies, 114-undeciesin relazione all’articolo 26,commi 2 e 3, 114-duodecies, 114-terdecies,

114-quaterdecies, 129, comma 1, 145, comma 3, 146, comma 2, 147 e 161, comma 5, o delle

relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie.

24

2. Le sanzioni previste nel comma 1 si applicano anche ai soggetti che svolgono funzioni di

controllo per la violazione delle norme e delle disposizioni indicate nel medesimo comma o per

non aver vigilato affinché le stesse fossero osservate da altri. Per la violazione degli articoli 52,

61, comma 5, 110 in relazione agli articoli 52 e 61, comma 5, 114- quinquies .3, in relazione

all’articolo 52, e 114- undecies, in relazione all’articolo 52, siapplica la sanzione prevista dal

comma 1.

3. Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.160 a euro 64.555 per l’inosservanza delle norme contenute negli articoli 116, 123, 124, 126-quater e 126- novies, comma 3, e delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie 3- bis. Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, nonché dei dipendenti, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5160 a euro 64.555 per le seguenti condotte: a) inosservanza degli articoli 117, commi 1, 2 e 4, 118, 119, 120, 120- quater, 125, commi 2, 3 e 4, 125- bis, commi 1, 2, 3 e 4, 125- octies, commi2 e 3, 126, 126-quinquies, comma 2, 126-sexies, 126-septiese 128-decies, comma 2, e delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie; b) inserimento nei contratti di clausole nulle o applicazione alla clientela di oneri non consentiti, in violazione dell’articolo 40- bis o del titolo VI, ovvero offerta di contratti in violazione dell’articolo 117, comma 8; c) inserimento nei contratti di clausole aventi l’effetto di imporre al debitore oneri superiori a quelli consentiti per il recesso o il rimborso anticipato ovvero ostacolo all’esercizio del diritto di recesso da parte del cliente, ivi compresa l’omissione del rimborso delle somme allo stesso dovute per effetto del recesso. 4. Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e dei dipendenti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 258.225 per l'inosservanza delle norme contenute nell'articolo 128, comma 1, ovvero nei casi di ostacolo all'esercizio delle funzioni di controllo previste dal medesimo articolo 128, di mancata adesione ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsti dall’articolo 128- bis, nonché di inottemperanza alle misure inibitorie adottate dalla Banca d'Italia ai sensi dell’articolo 128- ter. La stessa sanzione si applica nel caso di frazionamento artificioso di un unico contratto di credito al consumo in una pluralità di contratti dei quali almeno uno sia di importo inferiore al limite inferiore previsto ai sensi dell’articolo 122, comma 1, lettera a). 5. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste per i dipendenti dai commi 1, 3, 3- bis e 4 si applicano anche a coloro che operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione del soggetto vigilato, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato. 5-bis. Nel caso in cui l’intermediario mandante rilevi nel comportamento dell’agente in attività finanziaria le violazioni previste dai commi 3, 3-bise 4, l’inosservanza degli obblighi previsti dall’articolo 125-novieso la violazione dell’articolo 128-decies, comma 1, ultimo periodo, adotta immediate misure correttive e trasmette la documentazione relativa alle violazioni riscontrate, anche ai fini dell’applicazione dell’articolo 128- decies, all’Organismo di cui all’articolo 128- undecies o alla Banca d’Italia, secondo i termini di cui al medesimo articolo 128- decies. 6. (abrogato) 7. (abrogato) 8. Le sanzioni previste dai commi 3 e 3- bis si applicano quando le infrazioni rivestono carattere rilevante, secondo i criteri definiti dalla Banca d’Italia, con provvedimento di carattere generale, tenuto conto dell’incidenza delle condotte sulla complessiva organizzazione e sui profili di rischio aziendali.

25

CAPITOLO II

Parte speciale

1. Premessa

La presente trattazione, fino ad ora, ha fornito in estrema sintesi delle

coordinate generalissime relative alle modalità con cui i principi

fondamentali del diritto penale risultano applicabili alla categoria dei reati

compiuti dagli amministratori in ambito bancario.

Si è trattato, come più volte sottolineato, di un primissimo orientamento

suscettibile di ben maggiore approfondimento, che ha privilegiato la

sintesi ed un approccio chiaro alla ricerca del dettaglio tecnico.

Analoga impostazione viene seguita ora nell'esplicazione delle singole

figure delittuose.

Sul punto, tuttavia, è necessaria una precisazione ulteriore.

Infatti deve essere chiarito come i reati che un amministratore può

commettere alla guida di una banca sono non solo innumerevoli, ma anche

non predeterminabili ex ante.

Solo per fare una rilevantissima ipotesi si pensi a tutta la vastissima

tematica dei reati contro la pubblica amministrazione, in cui - ad

esempio - un amministratore di un'azienda bancaria corrompe un pubblico

ufficiale per ottenere, da ciò, dei vantaggi42.

9. Non si applica l’articolo 39, comma 3, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 41 Cfr., in merito, Cap. I, par. 4 sull'estensione della responsabilità dell'amministratore all'amministratore di fatto. 42 Art. 319 c.p.: "Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio. Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da quattro a otto anni". Art. 321 c.p.: "Pene per il corruttore. Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'art. 319-ter, e nell'articolo 320 in relazione alle

26

Si pensi altresì, in un settore penalistico diverso (reati contro il

patrimonio43), all'amministratore che organizzi delle truffe44 seriali a

danno dei clienti della banca, sfruttandone le strutture.

Fin troppo agevole ricordare, in ambito bancario, la delicatezza del reato

di usura, che peraltro prevede un trattamento sanzionatorio più grave se

svolto nell'ambito di un'attività bancaria o di intermediazione mobiliare.45

suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità". 43 Artt. 624 e ss. c.p. 44 Art. 640 c.p.: "Truffa. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità; 2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5). (1) Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante". 45 Art. 644 c.p.: "Usura. Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari; 3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno; 4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l'esecuzione.

27

Ancora, potranno risultare frequenti i casi di appropriazione indebita46, o

le ipotesi di illeciti penali tributari47, o la commissione dei reati di falsità

in atti48.

Si tratta, in alcuni casi, di interi settori del diritto penale, ognuno

costituito da decine di norme.

E' evidente, dunque, che non risulta possibile prevedere ex ante quali figure

criminose potranno essere integrate di volta in volta da un amministratore

alla guida di una banca, nemmeno a grandi linee; si tratta di decine - se

non centinaia - di diverse ipotesi.

Non è nemmeno possibile procedere ad una classificazione per importanza

su basi astratte, visto che anche un reato a volte bagatellare (ad esempio la

truffa, talvolta commessa per poche centinaia di euro), può risultare

rilevantissimo se compiuto all'interno di una banca, con operazioni seriali

e coinvolgendo somme, in ipotesi, di decine di milioni di euro.

Dunque, soprattutto considerate le esigenze di sintesi del presente scritto,

occorre analizzare solo alcuni gruppi di reati, nella consapevolezza che

- in assenza di un riferimento al caso concreto - non esiste, probabilmente,

un criterio più corretto di altri.

In ogni caso si è proceduto con la seguente metodologia: esclusi i reati di

più facile analisi, poiché spesso commessi anche in contesti extra bancari

(o extra imprenditoriali), di cui ci si riserva l'approfondimento in relazione

Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni". 46 Art. 646 c.p.: "Appropriazione indebita. Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032 . Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d'ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell'articolo 61". 47 Ex legge 274/2000. 48 Ex artt. 476 e ss. c.p.

28

ad un'ipotetica - ma non preventivabile - situazione reale, vengono

analizzati in seguito gli illeciti penali più peculiari degli

amministratori, poiché integrabili solo (o prevalentemente)

all'interno di un contesto societario o, a volte, solo bancario.

La presente scelta è compiuta anche poiché si tratta dei reati più

tecnicamente complessi e di più ardua individuazione, ragion per cui

appare opportuno fornire almeno degli strumenti concettuali basilari

idonei a farli emergere poiché, in caso contrario, potrebbero rimanere del

tutto impuniti (mentre ipotesi più semplici, ad esempio una truffa, sono

probabilmente individuabili anche ictu oculi).

Si procederà, dunque, per gruppi omogenei di reati, partendo da quelli

contenuti nel codice civile, con la precisazione che - come detto - le

numerose e rilevanti ipotesi di reato che possono essere commesse anche

in contesti extra societari (nell'ordine delle centinaia) non contenute nella

presente trattazione, potranno essere vagliate in relazione ad eventuali

situazioni specifiche effettivamente verificatesi.

Sezione I

I reati ex artt. 2321 e ss. c.c.

Si ricorda, in primis, che i reati analizzati nella presente sezione sono

palesemente integrabili anche nell'ambito bancario, in forza del rinvio

esplicito previsto dall'art. 135 T.U.B.49.

Non va trascurata, inoltre, la già citata possibilità di estendere le

responsabilità di chi è amministratore anche a colui il quale - sebbene in

fatto - esercita poteri analoghi, od è nominato dall'Autorità giudiziaria

49 Cfr. SUPRA, Cap. I, par. 2

29

o dall'Autorità pubblica di vigilanza al fine di amministrare i beni

dell'impresa bancaria50.

2. False comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c.51

Il reato si configura laddove si procede all'esposizione, all’interno dei

bilanci, delle relazioni o delle altre comunicazioni sociali previste dalla

legge, dirette ai soci o al pubblico, di fatti materiali non rispondenti al

vero (ancorché oggetto di valutazione), ovvero alla mancata

indicazione, nei medesimi documenti, di informazioni, la cui

comunicazione è prescritta dalla legge, riguardanti la situazione

economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo a cui

questa appartiene, con modalità idonee ad indurre in errore i destinatari.

50 Cfr. SUPRA, Cap. I, par. 3 51 Art. 2621 c.c.: "False comunicazioni sociali. Salvo quanto previsto dall'articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta. Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'impresa".

30

Ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi della fattispecie

criminosa in esame, si precisa che:

le informazioni false o omesse devono essere tali da alterare

sensibilmente la rappresentazione della situazione economica,

patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa

appartiene;

la responsabilità sussiste anche nel caso in cui le informazioni

riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di

terzi;

la condotta deve essere realizzata con l’intenzione di ingannare i

soci o il pubblico, nonché rivolta al fine di conseguire per sé o

per altri un ingiusto profitto52;

la punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni determinano una

variazione del risultato economico d’esercizio, al lordo delle

imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto

non superiore all’1%. In ogni caso, il fatto non è punibile se

conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente

considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella

corretta o se, comunque, le falsità non alterano in modo sensibile la

rappresentazione delle condizioni economiche della società. In tali

casi il comportamento è penalmente irrilevante, ma viene

comunque punito con una sanzione di carattere

amministrativo.

l’ipotesi di reato prevista dall’art. 2622 cod. civ. è punita a querela

di parte, salvo che il fatto sia commesso in danno dello Stato, di

altri Enti Pubblici, delle Comunità europee o che si tratti di società

quotate, nel qual caso il reato è procedibile d’ufficio53;

52 Cfr. INFRA, chiarimento tecnico - giuridico n. 4 sull'elemento soggettivo in diritto penale. 53 Per la procedibilità a querela o d'ufficio, Cfr. INFRA, chiarimento tecnico - giuridico n. 5.

31

soggetti attivi54 dell'ipotesi di reato descritta sono gli

amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla

redazione dei documenti societari, i sindaci ed i liquidatori.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 4

L'elemento soggettivo del reato. Delitti e contravvenzioni e rapporti con la

prescrizione.

Un principio fondamentale del diritto penale concerne la responsabilità personale

colpevole, così come costituzionalmente garantita dalla rilettura dell'art. 27 comma primo

Cost. da parte della Consulta55.

In altre parole non è mai sufficiente una mera condotta materiale per rispondere di un

reato, ma è necessario anche un atteggiamento psicologico rimproverabile, doloso o

colposo.

In linea generale vi sono due tipi di reato:

i delitti (riconoscibili poiché puniti con la reclusione e/o la multa)56 che, salvo

diversa specificazione puntualmente individuata dal legislatore, sono puniti solo a

titolo di dolo57. E' necessaria, dunque, la coscienza e volontà del reato da parte

54 Soggetto attivo del reato è l'autore dello stesso, a cui - in caso di condanna - sarà irrogata la pena. 55 Cfr., soprattutto, Corte Costituzionale, sent. nn. 364/1988 e 1085/1988, con cui è stata esclusa, in diritto penale, la configurabilità di reati punibili a titolo di responsabilità oggettiva. 56 Cfr. Art. 17 primo comma c.p. 57 Art. 43 c.p.: "Elemento psicologico del reato. Il delitto: è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente; è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.

32

dell'autore dello stesso, che altrimenti non è punibile e verrà assolto con la formula

"perché il fatto non costituisce reato"58. Ciò non toglie che (in presenza di esplicita

indicazione) vi siano anche molti e rilevanti delitti colposi quali, ad esempio,

l'omicidio colposo59;

le contravvenzioni (riconoscibili poiché punite con l'arresto e/o l'ammenda)60 che

sono invece punibili anche a titolo di colpa, cioè quando il reato si compie, ma

non è voluto dall'agente e si verifica in concreto a causa di negligenza o

imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o

discipline. Se l'agente poteva prevedere l'evento (sebbene senza volerlo), la pena

può essere aumentata fino ad un terzo61.

Ciò non esclude, tuttavia, che tali regole possano essere derogate in casi specifici dal

Legislatore.

Ciò accade, ad esempio, proprio in rapporto alla fattispecie di cui all'art. 2621 c.c. che, pur

essendo una contravvenzione, è eccezionalmente punita a titolo di dolo.

Va ricordato che la differenza tra contravvenzioni e delitti è fondamentale anche in

relazione ai termini di prescrizione del reato.

La tematica è complessa e varia da reato a reato (poiché la prescrizione si calcola in base

alla pena massima del reato, più diversi calcoli che prendono in considerazione numerosi

fattori, tra cui l'eventuale presenza di circostanze aggravanti ad effetto speciale62).

In ogni caso, facendo riferimento ai soli reati puniti con pene medio-basse (fino circa a

cinque anni e mezzo anni di reclusione massima per i delitti), in presenza di interruzioni

della prescrizione63 ed in assenza di casi particolari64, il tempo necessario alla maturazione

58 La formula assolutoria, in generale, può influenzare l'efficacia nel giudizio civile della sentenza penale, v. artt. 651 e ss. c.p.p. 59 Cfr. art. 589 c.p. 60 Cfr. Art. 17 secondo comma c.p. 61 Cfr. art. 61 c.p. 62 Le circostanze sono ad effetto comune, quando causano una variazione della pena fino ad un terzo, o ad effetto speciale, se prevedono una variazione maggiore. Se non è specificamente individuata la variazione di pena, allora questa è fino ad un terzo. 63 Art. 160 c.p.: "Interruzione del corso della prescrizione. Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna. Interrompono pure la prescrizione l'ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell'arresto, l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l'invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza in camera di consiglio per la decisione

33

della prescrizione può essere individuato in sette anni e mezzo per i delitti ed in soli

cinque anni per le contravvenzioni.

Considerata la tempistica media della nostra giustizia penale, tale distinzione può causare

una differenza enorme: se, infatti, il reato si prescrive prima che si giunga una sentenza

definitiva, l'imputato non subirà nessuna sanzione penale.

Si tratta, dunque, di una valutazione fondamentale (che può anche influenzare il difensore

dell'imputato nel processo penale nella scelta di eventuali riti alternativi65), ma che varia in

base al reato, all'andamento del processo ed in rapporto alle condizioni soggettive

dell'imputato e che, quindi, merita di essere compiutamente espressa solo in aderenza ad

un caso concreto.

3. False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei

creditori ex art. 2622 c.c.66

sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio. La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale". 64 Si pensi, a mero titolo di esempio, al prolungamento dei termini di prescrizione per i reati di cui all'art. 51 comma tre bis c.p.p. (tra cui i delitti di criminalità organizzata) ed al trattamento dei recidivi reiterati. 65 Cfr. artt. 438 e ss. c.p.p. per il rito abbreviato e 444 e ss. c.p.p. per l'applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento). 66 Art. 2622 c.c.: "Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

34

Il reato ora in esame è per molti versi identico a quello ex art. 2621 c.c.,

appena analizzato.

Si richiamano, dunque, le principali considerazioni ivi esposte.

L’elemento che distingue le due ipotesi di reato è costituito

dall'effettivo verificarsi o meno del danno patrimoniale nei confronti

dei soci e dei creditori.

L’ipotesi di reato prevista dall’art. 2622 c.c. è integrata solo se è stato

cagionato effettivamente un pregiudizio patrimoniale, mentre la fattispecie

di cui all’art. 2621 c.c. sanziona la condotta ivi indicata a prescindere dal

verificarsi del danno.

Il reato ora in esame, inoltre, è un delitto e non una contravvenzione, in

quanto è punito con la reclusione e non con l'arresto.

Con riferimento all’art. 2622 c.c., la legge 28 dicembre 2005 n. 262, ha

introdotto una circostanza aggravante (aumento fino ad un terzo in più

rispetto alla pena base) per l’ipotesi in cui, dalla falsità, derivi un

Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. La pena è da due a sei anni se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori. Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta. Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'impresa.

35

nocumento ad un numero rilevante di risparmiatori - pari allo 0,1 per

mille della popolazione risultante dall’ultimo censimento ISTAT - indotti

ad operare scelte di investimento sulla base delle informazioni riportate

nelle scritture sociali, ovvero se sia consistito nella distruzione o

riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per

mille del prodotto interno lordo.

Il reato è procedibile normalmente a querela, mentre diviene procedibile

d'ufficio se commesso ai danni dello Stato, di altri enti pubblici, delle

Comunità Europee (oggi Unione Europea) o in relazione alle società di cui

all'art. 119 T.U.F.67, cioè in rapporto a società quotate.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 5

La procedibilità d'ufficio ed a querela di parte.

I reati sono procedibili normalmente d'ufficio, salvo che una norma ne specifichi la

procedibilità a querela.

Se un reato è procedibile d'ufficio, allora è sufficiente che l'Autorità abbia in qualche modo

notizia del suo compimento perché inizi a perseguirlo, cosa che avverrà fino alla fine del

processo, senza che l'eventuale persona offesa possa in alcun modo impedirlo.

Tale tipologia di procedibilità tutela, evidentemente, interessi superindividuali.

La procedibilità a querela68 invece implica che, anche se l'Autorità abbia notizia di un reato,

non possa per ciò solo perseguirne l'autore, essendo necessaria anche una specifica

manifestazione di volontà della persona offesa.

67 Art. 119 T.U.F.: "Ambito di applicazione. Le disposizioni del presente capo si applicano, salvo che sia diversamente specificato, alle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione Europea (società con azioni quotate)". 68 Cfr. artt. 120 e ss. c.p., tra cui viene qui riportato l'art. 120: "Diritto di querela: Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela. Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d'infermità di mente, il diritto di querela, è esercitato dal genitore o dal tutore. I minori che hanno compiuto gli anni quattordici e gli inabilitati possono esercitare il diritto di querela e possono altresì, in loro vece, esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore,

36

Ciò avviene tramite una richiesta di punizione penale contenuta in una querela69 (che

solitamente funge anche da notizia di reato) ed è legata a termini perentori, di solito (se

non diversamente determinato) pari a tre mesi.

Tale termine, tuttavia, non va calcolato dalla data del commesso reato, ma dal momento in

cui la persona offesa viene a conoscenza dello stesso (che in alcuni casi, dunque, può

essere anche molto successivo).

Risulta rilevantissimo il fatto che (salvo ipotesi eccezionali70) la querela è anche

rimettibile71, quindi non solo la persona offesa può decidere se permettere il

perseguimento del reato o meno, ma può anche interrompere un processo in corso, se

ha nel frattempo perso il suo interesse allo stesso, o ha comunque ottenuto soddisfazione,

ad esempio a seguito di un risarcimento pecuniario.

Anche in questo caso, comunque, si tratta di una scelta volontaria e non di un obbligo,

spesso influenzata da fattori difficilmente prevedibili ex ante, quali le personalità dei

soggetti coinvolti od i loro interessi morali.

4. Impedito controllo ex art. 2625 c.c.72

Chiarito che gli artt. 2623 e 2644 c.c. sono stati abrogati (ma non bisogna

dimenticare che, come nel caso dell'art. 2623, l'abrogazione di una norma

non significa sempre che il relativo fatto sia diventato lecito, visto che il

reato è stato semplicemente "trasferito", con modifiche, in un diverso testo

nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita, del minore o dell'inabilitato". 69 Cfr. altresì art. 336 e ss. c.p.p. 70 Si pensi, ad esempio, al caso di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. e ad alcune ipotesi di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. 71 Cfr. art. 340 c.p.p. 72 Art. 2625 c.c.: "Impedito controllo. Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro. Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58".

37

legislativo successivamente illustrato), si può ora analizzare l'ipotesi

delittuosa di impedito controllo.

Il reato si configura laddove si ostacoli o si impedisca lo svolgimento delle

attività di controllo e/o di revisione, legalmente attribuite ai soci, ad

organi sociali o a società di revisione.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori.

La condotta può essere integrata mediante l’occultamento di documenti o

l’utilizzo di altri idonei artifici.

Nell’ipotesi in cui non sia stato cagionato un danno effettivo ai soci,

l’illecito ha natura amministrativa e non costituisce reato.

La pena è raddoppiata se riguarda società con titoli quotati o diffusi tra il

pubblico in maniera rilevante73.

E' evidente come il bene giuridico protetto dalla norma sia identificabile

nella corretta esplicazione dell'attività di controllo da parte delle figure a

ciò finalizzate, a loro volta poste a tutela della trasparenza e affidabilità dei

dati conosciuti dal pubblico, indispensabili per un funzionamento ottimale

del mercato e per l'orientamento delle scelte degli investitori.

5. Indebita restituzione dei conferimenti ex art. 2626 c.c.74

Il reato si configura allorquando si proceda, fuori dei casi di legittima

riduzione del capitale sociale, alla restituzione, anche simulata, dei

conferimenti ai soci o alla liberazione degli stessi dall’obbligo di eseguirli.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori, ma i soci beneficiari della

restituzione o della liberazione possono concorrere nel reato, ai sensi

73 Cfr. articolo 116 T.U.F. 74 Art 2626 c.c.: "Indebita restituzione dei conferimenti. Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno"

38

dell’art. 110 c.p.75, qualora abbiano svolto un’attività di determinazione o

istigazione della condotta illecita degli amministratori.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 6

In estrema sintesi: il concorso di persone nel reato. L'associazione per delinquere.

Nel corso del presente scritto è già stata valutata la tematica del concorso dell'estraneo nel

reato proprio76.

Più in generale, comunque, anche il più ampio concetto di concorso di persone nel reato

merita un breve chiarimento.

La norma ex art. 110 c.p. prevede che, se più persone concorrono nello stesso reato, ad

ognuna va applicata per intero la relativa pena.

Resta da capire, tuttavia, quali siano i requisiti minimi per l'applicazione di tale disciplina.

Le forme di manifestazione del concorso di persone nel reato sono fondamentalmente

due: il concorso materiale e il concorso morale77.

Il concorso materiale consiste nel porre in essere uno o più atti materiali che

contribuiscono causalmente alla realizzazione dell’evento (è il caso, ad esempio, di chi

occulta parte dei documenti rilevanti nell'ipotesi di impedito controllo ex art. 2625 c.c.,

mentre un diverso soggetto compie altri artifici finalizzati alla commissione della stessa

condotta).

Il concorso morale, invece, si verifica laddove si fa sorgere o si rafforza l’altrui proposito

criminoso (si pensi, ad esempio, a chi istiga un amministratore a diffondere false

comunicazioni sociali).

Serie difficoltà interpretative sorgono laddove si cerchi di tracciare i confini tra il concorso

di persone nel reato (con particolare riguardo al concorso morale) e la c.d. mera

connivenza78.

In via di prima approssimazione, si può affermare che la connivenza (che implica

75 Art. 110 c.p.: "Pena per coloro che concorrono nel reato. Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti". Cfr. altresì artt. 111 e ss. c.p. 76 Cfr. SUPRA, chiarimento tecnico - giuridico n. 3. 77 SASSO, Il concorso di persone nel reato, http://www.avvocatosasso.it/appunti/concorso-di-persone-nel-reato/ 78 GRIMALDI, I labili confini tra connivenza e concorso di persone nel reato, 2004, http://www.altalex.com/index.php?idnot=29140

39

l'irrilevanza penale della condotta) si verifica tutte le volte in cui un soggetto assiste

passivamente alla commissione di un reato, quindi non pone in essere alcun contributo

materiale o morale alla realizzazione dell’evento, né manifesta approvazione o

disapprovazione rispetto all’azione criminosa.

In altri termini, il “connivente” assiste in totale indifferenza alla commissione del reato.

Come in parte già accennato, tuttavia, tale impostazione deve tenere conto delle possibilità

di concorrere nel reato mediante omissione.

Tale eventualità, già valutata in relazione alla responsabilità penale degli amministratori

non esecutivi79, deriva dal concetto di reato omissivo improprio, che nasce dalla

combinazione dell’art. 40 comma secondo c.p.80 (c.d. “clausola di equivalenza”) con le

diverse norme di parte speciale che contemplano le singole fattispecie criminose

suscettibili di essere commesse anche mediante omissione81.

Prima di concludere per la configurabilità di una condotta come "mera connivenza non

punibile", dunque, occorre tenere in adeguata considerazione la possibilità di commettere

il delitto anche mediante omissione.

Problema fondamentale, sul punto, è quello dell'individuazione di una c.d. "posizione di

garanzia", ovvero di una qualifica giuridicamente rilevante che, in presenza di determinati

presupposti (tendenzialmente individuabili nella messa in pericolo del bene giuridico

protetto), obblighi necessariamente ad attivarsi82.

79 Cfr. SUPRA, Capitolo I, par. 4, sulla responsabilità penale degli amministratori non esecutivi e sulla responsabilità per omissione. 80 Art. 40 c.p.: "Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". 81 Si tratta, secondo parte della dottrina, delle solo fattispecie di reato di evento "a forma libera", mentre la giurisprudenza maggioritaria estende l'applicazione dell'art. 40 comma 2 c.p. anche ad altre ipotesi, Cfr. FORLEO, Il resto omissivo, 2012, http://ildirittopenale.blogspot.it/2012/04/il-reato-omissivo.html 82 Cfr. Cass. Pen. sent. n. 38024/2012, massima: "perché un soggetto assuma una posizione di

garanzia, dal che la rilevanza causale della sua negligente condotta omissiva, è necessario che

un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo;

una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; tale obbligo gravi su una o

più persone specificamente individuate; queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la

lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli

interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato".

40

Tematica diversa - ed anch'essa rilevantissima - è quella dell'associazione per delinquere.

La stragrande maggioranza dei reati, infatti, possono essere commessi anche

individualmente, ma ciò non toglie che l'ordinamento punisce anche autonomamente il

solo fatto di associarsi per commettere più delitti (che saranno considerati come reati -

fine dell'associazione per delinquere, che è di per sé - comunque - un reato autonomo).

L'ipotesi più rilevante è certamente quella ex art. 416 c.p.83

L' associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi, costituiti84:

da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile,

destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente

programmati;

dall'indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo

dal semplice e momentaneo accordo che sorregge il concorso di persone in un

reato o in più reati specificamente individuati;

dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e

soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira85.

Inoltre va ricordato come "il nucleo strutturale indispensabile per integrare la condotta punibile di

tutti i reati di associazione, non si riduce ad un semplice accordo delle volontà, ma richiede un "quid

83 Art. 416 c.p.: "Associazione per delinquere. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma". 84 DE FILIPPIS, Gli elementi essenziali per la configurabilità del reato di associazione per delinquere, 2008, http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1903 85 Cfr. Cass. Pen., sent. n. 10107/1998.

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pluris", che con esso deve saldarsi e che consiste, nel momento della costituzione dell'associazione, nella

predisposizione di mezzi concretamente finalizzati alla commissione di delitti e, successivamente, in quel

minimo di contributo effettivo richiesto dalla norma incriminatrice ed apportato dal singolo per la

realizzazione degli scopi dell'associazione."86

Va illustrato che l'associazione per delinquere (che ad esempio, in ambito bancario,

potrebbe essere configurata come finalizzata alla truffa o all'infedeltà patrimoniale) è

punibile anche se i reati-fine per cui era costituita non sono ancora stati commessi.

Si ricorda, infine, che il reato di associazione per delinquere prevede pene diverse tra le

figure dei semplici associati e quelle dei "capi", il che influenza anche il termine di

prescrizione del reato che, soprattutto nel secondo caso, è normalmente più lungo

rispetto alla maggioranza dei reati presi in considerazione nella presente trattazione.

6. Illegale ripartizione degli utili e delle riserve ex art. 2627 c.c87

Il reato si configura laddove si proceda alla ripartizione di utili, o acconti

sugli utili, non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva,

ovvero alla ripartizione di riserve che per legge non possono essere

distribuite.

La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del

termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato88.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori.

I soci beneficiari della ripartizione degli utili o delle riserve possono

concorrere nel reato, ai sensi dell’art. 110 c.p., qualora abbiano svolto

un’attività di determinazione o istigazione della condotta illecita degli

amministratori.

86 Cass. Pen., sent. n. 7462/1985. 87 Art. 2627 c.c.: "Illegale ripartizione degli utili e delle riserve. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l'arresto fino ad un anno. La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio estingue il reato". 88 Non vi sono dunque, in quel caso, conseguenze penali.

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7. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società

controllante ex art. 2628 c.c.89

Il reato si configura nel caso in cui si proceda, fuori dei casi previsti dalla

legge, all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni o quote emesse dalla

società o della controllante, così da cagionare effettivamente una

lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per

legge, mentre non rileva la mera messa in pericolo delle riserve stesse.

Si precisa che, se il capitale o le riserve sono ricostituiti prima del termine

previsto per l’approvazione del bilancio riferito all’esercizio in relazione al

quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori.

E’ configurabile una responsabilità a titolo di concorso degli

amministratori della società controllante con quelli della controllata,

nell’ipotesi in cui le operazioni illecite sulle azioni della controllante siano

da questi ultimi effettuate su istigazioni dei primi.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 7

In estrema sintesi: i reati di danno e di pericolo. Il tentativo.

L’offesa causata dal reato si ricollega alla lesione o alla messa in pericolo dell’interesse

protetto.

Ad esempio il reato ex art. 2628 c.c. è un reato di danno, perché le riserve sociali debbono

essere effettivamente intaccate.

Infatti, salve le precisazioni a breve proposte in termini di tentativo punibile, la mera

89 Art. 2628 c.c.: "Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante. Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno. La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge. Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto".

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messa in pericolo delle stesse sarà irrilevante.

In questo senso si distingue tra i reati di danno e i reati di pericolo90:

i reati di danno si configurano quando l’offesa si sostanzia nella effettiva lesione

del bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice.;

al contrario, nei reati di pericolo, l’offesa è rappresentata dalla mera probabilità

del danno.

Dal punto di vista politico – criminale, tale ultima categoria di reati implica

un’anticipazione della tutela, dato che si protegge un determinato bene giuridico per il solo

fatto di essere stato messo in una situazione di pericolo.

Se un reato è di pericolo, dunque, tanto basta per determinare la punizione penale

dell'autore.

I reati di pericolo, inoltre, si distinguono ulteriormente in sotto-categorie: reati di pericolo

concreto e di pericolo presunto.

I reati di pericolo concreto sono quelli nei quali il giudice valuta di volta in volta, in base a

un giudizio ex ante, la concreta pericolosità della condotta incriminata verso il bene

giuridico tutelato.

Se questa è assente, il reato non è integrato.

I reati di pericolo presunto, al contrario, sono quelli in cui la condotta viene sanzionata

senza la necessità di verificarne in concreto la pericolosità, in quanto quest'ultima è già

presunta dal Legislatore una volta per tutte.

In questo caso, evidentemente, l'ampliamento delle condotte punibili è ancora più ampio.

Problematica diversa è quella riguardante il tentativo ex art. 56 c.p.91, che viene

normalmente escluso nei reati di pericolo92 ed è altresì applicabile ai soli delitti (e non alle

contravvenzioni) di danno.

90 PERRONE, L'anticipazione della tutela: i reati di pericolo, 2009, http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1973 91 Art. 56 c.p.: "Delitto tentato. Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica. Il colpevole di delitto tentato è punito:; con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso. Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà".

44

Al fine di accertare e di riscontrare i cd.“atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un

delitto” richiesti dall'art. 56 c.p. si rende necessario verificare di volta in volta, sulla base

delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente, così come emerge

dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione93.

Più in particolare, si deve sempre accertare quale sia stato l’obiettivo, il risultato avuto di

mira dal soggetto agente, così da pervenire con il massimo grado di precisione possibile

alla individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e in concreto posto in pericolo.

Pertanto l’idoneità degli atti e la loro direzione causale verso la commissione di un delitto

deve essere ritenuta come una caratteristica intrinseca ed oggettiva della condotta.

Di conseguenza, in questo contesto, gli atti posti in essere devono in sé stessi possedere

l’attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito dal soggetto agente.

Dunque, in assenza di atti idonei diretti in modo inequivoco a commettere il delitto,

quest'ultimo non risulterà punibile.

In ordine al concetto di idoneità degli atti, l'opinione maggioritaria nella giurisprudenza

della Corte di Cassazione94 ricorda che, per verificare la sussistenza di tale requisito,

occorre procedere ad una valutazione ex ante ed in concreto (c.d. criterio della prognosi

postuma).

E' necessario, in primo luogo, tenere conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili;

a quel punto il giudice dovrà valutare se, sulla base della comune esperienza dell'uomo

medio, quegli atti - indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei -

erano tali da poter ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma

violata95.

Il delitto tentato implica l'applicazione di una pena minore rispetto a quella normalmente

irrogata (la pena va ridotta, nello specifico, da un terzo a due terzi).

Ulteriori diminuzioni, valutabili in rapporto al caso concreto, sono applicabili nei casi di

volontaria interruzione della condotta96.

92 LOMBARDI, Il delitto tentato, 2012, http://ildirittopenale.blogspot.it/2012/04/il-delitto-tentato.html 93 AMAOLO, Dei reati in generale: Il delitto tentato, 2008, http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1520 94 Ex multis, Cass. Pen., sent. n. 46776/2012. 95 MARANI, Il tentativo è punibile anche in assenza di qualsiasi atto esecutivo, 2012, http://www.altalex.com/index.php?idnot=60509 96 Si fa riferimento agli istituti della desistenza e del recesso attivo, cfr. art. 56 terzo e quarto comma c.p.

45

8. Operazioni in pregiudizio dei creditori ex art. 2629 c.c.97

Il reato si configura nell'ipotesi in cui siano realizzate riduzioni di capitale

sociale, fusioni con altre società o scissioni attuate in violazione delle

disposizioni di legge e che, altresì, cagionino danno ai creditori.

Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.

In altre parole il Legislatore si avvede che, se il reato non pregiudica

nessuno (poiché chi era stato esposto a tale rischio comunque è stato

risarcito), allora non ha più nessuna utilità perseguirlo.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori.

Si tratta, evidentemente di una fattispecie a tutela della garanzia

patrimoniale dell'impresa nei confronti dei creditori che, in via prioritaria,

emergerà per importanza soprattutto nelle fasi di crisi o - addirittura - di

liquidazione coatta amministrativa dell'istituto bancario.

Soprattutto in tali casi, infatti, potranno emergere le operazioni illecite

svolte a danno dei creditori.

Si ricorda che il reato è punibile a querela e che il termine per la

proposizione di tale atto decorre dall'effettiva conoscenza dell'avvenuto

reato, che dunque potrà essere diverso dal momento di consumazione dello

stesso (da cui, invece, decorre il termine di prescrizione).

9. Degli illeciti mediante omissione, ovvero il reato di omessa

comunicazione del conflitto di interessi ex art. 2629 bis c.c.98 e le

97 Art. 2629 c.c.: "Operazioni in pregiudizio dei creditori. Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato. 98 Art. 2629 bis c.c.: "Omessa comunicazione del conflitto di interessi. L'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati

46

sanzioni amministrative di omessa comunicazione di denunce

comunicazioni o depositi ex art. 2630 c.c.99 e di omessa convocazione

dell'assemblea ex art. 2631 c.c.100

Si tratta di figure con notevoli profili di similitudine, tanto che il

Legislatore li ha raggruppati in un unico capo (il terzo del Titolo

undicesimo del Libro quinto del c.c.).

Ciò nonostante solo la prima fattispecie (art. 2629 bis c.c.) costituisce un

reato, mentre le altre integrano solo illeciti meramente amministrativi.

Si tratta, in relazione a tutte e tre le fattispecie, di ipotesi omissive101,

finalizzate a fornire una copertura sanzionatoria alle norme relative alla

trasparenza e alla conoscibilità dei bilanci e delle comunicazioni, nonché

poste a presidio della funzionalità dell'assemblea.

L'unico reato (art. 2629 bis c.c.) tra le norme da ultimo citate, si configura

allorquando l’amministratore o il componente del consiglio di gestione di

italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che viola gli obblighi previsti dall'articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi". 99 Art. 2630 c.c.: "Omessa comunicazione di denunce comunicazioni o depositi. Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall'articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo". 100 Art. 2631 c.c.: "Omessa convocazione dell'assemblea. Gli amministratori e i sindaci che omettono di convocare l'assemblea dei soci nei casi previsti dalla legge o dallo statuto, nei termini ivi previsti, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.032 a 6.197 euro. Ove la legge o lo statuto non prevedano espressamente un termine, entro il quale effettuare la convocazione, questa si considera omessa allorché siano trascorsi trenta giorni dal momento in cui amministratori e sindaci sono venuti a conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione dell'assemblea dei soci. La sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo in caso di convocazione a seguito di perdite o per effetto di espressa legittima richiesta da parte dei soci". 101 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 7, nonché SUPRA, Capitolo I, par. 4.

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una società quotata ometta di comunicare la titolarità di un proprio

conflitto di interessi, personale o per conto di terzi, in una determinata

operazione della società.

La fattispecie sanziona, inoltre, la condotta dell’amministratore delegato,

che essendo portatore di analogo interesse, ometta di astenersi dal

compiere l’operazione.

Soggettivi attivi del reato sono gli amministratori e i componenti del

consiglio di gestione.

Le altre fattispecie sanzionano, invece, comportamenti finalizzati a

proteggere beni giuridici analoghi ma, per una scelta prevalentemente

discrezionale del Legislatore, non hanno rilevanza penale e, dunque,

esulano dall'oggetto della presente trattazione.

10. Formazione fittizia del capitale ex art. 2632 c.c.102 ed indebita

ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori ex art. 2633 c.c.103

Il reato ex art. 2632 c.c. si configura quando si procede alla formazione o

all’aumento in modo fittizio del capitale sociale tramite:

attribuzione di azioni o quote sociali per una somma inferiore al loro

valore nominale;

sottoscrizione reciproca di azioni o quote;

102 Art. 2632 c.c.: "Formazione fittizia del capitale. Gli amministratori e i soci conferenti che, anche in parte, formano od aumentano fittiziamente il capitale sociale mediante attribuzioni di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale, sottoscrizione reciproca di azioni o quote, sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione, sono puniti con la reclusione fino ad un anno". 103 Art. 2633 c.c.: "Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori. I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato."

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sopravvalutazione rilevante dei conferimenti di beni in natura, di

crediti, ovvero del patrimonio della società nel caso di

trasformazione.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori e i soci conferenti.

Un figura criminosa diversa è invece quella ex art. 2633 c.c., comunque

finalizzata alla tutela del patrimonio sociale a beneficio dei creditori (e

perciò unitariamente trattata nel presente paragrafo).

Tuttavia il reato da ultimo citato è proprio dei liquidatori e, dunque, non

appare configurabile - almeno in assenza di concorso - in capo agli

amministratori.

Ciò nonostante appare comunque utile un accenno a tale figura delittuosa.

Il reato è integrato dai liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci

prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle

somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori.

Questi sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.

La punibilità è a querela della persona offesa,

Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.

11. Infedeltà patrimonialeex art. 2634 c.c.104

Il reato di infedeltà patrimoniale risulta strutturato su tre elementi

fondamentali:

104 Art. 2634 c.c.: "Infedeltà patrimoniale. Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.

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l'esistenza di un conflitto di interessi tra il soggetto attivo e la

società, a causa del quale l'agente, nella singola operazione

economica che deve essere deliberata, si trova obiettivamente in

una posizione antagonistica rispetto a quella della società, tale da

pregiudicare gli interessi patrimoniali di quest'ultima;

il compimento di un atto di disposizione dei beni sociali da parte

dell'agente, che può consistere anche nella partecipazione ad una

deliberazione collegiale;

il danno patrimoniale per la società, che segna il momento in cui il

delitto si realizza.

L'elemento soggettivo del delitto di infedeltà patrimoniale risulta

particolarmente strutturato e merita una specifica analisi (estensibile a

tutte le altre figure di reato ugualmente strutturate sotto il profilo

subiettivo).

E' già stato specificato come i delitti (diversamente dalle contravvenzioni)

siano normalmente punibili a titolo esclusivamente doloso secondo il

concetto ex art. 43 c.p.105.

Veniva indicato, inoltre, come ciò implicasse la necessaria coscienza e

volontà del reato106.

105 Art. 43 c.p.: "Elemento psicologico del reato. Il delitto: è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente; è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico". 106 Cfr. Chiarimento tecnico - giuridico n. 4.

50

Ciò non toglie, comunque, che il Legislatore possa talvolta risultare

ancora più puntuale nella definizione dell'elemento soggettivo del reato,

come avviene nella fattispecie ora in esame.

Per la sussistenza del reato, infatti, occorre che l'agente persegua proprio

il fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio

(dolo cosiddetto specifico) e che la sua volontà miri al pregiudizio della

società (dolo cosiddetto intenzionale)107.

Ciò, quantomeno, esclude le ipotesi di dolo eventuale, che risulteranno

irrilevanti ex art. 2634 c.c.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 8

In estrema sintesi: il dolo. In particolare il dolo eventuale.

L'introduzione del concetto di dolo intenzionale impone di distinguere tale

atteggiamento psicologico da quello del dolo eventuale, poiché tale conformazione

mentale non è idonea, ad esempio, a integrare la punibilità per il delitto di infedeltà

patrimoniale, portando all'assoluzione dell'imputato.

Solo nel dolo intenzionale, infatti, c'è la volontà piena e completa dell'evento criminoso,

mentre il dolo eventuale scivola (con le precisazioni a breve illustrate), verso la mera

accettazione del rischio.

Il dolo specifico, invece, è ancora più intenso del dolo intenzionale, perché richiede che la

condotta criminosa, oltre che essere del tutto volontaria, sia specificamente finalizzata

proprio a raggiungere il risultato vietato dalla norma.

Oltre alla differenza dolo intenzionale/eventuale, comunque, vi è anche la diversità tra

dolo eventuale e colpa cosciente, che è anche più rilevante in quanto molto più

frequente.

Infatti, in questo caso, il difensore nel processo penale può ottenere l'assoluzione

107 GIUNTA, Infedeltà patrimoniale, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/100-parole/Diritto/I/Infedelta-patrimoniale.shtml?uuid=044cb2a8-58b8-11dd-9534-b5e47a9a4888&DocRulesView=Libero

51

nell'ipotesi in cui - in relazione ad una fattispecie punita solo per dolo - faccia quantomeno

sorgere un ragionevole dubbio ex art. 530 comma secondo c.p.p.108 in relazione alla

sussistenza della sola colpa cosciente ex art. 61 n. 3 c.p.109

108 Art. 530 c.p.p.: "Sentenza di assoluzione. 1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile. 3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1. 4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza. 109 Art. 61 c.p.: "Circostanze aggravanti comuni. Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti: 1) l'avere agito per motivi abietti o futili; 2) l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato; 3) l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento; 4) l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone; 5) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; 6) l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato; 7) l'avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; 8) l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso; 9) l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto; 10) l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio; 11) l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità; 11-bis) l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale; 11-ter) l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o formazione; 11-quater) l'avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. 11-quinquies) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza"

52

La colpa consiste nel "malgoverno di un rischio, nella mancata adozione di cautele doverose idonee a

evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l'illecito"110, cioè descrive una situazione

involontaria ma evitabile di "inadeguatezza" rispetto al dovere di adottare delle

"precauzioni" e ricorre anche quando "la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza,

spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile".

La colpa "cosciente", inoltre, è caratterizzata dal fatto che, pur mancando la volontà di

realizzare un evento, è prevista dall'agente la possibilità che questo si realizzi111.

Nel dolo, invece, è chiara la volontà di commettere un reato.

La stessa volontà, pur meno evidente, deve riscontarsi anche nel dolo eventuale.

È necessario che il soggetto si prospetti in modo chiaro, concreto, significativo, la

possibilità che alla sua condotta consegua un determinato evento e, ciò nonostante, decida

comunque di agire, accettando in pieno l'ipotesi che l'evento si verifichi112.

Non è coinvolto, dunque, solo il profilo di rappresentazione del dolo, ma anche quello

della volontà.

12. Corruzione tra privati art. 2635 c.c.113

110 Cass. Pen., Sez. Un. 24 aprile 2014 (c.d. sentenza Tyssen Krupp). 111 STASIO, La Corte limita il dolo eventuale, 2014, http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2014-04-26/la-corte-limita-dolo-eventuale-210700.shtml?uuid=ABxMIzDB 112 DUBINI, Commento alla sentenza Tyssen Krupp, http://www.lisaservizi.it/notizie/archivio/commento-rolando-dubini-alla-sentenza-thyssenkrupp 113 Art. 2635 c.c.: "Corruzione tra privati. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi".

53

Il reato di corruzione, tradizionalmente, è sempre stato inquadrato

nell'ambito dei reati contro la Pubblica Amministrazione e, quindi,

connesso alla figura dell'intraneus alla pubblica amministrazione (il

pubblico ufficiale o, in alcune ipotesi, l'incaricato di pubblico servizio).

Una rilevante modifica normativa ha oggi ampliato il concetto di

corruzione, estendendolo anche ai patti illeciti tra privati114, soprattutto

sulla base delle normative sovranazionali che premevano in tale

direzione115

Il delitto può essere commesso, oltre che dagli amministratori, anche dai

direttori generali, dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti

contabili societari, dai sindaci e dai liquidatori.

Rispondono del reato anche i soggetti ad essi subordinati (ovvero i

dipendenti, i para-subordinati, gli agenti ed ogni altro soggetto sottoposto

alla direzione o alla vigilanza dei soggetti qualificati), ma in tal caso le

pene sono ridotte.

Quanto alla condotta oggetto di incriminazione essa è tuttora integrata

dal compimento o dall’omissione - a fronte della corresponsione o della

promessa di denaro o di altra utilità - di atti in violazione degli obblighi

inerenti al proprio ufficio, a cui oggi si aggiunge la violazione di un più

generico obbligo di fedeltà.

Il reato in questione continua inoltre a dipendere dalla causazione

dell’evento costituito dal procurato nocumento alla società.

Il fatto corruttivo resta procedibile a querela di parte, salvo che

dall’illecito consegua una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di

beni o servizi, ovvero che la corruzione del funzionario privato non sia

114 PELLERINO, Induzione indebita e corruzione tra privati nella nel catalogo dei reati presupposto della l. 231/2001, http://www.studiolegalepellerino.it/it/approfondimenti/63-induzione-indebita-e-corruzione-tra-privati-nel-catalogo-dei-reati-presupposto-ex-dlgs-23101 115 ZOLI, disfunzione applicativa dell’art. 2635 c.c. tra vecchia e nuova formulazione della

"corruzione tra privati",

http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1399880980ZOLI_2014a.pdf

54

solo stata finalizzata ad acquisire una fornitura a discapito di un

concorrente, ma anche che abbia in concreto comportato una violazione

della par condicio dei fornitori.

In tali casi, infatti, la tutela di interessi superindividuali merita la

previsione di una procedibilità di ufficio.

13. Illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 c.c.116

Il reato si configura nel caso in cui, con atti simulati o con frode, si

determini la maggioranza in assemblea, allo scopo di conseguire, per sé o

per altri, un ingiusto profitto.

Il reato, oltre che dagli amministratori, può essere commesso da chiunque,

anche da soggetti esterni alla società.

Tale fattispecie, abbastanza semplice nella sua formulazione, può essere

utile per ricordare alcuni principi fondamentali di diritto penale già

illustrati nel corso del presente atto, in relazione all'influenza della parte

generale del codice penale su tutte le fattispecie di reato.

Ebbene, in assenza di altre disposizioni contrastanti, un reato analogo a

quello in oggetto deve essere ritenuto un delitto (poiché punito con la

reclusione), può almeno in astratto (visto che tale tematica, come visto, è

complessa) essere ritenuto passibile di tentativo117, va ritenuto

procedibile d'ufficio ed è punibile a titolo di dolo (nel caso concreto

nelle forme del dolo specifico, poiché deve essere finalizzato specificamente

allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto).

116 Art. 2636 c.c.: "Illecita influenza sull'assemblea. Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni". 117 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 7.

55

14. Aggiotaggio ex art. 2637 c.c.118

Il reato si configura nell'ipotesi in cui si proceda alla diffusione di notizie

false, ovvero alla realizzazione di operazioni simulate o ad altri artifici

idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti

finanziari, ovvero a incidere in modo significativo sull’affidamento del

pubblico nella stabilità patrimoniale dell'impresa.

La condotta deve avere ad oggetto strumenti finanziari non quotati o per

i quali non è stata presentata domanda di ammissione alla negoziazione in

un mercato regolamentato, poiché in caso contrario si applica il diverso

reato di manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F.119

successivamente analizzato120 e più ampiamente approfondito in quanto,

concernendo le società quotate, riguarda le ipotesi delittuose anche

economicamente più rilevanti

Soggetto attivo del reato di aggiotaggio può essere chiunque, anche

estraneo alla società.

15. Ostacolo all'esercizio delle funzioni della autorità pubbliche di

vigilanza ex art. 2638 c.c.121

118 Art. 2637 c.c.: "Aggiotaggio. Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni". 119 Per gli strumenti finanziari quotati si applica il diverso reato di manipolazione del mercato, in virtù della definizione di cui all'art. 180 T.U.F, che si applica anche all'art. 185 T.U.F. in virtù della collocazione sistematica di quest'ultimo. 120 Cfr. INFRA, Cap. II, Par. 24. 121 Art. 2638 c.c.: "Ostacolo all'esercizio delle funzioni della autorità pubbliche di vigilanza. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti

56

Il reato si configura mediante la realizzazione di due distinte tipologie di

condotta, entrambe finalizzate ad ostacolare l’attività di vigilanza delle

Autorità Pubbliche preposte.

Ciò può avvenire:

attraverso la comunicazione alle Autorità Pubbliche di Vigilanza di

fatti non rispondenti al vero, sulla situazione economica,

patrimoniale o finanziaria, ovvero con l’occultamento di fatti che

avrebbero dovuto essere comunicati;

attraverso l’ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da

Pubbliche Autorità, attuato consapevolmente ed in qualsiasi modo,

anche omettendo le comunicazioni dovute alle medesime Autorità.

Soggetti attivi delle ipotesi di reato descritte sono gli amministratori, i

direttori generali, i sindaci e i liquidatori.

La pena è raddoppiata per le società quotate o i cui titoli sono diffusi in

maniera rilevante.

16. Estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c.122,

circostanza attenuante ex art. 2640 c.c.123, confisca ex art. 2641c.c124.

che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58". 122 Art. 2639 c.c.: "Estensione delle qualifiche soggettive. Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia

57

L'estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c. è già stata

vagliata SUPRA125, per ora basti ricordare che la punibilità per

l'amministratore di fatto è espressamente prevista e, anche in relazione

alla figura di chi è tenuto alla gestione della banca in seguito ad una

nomina da parte dell'Autorità giudiziaria o da parte dell'Autorità

pubblica di vigilanza, è prevista un'analoga estensione della

responsabilità penale (ex art. 2639 c.c. secondo comma c.c.) nell'ipotesi di

commissione di uno dei reati previsti dal c.c.

Anche al di fuori di tale ipotesi, comunque, basta il mero esercizio "in modo

continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla

funzione" per far scattare l'imputazione in qualità di amministratore di

fatto.

La circostanza attenuante ex art. 2640 c.c. prevede una diminuzione della

pena fino ad un terzo, in relazione ai fatti che hanno cagionato un'offesa di

particolare tenuità, salvo - ovviamente - l'eventuale giudizio di

bilanciamento di circostanze basato sui principi generali del diritto

penale126.

chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi". 123 Art. 2640 c.c.: "Circostanza attenuante. Se i fatti previsti come reato agli articoli precedenti hanno cagionato un'offesa di particolare tenuità la pena è diminuita". 124 Art. 2641 c.c.: " Confisca. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Quando non è possibile l'individuazione o l'apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale". 125 Cfr. SUPRA, Cap. I, Par. 3. 126 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 9.

58

La confisca ex art. 2641 c.c., infine, prevede la confisca del prodotto, del

profitto e dei beni utilizzati per commettere il reato, che può essere

applicata anche "per equivalente".

La confisca, dunque, può essere relativa non solo agli specifici beni che

sono connessi al reato, ma anche a beni diversi che non hanno mai avuto

nulla a che fare con questo (purché, ovviamente, di pertinenza dello stesso

soggetto), se i beni direttamente legati al reato non risultano rintracciabili.

Considerato che i reati finora analizzati sono pressoché sistematicamente

determinati da motivi di lucro, appare evidente l'importanza di tale

disposizione.

Chiarimento tecnico - giuridico n. 9

In estrema sintesi: Le circostanze ed il loro bilanciamento.

Nel corso del presente scritto si è fatto frequente riferimento alla presenza di circostanze

attenuanti o aggravanti.

Occorre ora chiarire soprattutto cosa accade laddove circostanze di segno diverso

(attenuanti e aggravanti) od uguale si presentino contemporaneamente127.

Il punto di partenza per l'applicazione delle circostanze del reato è costituito dall'art. 63

c.p.128 (che disciplina anche il caso in cui concorrono più circostanze dello stesso segno),

127 MORMANDO, Le circostanze, http://video.unipegaso.it/LMG-01/Diritto%20Penale/Foglia%20Manzillo/Lezione%20XVIII/Lezione_XVIII.pdf 128 Art. 63 c.p.: "Applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena. Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire. Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente. Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo. Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.

59

in base al quale gli incrementi o le diminuzioni di pena determinati dalle circostanze del

reato vanno applicati partendo dalla pena che sarebbe stata inflitta ove non fossero

risultate applicabili circostanze.

Ove concorrano più aggravanti o più attenuanti comuni (concorso omogeneo di

circostanze ad effetto comune129), l'ulteriore aumento o l'ulteriore diminuzione vanno

effettuati, a mente del secondo comma dell'art. 63 c.p., sulla pena già aumentata o già

diminuita.

Le circostanze sono dotate di efficacia extraedittale cioè possono potenzialmente far

scendere la pena sotto il minimo in presenza di un'attenuante, o sopra il massimo in

presenza di un'aggravante.

In caso di concorso eterogeneo, invece, la norma da cui occorre partire è quella ex art.

69 c.p.130 in ragione della quale occorre procedere ad un bilanciamento a discrezione del

Giudice.

Questo può condurre ad un giudizio di prevalenza, per effetto del quale saranno applicate

le sole circostanze aggravanti o le sole circostanze attenuanti (a seconda di quali sembrino

più rilevanti) o ad un giudizio di equivalenza, per effetto del quale la pena sarà applicata

come se non concorressero affatto circostanze.

Si tratta, evidentemente, di un giudizio emesso dal giudice caso per caso.

Si ricorda, inoltre, che l'applicazione delle circostanze aggravanti ad effetto speciale131 ha

effetto sulla prescrizione, mentre così non è per quelle ad effetto comune e per le

Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla. 129 Sono ad effetto comune le circostanze che causano un aumento della pena fino ad un terzo. 130 Art. 69 c.p.: "Concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti. Quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti. Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tiene conto degli aumenti di pena stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti. Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato".

60

attenuanti (tutte)132.

Il giudizio di bilanciamento è tuttavia escluso in una serie di ipotesi, piuttosto ampia, da

valutare in relazione al caso concreto (si pensi, ad esempio, alle tematiche sulla recidiva133).

Le circostanze possono essere speciali (da non confondere con quelle ad effetto speciale)

se previste solo in relazione ad un reato o gruppo di reati (come molte di quelle finora

indicate), oppure comuni se applicabili - in astratto - a tutti i reati (sebbene intrinsecamente

incompatibili con alcuni).

Le circostanze - anche comuni - possono avere diversi effetti ulteriori, quali la

modificazione del regime della procedibilità.

E' dunque sempre utile tenerne a mente l'eventuale applicabilità che, per le circostanze

attenuanti comuni, fa riferimento all'art. 62 c.p.134 e, per le aggravanti comuni, all'art. 61

c.p.135.

131 Cioè quelle con variazione della pena superiore ad un terzo. 132 V. art. 157 c.p. 133 Cass. Pen. Sez. Un., sent. n. 20798/2001. 134 Art. 61 c.p.: "Circostanze aggravanti comuni. Aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali le circostanze seguenti: 1) l'avere agito per motivi abietti o futili; 2) l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato; 3) l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento; 4) l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone; 5) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; 6) l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato; 7) l'avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; 8) l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso; 9) l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto; 10) l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio; 11) l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità; 11-bis) l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale; 11-ter) l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o formazione;

61

Le aggravanti debbono sempre essere tassativamente determinate nel rispetto del principio

di legalità.

Le attenuanti, invece, possono anche essere strutturate in maniera "generica", ex art. 62

bis c.p.136

11-quater) l'avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. 11-quinquies) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza". 135 Art. 62 c.p.: "Circostanze attenuanti comuni. Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: 1) l'avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale; 2) l'aver reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui; 3) l'avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall'autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza; 4) l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso e pericoloso sia di speciale tenuità; 5) l'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa; 6) l'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell'ultimo capoverso dell'articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato". 136 Art. 62 bis c.p.: "Attenuanti generiche. Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62. Ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 133, primo comma, numero 3), e secondo comma, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni. In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma.

62

Sezione II

I reati previsti dal T.U.B.

17. I reati di abusivismo bancario e finanziario.

Nel presente paragrafo inizia la trattazione dei reati previsti direttamente

dal T.U.B. e, quindi, esclusivamente inerenti all'ambito bancario.

Tale collocazione sistematica concerne in primo luogo i reati di

abusivismo bancario e finanziario di cui agli artt. da 130 a 133 T.U.B.,

nonché l'art. 140 bis T.U.B., che tracciano il confine tra l'ambito bancario

vero e proprio (poiché autorizzato) e l'abusivismo.

Si tratta di reati commessi in violazione del concetto di attività bancaria

come settore riservato del mercato, regolamentato in modo da lasciare

spazio solo a specifici soggetti autorizzati, dotati di particolari requisiti e

sottoposti a peculiari controlli.

Si tratta dunque di illeciti che - verosimilmente - sono integrabili più da

soggetti che agiscono al di fuori di un contesto bancario vero e proprio,

prevalentemente in imprese che trasformano se stesse in pseudo-banche,

senza averne i requisiti o le autorizzazioni.

E' tutto sommato improbabile, dunque, che vengano compiuti in un

contesto bancario ufficiale ed autorizzato, ragion per cui appare corretto

proporre una trattazione particolarmente sintetica, che tenga

semplicemente conto delle seguenti fattispecie criminose, eventualmente

da approfondire:

art. 130 T.U.B.: abusiva attività di raccolta di risparmio137;

art. 131 T.U.B.: abusiva attività bancaria138;

137 Art. 130 T.U.B.: "Abusiva attività di raccolta di risparmio. 1. Chiunque svolge l'attività di

raccolta del risparmio tra il pubblico in violazione dell'articolo 11 è punito con l'arresto da sei

mesi a tre anni e con l'ammenda da euro 12.911 a euro 51.645".

63

art 131 bis T.U.B.: abusiva emissione di moneta elettronica139;

art. 131 ter T.U.B.: abusiva attività di prestazione di servizi di

pagamento140;

art. 132 T.U.B.: abusiva attività finanziaria141;

art. 133 T.U.B.: abuso di denominazione142;

138 Art. 131 T.U.B.: "Abusiva attività bancaria. 1. Chiunque svolge l'attività di raccolta del

risparmio tra il pubblico in violazione dell'articolo 11 ed esercita il credito è punito con la

reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329". 139 Art 131 bis T.U.B.: "Abusiva emissione di moneta elettronica. Chiunque emette moneta

elettronica in violazione della riserva prevista dall’articolo 114- bis senza essere iscritto

nell'albo previsto dall'articolo 13 o in quello previsto dall'articolo 114- bis, comma 2, è punito

con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 2.066 euro a 10.329 euro". 140 Art. 131 ter T.U.B.: "Abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento. Chiunque presta

servizi di pagamento in violazione della riserva prevista dall’articolo 114 sexies senza essere

autorizzato ai sensi dell’articolo 114- novies è punito con la reclusione da sei mesi a quattro

anni e con la multa da 2.066 euro a 10.329 euro". 141 Art. 132 T.U.B.: "Abusiva attività finanziaria. Chiunque svolge, nei confronti del pubblico una

o più attività finanziarie previste dall'articolo 106, comma 1, in assenza dell’autorizzazione di

cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 112, è punito con

la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.329". 142 Art. 133 T.U.B.: "Abuso di denominazione. 1. L'uso, nella denominazione o in qualsivoglia

segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, delle parole «banca», «banco», «credito»,

«risparmio» ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in

inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell'attività bancaria è vietato a soggetti diversi

dalle banche.

1-bis L'uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al

pubblico, dell'espressione «moneta elettronica» ovvero di altre parole o locuzioni, anche in

lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell'attività di

emissione di moneta elettronica è vietato a soggetti diversi dagli istituti di moneta elettronica

e dalle banche.

1-ter. L'uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al

pubblico, dell'espressione «istituto di pagamento» ovvero di altre parole o locuzioni, anche in

lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell'attività di

prestazione di servizi di pagamento è vietato a soggetti diversi dagli istituti di pagamento.

1-quater. L'uso, nella denominazione o in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della parola «finanziaria» ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività finanziaria loro riservata è vietato ai soggetti diversi dagli intermediari finanziari di cui all’articolo 106. 2. La Banca d'Italia determina in via generale le ipotesi in cui, per l'esistenza di controlli amministrativi o in base a elementi di fatto, le parole o le locuzioni indicate nei commi 1, 1-bis, 1-ter e 1- quater possono essere utilizzate da soggetti diversi dalle banche, dagli istituti di moneta elettronica, dagli istituti di pagamento e dagli intermediari finanziari.

64

art. 140 bis T.U.B.: esercizio abusivo dell'attività143.

18. I reati relativi alle obbligazioni degli esponenti bancari ex art.

136 T.U.B.144 e di mendacio e falso interno ex art. 137 T.U.B.145

3. Chiunque contravviene al disposto dei commi 1, 1- bis, 1-ter e 1-quater è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.164 a euro 51.645. La stessa sanzione si applica a chi, attraverso informazioni e comunicazioni in qualsiasi forma, induce in altri il falso convincimento di essere sottoposto alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi dell'articolo 108 o di essere abilitato all’esercizio delle attività di cui all’articolo 111". 143 Art. 140 bis T.U.B.: "Esercizio abusivo dell'attività. 1. Chiunque esercita professionalmente

nei confronti del pubblico l’attività di agente in attività finanziaria senza essere iscritto

nell’elenco di cui all’articolo 128- quater, comma 2, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4

anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329.

2. Chiunque esercita professionalmente nei confronti del pubblico l’attività di mediatore

creditizio senza essere iscritto nell’elenco di cui all’articolo 128- sexies , comma 2, è punito con

la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329. 144 Art. 136 T.U.B.: "Obbligazioni degli esponenti bancari. Chi svolge funzioni di

amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di

qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente od indirettamente, con la

banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell'organo di

amministrazione presa all'unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell'organo di

controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli

amministratori e di operazioni con parti correlate. È facoltà del consiglio di amministrazione

delegare l’approvazione delle operazioni di cui ai periodi precedenti nel rispetto delle modalità

ivi previste.

2.Abrogato

2-bis Abrogato 3. L'inosservanza delle disposizioni dei commi 1, è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 206 a 2.066 euro". 145 Art. 137 T.U.B.: "Mendacio e falso interno. 1.Abrogato.

1-bis. Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, al fine di ottenere concessioni di credito

per sé o per le aziende che amministra, o di mutare le condizioni alle quali il credito venne

prima concesso, fornisce dolosamente ad una banca notizie o dati falsi sulla costituzione o

sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria delle aziende comunque interessate alla

concessione del credito, è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa fino ad euro

10.000. Nel caso in cui le notizie o o i dati falsi siano forniti ad un intermediario finanziario, si

applica la pena dell’arresto fino a un anno o dell’ammenda fino ad euro 10.000 (2).

2. Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi svolge funzioni di amministrazione o di direzione presso una banca o un intermediario finanziario nonché i dipendenti di banche o intermediari finanziari che, al fine di concedere o far concedere credito ovvero di mutare le condizioni alle quali il credito venne prima concesso ovvero di evitare la revoca del credito concesso, consapevolmente omettono di segnalare dati o notizie di cui sono a conoscenza o utilizzano nella fase istruttoria notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione

65

Le fattispecie qui analizzate sono accomunate dalla finalità di impedire la

negativa incidenza dei conflitti di interessi degli amministratori sul

patrimonio della banca.

L'art. 136 T.U.B., in particolare, prevede l'obbligo per gli amministratori

di farsi autorizzare dagli organi di amministrazione e di controllo,

all'unanimità, prima di contrarre obbligazioni o compravendere beni con la

banca che amministrano.

Già l'inosservanza di tali norme è di per sé reato, che dunque si configura

come un illecito di pericolo146.

L'art. 137 T.U.B. sanziona invece il comportamento degli amministratori

in conflitto di interessi con la banca in sede di erogazione di crediti, in

rapporto alla rappresentazione di dati falsi sulla situazione economica del

beneficiando.

Si tratta di un reato commesso proprio al fine specifico di ottenere (o

garantire) la concessione di crediti ed evidenzia, dunque, un dolo

specifico.

E' penalmente rilevante, inoltre, anche il comportamento finalizzato a far

ottenere finanziamenti a terzi, laddove compiuto omettendo di

comunicare notizie rilevanti.

19. I reati relativi alle partecipazioni

Costituiscono un aspetto particolarmente delicato anche le omissioni

relative alle comunicazioni di partecipazioni relativamente alle banche e

alle società finanziarie disciplinate dagli artt. 139147 e 140 T.U.B.148.

economica, patrimoniale e finanziaria del richiedente il fido, sono puniti con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda fino a euro 10.329". 146 Cfr. Chiarimento tecnico - giuridico n. 7. 147 Art. 139. T.U.B.: " Partecipazioni in banche, in società finanziarie e società di partecipazione

finanziaria mista capogruppo e in intermediari finanziari. 1. L'omissione delle domande di

autorizzazione previste dall'articolo 19, la violazione degli obblighi di comunicazione previsti

dall'articolo 20, comma 2, nonché la violazione delle disposizioni dell'articolo 24 commi 1 e 3,

66

Come noto, infatti, tali comunicazioni sono fondamentali per il mercato,

poiché sono l'unico strumento veramente idoneo a garantirne la

trasparenza.

Si tratta, come facilmente comprensibile, di reati omissivi (salve le ipotesi

di comunicazioni radicalmente false) e di pericolo, poiché non è necessario

che causino un danno effettivo.

Il reati sono "propri" poiché, nonostante non esprimano nulla in merito

(sembrando rivolti a "chiunque"), in verità possono essere commessi solo

dai soggetti che hanno un preciso obbligo giuridico di trasmettere le

comunicazioni in parola, salvo il caso di concorso ex art. 110 c.p.149

I reati, inoltre, debbono ritenersi integrati non solo laddove un'intera

comunicazione sia falsa ma anche se, all'interno di una comunicazione

corretta, sia inserita anche una sola indicazione falsa150.

dell'articolo 25, commi 3 e 4 sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da 25.820

a 258.225 euro (5) (6).

1-bis. La violazione delle norme di cui al comma 1, in quanto richiamate dall’articolo 110, è

punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 150.000.

2. Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chiunque nelle domande di autorizzazione

previste dall'articolo 19 o nelle comunicazioni previste dall'articolo 20, comma 2, anche in

quanto richiamati dall’articolo 110, fornisce false indicazioni è punito con l'arresto fino a tre

anni.

3. La sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 1 e la pena prevista dal comma 2

si applicano per le medesime violazioni in materia di partecipazioni nelle società finanziarie e

nelle società di partecipazione finanziaria mista capogruppo 148 Art. 140 T.U.B.: "Comunicazioni relative alle partecipazioni in banche, in società

appartenenti ad un gruppo bancario ed in intermediari finanziari. 1. L’omissione delle

comunicazioni previste dagli articoli 20, commi 1, 3, primo periodo, e 4, 21, commi 1, 2, 3 e 4,

63 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 25.882 a euro 258.228.

1-bis. L’omissione delle comunicazioni di cui alle norme indicate nel comma 1, in quanto richiamate dall’articolo 110, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 150.000. 2. Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chiunque nelle comunicazioni indicate nel comma 1 e nel comma 1- bis fornisce indicazioni false è punito con l'arresto fino a tre anni. 149 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 3. 150 RUGGIERO, Le società finanziarie. Obblighi, vigilanza e sanzioni per gli intermediari, Giuffrè editore, pagg. 567 e ss.

67

Sezione III

I reati previsti dal T.U.F.

20. I reati di cui artt. da 166 a 168 ss. T.U.F. e di cui all'art. 170

T.U.F.

Si inizia, nel presente paragrafo, l'analisi dei reati contenuti nel T.U.F.

Vengono presi in considerazione, in primo luogo, i seguenti illeciti penali

rubricati, rispettivamente:

abusivismo ex art.166 T.U.F.;

gestione infedele ex art.167 T.U.F.;

confusioni di patrimoni ex art.168 T.U.F.;

gestione accentrata di strumenti finanziari ex art.170 T.U.F.

Non v'è dubbio che si tratti di rilevanti illeciti che possono certamente

essere commessi in ambito bancario.

Proprio in tale settore, anzi, trovano la loro concreta area di realizzazione.

E'inoltre possibile che - soprattutto alcuni di questi - possano essere

compiuti dagli amministratori di una banca.

Ciò nonostante occorre far notare come si tratti per lo più di illeciti

raffigurabili in capo ai livelli non apicali dell'organizzazione bancaria: si

pensi, ad esempio, al reato di confusione tra patrimoni compiuto da un

promotore finanziario, che mantiene il contatto diretto con gli spostamenti

patrimoniali del singolo cliente.

Dunque, tenendo fede alle premesse del presente scritto e nella

consapevolezza che risulta impossibile ex ante predeterminare quale reato

(anche ai sensi del c.p.) possa compiere un amministratore, appare

opportuno rimanere aderente al criterio finora seguito: saranno

68

puntualmente analizzati - anche per esigenze di sintesi - solo i reati più

peculiari degli amministratori.

Per quanto riguarda gli altri basti, per ora, il doveroso accenno alla loro

esistenza contenuto all'inizio del presente paragrafo ed un rimando al testo

del T.U.F.151, salva la possibilità di fornirne ampia trattazione in relazione

ad un ipotetico caso concreto.

21. I reati di partecipazione al capitale ex art. 169 T.U.F152. e di

ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Consob

di cui all'art. 170 bis T.U.F.153

L'art. 169 bis T.U.F. sembra punire comportamenti in parte analoghi a

quelli di cui all'art. 139 T.U.B., quindi si rimanda ai concetti esplicati in

tema di parziale sovrapposizione tra fattispecie incriminatrici154.

L'art. 170 bis T.U.F., invece, contiene un esplicito criterio di distinzione

rispetto ad un'altra fattispecie incriminatrice in parte analoga (e di cui di

richiama qui la trattazione già svolta155), ovvero l'art. 2638 c.c.

La norma di cui al T.U.F., infatti, si applica solo in seguito al seguente

procedimento: prima occorre verificare l'applicazione dell'art. 2638 c.c. e

poi, solo laddove ciò non risulti possibile, sarà eventualmente possibile

151 Il rimando al testo del T.U.F. anziché la trascrizione in nota del testo delle norme, è d'ora in poi preferito per esigenze di facilità di lettura e per non appesantire eccessivamente il testo. Ciò non toglie che il testo integrale delle disposizioni precedentemente analizzate è stato sistematicamente trascritto in nota, precisando altresì che identica attività verrà svolta anche d'ora in poi in relazione alle fattispecie più rilevanti. 152 Art. 170 T.U.F.: "Partecipazione al capitale. 1. Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chiunque fornisce informazioni false nelle comunicazioni previste dagli articoli 15, commi 1 e 3, 61, comma 6, e 80, comma 7, o in quelle richieste ai sensi dell'articolo 17 è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da lire dieci milioni a lire cento milioni [ndr: da euro cinquemilacentosessantacinque a euro cinquantunomilaseicentoquarantasei] 153 Art. 170 bis T.U.F.: " Ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia e della Consob. 1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, chiunque ostacola le funzioni di vigilanza attribuite alla Banca d’Italia e alla Consob è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro diecimila ad euro duecentomila. 154 Cfr. Chiarimento tecnico - giuridico n. 1. 155 Cfr. SUPRA, Cap. II, par. 14.

69

applicare la norma di cui all'art. 170 bis T.U.F., che è dunque residuale e

"di chiusura" del sistema penale, in relazione alle condotte di ostacolo

alla vigilanza.

22. I reati di irregolare acquisto di azioni ex art. 172 T.U.F.156,

omessa alienazione di partecipazioni ex art. 173 T.U.F.157 e falso in

prospetto ex art. 173 bis T.U.F.158

L'irregolare acquisto di azioni proprie da parte di una società è - da

sempre - una tematica particolarmente dibattuta.

In linea generale si può ricordare come tale attività sia consentita, ma solo

entro limiti e con modalità specifiche, che sono contenute soprattutto

nell'art. 132 T.U.F.159, che a sua volta rimanda alla normativa di cui agli

artt. 2357 e 2357 bis c.c.

156 Art. 172 T.U.F.: "Irregolare acquisto di azioni. 1. Gli amministratori di società con azioni quotate o di società da queste controllate che acquistano azioni proprie o della società controllante in violazione delle disposizioni dell'articolo 132 sono puniti con una reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire quattrocentomila a lire due milioni [ndr: da euro duecentosette a euro milletrentatre]. 2. La disposizione prevista dal comma 1 non si applica se l'acquisto è operato sul mercato regolamentato secondo modalità diverse da quelle stabilite dalla Consob con regolamento, ma comunque idonee ad assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti". 157 Art. 173 T.U.F.: "Omessa alienazione di partecipazioni. 1. Gli amministratori di società con azioni quotate, o di società che partecipano al capitale di società con azioni quotate, i quali violano gli obblighi di alienazione delle partecipazioni previsti dagli articoli 110 e 121 sono puniti con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro venticinquemila a euro duemilionicinquecentomila". 158 Art. 173 bis T.U.F.: "Falso in prospetto. 1. Chiunque, allo scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari o l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni". 159 Art. 132 T.U.F.: "Acquisto di azioni proprie e della società controllante. 1. Gli acquisti di azioni proprie, operati ai sensi degli articoli 2357 e 2357-bis, primo comma, numero 1), del codice civile, da società con azioni quotate, devono essere effettuati in modo da assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, secondo modalità stabilite dalla Consob con proprio regolamento. 2. Il comma 1 si applica anche agli acquisti di azioni quotate effettuati ai sensi dell'articolo 2359-bis del codice civile da parte di una società controllata.

70

L'art. 132 T.U.F., in particolare, si occupa di tutelare la parità di

trattamento degli azionisti, che può in concreto essere lesa nell'ambito di

operazioni quali quelle in oggetto, se svolte al di fuori dei limiti di legge.

In ragione di ciò il Legislatore prevede anche un presidio penale, che è

proprio quello ex art. 172 T.U.F.

Il fatto che tale ultima norma sia posta a tutela della parità di trattamento

degli azionisti è ulteriormente dimostrato dal fatto che, anche laddove le

operazioni di acquisto dovessero risultare irregolari poiché in violazione

dei regolamenti CONSOB, il reato non risulta comunque integrato se la

parità di trattamento è stata ugualmente garantita160.

La fattispecie in oggetto è applicabile anche ai casi di acquisto di azioni

della controllante.

Il reato di omessa alienazione di partecipazioni si connette direttamente

alla disciplina dell'Offerta Pubblica di Acquisto (O.P.A.)., che regola una

serie di obblighi di alienazione delle azioni, il cui inadempimento è già

sanzionato civilisticamente tramite la sterilizzazione delle partecipazioni

eccedenti i limiti normativi, ex art. artt. 110 e 121 T.U.F.

La norma penale in oggetto, dunque, non fa altro che rafforzare tale

disciplina, aggiungendo una sanzione penale a carico di chi viola gli

obblighi appena citati.

La previsione di una sanzione pecuniaria (di stampo penalistico)

particolarmente severa - fino a 2.500.000 euro - è coerentemente imposta

in ragione del fatto che il reato in esame si applica spesso ad operazioni

economiche di enorme portata, in cui eventuali comportamenti illeciti si

innestano essenzialmente per motivi di lucro.

3. I commi 1 e 2 non si applicano agli acquisti di azioni proprie o della società controllante possedute da dipendenti della società emittente, di società controllate o della società controllante e assegnate o sottoscritte a norma degli articoli 2349 e 2441, ottavo comma, del codice civile, ovvero rivenienti da piani di compenso approvati ai sensi dell'articolo 114-bis". 160 GALANTI, Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, 2008, Wolters Kluwer, pagg. 1392 e ss.

71

Il reato di falso in prospetto, ex art. 173 bis T.U.F., era originariamente

disciplinato dall'art. 2623 c.c.

Oggi il reato è strutturato al fine di garantire la veridicità dei prospetti o

nella documentazione da pubblicare in vista di un O.P.A. o di una O.P.S.

Tali documentazioni, infatti, sono ovviamente i principali strumenti

conoscitivi da parte del pubblico dello stato economico di una società e,

dunque, finiscono per alterare il reale funzionamento del mercato se non

veritieri.

Il reato è punito a titolo di dolo specifico, poiché è integrato solo laddove

le falsità siano dirette a garantire un ingiusto profitto, tramite l'attività

ingannatoria posta in essere nei confronti dei destinatari.

23. Il reato di abuso di informazioni privilegiate ex art. 184 T.U.F.161

161 Art. 184 T.U.F.: "Abuso di informazioni privilegiate. 1. È punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime; b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio; c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a). 2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1. 3. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo. 3-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni 795. 4. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a)".

72

Si tratta di un reato di grande importanza, poiché può causare grandi

sconvolgimenti nei mercati, con una distorsione del corretto valore dei

titoli molto rilevante e, potenzialmente, in grado di danneggiare platee di

centinaia di migliaia di azionisti.

La severa pena (anche) pecuniaria che, nel massimo, raggiunge i tre

milioni di euro, conferma tale conclusione.

Il reato in oggetto, anche noto come "insider trading", si ricollega al

concetto di informazione privilegiata ex art. 181 T.U.F.162: si intende

un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica,

riguardante uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più

strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo

sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari.

162 Art. 181 T.U.F.: "Informazione privilegiata. 1. Ai fini del presente titolo per informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. 2. In relazione ai derivati su merci, per informazione privilegiata si intende un'informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più derivati su merci, che i partecipanti ai mercati su cui tali derivati sono negoziati si aspettano di ricevere secondo prassi di mercato ammesse in tali mercati 788. 3. Un'informazione si ritiene di carattere preciso se: a) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; b) è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari. 4. Per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari si intende un'informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento. 5. Nel caso delle persone incaricate dell'esecuzione di ordini relativi a strumenti finanziari, per informazione privilegiata si intende anche l'informazione trasmessa da un cliente e concernente gli ordini del cliente in attesa di esecuzione, che ha un carattere preciso e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari".

73

Per carattere preciso si intende l’essere tale da consentire di trarre

conclusioni sul possibile effetto dell’informazione in relazione ai prezzi

degli strumenti finanziari163.

L’abuso di informazioni privilegiate è commesso da chi, essendo in

possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua posizione,

acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente,

per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando

tali informazioni, oppure, comunica tali informazioni a terzi al di fuori del

rapporto professionale o della funzione ricoperta, oppure, raccomanda o

induce altri, sulla base di esse, a compiere operazioni di compravendita su

strumenti finanziari.

Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore

importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando,

per la gravità del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità

del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata

anche se applicata nel massimo.

Al fine di evitare il verificarsi di questi comportamenti, a norma dell’art.

114 del TUF (comunicazioni al pubblico), gli emittenti quotati e i soggetti

che li controllano sono obbligati a comunicare al pubblico le informazioni

privilegiate che riguardano direttamente detti emittenti, nonché le società

controllate.

La CONSOB, al fine di vigilare sulla correttezza delle informazioni, può

richiedere agli emittenti quotati la comunicazione di notizie e documenti,

assumere notizie dagli amministratori, dai sindaci, dalle società di

revisione e dai dirigenti delle società, nonché eseguire ispezioni.

In relazione al presente reato, così come per quello di manipolazione del

mercato, è prevista l'applicazione delle pene accessorie di cui all'art. 186

T.U.F. e la confisca per equivalente di cui all'art. 187 T.U.F.

163 TORTORIELLO, Market Abuse, abuso di informazioni privilegiate. http://www.soldionline.it/guide/mercati-finanziari/market-abuse-ii-parte-abuso-di-informazioni-privilegiate

74

24. Il reato di manipolazione del mercato ex art. 185 T.U.F.164

Il reato ora in esame, forse ancor più del precedente, rappresenta

probabilmente una delle fattispecie più rilevanti dell'intero T.U.F. e, più in

generale, uno dei reati con le conseguenze economiche (anche in termini di

distorsione del mercato) più gravi che possano essere compiuti in ambito

bancario.

Può influire, infatti, su titoli quotati che possono avere il valore

complessivo di miliardi di euro, con conseguenze facilmente immaginabili.

Una pena pecuniaria fra le più severe in assoluto dell'intero ordinamento

italiano (cinque milioni di euro di massimo, aumentabile fino a quindici

milioni di euro in presenza dell'aggravante di cui allo stesso art. 185

T.U.F.) chiarisce chiaramente l'enorme importanza economica degli

interessi in gioco e delle ripercussioni - anche internazionali - che un

reato del genere può comportare.

In primo luogo, tuttavia, occorre tracciare i confini tra il delitto in esame e

quello di aggiotaggio ex art. 2637 c.c., precedentemente analizzato165.

Ebbene l'aggiotaggio punisce le condotte inerenti gli strumenti finanziari

non quotati (o per i quali non è stata presentata domanda di ammissione

alle contrattazioni), mentre il delitto di manipolazione del mercato si

occupa dei titoli quotati.

164 Art. 185 T.U.F.: "Manipolazione del mercato. 1. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni. 2. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo. 2-bis. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni". 165 Cfr. SUPRA, Cap. II, par. 13.

75

Più nel dettaglio, costituiscono manipolazioni del mercato la diffusione di

notizie, informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o

siano suscettibili di fornire indicazioni artificiose in merito agli

strumenti finanziari e il porre in essere operazioni simulate o altri artifizi

concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo

degli strumenti finanziari166.

Vengono specificate, inoltre, alcune tipologie di operazione sospette, quali

le operazioni di compravendita false o fuorvianti, le operazioni di

compravendita che fissano il prezzo a livelli anomali e artificiali, le

operazioni di compravendita che utilizzano artifizi, inganni o espedienti e,

infine, gli artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito

all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.

I comportamenti di manipolazione del mercato sono punibili sia con

sanzioni penali sia con sanzioni amministrative.

Laddove il reato venga compiuto tramite la diffusione di notizie, queste

devono rivestire i caratteri di specificità167, legati al requisito di cui alla

lett. b) comma terzo art. 181 TUF, ovvero la notizia deve essere

“sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto

del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli

strumenti finanziari”.

Il legislatore ha effettivamente sanzionato la mancata comunicazione di

eventi rilevanti che stanno per verificarsi, ma si tratta di una scelta

estremamente delicata, in cui il concetto di “ragionevole previsione” deve

essere interpretato come “ragionevole certezza”.

Solo in questo caso è possibile restituire un substrato oggettivo alla norma

penale, altrimenti evanescente.

166 TORTORIELLO, Market Abuse, le manipolazioni del mercato, http://www.soldionline.it/guide/mercati-finanziari/market-abuse-i-parte-le-manipolazioni-del-mercato 167 FRATINI - GASPARRI, Il testo unico della finanza, 2012, Wolters Kluwer, pp. 2346 e ss.

76

Del resto, se così non fosse, le conseguenze diverrebbero paradossali: il

rischio non sarebbe più l’omissione della comunicazione, bensì l’emissione

di comunicazioni poco fondate e con scarsa probabilità di essere

effettivamente seguite dall’evento che preannunciano.

Ciò causerebbe l’anomala oscillazione del valore degli strumenti finanziari,

ovvero proprio l’evento che la norma è tesa a reprimere.

Va infine illustrato come l’interpretazione più restrittiva sia confermata

anche dalla previsione dell’illecito amministrativo di manipolazione del

mercato ex art. 187 ter T.U.F.

Quest’ultima disposizione, infatti, è caratterizzata da una formulazione

estremamente ampia, facente riferimento anche ai c.d. rumors, ovvero alle

semplici voci correnti nel mercato.

Tale aspetto della norma, dunque, delinea la maggiore estensione

applicativa dell’illecito amministrativo, da cui deriva la necessità di

ricorrere al principio di specialità168, fornendo altresì l'indicazione di

interpretare la norma penale in maniera più certa e restrittiva.

Le sanzioni amministrative determinano la responsabilità dell'ente ex art.

187 quinquies T.U.F.

In relazione al presente reato, così come per quello di abuso di

informazioni privilegiate, è prevista l'applicazione delle pene accessorie di

cui all'art. 186 T.U.F. e la confisca per equivalente di cui all'art. 187

T.U.F.

Laddove sia commesso il presente delitto o quello di abuso di informazioni

privilegiate, il Pubblico Ministero che ne abbia notizia è tenuto ad

informare la CONSOB ex art. 187 decies T.U.B., anche al fine di

permettere alla CONSOB stessa di potersi costituire parte civile nel

processo penale ai sensi dell'art. 187 undecies T.U.B.

168 Cfr. chiarimento tecnico - giuridico n. 1.

77

Il procedimento penale, comunque, non sospende il procedimento

amministrativo di accertamento ed il procedimento di opposizione ex art.

187 septies, in virtù della disposizione ex art. 187 terdecies T.U.B.

Sezione IV

Ulteriori direzioni di analisi

25. La responsabilità degli amministratori: le difficoltà ed i percorsi

di accertamento.

La corretta ottica di lettura della parte speciale del presente scritto è già

stata descritta: nell'impossibilità di analizzare tutti i reati che possono

essere commessi da un amministratore di una banca, è stato scelto di

presentare una disamina in estrema sintesi degli illeciti più peculiari di tale

posizione soggettiva.

Sono stati illustrati, in particolare, tre grandi "blocchi" di reati, quelli di

cui al codice civile, di cui al T.U.B. e di cui al T.U.F., poiché ritenuti più

tecnici e di più difficile individuazione, con lo scopo di fornire gli

strumenti concettuali basilari per l'individuazione di tali illeciti che

altrimenti, per la loro complessità, rischierebbero di rimanere impuniti.

Ciò non toglie, tuttavia, che i reati astrattamente prospettabili siano

centinaia e, dunque, un'analisi realmente efficace non può prescindere da

un eventuale caso concreto.

In tale quadro già complesso si inseriscono, inoltre, figure fondamentali,

quali quella del commissario straordinario ex art. 71 T.U.B e del

commissario liquidatore ex art. 80 T.U.B..

Quest'ultima figura professionale, in particolare, si presenta laddove la

banca si trovi nello stato di liquidazione coatta amministrativa, anziché

semplicemente in uno stato di crisi (potenzialmente reversibile).

78

L'inizio di una liquidazione coatta amministrativa influenzerebbe,

ovviamente, tutta la gestione dell'istituto bancario e muterebbe, altresì, la

normativa applicabile, che si estenderebbe anche a parte della legge

fallimentare n. 267/1942.

Tale estensione, comunque, è prevista solo nei limiti dell'art. 70 T.U.B.

(salva l'esclusione del titolo V della legge fallimentare e delle disposizioni

di tale testo incompatibili con la normativa speciale del T.U.B., tranne una

serie tassativa di norme della legge fallimentare che comunque

prevalgono169).

Nello specifico la disciplina legislativa prevede diverse procedure di

gestione delle crisi, secondo il grado di criticità della situazione aziendale:

gravità delle perdite patrimoniali, irregolarità e violazioni normative e

amministrative.

Se la crisi non presenta caratteri di irreversibilità, la banca può essere

sottoposta ad amministrazione straordinaria170.

Se ci sono ragioni di assoluta urgenza, in presenza degli stessi presupposti

per l'avvio dell'amministrazione straordinaria, la Banca d'Italia può

nominare uno o più commissari che assumono i poteri di amministrazione

dell'intermediario per un massimo di due mesi (c.d. gestione provvisoria).

Quando la crisi ha assunto caratteri di irreversibilità, l'intermediario

viene assoggettato a liquidazione coatta amministrativa, con

provvedimento del Ministro dell'Economia e delle Finanze, emanato su

proposta della Banca d'Italia.

Anche in questo caso la nomina degli organi liquidatori compete alla

Banca d'Italia.

169 Art. 194 l. 267/1942: "Norme applicabili. La liquidazione coatta amministrativa è regolata dalle disposizioni del presente titolo, salvo che le leggi speciali dispongano diversamente. Sono abrogate le disposizioni delle leggi speciali, incompatibili con quelle degli artt. 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213". 170 BANCA D'ITALIA (testo informatico ufficiale), La disciplina delle crisi, https://www.bancaditalia.it/vigilanza/regolamentati/banche/disc-crisi

79

Si ricorda altresì che, nei casi di liquidazione coatta amministrativa, i

sistemi di garanzia dei depositanti, ai quali le banche italiane sono tenute

ad aderire, effettuano i rimborsi nel limite di 100.000 euro per ciascun

depositante.

Va ricordato, inoltre, che le modalità di azione contro i responsabili

sono peculiari.

Per quanto interessa sotto il profilo penalistico, va sottolineato come la

costituzione di parte civile nel processo penale possa essere disposta

dal commissario previa autorizzazione della Banca d'Italia, dopo aver

ottenuto il parere del comitato di sorveglianza.

Va ricordato, comunque, che la costituzione di parte civile nel processo

penale171 concerne l'innesto di una richiesta prettamente civilistica

(essenzialmente risarcitoria) in un terreno che le è normalmente estraneo,

cioè il processo penale.

Ciò, dunque, costituisce una tematica ben diversa dalla semplice denuncia

all'Autorità di un reato procedibile di ufficio, che riguarda la mera

punizione penale dei responsabili e che può essere presentata da chiunque

abbia notizia di un reato, ex art. 333 c.p.172, generando così un

procedimento penale che seguirà comunque il suo corso.

La denuncia è anzi, a volte, doverosa, tanto che la sua omissione può

causare ex se una responsabilità penale del commissario173.

Va ricordato altresì che, in linea generale, la punizione penale delle

contravvenzioni risulterà meno agevole di quella dei delitti, poiché in

171 Cfr. artt. 74 e ss. c.p.p. 172 Art. 333 c.p.p.: "Denuncia da parte dei privati. 1. Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria.2. La denuncia è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria; se è presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale.3. Delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall'articolo 240. 173 In proposito confronta INFRA, Cap. II, par. 28, nonché l'art. 361 c.p.

80

relazione agli illeciti contravvenzionali è prevista una prescrizione più

breve (cinque anni in presenza di interruzioni della prescrizione stessa).

Si rappresenta infine che, se la prescrizione dovesse arrivare dopo la

sentenza di condanna di primo grado, in relazione alla quale era stata

anche emessa una condanna al risarcimento del danno a seguito della

costituzione di parte civile, il giudice di appello dovrà decidere sui capi

civili della sentenza ex art. 600 c.p.p.174.

26. I reati fallimentari

La trattazione della tematica di cui al presente paragrafo concerne un

intero settore del diritto penale e, dunque, meriterebbe un'amplissima ed

autonoma trattazione.

Tuttavia le esigenze di sintesi di cui al presente scritto impongono un

approccio più rapido, soprattutto in relazione alla seguente considerazione.

I reati in oggetto, infatti, presuppongono normalmente il fallimento (e

sono dunque integrabili anche in contesto extra - bancario), mentre le

banche sono sottratte a tale procedura.

Ciò non toglie, tuttavia, che le banche possano essere sottoposte alla

liquidazione ex artt. 80 e ss. T.U.B., che è comunque idonea a sorreggere

l'applicazione di tali reati.

In assenza di liquidazione coatta amministrativa (che peraltro è equiparata

al fallimento ex art. 237 l. 267/1942) tuttavia, i reati fallimentari non sono

integrabili.

174 Art. 600 c.p.p.: " Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili. 1. Se il giudice di primo grado ha omesso di pronunciare sulla richiesta di provvisoria esecuzione proposta a norma dell'articolo 540 comma 1 ovvero l'ha rigettata, la parte civile può riproporla mediante impugnazione della sentenza di primo grado al giudice di appello il quale, a richiesta della parte, provvede con ordinanza in camera di consiglio. 2. Il responsabile civile e l'imputato possono chiedere con le stesse forme la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione. 3. Su richiesta delle stesse parti, il giudice di appello può disporre, con le forme previste dal comma 1, che sia sospesa l'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale quando possa derivarne grave e irreparabile danno".

81

Nell'ottica di primo orientamento sottesa al presente scritto, dunque,

un'analisi puntuale degli stessi potrebbe risultare superflua.

Sarebbe indispensabile, invece, un ampio approfondimento solo nell'ipotesi

in cui si dovesse verificare effettivamente la sussistenza della liquidazione

coatta amministrativa.

Ci si limita per ora, dunque, a dare conto dell'esistenza di tali reati175, salva

una più specifica disamina in relazione ad un ipotetico caso concreto.

Con la dicitura “reati fallimentari” si indicano dei fatti penalmente

rilevanti posti in essere dall’imprenditore commerciale o da altri soggetti,

tra cui gli amministratori, in un periodo antecedente alla dichiarazione di

fallimento o di liquidazione coatta amministrativa.

Si tratta dei reati commessi dall’imprenditore fallito (ex artt. 216-222

legge fallimentare n. 267/1942, d'ora in poi L.F.) e da persone diverse dal

fallito (ex artt. 223, 224, 227 e artt. 228-231 L.F.).

Il principale reato fallimentare è la bancarotta, che può essere

fraudolenta o semplice.

Per quanto interessa l'amministratore176, questo può rispondere di

bancarotta fraudolenta (art. 216 L.F.) in quanto ha distratto, occultato,

dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i beni dell'impresa;

oppure, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o

riconosciuto passività inesistenti; ha sottratto, distrutto o falsificato, in

tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto

profitto o di recare pregiudizio ai creditori e ha tenuto i libri o le altre

scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del

patrimonio o del movimento degli affari177.

Si tratta di un reato particolarmente grave (pena massima di anni dieci di

reclusione).

175 CONCAS, I reati fallimentari, 2013, http://www.diritto.it/docs/35337-i-reati-fallimentari 176 Tale reato è estensibile agli amministratori ex art. 223 L.F. 177 Cfr. art. 216 L.F.

82

E' invece punito con una pena minore (reclusione da uno a cinque anni)

chi, prima o durante la procedura fallimentare, allo scopo di favorire, a

danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di

prelazione.

Si ha bancarotta semplice ex art. 217 L.F.178 quando l'amministratore,

prima della dichiarazione di fallimento, ha fatto spese personali o per la

famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica, ha consumato

una notevole parte del suo patrimonio in azioni di pura sorte o

manifestamente imprudenti, ha compiuto azioni di grave imprudenza per

ritardare il fallimento, ha aggravato il proprio dissesto astenendosi dal

richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa,

non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato

preventivo o fallimentare.

Altri reati fallimentari sono:

ricorso abusivo al credito179;

denuncia di creditori inesistenti180 (fuori dall’ipotesi di

bancarotta fraudolenta);

omissione della dichiarazione dell’esistenza di altri beni da

comprendere nell’inventario181;

diversi reati che possono essere commessi curatore182;

domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza

concorso col fallito183;

ulteriori reati di minore interesse per l'odierna trattazione.184

178 Tale reato è estensibile agli amministratori ex art. 224 L.F. 179 Cfr. art. 218 L.F. 180 Cfr. art. 220 L.F. 181 Cfr. art. 218 L.F. 182 Cfr. artt. 228, 229, 230, 231 L.F. 183 Cfr. art. 232 L.F. 184 Cfr. artt. 233 - 236 bis L.F.

83

27. La responsabilità amministrativa dell'impresa ex D.lgs. 231/2001

La responsabilità dell'impresa ex D.lgs. 231/2001 è qualificata

espressamente come amministrativa e, dunque, sembrerebbe esulare

dall'impostazione penalistica del presente scritto, che peraltro è incentrato

sulla responsabilità personale degli amministratori e non su quella

dell'impresa bancaria.

Ciò nonostante tale presunta natura amministrativa della responsabilità è

contaminata da aspetti che sembrano essenzialmente penalistici ed inoltre,

se è vero che non coinvolge gli amministratori ma l'impresa, è altrettanto

corretto affermare che la responsabilità dell'impresa è spesso

determinata proprio dal comportamento dei suoi amministratori.

Dunque, pur in estrema sintesi, pare opportuno proporre degli accenni in

merito185.

L’efficacia soggettiva del D.lgs. 231/2001 si riferisce all'ente, inteso come

un’organizzazione collettiva dotata di una certa autonomia organizzativa;

lo scopo di lucro e la personalità giuridica sono criteri di individuazione

dei soggetti ma non operano in assoluto.

In tema di imprese bancarie, comunque, il quesito sull'applicabilità della

normativa sembra facilmente risolvibile in termini positivi.

Il fondamentale principio di legalità penale, “nullum crimen sine lege”, ex art.

25 comma secondo Cost. è presente anche nel D.lgs. 231/2001, che all’art.

2 prevede che l’ente non può essere punito per un fatto, se al tempo in cui

questo è stato commesso ciò non comportava una responsabilità

amministrativa, con le relative sanzioni186.

185 LA MARCHESINA, La responsabilità degli enti (d.lgs. 231/2001): fondamento giuridico e problematiche generali, 2013, http://www.diritto.it/docs/34968-la-responsabilit-degli-enti-dlgs-231-2001-fondamento-giuridico-e-problematiche-generali 186 Quella appena illustrata è certamente una degli ipotesi di istituti prettamente penalistici applicati alla responsabilità amministrativa derivante da reato.

84

Previsioni di origine penalistica sono presenti anche in relazione alla

tematica della successione di leggi nel tempo187.

Nei limiti del codice penale, inoltre, l'impresa risponde anche per i reati

commessi all'estero188.

La responsabilità amministrativa può sorgere in capo all’ente o alla

persona giuridica solo se un soggetto appartenente ad esso commette uno

dei reati tassativamente indicati dagli artt. 24 e ss. del Dlgs.

231/2001189.

Altri illeciti, pur gravi, sono irrilevanti per la responsabilità dell'impresa.

Inizialmente le fattispecie previste erano piuttosto limitate ed erano basate

sull’elemento giuridico del dolo; successivamente numerosi interventi

normativi ne hanno introdotte di nuove, spesso con criteri molto

eterogenei.

Si individua l'elenco dei reati e gruppi di reati rilevanti:

1. Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un

ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode

informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (Art. 24, D.Lgs.

n. 231/2001);

2. Delitti informatici e trattamento illecito di dati (Art. 24-bis, D.Lgs. n.

231/2001);

3. Delitti di criminalità organizzata (Art. 24-ter, D.Lgs. n. 231/2001);

4. Concussione, induzione indebita a dare o promettere altra utilità e

corruzione (Art. 25, D.Lgs. n. 231/2001);

5. Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in

strumenti o segni di riconoscimento (Art. 25-bis, D.Lgs. n. 231/2001);

6. Delitti contro l’industria e il commercio (Art. 25-bis.1, D.Lgs. n.

231/2001);

187 Cfr. Art. 3 D.lgs. 231/2001. 188 Cfr. Art. 4 D.lgs. 231/2001. 189 Non ogni reato, dunque, fa scattare la responsabilità dell'ente.

85

7. Reati societari (Art. 25-ter, D.Lgs. n. 231/2001);

8. Reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico

previsti dal codice penale e dalle leggi speciali (Art. 25-quater, D.Lgs. n.

231/2001);

9. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (Art. 583-bis

c.p.) (Art. 25-quater.1, D.Lgs. n. 231/2001);

10.Delitti contro la personalità individuale (Art. 25-quinquies, D.Lgs. n.

231/2001);

11. Reati di abuso di mercato (Art. 25-sexies, D.Lgs. n. 231/2001);

12.Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime,

commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela

dell’igiene e della salute sul lavoro (Art. 25-septies, D.Lgs. n.

231/2001);

13.Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di

provenienza illecita (Art. 25-octies, D.Lgs. n. 231/2001);

14.Delitti in materia di violazione del diritto d’autore (Art. 25-novies,

D.Lgs. n. 231/2001);

15.Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni

mendaci all’autorità giudiziaria (Art. 25-decies, D.Lgs. n. 231/2001)

16.Reati ambientali (Art. 25-undecies, D.Lgs. n. 231/2001);

17.Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (Art. 25-

duodecies, D.Lgs. n. 231/2001);

18.Reati transnazionali (L. n. 146/2006);

Appare evidente come, per quanto interessa l'ambito bancario, il gruppo di

reati-presupposto più rilevante sia quello di cui al punto 7) del precedente

elenco, riguardante i reati societari, che sono quindi idonei a fondare la

responsabilità dell'impresa bancaria per i reati compiuti dai suoi

amministratori.

86

Evidenziata l'eventuale sussistenza di uno dei reati di cui al precedente

elenco, resta da chiarire come la persona giuridica possa rispondere di un

reato commesso da un soggetto appartenente alla sua struttura

organizzativa.

Vi è un criterio oggettivo190 di imputazione, che stabilisce che l’ente è

responsabile per i reati previsti agli artt. 24 e ss., commessi nel suo

interesse o a suo vantaggio da persone appartenenti alla sua struttura

organizzativa191.

Il criterio soggettivo di imputazione stabilisce che i reati-presupposto

devono essere stati commessi dalla persone in posizione di vertice o da

quelle sottoposte alla direzione o vigilanza delle prime.

Se il reato è stato commesso da un soggetto in posizione apicale, l’ente

non risponde se prova di aver adottato un efficace modello

organizzativo finalizzato alla prevenzione dei reati, di aver attribuito

la vigilanza sul medesimo ad un organo interno dotato di poteri autonomi

di iniziativa e controllo, che la persona abbia commesso il reato eludendo

fraudolentemente il modello.

In questi casi l’esenzione dalla responsabilità deve essere provata dall’ente.

Se invece il reato è imputabile ad un soggetto sottoposto alla direzione dei

soggetti apicali, l’ente è responsabile se la commissione dell’illecito deriva

dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza192; in questo

caso la condizione di responsabilità deve essere provata dal Pubblico

Ministero.

Infine l’accertamento dei criteri oggettivi e soggettivi di imputazione

190 DE SIMONE, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1351253564De%20Simone%20definitivo.pdf 191 Tale istituto, al contrario di molti altri, è contrario ai criteri penalistici e fonda la definizione della responsabilità come amministrativa. Nel diritto penale, infatti, può esistere solo una responsabilità penale (almeno) colpevole.

87

spetta al Pubblico Ministero che deve dimostrare la commissione di uno

dei reati previsti agli artt. 24 e ss., che è stato commesso nell’interesse o a

vantaggio dell’ente e, una volta identificato l’autore, salvo la previsione

dell’art. 8, che si tratti di un soggetto apicale o di un subordinato.

Nello specifico, ritenuto che la responsabilità determinata da

comportamenti degli amministratori implica certamente l'applicazione

dei severi criteri previsti per i soggetti apicali, appare palese l'enorme

importanza della predisposizione di un adeguato modello di

organizzazione ex D.lgs. 231/2001, cioè di un documento tecnico -

giuridico finalizzato a prevenire i reati.

Peraltro, pur nell'impossibilità di esprimere un giudizio certo, appare

verosimile ritenere che, se una banca è stata gestita da amministratori che

hanno compiuto reati e, a maggior ragione, se la generale politica

aziendale è stata così poco accorta da determinare la nomina di un

commissario straordinario, allora verosimilmente il modello in oggetto

potrà evidenziare dei seri deficit, che andranno colmati con la massima

urgenza, eventualmente tramite l'affidamento dell'incarico della redazione

di un nuovo modello organizzativo a soggetti qualificati nel campo

penalistico193.

Va ricordato che, tra le ipotesi di riduzione delle sanzioni pecuniarie, vi è

quella di aver adottato un modello idoneo a prevenire la commissione di

ulteriori reati.

Risulta rilevante sottolineare, inoltre, che ex art. 5 comma secondo D.lgs.

231/2001, “l’ente non risponde se le persone indicate al comma 1, hanno agito

nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

Un sistema del tutto peculiare, infine, è quello in tema di sanzioni.

193 A tal proposito va ricordato come - nonostante la natura amministrativa della responsabilità - ogni accertamento processuale relativo al d.lgs. 231/2001 avvenga all'interno del processo penale.

88

Il sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. 231/01, infatti, prevede

sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive.

La sanzione pecuniaria è determinata dal giudice attraverso un sistema

basato sulle "quote", che deve essere valutato di volta in volta194.

Le sanzioni interdittive si applicano in aggiunta alle sanzioni pecuniarie

e costituiscono le reazioni afflittive di maggior rilievo.

Le sanzioni interdittive previste dal D.Lgs. 231/01 sono:

l’interdizione, temporanea o definitiva, dall’esercizio dell’attività;

la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o

concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo

che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e

l’eventuale revoca di quelli già concessi;

il divieto, temporaneo o definitivo, di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive si applicano solo nei casi espressamente previsti e

purché ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

l’ente ha tratto dal reato un profitto rilevante e il reato è stato

commesso:

a) da un soggetto apicale,

b) da un soggetto subordinato, qualora la commissione del reato

sia stata agevolata da gravi carenze organizzative,

in caso di reiterazione degli illeciti.

194 La sanzione pecuniaria è la sanzione principale generale. E’ determinata attraverso un sistema basato su “quote” in numero non inferiore a cento e non superiore a mille. L’importo unitario di ciascuna quota può variare da un minimo di € 258,22 ed un massimo di € 1.549,37. Dunque, in linea generale (e salvi i distinguo che potrebbero farsi con riferimento ai vari reati), la sanzione minima applicabile è di circa € 25.800, mentre la massima è di circa € 1.550.000.

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Le sanzioni interdittive sono normalmente temporanee, ma possono

eccezionalmente essere applicate con effetti definitivi.

Le sanzioni interdittive possono essere applicate anche in via cautelare,

su richiesta del Pubblico Ministero, qualora sussistano gravi indizi della

responsabilità dell’ente e vi siano fondati e specifici elementi tali da far

ritenere il concreto pericolo che vengano commessi illeciti della stessa

indole di quello per cui si procede.

Accanto alla sanzione pecuniaria e alle sanzioni interdittive, infine, il

D.Lgs. 231/01 prevede altre due sanzioni:

a) la confisca, che consiste nell’acquisizione da parte dello Stato del prezzo

o del profitto del reato;

b) la pubblicazione della sentenza di condanna.

28. Considerazioni finali.

Analizzata la responsabilità penale dell'amministratore in ambito bancario

- nell'ottica di estrema sintesi e di destinazione del presente scritto

soprattutto a soggetti privi di una specifica preparazione penalistica - resta

da tracciare un quadro complessivo delle considerazioni finora esposte.

Frequentemente, nel corso della trattazione, è stata ricordata la necessità

di approfondire i concetti esposti in relazione ad un ipotetico caso

concreto.

Non si tratta di una mera nota di lettura, ma del riconoscimento

dell'indispensabilità dello studio in fatto che è necessario e prodromico ai

processi penali riguardanti i reati dell'amministratore in ambito bancario.

Normalmente, infatti, si tratta di procedimenti di notevolissima

complessità, caratterizzati da importanti interessi economici e spesso

istruiti in riferimento a reati commessi con particolare preordinazione di

mezzi ed attività: la documentazione acquisita in tali indagini,

generalmente, è di diverse decine di faldoni.

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A ciò, inoltre, si aggiungono le ulteriori complicazioni giuridiche

rappresentate dalla presenza degli organi straordinari.

Questi ultimi, in particolare, hanno la delicatissima funzione di ripristinare

una corretta gestione aziendale dopo scelte del precedente management che,

nel migliore dei casi, possono rivelarsi poco accorte ma che, più

verosimilmente, hanno integrato veri e propri reati determinati da motivi

di lucro.

Si tratta, dunque, di una gestione straordinaria che, in primis, deve porsi

come obiettivo primario il recupero della legalità (anche tramite il

recupero del patrimonio sociale) e che, nel diritto penale, trova uno

strumento semplicemente imprescindibile.

L'incisività e gravità della sanzione penale, infatti, è innegabile ed è anche

concretizzata da pene pecuniarie (sempre di stampo penalistico) spesso

elevatissime195.

Inoltre l'eventuale emissione di misure cautelari reali ex artt. 316 e ss.

c.p.p. è dotata di un'efficacia pratica e di una rapidità impensabile al di fuori

del settore penalistico.

Può essere finalizzata sia alla conservazione dei beni sui quali - in futuro -

rivalersi, sia al sequestro di quanto deve essere acquisito per evitare la

commissione di illeciti penali ulteriori.

L'applicazione dello strumento penale, dunque, è semplicemente ictu oculi

indispensabile nella repressione della criminalità finanziaria dolosa.

Risulta altresì fondamentale nel perseguimento degli amministratori che,

sebbene colposamente, hanno leso i beni giuridici protetti dalle norme

che prevedono tale - più estesa - forma di responsabilità (in primo luogo la

maggior parte degli illeciti contravvenzionali).

Inoltre le azioni di responsabilità civile contro gli amministratori

promosse dal commissario debbono passare attraverso un iter

autorizzativo che ne rallenta inevitabilmente il percorso, mentre le

195 Cfr., ad esempio, l'art. 185 T.U.F.

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denunce penali ex art. 333 c.p.p. avviano un procedimento penale

pressoché con immediatezza.

Non può essere trascurata, infine, l'efficacia afflittiva e simbolica del

diritto penale, necessaria per stigmatizzare anche moralmente il

comportamento rimproverabile dell'amministratore che ha compiuto reati;

anche a livello di immagine una banca che prende formalmente le distanze

dal proprio precedente e discutibile management trasmette un messaggio di

rinnovata legalità e trasparenza, che non può non giovarle.

Un amministratore indagato (e poi imputato), peraltro, avrà tutto

l'interesse a restituire all'istituto bancario eventuali profitti illeciti, al

fine di beneficiare della riduzione di pena di cui all'art. 62 nn. 4) o 6) c.p.

Inoltre, nei reati procedibili a querela, la possibilità da parte della persona

offesa di bloccare in ogni momento il processo penale se adeguatamente

soddisfatta, costituisce un ulteriore stimolo, per l'amministratore

querelato, a risarcire il danno.

Più in generale, infine, non è nemmeno possibile paragonare le capacità di

indagine di una Procura della Repubblica a quelle che potrebbero -

eventualmente autonomamente - essere poste in essere nel campo extra

penale.

Fin troppo agevole immaginare le capacità (di intercettazione telefonica,

perquisizione, sequestro etc.) che l'Autorità giudiziaria può porre in essere,

anche grazie all'utilizzo di ampie forze di Polizia Giudiziaria, dotate di

esperienza, capacità e poteri che possono essere attivati solo in presenza

di un procedimento penale.

Nel complesso, dunque, appare indispensabile - soprattutto da parte degli

organi straordinari - vagliare attentamente il comportamento dei

precedenti amministratori e, in caso di sospetto di un reato, avvisarne

immediatamente l'Autorità giudiziaria nelle forme di rito.

Nel campo della responsabilità degli amministratori in ambito bancario,

infatti, gli strumenti penalistici esistono e risultano anche piuttosto

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articolati e, sebbene tuttora afflitti da alcune problematiche rilevanti (si

pensi, ad esempio, alla brevità dei termini di prescrizione), meritano di

essere puntualmente attivati.

Infine, come considerazione finale dell'intero scritto, occorre ricordare che

il commissario è esplicitamente considerato un pubblico ufficiale196.

Dunque risulta applicabile a carico di tale figura il reato di omessa

denuncia di un reato da parte del pubblico ufficiale ex art. 361 c.p.:

"Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all'autorità

giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un

reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito

con la multa da euro 30 a euro 516.197

La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un

agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del

quale doveva fare rapporto.

Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a

querela della persona offesa".

In molti casi, dunque, la presentazione di una denuncia penale da

parte del commissario risulta non solo opportuna, ma anche

assolutamente doverosa, al punto da essere penalmente sanzionata.

196 Cfr. Art. 72 T.U.B. 197 Il fatto che il reato sia punito con la sola multa non esclude che si tratti di una sanzione a tutti gli effetti penale (idonea, ad esempio, a costituire un precedente penale in caso di condanna). Anzi, si tratta di un delitto e non di una contravvenzione, quindi il reato non è nemmeno suscettibile di essere estinto tramite oblazione ex artt. 162 o 162 bis c.p.