La responsabilità della pubblica Amministrazione per...

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1 La responsabilità della pubblica Amministrazione per violazione dei principi generali di tutela dell’affidamento. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I presupposti dell’illecito civile. In particolare, l’elemento soggettivo della pubblica Amministrazione. - 3. La natura giuridica della responsabilità della pubblica Amministrazione e la sua incidenza in ordine alla quantificazione del danno risarcibile. - 4. Il risarcimento in via equitativa e i criteri di determinazione del danno. - 4.1. Il concorso colposo del danneggiato nella determinazione del danno. 1. Premessa. La decisione che si annota è di particolare interesse in quanto fornisce alcuni criteri fondamentali in tema di presupposti dell’illecito civile e natura giuridica della responsabilità per danni della pubblica Amministrazione. La fattispecie dedotta in giudizio riguarda la domanda, proposta dalle società appellanti, volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittimità, definitivamente accertata dal giudice amministrativo, sia della nota del 24 gennaio 1994, con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha revocato l’originario atto di assenso ai contratti di locazione futura, stipulati tra le predette società e il Ministero della Salute, di un complesso immobiliare in corso di costruzione e destinato a sede del dicastero, sia dell’ordinanza n. 19515 del 15 maggio 1994, con cui il Comune di Roma, proprio in conseguenza di tale diniego, ha sospeso i lavori di costruzione degli immobili, per i quali aveva già rilasciato regolare licenza edilizia. La Quarta Sezione, pur condividendo l’indirizzo giurisprudenziale 1 secondo cui dall’annullamento dell’atto amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda risarcitoria, occorrendo la dimostrazione del danno patrimoniale, del nesso eziologico con il provvedimento annullato e della colpa dell’Amministrazione, è dell’avviso che, nel caso di specie, sussistano tutti i presupposti dell’illecito civile e che dall’annullamento dei su citati provvedimenti sia derivato alle società costruttrici e locatrici un danno patrimoniale e ingiusto, ricollegabile soggettivamente, a titolo di colpa, alle Amministrazioni che hanno adottato i provvedimenti stessi. Il Consiglio di Stato, infatti, afferma che: « la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Comune di Roma hanno agito violando le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, omettendo la dovuta considerazione della particolare situazione di cui erano divenute titolari le società costruttrici degli immobili, sia per quanto concerne l’intervenuta stipula dei contratti di locazione, sia per quanto riguarda la legittimità dell’attività edilizia intrapresa ». La soluzione è sicuramente da apprezzare per aver riconosciuto significativa rilevanza al principio, di derivazione comunitaria, del legittimo affidamento 2 ma appare troppo drastica nella 1 Si veda al riguardo Cons. Stato, Sez. IV, 19 dicembre 2003, n. 8364, in Foro amm., 2003, p. 3651; Cons. Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 551, ivi, 2005, p. 366; Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 45, in Cons. Stato, 2005, p. 31, ove si legge: « La responsabilità patrimoniale della pubblica Amministrazione, pur quando si ricolleghi all’illegittimo esercizio di funzioni amministrative, implica, secondo i principi di diritto comune in tema di illecito, un’autonoma indagine circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, posto che questa non è insita nel mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa e richiede piuttosto un accertamento puntuale in ordine al rispetto delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che devono ispirarne la condotta »; Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, in Urb. e appalti, 2001, p. 757, secondo cui « Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge e ciò a garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il danno ingiusto), è indispensabile che sia accertata la colpa o il dolo dell’Amministrazione, che sia accertata l’esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un nesso causale tra l’illecito e il danno subito ». 2 Il principio di tutela dell’affidamento rientra tra i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario ed è espressamente annoverato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2001, adesso inserita nel testo del Trattato Costituzionale. Esso è altresì riconosciuto tra i principi fondamentali dell’azione amministrativa nell’articolo 1, primo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 recante « Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi », come risultante a seguito 1

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La responsabilità della pubblica Amministrazione per violazione dei principi generali di tutela dell’affidamento. SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I presupposti dell’illecito civile. In particolare, l’elemento soggettivo della pubblica Amministrazione. - 3. La natura giuridica della responsabilità della pubblica Amministrazione e la sua incidenza in ordine alla quantificazione del danno risarcibile. - 4. Il risarcimento in via equitativa e i criteri di determinazione del danno. - 4.1. Il concorso colposo del danneggiato nella determinazione del danno. 1. Premessa.

La decisione che si annota è di particolare interesse in quanto fornisce alcuni criteri fondamentali in tema di presupposti dell’illecito civile e natura giuridica della responsabilità per danni della pubblica Amministrazione.

La fattispecie dedotta in giudizio riguarda la domanda, proposta dalle società appellanti, volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittimità, definitivamente accertata dal giudice amministrativo, sia della nota del 24 gennaio 1994, con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha revocato l’originario atto di assenso ai contratti di locazione futura, stipulati tra le predette società e il Ministero della Salute, di un complesso immobiliare in corso di costruzione e destinato a sede del dicastero, sia dell’ordinanza n. 19515 del 15 maggio 1994, con cui il Comune di Roma, proprio in conseguenza di tale diniego, ha sospeso i lavori di costruzione degli immobili, per i quali aveva già rilasciato regolare licenza edilizia.

La Quarta Sezione, pur condividendo l’indirizzo giurisprudenziale1 secondo cui dall’annullamento dell’atto amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda risarcitoria, occorrendo la dimostrazione del danno patrimoniale, del nesso eziologico con il provvedimento annullato e della colpa dell’Amministrazione, è dell’avviso che, nel caso di specie, sussistano tutti i presupposti dell’illecito civile e che dall’annullamento dei su citati provvedimenti sia derivato alle società costruttrici e locatrici un danno patrimoniale e ingiusto, ricollegabile soggettivamente, a titolo di colpa, alle Amministrazioni che hanno adottato i provvedimenti stessi. Il Consiglio di Stato, infatti, afferma che: « la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Comune di Roma hanno agito violando le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, omettendo la dovuta considerazione della particolare situazione di cui erano divenute titolari le società costruttrici degli immobili, sia per quanto concerne l’intervenuta stipula dei contratti di locazione, sia per quanto riguarda la legittimità dell’attività edilizia intrapresa ».

La soluzione è sicuramente da apprezzare per aver riconosciuto significativa rilevanza al principio, di derivazione comunitaria, del legittimo affidamento2 ma appare troppo drastica nella

1 Si veda al riguardo Cons. Stato, Sez. IV, 19 dicembre 2003, n. 8364, in Foro amm., 2003, p. 3651; Cons. Stato,

Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 551, ivi, 2005, p. 366; Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 45, in Cons. Stato, 2005, p. 31, ove si legge: « La responsabilità patrimoniale della pubblica Amministrazione, pur quando si ricolleghi all’illegittimo esercizio di funzioni amministrative, implica, secondo i principi di diritto comune in tema di illecito, un’autonoma indagine circa la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, posto che questa non è insita nel mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa e richiede piuttosto un accertamento puntuale in ordine al rispetto delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione che devono ispirarne la condotta »; Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, in Urb. e appalti, 2001, p. 757, secondo cui « Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge e ciò a garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il danno ingiusto), è indispensabile che sia accertata la colpa o il dolo dell’Amministrazione, che sia accertata l’esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un nesso causale tra l’illecito e il danno subito ».

2 Il principio di tutela dell’affidamento rientra tra i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario ed è espressamente annoverato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2001, adesso inserita nel testo del Trattato Costituzionale. Esso è altresì riconosciuto tra i principi fondamentali dell’azione amministrativa nell’articolo 1, primo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 recante « Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi », come risultante a seguito

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parte in cui sembra ritenere che, al fine dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la violazione di tale principio possa addirittura sostituire la prova del danno da parte delle società appellanti.

2. I presupposti dell’illecito civile. In particolare, l’elemento soggettivo della pubblica Amministrazione.

La profonda trasformazione della pubblica Amministrazione e i sensibili cambiamenti dei suoi rapporti con i cittadini hanno determinato l’affermarsi, nel nostro ordinamento, della responsabilità dei soggetti pubblici come principio di civiltà giuridica, segno di una progressiva evoluzione della coscienza sociale3.

Tale evoluzione è continuata in modo incessante, grazie soprattutto alle riforme legislative degli ultimi anni4 e al superamento della tesi della irrisarcibilità degli interessi legittimi quale corollario della tradizionale lettura dell’articolo 2043 c.c.5.

delle modifiche introdotte dalla recente legge 11 febbraio 2005, n. 15. Tale articolo stabilisce che: « L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario». Sul punto si vedano i rilievi di V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della legge n. 241/1990 - I parte, in www.giustamm.it, Riv. Internet di dir. pubbl., 2005, p. 3 e ss., secondo cui tra i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e che, quindi, determinano le modalità di esercizio dell’attività amministrativa, due risultano di particolare interesse in quanto almeno parzialmente innovativi: il principio di proporzionalità e il principio di legittima aspettativa (legitimate expectation).

3 E’ questo il pensiero espresso già da M. NIGRO, Introduzione, in La responsabilità per lesione di interessi legittimi. Tavola rotonda (Roma, aprile 1982), in Foro amm., 1982, p. 1671 e ss., secondo cui: « Il primo punto è la profonda trasformazione dell’Amministrazione e dei rapporti fra Amministrazione e cittadini. Mi riferisco soprattutto alla pluralizzazione dell’Amministrazione ed alla influenza che essa ha proprio sulla concezione e sul tono dell’Autorità. Si ha l’impressione che almeno alcune di quelle difficoltà siano legate, più di quanto forse non appaia, proprio ad una concezione metafisica dell’Autorità e che, caduta questa, debba cadere anche il diaframma che impedisce la totale apertura della nuova strada. Il secondo punto mobile, il più mobile di tutti, viene fatto di dire, sta nella teoria stessa dell’interesse legittimo e nel travaglio che impegna dottrina e giurisprudenza nella definizione e nella comprensione di questa ancora misteriosa e tormentata figura ». Si veda anche l’immagine tracciata da F. BENVENUTI, Il nuovo cittadino, tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 1994.

4 Com’è noto, la riforma della giustizia amministrativa trova origine negli articoli 33-35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, « Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle Amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanata in attuazione dell’articolo 11, comma 4, delle legge 15 marzo 1997, n. 59 » e viene successivamente confermata e ampliata dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, « Disposizioni in materia di processo amministrativo ». L’elemento di novità più evidente è l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie patrimoniali consequenziali all’azione di annullamento, ivi compreso il risarcimento dei danni ingiusti cagionati da lesione di interessi legittimi. Il riferimento è alla modifica del primo periodo del terzo comma dell’articolo 7 della legge istitutiva dei T.A.R., ad opera dell’articolo 7, comma 4, della recente legge.

L’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione sul risarcimento del danno può anche comportare una « perdita di specificità » (così A. ROMANO, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa dopo la l. n. 205 del 2000. Epitaffio per un sistema, in Dir. proc. amm., 2001, p. 630) ma impone di riconsiderare il sistema della giustizia amministrativa, che ne risulta radicalmente trasformato. Questa circostanza rende di insostituibile ausilio il contributo della elaborazione dottrinale per la riconduzione a sistema delle nuove previsioni normative. Al riguardo, si vedano G. BACOSI, La lesione dell’interesse legittimo risarcita dal giudice amministrativo: il legislatore rende al TAR quanto la Cassazione gli aveva apparentemente sottratto, in www.giust.it, Riv. Internet di dir. pubbl., 2000; M. CLARICH, Introduzione. La riforma del processo amministrativo in Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), Appendice al tomo IV, Milano, 2001, p. 1 e ss.; A. ROMANO TASSONE, I problemi di un problema. Spunti in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, in Dir. amm., 1997, p. 39.

5 Il tema della responsabilità della pubblica Amministrazione si intreccia in modo indissolubile con il dibattito intorno all’ammissibilità o meno di assicurare la risarcibilità dei danni cagionati da lesione di interessi legittimi. Tale dibattito ha interessato gli studiosi del diritto amministrativo per tutta la seconda metà del secolo scorso e ha posto le basi per la stessa possibilità di poter oggi discorrere di un’azione di condanna della pubblica Amministrazione al risarcimento di tutti i danni ingiustamente causati dalla stessa, indipendentemente dalla natura della situazione giuridica soggettiva lesa. E’ dunque opportuno ripercorrere le tappe dell’insegnamento dottrinario e dell’apporto

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E’ noto che il nuovo orientamento giurisprudenziale è stato inaugurato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 19996 che, attraverso una interpretazione costituzionalmente

giurisprudenziale per delineare l’attuale contesto storico ordinamentale. A tal fine, si vedano gli scritti di F.G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, p. 13 e ss.; ID., Per un’amministrazione responsabile, in Giur. cost., 1999, p. 4045 e ss; E. FOLLIERI, La tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Profili ricostruttivi, con riferimento al D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, in Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, vol. II del Trattato di diritto amministrativo (diretto da G. Santaniello), Padova, 1999, p. 139 e ss.

Il nuovo corso giurisprudenziale è stato caratterizzato dall’abbandono della tradizionale opera di riconduzione delle situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo sotto il manto sempre più ampio del diritto soggettivo, onde consentirne la risarcibilità. Per una rassegna della giurisprudenza sul tema si rinvia a M. ANTONUCCI, Rassegna della giurisprudenza della Cassazione sul tema « la risarcibilità degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi », in Riv. amm., 1999, I, p. 747 e ss.

6 Lo sforzo ricostruttivo, operato dalla sentenza della Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 (in Foro it., 1999, I, p. 2487), è senz’altro utile ma costituisce solo un punto di partenza, non prestandosi a dare una soluzione a tutte le ipotesi di responsabilità della pubblica Amministrazione. E’ da ricordare che la Corte di Cassazione aveva preannunciato una imminente rimeditazione del tema già con la sentenza Cass., Sez. I, 3 maggio 1996, n. 4083, in Danno e resp., 1996, con nota di S. PALMIERI, Lesione degli interessi legittimi: la Cassazione alle soglie di una svolta epocale? e che nella sentenza Cass., Sez. Un., 5 marzo 1993, n. 2667, in Foro it., 1993, I, p. 3062 e ss., già si parlava di « una linea di tendenza diretta alla introduzione della tutela risarcitoria degli interessi legittimi ».

Sulla sentenza della Cassazione n. 500 del 1999, i contributi della dottrina sono numerosi: A. DI MAJO, Il risarcimento degli interessi « non più solo legittimi », in Corr. giur., 1999, p. 1376; M. PROTTO, E’ crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale?, in Urb. e app., 1999, p. 1067; F.G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, cit., p. 13; G. ALPA, Il « revirement » della Corte di Cassazione sulla responsabilità per la lesione di interessi legittimi, in Nuova giur. civ., 1999, II, p. 373; : G. ALPA, M. SANINO, P. STELLA RICHTER, Prime riflessioni sulla sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite relativa alla risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, in Giust. civ., 1999, II, p. 427; G. VISINTINI, « Obiter dicta » e nuove direttive delle Sezioni Unite in tema di danno ingiusto connesso alla lesione di interessi legittimi, in Corr. giur., 1999, p. 386; M.A. SANDULLI, Dopo la sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite: appunti sulla tutela risarcitoria nei confronti della pubblica Amministrazione e sui suoi riflessi rispetto all’arbitrato, in Riv. arbitrato, 2000, p. 65; L. TORCHIA, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam, in Gior. dir. amm., 1999, p. 832; B. DELFINO, La fine del dogma dell’irrisarcibilità dei danni per lesione di interessi legittimi: luci ed ombre di una svolta storica, in Dir. proc. amm., 1999, p. 2007; G. CORSO, Intervento, al Convegno La tutela risarcitoria delle situazioni soggettive alla luce della recente sentenza della Cassazione (Roma, novembre 1999), in Riv. giur. quad. pubbl. servizi, 2000, p. 47; V. CARBONE, La Cassazione apre una breccia nella irrisarcibilità degli interessi legittimi, in Corr. giur., 1999, p. 1061; R. CARANTA, Responsabilità per lesione di interessi legittimi, in Resp. civ., 1999, p. 930; G. DUNI, Interessi legittimi, risarcimento del danno e doppia tutela. La Cassazione ha compiuto la rivoluzione, in Riv. amm., 1999, p. 767; F. SATTA, La sentenza n. 500 del 1999: dagli interessi legittimi ai diritti fondamentali, in Giur. cost., 1999, II, p. 3233; A. ROMANO, Sono risarcibili: ma perché devono essere interessi legittimi?, in Foro it., 1999, I, p. 3222; A. ORSI BATTAGLINI e C. MARZUOLI, La Cassazione sul risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e morte dell’interesse legittimo, in Dir. pubbl., 1999, p. 487; S. TARULLO, Le prospettive risarcitorie del danno « ingiusto » cagionato dalla pubblica amministrazione tra il d.leg. 80/98 e la sentenza delle sezioni unite 500/SU/99, in Riv. amm., 1999, p. 597; F. FRACCHIA, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all’affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte lascia aperti alcuni interrogativi, in Foro it., 1999, I, p. 3212; A. LUMINOSO, Danno ingiusto e responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi nella sentenza 500/SU/99 della Cassazione, in Dir. pubbl., 2000, p. 55; L.V. MOSCARINI, La risarcibilità degli interessi legittimi: un problema tuttora aperto, in Contratti, 1999, p. 869; ID., Risarcibilità degli interessi legittimi e termini di decadenza, in Giur. it., 2000, p. 21; G. GRECO, Interesse legittimo e risarcimento dei danni: crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, p. 1126; F. TRIMARCHI BANFI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, p. 2000; C. VARRONE, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, in Verso il nuovo processo amministrativo, (a cura di V. Cerulli Irelli), Torino, 2000; ID., La sentenza delle sezioni unite della Cassazione in tema di risarcibilità degli interessi legittimi: alcuni equivoci da chiarire, in Giur. it., 2000, p. 1099; F. BILE, La sentenza n. 500/SU del 1999 delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Resp. civ., 1999, p. 897; E. NAVARRETTA, Forma e sostanza dell’interesse legittimo nella prospettiva della responsabilità, in Danno e resp., 1999, p. 949; M.R. MORELLI, Le fortune di un « obiter dictum »: crolla il muro virtuale della irrisarcibilità degli interessi legittimi, in Giust. civ., 1999, I, p. 2274; S. GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è in coltivazione, in Il sistema della giustizia amministrativa dopo il decreto legislativo n. 80/98

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orientata delle norme vigenti e, più in generale, dando seguito all’influenza del diritto comunitario in materia7, supera le dispute sul concetto di « danno ingiusto » e afferma la risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi ove ricorrano: un concreto ed effettivo pregiudizio per il ricorrente, l’ingiustizia del danno, l’elemento soggettivo della colpa o del dolo dell’Amministrazione intesa come « apparato » e il nesso di causalità tra il danno cagionato e la condotta dell’Amministrazione.

Uno dei tratti maggiormente innovativi di tale sentenza riguarda l’elemento soggettivo della fattispecie illecita. La Suprema Corte, infatti, grazie ad una lettura estensiva dell’articolo 2043 c.c., si discosta dal precedente e consolidato orientamento, secondo cui si riconosceva, in capo alla pubblica Amministrazione, la colpa in re ipsa per il solo fatto dell’esecuzione volontaria di un atto amministrativo illegittimo, e afferma che l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto pubblico costituisce componente essenziale per la sussistenza dell’illecito da illegittimo esercizio della funzione amministrativa8.

e la sentenza delle sezioni unite della Cassazione, in Cons. Stato, 1999, II; V. CAIANIELLO, Postilla in tema di riparto fra le giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 1999, p. 2007.

7 Precludere al cittadino la possibilità di ottenere il giusto ristoro in caso di lesione di interessi legittimi significa inevitabilmente porre in stato di inferiorità, sul piano della tutela, l’interesse legittimo rispetto al diritto soggettivo. Tutto questo in contrasto con il dettato costituzionale -in particolare con gli art. 2, 3, 24, 103, 113 Cost.- secondo cui il contenuto della tutela giuridica per gli interessi legittimi deve essere lo stesso di quello garantito ai diritti soggettivi. Si veda in tema di equiparazione della tutela giurisdizionale tra le due posizioni soggettive, diritto soggettivo e interesse legittimo, F.G. SCOCA, Riflessioni sui criteri di riparto delle giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 1989, p. 582. L’Autore, in un’ altra opera, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, sottolinea la « pari dignità » costituzionale di diritto soggettivo e interesse legittimo (p. 13) e l’insoddisfacente livello di protezione giuridica in cui versa quest’ultima situazione giuridica soggettiva (p. 47): « Poiché alla figura dell’interesse legittimo è connesso, nell’ordinamento italiano, il nucleo centrale del sistema delle tutele dei privati nei confronti dei poteri pubblici, si può affermare che il mancato perfezionamento della tutela dell’interesse legittimo è anche (indice della) ridotta ed incompleta tutela dei privati nei confronti della Amministrazione pubblica ». Concorda con tale impostazione A. POLICE, La tutela del consumatore nel processo amministrativo, in Riv. giur. quadrim. pubbl. serv., 1999, p. 39, n. 2, il quale osserva che diritti ed interessi sono stati posti dal Costituente sullo stesso piano, a nulla rilevando che -in linea di principio- la loro tutela sia stata affidata a giurisdizioni differenti. Ed infatti la Suprema Corte, nella sentenza n. 500 del 1999, annovera tra le ragioni che l’hanno indotta a riconsiderare il proprio precedente orientamento « le perplessità più volte espresse dalla Corte costituzionale circa l’adeguatezza della tradizionale soluzione fornita all’arduo problema » e ricorda espressamente la sentenza della Consulta n. 35 del 1980 e l’ordinanza n. 165 del 1998.

Inoltre, la sentenza della Cassazione fa riferimento alla « spinta dell’ordinamento comunitario » e al superamento di quel carattere occasionale delle previsioni normative introdotte nell’ordinamento nazionale per il recepimento di norme o di generalissimi principi di matrice comunitaria. L’obiettivo è quello di dare attuazione al processo di armonizzazione del nostro sistema di tutela giurisdizionale con quello dell’ordinamento dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Si veda, sul punto, V. CAPUTI JAMBRENGHI, Diritto amministrativo e diritto comunitario. Riflessioni nella tutela risarcitoria degli interessi legittimi, in Scritti in onore di F. Benvenuti, vol. I, Modena, 1996, p. 485 e ss. e C. CONTALDI LA GROTTERIA, Diritti soggettivi ed interessi legittimi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia CE: spunti di riflessione alla luce della sentenza Cass. SS.UU., n. 500/99, in Riv. amm., 1999, I, p. 725 e ss.

8 La Cassazione, al punto 11, lett. d), della sentenza n. 500 del 1999 afferma che: « l’imputazione non potrà quindi più avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, ma il giudice dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione della normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferirsi ai parametri della negligenza o imperizia), ma della pubblica Amministrazione intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice (ordinario) può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni della discrezionalità ». Come sostenuto dalla migliore dottrina, le vere ragioni della svolta della Suprema Corte sono da ravvisare nella necessità di creare un argine alla responsabilità della pubblica Amministrazione. In altri termini, visto che viene ampliata la sfera di responsabilità dell’Amministrazione mediante l’estensione del concetto di danno ingiusto, determinando un’estensione notevole dal punto di vista finanziario, occorre recuperare sul piano dell’elemento soggettivo ciò che si cede sotto il profilo dell’elemento oggettivo, richiedendo un rigoroso accertamento della colpa.

Parla di intento di creare « una rete di contenimento » della responsabilità della pubblica Amministrazione F.D. BUSNELLI, Lesione di interessi legittimi: dal mero sbarramento alla rete di contenimento, in Danno e resp., 1997, p.

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Il tema dell’elemento soggettivo dell’illecito si intreccia con l’insegnamento dottrinale volto a

realizzare, in ambito amministrativo, la trasposizione dei principi civilistici, primo fra tutti quello di buona fede, al fine di garantire le situazioni giuridiche coinvolte nell’esercizio dell’attività amministrativa e tutelare l’affidamento del privato9. Si fa strada la convinzione che le scelte dell’Amministrazione incontrano un limite nelle situazioni giuridiche costituite per effetto di una scelta discrezionale pregressa e, di conseguenza, l’eventuale colpa della pubblica Amministrazione va accertata non solo in base alla misura della difformità dai parametri normativi che governano l’esercizio del potere amministrativo ma, in particolar modo, con riguardo alla sua attitudine a pregiudicare gli affidamenti dei privati10.

Il Consiglio di Stato, nella decisione che si annota, accoglie questa prospettiva e ritiene che tanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri tanto il Comune di Roma abbiano agito colposamente

269. L’espressione è utilizzata anche da F.G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, cit., p. 16, il quale evidenzia come non vi sia affatto bisogno di una rete di contenimento ove si ponga mente non all’ingiustizia ma al danno.

Dottrina e giurisprudenza hanno criticato il criterio elaborato dalla Cassazione in tema di accertamento dell’elemento soggettivo perché farebbe residuare ampi margini di opinabilità. Innanzitutto si evidenzia la difficoltà di attribuire un fattore soggettivo ad un « apparato » e, poi, si sottolinea che la ricerca della violazione dei canoni di imparzialità e buona amministrazione non sempre fornisce una sicura linea guida e piuttosto collega l’esistenza della colpa a parametri vaghi ed evanescenti. Secondo A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice amministrativo, Padova, 2001, vol. II, p. 251, « Non si può negare qualche perplessità su tale parte della motivazione della Corte che, sul punto, espressamente smentisce la propria giurisprudenza passata ». Al riguardo, si veda anche R. CARANTA, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it., 1999, I, p. 3201, che ricorda come la giurisprudenza della Cassazione « se non pacifica, era sufficientemente consolidata nel riscontrare la colpa in re ipsa nel fatto di dare esecuzione volontaria ad un atto amministrativo illegittimo ». Dello stesso avviso è F.G. SCOCA, Per un’amministrazione responsabile, cit., p. 4051, secondo il quale la motivazione della sentenza sul punto « non appare completa, e comunque non sembra convincente ». In giurisprudenza è interessante quanto affermato da Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, cit., secondo cui la tesi sostenuta dalla sentenza n. 500/99 della Cassazione con riguardo all’elemento soggettivo non convince in quanto, per un verso, rimane ad un livello di inevitabile astrazione, per altro, non tiene conto del fatto che la violazione dei limiti esterni alla discrezionalità comporta l’illegittimità dell’atto per eccesso di potere, sicchè l’accertamento dell’elemento psicologico finisce per limitarsi ad una indagine di natura esclusivamente oggettiva.

9 Il tema riguardante i limiti entro cui applicare anche alla pubblica Amministrazione le regole civilistiche sul rispetto dei generali doveri di buona fede e correttezza è particolarmente controverso, come dimostrano recenti arresti decisamente contrari a tale applicazione. Come esempio, si veda la criticata decisione del Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6389, in Dir. proc. amm., II, 2003, p. 1240 e ss., con nota di B. LUBRANO, Risarcimento del danno e violazione dei doveri di buona fede, secondo cui: « Buona fede e correttezza sono (…) parametri propri ed esclusivi dell’autonomia privata e risultano di per sé speculari al potere riconosciuto al solo giudice civile di intervenire sul regolamento di interessi posto in essere tra i contraenti o che gli stessi avrebbero dovuto porre in essere, al fine di valutare la misura entro cui la relativa disciplina è meritevole di protezione da parte dell’ordinamento positivo ». Si vedano anche le considerazioni espresse da E. CASETTA, Buona fede e diritto amministrativo, Relazione al convegno internazionale di studi in onore del prof. Alberto Burdese (Padova-Treviso-Venezia, 14-16 giugno 2001), che sottolinea le inevitabili forzature derivanti dal calare in una realtà complessa e specifica, come quella del diritto amministrativo, istituti nati nel ben diverso contesto del codice civile, sul presupposto - precisa l’Autore - che le regole dettate dal codice civile debbano essere quelle davvero generali. In tal senso anche F. BENVENUTI, Per un diritto amministrativo paritario, in AA. VV., Studi in memoria di Enrico Guicciardi, Padova, 1975, p. 845 e ss.; M. NIGRO, L’amministrazione tra diritto pubblico e diritto privato: a proposito di condizioni legali, in Foro it., 1961, I, p. 462 e ss. Sull’applicabilità del principio di buona fede, F. MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995.

10 In tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, in Foro it., 2002, III, p. 1 e ss. Va segnalata anche una sentenza del Trib. Voghera, 11 gennaio 1996, in Corr. giur., 1996, p. 1153 e ss., con commento di F. CARINGELLA, in cui si sostiene che l’attività amministrativa discrezionale appare caratterizzata, più che dalla tradizionale comparazione di interessi primari e secondari, dalla « tendenziale conservazione delle posizioni acquisite dal privato, in forma della precedente sistemazione degli interessi, cosicché i diritti acquisiti costituirebbero un limite alla nuova determinazione discrezionale della pubblica Amministrazione ». Nella motivazione della sentenza, quindi, il principio di buona fede trova piena attuazione come parametro di valutazione del comportamento dell’Amministrazione, a garanzia delle situazioni giuridiche del privato.

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attraverso una serie di atti che, dichiarati illegittimi dal giudice amministrativo, hanno tradito l’affidamento, precedentemente ingenerato nei privati, alla costruzione e alla locazione del complesso immobiliare destinato a sede del Ministero della Salute. Ne deriva, quindi, una condotta illecita dei soggetti pubblici coinvolti nella vicenda, in ragione dell’incidenza dell’azione amministrativa sul diritto dei privati ad un comportamento corretto e conforme a buona fede11. Si legge, infatti, che: « anche a non voler ammettere una presunzione di colpa in capo all’Amministrazione per il solo fatto dell’annullamento giurisdizionale di un suo provvedimento, ciò che rileva, ai fini della sussistenza dei presupposti dell’illecito civile, non è il provvedimento in sé considerato (il cui annullamento, in quanto tale, non può essere considerato sintomatico sotto il profilo dell’elemento soggettivo dell’illecito), quanto piuttosto il comportamento tenuto dall’Amministrazione; sussiste, pertanto, illecito civile laddove detto comportamento sia caratterizzato dal coattivo o dall’omesso apprezzamento dei fatti e degli atti, dall’erronea valutazione delle normative applicabili al caso di specie, dalla carenza di ogni valutazione degli interessi privati coinvolti nella vicenda, contribuendo così alla formazione (ed alla successiva esternazione) di una volontà provvedimentale risultata viziata, in quanto non conforme ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa che, nell’ambito dei rapporti intersoggettivi privatistici, si configura come violazione di principi di buona fede in materia contrattuale e del neminem laedere ».

La ricostruzione della responsabilità dell’Amministrazione in termini di responsabilità derivante dalla violazione degli obblighi imposti a presidio dell’affidamento del privato se, da un lato, è meritoria laddove, nei procedimenti di autotutela, si traduce nella affermazione che una situazione di vantaggio, assicurata al privato da uno specifico atto amministrativo, non può essere successivamente rimossa in ragione di motivi di interesse pubblico12, dall’altro, non può però comportare il venir meno della concreta valutazione circa la sussistenza e la materiale quantificazione del pregiudizio subito dal ricorrente, che costituisce momento centrale dell’accertamento giudiziale.

In altri termini, l’azione di risarcimento del danno, così come prevista dal nostro ordinamento giuridico, oltre all’accertamento dell’ingiustizia, determinata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva da parte di un atto, di un comportamento o di una condotta della pubblica

11 In considerazione delle tendenze evolutive dell’ordinamento amministrativo, sempre più connotato da una

dequotazione della posizione autoritativa dell’Amministrazione e dal corrispondente riconoscimento in capo al privato di posizioni soggettive che evocano insistentemente la nozione, di derivazione civilistica, del diritto all’affidamento nella altrui correttezza comportamentale, un recente studio dell’Università di Oxford affronta la questione della protezione degli affidamenti suscitati nei privati dal potere amministrativo. Al riguardo, si veda D. DE PRETIS, Recensione a: S. SCHØNBERG, Legitimate Expectations In Administrative Law, Oxford University Press, Oxford, 2000, in Dir. pubbl., 2001, p. 1191 e ss. Si veda anche G.M. RACCA, Principio di correttezza e responsabilità della pubblica amministrazione, in Servizi pubblici e appalti, n. 1, 2003, la quale ritiene che il principio di correttezza deve informare il comportamento degli « apparati » delle pubbliche Amministrazioni nei loro rapporti con i privati, cittadini e organizzazioni complesse, e che la sua inosservanza determina responsabilità e risarcimento del danno, consentendo così di legarlo ai valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e farlo assurgere a principio istituzionale del comportamento della pubblica Amministrazione.

12 Così V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della legge n. 241/1990 - I parte, cit., p. 4, il quale ritiene che: « La particolare considerazione dei vested rights mostra come il principio di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici tende a prevalere, in determinati casi, su quello di legalità. Atti dell’autorità anche se illegittimi possono aver prodotto nei destinatari un affidamento circa i vantaggi loro assicurati, in relazione alle circostanze di fatto e di diritto nell’ambito delle quali l’autorità ha operato; affidamento che non può essere sacrificato in ragione di motivi di interesse pubblico ».

In merito al dibattito sui limiti della revocabilità degli atti amministrativi, che la giurisprudenza riconosce quando siano insorti diritti a favore di terzi ovvero quando si sia costituito un affidamento particolarmente intenso del destinatario, si veda M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, p. 601; A. CORPACI, Revoca e abrogazione del provvedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., XIII, 1997, p. 331; M. IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999, p. 62 e ss.; F. PAPARELLA, Revoca (diritto amministrativo), in Enc. dir., XL, Milano, 1988, p. 204 e ss.

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Amministrazione, presuppone la verifica che tale ingiustizia sia causa di un effettivo pregiudizio, la cui prova, sia in ordine all’an sia con riguardo al quantum, deve essere fornita dalla parte ricorrente13.

La Quarta Sezione, invece, nel caso di specie, ponendo l’attenzione soltanto sul comportamento dell’ Amministrazione statale e dell’Amministrazione comunale, colposo per non aver debitamente considerato la posizione delle società costruttrici e locatrici, sembra limitarsi all’accertamento dell’ingiustizia, mancando un esame in ordine alla causazione e alla estensione del pregiudizio alla luce di quanto allegato dalle parti appellanti14. Inoltre, in diversi punti della decisione in commento, è lo stesso Collegio ad affermare che le società ricorrenti non hanno fornito alcuna allegazione in ordine all’effettività del danno subito. Ne deriva che, la conclusione a cui giunge il Consiglio di Stato fa riflettere nella parte in cui, richiamando espressamente la lesione, ad opera del soggetto pubblico, dell’affidamento ingenerato nel privato, riconosce il risarcimento del danno a favore delle società costruttrici e locatrici senza curarsi della mancanza di una prova piena e completa del danno lamentato e dando cittadinanza ad una tutela delle posizioni private molto più forte di quanto si riscontra nella giurisprudenza tradizionale15.

13 Al riguardo, si vedano i rilievi di A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice

amministrativo, cit., p. 272, secondo cui: « Se (…) la lesione di una situazione giuridica soggettiva da parte di un atto (comportamento o condotta) della pubblica Amministrazione è di per se stessa ingiusta, ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ., ne segue che bisognerà accertare (non se essa sia in astratto meritevole di tutela risarcitoria, ma piuttosto) se da tale ingiustizia derivi o a tale ingiustizia si accompagni un concreto ed effettivo pregiudizio. La violazione di norme procedimentali, ad esempio, può essere sicuramente lesiva di una situazione giuridica soggettiva e come tale essa è indubitabilmente ingiusta; ciò nonostante essa non dovrà (né potrà) essere risarcita se il titolare di quella situazione giuridica soggettiva non sia in grado di dimostrare che da quella ingiusta lesione derivi un concreto ed effettivo pregiudizio, talchè si possa parlare di danno ingiusto. E ciò è quanto accade, del resto, anche nelle ipotesi di lesione dei diritti soggettivi. Anche in quel caso, infatti, non sarà sufficiente l’indagine sulla effettiva violazione o lesione di quella situazione giuridica soggettiva, ma occorrerà valutare se (ed in che misura) a tale violazione si accompagni un danno ».

14 Accertati gli elementi costitutivi della responsabilità, al fine di ottenere il risarcimento, occorre la prova del danno. Sarà la prova del danno a definire la consistenza della responsabilità, poiché taluni comportamenti possono non aver recato danni, ovvero può non essere possibile fornirne la prova. In tal senso, G.M. RACCA, Gli elementi della responsabilità della pubblica amministrazione e la sua natura giuridica, in Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo ( a cura di R. Garofoli, G.M. Racca, M. De Palma), Milano, 2003, p. 203 e ss.

In giurisprudenza, si veda Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945, ove si sostiene che il Consiglio di Stato non può ignorare che, alla stregua del generale principio dell’onere della prova, chi deduce di aver subito un danno deve fornire la prova dello stesso, tanto con riguardo all’an tanto con riguardo al quantum. Tale decisione richiama Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2002, n. 6393, secondo cui, con specifico riguardo alla quantificazione del pregiudizio ristorabile, la individuazione presuntiva della perdita di possibilità alternative, mediante l’applicazione dell’art. 345 della legge n. 2248 del 1865, all. F, e dell’art. 122 del D.P.R. n. 544 del 21 dicembre 1999, non prescinde dalla necessità di fornire un principio di prova in ordine a tale perdita di possibilità alternative; il criterio indicato, quindi, non è invocabile allorché il ricorrente non abbia fornito neanche un principio di prova in ordine alle opportunità alternative alle quali sostiene di aver rinunciato. Si veda, altresì, Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973, secondo cui, dal c.d. principio dispositivo attenuato dal metodo acquisitivo discende che sul ricorrente non grava « l’onere della prova », come accade nel processo civile, ma « l’onere del principio di prova », nel senso che egli è tenuto semplicemente a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte, potendo il giudice acquisire d’ufficio gli elementi probatori indicati dalle parti ovvero ritenuti comunque necessari. Laddove, però, tali elementi rientrino nella disponibilità del ricorrente, come accade nel giudizio risarcitorio, ove soprattutto (se non esclusivamente) l’istante è a conoscenza di quali danni ha subito ed è in possesso degli elementi idonei a provarli, il privato deve supportare la propria domanda dimostrando la sussistenza del danno medesimo, allegando e dimostrando in giudizio gli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria, come prescrive la regola civilistica di cui all’art. 2697 c.c., già ritenuta applicabile dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (tra tutte, si veda, Cons. Stato, Sez. V, n. 4239 del 2001).

15 La soluzione accolta dalla sentenza annotata, inoltre, ripropone i dubbi palesati in dottrina con riguardo alla eccessiva protezione assicurata agli interessi legittimi oppositivi. La tutela di tali interessi, infatti, potrà dirsi adeguata e proporzionata al pregiudizio in concreto subito dalla parte ricorrente, solo se subordinata alla valutazione della fondatezza della pretesa sostanziale vantata e provata dal ricorrente nei confronti della pubblica Amministrazione. Sul punto, si vedano i commenti di E. FOLLIERI, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti, 1984, p.

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Nella pronuncia in esame, poi, è respinta la tesi difensiva propugnata dal Comune di Roma, secondo cui, al fine di stabilire la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo della colpa, sarebbe stato necessario accertare, da una lato, se, in mancanza del diniego di assenso alla stipula dei contratti di locazione futura, adottato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, essi avessero ugualmente conseguito il visto e la registrazione, acquistando così la definitiva efficacia, e, dall’altro, quale provvedimento, in luogo della contestata ordinanza di sospensione dei lavori, avrebbe potuto essere adottato dal Comune. Il Consiglio di Stato è dell’avviso che: « l’accertamento della imputabilità soggettiva, a titolo di colpa, dei comportamenti tenuti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Comune di Roma, sfociati negli impugnati provvedimenti, deve essere condotta esclusivamente con riferimento a questi ultimi, a nulla rilevando gli atti diversi ed ulteriori che avrebbero potuto essere adottati, neanche al fine di provare una pretesa inesigibilità di un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto ».

Tali considerazioni devono essere analizzate alla luce del nuovo Capo IV bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, in tema di « Efficacia e invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso ». In particolare, rileva la disposizione di cui al secondo comma dell’articolo 21 octies che esclude l’annullabilità di quei provvedimenti amministrativi adottati in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, nei quali il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato16. Quindi, anche se, nella fattispecie di cui si tratta, il provvedimento di revoca alla stipula dei contratti di locazione futura e l’ordinanza di sospensione dei lavori di costruzione del complesso immobiliare sono già stati annullati dal giudice amministrativo, per stabilire se il soggetto che ha causato il danno è tenuto risarcirlo, non può dirsi definitivamente preclusa un’indagine volta a verificare se il Comune di Roma, nonostante l’atto di revoca della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si trovava nella possibilità di agire in maniera tale da impedire il prodursi del pregiudizio subito dalle società appellanti17.

80 e s.; R. CARANTA, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, cit., p. 3206; F. FRACCHIA, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all’affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della Suprema corte lascia aperti alcuni interrogativi, cit., p. 3212; G. CORSO, Validità (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XLVI, Milano, 1993, p. 84 e ss.; A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice amministrativo, cit., vol I, p. 246 e ss.; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2003, p. 486.

16 Il citato articolo 21 octies, sull’annullabilità del provvedimento, stabilisce che: « 1. E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ». La norma, nel primo comma, richiama i vizi che danno luogo all’annullabilità dei provvedimenti amministrativi, già previsti dall’articolo 26 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato; nel secondo comma, deroga alla disciplina generale dell’annullabilità, laddove stabilisce che questa è esclusa in determinati casi o a proposito di determinate fattispecie espressamente indicate. In tal modo, il legislatore affronta il problema, già emerso in dottrina e in giurisprudenza, dei vizi meramente formali dell’atto amministrativo che, pur comportando violazioni di norme di per se stesse cogenti, non danno luogo in concreto ad una situazione di invalidità del provvedimento adottato, perché questo, nel suo contenuto sostanziale, risponde ai parametri di legge. Nella previsione di cui alla prima parte del secondo comma, limitata nella sua applicabilità agli atti vincolati, sono comprese le tre categorie di violazioni formali già riscontrate dalla giurisprudenza: le anomalie di carattere minore o del tutto marginale, le violazioni che non hanno ostacolato il raggiungimento dello scopo della norma e quelle che non hanno influito sul contenuto dispositivo del provvedimento adottato e che non avrebbe potuto essere diverso.

17 La tradizione giuridica ha sempre considerato possibile la traslazione del danno dal danneggiato al danneggiante solo in presenza di determinate condizioni. Si può dire che il soggetto che ha causato il danno ad altro soggetto è tenuto a risarcirlo unicamente se era in suo potere impedire il prodursi del danno. Così G. ROMEO, Gli umori della giurisprudenza amministrativa in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 2003, p. 145.

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3. La natura giuridica della responsabilità della pubblica Amministrazione e la sua incidenza in ordine alla quantificazione del danno risarcibile.

La Quarta Sezione, nella decisione in commento, dopo aver riconosciuto che dai provvedimenti di revoca e di sospensione, adottati dalle Amministrazioni statali e comunali, è derivato un danno patrimoniale e ingiusto alle società costruttrici e locatrici, qualifica la natura della responsabilità civile, accertata in capo ai predetti soggetti pubblici, ricorrendo a diverse categorie giuridiche. L’illecito posto in essere dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri è ascritto a titolo di responsabilità precontrattuale, mentre l’ordine di sospensione dei lavori emesso dal Comune di Roma dà vita ad una responsabilità di tipo extracontrattuale.

Tali considerazioni offrono lo spunto per alcune riflessioni sulla natura giuridica della responsabilità della pubblica Amministrazione. Si tratta di un tema estremamente complesso, visto che all’illecito aquiliano, delineato dalla Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999, si affiancano e si contrappongono modelli alternativi che fanno capo alla responsabilità precontrattuale, di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c., o al nuovo istituto della responsabilità da contatto amministrativo qualificato, ascrivibile al genus della responsabilità contrattuale18.

La necessità di assicurare una tutela risarcitoria al privato, non solo nei casi in cui egli è direttamente leso da un provvedimento amministrativo illegittimo ma anche quando un proprio affidamento sia prima ingenerato e poi violato da comportamenti o atti dei soggetti pubblici, ha determinato il configurarsi di fattispecie di responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica Amministrazione19. Il richiamo alla culpa in contraendo evoca il dovere di comportarsi secondo

18 Si ricorda che con ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Siciliana, 8 maggio 2002, n.

267 (in Diritto e giustizia, n. 25, 2002, p. 47), è stata rimessa all’Adunanza plenaria la questione relativa alla qualificazione della natura giuridica della responsabilità della pubblica Amministrazione. La pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 14 febbraio 2003, n. 2 (in www.giust.it, Riv. Internet di dir. pubbl., 2003, con nota di G. BACOSI, Quale responsabilità per la p.a.? L’Adunanza, « tentata », (al momento) non risponde) non ha però risolto la questione, non entrando nel merito della controversia e dichiarando inammissibile il gravame perché le parti hanno impugnato solamente il capo « dipendente » della sentenza, concernente interessi e rivalutazioni, e non anche il capo « principale », concernente la natura giuridica dell’obbligo di risarcimento del danno.

19 Per un quadro generale della responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione, si veda M.S. GIANNINI, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, Milano, 1963, III, p. 263 e ss.; F. BENATTI, Brevi note sulla responsabilità precontrattuale della p.a., in Foro pad., 1962, I, p. 1357; ID., voce Responsabilità precontrattuale (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, vol. XVII, p. 9; A.M. MUSY, Responsabilità precontrattuale, in Dig. disc. priv., Torino 1995, p. 404; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2003, p. 572; E. LIUZZO, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, Milano, 1995; L. VACCARELLA, Atti prodromici alla conclusione del contratto e profili di responsabilità della pubblica amministrazione, in Riv. trim. app., 1990, p. 790 e ss.; G.M. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, 2000; ID., Giurisdizione esclusiva e affermazione della responsabilità precontrattuale della p.a., in Urb. e app., 2002, p. 199; A. RALLO, La responsabilità precontrattuale della p.a.: risarcimento o indennizzo?, in Foro amm. - Tar, 2002, p. 893; G. LEONE, Osservazioni sulla responsabilità precontrattuale della p.a. con particolare riguardo alle trattative svolte senza autorizzazione, in Giur. it, 1977, IV, p. 123 e ss.; G. PALMIERI, Nota minima in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Rass. avv. St., 1983, I, p. 864 e ss.; F. CARINGELLA, Responsabilità precontrattuale della p.a. a cavallo tra schemi privatistici e moduli procedimentali, in Corr. giur., 1996, p. 294 e ss.; G. STOLFI, Sulla culpa « in contrahendo » dell’amministrazione pubblica, in Riv. dir. comm., 1975, II; V. NOCCO, La responsabilità precontrattuale, in particolare quella della p.a., in Nuova rass., 1991, p. 1494 e ss.; T. LOTITO, Alcune osservazioni in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, in Urb. e app., 2001, p. 361; A. ZITO, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Riflessioni sulla tutela dell’interesse legittimo, Napoli, 2003, p. 190; V. MOLASCHI, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità contrattuale e responsabilità da contatto: la disgregazione dei modelli di responsabilità della pubblica amministrazione, in Foro it., 2002, III, p. 4 e ss.; G. CHINE’, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione nell’era della risarcibilità degli interessi legittimi, in Foro amm. - Tar, 2003, p. 797 e ss; G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova, 2003.

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buona fede che caratterizza il rapporto giuridico instauratosi tra Amministrazione e privato e che si traduce nell’obbligo di non recare danno alla controparte20. Non si tratta però della tradizionale responsabilità di diritto privato, applicabile alle trattative che preludono alla stipula del contratto, ma di una tutela dell’affidamento del cittadino dal comportamento specifico tenuto dall’Amministrazione nei suoi confronti per lo svolgimento di qualsiasi tipo di azione amministrativa21. Né è possibile operare una identificazione tra il modello sin qui delineato di responsabilità precontrattuale della pubblica Amministrazione e la c.d. responsabilità da contatto amministrativo qualificato perché, se entrambe valorizzano la sussistenza e le implicazioni del rapporto giuridico tra privato e soggetto pubblico, quest’ultima resta legata alla qualificazione di responsabilità per lesione di interessi legittimi22.

20 Come ricorda C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 2000, p. 156, la responsabilità

precontrattuale « non tutela l’interesse all’adempimento ma l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non stipulare contratti invalidi o inefficaci e a non subire coartazioni o inganni in ordine ad atti negoziali ».

21 Una completa analisi della tesi della responsabilità precontrattuale è svolta nel recente volume R. GAROFOLI, G.M. RACCA, M. DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, cit., p. 171 e ss., in cui la responsabilità dell’Amministrazione viene configurata come responsabilità per inadempimento degli obblighi di correttezza. E’ evidente che la correttezza cui è tenuta la parte pubblica sia qualcosa di più e di diverso di quella richiesta alla generalità dei privati, poiché, indubbiamente, rispetto al rapporto instaurato nelle trattative precontrattuali tra privati, « il rapporto che lega amministrazione e privato nel procedimento amministrativo è assai più ricco di contenuti, essendo l’amministrazione tenuta non solo a comportarsi secondo buona fede, ma anche a conformarsi ai principi di economicità, di efficacia, di pubblicità, di non aggravamento richiamati dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990. L’obbligazione di rispetto e protezione gravante sull’amministrazione è pertanto assai più articolata e pregnante di quella gravante sul contraente nella fase delle trattative precontrattuali ». Così F.G. SCOCA, Per un’amministrazione responsabile, cit., p. 4045. In dottrina, poi, non sono mancate letture tese a plasmare una figura di illecito precontrattuale che mutua elementi dal modello elaborato da Cass., n. 500 del 1999: è stata così avanzata la possibilità di applicazione diretta dell’art. 1337 c.c. sull’identificazione dell’interesse al bene della vita nell’interesse alla correttezza comportamentale della pubblica Amministrazione. Al riguardo, si veda F. BUSATTA, Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione dopo la sentenza 500/SU/99, in Urb. e app., 2000, p. 1255.

22 Le differenze tra la responsabilità precontrattuale e la responsabilità da contatto sono tracciate da R. GAROFOLI, G.M. RACCA, M. DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, cit., p. 194 e da R. CHIEPPA, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, in Dir. proc. amm., 2003, p. 708.

Secondo la tesi della responsabilità da contatto amministrativo qualificato, il privato instaura con la pubblica Amministrazione, a seguito dell’inizio del procedimento amministrativo, un « contatto » idoneo a configurare, se non un vero e proprio rapporto obbligatorio, un rapporto di fatto senza obbligo primario di prestazione, che differenzierebbe la sua posizione da quella del « passante » o del « chiunque », propria della tutela aquiliana. Nella giurisprudenza amministrativa, si rinvengono riferimenti alla teoria in esame in Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239, cit.; Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169, cit.; Cons. Stato, Sez. V, 8 luglio 2002, n. 3796, in Cons. Stato, 2002, I, p. 1534; Cass. civ., Sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in Foro it., 2003, I, p. 78; TAR Puglia-Bari, 17 maggio 2001, n. 1761, in Urb. e app., 2001, p. 1226; Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204, in Cons. Stato, 2003, I, p. 68, secondo cui: « Allorché il privato sia titolare di un interesse legittimo di natura pretensiva, il contatto che si stabilisce tra lui e l’Amministrazione dà vita ad una relazione giuridica di tipo relativo, nel cui ambito il diritto al risarcimento del danno ingiusto, derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi, presenta una fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano dell’articolo 2043 del codice civile, in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni ».

Sull’argomento, si veda, in dottrina, M. PROTTO, Responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi: alla ricerca del bene perduto, in Urb. e app., 2000, p. 985 e ss; C. CASTRONOVO, Responsabilità civile per la pubblica amministrazione, in Jus, 1998, p. 647 e ss.; V. MOLASCHI, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità contrattuale e responsabilità da contatto: la disgregazione dei modelli di responsabilità della pubblica amministrazione, cit., p. 7; G. BACOSI, Dall’interesse legittimo al diritto condizionato, Torino, 2003; V. CARBONE, Il giudice amministrativo adotta la responsabilità da contatto procedimentale, in Danno e resp., 2002, p. 183 e ss.; M. PASSONI, Responsabilità per contatto e risarcimento per lesione di interessi legittimi, in Urb. e app., 2001, p. 1211 e ss. Criticano la tesi della responsabilità da contatto, sollevando dubbi sul suo proficuo impiego nell’ambito della lesione di interessi procedimentali e sulla possibilità che la violazione di norme procedimentali faccia sorgere automaticamente una pretesa risarcitoria in capo al privato, lasciando in ombra la sorte del provvedimento conclusivo del procedimento,

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Integra un’ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1338 c.c., il comportamento posto in essere, nella fattispecie oggetto della sentenza annotata, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che, revocando l’assenso precedentemente prestato alla conclusione dei contratti di locazione futura, ne ha illegittimamente arrestato il procedimento per il definitivo perfezionamento, violando così tanto i principi di imparzialità e buon andamento, cui deve uniformarsi l’agire amministrativo, tanto l’interesse delle società appellanti all’efficacia e alla validità dei contratti già stipulati. Il Comune di Roma, invece, con l’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, ha violato il principio generale del neminem laedere per non aver valutato i fatti e gli atti già esistenti e, quindi, la responsabilità conseguente all’illecito cagionato ai privati è di tipo extracontrattuale23.

La differente ricostruzione giuridica della responsabilità civile in cui incorrono l’Amministrazione statale e quella comunale rileva in sede di quantificazione del danno risarcibile, perché, secondo la costante giurisprudenza, in caso di responsabilità precontrattuale, il risarcimento è riconosciuto nei limiti del c.d. interesse negativo, consistente nelle spese sostenute in previsione della conclusione del contratto e nelle perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni per concludere altri contratti, ugualmente o maggiormente vantaggiosi24. L’applicazione di tale

R. CHIEPPA, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit.; E. CASETTA - F. FRACCHIA, Responsabilità da contatto: profili problematici, in Foro it., 2002, III, p. 18; M. OCCHIENA, Partecipazione e tutela giurisdizionale, Relazione al convegno « La partecipazione negli enti locali: problemi e prospettive » (Copanello, 6-7 luglio 2001).

23 La soluzione favorevole alla tutela aquiliana dell’affidamento che il privato ha riposto sugli atti o sui comportamenti della pubblica Amministrazione presuppone una concezione della responsabilità aquiliana diversa da quella c.d. del passante, cioè della responsabilità di un qualsiasi soggetto che accidentalmente arreca danno ad altri. Infatti, l’ambito di applicazione della responsabilità extracontrattuale si è ampliato: alla semplice responsabilità del quisque de populo, che casualmente si trova a ledere diritti altrui, si sono aggiunte nuove fattispecie, come ad esempio quelle che si collegano alla violazione dei doveri derivanti dal proprio status professionale, in cui è evidente che il danno non è causato da un passante, ma è altrettanto evidente che il collegamento tra i due soggetti (danneggiato e danneggiante) è spesso ricostruibile solo ex post e comunque non fa nascere un vero e proprio rapporto obbligatorio, il cui inadempimento costituisce fonte di responsabilità contrattuale. Così R. CHIEPPA, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit., p. 714 e ss., il quale ritiene che la responsabilità della pubblica Amministrazione debba essere inquadrata all’interno della responsabilità extracontrattuale e che: « anche con riferimento all’affidamento, la responsabilità extracontrattuale non sembra lasciare vuoti di tutela e non serve quindi il richiamo, in via analogica, alla responsabilità precontrattuale ». Del resto, la responsabilità precontrattuale è ricondotta dalla giurisprudenza maggioritaria al genus di quella aquiliana, perché nasce come conseguenza della violazione della buona fede nel corso delle trattative ed è intesa come proiezione del neminem laedere. Per un approfondimento delle fattispecie che vengono oggi inquadrate nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, si veda A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, p. 198.

Se la responsabilità extracontrattuale scaturisce dalla violazione di norme di condotta che regolano la vita sociale e che impongono doveri di rispetto degli interessi altrui, a prescindere da una specifica pretesa creditoria, la responsabilità contrattuale presuppone l’esistenza di una precisa regola di condotta dei rapporti tra danneggiante e danneggiato, consacrata in un contratto o comunque in un preesistente rapporto obbligatorio e violata da una delle parti. Al riguardo, si veda C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. V, La responsabilità, Milano, 1994, p. 547. La riconduzione della responsabilità della pubblica Amministrazione all’una o all’altra categoria giuridica comporta rilevanti conseguenze dal punto di vista della disciplina applicabile con riferimento, in particolare, alla distribuzione tra le parti dell’onere di provare la colpa, al termine di prescrizione, alla quantificazione del danno risarcibile (limitato, nella responsabilità contrattuale, al solo danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione, salvo i casi di inadempimento doloso), al calcolo di interessi e rivalutazione.

24 Si trova un chiaro riferimento all’interesse contrattuale negativo (id quod interest contractus initus non fuisset) in Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457; Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2001, n. 4776; Cass., Sez. III, 18 gennaio 2000, n. 495; Cass., Sez. II, 26 maggio 1992, n. 6294; Cass., Sez. III, 10 ottobre 2003, n. 15172; Cass., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632; Cass., 10 ottobre 1962, n. 2919; Cass., 11 gennaio 1977, n. 93; Cass., 26 ottobre 1994, n. 8778; TAR Lazio, Sez. I-bis, 7 marzo 2002, n. 1768; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 31 luglio 2000, n. 5130. In dottrina, si vedano i rilievi di R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. Scialoja Branca, art. 1337,

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limite nella determinazione del pregiudizio risarcibile trova una giustificazione nella difficoltà relativa alla prova del danno che il privato incontra quando la lesione dell’affidamento non si traduce nella perdita di una concreta chance di conseguire il bene della vita, così che la prova è limitata alla perdita di tempo e di occasioni derivante dal comportamento scorretto tenuto dalla pubblica Amministrazione nel corso delle trattative25.

In coerenza con il ricordato indirizzo giurisprudenziale, la Quarta Sezione ritiene che l’unica voce di danno ascrivibile, a titolo di responsabilità precontrattuale, alla Presidenza del Consiglio sia quella relativa alla misura corrispondente ai canoni di locazione non incassati per il periodo intercorrente dalla data in cui gli immobili dovevano essere consegnati e fino alla data della nuova locazione, con esclusione delle altre spese sostenute dalle società costruttrici che riguardano gli svantaggi o i vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione e l’esecuzione del contratto di locazione e che, quindi, non rientrano nella categoria dell’interesse contrattuale negativo.

4. Il risarcimento in via equitativa e i criteri di determinazione del danno.

La difficoltà di quantificare il danno cagionato dall’agire illecito della pubblica Amministrazione consente all’autorità giudiziaria di ricorrere alla tecnica equitativa di liquidazione prevista dall’art. 1226 c.c.26, richiamato dall’art. 2056 c.c. E’ quanto avviene nella pronuncia de qua, ove il Consiglio di Stato afferma che « l’obiettiva difficoltà di individuazione degli elementi certi ai fini della giusta determinazione del danno risarcibile non può costituire giusta causa di rigetto della domanda risarcitoria per difetto di prova, ciò integrando un vulnus al diritto di difesa predicato dall’art. 24 Cost. » e, di conseguenza, la determinazione del danno deve avvenire in via equitativa.

L’impossibilità di precisare il danno nel suo effettivo ammontare induce i giudici della Quarta Sezione a considerare inutile l’ammissione, nel caso di specie, di una consulenza tecnica d’ufficio27,

Bologna, Roma, 1970, p. 212, secondo cui nella valutazione dell’interesse negativo la « suggestione della formula non deve far ritenere che qui il danno debba determinarsi in modo difforme dai principi ».

25 Sul punto, si veda V. MOLASCHI, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità contrattuale e responsabilità da contatto, cit., p. 14, la quale osserva che lo « spazio » dell’art. 1337 c.c. consiste non già nella possibilità di fondare su tale norma un’autonoma azione risarcitoria, bensì nel fornire essa semplicemente un parametro cui ragguagliare il risarcimento in quelle ipotesi in cui la lesione dell’affidamento non si traduca nella perdita di una concreta chance di conseguimento del bene della vita.

26 L’art. 1226 c.c. disciplina la valutazione equitativa del danno e prevede che: « Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa ». Un’applicazione della norma è in TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 16 aprile 1999, n. 418, in Danno e resp., 1999, p. 1267; Cass., 25 settembre 1984, n. 4820, in Foro it., 1985, I, p. 816, che nega la possibilità di quantificare equitativamente il danno quando possa essere provato con altri mezzi o criteri; Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2004, n. 1280, in Cons. Stato, 3, 2004, p. 575, secondo cui l’utilizzazione dei criteri equitativi nella determinazione del danno si addice ad ipotesi nelle quali il pregiudizio non è conoscibile perché il fatto che ne avrebbe consentito la quantificazione non è avvenuto e non può avvenire, sicchè occorre procedere in via presuntiva secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, mentre il medesimo criterio non è applicabile quando, invece, i fatti causativi del danno sono avvenuti e sarebbero suscettibili di dimostrazione; Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2004, n. 8244, che giustifica il risarcimento del danno in via equitativa con riguardo alla circostanza della genericità delle allegazioni di parte, non sufficienti ad integrare l’onere della prova della verificazione di un pregiudizio effettivo derivante dal fatto illecito, che incombe sulla parte ricorrente ai sensi dell’art. 2697 c.c. In dottrina, per tutti, si vedano i rilievi di G.M. RACCA, Gli elementi della responsabilità della pubblica amministrazione e la sua natura giuridica, cit. p. 207.

27 La consulenza tecnica d’ufficio è un’attività di percezione di fatti principali o secondari, di deduzione o di individuazione di massime di comune esperienza, e si basa su saperi tecnici specialistici che mancano al giudice. Per un eame dell’istituto, si vedano, fra gli altri, M. VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Dig. disc. civ., vol. III, Torino, 1988, p. 525 e C.M. BARONE, Consulente tecnico (diritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, vol. VII, Roma, 1988, ad vocem. Accogliendo le richieste di autorevole dottrina, con cui si sottolineava l’esigenza, in conformità ai principi processuali dell’ordinamento comunitario, di introdurre la consulenza tecnica

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visto che la stessa relazione peritale finirebbe per essere aleatoria, e, allo stesso tempo, a ritenere inammissibile l’indicazione, in modo completo ed esauriente, degli eventuali criteri cui dovrebbe attenersi l’Amministrazione per la determinazione del danno, ai sensi dell’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, perché questa soluzione darebbe luogo ad un ulteriore contenzioso tra le parti28.

Com’è noto, la peculiare tecnica di determinazione del danno, introdotta dal citato art. 3529, è volta ad ovviare alle difficoltà che il giudice amministrativo incontra in sede di liquidazione del danno, tutte le volte in cui non sussistono in ambito processuale elementi per poter stabilire con esattezza l’entità del pregiudizio economico sofferto dal danneggiato. Se, per un verso, si tratta di un meccanismo processuale di portata generale, la cui applicazione, contrariamente a quanto risulta dalla lettera della norma, non è limitata alle sole controversie riguardanti le materie riservate alla giurisdizione esclusiva ma si estende anche alle questioni risarcitorie proposte in sede di giudizio ordinario di legittimità30, dall’altro, tale procedura, nell’applicazione pratica, rappresenta una

d’ufficio nel nostro processo amministrativo, il legislatore, con l’art. 35, comma terzo, del decreto legislativo n. 80 del 1998, ha dapprima riconosciuto che, nelle materie di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo può disporre di tale mezzo di prova e, in un secondo momento, ha esteso questa facoltà in ogni ambito della giurisdizione amministrativa con la previsione di cui all’art. 16 della legge n. 205 del 2000, che ha modificato l’art. 44 del regio decreto n. 1054 del 1924. La norma, quindi, assicura alla consulenza tecnica una diffusa e generale utilizzazione, nonché certezza e uniformità nell’applicazione dell’istituto. Come ha rilevato A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice amministrativo, cit., p. 51 e ss., la consulenza tecnica costituisce « lo strumento principe per assicurare la pienezza della cognizione del fatto. Essa è infatti la sede tecnicamente più adeguata per assicurare non soltanto l’accertamento in ordine alla esistenza dei presupposti di fatto, ma anche la ricostruzione, l’apprezzamento, la valutazione di quei fatti in una dinamica “colloquiale”, in un confronto puntuale fra le parti e il giudice assicurato nel rispetto più alto del principio del contraddittorio ». In dottrina è stato poi sostenuto che le su menzionate norme costituiscono un fondamentale punto di riferimento a sostegno della tesi evolutiva in tema di discrezionalità tecnica. Infatti, secondo i fautori di quest’ultima tesi, lo strumento della consulenza tecnica abilita il giudice a doppiare, in sede processuale , ricorrendo ad un esperto, le valutazioni tecniche che la legge in prima battuta devolve all’Amministrazione, dando spazio ad un sindacato intrinseco delle determinazioni tecniche. Così F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in Il nuovo processo amministrativo dopo la l. 21 luglio 2000, n. 205, a cura di F. Caringella e M. Protto, 2001, p. 913 e ss.

28 Ad una conclusione analoga perviene TAR Toscana, Sez. II, 6 giugno 2001, n. 716, secondo cui « Il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio, ovvero l’immediata declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di proporre all’impresa - entro un determinato termine - il pagamento di una somma di denaro (ai sensi del secondo comma dell’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998), non impediscono in linea di principio al giudice amministrativo di far ricorso a criteri di determinazione presuntiva del quantum dovuto a titolo risarcitorio, atteso che il giudice stesso ben può esercitare, laddove il danno si dimostri in suscettibile di precisazione nel suo preciso ammontare, i poteri di determinazione equitativa del pregiudizio ex art. 1226 c.c. ». Sul punto, anche Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2004, n. 1280, ove sia la documentazione prodotta dall’appellante sia l’eventuale esito di una consulenza tecnica d’ufficio sono ritenuti fattori inidonei a pervenire con apprezzabile certezza ad una quantificazione del danno effettivamente subito: qui il ricorso alla liquidazione in via equitativa si rendeva necessario, oltre che esplicitamente consentito.

29 L’articolo in esame prevede che: « Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta ». Per una disamina dell’istituto, tra gli altri, si veda A. TRAVI, Commento all’art. 35, in La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle Amministrazioni pubbliche (a cura di A. Corsaci, M. Rusciano e L. Zoppoli), in Le nuove leggi civili commentate, 1999, p. 1547 e ss.

30 Secondo quanto previsto dall’art. 35, il giudice può determinare i criteri risarcitori, dopo aver accertato la responsabilità amministrativa, « Nei casi previsti dal comma 1 », limitando così l’applicazione dell’istituto solo alla giurisdizione esclusiva. Tuttavia, dell’opportunità che tale meccanismo processuale, grazie ad un’estensione analogica, venga applicato in modo uniforme a tutto il processo amministrativo parlano, più o meno diffusamene, F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 531; R. CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano, 2001, Milano, p. 200; G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, cit., p. 390. Sul punto, si vedano anche i rilievi di M. DE PALMA, La decisione del giudice amministrativo sul risarcimento del danno: la procedura di determinazione del danno di cui all’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 80/98, in

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soluzione poco efficiente che mal si concilia con l’esigenza di una tutela giurisdizionale rapida ed effettiva31. Infatti, la possibilità che il giudice amministrativo stabilisca i criteri in base ai quali l’Amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine non è detto che consenta una composizione bonaria tra le parti, anzi è difficilmente ipotizzabile che, all’esito del giudizio, esse riescano a comporre amichevolmente le loro posizioni.

In realtà, il testo della norma di cui si discute appare poco chiaro in più punti e genera molteplici dubbi sull’adeguatezza e sulla funzionalità dello strumento processuale contemplato. In particolare, il legislatore tace riguardo al contenuto minimo che deve caratterizzare le sentenze che fissano i criteri e al grado di dettaglio richiesto nella determinazione dei criteri medesimi. E’ certo che la sentenza sui criteri non può limitarsi a disporre sull’an del risarcimento, in quanto l’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione e dell’esistenza di un danno è compito del giudice e, quindi, il meccanismo di cui al secondo comma dell’art. 35 è utilizzabile solo per la liquidazione del danno. Quanto alla fissazione dei criteri, muovendo dalla ratio della norma, è opportuno ritenere che essa deve essere sufficientemente puntuale, onde evitare possibili comportamenti ostruzionistici o dilatori dell’amministrazione resistente nella formulazione di una proposta32.

Altri problemi interpretativi si pongono con riguardo all’ultima parte dell’art. 35, secondo comma, in cui si prevede che, qualora l’accordo non venga raggiunto dalle parti, nonostante la fissazione dei criteri guida, la determinazione della somma dovuta può essere chiesta con il ricorso per ottemperanza. L’anomalia del rimedio richiamato è lampante e in dottrina si discute su quale sia la sua effettiva natura. Tale forma di ottemperanza, infatti, si basa su un successivo intervento del giudice finalizzato non a surrogare l’inerzia della pubblica Amministrazione ma volto a superare un conflitto, in astratto imputabile anche al ricorrente, nella liquidazione del risarcimento del danno. Si può parlare di inadempimento ove l’Amministrazione non formuli la proposta e non nel caso in cui

Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, cit., p. 490, secondo cui « residua comunque qualche dubbio, in punto di stretto diritto, relativo all’ammissibilità dell’applicazione analogica di una norma che appare eccezionale, in quanto priva di riscontri positivi nel sistema, non essendo perfettamente coincidente (…) né con il meccanismo della liquidazione equitativa né con quello della condanna generica ex art. 278 c.p.c. ».

31 Critiche sul singolare istituto sono state avanzate da V. CARBONE, Risarcimento di interessi legittimi: La Corte costituzionale si “astiene”, il legislatore apre nuovi orizzonti, in Corr. giur., 1998, p. 660, il quale parla di « risarcimento a tappe »; da S. MENCHINI, Le tutele giurisdizionali differenziate nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1999, § 13; da E.A. APICELLA, Giurisdizione esclusiva su concessioni di beni pubblici e risarcimento del danno tra orientamenti giurisprudenziali ed innovazioni del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in Foro amm., 1998, p. 2649; da F. SAITTA, Le condanne risarcitorie del giudice amministrativo, in Giust. civ., 2000, II, p. 116; da F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 532, secondo cui « è palpabile il parallelo con la determinazione equitativa prevista nel processo civile; la vicinanza è così immediata da far sorgere seri dubbi sull’utilità e l’effettiva specialità di tale intervento specificamente individuato dal secondo comma dell’art. 35 ».

32 Per evitare l’insuccesso di un meccanismo già in sé non lineare né celere, il giudice con la propria pronuncia

deve individuare, oltre alla base di calcolo (e cioè il danno risarcibile), dei parametri di riferimento inequivoci cui ancorare le operazioni di computo demandate alle parti. Sul punto, si rinvia a A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice amministrativo, cit., p. 284. E’ stato osservato che se una fissazione eccessivamente dettagliata sfocia in una vera e propria definitiva liquidazione del danno, una determinazione dei criteri eccessivamente generica non apporta alcun contributo per rendere più agevole il raggiungimento dell’accordo tra le parti. Così M. LIPARI, La nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e dei pubblici servizi, in Urb. e appalti, 1998, p. 601 e ss. La fondatezza di questa tesi è dimostrata dalle prime applicazioni giurisprudenziali della particolare procedura di cui al secondo comma dell’art. 35, laddove alcune decisioni non hanno seguito la finalità perseguita dal legislatore, demandando all’Amministrazione la individuazione del concreto pregiudizio risarcibile oppure fissando dei criteri così analitici da rendere superfluo un accordo tra le parti. Si veda TAR Liguria, Sez. II, 15 aprile 2002, n. 432; TAR Umbria 24 marzo 1999, n. 218, pubblicata in Urb. e appalti, 2000, p. 196 e s., con nota di L. DE PAULI, poi riformata sul punto da Cons. Stato, Sez. V, 31 gennaio 2001, n. 353; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, 7 dicembre 2000, n. 335.

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la proposta non venga accolta dal privato che pretende cifre eccessive. Si ritiene, pertanto, che il riferimento all’art. 27, primo comma, n. 4, del regio decreto n. 1054 del 1924, riguardi solo le forme processuali per l’instaurazione e la trattazione del giudizio, senza rappresentare un rinvio generalizzato all’intera disciplina del giudizio di ottemperanza33.

La potestà del giudice amministrativo di fissare i criteri per la quantificazione del danno risarcibile deve essere valutata, sul piano processuale, con riferimento all’art. 278 c.p.c., il quale consente al giudice, su istanza di parte, di rendere una pronuncia sull’an, rinviando la determinazione del quantum ad un momento successivo. Tale norma trova applicazione essenzialmente con riguardo a fattispecie di risarcimento del danno e, quindi, è opportuno stabilire che tipo di rapporto sussista tra le due previsioni normative e, in particolar modo, se, così come sostiene la migliore dottrina, il meccanismo previsto all’art. 278 c.p.c. trovi spazio anche nel processo amministrativo34.

Infine, ulteriore e discutibile caratteristica dell’istituto de quo è quella di incidere inevitabilmente sulla dimensione dell’onere probatorio che grava sul soggetto che chiede il ristoro del danno. Se è vero, come già è stato detto, che nel giudizio risarcitorio innanzi al giudice amministrativo vige la regola secondo cui è necessario che l’istante non si limiti a dedurre un principio di prova ma fornisca, in ossequio al principio dispositivo, un quadro probatorio pieno e completo, tuttavia, nel momento in cui il legislatore riconosce all’art. 35, secondo comma, la difficoltà di individuare il quantum, diminuisce l’onere probatorio quanto alla prova del quantum stesso. In altri termini, il meccanismo processuale in esame consente al giudice di alleggerire l’istruttoria e di ridurre l’estensione dell’onere probatorio alla prova della possibilità di individuare il criterio più che alla determinazione effettiva del danno subito. Ne segue che l’onere probatorio del ricorrente si concreta nella sola dimostrazione della sussistenza del pregiudizio economico, essendo il quantum determinabile mediante un procedimento che si conclude al di fuori dell’instaurato giudizio35.

33 Nel silenzio della norma, ci si chiede se sia possibile il ricorso al giudice dell’ottemperanza, non solo in caso

di mancato raggiungimento dell’accordo, ma anche nell’eventualità che, una volta raggiunto l’accordo sul quantum del risarcimento, l’Amministrazione resti inadempiente. Al riguardo esistono in dottrina orientamenti contrastanti. Da un lato, vi è chi avalla una soluzione positiva e suggerisce un’applicazione analogica della norma, invocando la necessità di evitare vuoti di tutela e l’identità di ratio oppure considerando che l’accordo raggiunto trova radice nella sentenza originaria che aveva fissato i criteri cui attenersi (così F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, cit. p. 533, e G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa, cit. p. 423 e ss). Dall’altro, vi è chi mette in luce i limiti di un’eventuale applicazione analogica della norma, sostenendo che il ricorso per ottemperanza non può trovare giustificazione nell’esecuzione indiretta di una sentenza di condanna generica che accerta la responsabilità ed impone all’Amministrazione solo di effettuare una proposta al privato danneggiato e non di concludere un accordo, né tanto meno di eseguirlo (così M. DE PALMA, La decisione del giudice amministrativo sul risarcimento del danno, cit., p. 496).

34 Sul punto, non si registra in giurisprudenza un atteggiamento uniforme. Alcune pronunce propendono per la soluzione positiva, non rinvenendo in alcuna norma un ostacolo a che il meccanismo di cui all’art. 278 c.p.c. possa trovare ingresso anche nel giudizio amministrativo, soprattutto perché il secondo comma dell’art. 35 prevede che il giudice « può » e non « deve » stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre al danneggiato il pagamento di una somma (si veda TAR Puglia, Lecce, 6 novembre 1999, n. 769 e TAR Veneto, 1 febbraio 2001, n. 898). Altre pronunce, invece, ritengono che, avuto riguardo alla particolare procedura prevista dal secondo comma dell’art. 35, la domanda di condanna generica deve convertirsi in domanda di pronunzia dei criteri per la successiva definizione del quantum della somma da risarcire. Pertanto, il giudice amministrativo, dopo essersi pronunciato positivamente sull’an del risarcimento, dovrà indicare all’Amministrazione soccombente i criteri in base ai quali formulare la proposta risarcitoria e non, secondo quanto previsto dall’art. 278 c.p.c., disporre con ordinanza la prosecuzione del processo per la liquidazione (si veda TAR Campania, Napoli, Sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177). Secondo quest’orientamento, la fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 35 si sostanzia in una « sottocategoria dell’istituto disciplinato dall’art. 278 c.p.c. ». L’espressione è di G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa, cit., p. 388 e ss.

35 Sul punto, si veda TAR Molise, 7 febbraio 2000, n. 22, secondo cui la mancata quantificazione della pretesa non preclude la decisione sulla domanda di risarcimento, visto che nel sistema delineato dal secondo comma dell’art. 35

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4.1. Il concorso colposo del danneggiato nella determinazione del danno. « In sede di liquidazione del risarcimento del danno si deve tener conto anche del

comportamento del danneggiato, che non deve aggravare le conseguenze del danno stesso ». E’ questa la conclusione a cui giunge la Quarta Sezione, nella pronuncia commentata, e su cui si basa la scelta di diminuire il risarcimento dovuto dalle Amministrazioni statali e comunali alle società ricorrenti, per non aver quest’ultime proposto immediatamente ricorso giurisdizionale al fine di riprendere i lavori sospesi, per non aver, altrettanto immediatamente, sollecitato il giudice adito per ottenere la fissazione dell’udienza cautelare e per non essersi diligentemente e tempestivamente attivate per sollecitare l’Amministrazione a rivedere il proprio provvedimento nelle more della decisione cautelare richiesta al giudice amministrativo.

La soluzione accolta dal Consiglio di Stato richiama alla mente un tema particolarmente attuale e discusso. E’ indubbio, infatti, che il giudice amministrativo debba quantificare il pregiudizio subito in conformità ai principi generali in materia di risarcimento del danno, definiti dal legislatore per il giudizio civile36, tra i quali è da annoverare la regola di cui all’art. 1227 c.c., che sancisce la diminuzione del risarcimento in caso di concorso colposo del danneggiato nel cagionare il danno, secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze derivate, ed esclude il diritto al risarcimento in relazione ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza37.

In dottrina e in giurisprudenza, però, non esiste un orientamento unitario su quali siano i comportamenti del danneggiato ascrivibili alla condotta colposa valutabile ex art. 1227 c.c. Ci si chiede innanzitutto se tali possano dirsi la mancata proposizione di un tempestivo ricorso giurisdizionale e la mancata sollecitazione di interventi dell’Amministrazione in via di autotutela. In senso contrario, si sostiene che l’art. 1227 c.c., pur non escludendo l’onere da parte del danneggiato di tenere comportamenti attivi, non può essere spinto fino al punto di imporre comportamenti gravosi, quale deve ritenersi, sotto il profilo economico e dell’aleatorietà di tempi e risultati, l’esperimento di rimedi giudiziari38. Per converso, un temperamento a tale tesi si rinviene nella

la decisione non deve necessariamente contenere la condanna al pagamento di una somma liquidata dal giudice, potendo questi ordinare all’Amministrazione di quantificare l’ammontare dei danni.

36 Sul punto concorda anche G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa, cit., p. 260 e ss., il quale afferma che le tecniche civilistiche per la determinazione del danno rappresentano « rimedi per scongiurare il pericolo dell’allargamento dell’area risarcibile nei danni prodotti dalla pubblica amministrazione ». Si vedano anche F. CARINGELLA, G. DE MARZO, F. DELLA VALLE e R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2000, p. 486; F. CARINGELLA, La prova del danno. Profili processuali, in Il sistema della giustizia amministrativa dopo il decreto legislativo n. 80/98 e la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, Milano, 2000, p. 202; S. TARULLO, Le prospettive risarcitorie del danno “ingiusto” cagionato dalla p.a. tra il d.lgs. n. 80/98 e la sentenza delle Sezioni Unite n. 500/99, cit., p. 630 e ss.

37 Come già è stato detto, trovano altresì applicazione le norme sancite dall’art. 1223 c.c., che individua le componenti del danno nella perdita subita e nel mancato guadagno, dall’art. 1226 c.c., che prevede la valutazione equitativa del danno da parte del giudice, nonché il principio della compensatio lucri cum damno, il cui fondamento normativo è individuato nelle previsioni dell’art. 1223 c.c. e secondo cui, nella determinazione del danno risarcibile, va tenuto conto anche degli effetti vantaggiosi direttamente derivanti dal fatto causativo del danno. Tali regole sono tutte espressione del principio del danno effettivo, in forza del quale l’obbligo del risarcimento deve comprendere solo il danno effettivamente subito dal creditore, il quale deve ricevere esattamente quanto necessario a rimuovere gli effetti economici negativi prodotti dall’illecito. In altri termini, non sono ammessi i c.d. danni punitivi. Così C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. V, La responsabilità, cit., p. 127.

In particolare, con riguardo all’art. 1227 c.c., si vedano i contributi di M.C. TRAVERSO, Causalità e colpevolezza nel concorso di colpa del danneggiato, in Nuova giur. civ., 1994, II, p. 235 e ss.; M. COSTANZA, Concorso di colpa e « ordinaria diligenza » del creditore, in Giust. civ., 1992, I, p. 971 e ss; G. MURRA, Sulla delimitazione della nozione di ordinaria diligenza di cui all’art. 1227, cpv, c.c., in Nuova giur. civ., 1992, I, p. 636 e ss.

38 Nel senso che la diligenza esigibile ex art. 1227, secondo comma, c.c. non può esorbitare da un’attività personale agevole e imporre spese straordinarie, si veda Cass., Sez. III, 24 gennaio 2002, n. 842, in Danno e resp., 6,

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particolarità del rapporto che lega Amministrazione e privato e nella considerazione che quantomeno la richiesta di esercizio dei poteri di autotutela da parte del soggetto pubblico, al fine di impedire la consolidazione del pregiudizio, non pare attività connotata da un apprezzabile sacrificio sotto il profilo economico e tempistico.

2002, p. 630. In dottrina, si veda, R. CARANTA, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, cit., p. 3210.

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