LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA - diritto.it · necessità di ancorare il diritto penale al principio...

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Federico Amateis ________________________________________ RELAZIONE SUI PROGETTI DI RIFORMA DEL CODICE PENALE ELABORATI DALLA COMMISSIONE PAGLIARO E DALLA COMMISSIONE GROSSO: LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA

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Federico Amateis ________________________________________

RELAZIONE SUI PROGETTI DI RIFORMA DEL CODICE PENALE ELABORATI DALLA COMMISSIONE PAGLIARO E DALLA COMMISSIONE GROSSO:

LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA

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INDICE SOMMARIO 1) PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E RESPONSABILITÀ

OGGETTIVA NEL CODICE ROCCO: PROFILI GENERALI ED ESIGENZE DI RIFORMA

2) L’ELIMINAZIONE DELLE IPOTESI DI RESPONSABILITÀ

OGGETTIVA NEL PROGETTO PAGLIARO E NEL PROGETTO GROSSO

3) LE PRINCIPALI FATTISPECIE RIMPROVERABILI A

TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA AL VAGLIO DELLA COMMISSIONE PAGLIARO E DELLA COMMISSIONE GROSSO:

3.1) LA PRETERINTENZIONE (ARTT. 43, 2° COMMA E

584 C.P., ART. 18 L. 194/1978)

3.2) L’ABERRATIO ICTUS (ART. 82 C.P.) 3.3) L’ABERRATIO DELICTI (ART. 83 C.P.)

3.4) LA RESPONSABILITÀ C.D. ANOMALA (ART. 116 C.P.) 3.5) I REATI AGGRAVATI DA UN EVENTO NON VOLUTO DALL’AGENTE 3.6) I REATI COMMESSI A MEZZO STAMPA (ART. 57 C.P., TESTO ORIGINARIO, MODIFICATO DALL’ART. 18 L. 127/1958) BIBLIOGRAFIA

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1) PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E RESPONSABILITÀ OGGETTIVA NEL CODICE ROCCO: PROFILI GENERALI ED ESIGENZE DI RIFORMA

Nell’attuale sistema penale la responsabilità oggettiva è contemplata in diverse disposizioni di legge, sia codicistiche, che di leggi speciali. Punto di partenza della nostra analisi è l’art. 42, 3° comma c.p., in forza del quale “la legge determina i casi nei quali l’evento è altrimenti posto a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione”. Si tratta di una previsione di carattere generale, in ordine all’imputazione del fatto in capo all’agente, per la sola ragione del verificarsi dell’evento, come si desume dall’espressione “evento posto altrimenti a carico dell’agente”, è cioè indipendentemente dalla sussistenza di qualunque forma di colpevolezza, sia essa dolo o soltanto colpa. Come la dottrina penalistica oramai pressoché unanime sostiene, la mera causazione materiale dell’evento, in assenza dell’elemento soggettivo dolo o colpa, non è condizione sufficiente per ammettere la punibilità dell’agente. D’altronde l’inadeguatezza del sistema vigente, che trae nel Codice Rocco del 1930 il suo fondamento, è tale che tutti gli ultimi Progetti di riforma del Codice che sono stati elaborati, fra i quali, non ultimi, il Progetto Pagliaro e il Progetto Grosso, prevedono un’eliminazione delle fattispecie rimproverabili a titolo di responsabilità oggettiva. Oltre al già citato art. 42, 3° comma c.p., sono presenti diverse altre disposizioni di legge, sia interne al codice che extra codicem, le quali prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva, come per esempio le forme di reato aberrante ex art. 82 c.p. (aberratio ictus) ed ex art. 83 c.p. (aberratio delicti), la responsabilità c.d. “anomala” ex art. 116 c.p., nonché la responsabilità per l’evento (morte) diverso da quello voluto (percosse o lesioni), che integra la fattispecie di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), la responsabilità per i reati a mezzo stampa, prima della riforma di tale materia (realizzata nel 1957), i reati aggravati dall’evento, ecc.

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Sulla natura giuridica della responsabilità oggettiva molto si è discusso, e certamente i tentativi di parte della dottrina di riportare tale concetto nell’ambito della colpa, sia pure una forma molto allargata di colpa, servono a poco, anche perché si rischia di invalidare qualunque ipotesi di riforma: se si fa rientrare la responsabilità oggettiva nella colpevolezza, viene meno il problema di fondo che caratterizza il discorso, ma questa soluzione, per quanto apparentemente risolutiva, non è certo esente da critiche di varia natura, oltre ad essere considerata dalla dottrina prevalente soltanto una forzatura interpretativa. Come è stato rilevato dal Riz, “nemmeno vale sostenere che quando la legge prevede che si debba rispondere a <titolo di colpa>, si risponde appunto a tale titolo e non già <per colpa>, motivando che in tutte queste ipotesi possono rientrare <in via interpretativa> in un onnicomprensivo concetto di colpa (vedi in tal senso, in ordine all’art. 83 c.p.: ANTOLISEI, CONTI, F. MANTOVANI, PETRINI, PETTOELLO MANTOVANI)” 1. Il problema di fondo inerente l’ammissibilità o meno della responsabilità oggettiva in un ordinamento penale deriva dal valore che in esso viene riconosciuto al principio di colpevolezza. A tale proposito è necessario analizzare l’art. 27, 1° comma Cost., in forza del quale si prevede che “la responsabilità penale è personale”: da un lato, tale enunciazione si ricollega al principio di responsabilità per fatto proprio (nell’ordinamento penale, a differenza di altri settori, come per esempio in materia civile, non è ammissibile in alcun modo l’attribuzione, ad un soggetto, di un fatto da altri commesso); d’altronde, seppur non esplicitato nel disposto costituzionale, l’art. 27 Cost. inerisce ad un ulteriore principio, e cioè quello della colpevolezza, intesa secondo i tradizionali paradigmi di dolo e colpa, per cui se il fatto costitutivo di reato è stato causato dall’agente senza che la sua condotta, sotto il profilo soggettivo, possa essere qualificata come dolosa o perlomeno colposa, è inammissibile l’incriminazione del soggetto medesimo. Si può peraltro notare che all’interno dell’Assemblea Costituente, soltanto due figure, il Bettiol e il Moro, furono sostenitori della necessità di esplicitare una responsabilità per “fatto proprio 1 RIZ, Lineamenti di diritto penale. Parte generale, 4a ed., Cedam, Padova, 2002, p. 265 - 266

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colpevole”, inserendo pertanto la colpevolezza a chiare lettere nel testo costituzionale: evidentemente le numerose ipotesi di responsabilità oggettiva contenute nel Codice Rocco del 1930 apparivano ai più perfettamente legittime e rispettose dei canoni costituzionali perché pur sempre ancorate, attraverso il rapporto di causalità materiale, alla condotta dello stesso soggetto agente. Tra le molteplici voci in dottrina che si sono occupate della problematica in esame, appare opportuno citare il Pagliaro, il quale ha fornito una configurazione autonoma ed originale del principio di colpevolezza e della responsabilità oggettiva. Egli ha rifiutato l’interpretazione secondo cui la responsabilità ex art. 27, 1° comma Cost. sarebbe un forma di responsabilità “per fatto proprio”, sostenendo che “una responsabilità fondata soltanto sul rapporto di causalità materiale tra il comportamento dell’agente e l’evento ha come presupposto una legame che non è proprio ed esclusivo dell’uomo, ma è comune a tutto il mondo animale […]. E’ necessario, dunque, richiedere una altro tipo di legame nel quale si manifesti un quid che sia peculiare all’uomo come persona” 2. Viene altresì rifiutata l’interpretazione di una responsabilità “per fatto proprio colpevole”, argomentando che “l’art. 27 Cost. usa la dizione <responsabilità personale>, e non quella <responsabilità colpevole>. La sostituzione dell’aggettivo […] è del tutto arbitraria […]. Il principio di colpevolezza non si identifica con il principio di personalità dell’illecito, ma ne è un’applicazione particolare.[…] Non è affatto detto che la responsabilità penale debba necessariamente richiedere almeno la colpa […]. Il principio di colpevolezza esige soltanto che il soggetto sia eticamente rimproverabile per il fatto; ma gli rimangono del tutto indifferenti le particolarità tecniche da cui dipende il configurarsi di una responsabilità colpevole. La colpa, infatti, richiede la violazione di una regola cautelare nell’ambito di un’attività in se stessa lecita […]. Ma, alle volte, è vietata già l’attività volontaria di base […]; non v’è motivo che l’ordinamento sollevi il colpevole dalla responsabilità per una

2 PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, 5a ed., Giuffrè, Milano, 1996, p. 324 ss.

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parte del rischio corso. Tutto il rischio affrontato è, già in nuce, un rischio illecito e perciò vietato”3. Il Pagliaro, nell’intento di definire “un quadro teorico capace di ricondurre ai principi costituzionale la disposizione di cui all’art. 42, 3° comma c.p. e le disposizioni connesse”, arriva a definire una dogmatica tale da “a) rendere la c.d. <responsabilità obbiettiva> […] conforme al requisito di personalità dell’illecito; b) non portare questa forma di responsabilità a coincidere con la responsabilità per colpa, perché non sempre vi si può richiedere […] la violazione delle regole di diligenza, prudenza o perizia; c) esprimere la ragione della maggiore gravità che nel diritto vigente […] i casi di responsabilità da rischio penalmente illecito presentano rispetto al corrispondente concorso di reato doloso con reato colposo”. In questa ricostruzione la responsabilità oggettiva viene quindi definita come una forma di responsabilità da rischio totalmente illecito4. Tornando ad un’analisi di carattere generale della problematica, prescindendo dalle specifiche configurazioni dogmatiche proposte dai vari autori, si deve evidenziare che ad un certo momento storico, l’evolversi della coscienza giuridica, la sempre maggiore affermazione dei principi garantistici contenuti nella nostra Costituzione, lo studio comparatistico degli altri sistemi penali, in special modo di quelli continentali, hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo di un’interpretazione oggi ritenuta assolutamente dominante, tendente ad affermare in modo incontrovertibile il significato del principio di colpevolezza. La stessa giurisprudenza a livello costituzionale, non solo non ha mai smentito tale principio, ma al contrario lo ha affermato con grande pregnanza, in particolare nell’oramai “epocale” sentenza della Corte costituzionale n° 364/1988. Con tale sentenza, la Corte si è pronunciata in ordine a molteplici questioni di rilevanza cruciale all’interno del nostro sistema penale, a partire dalla problematica dell’ignoranza della legge penale (art. 5 c.p.), innovandone la nozione, sino a giungere ad affrontare il complesso istituto della colpevolezza.

3 PAGLIARO, op. cit. 4 PAGLIARO, op. cit.

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In particolare la Corte ha evidenziato “l’essenzialità della colpa dell’agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica” 5. Si è peraltro rilevato che analizzando il combinato disposto degli artt. 27, 1° comma Cost. e 27, 3° comma Cost. (inerente la funzione rieducativa della pena), si deduce l’assoluta necessità della colpevolezza in ordine alla rimproverabilità del fatto costitutivo di reato: come giustamente viene argomentato, non potrebbe avere senso una sanzione penale in funzione della rieducazione del condannato, se questo non è colpevole nella realizzazione del fatto (che senso ha la rieducazione di chi non ha colpa?!). Diversi autori, fra i quali ricordiamo il Riz, hanno peraltro evidenziato che l’interprete, nel valutare le diverse fattispecie penali, non può prescindere dal diritto positivo, caratterizzato dal principio di legalità, per cui anche se la Costituzione auspica la necessità di ancorare il diritto penale al principio di colpevolezza, e la Corte costituzionale nella sentenza n° 364/1988 non ha fatto altro che riconfermare con forza tale principio, tuttavia proprio il diritto positivo ci deve spingere a riconoscere l’esistenza di fattispecie penali a responsabilità oggettiva, sia in forza di una previsione generale ex art. 42, 3° comma c.p., sia in forza delle singole disposizioni codicistiche di Parte generale e di Parte speciale, nonché in forza delle numerose leggi speciali che la prevedono. Ciò non toglie che in sede di riforma sia auspicabile un intervento serio del legislatore, per adeguare compiutamente il sistema penale al principio di colpevolezza che trova il suo indiscusso fondamento nell’art. 27, 1° comma Cost., ulteriormente rafforzato dalla fondamentale pronuncia n° 364/1988 della Corte costituzionale.

5 Corte costituzionale, Sentenza n° 364/1988

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2) L’ELIMINAZIONE DELLE IPOTESI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA NEL PROGETTO PAGLIARO E NEL PROGETTO GROSSO

La soppressione delle fattispecie a responsabilità oggettiva risulta essere uno dei principali obiettivi perseguiti dalle commissioni per la riforma del Codice Penale, presiedute dai Proff. Pagliaro (1992) e Grosso (1999-2001), in un’ottica di affermazione assoluta ed incondizionata del principio di colpevolezza, sul quale abbiamo già avuto modo di soffermarci in precedenza. Prevedono infatti gli articolati elaborati dalle sopra citate commissioni ai rispettivi artt. 12 e 25 l’esclusione di ogni forma di responsabilità incolpevole, considerando la colpevolezza “uno dei principi fondamentali ed inderogabili di garanzia del diritto penale”6. Più specificatamente, con riferimento ai lavori della Commissione Pagliaro, l’art. 12 della Bozza di articolato da essa predisposta, sotto la rubrica “Elemento soggettivo del reato”, dispone quanto segue: “Escludere qualsiasi forma di responsabilità incolpevole, prevedendo due sole forme di imputazione: il dolo e la colpa”7. La Relazione presentata alla Bozza di Articolato, opera un esplicito riferimento all’art. 12, considerandolo norma contenente un “principio cardine” dell’imputazione soggettiva. La Commissione Grosso si è attivata per il raggiungimento del medesimo obbiettivo, come d’altronde si evince dall’analisi dell’art. 25, 1° comma dell’Articolato (2001) predisposto dalla Commissione di Studio: sotto la rubrica “Responsabilità colpevole”, viene previsto quanto che “la colpevolezza dell’agente per il reato commesso è presupposto indefettibile della responsabilità penale”8.

6 Comm. Grosso, Rel. Art. (2001) 7 Comm. Pagliaro, Rel. Bozza Art. 8 Comm. Grosso, op. ult. cit.

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Ciò ha comportato la necessità di eliminare innanzitutto la previsione normativa ex art. 42, 3° comma c.p., ciònondimeno è risultato essere fondamentale la revisione di tutta una serie di norme codicistiche, le quali prevedevano, nel sistema del Codice Rocco, una forma di imputazione oggettiva del fatto – reato, prescindendo quindi dal fondamentale principio di colpevolezza. Prima di prendere in esame le singole ipotesi di fattispecie a responsabilità oggettiva, o perlomeno le più rilevanti, è necessario focalizzare l’attenzione su un ulteriore elemento decisivo per l’imputazione del fatto in capo al soggetto agente, che viene modificato dal Progetto Grosso: si tratta del requisito della coscienza e volontà della condotta, previsto nel Codice Rocco all’art. 42, 1° comma, requisito primario ai fini della punibilità dell’agente, in assenza del quale non avrebbe nemmeno senso un accertamento ulteriore sugli elementi soggettivi del reato (dolo e colpa). Se l’agente agisce ponendo in essere una condotta che non è caratterizzata da coscienza e volontà (da non confondere con la volontà dell’evento dannoso o pericoloso, che costituisce il dolo) non sarebbe possibile passare all’accertamento successivo sulla sussistenza di dolo o colpa, e si dovrebbe quindi concludere l’impossibilità di punire l’agente per il fatto commesso. La mancanza di coscienza e volontà della condotta, nel sistema vigente, esclude non solo qualunque imputazione di tipo soggettivo, sia essa dolosa o colposa, ma anche l’imputazione oggettiva, che si basa sulla semplice causazione materiale dell’evento: ragion per cui se mancano coscienza e volontà nella condotta diviene impossibile rimproverare all’agente il fatto commesso, anche quando sarebbe in astratto a lui attribuibile a titolo di responsabilità oggettiva. Rispetto a tale configurazione del sistema penale, i lavori della Commissione Grosso hanno evidenziato l’inutilità del mantenimento dei requisiti di coscienza e volontà della condotta, oltre ai casi previsti dagli artt. 45 e 46 c.p., e cioè l’esclusione della colpevolezza nelle ipotesi di caso fortuito, forza maggiore e costringimento fisico.

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Nella Relazione all’Articolato elaborato dalla citata Commissione viene infatti evidenziato che “esigere la coscienza e la volontà della condotta come presupposto indispensabile di ogni forma di responsabilità penale aveva senso in un sistema che prevedeva la responsabilità oggettiva, una forma di responsabilità che, pur essendo “altro” rispetto al dolo e alla colpa, presupponeva pur sempre la realizzazione di una condotta cosciente e volontaria; enunciato il principio di colpevolezza, e cioè una responsabilità necessariamente ancorata alla presenza del dolo o della colpa, è implicito che la condotta dovrà essere cosciente e volontaria, secondo i contenuti propri dell’uno o dell’altra. Ugualmente inutile è prevedere il caso fortuito, la forza maggiore, ed il costringimento fisico. Il primo non significa altro se non la mancanza di colpa; il mancato insorgere della responsabilità penale in caso di forza maggiore e di costringimento fisico è a sua volta implicito nella enunciazione del principio di colpevolezza”9. Quale corollario il principio di colpevolezza, l’art. 28, 2° e 3° comma dell’Articolato della Commissione Grosso prevede che “nessuno può essere punito per una fatto previsto dalla legge come delitto se non lo ha realizzato con dolo, salvi i casi di delitto colposo espressamente previsti dalla legge. Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come contravvenzione se non lo ha realizzato con dolo o colpa”10. Si può peraltro rilevare che a differenza dell’articolato oggetto d’esame, la Bozza di articolato elaborata dalla Commissione Pagliaro aveva previsto, per le contravvenzioni una “congrua diminuzione di pena per la forma colposa”11. f13.oell’articolato oggetto

crata dall’articolato oggetto Commissione Gro,imo nonile è pi(cratpenalpotesi,che “) Tj ET BT /F9 13.92 Tf 1 0 043 550.06 440.72 Tm 0.02 Tc 0 Triconessesi di

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Comurnciazione ”. ”

9 ” C.one Gro,ine

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3) LE PRINCIPALI FATTISPECIE RIMPROVERABILI A TITOLO DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA AL VAGLIO DELLA COMMISSIONE PAGLIARO E DELLA COMMISSIONE GROSSO 3.1) LA PRETERINTENZIONE (ARTT. 43, 2° COMMA E 584 C.P., ART. 18 L. 194/1978) Il Codice Rocco, all’art. 43, 2° comma , statuisce: “il delitto: […] è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”. Secondo parte della dottrina la preterintenzione si configura come un’ipotesi delittuosa in cui l’evento meno grave, voluto, è rimproverabile a titolo di dolo, quello più grave, non voluto, a titolo di responsabilità oggettiva13; altra parte della dottrina ritiene che si tratta di un’ipotesi di dolo misto a colpa14. Senza addentrarci nella questione, estremamente complessa e difficilmente risolvibile in un ragionamento facilmente sintetizzabile, si può considerare il fatto che il legislatore non impone al giudice di effettuare un giudizio sulla colpa in ordine all’evento più grave, non voluto dall’agente: tutte le argomentazioni che vorrebbero far rientrare la preterintenzione nell’ambito della colpa (come sostiene in particolare F. Mantovani), pur argomentando a favore di tale tesi sul piano sistematico, sul piano normativo e sul piano costituzionale, non spiegano come si giustifichi l’assenza di un giudizio sulla colpa in ordine all’evento più grave, dato che la legge non prevede che il giudice debba procedere in tal modo. 13 In questo senso, vedasi: RIZ, op. cit.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 4° ed., Cedam, Padova, 2001; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Giappichelli, Torino, 1993; T. PADOVANI, Diritto penale, 6° ed., Giuffrè, Milano, 2002 14 Questa impostazione è stato sostenuta in particolare da: F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, 4° ed., Cedam, Padova, 2001; G. BETTIOL, Diritto penale, 11° ed., Cedam, Padova, 1982

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Come già in precedenza evidenziato, sia il Progetto Pagliaro che il Progetto Grosso prevedono l’eliminazione delle fattispecie rimproverabili a titolo di preterintenzione (nel nostro ordinamento i delitti di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) e aborto preterintenzionale (art. 18 L. 194/1978) prevedendo che l’evento più grave, dall’agente non voluto, venga a questo addebitato a titolo di colpa, secondo le regole generali sull’imputazione soggettiva. Prendendo in considerazione la fattispecie di cui all’art. 584 c.p., rubricata “Omicidio preterintenzionale”, si prevede che “chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”. In forza di tale disposizione si prevede una pena notevolmente più alta di quella prevista in caso di omicidio colposo: la fattispecie preterintenzionale comporta la sussistenza del dolo in ordine al delitto di percosse (art. 581 c.p.) oppure di lesioni personali (art. 582 c.p.), e la non volontaria realizzazione di un evento più grave, la morte, che viene all’agente imputato oggettivamente. Discostandosi da questo schema, nella Relazione alla Bozza di Articolato della Commissione Pagliaro si evince la soppressione della figura di omicidio preterintenzionale, prevedendo tuttavia all’art. 59 quale circostanza aggravante dei delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose l’aver commesso il fatto “mediante una condotta violenta e dolosa contro la persona”15. Con tale sistema si evita l’imputazione oggettiva dell’evento più grave, dall’agente non voluto, ma comunque ad egli attribuito, in base al sistema vigente. La Commissione Grosso si è attivata in una direzione analoga, prevedendo già nella prima Relazione (1999) si è prevista “l’abrogazione della figura generale della preterintenzione e (anche mediante una clausola abrogativa di carattere generale) delle singole figure di delitti preterintenzionali […]. Realizzata quest’operazione, si tratta di disciplinare in sede di parte speciale ipotesi di eventi di morte, di lesione o di “disastro”

15 Comm. Pagliaro, Bozza Art.

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cagionati involontariamente mediante condotte dolosamente aggressive o pericolose per l’incolumità delle persone o di beni collettivi, previsti espressamene sotto il profilo della responsabilità per colpa, e muniti di un trattamento sanzionatorio adeguato alla peculiare forma di colpevolezza: più grave rispetto alle altre ipotesi di colpa, ma in misura comunque agganciata al carattere colposo dell’evento realizzato”16. 3.2) L’ABERRATIO ICTUS (ART. 82 C.P.) Sotto la rubrica “offesa di persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta”, l’art. 82 c.p., dispone quanto segue: “Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno alla persona che voleva offendere, salve, per quando riguarda le circostanze aggravanti ed attenuanti, le disposizioni dell’art. 60. Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà”. Dalla lettura di questa disposizione si rileva che siamo di fronte ad una delle ipotesi di reato aberrante, in cui vi è divergenza tra il voluto ed il realizzato. L’art. 82, 1° comma c.p., prevede una forma di reato aberrante monolesivo, in cui l’offesa tipica si realizza a danno di una persona diversa da quella contro cui l’azione era diretta. Risulta evidente che l’evento realizzatosi viene addebitato a carico dell’agente a titolo di responsabilità oggettiva, poiché il dolo dell’agente deve essere indirizzato solamente contro la persona che di fatto non è riuscita a colpire: la legge (art. 82 c.p.) opera poi una fictio iuris, addebitando all’agente l’evento non voluto, in luogo di quello che egli avrebbe voluto realizzare.

16 Comm. Grosso, Rel. Prel. (1999)

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Si prescinde pertanto da ogni accertamento in ordine alla sussistenza di colpa rispetto all’evento effettivamente realizzatosi, essendo sufficiente il dolo dell’agente rivolto verso la persona che non è stata offesa. E’ peraltro importante evidenziare che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 82 c.p., sotto il profilo soggettivo, il risultato diverso non deve essere voluto nemmeno a titolo di dolo eventuale, diversamente si cadrebbe nell’ipotesi di concorso (formale) di reati. L’art. 82, 2° comma c.p., si realizza invece, in tutto od in parte l’evento voluto dall’agente, oltre a quello diverso: in tal caso la sanzione prevista è quella applicabile al reato più grave, aumentata fino alla metà. In ordine alle problematiche sollevate dalla forma di reato aberrante in questione, all’interno della Commissione Grosso sono stati esposti pareri divergenti, come si evince dalla Relazione (1999), nella quale si afferma che “in materia di aberratio ictus: sono stati prospettati argomenti sia per l’eliminazione dell’istituto, con conseguente applicabilità dei criteri generali, sia per il mantenimento della disciplina attuale”17. La Relazione (2000) affronta nuovamente la questione, avendo stabilito che “qualora oltre la offesa voluta il colpevole realizza l’offesa a danno di persona diversa si applicano le norme sul concorso di reati, con conseguente responsabilità per la seconda offesa soltanto nel caso in cui essa sia prevista come delitto colposo”18. Peraltro lo stesso Articolato (2000), all’art. 34, sotto la rubrica “Reato contro persona diversa da quella cui esso era diretto. Errore sulla persona dell'offeso”, prevede quanto segue: “1. Quando, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella cui essa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere.

17 Comm. Grosso, Rel. Prel. (1999) 18 Comm. Grosso, Rel. Art. (2000)

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2. Nel caso di cui al comma 1, ed in caso di errore sulla persona dell'offeso, sono valutate a favore del colpevole le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che riguardano le condizioni o le qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole, tranne che si tratti di circostanze che riguardino l'età o altre condizioni o qualità fisiche o psichiche della persona offesa. 3. Qualora, oltre che l'offesa voluta, il colpevole realizza l'offesa a danno di persona diversa, si applicano le norme sul concorso di reati.19” 3.3) L’ABERRATIO DELICTI (ART. 83 C.P.) La figura di reato aberrante di cui all’art. 83 c.p., contempla l’ipotesi in cui “per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto”. In tal caso, “il colpevole, risponde a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Se il colpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le regole sul concorso di reati”. Come la dottrina prevalente ha evidenziato, del risultato non voluto si risponde, non già colposamente, ma “a titolo di colpa”, e ciò in forza del disposto legislativo che parla expressis verbis di responsabilità a titolo di colpa (sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo) e che può essere interpretato soltanto nel senso che dell’evento non voluto si risponde come se fosse colposo, ancorché non sussistano gli estremi della colpa20. In sostanza il giudice deve accertare solo la sussistenza dei presupposti del reato voluto, ma non realizzato, per poi punire a titolo di colpa il risultato non voluto, ma realizzato, senza dover

19 Comm. Grosso, Art. (2000) 20 Per riferimenti più dettagliati alla problematica e della soluzione prospettata nel testo, si vedano: FIANDACA – MUSCO, op. cit.; M. GALLO, op. cit.; MARINI, op. cit.; PAGLIARO, op. cit.

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motivare e, quindi, senza dover entrare nel merito di una eventuale colpa specifica o generica per quest’ultimo evento. L’elemento psicologico necessario per l’affermazione di responsabilità è, quindi, solo il dolo del reato voluto, dal quale con una fictio juris si deduce la punibilità “a titolo” di una colpa oggettivamente attribuita da una norma. Secondo l’art. 83, 2° comma c.p., “se il colpevole ha cagionato, altresì, l’evento voluto, si applicano le regole sul concorso di reati”. Il secondo comma, prevedendo che l’agente cagioni sia l’evento voluto, sia un evento diverso e dispone che si applichino le norme relative al concorso di reati, evidenziando in tal modo che l’evento diverso da quello voluto viene ad egli addebitato a titolo di responsabilità oggettiva. Le conseguenze della realizzazione della fattispecie prevista sono quelle del concorso formale di reati: l’uno doloso, l’altro non colposo, ma punito dalla legge a titolo di colpa. La Relazione (1999) elaborato dalla Commissione Grosso prevedeva “l’abrogazione della attuale disciplina (art. 83) della aberratio delicti, con conseguente riconduzione ai principi generali sulla responsabilità per colpa”21. La Relazione (2000) ha riconfermato tale orientamento, volto alla eliminazione dell’aberratio delicti, “ritenendo sufficiente la disciplina del concorso formale di reati, e cioè la responsabilità per il reato doloso se realizzato, e la responsabilità per il reato diverso a titolo di colpa nei soli casi in cui esso sia previsto come reato colposo”22. Con l’eliminazione della fattispecie contemplata nell’attuale art. 83 c.p. la Commissione Grosso ha espunto dal nostro ordinamento un ulteriore ipotesi di responsabilità oggettiva. Questa affermazione di principio, ovvero l’eliminazione dell’aberratio delicti a favore della semplice applicazione delle norme sul concorso (formale) di reati, riguarda ovviamente la fattispecie di aberratio delicti plurilesiva, in cui vengono realizzati sia l’evento voluto che uno o più eventi diversi.

21 Comm. Grosso, Rel. Prel. (1999) 22 Comm. Grosso, Rel. Art. (2000)

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Nell’ipotesi di aberratio delicti monolesiva, invece, non saranno evidentemente applicabili le disposizioni sul concorso di reati, e sarà pertanto necessario osservare direttamente il principio di colpevolezza, per cui dell’evento diverso da quello voluto, realizzatosi, si risponde soltanto se è ravvisabile la colpa dell’agente in ordine ad esso, altrimenti la punibilità dell’agente è da escludersi. La Commissione Pagliaro non ha preso invece in considerazione la fattispecie di reato aberrante in questione, in quanto nelle proprie intenzioni vi è la volontà di ricomprendere la fattispecie in esame nell’ambito generale del principio di colpevolezza, per cui del reato diverso da quello voluto si risponderà solo se per esso sia configurabile la colpa. 3.4) LA RESPONSABILITÀ C.D. ANOMALA (ART. 116 C.P.) L’art. 116 del Codice Rocco, in materia di concorso di persone nel reato, prevede che “qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave”. Dal chiaro disposto di questo articolo emerge che la legge addebita al concorrente l’evento diverso da quello voluto o più grave di quello voluto, in pieno contrasto con il principio di colpevolezza: è fuori discussione, se si legge in senso formale la norma, che si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, e infatti così è stato in base a quanto si desume dai lavori preparatori al Codice Rocco, come d’altronde confermato dalle interpretazioni giurisprudenziali fino agli anni ’60. A partire da questo momento, con una serie di sentenze della Cassazione prima, e con una fondamentale sentenza della Corte costituzionale poi, l’art. 116 c.p. è stato riletto ed interpretato alla

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luce del principio di colpevolezza di cui all’art. 27, 1° comma Cost. Punto di riferimento imprescindibile in questa interpretazione evolutiva della norma, è la sentenza n°42/1965 della Corte costituzionale, una sentenza di rigetto, che in quanto tale rifiuta l’ipotesi di incostituzionalità della norma, fornendone però un’interpretazione che nega l’attribuibilità del fatto a titolo di responsabilità oggettiva, introducendo il requisito della colpevolezza. In altri termini, la responsabilità ex art. 116 c.p. sarebbe fondata “sulla sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche di un rapporto di causalità psichica” 23. A partire dal tale autorevole pronuncia, l’orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità è andato nella direzione di esigere quale coefficiente minimo di imputazione soggettiva del concorso la “prevedibilità in astratto”24 del reato diverso. Nonostante questo lodevole intervento operato in sede giurisprudenziale, il problema di fondo che è sotteso alla fattispecie di cui all’art. 116 c.p. non è stato risolto. E’ necessario infatti considerare che: - il concorrente non può esercitare sulla condotta altrui alcun

controllo finalistico che è invece possibile sul proprio comportamento, e, quindi, non ha la possibilità di autodeterminarsi, che è il presupposto di ogni azione colpevole;

- nonostante l’artificio di un’astratta prevedibilità si punisce il compartecipe per un fatto doloso commesso da altri, e da lui non voluto: in base alla prevedibilità (elemento peraltro non richiamato dalla lettera dell’art. 116 c.p.) si addebita al compartecipe la corresponsabilità per un fatto doloso del terzo che ha prodotto l’evento diverso e più grave.

Quest’ultimo aspetto costituisce certamente una soluzione iniqua, che impedisce la piena attuazione del principio di colpevolezza in ordine all’art. 116 c.p., dato che anche se si esige la colpa, intesa come prevedibilità in astratto dell’evento (requisito già di per se problematico, per le ragioni appena viste), in ogni caso ad essere 23 Corte costituzionale, Sentenza n°42/1965 24 Cass., CED 180789/1989

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addebitato è un fatto doloso, sebbene l’elemento soggettivo ascrivibile al compartecipe sia soltanto la colpa: per questa ragione ancora oggi, alla luce della interpretazione evolutiva della Corte Costituzionale, l’art. 116 c.p. costituisce una fattispecie di “responsabilità anomala”. Tale situazione, caratterizzata da un’incongruenza di fondo, è stata affrontata in modo innovativo sia dalla Commissione Pagliaro, sia dalla Commissione Grosso, che hanno voluto fornire una soluzione definitiva al problema. Dalla Relazione alla Bozza di articolato elaborata dalla Commissione Pagliaro si evince che in ordine alla nuova disciplina della responsabilità anomala “si sono in proposito distinte due ipotesi, una generale, l’altra speciale. In termini generali25 (art. 29.1), la realizzazione di un reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti può essere a questo imputato obbiettivamente, soltanto se il suo contributo avvia assunto carattere di agevolazione. Soggettivamente, la responsabilità non può essere che di natura colposa (qualora della colpa sussistano gli estremi).[…] Dall’ipotesi generale è stato distinto (art. 29.2) il caso in cui reato commesso (e non voluto da taluni) ricomprenda in se il reato voluto (ad es.: Tizio ha voluto un furto, ma si è realizzata una rapina; Caio ha voluto le lesioni, ma si è realizzato un omicidio). In questa eventualità, è corretto, secondo il principio di colpevolezza, che il

25 Prevede in merito la Bozza di articolato, all’art. 28: “Agevolazione colposa del reato diverso da quello voluto. 1. Se è commesso un reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, prevedere che questi risponda di agevolazione colposa di quel reato, qualora con il suo contributo ne abbia per colpa agevolato commissione. Comminare la pena stabilita per il reato commesso, diminuita da un terzo alla metà. 2. Se il reato commesso ricomprende in se il reato voluto dal concorrente, prevedere la responsabilità di questi per il reato voluto, con congruo aumento di pena ove la realizzazione del reato più grave sia stata da lui concretamente prevedibile. La pena non può essere inferiore a quella prevista nel comma precedente. 3. Qualora sia stato commesso, oltre al reato voluto o a quello indicato nel numero precedente, anche un reato diverso, applicare la regola di cui al primo comma.”

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concorrente risponda senz’altro del reato da lui voluto […] con un congruo aumento di pena se il reato più grave effettivamente realizzato risulta per lui prevedibile […]”26. In tal modo la responsabilità attualmente prevista dall’art. 116 c.p. cesserebbe di essere “anomala”, nel senso dell’imputazione di un fatto doloso a chi ha non ha in concreto voluto l’evento, oltre ad essere difficile ipotizzare la colpa: si vuole invece far rientrare tale norma all’interno del principio di responsabilità per fatto proprio colpevole, come viene sancito dall’art. 27, 1° comma Cost. Con l’orientamento seguito dalla Commissione Pagliaro viene quindi recepito a livello legislativo il requisito dell’elemento soggettivo, oltre a richiedersi, sul piano obbiettivo, che il contributo fornito dal concorrente a chi abbia commesso il reato diverso da quello voluto possa essere qualificato come “agevolazione” alla sua realizzazione. Per ottenere un adeguamento completo al principio di colpevolezza, ed evitare incongruenze sul piano sistematico, “la responsabilità non deve essere circoscritta alle sole ipotesi di reato colposo espressamente prevedute dalla legge, ma viene estesa a tutte le fattispecie dell’ordinamento, ovviamente con una congrua riduzione di pena (art. 29.1)27”. Con riferimento all’Articolato di Parte Generale predisposto dalla Commissione Grosso, l’art. 45, sotto la rubrica “Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti”, prevede quanto segue: “Se è commesso un reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, questi ne risponde quando il reato sia a lui imputabile a titolo di colpa, sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come reato colposo. Se oltre al reato diverso risulta commesso anche il reato voluto, si applicano l enorme sul concorso di reati. 28” Entrambi i Progetti, pur utilizzando formulazioni differenti, hanno in concreto adattato la lettera della norma sul reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti (l’attuale art. 116 c.p.) 26 Comm. Pagliaro, Rel. Bozza Art. 27 Comm. Pagliaro, op. ult. cit. 28 Comm. Grosso, Art. (2001)

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al principio di responsabilità colpevole, conformemente al dettato costituzionale (art. 27, 1° comma Cost.). Una differenza di una certa consistenza fra le due proposte di riforma è tuttavia presente: come era già stato affermato in precedenza, l’orientamento della Commissione Pagliaro era tale da non escludere la punibilità del compartecipe, nell’ipotesi egli avesse agevolato colposamente uno dei concorrenti nella realizzazione di un reato doloso diverso da quello voluto: coerentemente al principio di colpevolezza si è prefigurata una riduzione della pena, non potendosi comminare la pena prevista per un reato doloso nei confronti di chi, al limite, poteva avere colpa in ordine a tale fatto. Questo ragionamento presuppone che in concreto sia stato commesso un reato (delitto) esclusivamente rimproverabile a titolo di dolo, del quale l’ordinamento non fornisca una configurazione colposa, ragion per cui si deve procedere alla riduzione della pena: se il fatto commesso fosse un reato rimproverabile sia per dolo che per colpa, nessun problema ovviamente potrebbe porsi. Venendo all’elemento di differenza, che contraddistingue la soluzione adottata dalla Commissione Grosso, quest’ultima ha adottato una formulazione secondo la quale il compartecipe non è punibile se il fatto, diverso da quello voluto, da altri commesso, non sia previsto dalla legge come delitto colposo, come si evince chiaramente dalla locuzione “sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come reato colposo”. Se il Progetto Pagliaro considera comunque punibile il concorrente anche se il reato diverso da quello voluto è solamente previsto nella configurazione dolosa, sia pur con una congrua riduzione della pena, il Progetto Grosso esclude questa possibilità, subordinando la punibilità alla previsione, da parte dell’ordinamento, del delitto in questione in forma colposa.

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3.5) I REATI AGGRAVATI DA UN EVENTO NON VOLUTO DALL’AGENTE Nel nostro ordinamento penale sono presenti diverse disposizioni che vengono indicate dalla dottrina come “reati aggravati dall’evento”, la cui configurazione prevede una fattispecie - base (necessaria) che identifica il reato nella sua formulazione ordinaria, prevedendo altresì che al verificarsi di un determinato evento ne consegua una pena più severa o comunque diversa. I c.d. reati aggravati dall’evento non possono in ogni caso essere equiparati al reati circostanziati, in quanto il concretizzarsi dell’evento ulteriore configura una forma diversa di reato, e non costituisce una semplice circostanza aggravante. La distinzione, accolta dalla dottrina pressoché unanime, formulata in questi termini potrebbe apparire sfuggevole: sotto il profilo pratico è invece fondamentale, in quanto “non è possibile effettuare, in presenza di eventuali attenuanti, un giudizio di prevalenza o di equivalenza che lo degradi a reato semplice”29. In tema di reati aggravati dall’evento è necessario distinguere tre ipotesi fondamentali ipotesi: a) vi sono innanzitutto fattispecie in cui per la norma è indifferente che l’evento più grave sia voluto ovvero non voluto; b) vi sono poi diversi casi in cui l’evento più grave è voluto dall’agente; c) esistono poi tutta una serie di norme le quali esigono che l’evento più grave non sia voluto dall’agente. E’ pertanto fuori discussione che nel sistema vigente esistano diverse fattispecie nelle quali, in base ad una responsabilità di tipo oggettivo, all’oggettiva realizzazione di un determinato evento, il reato si considera “aggravato” da esso, con tutte le conseguenze sul piano sanzionatorio che abbiamo in precedenza evidenziato. Per completezza va aggiunto che una parte della dottrina riconduce questi casi aggravati da un evento non voluto nell’ambito dei delitti preterintenzionali30, altri li considerano 29 A. Pagliaro, op. cit. 30 Tra le argomentazioni a favore di questa tesi, si vedano: F. MANTOVANI, op. cit.; A. PAGLIARO, op. cit.

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configurazione autonome, dando spiegazioni diverse sulla responsabilità31. Poiché i Progetti di riforma del Codice Penale che abbiamo preso in esame si pongono come obbiettivo prioritario l’eliminazione delle fattispecie rimproverate a titolo di responsabilità oggettiva, in un’ottica di affermazione incondizionata del principio di colpevolezza, è facilmente intuibile che sia il Progetto Pagliaro che il Progetto Grosso abbiano preso in considerazione i reati aggravati dall’evento, in modo da applicare anche ad essi il più volte richiamato principio di colpevolezza. La Commissione Grosso, in ordine alla tematica in esame, ha inizialmente manifestato un orientamento diretto alla eliminazione radicale dei delitti aggravati dall’evento dal sistema penale codicistico, come si evince dalle Relazioni predisposte dalla Commissione nel 1999 e nel 2000. Tuttavia, nella Relazione del 2001 l’orientamento in questione appare mutato, poiché si afferma che “sarà inevitabile prevedere nella parte speciale sia pure limitate ipotesi in cui il legislatore ricollega una pena più grave ad una conseguenza non voluta di un delitto doloso, si è introdotto un articolo (delitti aggravati dall’evento) nel quale, in conformità al principio di colpevolezza, si è espressamente previsto che “di tale conseguenza si risponde solo se essa è ascrivibile a colpa (art. 31 nuovo articolato)32” Rispetto alla mancanza, all’interno del Codice Rocco, di una norma di portata generale, in ordine ai delitti aggravati dall’evento, il Progetto Grosso sopperisce con una specifica norma dell’Articolato da elaborato dalla Commissione, e cioè l’art. 31, rubricato significativamente “Delitti aggravati dall’evento”33, statuendo che “se la legge ricollega una pena più

31 In questo senso: F. ANTOLISEI – L. CONTI, Istituzioni di diritto penale, parte generale, 15° ed., Giuffrè, Milano, 2000; T. PADOVANI, op. cit. 32 Comm. Grosso, Rel. Art. (2001) 33 Si deve considerare che la rubrica del citato articolo fa riferimento ai “delitti” aggravati dall’evento, invece dell’attuale categoria dei “reati” aggravati dall’evento: si è scelta pertanto una formulazione maggiormente restrittiva, dato che in forza di un’interpretazione letterale della rubrica in questione se ne deduce che non sono previste contravvenzioni aggravate

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grave ad una conseguenza non voluta di un delitto doloso, di tale conseguenza si risponde solo se essa è ascrivibile a colpa”34. Attraverso tale disposizione appare evidente che il principio di colpevolezza è destinato a trovare piena affermazione in ordine ai delitti aggravati dall’evento (non voluto dall’agente), in quanto non è più sufficiente il semplice verificarsi (in senso oggettivo) dell’evento, ma è necessaria (in senso soggettivo) la sussistenza della colpa in ordine all’evento medesimo. Nel Progetto di Riforma elaborato dalla Commissione Pagliaro non abbiamo una disposizione di Parte Generale, in ordine alla previsione del principio di colpevolezza in materia di reati aggravati dall’evento, tuttavia è presente un (unico) riferimento ad essi nella Relazione alla Bozza di articolato, nella parte di cui si affrontano i reati contro la vita e l’incolumità individuale, affermando che “si è provveduto: alla soppressione, nel quadro della più generale politica della eliminazione delle diverse figure di reati aggravati dell'evento, inutili e complicatorie, e di ogni altra fattispecie, disciplinabile sulla base dei principi generali (quali, innanzitutto, quelli sul concorso di reati), dell'omicidio preterintenzionale (configurando come aggravante dell'omicidio colposo e delle lesioni colpose, la condotta violenta e dolosa contro la persona) e della ipotesi della morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (riconducibile alla disposizione generale sul concorso formale di reati)”35. In definitiva anche la Commissione Pagliaro si è mossa nella direzione dell’affermazione del principio di colpevolezza, attraverso l’eliminazione delle fattispecie di reati aggravati dall’evento, considerate per l’appunto “inutili e complicatorie”, disciplinabili in base ai principi generali (quindi della responsabilità per un evento sulla base dell’elemento soggettivo colpa).

dall’evento. In assenza di un Progetto di Parte Speciale è tuttavia impossibile approfondire con certezza la questione. 34 Comm. Grosso, Art. (2001) 35 Comm. Pagliaro, Rel. Bozza Art.

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3.6) I REATI COMMESSI A MEZZO STAMPA (ART. 57 C.P., TESTO ORIGINARIO, MODIFICATO DALL’ART. 18 L. 127/1958) L’art. 57 c.p., nella sua formulazione originaria, ossia prima della riforma avvenuta con la L. 127/1958, prevedeva quanto segue: “Per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti: 1) qualora si tratti di stampa periodica, che riveste la qualità di direttore, o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione; 2) qualora si tratti di stampa non periodica, del reato commesso risponde l’autore della pubblicazione, ovvero, se non è imputabile, l’editore, ovvero, se anche q1uesti è ignoto o non p imputabile, lo stampatore.” Dalla lettura del citato articolo, è evidente che la norma, nella sua formulazione originaria, prevedesse una ipotesi di responsabilità oggettiva, come chiaramente si desume dalla locuzione “risponde, per ciò solo”, ovverosia per la sola ragione della posizione ricoperta dal direttore o redattore responsabile. Si tratta di reati di tipo omissivo, in quanto il fatto costitutivo di reato, perpetuato a mezzo stampa, viene al direttore imputato in quanto egli avrebbe dovuto vigilare sulla pubblicazione della notizia, dell’articolo o di altro materiale che costituisce reato. Poiché l’originaria formulazione degli artt. 57 e 58 del codice aveva dato vita a gravi controversie sulla responsabilità del direttore degli stampati sino all’assunto di ravvisarvi una responsabilità per fatto altrui, con la legge 4 marzo 1958, n° 127 fu modificato l’art. 57 stabilendosi che, salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, stabilisce che “il direttore o il vice – direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo siano commessi reati, è punito, a tutolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilito per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”.

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Si può peraltro rilevare che la Corte costituzionale, con Sentenza n°3/1956, aveva dichiarato non fondata, con riferimento all’art. 27 Cost., una questione di legittimità dell’art. 57, 1° comma c.p.: tuttavia essa evidenziò l’esigenza di una riforma della materia, dato che ogni forma di interpretazione evolutiva della norma non poteva prescindere, ne eludere, il disposto dell’art. 57 c.p., il quale faceva chiaramente riferimento ad una responsabilità “di posizione”, che si basava sul semplice fatto della posizione ricoperta dai soggetti descritti dalla norma penale, indipendentemente da ogni accertamento sulla colpa degli stessi. La riforma è stata estesa alla stampa non periodica (art. 57-bis) e si è stabilita l’applicabilità delle disposizioni dell’art. 57 (nuovo testo) all’editore, nei casi in cui l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, e allo stampatore, quando non sia indicato o non sia imputabile l’editore. Per contro è stata espressamente esclusa, con la abrogazione del secondo comma dell’art. 58 c.p., la responsabilità di coloro che comunque divulghino gli stampati. Non si può tuttavia ignorare che il requisito della colpa del direttore del periodico suscita alcune perplessità, difficilmente aggirabili: in particolare ci si chiede fino a che punto si possa ragionevolmente richiedere ad un soggetto, collocato in una posizione così carica di responsabilità, un controllo approfondito sui contenuti delle pubblicazioni. In ordine alle problematiche in esame, la Commissione Pagliaro, ha previsto all’art. 31 della Bozza di articolato, da essa predisposta, di “prevedere la punibilità del responsabile della pubblicazione o della trasmissione che, fuori dei casi di concorso, omettendo di controllare il contenuto della pubblicazione o della trasmissione, non impedisce per colpa, che col loro mezzo sia commesso un fatto di reato. Comminare la pena preveduta per il reato commesso, diminuita da un terzo a due terzi”36. Si deve peraltro notare che la rubrica dell’articolo fa riferimento non soltanto ai reati commessi col mezzo della stampa, bensì al

36 Comm. Pagliaro, Bozza Art.

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“Mancato impedimento di reati a mezzo della stampa o di trasmissioni radiotelevisive”: si crea così una equiparazione, sotto il profilo penale, dei reati commesso a mezzo stampa e dei reati a mezzo radio – televisivo, questi ultimi soggetti tuttora ad una disciplina differente rispetto all’art. 57 c.p., prevista invece dall’art. 30, L. 223/1990. Anche il Progetto Grosso segue una direzione analoga, prevedendo, all’art. 24 dell’Articolato, sotto la rubrica “Omesso impedimento di reati commessi col mezzo della stampa e della radio – televisione”, che “per i reati commessi con il mezzo della stampa e della radio – televisione, l’autore risponde secondo i principi generali. Fuori dai casi di concorso doloso nel reato, quando l’autore non è indicato o non è punibile per qualsiasi causa, per i reati commessi col mezzo della stampa o della radio – televisione risponde a titolo di colpa il soggetto che, in base alla legge o alle disposizioni organizzative dell’impresa editoriale o radio – televisiva, sia tenuto al controllo della pubblicazione o della trasmissione, e che non avvia, per colpa, impedito la realizzazione del delitto. La pena è quella prevista per il delitto doloso, diminuita della metà”37. In entrambi i Progetti di riforma si evidenzia l’elemento della colpa, nell’ambito della condotta omissiva (mancato controllo) che ha comportato la perpetuazione a mezzo stampa o a mezzo radio – televisivo: viene così superata ogni perplessità sulla necessità della sussistenza, sotto il profilo soggettivo, di colpa, dato che l’art. 57 c.p. vigente utilizza l’ambigua espressione a titolo di colpa, interpretata da alcuni Autori nel senso che si risponde come se vi fosse colpa, sia pur in una oggettiva assenza di essa: tuttavia la dottrina prevalente ha interpretato l’art. 57 c.p., in seguito alla riforma avvenuta nel 1958, in un’ottica di responsabilità colpevole, per cui nel sistema vigente il direttore del periodico non può rispondere del fatto commesso con il mezzo della stampa senza che vi sia, sotto il profilo soggettivo, colpa.

37 Comm. Grosso, Art. (2000)

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BIBLIOGRAFIA Manualistica. - F. ANTOLISEI – L. CONTI, Istituzioni di diritto penale,

parte generale, 15° ed., Giuffrè, Milano, 2000 - G. BETTIOL – L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, 12° ed., Cedam, Padova, 1986 - G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale,

4° ed., Cedam, Padova, 2001 - M. GALLO, Appunti di diritto penale, vol. I (1999) e vol. II

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Torino, 1993 - T. PADOVANI, Diritto penale, 6° ed., Giuffrè, Milano, 2002 - A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte generale, 7°

ed., Giuffrè, Milano, 2000 - RIZ, Lineamenti di diritto penale. Parte generale, 4a ed., Cedam, Padova, 2002 Progetti di riforma del Codice Penale. - COMMISSIONE PAGLIARO, Bozza di Articolato (indicata

nel testo con l’abbreviazione: “Bozza Art.”) - COMMISSIONE PAGLIARO, Relazione alla Bozza di

Articolato (indicata nel teso con l’abbreviazione “Rel. Bozza Art.”)

- COMMISSIONE GROSSO, Articolato (2000), (indicato nel testo con l’abbreviazione “Art. (2000)”)

- COMMISSIONE GROSSO, Articolato (2001), (indicato nel testo con l’abbreviazione “Art. (2001)”)

- COMMISSIONE GROSSO, Relazione Preliminare (1999), (indicata nel testo con l’abbreviazione “Rel. Prel.”)

- COMMISSIONE GROSSO, Relazione all’Articolato (2000), (indicata nel testo con l’abbreviazione “Rel. Art. (2000)”)

- COMMISSIONE GROSSO, Relazione all’Articolato (2001), (indicata nel testo con l’abbreviazione “Rel. Art. (2001)”)