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CAPITOLO V PROGETTI DI RIFORMA, SPUNTI DI DIRITTO PENALE COMPARATO ED AUSPICATA DEFINIZIONE DI UN TERTIUM GENUS DI ELEMENTO SOGGETTIVO SOMMARIO: 1. Progetti di riforma del codice penale italiano – 2. La recklessness nell’ordinamento inglese – 3. La mise en danger francese – 4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas – 5. Verso la definizione di un tertium genus di elemento soggettivo? – 6. Considerazioni conclusive. 1. Progetti di riforma del codice penale italiano È opportuno fare riferimento ai più o meno recenti progetti di riforma del codice penale italiano che si sono susseguiti a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, i quali hanno tentato di proporre, tra l’altro, nuove formulazioni delle definizioni di dolo e colpa, nell’ottica di un miglioramento dell’attuale assetto indicato dall’art. 43: si tratta, in ordine cronologico, dei progetti Pagliaro, Riz, Grosso, Nordio e Pisapia. In estrema sintesi, il primo si limita a porre principi generali ai quali avrebbe dovuto ispirarsi il legislatore delegato (veniva, infatti, prescelto lo strumento normativo della delega legislativa) nella formulazione delle definizioni di dolo e colpa; il secondo recepisce, sostanzialmente, la teoria dell’accettazione del rischio 1 ; i progetti Grosso e Nordio, come si vedrà, in effetti manifestano, per quel che attiene alla definizione del dolo, non già un progresso, bensì un regresso rispetto all’attuale art. 43, incorrendo nell’errore di svalutazione della componente volitiva del dolo eventuale e dando adito a tendenze di oggettivizzazione e normativizzazione del dolo eventuale stesso; con riferimento alla colpa, il progetto Grosso tenta una definizione di “delitto colposo” maggiormente complessa ed “arricchita” rispetto a quella attuale, quando invece il progetto Nordio appare, rispetto al progetto Grosso, “di retroguardia” anche su questo frangente 2 ; il progetto 1 F. CURI, op. ult. cit., 41 – 42. 2 D. CASTRONUOVO, op. cit., 260, 268.

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CAPITOLO VPROGETTI DI RIFORMA, SPUNTI DI DIRITTO PENALE COMPARATO

ED AUSPICATA DEFINIZIONE DI UN TERTIUM GENUS DI ELEMENTO SOGGETTIVO

SOMMARIO: 1. Progetti di riforma del codice penale italiano – 2. La recklessness nell’ordinamento inglese – 3. La mise en danger francese – 4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas – 5. Verso la definizione di un tertium genus di elemento soggettivo? – 6. Considerazioni conclusive.

1. Progetti di riforma del codice penale italiano

È opportuno fare riferimento ai più o meno recenti progetti di riforma del codice penale italiano che si sono susseguiti a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, i quali hanno tentato di proporre, tra l’altro, nuove formulazioni delle definizioni di dolo e colpa, nell’ottica di un miglioramento dell’attuale assetto indicato dall’art. 43: si tratta, in ordine cronologico, dei progetti Pagliaro, Riz, Grosso, Nordio e Pisapia. In estrema sintesi, il primo si limita a porre principi generali ai quali avrebbe dovuto ispirarsi il legislatore delegato (veniva, infatti, prescelto lo strumento normativo della delega legislativa) nella formulazione delle definizioni di dolo e colpa; il secondo recepisce, sostanzialmente, la teoria dell’accettazione del rischio1; i progetti Grosso e Nordio, come si vedrà, in effetti manifestano, per quel che attiene alla definizione del dolo, non già un progresso, bensì un regresso rispetto all’attuale art. 43, incorrendo nell’errore di svalutazione della componente volitiva del dolo eventuale e dando adito a tendenze di oggettivizzazione e normativizzazione del dolo eventuale stesso; con riferimento alla colpa, il progetto Grosso tenta una definizione di “delitto colposo” maggiormente complessa ed “arricchita” rispetto a quella attuale, quando invece il progetto Nordio appare, rispetto al progetto Grosso, “di retroguardia” anche su questo frangente2; il progetto Pisapia, infine, prospetta una definizione di dolo eventuale che potrebbe essere, in linea di massima, condivisibile3. D’altra parte, per quel che attiene alla colpa, l’ultimo progetto citato elimina l’aggravante prevista specificamente per la colpa “con previsione”, postulando una categoria generale di “colpa grave” non necessariamente coincidente con la colpa cosciente, e che debba essere individuata tenuto conto della concreta situazione, anche psicologica, dell’agente, nonché della pericolosità della condotta e della rilevanza della violazione di regole cautelari4.

Passando all’analisi dettagliata dei progetti de lege ferenda elencati, occorre prendere le mosse dal meno recente fra essi, ossia il progetto Pagliaro del 1992. Esso, come si è accennato, presceglie l’adozione dello strumento normativo della delega legislativa, e da tale aspetto deriva la “povertà” degli elementi offerti5: quanto al dolo, ci si limitò a proporre la formulazione di una definizione la quale

1 F. CURI, op. ult. cit., 41 – 42. 2 D. CASTRONUOVO, op. cit., 260, 268. 3 In questo senso, G. CERQUETTI, op. cit., 655 – 658 (per quel che attiene ai progetti Grosso e

Nordio); 663 – 664 (relativamente al progetto Pisapia). 4 D. CASTRONUOVO, op. cit., 271. 5 D. CASTRONUOVO, op. cit., 254.

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comprendesse in modo univoco anche il dolo eventuale e che richiedesse, in ogni caso, la necessità che il soggetto fosse consapevole del significato del fatto6; per quel che riguarda la colpa, l’unica indicazione rivolta al legislatore delegato prevedeva che la formulazione della relativa definizione avrebbe dovuto essere effettuata in modo tale che, in qualsiasi forma di colpa, l’imputazione si sarebbe fondata su un criterio strettamente personale7.

Il progetto Riz del 1995, invece, assume la forma del procedimento di iniziativa parlamentare, abbandonando lo strumento normativo della delega legislativa8. Per quanto concerne il dolo eventuale, il disegno di legge specificava che sarebbe stato responsabile a titolo di dolo anche chi avesse previsto “l’evento come conseguenza inevitabilmente connessa e concretamente possibile della propria azione od omissione” e ne avesse accettato il rischio9. Quanto alla definizione del delitto colposo, gli unici tratti di innovazione rispetto all’attuale art. 43 sono dati dalla espressa menzione del requisito di “prevedibilità” dell’evento, nonché dalla previsione di una forma di “imperizia grave” per l’ipotesi in cui l’evento fosse stato conseguenza di prestazione d’opera che implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà10. Come si è già osservato, il progetto Riz sembra accogliere, per quel che riguarda la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, la teoria dell’accettazione del rischio11.

Il progetto Grosso, in una prima fase (art. 30 dell’articolato approvato il 12 settembre 2000), attribuiva la responsabilità a titolo di dolo nei confronti del soggetto che avesse agito con l’intenzione di realizzare il fatto, oppure nei confronti di chi avesse agito essendosi rappresentato “la realizzazione del fatto come certa, ovvero come altamente probabile, accettandone il rischio”12; una successiva formulazione (art. 17 dell’articolato approvato il 26 maggio 2001) prevede, invece, l’attribuzione della responsabilità per dolo in capo a chi “con una condotta volontaria attiva od omissiva realizza un fatto costitutivo di reato: a) se agisce con l’intenzione di realizzare il fatto; b) se agisce rappresentandosi la realizzazione del fatto come certa; c) se agisce accettando la realizzazione del fatto, rappresentato come probabile”. Nell’ambito di entrambe le formulazioni, appare condivisibile la scelta di introduzione del riferimento al “fatto di reato”, in grado di eliminare le possibili incertezze in ordine alla determinazione ed individuazione dell’oggetto del dolo; tuttavia, non sono valutabili in senso positivo i riferimenti alla previsione in termini di “alta probabilità” o, nella seconda formulazione, “probabilità”: il rischio insito in approcci di questo genere è quello di dare adito a tendenze di oggettivizzazione e normativizzazione del contenuto volitivo del dolo, attraverso l’agevolazione della presunzione di

6 F. CURI, op. ult. cit., 41. 7 D. CASTRONUOVO, op. cit., 253. L’Autore definisce, giustamente, “esangue” tale indicazione

rivolta al legislatore delegato. 8 D. CASTRONUOVO, op. cit., 255. 9 F. CURI, op. ult. cit., 41.10 D. CASTRONUOVO, op. cit., 256. L’Autore riporta la definizione di “delitto colposo” rilevabile

all’interno del disegno di legge in questione: “Il delitto è colposo, o contro l’intenzione, se l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica come effetto prevedibile di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Se l’evento è conseguenza di prestazione d’opera che implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, l’imperizia deve essere grave.”

11 In questo senso, F. CURI, op. ult. cit., 41 – 42. 12 G. CERQUETTI, op. cit., 655.

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sussistenza dell’elemento volitivo in presenza di un elemento intellettivo che assuma i connotati di rappresentazione in termini di “elevata probabilità” o, comunque, in termini di “probabilità” intesa come concetto più pregnante rispetto alla “mera possibilità”. Le conseguenze di assetti di questo genere sarebbero, invero, due: da un lato, un’indebita estensione della responsabilità dolosa attraverso l’oggettivizzazione del dolo; dall’altro, un’indebita restrizione della responsabilità dolosa, limitata alle sole ipotesi in cui la rappresentazione si configuri come previsione in termini di “elevata probabilità”, o “probabilità” intesa come concetto distinto rispetto alla “mera possibilità”13, con esclusione, parallelamente, delle ipotesi in cui, seppur a fronte di un elemento intellettivo meno pregnante, vi fosse stata una “messa in conto” della realizzazione del fatto di reato, ovvero una presa di posizione della volontà, con “disponibilità” alla realizzazione del fatto di reato.

D’altra parte, può essere valutata in modo sommariamente positivo la definizione della responsabilità per colpa prospettata dal progetto Grosso: “Risponde a titolo di colpa chi, con una condotta che viola regole di diligenza, o di prudenza, o di perizia, ovvero regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o discipline, realizza un fatto costitutivo di reato che è conseguenza prevedibile ed evitabile dell’inosservanza della regola cautelare”. Anzitutto, si può notare la costruzione di tipo “ascrittivo”: la norma non definisce il “reato colposo”, bensì fissa i criteri di imputazione in base ai quali debba sorgere la responsabilità colposa14; in secondo luogo, non può non notarsi, anche in tale caso, il riferimento al “fatto costitutivo di reato”, il quale elimina le possibili controversie in ordine all’interpretazione del concetto di “evento”15; inoltre, è significativa l’introduzione espressa dei requisiti di “prevedibilità” ed “evitabilità”16; infine, si è anche notato che il riferimento “in positivo” alle regole di diligenza, prudenza o perizia (e non, in negativo, al comportamento “negligente”, “imprudente”, o “imperito”) potrebbe valorizzare correttamente la dimensione normativa della colpa, al contempo scongiurando i rischi di identificazione della colpa attraverso suggestioni di carattere morale17.

Il progetto Nordio, del resto, rappresenta un “regresso” sia sotto il profilo della definizione del dolo, sia con riguardo alla definizione della colpa: la definizione del “reato doloso” è sostanzialmente analoga a quella prospettata dalla prima formulazione del progetto Grosso18; mentre quella del “reato colposo” ricalca, in pratica, l’attuale assetto ricavabile dall’art. 43 c.p., eccezion fatta che per l’introduzione di un requisito di “concreta prevedibilità” della conseguenza lesiva e di un espresso riferimento alla natura “cautelare” delle regole “di fonte specifica” violate.

13 G. CERQUETTI, op. cit., 655 – 656. 14 D. CASTRONUOVO, op. cit., 263. 15 D. CASTRONUOVO, op. cit., 262. 16 D. CASTRONUOVO, op. cit., 264. L’Autore osserva che il requisito della “prevedibilità”, in

particolare, dovrebbe, almeno in parte, limitare i rischi di una eccessiva normativizzazione ed oggettivizzazione della colpa, sottraendola alla logica del versari in re illicita.

17 D. CASTRONUOVO, op. cit., 263 – 264. 18 G. CERQUETTI, op. cit., 657. Si riporta anche la testuale definizione di “reato doloso”

contenuta all’interno del progetto Nordio: “Il reato è doloso quando l’agente compie la condotta attiva od omissiva con l’intenzione di realizzare l’evento dannoso o pericoloso costitutivo del reato, ovvero con la rappresentazione che, a seguito della sua condotta, la realizzazione dell’evento offensivo è certa o altamente probabile”. Appare un ulteriore elemento di “regresso” il ritorno all’utilizzo del riferimento all’”evento”, anziché al “fatto di reato”.

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Passando al progetto Pisapia (2006 – 2007), esso è stato caratterizzato da un mutamento fra versione originaria e versione finale delle definizioni di “reato doloso” e “reato colposo”. La versione originaria, all’art. 16, comma 1, del disegno di legge delega, prevede che “b) il reato sia doloso quando l’agente si rappresenta concretamente e vuole il fatto che lo costituisce; c) il reato sia doloso anche quando l’agente accetti il fatto rappresentato come altamente probabile e l’accettazione sia desumibile da elementi univoci, salva in tal caso l’applicazione di un’attenuante facoltativa; c) il reato sia colposo quando il fatto che lo costituisce non è voluto dall’agente e questi lo realizzi come conseguenza concretamente prevedibile ed evitabile dell’inosservanza di regole di diligenza, di prudenza o di perizia ovvero di regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o atti di autonomia privata”19.

Per quel che riguarda la definizione di “reato doloso”, appare condivisibile, ancora una volta, il riferimento al “fatto che costituisce reato” quale oggetto di rappresentazione e volontà20. Ma, soprattutto, appare condivisibile la valorizzazione del dolo inteso come rappresentazione e volontà21. Meno positiva risulta invece, a parere di chi scrive, la scelta di introdurre, ai fini del dolo eventuale, il requisito della rappresentazione in termini di “alta probabilità”, in quanto una “presa di posizione della volontà”, intesa come “disponibilità” alla realizzazione del reato, è astrattamente effettuabile anche a fronte della sussistenza di un elemento rappresentativo dotato di pregnanza minore rispetto alla rappresentazione dell’elevata probabilità. Altra novità è data dall’introduzione dell’avverbio “concretamente”: in sostanza, viene affermato un espresso requisito di concretezza con riferimento alla rappresentazione della realizzazione del fatto necessaria ai fini del dolo eventuale; tale apporto non è stato valutato positivamente da una parte di dottrina, la quale ha rimarcato la necessità di mantenimento della distinzione fra diritto sostanziale e diritto processuale22. Alcune riflessioni debbono essere sviluppate anche con riguardo all’introduzione del requisito, necessario ai fini del dolo eventuale, della risultanza dell’“accettazione” da “elementi univoci”: se lo scopo dei compilatori del progetto era quello di contrastare le tendenze di oggettivizzazione o normativizzazione del dolo, ovvero di affermazione del dolus in re ipsa, si è notato che, viceversa, in tal modo si giunge con l’includere il dolo all’interno del fatto tipico, e tale tendenza sarebbe derivante, a sua volta, dalle impostazioni fondate sull’oggettivizzazione e normativizzazione del dolo23.

Quanto alla definizione di “reato colposo”, quella prospettata dalla prima formulazione del progetto Pisapia presenta una evidente lacuna: il mancato riferimento espresso alla “non necessità” della rappresentazione, ai fini della responsabilità colposa24. Tale lacuna è stata colmata nella formulazione definitiva del 22 novembre 2007.

La suddetta formulazione finale modifica anche il tenore letterale della nozione di “reato doloso”: si prevede che “b) il reato sia doloso quando l’agente si rappresenti concretamente e voglia il fatto che lo costituisce; c) il reato sia doloso anche quando l’agente voglia il fatto, la cui realizzazione sia rappresentata come altamente probabile, solo per averlo accettato, e ciò risulti da elementi univoci”. La sostanza

19 Le definizioni in questione sono riportate da G. CERQUETTI, op. cit., 663. 20 G. CERQUETTI, op. cit., 663 – 664.21 G. CERQUETTI, op. cit., 664. 22 G. CERQUETTI, op. cit., 672. 23 G. CERQUETTI, op. cit., 673. 24 G. CERQUETTI, op. cit., 666.

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non sembra mutare in modo significativo, se non per una maggior specificazione del fatto che l’“accettazione” sia non già una componente a sé stante ed autonoma, bensì una specie del genere “volontà”25.

Ritornando, in conclusione, sul versante della colpa, il progetto Pisapia elimina l’aggravante prevista per la colpa cosciente, sul presupposto di partenza in base al quale non necessariamente la condotta di chi agisca avendo riflettuto sulla possibilità (magari remota) di realizzazione di risultati lesivi sia più grave rispetto alla condotta di chi agisca senza porsi alcuno scrupolo di sorta26. Si propone, invece, una categoria generale di “colpa grave”, da identificarsi “quando, tenendo conto della concreta situazione anche psicologica dell’agente, sia particolarmente rilevante l’inosservanza delle regole ovvero la pericolosità della condotta, sempre che tali circostanze oggettive siano manifestamente riconoscibili”27. La Commissione, in particolare, riteneva che la colpa grave, giustificando una più rigida risposta sanzionatoria, avrebbe potuto evitare, in determinate fattispecie, il rischio di “scivolare” verso il dolo eventuale28.

Allo stato attuale, le definizioni di dolo e colpa non sono state riformate, e resta in vita l’originario art. 43 c.p.

2. La recklessness nell’ordinamento inglese

La recklessness costituisce, nell’ambito del sistema penale inglese, una forma autonoma di colpevolezza, parallelamente ad intention e negligence: si tratta, dunque, di una terza forma di elemento soggettivo29. In particolare, intention e recklessness rappresentano le ipotesi più frequenti e comuni di imputazione soggettiva, mentre la negligence assume un ruolo del tutto marginale e residuale30; addirittura, con riguardo alla negligence, sono stati avanzati dubbi circa la fondatezza della relativa rilevanza penale31.

25 Mentre il dubbio se l’“accettazione” costituisse una specie della “volontà” o se, invece, fosse un elemento a sé stante poteva sorgere alla luce della precedente formulazione, come evidenzia G. CERQUETTI, op. cit., 668.

26 D. CASTRONUOVO, op. cit., 270 – 271. 27 Citazione della Relazione Pisapia, evidenziata da D. CASTRONUOVO, op. cit., 271. 28 D. CASTRONUOVO, op. cit., 272. 29 F. CURI, Tertium datur, 47. 30 F. CURI, op. ult. cit., 67.31 F. CURI, op. ult. cit., 65 – 70. In sintesi, si osserva che se, da un lato, il sistema penale

inglese vede affermato il principio della mens rea intesa quale elemento necessario ai fini dell’attribuzione della responsabilità penale (parallelamente ad un elemento oggettivo, comprendente condotta ed evento, nonché al nesso di causalità), dall’altro possono sorgere dubbi circa l’estensione del concetto di mens rea. Un certo orientamento giurisprudenziale e dottrinale sostiene che soltanto intention e recklessness possano rientrare nell’ambito della mens rea. Alcuni autori hanno osservato che, con riferimento alla negligence, soltanto la gross negligence potrebbe assumere rilevanza penale, mentre per le ipotesi residuali risulterebbero più idonei gli apparati civilistici. Glanville Williams, autorevole esponente della dottrina giuridica inglese, ha evidenziato che la colpa incosciente mancherebbe dello “stato mentale” necessario ai fini della configurazione della mens rea: attribuendo rilevanza penale ad essa, si giungerebbe ad accollare all’agente responsabilità per un fatto solamente sulla base della divergenza fra condotta concretamente realizzata e standard comportamentale richiesto, in mancanza di qualsiasi elemento di “decisione” di causare il danno o, quantomeno, “previsione” di realizzazione di esso; il che, peraltro, frustrerebbe la funzione deterrente della sanzione penale, dal momento che essa può esplicarsi solo qualora la sanzione stessa venga comminata su

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È necessario fare riferimento a due tipologie di recklessness: una prima tipologia di stampo soggettivo (modello Cunningham); una seconda di stampo oggettivo (modello Caldwell/ Lawrence). Va premesso, inoltre, che, attualmente, risulti affermata in misura maggiore la recklessness di tipo soggettivo, a seguito del caso Gemmel del 200332, con il quale è stata abbandonata la recklessness di stampo oggettivo per i criminal damages.

La recklessness di stampo soggettivo vede la propria prima comparsa, in effetti, molto prima rispetto al caso Cunningham (1957): nel 1902 venne teorizzata dal prof. Kenny come forma di colpevolezza caratteristica del soggetto che, avendo previsto la possibilità di produzione di una conseguenza dannosa tramite la tenuta di una determinata condotta, abbia ugualmente persistito in detta condotta, con assunzione consapevole del rischio delle relative conseguenze33. Con il caso Cunningham34, tale impostazione iniziò a divenire un precedente vincolante35.

Nel 1981, tuttavia, tramite due sentenze pronunciate nello stesso giorno (rispettivamente sul caso Caldwell e sul caso Lawrence), fu affermata un’estensione della rilevanza penale della recklessness alle ipotesi in cui il soggetto avesse assunto un rischio “ovvio e serio”, senza aver riflettuto se esso ricorresse o meno; i caratteri di “ovvietà” e “serietà” del rischio sarebbero stati valutati in base al parametro della “persona mediamente ragionevole”36.

La recklessness di tipo oggettivo, come formulata in occasione delle decisioni sui casi Caldwell e Lawrence, si presta a vari ordini di critiche negative: anzitutto, la non necessità dell’effettiva previsione del rischio comporta la configurazione di una forma di imputazione la quale crea dubbi di appartenenza alla categoria della mens rea37; in secondo luogo, poiché la valutazione dell’“ovvietà” e “serietà” del rischio viene prospettata con riferimento al parametro oggettivo dell’uomo medio, la recklessness di tipo oggettivo tende a conferire rilevanza penale anche alla condotta del soggetto che avesse agito in una situazione di limitata capacità di intendere e volere, senza valutazione dell’effettiva possibilità di percezione del rischio da parte dell’agente concreto38; inoltre, parrebbe crearsi una lacuna per l’ipotesi in cui l’agente riconosca il rischio ma confidi nella non realizzazione del risultato lesivo39, con la conseguenza per cui la recklessness di tipo Caldwell includerebbe l’ipotesi del

fatti relativamente ai quali i soggetti possano esercitare controllo. 32 Per il caso Gemmel è possibile consultare www.publications.parliament.uk 33 F. CURI, op. ult. cit., 73. 34 Nel caso di specie, un soggetto aveva strappato dal muro della cantina di una casa disabitata

un contatore del gas al fine di prelevare il denaro che si trovava ivi nascosto; tale azione aveva comportato una fuga di gas, il quale era stato inalato dalla vittima stanziata nella abitazione adiacente, creando una situazione di pericolo di vita. In primo grado, l’imputato era stato condannato per aver agito maliciously, ma la Corte d’Appello giudica lo stesso imputato non colpevole, in quanto egli aveva agito non essendo a conoscenza del fatto (o non avendo riflettuto sul fatto) che il gas avrebbe potuto essere inalato da qualcuno: non era possibile, dunque, individuare una deliberata e consapevole assunzione di rischio (F. CURI, op. ult. cit., 76).

35 F. CURI, op. loc. ult. cit. 36 F. CURI, op. ult. cit., 74 – 75. Il caso Caldwell, in particolare, vide l’affermazione della

recklessness di stampo oggettivo con riguardo ai reati contro la proprietà, mentre il caso Lawrence estese tale tipo di recklessness ai reati contro la persona.

37 F. CURI, op. ult. cit., 79. 38 F. CURI, op. ult. cit., 83. 39 F. CURI, op. ult. cit., 81.

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soggetto che agisca senza effettuazione di alcuna valutazione, ed escluderebbe le ipotesi di erronea valutazione del rischio40.

Con riferimento all’ultimo problema citato (la lacuna della recklessness di tipo Caldwell), va osservato che la giurisprudenza non ceda, tuttavia, alla soluzione assolutoria, provvedendo a colmare la lacuna in via interpretativa41. Emblematico in tal senso è il caso Shimmen, in cui si ritenne che il soggetto avesse agito con la consapevolezza di aver solamente “ridotto”, ma non “eliminato”, i rischi: in tal modo, tuttavia, si ritorna all’affermazione di una recklessness di tipo soggettivo42.

Per quel che riguarda, del resto, la problematica inerente le ipotesi in cui l’agente versasse in stato di ridotta capacità di prevedere o percepire il rischio, si osserva che, tramite l’utilizzo del solo parametro oggettivo del “soggetto mediamente ragionevole”, si potrebbe giungere a configurare ipotesi di responsabilità oggettiva43; inoltre, viene in questione la frustrazione della funzione deterrente della pena, poiché l’efficacia di tale funzione presuppone che il destinatario della pena stessa sia un soggetto capace di orientare le scelte sui propri comportamenti44.

Occorre precisare che l’affermazione della recklessness di tipo Caldwell/ Lawrence del 1981 non ha significato l’abbandono della recklessness di tipo soggettivo. In base a quanto si affermo nel 1983 con il caso Seymour, l’accezione Caldwell avrebbe dovuto essere applicata con riguardo ai reati di creazione legislativa, mentre l’accezione Cunningham avrebbe potuto essere applicata per i reati di creazione giurisprudenziale; il tutto salvo deroghe del legislatore in senso diverso45. Tuttavia, nel 1991, con il caso Spratt, si sostenne che l’originaria impostazione delineata con il caso Caldwell intendesse applicare la recklessness di tipo oggettivo non a qualsiasi criminal Statute, bensì solamente al Criminal Damage Act del 1971: in tal modo, si riapriva la strada per l’applicazione della recklessness di tipo Cunningham ai reati di creazione legislativa. Effettivamente, il modello Cunningham fu riaffermato in vari ambiti: ad esempio, per i reati in materia sessuale, per l’ipotesi di recklessy furnishing false information, per i reati di furto mediante inganno, ovvero per i casi di lesioni personali disciplinate per legge46.

Una svolta ulteriore è rappresentata dal già citato caso Gemmel (2003), il quale ha prospettato l’abbandono del modello Caldwell con riferimento ai reati di danneggiamento: nel caso di specie, si ritenne di non poter applicare il criterio di “ovvietà” tenuto conto del parametro del “soggetto mediamente ragionevole” al fatto commesso da due bambini di undici e dodici anni, affermandosi che la recklessness possa dirsi sussistente qualora l’agente, essendo consapevole della potenziale scaturigine di un rischio, lo assuma e, in base alle circostanze a lui note, sarebbe stato irragionevole farlo47.

40 F. CURI, op. ult. cit., 82 – 83.41 F. CURI, op. ult. cit., 98.42 F. CURI, op. ult. cit., 82. Il caso di cui trattasi vedeva l’imputato accusato del danneggiamento

di una vetrina: egli, esperto di arti marziali, voleva dimostrare la propria abilità nello sferrare un calcio il più possibile vicino alla vetrina senza colpirla; tuttavia, la ruppe.

43 Così osserva F. CURI, op. ult. cit., 84, con particolare riferimento ad un caso in cui fu ritenuta responsabile per la distruzione di un capanno tramite incendio una ragazzina di 14 anni con ridotte capacità intellettive.

44 F. CURI, op. ult. cit., 86. 45 F. CURI, op. ult. cit., 89 – 90.46 F. CURI, op. ult. cit., 90 – 93.

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Volendo trarre conclusioni con riguardo all’inquadramento dogmatico della recklessness ipotizzando analogie con le categorie del dolo e della colpa, si può anzitutto osservare che la recklessness di tipo Cunningham risulti molto affine al dolo eventuale: infatti, consiste nella consapevole assunzione di un rischio irragionevole, con persistenza nella tenuta di una determinata condotta, nonostante la consapevolezza del fatto che possa determinarsi un evento lesivo48. Tuttavia, si è visto anche come la giurisprudenza tenda ad estendere la sfera della recklessness di tipo Cunningham anche a casi che, nell’ambito dell’ordinamento italiano, sono stati tradizionalmente inquadrati come colpa cosciente, sulla base della “fiducia nella non verificazione dell’evento”: in particolare, si è fatto riferimento al caso Shimmen49, in cui si sostenne che l’imputato fosse stato consapevole di aver ridotto ma non eliminato i rischi. La recklessness di tipo Caldwell, viceversa, tende a conglobare in sé ipotesi che sembrano affini alla colpa incosciente, ritenendo non necessario che il soggetto fosse stato effettivamente consapevole dell’assunzione di un rischio irragionevole, ma sufficiente che detto rischio fosse “ovvio” e “serio” agli occhi di un soggetto mediamente ragionevole; si è osservato anche che un’impostazione di tale genere crei una lacuna per le ipotesi in cui il soggetto avesse agito con la “fiducia nella non verificazione dell’evento”, e che tale lacuna sia stata tradizionalmente colmata dalla giurisprudenza con richiamo alla recklessness di tipo Cunningham.

3. La mise en danger francese

Anche nell’ambito dell’ordinamento francese è rilevabile una terza forma di imputazione soggettiva, sostanzialmente simile alla recklessness50, la quale si colloca a metà strada fra dolo e colpa, ed assume i connotati di “volontaria esposizione a pericolo”51: si tratta della mise en danger délibérée de la personne d’autrui.

Tale terza forma di imputazione soggettiva è stata introdotta dal legislatore nel 1992. Prima del 1992, le sole forme di imputazione soggettiva nell’ordinamento penale francese erano dolo e colpa, e risulta interessante notare come le “vecchie” disposizioni del codice penale francese prevedessero che, in caso di dolo eventuale, il giudice dovesse comminare la pena prevista per il reato colposo, avendo la facoltà di aumentarla in base alla gravità dell’atteggiamento psicologico dell’agente52: tale aspetto mette in luce l’estrema labilità del confine fra dolo eventuale e colpa, la quale non è di rilevanza meramente teorica, ma giunge a comportare conseguenze anche con riferimento agli aspetti relativi alla commisurazione della pena; ed il fatto che fosse prevista, come “base” per la determinazione della pena da applicarsi in caso di dolo eventuale, la pena prevista per il reato colposo, potrebbe essere inteso quasi come “ammissione”, da parte del legislatore, della “commistione” fra dolo eventuale e colpa cosciente.

47 Per il caso Gemmel e le relative considerazioni è possibile consultare www.publications.parliament.uk

48 F. CURI, op. ult. cit., 101.49 F. CURI, op. ult. cit., 100. 50 F. CURI, op. ult. cit., 112. 51 F. CURI, op. ult. cit., 113.52 F. CURI, op. ult. cit., 112.

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Ritornando all’assetto attualmente vigente, il fondamento normativo generale della mise en danger è dato dall’art. 121 – 3, comma 2, c.p. francese, il quale recita la seguente disposizione: “Toutefois, lorsque la loi le prévoit, il y a délit en cas de mise en danger délibérée de la personne d’autrui” (“Tuttavia, quando previsto dalla legge, vi è delitto in caso di deliberata messa in pericolo di altre persone”53). Dunque, si tratta di una forma di responsabilità non ordinaria, bensì ammessa soltanto nei casi in cui la legge espressamente la preveda; e tali casi sono, attualmente, i seguenti: in primo luogo, la mise en danger è prevista come circostanza aggravante per i delitti di omicidio colposo (art. 221 – 6, comma 2, c.p.54); in secondo luogo, essa è prevista con riguardo alle aggressioni involontarie all’integrità fisica, qualora si provochi un’incapacità totale al lavoro superiore ai tre mesi (art. 222 – 19, comma 2, c.p.55), ovvero un’incapacità inferiore o uguale ai tre mesi (art. 222-20, comma 2, c.p.56); la mise en danger è prevista, infine, con riferimento alla fattispecie denominata “des risques causés à autrui” (art. 223 – 1 c.p.)57.

In ognuno dei casi suddetti, si richiede che l’agente abbia commesso una “violazione manifestamente volontaria” di un “obbligo particolare di sicurezza o di prudenza” il quale sia “imposto dalla legge o da regolamento”58. Il requisito della “manifesta volontarietà” della violazione sembra corroborare ulteriormente la disposizione di cui all’art. 121 – 3 c.p.59, laddove compare solamente l’espressione “mise en danger délibérée”. Ad ogni modo, il termine “délibéré”, di per sé, implica la necessità di una componente volitiva effettiva, cosciente, ponderata, la quale esclude

53 Traduzione personale. Il “tuttavia” iniziale si spiega per il fatto che il primo comma dell’art. 121 – 3 disponga che non vi sia delitto in mancanza di “intenzione” (“Il n’y a point de crime ou de délit sans intention de le commettre”). Va, inoltre, precisato che la mise en danger goda di una collocazione autonoma all’interno dell’art. 121 – 3 solamente dal 1996: prima del 1996, essa era collocata congiuntamente alla colpa (F. CURI, op. ult. cit., 124 e nota 46).

54 Il testo letterale dell’art. 221 – 6 è il seguente: “Le fait de causer, dans les conditions et selon les distinctions prévues à l'article 121-3, par maladresse, imprudence, inattention, négligence ou manquement à une obligation de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, la mort d'autrui constitue un homicide involontaire puni de trois ans d'emprisonnement et de 45 000 euros d'amende.

En cas de violation manifestement délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, les peines encourues sont portées à cinq ans d'emprisonnement et à 75 000 euros d'amende.”

55 Art. 222 – 19 c.p. francese: “Le fait de causer à autrui, dans les conditions et selon les distinctions prévues à l'article 121-3, par maladresse, imprudence, inattention, négligence ou manquement à une obligation de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, une incapacité totale de travail pendant plus de trois mois est puni de deux ans d'emprisonnement et de 30000 euros d'amende.

En cas de violation manifestement délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, les peines encourues sont portées à trois ans d'emprisonnement et à 45 000 euros d'amende.”

56 Art. 222 – 20 c.p. francese: “Le fait de causer à autrui, par la violation manifestement délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, une incapacité totale de travail d'une durée inférieure ou égale à trois mois, est puni d'un an d'emprisonnement et de 15 000 euros d'amende.”

57 F. CURI, op. ult. cit., 113, 137, 141. Per tale ricostruzione risulta interessante anche la consultazione dell’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr

58 Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr59 F. CURI, op. ult. cit., 150.

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la sufficienza di mere disattenzioni ai fini dell’integrazione della forma di responsabilità in questione60.

La “violazione manifestamente deliberata” deve, poi, avere ad oggetto un obbligo di “prudenza” o di “sicurezza”: deve trattarsi, tuttavia, di un obbligo “particolare” ed “imposto da legge o regolamento”. Tale assetto esclude, sostanzialmente, che possa rilevare la colpa generica, poiché dovrà sussistere la violazione di un obbligo previsto dalla legge o da regolamento: il termine “ legge” sembra indicare in modo non equivoco la legge in senso formale (promanata dal Parlamento), mentre più ambiguo potrebbe risultare il termine “regolamento”; ad ogni modo, considerate anche le precisazioni fornite dallo stesso legislatore, il termine in questione dovrebbe interpretarsi in senso restrittivo, attraverso il riferimento ai soli regolamenti intesi in senso costituzionale (deve trattarsi di un testo normativo che, in ogni caso, può essere promanato solo dallo Stato), e con esclusione degli atti di enti privati, di enti locali, del governo o dei regolamenti interni61. Ma vi è di più: in ogni caso, rileverà solamente la violazione di un obbligo “particolare”, con esclusione, di conseguenza, di obblighi “generali” di sicurezza o prudenza, quand’anche previsti da legge o regolamento62.

Riassumendo, gli artt. 221 – 6, 222 – 19 e 222 – 20 prevedono, in ipotesi di realizzazione non volontaria di morte (art. 221 – 6) o incapacità totale di lavoro (artt. 222 – 19 e 222 – 20), una forma di responsabilità aggravata rispetto alla colpa, la quale sussiste nel caso in cui detti eventi fossero stati realizzati per “violazione manifestamente deliberata di un obbligo particolare di prudenza o di sicurezza imposto per legge o regolamento”.

Ancor più peculiare, tuttavia, è la responsabilità prevista dall’art. 223 – 1, la quale ricade sul soggetto agente a prescindere dalla realizzazione di un evento lesivo concreto, per il solo fatto che egli abbia “esposto direttamente altri ad un rischio immediato di morte o lesioni di carattere tale da generare una mutilazione o una malattia permanente, per violazione manifestamente deliberata di un obbligo particolare di prudenza o di sicurezza imposto per legge o per regolamento”63. Si tratta di una responsabilità che sorge per il solo fatto di aver tenuto una condotta rischiosa, senza che sia necessario l’essersi prodotto un danno concreto a causa di detta condotta64.

Dal momento che il fatto tipico previsto dall’art. 223 – 1 risulta integrato qualora sia stato creato un rischio di “morte” o “lesioni”, in sede di accertamento occorrerà valutare il livello di probabilità di realizzazione di detti eventi alla luce della tenuta della condotta rischiosa concretamente posta in essere dall’agente. Ai fini

60 F. CURI, op. ult. cit., 141 e nota (99). 61 F. CURI, op. ult. cit., 140, 148, 149. Si veda anche l’articolo Le délit de risques causés à

autrui in www.juripole.fr62 A titolo esemplificativo, è di carattere “generale” l’obbligo, imposto al guidatore da parte del

codice della strada, di essere costantemente padrone della velocità della propria autovettura, in ragione dello stato del fondo stradale, delle difficoltà nella circolazione e degli ostacoli provvisori; mentre è di carattere “particolare” l’obbligo di non eccedere la velocità di 130 km/h sulle autostrade (F. CURI, op. ult. cit., 139).

63 Il testo originale dell’art. 223 – 1 è il seguente: “Le fait d’exposer directement autrui à un risque immédiat de mort ou de blessures de nature à entrainer une mutilation ou une infirmité permanente par la violation délibérée d’une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement est puni d’un an d’emprisonnement et de 15.000 euros d’amende.”

64 F. CURI, op. ult. cit., 141.

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dell’effettuazione di tale valutazione, appare preferibile ritenere che l’onere della prova in ordine alla sussistenza della probabilità di realizzazione dell’evento lesivo debba gravare sulla pubblica accusa: e si tratta della soluzione preferibile non solo nell’ottica del principio di presunzione di innocenza, nonché al fine di evitare la repressione di mere violazioni di regole cautelari, bensì anche tenuto conto dei requisiti di “immediatezza” e carattere “diretto” del rischio creato, stabiliti dalla norma in esame65. Ciò che si richiede è la sussistenza di un nesso di causalità diretta fra condotta tenuta dall’agente e rischio66. Da notare il fatto che l’oggetto di “immediatezza” sia il rischio, e non la realizzazione dell’evento potenzialmente connesso al rischio67: sicché la responsabilità in questione sussiste, fermo restando il requisito dell’ “immediatezza del rischio”, anche qualora detto rischio non fosse di realizzazione “immediata” di morte o lesioni.

Per quel che riguarda la “violazione manifestamente volontaria” e l’obbligo “imposto da legge o regolamento”, è sufficiente richiamare quanto già esposto sopra: la violazione deve essere “manifesta”, “cosciente” o “ponderata”, e deve essere relativa ad un obbligo particolare di prudenza o sicurezza, previsto dalla legge formale promanata dal Parlamento, ovvero da regolamento inteso in senso costituzionale e promanato dallo Stato68. Alcune precisazioni potrebbero essere necessarie, invece, per quanto riguarda il concetto di “particolarità” dell’obbligo violato: alcuni interpreti ritengono che l’aggettivo “particulière” nulla aggiunga al testo della norma; altri sostengono, invece, che esso debba essere interpretato nell’ottica di attribuzione ad esso di una valenza specifica; fra questi ultimi, alcuni interpretano l’aggettivo in questione come obbligo “particolarmente imperioso o ben conosciuto”, mentre altri lo considerano semplicemente come espressivo di un concetto contrario a quello di “obbligo generale”69.

Inoltre, occorre precisare se, ai fini della responsabilità ex art. 223 – 1, fermo restando la necessità della “coscienza” della trasgressione di obblighi particolari di sicurezza o prudenza imposti da legge o regolamento, sia necessaria o meno anche la “coscienza/conoscenza” del potenziale danno: sembra preferibile l’interpretazione che richiede la conoscenza del potenziale danno, la quale non dovrebbe essere presunta in base alla sola conoscenza della trasgressione di regole cautelari; diversamente ragionando, si giungerebbe a reprimere la mera trasgressione di regole cautelari, ed a configurare una sorta di responsabilità oggettiva legata al versari in re illicita70. La preferibilità di una tale impostazione è supportata anche alla luce di una dichiarazione del Ministro della Giustizia la quale, appunto, deponeva in tale senso71.

Volendo trarre conclusioni di carattere generale sulla natura dogmatica della mise en danger, le posizioni dottrinali oscillano fra il considerarla una categoria affine

65 F. CURI, op. ult. cit., 143. Accanto a tale soluzione, si rilevano altre due impostazioni: quella a sostegno di una “presunzione assoluta” della sussistenza del rischio in base al mero accertamento della violazione di regole cautelari, e quella a sostegno di una “presunzione semplice” nello stesso senso.

66 Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr67 F. CURI, op. ult. cit., 145. 68 Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr 69 F. CURI, op. ult. cit., 147 – 148.70 F. CURI, op. ult. cit., 151. In senso contrario alla presunzione di “messa in pericolo” si veda

anche Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr71 F. CURI, op. loc. ult. cit.

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al dolo eventuale, ovvero una categoria più simile alla colpa grave, che non ad una forma attenuata di dolo72. Peraltro, vi è anche chi sostiene l’impossibilità (e l’impraticabilità) di una distinzione netta fra dolo eventuale e colpa cosciente73: in accoglimento di tale impostazione, risulta positiva l’introduzione di una forma intermedia che sia in grado di costituire un ibrido fra dolo e colpa. È stato anche osservato che, fra le varie ipotesi specifiche per le quali la legge preveda la responsabilità per mise en danger délibérée, quella prevista dall’art. 223 – 1 risulterebbe, per certi aspetti, assai vicina al dolo74.

Resta da osservare il fatto che la mise en danger sia prevista, attualmente, in modo limitato ai reati contro la persona75: l’art. 223 – 1 prevede la responsabilità per la sola “messa in pericolo” della vita o dell’incolumità altrui, e trova applicazione per l’ipotesi in cui non si sia effettivamente verificato l’evento (morte o lesioni); qualora, invece, si siano verificati gli eventi “morte” o “lesioni”, troveranno applicazione gli artt. 221 – 6, comma 2 (per l’evento “morte”), 221 – 19 e 220 – 20 (per l’evento “lesioni”), e la situazione descritta dall’art. 223 – 1 (“messa in pericolo manifestamente volontaria” con “violazione di un obbligo particolare imposto per legge o regolamento”) diviene una circostanza aggravante rispetto alle medesime fattispecie realizzate con mera colpa76.

4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas

Ai fini dell’analisi del cosciente desprecio por la vida de los demas è necessario, in via preliminare, delineare sommariamente il quadro che caratterizza il sistema giuridico penale spagnolo con riferimento all’elemento soggettivo ed alla collocazione sistematica del dolo eventuale.

L’ordinamento penale spagnolo è caratterizzato da una mera enunciazione generica di dolo e colpa, intesi come elementi psicologici del reato, senza che siano rinvenibili indicazioni espresse, da parte del legislatore, in ordine alla determinazione e delimitazione dei rispettivi contenuti e limiti, nonché delle sfumature che dolo e colpa possano assumere: ne consegue che tali operazioni siano rimesse all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale77.

La produzione scientifica spagnola si è cimentata, in effetti, nell’individuazione della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, dando luogo a due teorie: la teoria del consentimento e la teoria della probabilidad. La prima coincide, sostanzialmente, con la teoria del consenso interpretata congiuntamente alla prima formula di Frank, mentre la seconda identifica il dolo eventuale nell’ipotesi in cui l’agente avesse realizzato la condotta a fronte della rappresentazione dell’elevata probabilità di realizzazione del risultato lesivo78. La prima fra esse valorizza una distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sul profilo volitivo, dal momento che il consenso alla realizzazione del possibile evento dovrebbe

72 F. CURI, op. ult. cit., 124 – 126.73 F. CURI, op. ult. cit., 127.74 F. CURI, op. ult. cit., 155.75 F. CURI, op. ult. cit., 113.76 Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr77 F. CURI, op. ult. cit., 163. 78 F. CURI, op. ult. cit., 166 – 169.

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configurare, appunto, una presa di posizione della volontà; la seconda, del resto, trascura totalmente il profilo volitivo, valorizzando unicamente la componente intellettiva79. Ulteriori contributi hanno tentato di valorizzare ulteriormente la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente con riferimento all’elemento intellettivo: si è precisato che il dolo eventuale dovrebbe richiedere la rappresentazione dell’intero fatto tipico, nonché di un pericolo o rischio concreto, non essendo sufficiente la rappresentazione astratta di un pericolo80.

Per quel che concerne la collocazione sistematica del dolo eventuale, sono rinvenibili quattro orientamenti: un primo di essi sostiene che il dolo eventuale consista, in realtà, in una forma di colpa; un secondo di essi valuta il dolo eventuale come appartenente effettivamente alla categoria del dolo; un terzo ritiene che il dolo eventuale inquadri una terza forma di elemento soggettivo, parallelamente rispetto a dolo e colpa; infine, un ultimo orientamento sostiene che il dolo eventuale non configuri una effettiva forma di elemento soggettivo e che, invece, consista in una forma di responsabilità oggettiva, ovvero presunzione di colpevolezza81.

Il primo orientamento valorizza il fatto che la dimensione del “rischio eccessivo” sia strettamente connaturata alla colpa, e non già al dolo; si è anche sostenuto che, qualora venisse meno l’assunzione del “rischio eccessivo”, a nulla rileverebbe la considerazione dell’atteggiamento di determinazione contro il bene giuridico82.

L’orientamento a favore della considerazione del dolo eventuale come vera e propria forma di dolo si basa, sostanzialmente, sulla teoria che valorizza la decisione contro il bene giuridico: il dolo eventuale si distinguerebbe dalla colpa in quanto caratterizzato da una coscienza della sussistenza del pericolo concreto, nonché da una “seria considerazione” di esso, e da una presa di posizione a favore della possibile realizzazione del fatto83.

L’impostazione a favore dell’inquadramento del dolo eventuale come tertium genus evidenzia, invece, le analogie fra esso e l’istituto della recklessness: ad esso ha aderito anche parte della giurisprudenza la quale ha sollecitato il legislatore a disciplinare espressamente uno specifico trattamento per il dolo eventuale, con collocazione di esso ad un livello intermedio fra dolo e colpa84.

L’ultimo orientamento citato propone una soluzione particolarmente drastica, sostenendo che il dolo eventuale non faccia altro che mascherare forme di presunzione iuris et de iure sul grado di colpevolezza: in quest’ottica la teoria della probabilità, in particolare, configurerebbe ipotesi di responsabilità oggettiva85.

Il quadro delineato vede, in estrema sintesi, le indicazioni espresse del legislatore, le quali si limitano a prospettare una bipartizione dell’elemento soggettivo in dolo e colpa, senza determinazione delle sfumature che dette forme di imputazione possano assumere86; nonché, parallelamente ad esse, le posizioni dottrinali e giurisprudenziali che tendono a ricondurre il dolo eventuale alla sfera della colpa o, addirittura, a negare che il dolo eventuale possa costituire una forma di

79 F. CURI, op. loc. ult. cit.80 F. CURI, op. ult. cit., 169 – 170. 81 F. CURI, op. ult. cit., 171, 177, 178.82 F. CURI, op. ult. cit., 172. 83 F. CURI, op. ult. cit., 174.84 F. CURI, op. ult. cit., 175 – 176. 85 F. CURI, op. ult. cit., 177 – 178. 86 F. CURI, op. ult. cit., 178 – 179.

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autentica colpevolezza. A tale assetto si contrappone, tuttavia, la presenza di un istituto di parte speciale la cui analisi interessa particolarmente ai fini della presente tesi, e che presenta significative analogie con il dolo eventuale87: si tratta dell’attuale art. 381 c.p. (prima della riforma del 2007, si trattava dell’art. 384).

L’attuale art. 381 prevede un espresso richiamo all’art. 380, e quest’ultimo prevede a sua volta un espresso richiamo all’art. 379: ragion per cui una trattazione esaustiva dell’art. 381 necessita del riferimento alle due ulteriori norme citate.

L’art. 379 prevede la punibilità di chi “conduce un autoveicolo o un ciclomotore a velocità superiore a 60 km/h su strada urbana, o a 80 km/h su strada extraurbana ” (punto 1), nonché di “colui che guida un autoveicolo o un ciclomotore sotto l’effetto di farmaci tossici, stupefacenti, sostanze psicotrope o bevande alcoliche” (punto 2, primo capoverso), ovvero “colui che guida con un tasso alcolico espirato nell’aria superiore a 0,60 milligrammi/litro, o con un tasso alcolico nel sangue superiore a 1,2 grammi/litro” (punto 2, secondo capoverso)88. Si tratta, evidentemente, di una fattispecie di pericolo astratto; ad ogni modo, se, da un lato, non è necessario l’accertamento dell’effettività del pericolo creato, dall’altro la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che non sia sufficiente, ai fini dell’integrazione della fattispecie, il mero dato oggettivo consistente nel rilievo del tasso alcolico, ma è altresì necessario verificare che detto tasso alcolico abbia influenzato la condotta di guida89: in effetti, la norma fa riferimento alla guida “sotto l’effetto di” alcol o stupefacenti, e tale tenore letterale sembra doversi interpretare nel senso che si è appena precisato.

L’art. 380, in secondo luogo, configura come penalmente rilevante la condotta di chi “guida un autoveicolo o un ciclomotore con manifesta temerarietà e pone in concreto pericolo le persone”, precisando che “ai fini della presente norma si reputerà manifestamente temeraria la guida in cui concorrano le circostanze previste al primo punto ed al secondo capoverso del secondo punto dell’articolo precedente”90. Anche il tal caso emerge una fattispecie di pericolo: si tratta, tuttavia, di pericolo concreto, per espressa previsione da parte della stessa norma di riferimento.

L’art. 381, quindi, dispone la rilevanza penale della condotta di chi “con cosciente disprezzo per la vita altrui, mette in atto la guida descritta nell’articolo precedente”; si aggiunge, poi, la rilevanza penale, seppur con applicazione di sanzioni più lievi, dell’ipotesi in cui la condotta in questione non abbia posto in pericolo concreto la vita o l’integrità fisica delle persone91. Si prevedono, quindi, due fattispecie: una di pericolo concreto; un’altra di pericolo astratto92, e sanzionata in modo più lieve rispetto a quella di pericolo concreto. La “guida descritta nell’articolo

87 F. CURI, op. ult. cit., 179. L’Autrice fa riferimento all’art. 384 in quanto l’opera in questione risale al 2003, mentre la riforma attuata nel 2007 ha comportato modifiche tali per cui la fattispecie che nel 2003 era prevista dall’art. 384 risulta, attualmente, collocata all’interno dell’art. 381. La riforma del 2007 ha visto anche un aumento delle sanzioni previste per la fattispecie di cui all’attuale art. 381 (vecchio art. 384). Per il confronto fra l’assetto antecedente alla riforma e l’assetto attuale, si è fatto riferimento all’articolo Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com

88 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com89 Delitos contra la seguridad del tràfico, in www.enciclopedia-juridica.biz14.com 90 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com91 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com92 F. CURI, op. ult. cit., 190. Si aggiunge che, fra le due distinte ipotesi, intercorre un rapporto di

sussidiarietà, essendo la fattispecie di pericolo astratto applicabile soltanto qualora non sia ravvisabile il pericolo concreto.

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precedente” è, chiaramente, la guida “manifestamente temeraria”; e la guida “manifestamente temeraria” comprende, a sua volta, le ipotesi di guida “a velocità superiore a 60 km/h su strada urbana o a 80 km/h su strada extraurbana”, ovvero “con un tasso alcolico espirato nell’aria superiore a 0,60 milligrammi/litro o con un tasso alcolico nel sangue superiore a 1,2 grammi/litro”.

Fermo restando tali collegamenti che coinvolgono gli artt. 379, 380 e 381, occorre precisare ulteriormente il concetto di “temerarietà manifesta”, inteso in senso generale, e non con sola considerazione dei riferimenti di cui agli artt. 379 e 380. La “temerarietà” può essere intesa come “omissione della diligenza più elementare richiesta ad un conducente medio”93; deve trattarsi, altresì, di temerarietà “manifesta” e, dunque, evidente, chiara e notoria secondo il parametro dell’osservatore medio94.

Beninteso che il riferimento alla violazione della “diligenza più elementare” non debba, tuttavia, indurre in errore circa l’elemento soggettivo della fattispecie, il quale consiste nel dolo avente ad oggetto le modalità di guida e l’esposizione a pericolo della vita altrui: ed in merito a quest’ultimo oggetto si ritiene sufficiente il dolo eventuale95. Viceversa, il dolo necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie in questione non deve comprendere l’effettivo risultato lesivo96. L’art. 381, tuttavia, aggiunge un ulteriore connotazione soggettiva necessaria ai fini della rilevanza penale della fattispecie da esso descritta: il “cosciente disprezzo per la vita altrui”: il che giustifica l’aumento di pena rispetto all’attuale art. 380 (vecchio art. 381) 97.

A questo punto, è necessario descrivere le varie soluzioni interpretative che sono state proposte ai fini della collocazione sistematica dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 381. Risulta ormai datata una circolare del 1989, emessa dalla Fiscalia general, presso il Tribunal Supremo, la quale riteneva che per la “condotta temeraria” fosse necessario il dolo, mentre per le conseguenze che creassero il “pericolo concreto” fosse sufficiente la colpa cosciente o con previsione98. La circolare in questione precisava altresì che, qualora l’accettazione del rischio fosse stata effettuata con consapevolezza e con inclusione della possibilità di provocare la morte di un terzo, nel caso in cui l’evento non si fosse verificato si sarebbe dovuto riconoscere il tentato omicidio sorretto da dolo eventuale, mentre qualora l’evento si fosse verificato si sarebbe trattato di omicidio consumato99.

Una seconda impostazione configura l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 381 come dolo eventuale: essa ritiene che “guidare un veicolo con cosciente disprezzo per la vita altrui” equivalga ad accettare il possibile o probabile risultato lesivo del bene “vita”100. Sulla base di tale assetto si è anche sostenuto che la fattispecie di cui all’attuale art. 381 configurerebbe una speciale ipotesi di tentativo sorretto dal solo dolo eventuale (e non suscettibile di essere sorretto anche dal dolo diretto)101. Ancora, si è evidenziato che il “cosciente disprezzo” tenda ad identificare, sostanzialmente, gli stessi caratteri attribuiti al dolo eventuale dalla teoria del

93 F. CURI, op. ult. cit., 181. 94 F. CURI, op. ult. cit., 182. Delitos contra la seguridad del tràfico, in www.enciclopedia-

juridica.biz14.com95 F. CURI, op. ult. cit., 182. 96 F. CURI, op. ult. cit., 191.97 F. CURI, op. loc. ult. cit.98 F. CURI, op. loc. ult. cit.99 F. CURI, op. ult. cit., 192. 100 F. CURI, op. loc. ult. cit.101 F. CURI, op. ult. cit., 193.

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consenso: in particolare, l’atteggiamento di indifferenza manifestato dall’agente nei confronti dei beni giuridici esposti a pericolo, stante la decisione di agire indipendentemente dal fatto che si realizzino o meno eventi lesivi102.

Infine, va citata la posizione di chi rinviene nell’art. 381 un’ipotesi di dolo generico esclusivamente diretto, con esclusione del dolo indiretto e del dolo eventuale: tale impostazione si fonda sulla considerazione del dato testuale della norma, il quale sembra richiedere che l’agente sia esattamente consapevole di ciò che egli stia realizzando tramite la propria condotta103.

5. Verso la definizione di un tertium genus di elemento soggettivo?

L’analisi dei peculiari istituti presenti negli ordinamenti inglese, francese e spagnolo, il quali configurano forme di responsabilità che si collocano a metà strada fra dolo e colpa, permette di suscitare quantomeno l’interrogativo se non sarebbe opportuno o utile introdurre anche nell’ambito dell’ordinamento italiano un tertium genus di colpevolezza, espressivo di una rimproverabilità per volontaria assunzione di rischio, e conglobante in sé gli elementi propri delle attuali categorie del dolo eventuale e della colpa cosciente.

A favore di una prospettiva di questo genere si è espressa parte della dottrina (principalmente Francesca Curi) la quale ha effettuato, appunto, l’analisi degli istituti della recklessness, della mise en danger délibérée e del cosciente desprecio por la vida de los demas non già in un’ottica comparatistica fine a sé stessa, bensì con l’obiettivo di trarne prospettive de iure condendo, nonché considerazioni e riflessioni sulla capacità del sistema penale italiano di istituire una terza forma di elemento soggettivo che si inquadri come intermedia fra dolo e colpa104.

Fra i potenziali vantaggi dell’introduzione del tertium genus, inteso quale forma di imputazione soggettiva per assunzione consapevole di responsabilità da rischio, vi sarebbe, anzitutto, quella di eliminare i problemi e le difficoltà di distinzione netta fra categorie (dolo eventuale e colpa cosciente) i cui confini sono, in effetti, estremamente labili e di difficile individuazione105: si sostiene, dunque, che la ricostruzione di una categoria unitaria di responsabilità per assunzione di un “pericolo penalmente rilevante”, attualmente caratteristico sia del dolo che della colpa cosciente, potrebbe razionalizzare le operazioni di inquadramento dell’elemento soggettivo. Si è posto in evidenza che il modello tripartito rispecchierebbe meglio le dinamiche psicologiche proprie dell’agire umano: non risulterebbe, quindi, vantaggiosa un’impostazione bipartita (dolo/colpa), la quale imponga all’interprete un drastico “aut- aut” attraverso la definizione di una linea di demarcazione fra categorie i cui confini sono, in effetti, estremamente labili106.

Del resto, l’introduzione del tertium genus potrebbe avere l’effetto positivo consistente nella rivalorizzazione della funzione sussidiaria del diritto penale: verrebbero, infatti, a delinearsi una categoria di dolo circoscritta alle ipotesi di dolo “intenzionale”, ed una seconda categoria identificata dalle ipotesi di “volontaria”/

102 F. CURI, op. ult. cit., 194. 103 F. CURI, op. ult. cit., 195. 104 F. CURI, op. ult. cit., 3. 105 F. CURI, op. ult. cit., 11.106 F. CURI, op. ult. cit., 18.

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“consapevole” o “sconsiderata” assunzione di un rischio, che racchiuda in sé elementi propri del dolo eventuale e della colpa cosciente, con conseguente drastica riduzione delle ipotesi di applicazione della colpa incosciente; addirittura, si sostiene che la sanzione di ipotesi di colpa lieve dovrebbe essere demandata a rami extrapenali dell’ordinamento. Il tutto dovrebbe contrastare la tendenza che ha visto il diritto penale assumere i caratteri di uno “strumento di governo”, utilizzato con funzione “simbolica”107. Sul piano dell’applicazione della pena, alla luce dell’adozione di un modello tripartito, il compito di dosare l’entità della sanzione con riguardo al caso concreto sarebbe chiaramente assegnato al giudice: il che dovrebbe garantire una maggior aderenza fra dogmatica e piano applicativo108.

Nondimeno, nell’ottica dell’inserimento del tertium genus, occorrerebbe stabilire se la soluzione debba configurarsi come “di parte generale” o “di parte speciale”: in particolare è stata proposta l’iniziale circoscrizione della terza forma ai reati contro la vita e contro l’integrità fisica109. Più precisamente, si è affermato che gli istituti più idonei a fungere da riferimento parrebbero essere quelli della mise en danger e della recklessness110: in quest’ottica, si propone l’introduzione di un trattamento aggravato rispetto all’attuale ipotesi di omicidio colposo per l’ipotesi in cui venga provocata la morte con attuazione di un grave rischio e cosciente messa in pericolo della vita altrui; nonché di un trattamento attenuato rispetto all’ipotesi appena delineata per il caso in cui non si fosse realizzato l’evento “morte”, ma fosse stato comunque creato consapevolmente un rischio, con disprezzo per la vita altrui. Si propone anche la parallela introduzione del tertium genus a protezione dell’integrità fisica, seppur in “scala ridotta” rispetto all’assetto delineato con riguardo alla protezione del bene giuridico “vita”111. Il carattere “limitato” alla parte speciale dell’introduzione del tertium genus comporterebbe anche la non necessità di inserimento di una apposita definizione o clausola “di parte generale”.

Qualora, tuttavia, si volesse optare per la soluzione “di parte generale”, si propone l’introduzione di una formula che prescriva la punibilità per “sconsideratezza” di chi agisca “mediante l’assunzione consapevole del rischio relativo alla verificazione dell’evento, essendo irragionevole assumere tale rischio, avuto riguardo alle conoscenze possedute dall’agente”112. Si specifica che tale forma di imputazione dovrebbe poi applicarsi solo ai reati di parte speciale per i quali sia espressamente prevista, analogamente a quanto avviene attualmente per la colpa113: la forma di imputazione ordinaria resterebbe, dunque, il dolo, mentre la colpa e la “sconsideratezza” si configurerebbero come forme speciali di imputazione.

Risulta interessante anche il rilievo in base al quale alcuni aspetti del codice penale e della legislazione complementare sembrerebbero costituire “segnali” a favore della concezione tripartita dell’elemento soggettivo: ad esempio, casi in cui la pena edittale prevista per la fattispecie dolosa si sovrappone parzialmente a quella

107 F. CURI, op. ult. cit., 19 – 20. 108 F. CURI, op. ult. cit., 12.109 F. CURI, op. ult. cit., 18, 242, 243. 110 F. CURI, op. ult. cit., 241. Si sostiene che la mise en danger abbia saputo “tradurre in modo

più dettagliato” il contenuto della recklessness; ad ogni modo, la soluzione ipotetica di parte generale proposta dall’Autrice (ivi, 243 – 244) richiama evidentemente anche il contenuto della recklessness.

111 F. CURI, op. ult. cit., 242. 112 F. CURI, op. ult. cit., 243 – 244. 113 F. CURI, op. ult. cit., 244.

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colposa114; altresì, sembra deporre nello stesso senso la prospettazione di un’unica cornice edittale nell’ambito delle contravvenzioni, ai sensi dell’art. 42, comma 4, c.p.115

È indispensabile, a questo punto, fare riferimento anche alle posizioni che si sono espresse contro la prospettiva dell’introduzione di un tertium genus. Fra queste, vi è la voce di Canestrari, il quale pone in evidenza che proprio l’analisi comparatistica indurrebbe a far venire meno l’illusione del conseguimento di semplificazione attraverso l’introduzione di una terza forma di elemento soggettivo: si fa riferimento specifico alla recklessness ed alle oscillazioni fra recklessness di tipo Cunningham e recklessness di tipo Caldwell/Lawrence, e si osserva che l’onere di definizione di un terzo genere di elemento soggettivo non sia, in effetti, meno arduo dell’onere di definizione di dolo eventuale e colpa cosciente. Canestrari, inoltre, osserva che le forme intermedie di elemento soggettivo non riescano a risolvere la problematica della ricostruzione del carattere “ingiustificato” o “irragionevole” del rischio. L’Autore, in una prospettiva de lege ferenda, propone invece l’introduzione di una definizione legale di dolo eventuale che potrebbe essere del seguente tenore: “Si ha dolo eventuale allorquando l’agente si sia rappresentata concretamente la realizzazione del fatto tipico come conseguenza probabile della propria condotta e ne accetta la verificazione. Il rischio di realizzazione del fatto tipico deve essere non consentito e di natura tale che la sua assunzione non può neppure essere presa in considerazione da una persona coscienziosa ed avveduta del circolo di rapporti cui appartiene l’agente, posta nella situazione in cui si trovava il soggetto concreto ed in possesso delle sue conoscenze e capacità” 116.

6. Considerazioni conclusive

Il primo capitolo della presente tesi ha provveduto ad inquadrare i concetti e l’essenza di dolo e colpa, in modo funzionale all’analisi relativa al discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente. Con particolare riferimento al dolo, si sono analizzate le incertezze generate dal tenore letterale non pienamente soddisfacente dell’attuale art. 43, e si sono tratte, in linea di massima, le seguenti conclusioni: il dolo deve consistere in rappresentazione e volontà; tali componenti, in adesione alla teoria della volontà, debbono essere intese come autonome, distinte ed entrambe aventi ad oggetto l’intero fatto tipico, e non solamente l’evento; in particolare, la volontà deve riguardare l’intero fatto tipico, compreso l’evento o, comunque, gli elementi del fatto

114 F. CURI, op. ult. cit., 252. Si riporta l’esempio degli artt. 256 e 259 c.p.: il delitto doloso di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato (art. 256 c.p.) è punito con la reclusione da tre a dieci anni, mentre l’ipotesi di agevolazione colposa (art. 259) è punita con la reclusione da uno a cinque anni.

115 F. CURI, op. ult. cit., 248. 116 S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo: il problema del dolus eventualis, in

www.dejure.giuffre.it . L’Autore, in una prospettiva de lege ferenda, propone l’introduzione di una definizione legale di dolo eventuale che potrebbe essere del seguente tenore: “Si ha dolo eventuale allorquando l’agente si sia rappresentata concretamente la realizzazione del fatto tipico come conseguenza probabile della propria condotta e ne accetta la verificazione. Il rischio di realizzazione del fatto tipico deve essere non consentito e di natura tale che la sua assunzione non può neppure essere presa in considerazione da una persona coscienziosa ed avveduta del circolo di rapporti cui appartiene l’agente, posta nella situazione in cui si trovava il soggetto concreto ed in possesso delle sue conoscenze e capacità”.

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tipico diversi dalla condotta materiale, e non solamente la condotta materiale. Tali premesse sono funzionali al rigetto di qualsiasi impostazione che concepisca il dolo eventuale con valorizzazione del solo profilo intellettivo, ovvero tendente all’oggettivizzazione e normativizzazione del dolo: se il dolo consiste in rappresentazione e volontà dell’intero fatto tipico, non risulta accettabile qualsivoglia teoria che assuma come sussistente la volontà in base alla sola considerazione del livello intellettivo o delle caratteristiche oggettive del rischio assunto o della condotta.

Quanto alle varie tipologie di dolo, si è precisato che l’espressione “secondo l’intenzione” di cui all’art. 43 non significhi che la responsabilità dolosa debba essere limitata ai casi di dolo intenzionale, cioè alle ipotesi in cui il reato realizzato fosse proprio il fine intenzionalmente perseguito o, in altri termini, il fine che desse causa alla condotta. È apparsa preferibile l’impostazione la quale sostiene che l’espressione “secondo l’intenzione” debba richiamare, invece, il finalismo insito nella condotta umana: tale concezione ammette categorie di dolo “non intenzionale”, che andranno ricostruite considerando il rapporto tra fine intenzionalmente perseguito e reato realizzato. Significa, sostanzialmente, che la realizzazione del reato potrà dirsi “secondo l’intenzione” anche qualora detta realizzazione non fosse il fine intenzionalmente perseguito dall’agente, ma semplicemente fosse “conforme all’intenzione”, e non “contro l’intenzione”: potrà, dunque, trattarsi di un “mezzo necessario” e previsto come “certo” o “quasi certo” per la realizzazione del fine intenzionale (dolo diretto); ovvero di una “conseguenza accessoria” (dolo indiretto e dolo eventuale).

Per quel che riguarda la colpa, si è evidenziata la natura normativa di tale categoria di elemento soggettivo, con successiva analisi dell’art. 61 n. 3, il quale prevede un’aggravante per le ipotesi di colpa cosciente (o “con previsione”): si è, quindi, concluso a favore dell’interpretazione dell’art. 61 n. 3 nel senso che l’aggravante possa dirsi giustificata soltanto qualora si richieda, ai fini di essa, che l’agente abbia realizzato la condotta nonostante la persistenza della previsione positiva della realizzazione dell’evento. Tale conclusione è necessaria in via preliminare ai fini delle critiche negative alla teoria dell’accettazione del rischio, nonché ai fini dell’approvazione della teoria che valorizza la deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.

Quanto, poi, al dibattito sull’accoglimento o meno del principio “non c’è dolo senza colpa”, si è ritenuta preferibile l’impostazione a favore di detto principio: non potrà, dunque, esservi responsabilità penale laddove il fatto penalmente rilevante non sia stato provocato dalla trasgressione di regole precauzionali volte ad evitare la realizzazione di fatti del tipo di quello effettivamente verificatosi. Ciò non dovrebbe creare particolari problemi nei casi in cui l’agente concreto godesse di conoscenze maggiori rispetto a quelle del parametro oggettivo dell’ “agente modello”, in quanto dette conoscenze eventuali e superiori dovrebbero anche esse essere considerate in sede di valutazione della prevedibilità ed evitabilità della realizzazione del risultato lesivo.

Il capitolo secondo è stato dedicato all’analisi approfondita di tutte le teorie inerenti la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, comprese anche le “voci” a favore dell’incostituzionalità del dolo eventuale. Si è appurato che risultino non condivisibili, sostanzialmente, tutte le teorie riconducibili al paradigma della teoria della rappresentazione o ai modelli tendenti all’oggettivizzazione del dolo, stante la svalutazione del momento volitivo espressamente richiesto dall’art. 43 ed i rischi di

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dare adito a presunzioni di dolo o affermazione di dolo in re ipsa. Non risulta neppure convincente la valorizzazione dei profili emozionali o intimistici, in quanto il concetto di “volontà” è essenzialmente diverso rispetto ai concetti di “speranza”, “sentimento” o affini. Parimenti, non sono accettabili le teorie che prospettano la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente come “meramente quantitativa”, dato che si tratta di elementi qualitativamente diversi (anche se vi è chi ha sostenuto che l’agire a fronte della rappresentazione della “elevata probabilità” di verificazione dell’evento costituisca un atteggiamento psicologico qualitativamente diverso da quello di chi agisca a fronte della rappresentazione della “bassa probabilità” o mera “possibilità” di realizzazione dell’evento).

Nell’ambito dell’analisi delle teorie “volitive”, sono stati posti in evidenza i limiti in cui in corre la teoria dell’accettazione del rischio, se formulata sulla base della dicotomia “accettazione del rischio” / “sicura fiducia che l’evento non si verificherà”: in primo luogo, l’accettazione “del rischio” sposta l’oggetto del dolo dall’“evento” al “rischio”, potendo condurre alla conseguenza di trasformare i reati di evento in reati di pericolo; in secondo luogo, l’aver agito con la “sicura fiducia che l’evento non si verificherà” comporta, evidentemente, il venir meno della rappresentazione positiva dell’evento al momento di realizzazione della condotta e, di conseguenza, una difformità rispetto a quanto prescritto dall’art. 61 n. 3; infine, è stato osservato che una qualche misura di “accettazione del rischio” ricorra proprio nelle ipotesi di colpa cosciente. Le diverse sfumature assunte dalla teoria in questione, le quali fanno leva sull’“accettazione dell’evento” considerato hic et nunc, attenuano gli aspetti di non condivisibilità, ma non li eliminano se permane l’identificazione della colpa cosciente nella “sicura fiducia che l’evento non si verificherà”. Le sfumature basate sulla distinzione fra “rappresentazione della concreta possibilità” e “rappresentazione dell’astratta possibilità” non risultano decisive: è vero che l’elemento volitivo potrà più facilmente ricavarsi qualora il soggetto avesse agito a fronte della rappresentazione della “concreta possibilità” di realizzazione del fatto di reato, ma ciò può assumere solamente carattere indiziante, e non determinante. Del resto, l’eccessiva valorizzazione della dicotomia “concreto”/ “astratto” potrebbe indurre a concludere per il dolo in re ipsa laddove il soggetto avesse scelto di agire a fronte della rappresentazione della concreta possibilità di realizzazione del risultato lesivo. La teoria dell’accettazione del rischio, in forza delle considerazioni sopra effettuate, si presta particolarmente ad essere “manovrata” dalla giurisprudenza nell’ottica del perseguimento di obiettivi di politica criminale.

La teoria ipotetica del consenso appare non pienamente condivisibile se concepita in base alla prima formula di Frank, ma sostanzialmente condivisibile se interpretata alla luce della seconda formula (peraltro elaborata dallo stesso Frank proprio al fine del superamento degli inconvenienti connessi all’applicazione della prima formula): si identifica l’atteggiamento del soggetto che agisce con dolo eventuale nella prospettiva psicologica di chi, perseguendo intenzionalmente un determinato fine, si rappresenti la possibilità che la condotta correlata al perseguimento di detto fine provochi eventi lesivi collaterali, e scelga di agire comunque, “costi quel che costi”, “a costo di” provocare l’evento lesivo collaterale, “accettando il prezzo” di realizzazione dell’evento lesivo collaterale. Si è ritenuta condivisibile anche la formula che identifica il dolo eventuale della “decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”.

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Ad ogni modo, la teoria che si è ritenuta maggiormente soddisfacente è quella che identifica il dolo eventuale nell’accettazione del rischio effettuata tramite deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro. Essa, peraltro, non appare in contraddizione con la teoria del consenso, poiché se è vero che l’evento realizzato con dolo eventuale non è intenzionalmente perseguito, ma è previsto come conseguenza collaterale ed accessoria (ma non necessaria) della tenuta della condotta correlata al perseguimento del fine intenzionale, “decidere a favore della possibile lesione del bene giuridico” significa necessariamente subordinare tale bene giuridico rispetto al proprio interesse. Il dolo eventuale dovrebbe consistere, quindi, in rappresentazione della possibilità di realizzazione del fatto di reato ed accettazione del relativo rischio tramite una deliberazione consapevole con la quale si subordini il bene giuridico esposto a pericolo rispetto all’interesse consistente nel persistere nella condotta correlata al perseguimento del fine intenzionale. La colpa cosciente sarebbe anch’essa caratterizzata da rappresentazione ed accettazione del rischio: quest’ultima sarebbe, tuttavia, effettuata semplicemente per negligenza o imprudenza, e non tramite una deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.

La teoria che valorizza la conoscenza dei nessi causali è valutabile in modo positivo, ma non può avere, in sé e per sé considerata, carattere decisivo.

Si è analizzato, poi, l’articolata ricostruzione di Stefano Canestrari consistente tentativo di distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata anche sul profilo oggettivo, attraverso l’individuazione di un rischio peculiare proprio della responsabilità dolosa e, all’interno di esso, di un rischio peculiare della responsabilità per dolo eventuale: si tratterebbe di un rischio che non avrebbe potuto neppure essere preso in considerazione dall’homo eiusdem conditionis et professionis. A prescindere dalla condivisibilità o meno delle basi di partenza, che consistono, tra l’altro, nel rigetto del principio “non c’è dolo senza colpa”, lo stesso Autore afferma che il criterio da lui proposto non abbia valenza decisiva, ma sia volto a rafforzare l’inquadramento della “decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”.

Risulta eccessivamente drastica l’impostazione che sostiene l’incostituzionalità del dolo eventuale, la quale prende le mosse dalla constatazione per cui il dolo eventuale sarebbe un “doppione mascherato” della colpa cosciente: in effetti, lo è se si considera la formulazione tradizionale della teoria dell’accettazione del rischio, ma non dovrebbe esserlo se si considera la teoria che valorizza la deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.

Alcune precisazioni si sono rese necessarie per quel che riguarda la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente nei reati di mera condotta o con riferimento ad elementi del fatto tipico diversi dall’evento, nonché nei reati di pericolo e nei reati omissivi. Con riferimento ai reati di mera condotta o alla configurazione dell’elemento soggettivo relativamente ad elementi del fatto tipico diversi dall’evento, molti problemi si superano considerando quale oggetto del dolo, appunto, il fatto tipico considerato nella sua unitarietà; nondimeno, non pare suscitare particolari problemi l’applicazione, in tali casi, della teoria che valorizza la subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro; si è anche valorizzata la voce di parte della dottrina (principalmente Canestrari) la quale ha evidenziato che, nei reati di mera condotta a fattispecie neutra, stante il principio dell’ignorantia legis non excusat (che non vede, in tali casi, una espressa deroga, benché tale deroga sarebbe auspicabile), non sia possibile distinguere fra dolo e colpa, poiché vengono a coincidere fatto ed

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antigiuridicità. Quanto ai reati di pericolo, la dottrina (principalmente Canestrari e De Francesco, seppur sulla base di teorie differenti) ha evidenziato che, con riferimento ad essi, la distinzione si ponga non fra dolo eventuale e colpa cosciente, bensì fra dolo eventuale e colpa incosciente; del resto, la giurisprudenza tende ad applicare ai reati di pericolo la tradizionale teoria dell’“accettazione” del rischio, che diviene, in tali casi, “accettazione del pericolo”: anche sul versante giurisprudenziale, tuttavia, si tende ad inquadrare il dolo eventuale nei reati di pericolo semplicemente in considerazione della scelta di agire a fronte della rappresentazione della possibilità di realizzazione del pericolo, e ciò sembra confermare l’impostazione per cui, nei reati di pericolo, l’alternativa sia fra dolo eventuale e colpa incosciente.

Relativamente ai reati omissivi, la teoria della subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro non dovrebbe richiedere particolari adattamenti sostanziali, così come non dovrebbe comportarli l’applicazione del criterio che valorizza la distinzione fra rischio peculiare del dolo eventuale e rischio colposo. Parte della dottrina (Eusebi), tuttavia, ha ritenuto che nei reati omissivi impropri non possa configurarsi il dolo eventuale, dato che la sola inerzia non permetterebbe di inquadrare una “disponibilità a pagare un prezzo” per la realizzazione del fine intenzionale (dato che quest’ultimo, in caso di mera inerzia, mancherebbe). La giurisprudenza tende, invece, ad applicare anche in questi casi la teoria dell’accettazione del rischio.

Ulteriori considerazioni sono state effettuate con riguardo alla rilevanza o irrilevanza del versari in re illicita, e si è concluso che la liceità o illiceità del contesto di base non possa avere carattere determinante o decisivo ai fini della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente; tuttavia, si è evidenziato che la giurisprudenza tenda a stabilire una sorta di parallelismo fra dolo eventuale e versari in re illicita, nonché fra colpa cosciente e versari in re licita. Risulta interessante anche la constatazione, effettuata in dottrina (Canestrari), per cui in effetti, in contesto di base illecito, sia più difficile l’inquadramento della colpa cosciente, poiché il decorso causale risulta già “parzialmente avviato”, e l’elemento della rappresentazione tende a configurare in atteggiamento psicologico affine al dolo eventuale.

Il terzo capitolo è stato dedicato all’analisi dei rapporti fra dolo eventuale e delitto tentato, fattispecie con dolo specifico, concorso di persone, preterintenzione, nonché la distinzione fra dolo eventuale e dolo alternativo. Quanto al delitto tentato, si è aderito all’impostazione a sostegno dell’incompatibilità fra delitto tentato e dolo eventuale, stante l’incompatibilità insormontabile fra rappresentazione dell’univoca direzione degli atti alla realizzazione del reato e carattere collaterale, accessorio e non intenzionale del reato realizzato con dolo eventuale. Non si è condivisa, invece, la tesi a sostegno della compatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato, conformemente alla quale il requisito dell’univocità dovrebbe essere inteso solamente in senso oggettivo, ed il dolo del delitto tentato non si distinguerebbe rispetto al dolo del reato consumato; non si è condivisa neppure la teoria conformemente alla quale la valutazione del requisito dell’univocità dovrebbe essere effettuata in modo oggettivo, ma anche in correlazione rispetto al piano concreto perseguito dall’agente. Quanto alle fattispecie con dolo specifico, si è concluso che esse possano essere sorrette da dolo eventuale, purché esso riguardi elementi del fatto tipico che non siano presupposti necessari per la realizzazione del fine inquadrato dal dolo specifico. Mentre la conclusione di maggior interesse con

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riferimento al concorso di persone è stata quella per cui il dolo eventuale comporti il passaggio dalla sfera dell’art. 116 a quella dell’art. 110.

Si è poi rilevata la differenza fra dolo eventuale e preterintenzione, consistente nel fatto che la prenerintenzione richieda l’assenza di volontà dell’evento più grave (la morte, nel caso dell’omicidio preterintenzionale), anche se intesa nella forma eventuale o indiretta. Se mai, con particolare riguardo all’omicidio preterintenzionale, si tratta di stabilire se il dolo di lesioni possa essere eventuale o meno: la giurisprudenza prevalente risponde in senso positivo, anche se non mancano impostazioni di segno opposto. Si è anche analizzata la tesi “temeraria” che intende l’omicidio preterintenzionale come caratterizzato da dolo eventuale dell’evento più grave: pur trattandosi di una tesi che potrebbe generare condivisibili spunti de iure condendo, essa non è, attualmente, applicabile, poiché gli artt. 42 e 43 descrivono chiaramente la preterintenzione come autonoma e distinta rispetto a dolo e colpa. Nondimeno, si è chiarita la distinzione fra dolo eventuale e dolo alternativo: quest’ultimo, in effetti, si configura come dolo diretto, consistendo nella volontà di realizzazione, indifferentemente, di eventi alternativi considerati come equivalenti; mentre il dolo eventuale ha ad oggetto un evento collaterale ed accessorio, non direttamente voluto.

Il capitolo quarto è consistito nell’analisi di alcuni fra i principali ambiti nei quali è venuta maggiormente in rilievo la difficoltà di distinzione, in sede applicativa, fra dolo eventuale e colpa cosciente. Si sono osservate le “storiche” difficoltà di inquadramento del dolo eventuale nell’ambito dei reati da sinistro stradale tramite l’utilizzo della teoria dell’accettazione del rischio, e si è fatto riferimento alla recente sentenza della Corte di Cassazione la quale, ricorrendo alla teoria della subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro ha, invece, affermato il dolo eventuale. Si è anche notato come, nei casi di contagio da HIV tramite rapporto sessuale non protetto e da parte di soggetto consapevole del proprio stato, risulti più agevole l’inquadramento del dolo eventuale. Con riguardo alla ricettazione, si sono analizzati gli orientamenti giurisprudenziali diametralmente contrapposti in ordine alla configurabilità del dolo eventuale per il reato in questione, nonché la recente soluzione fornita dalle Sezioni Unite, la quale ha riesumato la prima formula di Frank ai fini della descrizione del dolo eventuale di ricettazione. Ancora, si è descritta la soluzione giurisprudenziale, particolarmente “forte”, che inquadra addirittura il dolo diretto per le ipotesi di lancio di sassi da cavalcavia (a fronte di alcune posizioni dottrinali le quali sostegono che, in questi casi, addirittura dovrebbe escludersi l’imputabilità, per “anomala formazione del volere”). Infine, con riguardo all’analisi del caso Thyssenkrupp, è parsa corretta l’affermazione della responsabilità per dolo eventuale in capo all’amministratore delegato, peraltro sulla base della teoria che valorizza la subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro; appare condivisibile, a livello di applicazione concreta, anche l’affermazione della colpa cosciente in capo agli altri cinque imputati, ma non sembra essere appieno coerente l’inquadramento teorico della colpa cosciente nella “sicura fiducia nella non realizzazione dell’evento”.

L’ultimo capitolo ha analizzato le prospettive de lege ferenda, le quali oscillano fra le proposte di definizione legislativa del dolo eventuale e l’introduzione di un tertium genus di elemento soggettivo, coniato con spunto, principalmente, dagli istituti della recklessness e della mise en danger. Nella presente tesi si è sostenuta, in particolare, la validità della teoria che identifica il dolo eventuale nell’accettazione

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del rischio realizzata con subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro: tuttavia, nessuna fra le prospettive de lege ferenda ha proposto l’accoglimento di tale impostazione. A dire il vero, si tratta di una teoria che è stata solo recentemente riesumata dalla giurisprudenza e che dovrebbe essere rivalutata, magari, appunto, anche in prospettiva de lege ferenda. Per quel che riguarda la ventilata ipotesi di introduzione di un tertium genus di elemento soggettivo, essa senz’altro semplificherebbe l’assetto attuale, ma non del tutto: infatti, pur facendo confluire tutte le ipotesi di consapevole assunzione di rischio ad un’unitaria sfera, operazioni analoghe alla distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente dovrebbero comunque tornare in gioco in sede di commisurazione della pena.