LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E TERRITORIO COME FATTORE DI ... · generale un membro della famiglia...

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Facoltà di Economia Laurea Magistrale in Imprenditorialità e Mercati Cattedra di Economia e Gestione del Family Business LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E TERRITORIO COME FATTORE DI CONTINUITA‟ DEL FAMILY BUSINESS: LE AZIENDE “CENTENARIE” NEL SETTORE DEL VINO Relatore Candidato Prof. Riccardo Tiscini Leonardo Lucarini Matr. 629561 Correlatore Prof. Alessandro Musaio ANNO ACCADEMICO 2011/2012

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Facoltà di Economia

Laurea Magistrale in Imprenditorialità e Mercati

Cattedra di Economia e Gestione del Family Business

LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E TERRITORIO

COME FATTORE DI CONTINUITA‟ DEL FAMILY

BUSINESS: LE AZIENDE “CENTENARIE” NEL

SETTORE DEL VINO

Relatore Candidato

Prof. Riccardo Tiscini Leonardo Lucarini Matr. 629561

Correlatore

Prof. Alessandro Musaio

ANNO ACCADEMICO 2011/2012

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A mio nonno e mio padre,

che orgogliosi mi guardano da lassù

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Capitolo Primo

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. In cerca di una definizione del family business 2

2. Le dimensioni e le relazioni del fenomeno 5

3. Business in the family e family in the business 10

4. Le specificità e le caratteristiche distintive 14

5. Le fasi di sviluppo nelle imprese familiari 19

6. La varietà delle aziende di famiglia 23

7. La diffusione del family business nel contesto globale e nazionale 28

Capitolo Secondo

LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E TERRITORIO

1. La strategia aziendale e i rapporti con l‟ambiente 33

2. Il radicamento territoriale 38

3. Le dinamiche di crescita e la continuità del successo 43

Capitolo Terzo

MODELLI DI GESTIONE DEL FAMILY BUSINESS

1. Il sistema di governance del family business 48

2. Le criticità delle imprese familiari 52

3. Le strategie e i modelli di trasferimento 56

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Capitolo Quarto

IL VALORE ECONOMICO DELLE IMPRESE FAMILIARI

1. La creazione di valore nel family business 63

2. Il costo emozionale del capitale 67

3. Le implicazioni sulla valutazione economica 71

4. L‟influenza della struttura finanziaria sul valore delle aziende di famiglia 75

5. I vincoli e le opportunità del family business 80

Capitolo Quinto

OBIETTIVI E METODOLOGIE DELLA RICERCA

1. Il quadro di riferimento teorico 84

2. La raccolta dei dati 90

3. Il modello di ricerca 94

4. Analisi e discussione del caso 97

Capitolo Sesto

IL CASO BARONE RICASOLI S.p.A.

1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio 100

2. Il governo societario e le fonti di finanziamento 105

3. Il processo di crescita e la continuità aziendale 109

4. Prime considerazioni 114

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Capitolo Settimo

IL CASO POGGIO LE VOLPI S.R.L.

1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio 117

2. Il governo societario e le fonti di finanziamento 122

3. Il processo di crescita e la continuità aziendale 127

4. Prime considerazioni 132

Capitolo Ottavo

CONSIDERAZIONI DI SINTESI

1. Riflessioni 136

2. Conclusioni 139

Riferimenti bibliografici 143

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Capitolo Primo

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

SOMMARIO: 1. In cerca di una definizione del family business; 2. Le dimensioni e le

relazioni del fenomeno; 3. Business in the family e family in the business; 4. Le specificità

e le caratteristiche distintive; 5. Le fasi di sviluppo nelle imprese familiari; 6. La varietà

delle aziende di famiglia; 7. La diffusione del family business nel contesto globale e

nazionale.

L‟impresa familiare non è facilmente definibile e non risulta possibile datare la

sua nascita da un punto di vista storico, neppure considerando in maniera

residuale l‟avvento, fatto risalire intorno al 1870, dell‟impresa manageriale.

L‟impresa familiare e‟ una forma di organizzazione produttiva la cui origine

non può dunque essere collocata in una dimensione spazio-temporale

circoscritta.

Il family business può essere considerato, dal punto di vista del capitalismo

manageriale, come lo stadio iniziale dell‟evoluzione dell‟impresa, che dallo start

up finisce per transitare nella forma di public company. Questo modello tende

a ritenere che essa sia caratterizzata da dimensioni medio piccole, da un

processo di crescita lento, da un‟organizzazione piatta, nella maggioranza dei

casi autofinanziata con una redditività inferiore rispetto all‟impresa manageriale.

L‟evidenza empirica dimostra il contrario e come invece sia possibile trovare

molte imprese familiari di grandi dimensioni, dinamiche e profittevoli.

Nonostante tali critiche, è indiscutibile il fatto che le imprese familiari giochino

un ruolo molto significativo sia nelle economie emergenti che nelle economie

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sviluppate, in termini di contributo alla crescita del prodotto interno lordo e

alla generazione di nuovi posti di lavoro.

Il dibattito dottrinale su questi temi è ancora aperto e risulta essere molto

controverso.

1. In cerca di una definizione del family business.

L‟impresa familiare è la più antica forma di organizzazione imprenditoriale1.

Non è semplice darne una definizione univoca non esistendo in letteratura una

uniformità di vedute riguardo i criteri da utilizzare per la sua identificazione.

Infatti alcuni autori si riferiscono alle imprese familiari in termini di proprietà e

controllo, altri considerano il numero di familiari coinvolti nella gestione, altri

ancora il loro grado di coinvolgimento.

Una prima semplificazione viene introdotta da Mark Casson2 che distingue tra

impresa a proprietà familiare e impresa a controllo familiare, identificando

come family business un‟impresa dove una famiglia possiede una

partecipazione al capitale tale da impedire qualsiasi coalizione fra altri azionisti,

oppure che dispone di un numero di membri nel consiglio di amministrazione

sufficiente a eleggere il direttore generale, o semplicemente ha come direttore

generale un membro della famiglia stessa. In altri termini, a prescindere

dall‟effettiva percentuale di controllo del capitale, sarebbe utile includere come

family business quelle imprese in cui l‟influenza della famiglia proprietaria è

determinante nella politica di governo e nella pianificazione delle strategie.

1 Hutcheson J. O., Financial planning, 2002 2 Casson M., The economics of the family firm, Scandinavian Economic History Review, 1999

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La difficoltà è rappresentata dal fatto che ogni impresa familiare è una realtà a

se stante, in quanto si differenzia per il settore di appartenenza, la dimensione,

l‟organizzazione e il grado di controllo. Per questo motivo non esiste tutt‟oggi

unità di consensi sulla sua determinazione.

A seconda del criterio adottato discendono diverse affermazioni, come ad

esempio: “Siamo in presenza di una family business quando uno o più nuclei familiari

legati da stretti legami di parentela o affinità mettono a disposizione dell‟impresa capitali

finanziari a „pieno rischio‟ o a „rischio limitato‟, garanzie personali o reali e skills

manageriali3” oppure “E‟ familiare un‟impresa dove, di fatto, si istituiscono relazioni di

reciproco condizionamento tra l‟azienda di produzione e l‟azienda di consumo di una o poche

famiglie legate da vincoli di parentela o affinità che detengono la proprietà del capitale

conferito col vincolo del pieno rischi4”. Risulta essere chiaro come le due definizioni,

partendo dalle stesse basi ma con riferimenti differenti, introducano elementi e

aspetti distinti.

Nella letteratura aziendalistica „impresa familiare‟ ed „impresa di famiglia‟ sono

due espressioni equivalenti, in quanto entrambe individuano un‟impresa nella

quale il capitale sociale e le decisioni di gestione sono controllate da una o

poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela, stretta affinità o solide

alleanze, ma il loro significato giuridico è molto diverso, come del resto i

relativi impatti fiscali. L‟impresa familiare viene disciplinata dall‟Art. 230 bis del

Codice Civile (“[…] si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli

affini entro il secondo; per impresa familiare quella in cui collaborano, in modo continuativo,

il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo”) che la identifica nella

fattispecie dell‟impresa individuale, sebbene il reddito venga suddiviso tra i

collaboratori come nelle società di persone, non prescrivendo alcuna formalità

3 Demattè C., Corbetta G., I processi di transizione delle imprese familiari, Mediocredito Lombardo, 1993 4 Ferrero G., Impresa e management, Giuffrè Editore, 1980

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per la sua costituzione che potrebbe avvenire indipendentemente dalla

sottoscrizione di un atto negoziale o di una dichiarazione di volontà. La norma

è così scarna e lacunosa da far scaturire numerose incertezze e dubbi5.

La non individuazione di semplici parametri a validità generale ha alimentato

l‟insorgere di errate credenze. Prima fra tutte l‟identificazione delle PMI con le

imprese di famiglia, che nella realtà possono raggiungere anche notevoli

dimensioni. Segue poi la presunzione che esse non siano in grado di sostenere

le fasi di crescita attraverso il solo utilizzo di risorse di capitale, proprio o di

debito, provenienti esclusivamente dalla propria famiglia. Come conseguenza,

si è diffusa l‟idea di un loro basso tasso di crescita e di un modello oramai

superato, imperniato su di una unica discontinuità dovuta alla successione

generazionale, che ha indotto a trascurare altri problemi rilevanti. Tutto questo

ha portato a una sottovalutazione e a una visione miope del loro potenziale.

La Commissione Europea ha di recente costituito il Family Business Group,

organo che si occupa delle principali problematiche in materia, che ne ha

proposto una definizione: “A firm, of any size, is a family enterprise if 1. The majority

of votes is in possession of the natural person(s) who established the firm, or in possession of

the natural person(s) who has/have acquired the share capital of the firm, or in possession of

their spouses, parents, child or children‟s direct heirs. 2. The majority of votes may be indirect

or direct. 3. At least one representative of the family or kin is involved in the management or

administration of the firm.

Listed companies meet the definition of family enterprise if the person(s) who established or

acquired the firm (share capital) or their families or descendants possess 25 per cent of the

right to vote mandated by their share capital.”

5 De Tilla M., Operamolla U., Seminari di diritti di famiglia, Giuffrè Editore, 2005

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Questa definizione, come sostiene il Prof. Guido Corbetta6, può essere presa

ampiamente in considerazione se si precisa che la “natura familiare” si

acquisisce nel momento in cui si coinvolge nel processo decisionale la famiglia

di appartenenza.

In linea generale un business family per essere considerato tale deve rispettare

almeno uno dei seguenti criteri: più del 50 per cento della proprietà deve essere

detenuto da una o più famiglie, una singola famiglia ne deve detenere il

controllo effettivo e la maggioranza del management deve essere composta dai

membri appartenenti alla stessa famiglia.

2. Le dimensioni e le relazioni del fenomeno.

La famiglia e l‟impresa costituiscono i due sistemi complessi che interagiscono

nelle aziende a proprietà familiare con un conseguente reciproco

condizionamento, in quanto differenti per natura, obiettivi e logiche. La

famiglia attraverso l‟apporto di risorse umane e finanziarie mira al

sostentamento e all‟assistenza dei propri membri, mentre l‟impresa ha come

obiettivo la vendita di prodotti o servizi per la remunerazione dei fattori

produttivi. Nonostante la famiglia sia guidata da logiche emozionali e l‟impresa

da logiche economiche, entrambi condividono principi comuni quali la

continuità, l‟unione e la creazione di valore. Tradizionalmente trascurato,

l‟aspetto patrimoniale è di fondamentale importanza, poiché il patrimonio

dell‟imprenditore si fonde con la famiglia e l‟azienda7.

6Guido Corbetta è professore AIdAF – Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari presso l‟Università Bocconi e fondatore del centro EntER dedicato all‟imprenditorialità. Svolge da quasi vent‟anni ricerche e attività di intervento nelle imprese familiari a livello sia nazionale che internazionale. 7 Zocchi W., Il family business, Il Sole 24 Ore, 2004

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Ognuna di queste tre dimensioni può essere a sua volta scomposta. La famiglia

si compone di familiari stretti e di familiari indiretti. L‟azienda di famiglia può

essere d‟opera, di capitale, holding, immobiliare o finanziaria. Il patrimonio può

essere divisibile in mobiliare, immobiliare e rendite. Il successo e la continuità

del family business è dunque affidata al loro perfetto equilibrio, separando i

problemi della famiglia da quelli dell‟impresa.

In merito si possono delineare due approcci gestionali diversi: family oriented e

business oriented. Nel primo è la famiglia a prevalere sull‟impresa e la maggior

parte delle risorse vengono prelevate dal business a vantaggio del patrimonio

familiare. L‟impresa viene gestita da soggetti familiari senza alcuna presenza di

soggetti esterni che potrebbero altrimenti turbare l‟equilibrio famiglia-impresa,

sottraendoli potere decisionale. Nel secondo è l‟impresa a prevalere sulla

famiglia e le risorse finanziarie vengono conferite da quest‟ultima. I patrimoni

in questo caso sono nettamente separati e l‟azienda rappresenta una realtà

distinta, governata nell‟interesse generale e orientata all‟autofinanziamento.

Sicuramente questo secondo modello permette all‟impresa di reagire meglio alle

nuove esigenze dei mercati, con la possibilità di coglierne le opportunità di

crescita tramite il mantenimento della competitività.

In base ai rapporti famiglia-impresa e a queste rispettive visioni, le imprese

familiari possono essere classificate con assetto istituzionale monolitico o

temperato. Il primo con un grado di concentrazione delle proprietà elevato, in

cui i membri della famiglia sono presenti sia nelle funzioni manageriali che in

quelle operative, mentre il secondo con una relazione famiglia-impresa di tipo

mutualistico, senza che i principi di un sub-sistema invadano l‟altro.

Se la famiglia e il patrimonio sono in equilibrio anche l‟azienda lo sarà, ovvero

quando la famiglia non è in preda alle conflittualità e il patrimonio è ben

gestito. In generale l‟impresa rappresenta per la famiglia il suo principale

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investimento e un elemento di fondamentale importanza. La famiglia vi

apporta tutte le risorse disponibili, materiali e immateriali, comprese le risorse

ricavate dall‟impresa stessa. Questo legame si consolida con il passare del

tempo, quando l‟imprenditore dovrà autofinanziare nuovi investimenti o sarà

spinto a trasmettere la propria attività alle generazioni che lo seguiranno. Nelle

imprese familiari si crea quindi una sovrapposizione di questi due sistemi che

può comportare sia effetti positivi che negativi, sinergie o problemi riguardanti

la gestione.

Secondo Lansberg8 questa sovrapposizione è vantaggiosa nella fase iniziale di

formazione, quando i rapporti sono ancora molto organici, mentre con il

consolidarsi del business essa genera conflitti e contraddizioni di tipo

normativo. Infatti la sovrapposizione istituzionale tra famiglia e impresa è

caratterizzata da due orientamenti che propongono differenti criteri di

valutazione. Il soggetto a essere più coinvolto in questa „ambiguità normativa‟ è

il fondatore, responsabile sia nei confronti della famiglia sia nei confronti

dell‟impresa, che deve operare in base a valori tra loro incongruenti. Gli

imprenditori spesso decidono di adottare o la strategia del compromesso o

quella dell‟oscillazione tra principi familiari e principi aziendali. L‟autore

suggerisce di acquisire coscienza del fatto che entrambi hanno origine in questo

tipo di istituzione particolare e di considerare i familiari che vi lavorano in base

a due prospettive distinte, quella della proprietà e quella della gestione

operativa. Il criterio fondamentale da assumere, per la pianificazione di efficaci

strategie e meccanismi di gestione, sarebbe di considerare i familiari come

soggetti sia ai principi che regolano i rapporti familiari sia ai criteri aziendali.

8 Organizational Dynamics, numero speciale dedicato alle imprese familiari, 1983

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La famiglia costituisce il nucleo centrale del „sistema senziente‟9, dove si

generano contrasti quando si stabiliscono rapporti troppo intensi e legati da

forti vincoli emotivi. L‟eccessiva coesione crea i maggiori ostacoli che l‟impresa

familiare deve affrontare e la cui soluzione implica il coinvolgimento delle

emozioni e dei sentimenti. Ciò comporta l‟individuazione degli interessi e degli

obiettivi personali e il riconoscimento di comportamenti contro-dipendenti. La

famiglia non è solo causa di influenze negative e nel mentre affronta i problemi

di integrazione interna, sviluppa una cultura organizzativa, distintiva e vitale per

la gestione del business. “Per cultura organizzativa si intende l‟insieme di assunzioni di

base che un gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato nella gestione dei suoi problemi di

adattamento rispetto all‟ambiente esterno e di integrazione all‟interno10” e nelle imprese

familiari è strettamente legata alla figura e alla mentalità del fondatore. Tale

cultura, se adeguatamente gestita, costituisce un importante veicolo di

integrazione interna, con l‟omogeneizzazione dei comportamenti e la

trasformazione dei valori in impegno e determinazione sugli obiettivi aziendali.

La famiglia può dunque agire da risorsa e da stimolo all‟interno dell‟impresa,

ma deve anche difendersi dalle influenze che questa ha su di essa.

Non è possibile individuare a tal proposito delle soluzioni, ma solo adottare

delle indicazioni di carattere generale, come lo sviluppo di modalità formali e

informali con le quali si possa conoscere il business, individuarne le eventuali

interdipendenze, tutelare i bisogni di appartenenza e identità della famiglia dalle

intrusioni dell‟azienda nonché favorire la capacità di informazione,

negoziazione e composizione degli eventuali conflitti.

Emerge ora l‟esigenza di un approccio più dettagliato che contestualizzi questi

sistemi, le loro relazioni e le loro influenze reciproche.

9 Cit. Miller E.J. e Rice A.K., 1967 10 Cit. Shein E.H., 1985

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Il family business si presenta in quest‟ottica come un sistema aperto e

relazionato con un sovra-sistema ambientale (environmental system) e con una

serie di sub-sistemi connessi alla famiglia (family system), alla proprietà (ownership

system), all‟attività imprenditoriale (business system) e al governo dell‟impresa

(management system). L‟influenza ambientale e culturale condiziona l‟impresa, la

famiglia e i suoi singoli membri. Al centro di questo sistema si trova l‟individuo

la cui analisi ci consente di determinare una condizione di familiarità con la

proprietà, con il governo dell‟impresa o con entrambi.

Si possono così individuare due legami sistemici basilari: la famiglia con il

business e la proprietà con il management. L‟insieme di risorse che un‟impresa

familiare possiede grazie a queste interazioni viene definita familiness.

L‟emergere di un family factor, come elemento distintivo del vantaggio

competitivo, potrebbe avere un impatto positivo sulla performance con

conseguente aumento delle vendite e maggiore redditività del capitale investito.

Tra le fonti di vantaggio competitivo di un‟impresa familiare la letteratura sul

family business annovera il capitale sociale, definito solitamente come l‟insieme

costituito dalla cultura, dalla fiducia, dalle norme sociali e dalle relazioni

interpersonali che ogni giorno influenzano il comportamento degli individui e

costituiscono un fattore per la produzione di benessere11. La famiglia ha un

impatto diretto sul capitale sociale dell‟impresa e il suo sistema può essere

caratterizzato sia dal modo in cui riesce a gestire i conflitti, accettare il

cambiamento, la separazione ed eventuali perdite, che dalla sua coesione,

adattabilità e capacità di comportarsi come soggetto collettivo.

Nel family business gli individui che possono interagire in questi sub-sistemi

sono i soggetti membri della famiglia proprietaria e i soggetti non familiari. Si

11 Putnam R., Bowling alone. The collapse and revival of American community, Simon & Schuster, 2004

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possono così configurare molteplici possibilità di relazione, in cui gli individui

membri della famiglia possono o meno partecipare al governo dell‟impresa e

fare o meno parte della proprietà.

3. Business in the family e family in the business.

La sinergia che si crea tra l‟imprenditore e la sua azienda è tanto più forte

quando le sue dimensioni sono ancora ridotte ed essa risulta completamente

guidata dal suo fondatore in ogni decisione o disposizione. Per l‟imprenditore

l‟azienda rappresenta una realtà significativa che non viene esclusivamente

finalizzata alla produttività e al profitto, ma soprattutto alla continua conferma

della propria identità. Egli non è solo un uomo d‟affari, con competenze e

capacità specifiche, ma soprattutto una persona con dei desideri e dei bisogni.

Secondo l‟art. 2082 del Codice Civile, “è imprenditore chi esercita professionalmente

un‟attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio o di beni o di

servizi”. Questa definizione tralascia la dimensione umana del ruolo,

soffermandosi solamente su quale debba essere l‟attività da svolgere. Occorre

quindi prendere come punto di riferimento una definizione di stampo più

sociologico secondo la quale “l‟imprenditore è colui che, spinto da un‟ideale, da un

sogno o da un interesse, mette insieme tutti i fattori per creare una nuova entità sociale e

materiale che produce ricchezza, lavoro, benessere, servizi12”. Questo modello di

proprietà si evolve nel corso del tempo, in relazione al trasferimento del valore,

con i passaggi generazionali.

In uno stadio iniziale il proprietario-fondatore detiene il controllo assoluto

(controlling owner) ed ha come obiettivo principale la tutela della sua famiglia e

l‟inserimento dei figli nella realtà aziendale. Successivamente, la presenza di

12 Cit. Alberoni F., 2002

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fratelli e/o sorelle al governo dell‟impresa (sibling partnership) determina una

gestione definita familiare in senso stretto. Se all‟inizio si mira alla

minimizzazione degli effetti fiscali legati al governo dell‟impresa e al passaggio

generazionale mediante un corretto tax planning, con l‟aumento della

complessità delle relazioni famiglia-impresa ci si orienta verso l‟obiettivo di

conservazione della coesione familiare attraverso la gestione dei conflitti

derivanti.

Il family business attraversa tre fasi13.

La prima fase (business in the family) è quella dello start up, comprendente la

prima e la seconda generazione, in cui fondamentale risulta il business che

prevale sulla famiglia. I problemi conseguenti risultano non solo aziendali e

finanziari, ma anche di natura fiscale e societaria. Il rapporto fra i familiari

diviene difficoltoso, la nuova idea imprenditoriale toglie attenzioni all‟interno

della famiglia e la concentrazione è vincolata alla sua realizzazione. L‟obiettivo

principale è la crescita e la forma di finanziamento diffusa, oltre al capitale

proprio, è quella bancaria. Successivamente, il supporto alla crescita può

servirsi del venture capital e del private equity che prevedono l‟apertura del

capitale di rischio.

La prima tappa riguarda i primi 30/40 anni di vita dell‟azienda

La seconda fase (family in the business) è quella in cui è l„organizzazione a essere il

concetto prioritario, comprendente la seconda e la terza generazione. L‟attività

è avviata e sorgono nuovi problemi legati alla gestione familiare e alla

trasmissione del valore creato. Viene considerata la fase più rischiosa del family

business, in quanto la sua complessità potrebbe determinarne il futuro e

precludere lo sviluppo aziendale. E‟ in questa fase centrale che si avvia il 13 Di Mascio A., Family business. Strategie private e corporate banking per le imprese familiari, Egea, 2007

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processo di separazione tra famiglia e azienda, in cui parte dei familiari viene o

meno coinvolta nella gestione e nella proprietà. Il passaggio dalla seconda alla

terza generazione si rivela particolarmente critico e segna lo spartiacque tra le

compagini proprietarie concentrate e quelle frammentate. Le prime con

consanguinei coinvolti attivamente in azienda, le seconde in cui i soci

detengono legami più deboli e che spesso sono causa di tensioni e di

conflittualità fatali. L‟obiettivo principale diventa la crescita associata a una

diversificazione e si può valutare la possibilità di collocare sul mercato

finanziario una parte della proprietà.

La seconda tappa dura fino a 70 anni di attività aziendale e riguarda la

comproprietà tra i congiunti

La terza e ultima fase (family in the office) è quella caratterizzata dalla corporate e

dalla finanza, comprendente la terza e quarta generazione. Questa realtà

richiede nuovi asset quali la liquidità, gli intangibles, le rendite, gli immobili e

viene perciò affidata a manager e a specialisti esterni. I servizi collegati sono di

consulenza strategica e di International Wealth Management (IWM) e

riguardano eventuali fusioni, acquisizioni, diversificazioni, cessioni o

dismissioni del business. Emergono problemi familiari e patrimoniali legati

all‟impossibilità di coinvolgere tutti i membri della famiglia in azienda. Molto

forte è l‟attenzione al controllo.

La terza tappa supera i 70 anni di longevità del family business e riguarda la

comproprietà tra cugini

Si possono identificare tre tipologie di family office:

I family office no profit controllati da una o più famiglie proprietarie o ex

proprietarie di attività aziendali, che erogano servizi esclusivamente alla o alle

famiglie che lo hanno costituito;

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I family office profit controllati da una o più famiglie proprietarie o ex proprietarie

di attività aziendali, che erogano servizi alla o alle famiglie proprietarie, ma

anche ad altri tipi clienti;

I family office profit di proprietà di soggetti diversi dalle famiglie, normalmente

consulenti e professionisti, che erogano servizi a più famiglie o ad altri tipi di

clienti.

Le principali ragioni che spingono una famiglia imprenditoriale ad avvalersi

della collaborazione di un family office vanno ricercate nell‟atteggiamento

critico manifestato nei confronti degli intermediari finanziari. Più precisamente,

tali critiche sono rivolte ai rendimenti negativi realizzati dai gestori in anni

recenti, all‟esistenza di conflitti di interesse dei gestori e alla presenza di un

livello di personalizzazione del servizio pressoché insufficiente. In questo

senso il family office presenta vantaggi di indipendenza, in quanto gli

interlocutori sono liberi da conflitti di interesse, di personalizzazione, di

familiarità nella relazione, di rapidità decisionale e di intervento. Il tutto reso

possibile da una gestione „centralizzata‟ del patrimonio finanziario, sia di quello

indiviso che di quello proprio del nucleo familiare, utilizzato per offrire ai

familiari alcuni servizi utili a preservare un senso comune di appartenenza

quando cominciano a distinguersi i ruoli tra familiari impegnati nella gestione e

familiari azionisti. I sevizi offerti riguardano la long term mentoring, la

consulenza professionale, l‟amministrazione del personale, la gestione di

immobili o beni mobili, la sicurezza e la sorveglianza, la distribuzione di una

newsletter sui principali eventi riguardanti le attività aziendali e la famiglia e altri

servizi minori.

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4. Le specificità e le caratteristiche distintive.

L‟impresa familiare ha come principali obiettivi la sopravvivenza e la

trasmissione generazionale del valore creato.

Imanol Belausteguigoitia14 sostiene che i vantaggi competitivi di un family

business vadano ricercati e identificati in una maggiore lealtà (greater loyalty), in

un maggior attaccamento all‟impresa rispetto alle non-family (stronger

commitment), in una maggior capacità e facilità di comunicazione (easier under

standing), nel rispetto dell‟autorità (respect for authority), nel minor turnover dello

staff organizzativo (low staff turnover), nella visione di lungo periodo (long-term

vision) e infine nella quantità di tempo che essa dedica all‟istruzione degli

impiegati e all‟addestramento dei suoi successori (plenty of time to train employees

and groom successors).

Molte di queste caratteristiche sono costituite da fattori che inducono le

imprese familiari a performance migliori rispetto alle imprese non familiari,

anche se l‟assenza di separazione tra proprietà e governo sono causa di una

serie di complessità da non sottovalutare. Tali conflitti hanno effetti sulla

creazione di valore e il loro impatto rendono il family system di difficile

valutazione.

In tal senso possiamo distinguere le family business in base al modello di

proprietà, alla presenza di familiari nel Cda e negli organi di direzione e alla

dimensione15.

Il modello di proprietà del capitale identifica quattro tipologie che di solito

corrispondono alle singole fasi di sviluppo di un family business:

14 Imanol Belausteguigoitia è professore e direttore della ricerca presso il Centre for the Development of Family Businesses, Itam University, Mexico City 15 Corbetta G., Le imprese familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo, Egea, 1995

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15

Proprietà assoluta dove il capitale è posseduto da un solo soggetto (tipica dei primi

anni di vita dell‟impresa);

Proprietà chiusa stretta dove il capitale è posseduto da pochi soggetti membri della

famiglia (tipica della prima generazione);

Proprietà chiusa allargata dove il capitale è posseduto da un numero più ampio di

soggetti discendenti dalla famiglia (tipica della seconda e terza generazione);

Proprietà aperta dove il capitale è posseduto da soci membri e non membri della

famiglia (possibile in qualsiasi generazione).

La presenza di familiari nel Cda e negli organi di direzione esprimono i rapporti

esistenti tra la famiglia e l‟impresa, con il manifestarsi di differenti situazioni in

cui essi sono i soli soggetti dedicati al management oppure sono affiancati da

esterni:

Cda e organi di direzione composti solo da membri della famiglia;

Cda e organi di direzione composti da familiari e non, con la maggioranza di

membri appartenenti alla famiglia;

Cda e organi di direzione composti da familiari e non, con la maggioranza di

membri non appartenenti alla famiglia.

La dimensione dell‟impresa può essere piccola, media o grande a seconda del

numero di dipendenti, il fatturato e il valore aggiunto16.

Considerando le tre variabili congiuntamente otteniamo vari modelli di imprese

familiari:

Impresa familiare domestica a proprietà assoluta o stretta, Cda e organi di direzione

composti da familiari e piccole dimensioni; 16 Vedi § 6. La varietà delle aziende di famiglia

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16

Impresa familiare tradizionale a proprietà assoluta o stretta, Cda composti da

familiari e organi di direzione misti, medie e grandi dimensioni;

Impresa familiare allargata a proprietà allargata, Cda composti da familiari o misti

e organi di direzione misti, medie e grandi dimensioni;

Impresa familiare aperta a capitale posseduto da familiari e soggetti esterni, Cda e

organi di direzione composti da familiari e non, medie e grandi dimensioni.

La natura e la struttura della proprietà e del management rendono l‟impresa

familiare un‟entità economica speciale che si differenzia profondamente dalle

non family business, con vantaggi e svantaggi competitivi. La separazione tra

proprietà e controllo della moderna impresa capitalistica manageriale delega ai

manager il controllo effettivo delle operazioni aziendali, che possono

perseguire i loro interessi personali a danno di quelli degli azionisti. Un esempio

è l‟attuazione di strategie di crescita per la massimizzazione dei loro benefits

personali o la massimizzazione dei ricavi legate alle vendite, perseguendo

obiettivi di breve termine. Questo problema di agenzia è noto come principal-

agent17. Nel family business questi costi non esistono o sono ridotti al minimo

quando il principal e l‟agent risiedono nella stessa persona con conseguente

vantaggio di costo e maggiore efficienza.

Un‟impresa familiare può adottare differenti stili manageriali per realizzare le

strategie e attraverso l‟accentramento del processo decisionale e le

caratteristiche sopra citate possono raggiungere rapidamente efficienze

operative, senza bisogno di ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali tipiche

delle imprese non familiari. La stessa fiducia e lealtà, riconosciuta e condivisa

dagli stakeholders, migliora le relazioni aumentando il grado di coinvolgimento

per il raggiungimento della mission aziendale. Le decisioni prese in modo 17 Jensen M.C., Meckling W.H., Theory of the firm. Managerial behavior, agency costs and ownership structure, Journal of Financial Economics, 1976

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17

informale rendono flessibile l‟intera organizzazione facilitandone lo sviluppo,

con una struttura snella e rapida.

Merita un breve richiamo il tema dell‟innovazione su cui due scuole di pensiero

si confrontano in maniera conflittuale. La prima sottolinea il potenziale di

trasmissione dell‟innovazione del family business18, mentre la seconda la sua

bassa propensione all‟innovazione, in quanto tenderebbe a ripetere strategie e

stili manageriali già consolidati senza alcun adattamento ai nuovi cambiamenti

di mercato e alle relative correlate opportunità.

Un‟altra importante peculiarità delle imprese familiari è rappresentata

dall‟utilizzo di una visione di lungo periodo, con l‟attenzione ai potenziali di

crescita e ai progetti di investimento dovuta all‟inseparabilità tra gli obiettivi

della famiglia e quelli dell‟impresa19. L‟obiettivo è quello di massimizzare il

benessere delle attuali e future generazioni in una prospettiva trans-

generazionale, al contrario un‟impresa manageriale è legata alla

massimizzazione del valore delle azioni con un orizzonte di breve periodo volta

a incrementare i benefits personali dei manager. La visione di lungo termine nel

family business è correlata a una elevata stabilità, un basso turnover

manageriale e agli investimenti di capitale proprio o patient money. Il capitale

di rischio viene così denominato per la sua caratteristica di essere paziente

verso i risultati del progetto, conseguenza del binomio famiglia-impresa e della

sua inseparabilità rispetto alle pressioni degli azionisti delle imprese non

familiari. E‟ bene specificare che non sempre è destinato a investimenti

orientati alla crescita, a causa di una avversione al rischio (risk-adversion) che,

unita alla scarsità delle risorse finanziarie e alla scarsità di professionalità dei

18 Litz R., Your old men shall dream dreams, your young men will see visions. A conceptualization of innovation in family firms, Canadian Council for Small Business & Entrepreneurship 17th Annual Conference, Ottawa, Ontario, 2000 19 Aronoff C.E., Ward J.L., Set policies to solve future problems, Nations Business, 1994

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familiari, frena lo sviluppo di progetti caratterizzati da una maggior volatilità e

che richiedono una conoscenza più elevata.

Per quanto riguarda la composizione dell‟organo di governo, se da un lato la

presenza di familiari può sembrare un risparmio del costo del reperimento delle

risorse umane, dall‟altro potrebbero essere potenzialmente tanto più alti i costi

che deriverebbero da un‟inadeguatezza dei membri cooptati per la gestione

dell‟impresa, nel caso in cui non avessero appropriati skills manageriali20.

Ovviare a questi potenziali conflitti, finanziari e non, significa limitarli o evitarli

attraverso una pianificazione dell‟evoluzione della struttura organizzativa. Per

contro, le risorse umane possono godere di maggiore flessibilità, di un rapporto

con la proprietà più diretto e di una remunerazione mediamente superiore

rispetto a realtà di maggiori dimensioni.

Analizziamo ora le principali criticità e tensioni che si manifestano tra i membri

della famiglia riguardo alle loro vite personali e il lavoro prestato all‟interno

dell‟impresa.

Questi conflitti si riferiscono ai bisogni e ai valori umani dell‟individuo e

possono essere manifesti (manifest) oppure non manifesti (unmanifest), dovuti a

problematiche irrisolte che potrebbero manifestarsi nel futuro. Nella

maggioranza dei casi i conflitti sono visibili (visible) e si concretizzano in

tensioni intrapersonali tra i membri della famiglia o si evolvono in una tensione

focale (focal conflict), altri sono non visibili (invisible) e quindi latenti. I conflitti

invisibili presentano criticità non comunicate (undiscolsed) o inconsce (unconscious)

molto pericolose perché di non facile soluzione21.

20 Westhead P., Cowling M., Performance contrasts between family and non-family unquoted companies in the UK, International Journal of Entrepreneurial Behaviour and Research, 1997 21 Levinson H., Conflicts that plague the family business, Harvard Business Review, 1971

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Le cause di tali conflitti risiedono nella natura unica tra membri della famiglia e

i loro collaboratori (relazione unica), nel rapporto genitore-figlio (sistema di regole),

nella relazione sistemica tra famiglia e impresa (sistema dei ruoli) e nella relazione

dei membri familiari con la famiglia e con il lavoro (relazione duale)22. Le

principali tensioni sono legate a una vision differente, alla successione

imprenditoriale e di leadership, alla gelosia di alcuni membri della famiglia, alla

scarsa comunicazione, alla carenza di capacità manageriali, alla disuguaglianza

nelle mansioni e nelle remunerazioni dei membri coinvolti. Tutti gli altri

conflitti possono essere spiegati attraverso la spillover theory23. Uno

„spargimento‟ positivo trasferisce le soddisfazioni e gli stimoli derivanti dal

lavoro alla famiglia, mentre uno „spargimento‟ negativo mina la partecipazione

alla vita familiare. Sicuramente il problema più noto è rappresentato dal

trasferimento dell‟impresa di padre in figlio e dalla successione alla leadership,

ma come ogni tipo di conflitto può essere individuato prima ancora che esso si

manifesti attraverso un sistema di comunicazione e di regole chiare rispettate

da tutti24. In questo caso particolare occorrerà pianificare sia il ritiro del

fondatore dalla gestione attiva dell‟impresa che la formazione degli eredi o

introdurre, se fosse necessario, un membro esterno alla famiglia per contribuire

alla sopravvivenza del business nelle varie transizioni generazionali.

5. Le fasi di sviluppo nelle imprese familiari.

Il family business viene considerato uno stadio evolutivo verso la

managerializzazione che, attraverso la transizione in due o tre generazioni, apre

22 “A dir la verità ritengo che le cariche nelle aziende familiari non abbiano senso in quanto è difficile il rispetto gerarchico tra i parenti”, Cit. Alberto Bauli, Presidente Bauli S.p.A. 23 Evans P., Bartolome F., The changing picture of the relationship between career and the family, Journal of Occupational Behavior, 1984 24 Tillett G., Resolving conflict. A practical approach, Oxford University Press, 2001

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il capitale al mercato oppure scompare. La difficoltà risiede nel gestire e

mantenere il processo di crescita una volta raggiunto, nonché reperire risorse

manageriali efficienti all‟interno della famiglia. Questa complessità è nota come

il paradigma della terza generazione: nascita, sviluppo e declino25. Il problema

del cambio di leadership imprenditoriale presume la presenza di un erede

adeguato o di manager non membri della famiglia proprietaria. Chandler26

afferma come il mantenimento della posizione dominante avvenga quando la

successione è pianificata e governata prudentemente. In tempi favorevoli

potrebbe rappresentare una limitazione all‟innovazione, ma in periodi di crisi è

indubbiamente fonte di un vantaggio competitivo.

Lo sviluppo di un‟impresa familiare può essere considerato non solamente in

termini di crescita dimensionale, ma anche in termini qualitativi e caratterizzato

dall‟alternanza di momenti di crisi e di evoluzione. Dato che il processo di

crescita può non essere lineare e continuo, spiegarlo attraverso schemi

eccessivamente deterministici risulterebbe riduttivo. Il limite è vedere lo

sviluppo come processo di tipo incrementale che si realizza attraverso vari

modelli. Il successo o il fallimento di un family business è determinato da

diversi fattori riferibili all‟impresa come le risorse finanziarie, le risorse umane,

le risorse dei sistemi operativi e al titolare/manager con riferimento alle sue

capacità operative, manageriali e alle sue capacità strategiche.

Gli studi sull‟impresa familiare riferiti agli anni Sessanta e Settanta assumono di

base che le logiche familiari nella gestione dell‟impresa siano un freno al

processo di transizione verso assetti organizzativi più evoluti. Essi si

focalizzano sull‟analisi di quei fattori propri della famiglia che ostacolano

un‟amministrazione efficiente dell‟impresa. La loro origine risiede nella

25 Morikawa H., A history of top management in Japan. Managerial enterprises an family enterprises, Oxford University Press, 2001 26 Chandler A.D., Strategy and structure, MIT Press, 1962

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presenza di questi due sistemi, la famiglia e l‟impresa, che implicano conflitti di

ruolo con conseguente confusione. Levinson27 si sofferma sulle influenze

psicanalitiche dell‟imprenditore, che in qualità di fondatore è mosso dal

desiderio di affermazione e di successo personale: “Per l‟imprenditore l‟impresa è

essenzialmente una estensione di se stesso, un mezzo per la sua personale gratificazione e il

suo achievement”. Secondo Barry28 queste caratteristiche sono decisive per il

successo dell‟impresa e soprattutto nelle fasi successive all‟avvio. Questo

atteggiamento è l‟origine di uno scarso orientamento alla delega, con possibilità

di arresto alla crescita, e alla pianificazione di un eventuale successore. Egli

afferma che l‟obiettivo reale di un‟impresa familiare non si riscontra solamente

nel mero risultato economico, ma anche in obiettivi che risiedono nella cultura

e nella tradizione storica della famiglia, come il mantenimento dello status che

la proprietà di quell‟impresa ha acquisito nel corso delle generazioni o di

metodi e tecniche tradizionali che, diffidenti verso l‟innovazione, sono

finalizzate al puro sostentamento: “L‟impresa familiare tende ad avere legami

particolarmente stretti con la comunità di cui fa parte; in molti casi i membri della famiglia

sono coinvolti attivamente nella vita politica e sociale della comunità”. Da questo deriva la

riluttanza nel reperire dall‟esterno i capitali necessari per lo sviluppo, in quanto

ciò potrebbe incidere sul controllo che la famiglia detiene sull‟impresa, e il

privilegiare nell‟assegnazione di posizioni direttive i membri della famiglia, non

tenendo in debita considerazione le effettive capacità manageriali.

Per minimizzare gli effetti negativi della famiglia e sviluppare modalità di

gestione più razionali, l‟imprenditore dovrebbe mettere in evidenza gli eventuali

27 Levinson H., 1972 28 Barry B., 1974

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problemi e criticità con un‟attività di pianificazione che stimoli la ricerca di

soluzioni derivanti e risponda alle specifiche necessità dell‟impresa29.

Negli anni Ottanta si consolida l‟idea del ruolo rilevante dell‟impresa familiare

nei sistemi economici più avanzati, grazie alla sua capacità di rispondere

prontamente e con innovazione a un ambiente caratterizzato da crescente

instabilità e turbolenza. In questi anni si rivalutano le doti imprenditoriali di

intuizione e la capacità di innovare, dopo che per lunghi anni il management

professionale si era centrato più sullo sviluppo di capacità di analisi e

sull‟applicazione di tecniche di gestione che sulla rapidità di azione e decisione.

Messo in crisi il mito della public company dalla rilevanza dei fenomeni di take-

over ostili, dagli aspetti negativi della burocrazia e dall‟avversione ad assumere

rischi, cresce l‟interesse verso le aziende di famiglia con l‟assunto di base che sia

un potenziale di sviluppo dell‟impresa. Ciò a portato a focalizzare l‟attenzione

sul ruolo della famiglia come elemento fondante di coesione interna e di

adattamento all‟ambiente, tralasciando i problemi e i meccanismi relativi alla

transizione verso l‟impresa manageriale. Superata la tendenza a considerare la

famiglia e l‟impresa due entità separate, è emersa la loro concezione congiunta

e l‟analisi in base alle loro reciproche relazioni. Il family business viene così

valutato come forma stabile e durevole dei sistemi più sviluppati,

abbandonando il mito della sua inevitabile crisi30.

Oggi si rileva come lo sviluppo delle imprese familiari attraversa modalità

differenti rispetto alla sola crescita dimensionale, con la creazione di network di

aziende di dimensioni ridotte che sono controllate dalla famiglia e la cui

gestione viene affidata ai membri della stessa. A questo proposito si osserva la

tendenza a utilizzare modelli meno normativi con approcci multidisciplinari

29 Danco L.A., Inside the family business, The University Press, 1980; Beyond survival. A guide for the business owner and his family, The University Press, 1982 30 Boldizzoni D., L‟impresa familiare, Il Sole 24 Ore, 1988

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capaci di far emergere la parte meno razionale del family business, avente

particolare utilità nello stimolo e nel potenziale di crescita.

Generalmente si possono individuare le seguenti fasi di sviluppo ognuna

caratterizzata da un cambiamento strategico di base:

Padronale nella quale la dimensione risulta piccola e la gestione semplice e

accentrata (es. ditta individuale);

Padronale allargata nella quale l‟introduzione di collaboratori esterni alla famiglia

ne determina una crescita dimensionale (es. società di persone, S.n.c., S.a.s.);

Pseudo manageriale nella quale la crescita risulta continua e si avvertono i primi

problemi di governante che inducono a un implosione o alla vendita (es. società

di capitali, S.r.l. o S.p.A.);

Manageriale evoluta nella quale la crescita risulta rapida e ampia con

l‟introduzione di consulenti per la relativa gestione straordinaria (es. gruppo o

conglomerato);

Manageriale sofisticata nella quale la gestione viene delegata e il controllo

unicamente per eccezione (es. multinazionale o società quotate).

6. La varietà delle aziende di famiglia.

La scelta di individuare quattro classi di aziende familiari in base a tre variabili

quali il modello di proprietà del capitale, la presenza dei familiari nel Cda e negli

organi di direzione e la dimensione dell‟azienda, non tiene conto di molte

varietà possibili perché non valuta la molteplicità delle situazioni riscontrabili.

Le imprese di tipo domestico, tradizionale, allargato e aperto sono infatti un

numero ristretto di esempi.

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Come conseguenza possiamo considerare familiari le aziende di prima

generazione o quelle in cui sono coinvolti membri della seconda e delle

successive in qualche ruolo molto numeroso (oltre le 15 persone), già abbastanza

numeroso (tra le 5 e le 10 persone) o ristretto a un numero ridotto (meno di 5

persone) e che ricoprono varie posizioni manageriali, oppure sono impegnati

solo nel ruolo di Amministratore Delegato o di Presidente e nei Cda. E ancora,

dove una o due persone hanno una forte influenza sulle decisioni degli altri

familiari, dove esiste una leadership consolidata che non intende considerare la

sua sostituzione, oppure dove è in corso una fase transizione verso un nuovo

leader, o dove egli ha affermato da poco il suo ruolo. Nonché quelle con una

forte identificazione tra famiglia proprietaria e azienda o con un legame meno

evidente, con un forte legame con il territorio di origine oppure meno

identificabile con una singola area geografica e infine con un grado di

internazionalità elevato o più ridotto31.

E‟ evidente come questa realtà comprenda diversi scenari che presentano delle

strutture proprietarie, dei modelli di governo e di gestione differenti. Possono

dunque essere classificate anche in base alla capacità di promuovere il „fattore

imprenditoriale‟, estremamente importante per lo sviluppo e la valorizzazione

del vantaggio competitivo acquisito. Mettendo a confronto due modelli di

impresa familiare atti a favorire tale caratteristica, il modello dinastico (dynastic

model) e il modello d‟impresa familiare aperta (open family firm model), si evince

come nel primo prevalga l‟effetto di frenare l‟innovazione, con la tendenza

sfruttare il vantaggio competitivo acquisito nella fase di start up dell‟attività

imprenditoriale, mentre nel secondo prevalga la dinamicità delle risposte ai

31 Corbetta G., Le aziende familiari. Strategie per il lungo periodo, Egea, 2010

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cambiamenti imposti dal mercato, con la presenza di membri esterni alla

famiglia (outsider)32.

Il modello dinastico si configura come un modello nel quale la diffusione di

imprenditorialità permane nell‟ambito familiare ed è destinata a conservarsi di

generazione in generazione. Essenziale è lo spirito di clan, l‟orgoglio di

appartenenza a una famiglia imprenditoriale e la libertà di scelta se appartenervi

o meno, tramite la predisposizione di idonei meccanismi di uscita dalla

compagine proprietaria.

Il modello di impresa familiare aperta si configura invece come un modello nel

quale la diffusione di imprenditorialità è individuale tra i membri della famiglia,

che potranno esprimerla portando avanti le proprie iniziative

indipendentemente e in piena autonomia rispetto ai familiari. La famiglia

dell‟imprenditore fondatore o proprietario rappresenta il terreno fertile in cui si

coltiva la vocazione a diventare imprenditore.

Da entrambi i modelli sono scaturite imprese familiari vitali, anche se il

modello dinastico per sua natura favorisce la formazione di gruppi di grandi

dimensioni nei settori di appartenenza

Un altro tipo di varietà si può rilevare quando si osserva la storia delle singole

famiglie, alcune delle quali hanno deciso di cedere l‟azienda o il controllo,

nonostante siano rimaste nell‟azionariato in misura importante, oppure sono in

attesa e alla ricerca di opportunità di crescita data la presenza di proprietari

competenti e motivati. Altre ancora, si sono sostituite a famiglie in cui la spinta

imprenditoriale era giunta al termine, dimostrando talento e capacità di

adattamento a settori non sempre simili all‟attività da loro svolta.

32 Miglietta N., Family business. Strategie di governo delle imprese familiari, Cedam, 2009

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La varietà rispetto alla variabile dimensionale merita un adeguato

approfondimento. La definizione di piccola e media impresa rappresenta infatti

un coefficiente di natura quantitativa arbitrario che non esaurisce il concetto.

I parametri fissati in sede UE precisano che si possa parlare di „media impresa‟

nella duplice condizione d‟impresa caratterizzata da 50 fino a 249 dipendenti e

da un fatturato annuo di 50 milioni di euro e comunque un totale delle attività

non superiore ai 43 milioni di euro. Al di sotto e al di sopra di tali valori di

riferimento, possono essere classificate la piccola e la grande impresa.

Esistono diverse considerazioni che alcuni operatori e autori hanno effettuato

nell‟ambito dei loro studi a riguardo e in particolare è il caso di riportare quelle

dell‟Unioncamere e di Mediobanca, che rintracciano nel concetto di media

impresa quelle società che vanno dai 50 fino ai 499 dipendenti e con un

fatturato annuo tra i 13 e i 260 milioni di euro, e quelle di Bonomi33 e Corbetta

che invece, la circoscrivono in società che vanno da 250 fino a 1000 dipendenti

e con un fatturato annuo tra i 25 e i 500 milioni di euro. L‟assunto di base,

comune a entrambi, è che un paragone con gli ambienti competitivi

internazionali farebbe emergere, stando ai parametri fissati dall‟ UE, una

divergenza in termini di media impresa e mostrerebbe un certo nanismo che

affligge le nostre imprese. Ciò costituisce un limite alla penetrazione in nuovi

mercati, soprattutto in fase di internazionalizzazione, e uno svantaggio per

quanto concerne la competizione globale34.

Nel corso degli anni si sono susseguiti due approcci, l‟uno evidenziava i

vantaggi in termini di specializzazione e qualità (“piccolo è bello”), l‟altro

33 Aldo Bonomi è direttore dell'Istituto di ricerca Aaster e consulente del Cnel. Fa parte dell'organismo internazionale di studiosi e imprenditori noto come "gruppo di Lisbona"e del comitato scientifico dell‟EntER. 34

Corbetta G., Le medie imprese. Alla ricerca della loro identità, Egea, 2000

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confrontava i problemi relativi al processo di internazionalizzazione, al

raggiungimento delle economie di scala e ai sistemi di protezione dei piccoli

investitori (public company).

Successivamente, negli anni Novanta, si è avuto un approccio che dall‟impresa

come entità giuridica si concentrava all‟impresa come gruppo e sulla base di

evidenze empiriche35 dimostrava come questa struttura fosse presente solo tra

le grandi imprese. La valutazione dell‟effettiva dimensione e morfologia delle

medie imprese non assume rilievo solamente di tipo classificatorio, ma pone

delle questioni per ciò che riguarda la governance. Il vertice controllante svolge

un‟attività simile a quella della direzione di un‟impresa multi-divisionale, con la

differenza che le singole unità etero dirette possono reperire risorse finanziarie

esterne senza dover essere totalmente soggette alla direzione generale. Anche le

modalità di sviluppo del gruppo risentono della componente dimensionale,

tanto è che nei piccoli gruppi si osserva la costituzione di nuove entità, mentre

in quelli maggiori si osservano prevalentemente processi di acquisizione.

Questo è dovuto alla tendenza naturale della media impresa a diversificarsi in

maniera correlata e a crescere attraverso una differenziazione di tipo

orizzontale e verticale36.

Da un punto di vista morfologico le motivazioni che spingono la media

impresa a una struttura di gruppo sono di carattere organizzativo a differenza

delle grandi imprese, dove essa viene considerata uno strumento finanziario

finalizzato a massimizzare la capacità di controllo con la quotazione in borsa

della società e la presenza di soci di minoranza. Per le famiglie imprenditoriali

35

Balconi M., Moisello A., Mutinelli M., La fine della polarizzazione. Le caratteristiche e la

crescita dei gruppi medi italiani, Economia e Politica Industriale, 1998 36

Brioschi F., Buzzacchi L., Colombo M. G., Gruppi d‟imprese e mercato finanziario. La

struttura del potere nell‟industria italiana, La Nuova Italia Scientifica, 1990.

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significa invece segmentare e dare autonomia ai vari business, consentendo di

canalizzare in rami aziendali i loro diversi membri con la creazione di sfere di

potere non conflittuali tra loro37.

7. La diffusione del family business nel contesto globale e nazionale.

Le imprese familiari rappresentano, sia in contributo sul PIL che di forza

lavoro, la tipologia di impresa più diffusa. Le stime oramai accolte indicano

come esse oscillerebbero a livello mondiale tra il 65 per cento e l‟80 per cento

del totale. Purtroppo tali ricerche di tipo quantitativo non sono il risultato di

approfondite indagini e la loro affidabilità continua a essere opinabile.

Occorrerebbe raccogliere in un database i dati per status familiare, in termini di

proprietà e direzione, per venire a conoscenza del loro numero esatto e della

loro tipologia. Tradizionalmente e tendenzialmente assumono un ruolo di

rilievo nei settori primari, quali l‟agricoltura e il commercio.

Secondo i dati IFERA38, l‟Europa sarebbe il continente in cui esse sono

maggiormente presenti. Le percentuali di Francia (60%), Germania (84%),

Olanda (74%), Portogallo (70%), Belgio (70%), Regno Unito (70-75%), Spagna

(75%), Svezia (79%), Finlandia (80%), Grecia (80%) e Italia (85%) ne sono una

prova. In America si segnala il caso degli Stati Uniti (95%), superiore rispetto

all‟America Centrale e Latina comprendente Argentina, Cile e Uruguay (65%).

In Brasile invece più del 90 per cento di imprese sono a carattere familiare,

mentre in Australia sembrano rappresentare il 75 per cento. Per quanto

37 Colli A., Il quarto capitalismo. Un profilo italiano, Marsilio, 2002

38 International Family Enterprise Research Academy, fondata nel 2001 da un gruppo di professori e ricercatori con l‟obiettivo di sviluppare gli studi sull‟impresa familiare su scala mondiale.

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riguarda i paesi asiatici sono pochi ancora oggi i dati disponibili, nonostante ci

siano le aziende familiari più antiche del mondo.

Il loro contributo in termini di PIL e di occupazione è minore del 10-30 per

cento rispetto a quanto non lo sia in termini di percentuale di family business

sul totale39. Se la variabile dimensionale in Europa rivela come esse siano più

piccole rispetto alle non familiari, con le relative eccezioni di Germania e

Francia, dall‟altro è interessante evidenziare come le imprese familiari hanno

più occupati delle imprese non familiari, a parte Francia e Olanda.

Come si evince dall‟indagine IFERA, le imprese familiari in Italia costituiscono

la realtà aziendale prevalente sia come PMI che come grandi imprese o gruppi

industriali, da sempre contrapposta a quella anglosassone a capitalismo

manageriale e public company. Una stima più accurata, basata sulla struttura

proprietaria e di controllo, è fornita dalla Banca d‟Italia40 che dimostra come la

proprietà sia molto concentrata con una dimensione media della quota detenuta

dal primo azionista pari al 52 per cento del capitale. Da questa analisi emerge

che il 48 per cento delle imprese sono controllate di diritto da un unico

azionista e la somma delle prime tre quote consente di controllare la totalità

delle imprese considerate. I risultati ottenuti confermano l‟assenza di proprietà

diffusa e che la proprietà diretta è detenuta nella maggioranza dei casi da

persone fisiche, come riprova del basso grado di separazione tra proprietà e

controllo. Si sono poi individuati gli strumenti utilizzati per esercitare il

controllo, integrativi o sostitutivi della proprietà, sia di tipo formale che

informale. Rientrano tra i primi le clausole restrittive della libertà di

circolazione delle partecipazioni o i patti sociali, mentre tra i secondi i legami di

tipo familiare che si riducono al crescere della dimensione aziendale. Il modello

39 IFERA, Family business dominate, Family Business Review, 2003 40 Trento S., Giacomelli S., Proprietà, controllo e trasferimenti nelle imprese italiane. Cosa è cambiato nel decennio 1993-2003?, Banca d‟Italia, 2005

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di controllo dominante tra le PMI è quello familiare (46%), seguito da quello

assoluto (22%), quello di gruppo (17%) e quello di coalizione (13%). Sono poi

stati individuati i legami tra i soggetti al vertice della struttura di gruppo,

mostrando come il controllo nasconda per i due terzi il controllo familiare,

mentre per il resto il controllo assoluto e di coalizione. E‟ evidente il carattere

personalistico familiare degli assetti di controllo delle PMI che aumenta con le

dimensioni, dove le famiglie modificano il suo esercizio passando a modalità

dirette a forme mediate da strutture di gruppo.

Il nostro capitalismo è per certi versi atipico non fondandosi né sui mercati di

capitale di rischio, né sul coinvolgimento di banche nella gestione dell‟impresa

o di istituti finanziari nella supervisione dell‟operato dei manager. Il

reperimento di capitale è infatti reso complesso da alcune dinamiche

puramente italiane come il controllo di tipo familiare, la sovrapposizione tra i

patrimoni aziendali e quelli familiari, una struttura finanziaria sbilanciata da un

eccesso di debito a breve periodo e infine un mercato finanziario non ancora

sviluppato. L‟analisi dell‟Osservatorio Assolombarda Bocconi e Banca Intesa

evidenzia la scarsa capitalizzazione delle imprese italiane con un‟incidenza del

25 per cento dei mezzi propri sull‟attivo netto, contro il 30-48 per cento delle

imprese europee, e con la leva finanziaria, ovvero il rapporto tra debito e mezzi

propri, intorno al 2,9 per cento, quando il valore massimo in Europa, raggiunto

da Svezia e Gran Bretagna, si attesta al 1,8 per cento41.

Relativamente alle classi di fatturato annuo, il 39 per cento delle imprese

familiari italiane si aggira intorno ai 60 milioni di euro, mentre il 53 per cento

supera i 361 milioni di euro. In base alla distribuzione geografica invece il 73

41 Osservatorio Assolombarda Bocconi Banca Intesa, Struttura patrimoniale-finanziaria e competitività delle piccole e medie imprese. Un confronto a livello europeo, 1999

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per cento si collocano al Nord, il 17 per cento al Centro e il 10 per cento al

Sud42.

Nel sistema industriale italiano l‟elevata presenza di PMI e il numero contenuto

di imprese di grandi dimensioni può ricondursi a una forte vocazione

imprenditoriale. In particolare l‟aumento del numero di familiari e la „deriva

generazionale‟, le basse barriere all‟entrata di alcuni settori, la presenza di

distretti industriali, i processi di esternalizzazione e il sistema delle facilitazioni

pubbliche spinge alla creazione di nuove imprese. Ciò comporta uno

sbilanciamento del nostro sistema verso la piccola e media dimensione ed è

ragione di questo nanismo43. Secondo Unioncamere e Mediobanca, le medie

imprese sarebbero “la punta di diamante del nostro sistema produttivo” e, sebbene

rappresentino solo l‟1,3 per cento del tessuto manifatturiero, generano oltre il

13 per cento del valore aggiunto, grazie alla qualità e lo stile dei prodotti, la

flessibilità delle organizzazioni, alla capacità di realizzare innovazioni, accordi di

cooperazione e progetti di localizzazione all‟estero. Queste risorse si tramutano

in vantaggi competitivi per superare le insidie e le difficoltà che la concorrenza

internazionale, con la crescente globalizzazione e integrazione dei mercati, ha

scaturito sovrapponendosi al consistente peso dei paesi BRICS44 (acronimo di

Brasile, Russia, India e Cina) e dei Next-1145 (la sigla fa riferimento a Bangladesh,

Corea del Sud, Egitto, Filippine, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Turchia e

Vietnam).

In ultimo, potrebbe essere interessante un censimento sulle imprese di famiglia

di cittadini italiani emigrati, sui casi di marchi e brevetti inventati all‟estero e ivi

42 Vedi Il Sole 24 Ore, 28 Giugno 2004

43 Corbetta G., Le medie imprese. Alla ricerca della loro identità, Egea, 2000 44 O‟Neill J., Global Economics Paper No. 66, Goldman Sachs, 2001 45 O‟Neill J., Global Economics Paper No. 134, Goldman Sachs, 2005

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depositati, che sono rimasti sconosciuti e meriterebbero una qualche forma di

visibilità. Allora sì che forse verrebbero fuori tante storie di family business

interessanti, magari di successo, con indicazioni su crisi finanziarie superate e

conflitti familiari risolti.

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Capitolo Secondo

LA RELAZIONE TRA FAMIGLIA E TERRITORIO

SOMMARIO: 1. La strategia aziendale e i rapporti con l‟ambiente; 2. Il radicamento

territoriale; 3. Le dinamiche di crescita e la continuità del successo.

La continuità aziendale comporta la consapevolezza dell‟influenza delle proprie

attività sulle condizioni e il benessere generale della comunità e del territorio

volta al mantenimento e allo sviluppo della buona reputazione sotto ogni

aspetto. Questo radicamento territoriale se ben gestito può divenire una

prerogativa vincente nella vita delle imprese familiari.

1. La strategia aziendale e i rapporti con l’ambiente.

La definizione di family business, già riportata nel primo capitolo46, risulta

essere di primaria importanza nell‟analisi della gestione del processo strategico.

L‟impresa familiare, intesa come un‟attività governata con lo scopo di

sviluppare e sostenere una vision condivisa e controllata da membri della stessa

famiglia, implica l‟esistenza di obiettivi di lungo termine, di una strategia

pianificata per il raggiungimento di tali obiettivi e di meccanismi atti a

permetterne la realizzazione, la valutazione e il controllo della stessa.

L‟analisi e la gestione di questo processo strategico non si differenzia rispetto a

un‟impresa non familiare in quanto ogni strategia deve essere necessariamente

46 Vedi Capitolo Primo § 1. In cerca di una definizione del family business

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formulata, realizzata, valutata e controllata tenendo presente i suoi obiettivi di

lungo termine. Le eventuali differenze andranno ricercate negli obiettivi

prefissati, nel modo in cui la gestione del processo strategico si realizza e nei

soggetti che vi parteciperanno. Infatti, in un family business il proprietario è in

grado di influenzare tutte le fasi della gestione del processo strategico, mentre

nelle imprese non familiari ciò non avviene e le influenze della famiglia

possono nell‟ipotesi essere indirette.

Secondo Ansoff47 la strategia aziendale è costituita dall‟insieme delle politiche

che l‟azienda pone in essere al fine di raggiungere i suoi fini fondamentali e

come tale è causa prima dei risultati futuri incidendo sul contrasto tra la

variabilità dell‟ambiente esterno e la rigidità dell‟organizzazione interna. Il

concetto di strategia è basato sulla ricerca di un incontro con l‟ambiente esterno

mediante assetti aziendali flessibili (comportamento adattivo) oppure strategie che

influenzano l‟ambiente verso le modifiche desiderate (comportamento proattivo). La

capacità di risposta ai mutamenti ambientali è condizionata innanzitutto da

fattori esterni all‟azienda, quali l‟intensità e la velocità dei cambiamenti del

settore, e da fattori aziendali propri degli assetti istituzionali e organizzativi,

quali la politica degli investimenti e i vincoli relativi alle risorse umane e

finanziarie.

Le fasi che si susseguono nel processo di scelta della strategia e nella sua

successiva realizzazione si presentano dinamiche e interattive, formulate

attraverso una pianificazione attenta degli obiettivi e implementate secondo una

selezione e valutazione delle opportune alternative con un controllo garantito

dalla misurazione delle performance raggiunte per eventuali correzioni o

aggiustamenti necessari. Tali meccanismi di controllo possono differire

significativamente rispetto a un‟impresa non familiare in quanto dettati dalla

47 Ansoff H.I., Corporate strategy, McGraw Hill, 1965

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proprietà familiare con l‟influenza dei suoi valori, dei suoi interessi e della sua

cultura. La definizione delle problematiche e delle opportunità derivanti e

offerte dall‟ambiente esterno con il monitoraggio delle capacità e competenze

effettive dei membri della famiglia possono praticamente facilitare la

ridefinizione degli obiettivi e la scelta delle migliori decisioni strategiche

attraverso la valutazione e il controllo del processo. Tuttavia, l‟influenza

esercitata dall‟obiettivo di longevità che caratterizza l‟impresa familiare risente

delle relazioni familiari e della percezione dei ruoli legati ai manager non

appartenenti alla famiglia. Occorre dunque comprendere profondamente le

dinamiche di tali relazioni e riconoscere l‟importanza di entrambi i sub sistemi,

la famiglia e il business, per ricercarne le possibili modalità di integrazione48.

Gli obiettivi di un‟impresa familiare, dato il coinvolgimento della famiglia nella

proprietà e nella gestione, sono lontani dalle logiche legate alla massimizzazione

del valore economico del capitale per gli azionisti proprie delle imprese

manageriali. Ward49 propone un modello di sviluppo del family business a tre

stadi in cui nel primo i bisogni della famiglia e del business sono consistenti, nel

secondo la crescita e la formazione dei figli assumono un‟importanza rilevante,

mentre nel terzo i bisogni della famiglia e del business possono divenire

conflittuali. Nel primo stadio le motivazioni e le caratteristiche del fondatore

sono rappresentative degli obiettivi dell‟impresa familiare, nel secondo possono

cambiare riflettendo la sua priorità nella sistemazione adeguata dei figli, mentre

nel terzo possono ancora cambiare per effetto dei bisogni della famiglia o per il

miglioramento di una crisi di risultati (turnaround). Nell‟analisi del processo

strategico giova tener presente l‟esistenza di queste differenze nella

formulazione degli obiettivi aziendali dovute alla presenza della famiglia e

48 Sharma P., Chrisman J.J., Chua J.H., This is what strategic management is all about, 1997 49 Ward J.L., Keeping the family business healthy. How to plan for continuing growth, profitability, and family leadership, Jossey-Bass, 1987

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all‟esistenza di tali stadi evolutivi del business. Emerge con evidente chiarezza

come la trasmissione trans-generazionale dell‟impresa rappresenti uno degli

obiettivi di lungo termine che invita a pianificare crescita e sviluppo dell‟attività

imprenditoriale parallelamente alla ricerca di armonia all‟interno della famiglia.

La formulazione della strategia deve considerare l‟interazione fra famiglia e

business con il suo relativo cambiamento in concomitanza di ogni ricambio

generazionale e gestire contemporaneamente necessità strategiche differenti. La

diversificazione strategica o il mutamento di strategia sono manovre rischiose e

attuate solo in situazioni in cui si è nell‟impossibilità di ottenere risultati positivi

o incrementali, in crisi aziendali o da ragioni indotte dall‟ambiente esterno. La

pianificazione strategica in tal senso risulta più rilevante rispetto a un impresa

non familiare considerando l‟esistenza di relazioni tra i membri appartenenti

alla famiglia e di relazioni tra i membri e i manager esterni a essa.

La realizzazione della strategia è compromessa dal rischio che le risorse e le

capacità siano concentrate in una o poche persone oppure a membri familiari

non adeguati al ruolo. Secondo Lansberg50 dovrebbero essere impiegati nei

ruoli chiave della gestione solo i soggetti che hanno e dimostrano le migliori

competenze. Da qui la necessità di introdurre nella governance membri esterni

al nucleo familiare anche se autori quali Ford51 e Janovic52 sostengono che le

risorse umane esterne alla famiglia sarebbero legate da una mancanza di

conoscenza dell‟impresa e del suo ambiente con conseguente incapacità nella

realizzazione degli interessi della proprietà. Altri autori invece sottolineano

come l‟operato dei manager sarebbe condizionato dalla famiglia proprietaria

50 Lansberg I., Managing human resources in family firms. The problem of institutional overlap, Organizational Dynamics, 1983 51 Ford R.H., Outside directors and the privately owned firm. Are they necessary?, Entrepreneurship. Theory and Practice, 1988 52 Janovic D.L., Outside review in a wider context. An alternative to the classic board, Family Business Review, 1989

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quindi non libero da influenze e pressioni con l‟apporto di meno valore. La

presenza di un management professionale rappresentato dalla famiglia con una

pianificazione finanziaria unita a un sistema di controllo di gestione adeguato

possono ridurre notevolmente la necessità di rivolgersi a membri esterni per la

realizzazione delle strategie aziendali. Le relazioni tra familiari rappresentano

anche in questa fase un impatto potenziale molto elevato dovuto alla

periodicità quotidiana dei rapporti.

Le decisioni strategiche e la loro implementazione necessitano di un adeguato

controllo e di meccanismi operativi che ne valutino i risultati conseguiti per far

fronte alla necessità di organizzare la struttura d‟impresa attraverso la

previsione di deleghe e l‟attribuzione di ruoli chiave anche a membri esterni. I

bisogni dell‟impresa e quelle della famiglia possono essere alle volte

contrastanti e le strategie per raggiungerli non compatibili in quanto non si può

ritenere che ciò che è profittevole per il business possa esserlo anche per la

famiglia o che la salvaguardia dell‟armonia familiare generi performance

aziendali positive. In tal senso la valutazione e il controllo della strategia deve

avvenire con sistemi di programmazione di misura della performance e di

riorganizzazione amministrativa e finanziaria.

In sintesi la gestione familiare è imperniata nell‟eredità amministrativa della

famiglia (sistema embedded) e tale radicamento richiede la comprensione delle

relazioni sociali al suo interno, del suo impatto sul capitale sociale dell‟impresa

e sul grado di familiness dovuto a un cambiamento strategico nella dimensione

o nella struttura come ad esempio il momento in cui si organizza la successione

del potere.

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2. Il radicamento territoriale.

Così intervenne Gianni Agnelli al convegno mondiale delle aziende familiari

che si tenne a Roma nel 2001: “Il radicamento in una comunità, nella sua cultura, nei

suoi valori, è parte integrante dell‟identità aziendale. E conduce a incorporare nei

comportamenti e nelle scelte imprenditoriali attenzione e senso di responsabilità verso la

collettività, i suoi problemi, le sue aspettative di sviluppo. Si tratta di un‟attenzione e di un

senso di responsabilità che non possono andare disgiunti dal dovere prioritario della

competitività. Perché la competitività è premessa e condizione di qualsiasi funzione sociale

dell‟impresa. Ma è proprio la costante ricerca del punto di equilibrio tra la più alta

competitività e l‟integrazione con il territorio locale e nazionale un‟altra delle dimensioni

costitutive dell‟impresa familiare”.

Il legame particolare delle aziende familiari con la comunità locale spesso si

fonda su fatti che riguardano la famiglia proprietaria nella quale sono nate e si

sono sviluppate. In quel territorio sono nati o vivono i membri della famiglia e

in quel territorio hanno legami forti con molte persone. Questo radicamento

viene preservato anche quando l‟azienda diventa un grande gruppo

dislocandosi in varie aree del mondo e i familiari iniziano a ricoprire ruoli in

zone non più così vicine. Quel territorio rimane comunque una parte

importante dell‟azienda vuoi per la sede della sua direzione o per la presenza

dello stabilimento storico. In alcuni casi i gruppi riescono a mantenere un

legame particolare con il proprio territorio anche se la direzione viene trasferita

in un‟altra sede, nonostante questo radicamento territoriale sia meno evidente

rispetto alla realtà delle aziende familiari di dimensioni minori.

I policy makers locali e i collaboratori, essendo consapevoli di questa fonte di

grande vantaggio competitivo o del rilievo che tali aziende hanno nei confronti

del territorio in cui operano, tendono ad agevolare il loro sviluppo.

Analizzando i vantaggi derivanti da questo radicamento territoriale si annovera

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quello dell‟associazione del brand a una particolare location oppure la facilità con

cui si creano reti di fornitori di prodotti o servizi di primissima qualità, che a

seguito della particolare localizzazione non sono facilmente imitabili dai

concorrenti. Tuttavia esso può divenire un grande svantaggio dal momento in

cui i membri appartenenti alla famiglia non sono in grado di utilizzare il

territorio come supporto per la propria crescita personale e professionale con la

ricerca di nuove competenze e relazioni in altre aree geografiche. Ciò comporta

un adagiamento sulle competenze e sulle relazioni già esistenti o l‟esclusione da

quanto si sviluppa altrove. E‟ in questo caso che il territorio diventa un limite

con conseguenze dannose e negative sia per l‟azienda che per la famiglia53.

Così fotografò il panorama del capitalismo familiare Luca Cordero di

Montezemolo: “[…] E‟ una forza del nostro sistema industriale, un pilastro dello

sviluppo economico e civile del Paese. Ma, come per tutti i campi di attività, anch‟esso oggi

non sfugge alla necessità di confrontarsi con il tumultuoso cambiamento che investe la società

contemporanea. […] La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica rendono la competizione

sempre più aspra e chiedono all‟imprese di adeguare dimensione, gestione, finanza,

commercializzazione. Esigenze alle quali non sempre la struttura familiare può rispondere al

meglio. […] Non è però solo il Family Business a dover guardare al futuro in modo

innovativo. Lo deve fare lo Stato, con una legislazione che rafforzi la concorrenza, favorisca le

liberalizzazioni, adegui il diritto societario, riduca i costi della pubblica amministrazione. Lo

devono fare le banche, dando un sostegno efficace al rischio di impresa. E ricerca, scuola e

università, in un proficuo rapporto con le imprese, devono sempre più essere veicolo di

modernizzazione.[…]E‟ un obiettivo questo che le imprese familiari non possono trascurare e

che devono aprirsi al cambiamento, alla necessità di fare sistema, identificando i bisogni

territoriali, facendo ricerca, innovando processi e prodotti, collaborando con altre imprese,

53 Corbetta G., Capitolo Secondo § 5. Il radicamento territoriale, Le aziende familiari. Strategie per il lungo periodo, Egea, 2010

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associazioni, scuole e università, istituzioni. E che il fisco deve favorire, attraverso

facilitazioni e incentivi finalizzati alle concentrazioni54 […]”.

Rispetto agli aspetti richiamati le interazioni tra imprese familiari e

caratteristiche del territorio possono rivelarsi cruciali per la competizione a

livello internazionale dato che la globalizzazione ha indotto le imprese ad

ampliare i propri orizzonti e ad assumere dimensioni maggiori. L‟inserimento

in questo contesto globale nelle reti internazionali di produzione e conoscenze

ha amplificato l‟insieme dei fattori distintivi di un dato territorio

determinandone il suo grado di competitività. Ovviamente concorrono a

influenzare la capacità competitiva delle imprese sui mercati internazionali

anche il sistema di infrastrutture fisiche e immateriali, l‟interazione con i

fornitori locali e l‟apparato burocratico/amministrativo delle istituzioni

bancarie e dei centri di ricerca. Questa relazione tra impresa e territorio può

avvenire anche in direzione contraria ovvero tramite il contributo

imprenditoriale allo sviluppo economico locale con ricadute positive in termini

di occupazione attraverso spillover di conoscenza e tecnologia che questo

produce sull‟apparato produttivo circostante. Particolare attenzione merita la

scarsità delle materie prime sul territorio nazionale essendo l‟industria italiana

prevalentemente un‟industria di trasformazione e che la rendono vulnerabile

alla volatilità dei corsi e all‟incertezza che sempre più caratterizza i mercati

internazionali. La disponibilità sia qualitativa che quantitativa di materie prime è

diventata un fattore strategico importante per un possibile riposizionamento

54 Presentazione al libro Il family Business di W. Zocchi, Il Sole 24 Ore, 2004

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competitivo delle imprese familiari e richiede una crescente attenzione da parte

dei soggetti pubblici e privati55.

L‟ambiente ha rappresentato per lungo tempo un ostacolo alla crescita

economica, ma oggi viene considerato un‟opportunità di sviluppo e settore

strategico per la costituzione di nuove imprese. L‟attenzione sociale e la

tangibilità di problemi ambientali hanno favorito l‟impegno verso la

sostenibilità delle azioni sull‟ambiente e la competitività basata sul

rafforzamento della cultura d‟impresa da parte delle aziende di famiglia. In

questo rinnovato contesto competitivo le performance ambientali vengono

ritenute al pari di fattori quali il prezzo, il design e la qualità. Come

conseguenza gli Enti pubblici e le Autorità competenti sono stati chiamati a

promuovere economicamente e socialmente iniziative sostenibili per la

realizzazione di politiche e l‟utilizzazione di strumenti di gestione eco-

compatibili. Il rapporto tra impresa e ambiente si è trasformato in una relazione

di collaborazione e di reciproco scambio dove l‟ambiente ha privilegiato di

criteri di produzione adeguati, mentre l‟impresa ha beneficiato dei vantaggi

economici e fiscali derivanti dalle certificazioni della qualità dei prodotti e

processi (ISO 9000), dei requisiti della salute e della sicurezza (OHSAS 18001) e

della gestione ambientale (ISO 14001 ed EMAS). Con l‟adozione di un

55 La Fondazione Manlio Masi ha avviato un progetto di ricerca volto all'esame delle

interazioni tra PMI e caratteristiche del territorio che possono rivelarsi cruciali per

competere a livello internazionale. Essa si propone come "Osservatorio nazionale per

l'internazionalizzazione e gli scambi" con lo scopo principale di promuovere e sviluppare

analisi sui processi e sulle strategie di internazionalizzazione e scambi del sistema

economico nazionale. Gli studi, le analisi e le ricerche che la Fondazione svolge sono

condotte direttamente o congiuntamente con Università e centri di ricerca italiani e

stranieri. I lavori di ricerca realizzati costituiscono strumenti funzionali a cogliere le

opportunità di mercato, elaborare strategie per posizionarsi sui segmenti di mercato più

dinamici e prevedere le tendenze future. Si presenta come punto di riferimento per

Istituzioni, Associazioni e imprese interessate alle tematiche internazionali.

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comportamento responsabile e il monitoraggio economico, ambientale e

sociale di tutti i portatori di interesse un‟impresa riesce a conseguire un

vantaggio competitivo efficace a massimizzare gli utili di lungo periodo. Tale

impegno etico è entrato a far parte integrante della cosiddetta catena del valore

con strategie competitive coerenti con uno sviluppo sostenibile per la

collettività. Le aziende di famiglia sono enti che vivono e interagiscono con una

comunità di soggetti esigente di un impegno credibile e molto attenta al loro

operato. Questo implica una precisa politica manageriale e di un‟organizzazione

aziendale studiata a tal fine e il mantenimento delle relazioni con l‟esterno, più

precisamente con gli stakeholders, in grado alla lunga di contribuire alla

creazione di valore56. Per quanto concerne le nuove tecnologie le imprese di

famiglia hanno bisogno di un adeguato supporto territoriale, cruciale se inteso

in funzione di contesto o contenitore socio-economico dei processi formativi.

Il territorio necessita però di un institutional reinforcement57 dato che la regolazione

istituzionale incide pesantemente sulle strategie formative delle imprese e dei

lavoratori.

Riusciremo dunque a superare i limiti del nostro sistema produttivo,

caratterizzato da una dimensione ridotta delle imprese, da una scarsa

capitalizzazione, da un‟insufficiente internazionalizzazione, da una scarsa

ricerca e innovazione, rafforzando le nostre family business e continuando a

essere con il nostro made in Italy un marchio di eccellenza nel mondo.

56 Periale G., Impresa e ambiente, 2008 57 Pouloudi A., Whitley E.A., Representing human and non-human stakeholders. On speaking with authority, Organizational and social perspectives on information technology, 2000

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3. Le dinamiche di crescita e la continuità del successo.

L‟avvio del processo di crescita è determinato da alcune condizioni relative al

contesto interno e al contesto esterno dell‟azienda, ma non sufficienti a

innestare un salto dimensionale. La presenza di un imprenditore competente è

alla base di questo processo, ma occorrono anche programmi di investimenti

in immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie nonché il rafforzamento

del team manageriale esistente58.

Il contesto interno favorevole è caratterizzato da una famiglia predisposta a

sostenere la crescita, da una buona redditività, da un basso grado di

indebitamento e da una modesta presenza internazionale. Ciò nonostante la

struttura proprietaria può ostacolare il processo di crescita quando è impegnata

nella soluzione di problemi interni, o quando la crescita viene vista come una

minaccia da parte di qualche membro appartenente al nucleo familiare, oppure

semplicemente quando la complessità della sua organizzazione induce a un

processo decisionale lento rispetto alle risposte dell‟ambiente circostante.

Occorrerebbe prima risolvere tali problemi di origine proprietaria per poi

concentrarsi alla crescita anche se con l‟avvicinamento del ricambio

generazionale si presenterà nuovamente la necessità di comportamenti e regole

atti a mantenere la coesione familiare. Di norma il processo di crescita si

innesta quando una formula imprenditoriale59 già produce una buona

redditività, in caso contrario ci si concentrerà più sulla sua revisione piuttosto

che sulla crescita o verrà meno la convinzione stessa dell‟imprenditore, oppure

sarà difficile poter reperire risorse finanziarie venuta meno la sua credibilità.

La presenza internazionale invece facilita tale processo attraverso la

disposizione di un ulteriore vettore di sviluppo con attitudini e capacità

58 Corbetta G., Capaci di crescere. L‟impresa italiana e la sfida della dimensione, Egea, 2005 59 Florin J.M., Lubatkin M.H., Schulze W.S., A social capital model of new venture performance, The Academy of Management Journal, 2003

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gestionali aggiuntive. Il basso grado di indebitamento è frutto di un

atteggiamento prudenziale da parte degli imprenditori nei riguardi delle risorse

della famiglia proprietaria salvo alcune eccezioni quali un modello di

indebitamento finanziario elevato a fronte di cospicue risorse familiari e un

impegno nella riduzione del grado di indebitamento con conseguente tasso di

crescita contenuto.

Il contesto esterno favorevole è caratterizzato da settori dove sono presenti

concorrenti molto più grandi, da aziende di clienti con forti potenzialità di

crescita, da settori dove esistono aziende in vendita e da settori in cui si detiene

una quota di mercato relativamente bassa con concorrenti di piccole

dimensioni. In questi casi il modo con il quale l‟imprenditore assieme ai suoi

collaboratori interpreta il contesto esterno influenzerà il processo di crescita.

Relativamente ai casi citati si impone la scelta fra competere in una nicchia ben

protetta o avviare un processo di crescita, decidere se assecondare o meno la

tendenza delle aziende di clienti di crescere in qualità di unico fornitore e

decidere se procedere o non partecipare ai processi di acquisto. Molte di queste

condizioni cambiano a seconda della lungimiranza dell‟imprenditore o del team

manageriale, dei mercati geografici presi in considerazione e della definizione di

settore utilizzata. Contestualmente differenti saranno le scelte strategiche

adottate poiché diverse sono le circostanze interne e come conseguenza le

propensioni alla crescita.

I salti dimensionali avvengono con la presenza di imprenditori motivati dal

desiderio di essere riconosciuti come coloro che hanno contribuito in modo

determinante alla storia della propria azienda con obiettivi sia economici che

sociali di sostegno allo sviluppo del proprio territorio60. Questa necessità si

60 Vedi Vitale M., prefazione Perché i bravi manager sbagliano e che cosa possiamo imparare dai loro errori, Finkelstein S., Etas, 2003

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presenta con la questione generazionale in cui i figli hanno deciso di seguire

l‟opera dei genitori o con il ritiro dell‟imprenditore fondatore che ha lasciato

spazio alla generazione successiva. Altra condizione indispensabile è l‟esistenza

di una forte propensione a investire infatti, il tasso di crescita è tanto più

elevato quanto più elevati sono gli investimenti che la sostengono. Può

accadere che i manager ostacolino il processo di crescita per paura di perdere le

posizioni acquisite o per carenza di competenze, altre volte invece la crescita è

avviata proprio grazie alla presenza di manager esterni con l‟introduzione di

novità in ambito produttivo e commerciale.

Risulta difficile gestire una crescita intensa e di successo per un periodo di

tempo prolungato a causa di situazioni di vario genere che interrompono il

processo di crescita o addirittura innescano una crisi aziendale. Le aziende che

sono riuscite a realizzare un salto dimensionale sono quelle che hanno deciso il

ritmo della crescita e lo hanno mantenuto per un buon numero di anni senza

farselo imporre dal mercato o dalle dinamiche del settore. In queste aziende si

assiste a un processo di apprendimento continuo e a una crescita controllata

che permette di non rischiare molto in ogni singola fase del processo di

crescita, di avere il tempo di riflettere e imparare dalle esperienze fatte senza

dover impiegare tutte le risorse in una crescita continua, di far crescere il team

manageriale coerentemente con il cambiamento gestionale e organizzativo e di

prepararsi al confronto con concorrenti più grandi. La crescita è dunque un

processo composto da vari fasi progettate periodicamente che modificano

l‟azienda, mentre il salto dimensionale ne rappresenta la sua conclusione. Tra

l‟altro le prime fasi sono decisive e il loro successo è determinante per la

convinzione dell‟imprenditore nel continuare il processo di crescita, per la

fiducia della proprietà nelle sue capacità, per la riduzione delle resistenze da

parte dei manager nei suoi confronti, per il reperimento di risorse finanziarie da

impiegare nelle fasi successive e per la visibilità e attrattività aziendale. Questo

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processo alimenta le risorse e le competenze che potranno essere impiegate

successivamente e perciò definito autoalimentantesi. In caso di insuccesso la linea

di intervento consisterebbe nel riconoscere al più presto l‟errore, ammetterlo,

cercarne una soluzione e se questa non si trova accettarne la perdita maturata.

Come sostiene un detto ebraico “gli elementi necessari per un processo di crescita di

successo sono tre: leadership, esperienza e cattive esperienze. Le cattive esperienze infatti sono

ineliminabili in una storia di successo e, peraltro, se ben utilizzate, diventano la fonte per

nuovi successi.”

Aumentare le dimensioni aziendali conviene in quanto accresce il valore

dell‟impresa quando la crescita è ben gestita, offre la possibilità agli eredi di

intraprendere solo il ruolo proprietario o anche quello manageriale, amplia il

numero di opzioni strategiche e riduce i rischi connessi all‟inerzia e allo

spiazzamento strategico. L‟avvio e il sostegno di un processo di crescita

profittevole necessita di una compagine proprietaria di controllo coesa, di un

management anch‟esso coeso e periodicamente rinnovato, da investimenti

elevati collegati alla strategia e al mercato, da una strategia competitiva fondata

su innovazioni e dalla capacità di relazione con i finanziatori. Tutto questo

unito a un impegno costante per il miglioramento della produttività, anche con

il riposizionamento internazionale delle attività, alla possibilità di valutare

percorsi di crescita esterna mediante acquisizioni e al controllo dell‟andamento

della redditività e degli equilibri finanziari. Da ultimo, l‟intervento dei policy

makers e dei banchieri dovrebbe tendere alla valorizzazione

dell‟imprenditorialità, al sostegno selettivo delle imprese che detengono le

migliori formule imprenditoriali, all‟aumento del grado di solidità delle imprese

e al supporto di quelle presenti nei mercati esteri nei loro processi di ulteriore

sviluppo internazionale.

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Capitolo Terzo

MODELLI DI GESTIONE DEL FAMILY BUSINESS

SOMMARIO: 1. Il sistema di governance del family business; 2. Le criticità delle imprese

familiari; 3. Le strategie e i modelli di trasferimento.

L‟accurata analisi delle tendenze evolutive della gestione aziendale sotto il

profilo strategico e organizzativo sono alla base dei risultati economici futuri

che l‟azienda potrà produrre. La riflessione sui punti di forza e di debolezza del

family business riguardo la strategia del governo dell‟impresa e

dell‟organizzazione adottata ci consente di osservare concretamente la sua

coerenza con l‟evoluzione dell‟ambiente circostante e con il ciclo di vita

dell‟impresa.

Le problematiche di corporate governance sono relative al funzionamento degli

organi di indirizzo della gestione aziendale che incidono profondamente

sull‟economicità dell‟azienda se poco efficaci e incapaci di aggiornare le

strategie nei confronti dei mutamenti ambientali con conseguente aumento del

rischio per la sua sopravvivenza.

La numerosità delle variabili critiche all‟interno del sistema della governance

che aumentano al crescere della compagine sociale e della sua potenziale

disomogeneità inducono a formalizzare tra i membri della famiglia accordi

scritti volti a gestire la complessità delle relazioni famiglia-impresa soprattutto

nella pianificazione della successione generazionale.

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1. Il sistema di governance del family business.

Nell‟attività di impresa la proprietà partecipa al suo andamento con un

interesse economico, l‟organismo di controllo esercita il potere di indirizzo e la

direzione coordina l‟insieme delle azioni nell‟interesse dell‟azienda. Queste

funzioni nelle imprese a proprietà, controllo e direzione familiare sono

concentrate perlomeno nelle prime fasi di sviluppo. Il percorso di crescita

porterà inevitabilmente alla modifica dell‟organo di governo con possibili

alterazioni degli equilibri familiari e con l‟ingresso di manager esterni non

proprietari. Con l‟aumento della compagine sociale aumenterà la complessità

delle relazioni tra famiglia e impresa e del sistema di governance.

La corporate governance è da intendersi come l‟insieme delle attività d‟impresa

dalla formulazione degli obiettivi al loro raggiungimento, tramite la

pianificazione di opportune strategie e l‟organizzazione della struttura

manageriale61. Il concetto richiama vari elementi quali il sistema delle relazioni

tra proprietà, consiglio di amministrazione e management nonché l‟insieme

delle regole che dovrebbero tutelare gli interessi di questi soggetti inclusi gli

altri stakeholders dell‟impresa. E‟ semplicemente la rappresentazione esplicita

del modo in cui la famiglia decide di impostare il suo rapporto con l‟impresa, la

distribuzione dei ruoli al suo interno, la composizione e il funzionamento degli

organi di governo e dunque il modo in cui i processi decisionali debbano essere

svolti.

I riferimenti legislativi in materia sono dettati essenzialmente dal Codice Civile

e dai meccanismi di autoregolamentazione basati su codici di autodisciplina

previsti dagli organismi dei mercati regolamentati. Il Codice Civile raggruppa le

imprese in categorie definite come le imprese individuali, le società di persone

61 Steiner G.A., Steiner J.F., Business, government, and society. A managerial perspective, text and cases, McGraw Hill, 2006

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in nome collettivo o in accomandita semplice, le società di capitali a

responsabilità limitata, per azioni o in accomandita per azioni. Più

specificatamente le imprese individuali sono costituite da una sola persona che

risponde verso terzi con il suo patrimonio personale e familiare illimitatamente

per le obbligazioni da lui assunte nell‟ambito dell‟attività. Le società in nome

collettivo sono formate da persone fisiche che rispondono verso terzi

solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Le società in

accomandita semplice sono costituite da soci accomandatari, che rispondono

solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali e gli accomandanti che

invece rispondono limitatamente alla quota di capitale sottoscritta. Nelle società

a responsabilità limitata (Art. 2462) risponde solamente la società con il suo

patrimonio per le obbligazioni sociali e può essere partecipata sia da persone

fisiche che da altre società in quanto gode di una personalità giuridica

autonoma. La società per azioni (Art. 2325) risponde con il suo patrimonio per

le obbligazioni sociali e soggette a una specifica disciplina prevista dal codice

nel caso in cui faccia ricorso al mercato del capitale di rischio. Infine nelle

società in accomandita per azioni i soci accomandatari rispondono solidalmente

e illimitatamente per le obbligazioni sociali, mentre i soci accomandanti nei

limiti della quota di capitale detenuta. Le norme del codice regolano anche il

rapporto tra l‟amministrazione e il controllo delle società distinguendo i sistemi

di governance in sistema tradizionale, dualistico e monistico. Nel sistema

tradizionale (Art. 2380 bis) la gestione dell‟impresa spetta esclusivamente agli

amministratori a differenza del sistema dualistico (Art. 2409 octies) in cui ciò è

affidato a un consiglio di gestione e a un comitato di sorveglianza relativo e del

sistema monistico (Art. 2409 sexiesdecies) basato sul consiglio di amministrazione

e su un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno.

Generalmente il sistema di governance di un family business è composto dalla

famiglia e da alcuni organi articolati in un comitato di famiglia che si occupa

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delle attività sociali e formative, nell‟assemblea dei soci cui spetta la nomina del

consiglio di amministrazione ed eventualmente in un family office62 e in una

fondazione di famiglia che si occupano dei servizi comuni, della gestione del

patrimonio storico e delle attività filantropiche. All‟assemblea dei soci viene

demandato anche il compito di formulare la mission e la vision aziendale della

proprietà e rientrano nelle sue competenze la gestione delle informazioni, i

trasferimenti delle quote sociali e la gestione delle relazioni famiglia-impresa. In

mancanza di una così articolata realtà la composizione degli interessi dei

proprietari e manager dell‟impresa è affidata al consiglio di famiglia che anche

attraverso il supporto di un accordo tra i membri, cosiddetto patto di famiglia, è

delegato alla prevenzione e/o gestione delle controversie familiari

promuovendone l‟assistenza. E‟ generalmente composto da tutti i familiari o

nel caso di una numerosità elevata dai loro rappresentanti in modo da facilitare

il processo di comunicazione. L‟opportunità di servirsi di un regolamento dei

rapporti istituzionali tra famiglia e impresa consente di formalizzare le regole di

funzionamento degli organi di governo disciplinandone la partecipazione al

capitale della società, i criteri di assunzione dei familiari, i loro percorsi di

carriera e la determinazione delle remunerazioni. Tuttavia questo eccesso di

formalizzazione può ledere la predisposizione istintiva che caratterizza le

imprese familiari piuttosto che educare i membri della famiglia al rispetto delle

necessità di autonomia e del principio di economicità duratura dell‟azienda.

Occorre ricordare che il patto di famiglia non ha valenza giuridica e dunque

non serve a garantire il rispetto delle disposizioni in esso contenute, ma induce

i familiari a prendere coscienza dei rapporti con l‟impresa e a riflettere

sistematicamente in un‟ottica di trasparenza delle motivazioni effettive di

ciascuno. Come risultato si ha il pieno riconoscimento dell‟autonomia

dell‟impresa e la convinzione che i rapporti familiari si debbano attenere ed

62 Vedi Capitolo Primo § 3. Business in the family e family in the business

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essere coerenti ai criteri del mercato. Un tema correlato è rappresentato dalle

divergenze tra sistemi formali e sistemi sostanziali dove la distinzione si basa

sull‟effettivo funzionamento degli organi giuridicamente esistenti. Non di rado

infatti si assiste a una non corrispondenza tra l‟articolazione formale degli

organi di governo con il modo in cui essi esercitano effettivamente le loro

funzioni63. Con l‟evoluzione dell‟impresa e la graduale separazione della

proprietà con il governo il consiglio di amministrazione cresce di rilevanza e

diventa l‟unico collegamento tra la famiglia, la proprietà e l‟impresa. Infatti in

un modello proprietario chiuso, nella fattispecie un‟impresa familiare

domestica, la governance risulta totalmente accentrata, in un‟impresa familiare

tradizionale difficilmente si assiste a un consiglio di amministrazione composto

da membri non familiari, mentre in un‟impresa familiare allargata si possono

trovare manager che si occupano della direzione oppure di un‟area funzionale

dell‟impresa. Solamente in un‟ impresa familiare aperta data la complessità della

struttura di governance troviamo soggetti esterni che ricoprono ruoli di

consiglieri o manager dell‟impresa64.

Molte imprese familiari non riescono a sopravvivere a causa di conflitti interni

alla famiglia che poi si ripercuotono sulla gestione stessa del business e che

spesso sono dovuti alla mancanza di separazione tra il patrimonio aziendale e

quello familiare o alla mancanza di una pianificazione strategica idonea.

Ulteriori potenziali conflitti sono derivanti dalla scelta su quali membri della

famiglia debbano ricoprire ruoli di governo dell‟impresa e che possono incidere

sulla continuità aziendale mettendola a rischio. Questi aspetti possono essere

regolati con la costituzione di un consiglio di famiglia o attraverso i cosiddetti

patti parasociali disciplinati dall‟ Art. 2341 bis e dall‟ Art. 2341 ter del Codice

63 Montemerlo D., Corporate governance. Analisi e prospettive del caso italiano, Etas, 1998 64 Lang A.G., Ward J.L., Governing the business-owning family, Family Business Newsletter, 2000

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Civile che assumono la connotazione propria dei contratti con la possibilità di

normare l‟ingresso di nuovi soci (sindacato di blocco), il diritto di voto nelle

assemblee (sindacato di voto) e le scelte strategiche delle società (sindacato di

gestione).

Nel Marzo 2005 la Borsa Italiana, prendendo coscienza del mutato quadro

normativo nazionale, comunitario e internazionale, ha istituito il comitato per la

corporate governance con il compito di rielaborare i principi del buon governo e

delle best practices. Si è giunti così ad approvare, nel Marzo 2006, il nuovo Codice

di Autodisciplina (Codice Preda) che individua l‟obiettivo prioritario degli

amministratori nello shareholder value, distingue i compiti degli amministratori

in esecutivi, non esecutivi e indipendenti, suggerisce di evitare la

sovrapposizione di più cariche in una sola persona e invita al rispetto del

principio di trasparenza.

2. Le criticità delle imprese familiari.

Il rapporto tra dinamiche familiari e gestionali deve essere attentamente

definito per cogliere le rispettive esigenze della famiglia e dell‟impresa, la loro

compatibilità e i loro eventuali conflitti. Il successo della gestione familiare

dipende sia dalle caratteristiche proprie dell‟azienda che dalle caratteristiche

dell‟imprenditore e degli altri membri della famiglia. La persistenza del legame

tra impresa e famiglia in momenti difficili se non adeguatamente gestito

ostacola lo sviluppo dell‟impresa e ne minaccia la sua sopravvivenza.

Una prima fonte di criticità è rappresentata dalla tendenza di

sottocapitalizzazione dell‟azienda indotta dal timore di perderne il controllo e

dall‟incapacità di gestire rapporti più complessi con l‟aumento della compagine

sociale. Conseguentemente questa sottrazione di risorse necessarie al

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potenziamento competitivo si lega a una scarsa trasparenza riguardo le

operazioni finanziarie volte a mantenere il controllo familiare. Il nepotismo

aziendale rappresenta il secondo modello di criticità e consiste nella tendenza a

promuovere e attribuire ruoli fondamentali sistematicamente ai membri del

nucleo familiare. Tale preferenza antepone i legami di parentela alle

competenze professionali non riconoscendo le abilità di collaboratori capaci e

meritevoli. Si tratta di una scelta che pone le premesse per futuri conflitti tra

persone interne ed esterne alla famiglia e determinante nella fase di successione

generazionale. Il nepotismo aziendale demotivante per i collaboratori non

familiari è associato al paternalismo autoritario nei confronti dei familiari

dipendenti dell‟impresa e cioè quella tendenza a gestire i rapporti con i parenti e

gli affini alla stessa stregua di quelli interni alla famiglia. Conseguentemente

questa propensione confonde i ruoli e le linee di autorità risultando non

vantaggiosa né per la razionalità gestionale né per l‟armonia familiare65.

La fase più problematica e traumatica della vita di un family business è

costituita dalla successione66. Questo problema è complementare al

cambiamento del vertice organizzativo e rappresenta una questione complessa

per la sopravvivenza stessa dell‟azienda se non diligentemente pianificato.

Infatti una successione non accuratamente programmata impedisce la

formazione di successori competenti e dotati di un adeguata capacità

professionale dando luogo a forti conflitti familiari e aziendali. Questo processo

è più difficile in una realtà aziendale di prima generazione in cui l‟impresa si

identifica strettamente con la personalità del suo fondatore avvicinandosi più al

tipo di autorità carismatica che al tipo di autorità razionale. L‟autorità

carismatica non prevede di fatto procedure ben definite e consolidate da poter

65 Shien E.H., The role of the founder in creating organizational culture, Organizational Dynamics, 1983 66 “ Purtroppo il rapporto ideale intessuto con la prima generazione raramente riesce a essere travasato nella seconda”, Cit. Giuseppe Marasti, Fondatore della Cogima Argenterie

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essere intraprese con il ricambio della leadership dai successori67. I temi da

dover affrontare tempestivamente e sistematicamente per elaborare la

successione sono l‟inserimento di manager cui delegare decisioni e

responsabilità, la distinzione degli interessi proprietari da quelli aziendali, il

passaggio del fondatore da ruoli di gestione a quelli di supervisione,

l‟inserimento degli eredi nell‟impresa e la creazione di una cultura aziendale

autonoma rispetto a quella del suo fondatore. Il tutto tramite la definizione di

procedure a cui attenersi per il processo decisionale. Altre questioni inerenti alla

successione di importanza rilevante sono la specifica congiuntura economica e

sociale e la specifica fase del ciclo di vita dell‟impresa. I rischi aumentano

quando l‟impresa si trova in una fase economica recessiva, o in situazioni di

riconversione produttiva e di ingresso in nuovi mercati, oppure di

ristrutturazione organizzativa. I vantaggi di una successione programmata sono

evidenti e gli elementi portanti di questa fase sono la gestione dei rapporti tra i

membri e non della famiglia, la creazione di una cultura aziendale, la

formazione dei successori, la delega progressiva delle responsabilità con il

graduale distacco dalla gestione e il ricorso prudente a esperti o consulenti

esterni68.

Sotto il profilo strategico è evidente come la maggiore difficoltà risieda nel

mantenere un orientamento coerente con l‟evoluzione dell‟ambiente esterno

nelle fasi di ricambio generazionale. La continuità e la sopravvivenza delle

aziende di famiglia è pertanto legata all‟esito dei processi di successione

generazionale e non solo agli aspetti delle variabili competitive. La necessità di

pianificare il ricambio generazionale con un‟ottica di processo e un orizzonte

temporale di medio-lungo termine è un aspetto preliminare che non può essere

67 Weber W, Economia e società, Comunità, 1961 68 Dyer W.G., Managing change in the family firm. Issues and strategies, Sloan Management Review, 1983

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rimandato senza compromettere l‟esistenza stessa dell‟azienda69. In altre parole

non deve essere basata sulla fissazione di obiettivi rigidi in tempi prefissati in

quanto le variabili sono numerose, mutevoli e attinenti all‟imprevedibile sfera

dei comportamenti dell‟individuo. I rapporti dovrebbero essere gestiti tenendo

presente il principio di autonomia dell‟impresa dalla famiglia influenzando il

modo di percepire le remunerazioni, le esigenze finanziarie e i criteri di

assunzione70. La visione opposta che trasferisce le logiche familiari nell‟azienda

può avere effetti dannosi sul clima organizzativo e sulla gestione d‟impresa

ecco perché la designazione del futuro leader dovrebbe avvenire

indipendentemente dall‟anzianità e dipendere dalle attitudini e dai risultati

effettivamente raggiunti.

Il ricambio generazionale deve ridefinire i ruoli e le relazioni tra la famiglia, il

business e il management sulla base dell‟orientamento al futuro

dell‟imprenditore e la sua disponibilità alla delega. Nella fase di avvio di tale

processo vengono definiti i tempi e progettate le modalità di gestione delle

relazioni con i familiari e con i membri esterni. Queste attività possono essere

supportate dalla creazione di una unità organizzativa tramite la redazione di un

piano di successione con il suo successivo aggiornamento e monitoraggio. La

formazione dell‟erede invece deve essere preceduta dalla definizione dei

requisiti minimi di ingresso cercando di rendere il più possibile obiettiva

l‟individuazione delle competenze adeguate di un soggetto alla gestione

dell‟impresa. Il successore designato dovrebbe essere inserito preliminarmente

nel consiglio di amministrazione, nel comitato di gestione e affiancare il suo

predecessore per un periodo più o meno lungo. Il processo di successione

69 Piantoni G., La successione familiare in azienda, Etas, 1990 70 “Un‟altra significativa tappa della nostra storie è legata al 1980 quando, senza problemi di sorta, venne decisa la suddivisione del patrimonio, ben distinguendo ciò che è della famiglia da quello che è dell‟azienda, la quale riteniamo debba beneficiare di una proprio autonomia”, Cit. Alberto Bauli, Presidente Bauli S.p.A.

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termina con il trasferimento dell‟impresa e della leadership con il ritiro del

predecessore. Il trasferimento si concretizza mediante una delega progressiva

delle responsabilità attenendosi al piano di uscita previsto precedentemente per

il suo predecessore71. Il suo atteggiamento è determinante ai fini della

valutazione della continuità dell‟impresa e può significativamente influenzarne

le probabilità di successo adottando un comportamento conservativo con

attaccamento al passato, ribelle con rifiuto del passato o altalenante manifesto

di incongruità tra passato e presente. La sostenibilità dello sviluppo dell‟impresa

al termine del processo di successione è legato al trasferimento della

conoscenza tacita con la pianificazione di soluzioni organizzative che

sostengano il successore nella comprensione del contesto di business e nel

mantenimento della condizione di familiness. L‟opportunità di poter

liberamente e autonomamente sviluppare una vision, un‟identità

imprenditoriale o uno stile manageriale contribuisce alla cosiddetta innovazione

intergenerazionale decisiva per la continuazione del family business72.

3. Le strategie e i modelli di trasferimento.

I trasferimenti di impresa sono processi di transizione complessi con ricadute

evidenti sullo sviluppo e la sopravvivenza del sistema family business. In linea

generale il processo di transizione può avvenire all‟interno della famiglia

(trasferimento intrafamiliare o successione) o al suo esterno (trasferimento extra-familiare)

manifestandosi come cessione a dirigenti, dipendenti, soggetti terzi o tramite

71 Carlock R.S., Ward J.L., Strategic planning for the family business. Parallel planning to unify the family and business, Palgrave, 2001 72 Litz R.A., Kleysen R.F., Your old men shall dream dreams, your young men shall see visions. Toward a theory of family firm innovation with help from the Brubeck family, Family Business Review, 2001

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fusioni e acquisizioni73. L‟obiettivo risulta essere quello di pianificare il

fenomeno della successione e guidare le imprese familiari verso un ricambio

generazionale che si configurerà con un nuovo assetto aziendale. Una

successione non definita o incompiuta mette a rischio la continuità dell‟impresa

di famiglia come del resto l‟allungamento o il differimento nel tempo del

trasferimento della leadership che può comportare effetti disastrosi per la

gestione compromettendone la sua stessa sopravvivenza74.

In base alla predisposizione dell‟imprenditore e alla sua propensione alla delega

delle responsabilità la successione può concretizzarsi in un trasferimento

completo di tutte le competenze necessarie al proseguimento dell‟attività

(successione senza abdicazione) o in una transizione non guidata (successione con

abdicazione) oppure in un rinvio del trasferimento evitandone la pianificazione e

il relativo passaggio della conoscenza tacita (successione differita o elusa).

In base alle caratteristiche del successore, alla sua disponibilità all‟attesa e alle

sue competenze e capacità la successione può risultare fisiologica con il

mantenimento dell‟impresa nella situazione precedente in un‟ottica di

continuità, pretesa con la volontà di subentro immediato in cerca di

autoaffermazione, coinvolgente dove il trasferimento avviene gradualmente nel

rispetto dei reciproci ruoli o traumatica quando in mancanza di gradualità è

fonte di conflitti generazionali.

Si possono così individuare due tipologie di transizione che rappresentano

scenari completamente opposti non considerando però le molteplici situazioni

73 “Al momento escludo, e lo dico sinceramente, un mio sbarco in Piazza Affari, comunque, mai dire mai. Potrebbe infatti succedere fra qualche anno, quando mi deciderò a mettere mano alla successione, Cit. Mauro Saviola, Presidente Gruppo Saviola S.p.A. 74 Bruno A.M., Miglietta N., Strategie e modelli di trasferimento d‟impresa nel sistema del family business, in a cura di Devecchi C., Fraquelli G., Dinamiche di sviluppo e internazionalizzazione del family business, Il Mulino, 2008

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che nella realtà potrebbero emergere combinando assieme le caratteristiche

dell‟imprenditore e del suo successore. Il passaggio generazionale è

condizionato da molte variabili legate alle caratteristiche proprie dell‟impresa e

alle caratteristiche della famiglia. Il sistema di governance detiene un ruolo

rilevante sul processo di successione generazionale e tutti questi elementi

assieme determinano il contesto in cui esso avrà luogo. A seconda del grado di

sviluppo manageriale le imprese possono essere classificate in conservatrici,

pragmatiche, anticipatrici e lungimiranti, ognuna con specifiche caratteristiche

di transizione. Nelle imprese conservative il ricambio generazionale si

manifesta difficoltoso in quanto il fondatore vuole trasferire al suo successore

tutte le caratteristiche del family business costruite a sua immagine e

somiglianza. Nelle imprese pragmatiche è guidato da logiche contrastanti una di

elevata managerializzazione, l‟altra basata sul frazionamento della proprietà, che

privilegiano la visione di impresa rispetto a quella familiare. Nelle imprese

anticipatrici la bassa managerializzazione comporta una stabilità nel controllo

da parte della proprietà e ne agevola la gestione del futuro dei successori. Infine

nelle imprese lungimiranti con alto grado di sviluppo manageriale e stabilità di

controllo esso può essere elaborato nel migliore dei modi75. Un processo di

transizione può avvenire anche in assenza di successori, effettiva o derivata

poiché non ritenuti idonei al governo dell‟impresa, sino a determinarne la

cessione e a comprometterne la sopravvivenza. In tal caso la continuità

dell‟impresa può essere garantita solamente attraverso l‟inserimento di manager

esterni.

La successione nelle PMI risulta essere in genere poco pianificata ed è proprio

nella pianificazione che risiede il suo successo o il suo insuccesso. Questa deve

essere articolata su un orizzonte temporale di medio-lungo termine e anticipato

75 La classificazione è tratta da Unindustria Padova, Imprese al bivio. Investire nella successione imprenditoriale come vantaggio competitivo, 2002

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rispetto al momento in cui avviene il trasferimento reale dell‟impresa. Le fasi

della pianificazione attraversano l‟analisi strategica, l‟individuazione della

strategia più idonea, la scelta della strategia e la sua realizzazione. Le strategie

interne conservano un sistema chiuso prevedendo il mantenimento della

proprietà e della direzione da parte della famiglia. Le strategie miste prevedono

che la proprietà e la direzione siano trasferite in parte o nelle loro totalità a

terzi. In ultimo le strategie miste sono quelle che realizzano la successione della

proprietà e della direzione al di fuori della famiglia. Le soluzioni interne si

esplicitano attraverso la creazione di una holding di famiglia, la costituzione di

un trust e con la donazione o cessione di quote e azioni. Le soluzioni miste ed

esterne invece si attraverso una cessione parziale o totale dell‟impresa con

soluzioni finanziarie innovative quali buy-out, private equity o quotazione in

borsa76.

Esistono vari strumenti tecnici e giuridici che oltre al patto di famiglia possono

essere utilizzati per la realizzazione del trasferimento di impresa.

Il trust è un rapporto giuridico che sorge dalla stipula di un atto tra vivi o di un

testamento con il quale un soggetto disponente (settlor) trasferisce a un altro

soggetto (trustee) beni o diritti con l‟obbligo di amministrarli nell‟interesse del

disponente o di un altro soggetto beneficiario sotto l‟eventuale sorveglianza di

un terzo (protector). I beni non vengono considerati proprietà del disponente ne

non rientrano nel suo asse ereditario. Il trustee può essere una persona fisica o

giuridica come anche i beneficiari che possono distinguersi in beneficiari di

patrimonio o di reddito.

La donazione è uno strumento giuridico di trasmissione di beni da parte di un

soggetto vivente a titolo gratuito e si distingue dal testamento che produce

76 Montemerlo D., Il governo delle imprese familiari. Modelli e strumenti per gestire i rapporti tra proprietà e impresa, Egea, 2000

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effetti solamente alla morte del suo autore. Affinché sia valida occorre la

manifestazione della volontà del donante e l‟espressa accettazione della

donazione da parte del donatario. Nel caso in cui il donante si trovi in stato di

bisogno il donatario ha l‟obbligo di prestare gli alimenti, mentre nel caso in cui

la donazione sia gravata da onere è il donante a dover adempiere entro i limiti

del valore della cosa donata. Si tratta di donazione obbligatoria quando invece il

donante non trasferisce un bene, ma assume a sé un obbligo a favore del

donatario.

La successione ereditaria è legata alla morte del soggetto che può o meno aver

fatto testamento e quindi essere legittima o testamentaria. I soggetti coinvolti nella

successione possono decidere espressamente o tacitamente all‟accettazione o

alla rinunzia all‟eredità. La successione legittima si prevede quando il defunto

non ha lasciato un testamento oppure lo ha lasciato disponendo solo per una

parte dei suoi beni. La successione testamentaria permette invece a un

soggetto di regolare secondo la sua volontà la propria successione ed è

revocabile, personale, formale, unilaterale e non recettizia. La legge prevede

solamente il testamento olografo e il testamento per atto notarile, pubblico o

segreto. In riferimento alla successione necessaria la legge prevede particolare

tutela ad alcuni soggetti riservando loro comunque una parte di eredità anche

contro la volontà espressa dal defunto. Nel momento in cui i soggetti

succedono al defunto accettandone l‟eredità viene a esistere uno stato di

comunione accidentale in cui ogni coerede si vede assegnata una parte astratta

del patrimonio ereditario. Per ovviare a tale situazione si procede alla divisione

ereditaria dichiarando sciolta la comunione ereditaria con l‟assegnazione di

porzioni concrete e spettanti a ciascun coerede. Questa divisione può essere

fatta dal testatore (divisione del testatore) o dalle parti in comune accordo (divisione

contrattuale) o in mancanza dal giudice (divisione giudiziale). Se il defunto in vita ha

fatto delle donazioni la legge presume che siano anticipi sulla futura

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successione e come tali vanno ricompresi o conferiti nella massa attiva del

patrimonio ereditario per poi essere divisi secondo le quote spettanti. Questo

iter viene definito collazione. Per quanto concerne i debiti ereditari i coeredi vi

sono responsabili in proporzione alle loro quote e tra di loro non vi è

solidarietà passiva77.

77 Varchetta G., Mazzali F., Fiandri M., Patto di famiglia. La successione nel patrimonio dell‟imprenditore, Maggioli Editore, 2007

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Capitolo Quarto

IL VALORE ECONOMICO DELLE IMPRESE

FAMILIARI

SOMMARIO: 1. La creazione di valore nel family business; 2. Il costo emozionale del

capitale; 3. Le implicazioni sulla valutazione economica; 4. L‟influenza della struttura

finanziaria sul valore delle aziende di famiglia; 5. I vincoli e le opportunità del family

business.

La creazione di valore in un‟impresa a carattere familiare non si identifica

solamente con il calcolo del capitale economico, ma comprende elementi legati

alla sua dimensione culturale e sociale. I principi di base che ne determinano le

logiche di governo sono riferiti a una prospettiva di consolidamento

dell‟impresa con orizzonte temporale di lungo termine e alla trasmissione trans-

generazionale del valore creato.

In particolare si ritiene che la determinazione del costo del capitale sia funzione

di elementi di natura emozionale originati dalla forte commistione tra il

patrimonio della famiglia e quello dell‟impresa e alla presenza di differenti

interessi potenzialmente conflittuali che uno stesso soggetto può vantare nei

loro confronti.

Le implicazioni sulla valutazione del costo medio ponderato del capitale di un

family business si manifestano nell‟assegnare una quantificazione diversa

rispetto ad altri tipi di impresa in virtù della componente irrazionale legata alla

proprietà dell‟impresa. Un‟analisi attenta degli aspetti sopracitati dovrebbe

precedere il giudizio di coerenza dell‟assetto scelto.

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L‟apertura dei mercati dei capitali e la relativa espansione dei mercati borsistici

offrono condizioni di sviluppo importanti da cogliere con opportune

configurazioni della struttura finanziaria che altrimenti metterebbero a rischio

la stessa sopravvivenza del sistema impresa. Il più ampio contesto territoriale

derivante dalla globalizzazione induce le imprese a estendersi su mercati non

solo nazionali, ma anche internazionali pena il pericolo molto alto di incorrere

in una distruzione di valore.

1. La creazione di valore nel family business.

Per creazione di valore si intende la misura della variazione periodica del

capitale economico di un‟impresa in aggiunta alle somme già incassate, al netto

di quelle eventualmente versate come incremento del capitale investito. Per

l‟azionista il metodo più immediato per il calcolo del guadagno ottenuto

consiste nel sommare i dividendi e il capital gain realizzabile. Tale risultato

dipende dalla misurazione, più immediata e facilmente disponibile, dei

dividendi pagati e dalla misurazione, più complessa poiché dipendente da una

molteplicità di variabili non identificabili con riferimento soltanto al mercato

della variazione del capitale economico dell‟impresa. L‟identificazione dei

fattori che determinano la creazione di valore induce al superamento

dell‟approccio basato sui valori di mercato introducendo il problema della

quantificazione del valore economico dell‟impresa78.

Per definire il concetto di creazione di valore di un‟impresa a carattere familiare

occorre tener presente la prospettiva trans generazionale, la visione

conseguente di lungo termine delle strategie di investimento relative e la

percezione del rischio maggiore rispetto a un impresa manageriale. La

78 Guatri L., La teoria di creazione del valore. Una via Europea, Egea, 1991

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trasmissione trans-generazionale del cosiddetto family effect e la long term vision

assieme alla ormai nota sovrapposizione del patrimonio aziendale con quello

familiare rende problematica qualsiasi analisi comparativa con l‟intero sistema

capitalistico della public company. I fattori alla base della formazione del valore

sono costituiti dal tasso di profitto, dalla sua durata e dal tasso di crescita del

capitale proprio. Il tasso di profitto è dato dalla differenza tra il rendimento

atteso del capitale proprio (ROE) e il suo costo, altrimenti calcolabile con

riferimento al totale dei mezzi investiti sottraendo dal rendimento degli

investimenti (ROI) il costo medio ponderato del capitale (WACC). La durata

del tasso del profitto rappresenta invece il collegamento tra orientamento

strategico dell‟impresa e la sua gestione operativa. Mentre il tasso di crescita del

capitale proprio è risultante dalla percentuale di reinvestimento degli utili non

distribuiti per il tasso di rendimento del capitale proprio iniziale. Da qui si

evince il legame esistente tra la redditività del capitale proprio e il livello di

indebitamento come pure il rapporto tra costo del capitale e il relativo rischio.

E‟ necessario analizzare poi l‟impatto che le imprese familiari con le loro

peculiarità e caratteristiche hanno sulla performance79.

Per un‟impresa non familiare la creazione di valore si individua con lo

shareholder value, per un‟impresa familiare questa risulta essere molto più

complessa non riguardando solamente il valore del capitale economico, ma

anche quello culturale e sociale. Prevalendo la prospettiva di lungo periodo e

del consolidamento dell‟impresa la logica di governo non è guidata unicamente

dal rendimento di breve periodo in quanto il management non ha l‟obbligo di

rendicontare periodicamente verso il mercato. Per valutare i risultati conseguiti

da un impresa familiare è opportuno assumere un‟ottica legata agli obiettivi

propri del family business. La performance infatti è condizionata dal peso

79 Miglietta N., La struttura finanziaria obiettivo nel sistema impresa, Giappichelli, 2004

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rilevante che il valore della trasmissione trans-generazionale detiene nella

gestione del processo strategico di crescita dell‟impresa e influenzata dal

fallimento del trasferimento della stessa verso un erede o soggetto esterno.

Dopotutto la definizione di impresa di famiglia è fortemente legata alla volontà

di trasmettere la proprietà alla generazione futura e alla creazione di valore

trans-generazionale. Nella fase dell‟atto di costituzione la crescita e la creazione

di valore sono strettamente dipendenti e stimolate dalle risorse provenienti

esclusivamente dal suo fondatore che utilizza i profitti per la

patrimonializzazione dell‟impresa. L‟evidente sovrapposizione tra famiglia e

impresa comporta la non apertura a fonti di finanziamento diverse dal prestito

bancario e l‟esclusione di investimenti esterni a quello dell‟impresa familiare.

Purtroppo la scarsa propensione alla delega delle responsabilità è spesso causa

delle difficoltà di sviluppo e formazione del potenziale successore ed è

determinante per la sopravvivenza dell‟impresa. Il fondatore dovrebbe

anticipatamente programmare la propria uscita dalla direzione dell‟impresa e

non assegnare posizioni direttive a membri della famiglia che non abbiano le

adeguate capacità necessarie per l‟assunzione di ruoli manageriali80.

Per sostenere una crescita e una creazione di valore duratura l‟impresa di

famiglia necessita di una più netta separazione tra famiglia e impresa e di un

assetto istituzionale di tipo aperto. Ciò è dovuto in situazioni particolari in cui

aumenta la compagine sociale, si allenta il legame familiare a seguito di conflitti

interni di vario genere o causato dalla successione generazionale e si intendono

diversificare i ruoli o compiti con l‟assegnazione di nuove responsabilità. Del

resto l‟apertura a soggetti esterni della gestione dell‟impresa può implicare la

nascita di contrasti tra i diversi interessi delle parti nell‟azienda con il rischio di

perdere l‟unità familiare e la concentrazione della proprietà ossia il vantaggio

80 Angiola N., Corporate governance e impresa familiare, Giappichelli, 2000

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competitivo del family business81. L‟ambiente aziendale che è anche quello

familiare dove i rapporti con gli stakeholders appaiono di fiducia e lealtà, le

relazioni con i fornitori basate su legami stabili e produttivi, l‟ambiente

geografico fortemente influenzato dall‟impresa e viceversa, nonché la presenza

di familiari negli organi di governo con il compito di stimolare un

atteggiamento volto al reciproco benessere e sostegno, oltre a evitare i costi

relativi alla struttura di governance, sono fattori di sviluppo di questo vantaggio

competitivo proprio delle imprese familiari. Da non sottovalutare è il

cosiddetto founder effect ovvero la cultura, i valori e gli obiettivi di lungo termine

del fondatore sul sistema impresa che influiscono in maniera significativa sui

membri della famiglia, sui loro comportamenti e sul rapporto che essi hanno

verso l‟impresa e l‟ambiente circostante. La volontà di conservare il controllo

dell‟impresa può anche favorire la perdita di interessanti occasioni di

investimento, di crescita o di espansione in altri mercati. Secondo Villalonga e

Amit82 la creazione di valore sarebbe dunque sostenuta quando il fondatore

ricopre la carica di direttore oppure di presidente del consiglio di

amministrazione, mentre le generazioni successive assieme ai dipendenti

distruggerebbero il firm value.

Qualsiasi impresa che si orienti alla creazione di valore deve dare particolare

importanza alle decisioni legate alla formazione e all‟aumento del valore del

capitale economico. Per un‟impresa familiare significa oltre alla crescita della

ricchezza aziendale anche la possibilità di trasferire il valore creato alle

successive generazioni. La visione di lungo termine che caratterizza il family

business si manifesta in una maggiore avversione al rischio e all‟impiego

corrispondente di capitale con conseguenze sulla struttura finanziaria

81 Bearle R.A., Means G.C., The modern corporation and private property, Macmillan Company, 1932 82 Villalonga B., Amit R., How are U.S. family firms controlled?, Work Paper, 2007

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dell‟impresa e sulle sue decisioni strategiche di sviluppo e di crescita. Infatti se

da una parte la concentrazione della proprietà e del controllo fanno diminuire

cospicuamente i costi di agenzia relativi, dall‟altra la chiusura rappresenterebbe

un freno alla crescita dimensionale e allo sviluppo internazionale che limita

notevolmente la creazione di valore e il suo trasferimento alle generazioni

future se non addirittura distruggere quello già precedentemente creato.

2. Il costo emozionale del capitale.

Il costo del capitale rappresenta un elemento fondamentale nella valutazione

delle decisioni e delle forme di investimento o finanziamento. Il principio di

base è che il rendimento di un investimento deve essere almeno sufficiente a

coprire il costo del capitale sostenuto dall‟impresa per la sua realizzazione.

Maggiore è il rischio che un‟impresa supporta maggiore sarà il costo di capitale

e il suo relativo rendimento. Qualsiasi investimento infatti presenta un aspetto

di opportunità rappresentato dal rendimento e uno di pericolo rappresentato

dal rischio. L‟obiettivo della finanza è proprio quello di assicurare un‟adeguata

remunerazione all‟investitore dato il trade-off esistente tra maggiori rischi e

maggiori rendimenti83.

La presenza del rischio può comportare che il rendimento effettivo di un

investimento sia differente rispetto al rendimento atteso. Ciò è dovuto alla

presenza di un rischio specifico del progetto (project-specific risk), di un rischio-

concorrenza (competitive risk) o di un rischio-settore (industry-specific risk).

Quest‟ultimo può essere fonte di altri rischi legati alla tecnologia (technological

risk), alle leggi (legal risk), alla variazione dei prezzi delle materie prime o dei

servizi utilizzati (commodity risk), al rischio internazionale (international risk), al 83 Modigliani F., Miller M.H., The cost of capital, corporation finance and the theory of investment, American Economic Review, 1958

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rischio-mercato (market risk) oppure al rischio sistematico (systematic risk). Il

rischio può essere scomposto in diversificabile o sistematico e non

diversificabile. Il primo rappresenta la componente di rischio legata alla

specificità del business dipendente dalla volatilità dei risultati economici

conseguiti in base alle caratteristiche dei prodotti, dei mercati o

dell‟organizzazione e indipendente dalla struttura finanziaria adottata. Il

secondo è originato dalle condizioni macroeconomiche e rappresenta una

componente di rischio fisiologica e inevitabile connessa al mercato finanziario

influenzata da fattori che agiscono sui valori mobiliari. Nonostante si cerchi di

diversificare, il patrimonio rimarrà sempre una componente d‟incertezza legata

alla presenza del rischio sistematico.

In relazione al tipo di struttura adottata dall‟impresa può presentarsi la

possibilità che essa non sia in grado di far fronte al costo o al rimborso del

capitale impiegato. Questo è il motivo per il quale il rapporto tra debt and equity

deve essere deciso in base al profilo strategico utilizzato e dunque le imprese ad

alto rischio operativo non potranno permettersi elevati livelli di rischio

finanziario, mentre le imprese a più basso rischio operativo potranno

concedersi una struttura finanziaria fortemente indebitata. Il rischio connesso

alla struttura finanziata può essere riferito al costo del debito o al costo

dell‟equity. Il costo del debito esprime la remunerazione richiesta dai

finanziatori dell‟impresa a copertura del rischio da loro sostenuto e cioè il costo

medio atteso del debito al netto della deducibilità degli oneri finanziari

rappresentati dallo scudo fiscale. Il costo dell‟equity esprime invece il costo di

opportunità sostenuto dagli azionisti assieme alla remunerazione richiesta per la

copertura del rischio finanziario e del business risk. Il costo del capitale proprio

sarà dato dalla somma del rendimento di attività prive di rischio e il premio per

il rischio operativo e finanziario dell‟impresa. La media ponderata di queste

due componenti di costo rappresenta il costo complessivo che l‟impresa

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supporta per reperire le risorse finanziarie necessarie dai soci o terzi finanziatori

(WACC) e introduce il legame esistente tra rendimento, costo del capitale e

creazione di valore. Essa dipende dalla struttura finanziaria adottata e ricerca il

rapporto ottimale tra debito ed equity che ne determinano il suo maggior o

minor valore84.

Il parametro del costo medio ponderato del capitale costituisce anche per le

imprese familiari un riferimento per determinare se si stia generando o meno

valore. In un family business questa relazione si basa sulle relazioni tra i

membri della famiglia e sulla loro influenza sulle decisioni strategiche adottate

al suo interno. Come conseguenza si manifesta nelle più contenute aspettative e

nei tempi più lunghi di remunerazione. Nel caso di relazioni conflittuali invece

può rappresentare un freno allo sviluppo del business con aspettative di

remunerazione elevate sulla base di un‟ottica di breve termine. In generale si

ritiene che il costo del capitale sia determinato in funzione delle caratteristiche

familiari dell‟impresa e della tipologia dei manager in essa coinvolti, in

considerazione del sistema complesso di relazioni che inevitabilmente influenza

i comportamenti nonché le emozioni dei membri della famiglia85.

Le imprese familiari sono caratterizzate da una più elevata percezione del

rischio (risk aversion germ) che influenza i processi decisionali per le scelte

strategiche di lungo termine e gli equilibri tra famiglia e impresa. Questa

percezione è dovuta alla forte commistione tra il patrimonio della famiglia e

quello dell‟impresa e ai possibili differenti interessi potenzialmente conflittuali

che un soggetto detiene nei confronti di essa. I fattori emozionali in questo

senso possono deviare la quantificazione del costo medio ponderato del

84 Modigliani F., Miller M.H., The cost of capital. Corporate finance and the theory of investment, American Economic Review, 1958 85 De Agelis D., Miglietta N., L‟influenza dei fattori emozionali sulla determinazione del costo del capitale delle imprese familiari, in a cura di Bruno A.M., Pironti M., Strategie di crescita e internazionalizzazione delle imprese familiari. Il contesto globale e distrettuale, Cedam, 2008

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capitale e le relative valutazioni strategiche a riguardo. Nello specifico

concorrono due componenti distinte, una razionale connessa alle dinamiche di

mercato, l‟altra di natura irrazionale, istintiva e percettiva determinata dalle

emozioni. Questo approccio emozionale può rappresentare se non

adeguatamente gestito un freno alla scelta e alla realizzazione di importanti

strategie di sviluppo. Se ne deduce che questa sovra-percezione del costo del

capitale proprio potrebbe determinare un maggiore costo medio ponderato del

capitale con minore redditività relativa nelle ipotesi di investimento valutate.

Essendo il costo medio ponderato del capitale una misura chiave del valore

creato da un investimento che dipende dal costo derivato dal ricorso al capitale

di debito e di rischio, occorre tener presente il loro grado di soggettività od

oggettività nel family business. La determinazione del costo dell‟equity è

influenzato dai membri della famiglia in base ai rendimenti che essi ricercano

dai loro investimenti, mentre il costo del debito viene considerato un elemento

esogeno, ma comunque funzione di fattori discrezionali. Infatti il costo del

debito è definito dalla somma tra il tasso di interesse richiesto dal finanziatore

esterno come remunerazione del capitale prestato e dall‟incremento del costo di

equity dovuto alla percezione di rischio maggiore in considerazione del più

elevato livello di indebitamento86.

L‟elemento più noto di carattere emozionale è rappresentato dal desiderio di

non perdere o vedersi diluire il potere di controllo che se da una parte

determina una maggiore percezione del rischio legata alle attività operative,

dall‟altra proprio in ragione dell‟orizzonte temporale di lungo termine potrebbe

presentare livelli inferiori del costo dell‟equity e della richiesta di remunerazione

per la priorità concessa alla sopravvivenza trans generazionale dell‟impresa. Per

tale motivo le imprese a carattere familiare detengono un vantaggio

86 Gallo M.A., Tapies J., Cappuyns K., Comparison of family and nonfamily business. Financial logic and personal preferences, Family Business Review, 2004

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competitivo potenziale rispetto alle non family in quanto tendono a preferire la

realizzazione di strategie e investimenti i cui rendimenti sono attesi nel lungo

periodo con forte volontà di resistere alle fasi di successione e con la presenza

di finanziatori pazienti nei riguardi dei ritorni attesi.

3. Le implicazioni sulla valutazione economica.

Il valore economico del capitale di un‟azienda dipende dalla sua consistenza

patrimoniale, dalle sue prospettive di risultato e dal rischio aziendale relativo.

Valutare la consistenza patrimoniale risulta più semplice rispetto alla

valutazione dei risultati futuri e della loro caratteristica di aleatorietà seppur il

patrimonio netto rettificato sia influenzato dai rapporti esistenti tra la famiglia e

l‟impresa. Infatti la sovrapposizione di questi due sistemi porta inevitabilmente

a considerare nel patrimonio dell‟azienda i beni propri della famiglia assieme

alle forme di finanziamento dirette e indirette reperite. Ciò risulta determinante

per la formulazione delle prospettive e per la stima della loro aleatorietà. Se da

una parte trovare dei legami tra i percorsi di crescita e gli assetti gestionali della

famiglia o della proprietà appare difficoltoso, dall‟altra rappresenta sicuramente

uno dei requisiti essenziali per assicurare un‟economicità duratura e stabile

all‟azienda. Più specificatamente non sembra possibile trovare delle relazioni

significative tra il valore dell‟azienda e il grado di autonomia dei due sistemi, ma

è corretto poter asserire che l‟autonomia delle due entità consenta la

sostenibilità di un percorso di crescita esterna con la realizzazione dei diversi

interessi istituzionali. La stima del valore economico delle aziende di famiglia

dovrebbe avvenire dopo l‟analisi di tali aspetti per poter successivamente

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comprendere il grado di coerenza tra gli assetti istituzionali adottati, la famiglia

e la proprietà87.

Nella fase di avvio è necessaria una compagine sociale coincidente con la famiglia

dato che la funzione imprenditoriale richiede massima motivazione. Nella fase di

maturità è fondamentale pianificare le modalità e i tempi della successione

generazionale, mentre l‟aspetto della proprietà diventa più complesso. Una

compagine sociale numerosa sarà possibile e soprattutto sostenibile se l‟azienda

ha intrapreso percorsi di crescita interna o esterna altrimenti preferibile sarà

una struttura proprietaria più compatta e ristretta. Con le fasi di crescita le

problematiche aumentano. Nelle fasi di crescita interna generalmente si assiste

all‟attuazione di sistemi di delega decisionale ben strutturati. La famiglia

necessita di risorse manageriali al suo interno per continuare il governo

dell‟azienda e deve essere disposta a finanziare la crescita. Con l‟avvento delle

generazioni successive si crea una preferenza per i dividendi piuttosto che un

reinvestimento degli utili nella crescita dovuto a un aumento della compagine

sociale con i suoi differenti interessi. Per la crescita mediante acquisizioni

valgono le stesse premesse e diventa sempre più cruciale il rapporto tra famiglia

e impresa. Se la famiglia tende a influenzare gli automatismi dell‟impresa

secondo le sue esigenze senza trattarla come istituzione autonoma con cui

avere rapporti di mercato allora è improbabile che l‟acquisizione abbia

successo. Questa autonomia è importante anche nel caso di crescita mediante

accordi e alleanze.

L‟analisi dei sistemi di corporate governance, delle strategie e delle modalità di

organizzazione sono elementi funzionali alla valutazione economica del capitale

e agli aspetti evolutivi del sistema azienda. Questo valore potrà divergere anche

sensibilmente dal valore di mercato per l‟influenza di fattori esterni come

87 Tiscini R., Il valore economico delle aziende di famiglia, Giuffrè Editore, 2001

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l‟efficienza dei mercati finanziari e la domanda o l‟offerta di aziende. Il prezzo

invece potrà differire anche sostanzialmente dal valore per l‟influenza dei poteri

degli acquirenti e dei venditori o per le aspettative di sinergia da parte del

compratore oppure per la componente emozionale rilevante nelle imprese

familiari. Affinché si tengano in evidenza sia gli aspetti operativi e strategici che

gli elementi economico-finanziari bisogna servirsi di un processo di valutazione

che porti alla determinazione di un giudizio integrato di valutazione con

l‟esamine del posizionamento strategico dell‟azienda, del quadro

macroeconomico di riferimento e del settore in cui opera. I principi alla base di

tale analisi propedeutica all‟esame dei risultati contabili e finanziari sono riferiti

all‟azienda intesa come entità unitaria, alla visione del suo andamento futuro,

alla valutazione dell‟elemento umano, alla valutazione dei beni non necessari e

alla valutazione di parti o quote di azienda. La valutazione degli asset

immateriali e del capitale umano sono decisivi per il mantenimento dei vantaggi

competitivi e delle risorse o competenze presenti in azienda e per tale motivo

sta assumendo notevole importanza88.

I metodi di calcolo per la determinazione di un valore sintetico sono vari e la

scelta dovrebbe ricadere su quello più adeguato all‟oggetto della valutazione e

agli obiettivi della stessa. I metodi reddituali si basano sull‟ipotesi che il valore di

un‟azienda dipenda esclusivamente dai redditi futuri che essa sarà in grado di

produrre. I metodi finanziari invece si ispirano all‟ipotesi che il valore di

un‟azienda sia funzione dei flussi di cassa che essa sarà in grado di produrre.

Utilizzano il calcolo dei flussi monetari complessivi disponibili attualizzando i

flussi di cassa per un numero di anni a cui si aggiunge il valore dell‟azienda al

termine della previsione analitica dei flussi (terminal value), determinato dal

calcolo del flusso di cassa o del reddito atteso in perpetuo con l‟ipotesi

88 Guatri L., Il giudizio integrato di valutazione, Università Bocconi editore, 2000

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eventuale di un tasso di crescita costante (Unlevered Discounted Cash Flow Analisys

- DCF). In ultimo i metodi misti valutano il capitale economico dell‟azienda sulla

base del patrimonio netto rettificato a valori correnti con l‟aggiunta del valore

derivante dalla possibilità prospettica dell‟azienda di ottenere una

remunerazione adeguata al valore del capitale investito (goodwill). Nel caso di un

sottoreddito generato da una redditività inadeguata o negativa (badwill) sarà

indispensabile procedere all‟analisi della storicità e dell‟intensità delle perdite,

della loro struttura e delle loro cause per la determinazione del costo da

sostenere per il suo annullamento. Suddetti metodi risolvono le difficoltà

derivanti dall‟applicazione dei metodi reddituali e finanziari a realtà di piccole

dimensioni che non sempre dispongono di dati previsionali affidabili per la

stessa riluttanza degli imprenditori a svelare qualsiasi riferimento in merito ai

valori patrimoniali.

Le competenze, le informazioni e le relazioni se non trasmesse adeguatamente

possono avere un impatto significativo sul valore aziendale. Un limitato livello

di deleghe e l‟accentramento delle competenze in una o poche persone

appartenenti al nucleo familiare devono essere premesse ponderate per

l‟effettuazione delle eventuali analisi. Per ridurre il loro impatto sulla

valutazione oltre ai vincoli contrattuali che disciplinano la non concorrenza o la

presenza di tali soggetti in ruoli manageriali debbono essere incentivate le

trasmissioni ai nuovi manager delle conoscenza strategiche per la competitività

aziendale. Un altro ostacolo alla determinazione del valore economico

dell‟azienda è rappresentato dai cosiddetti benefici di controllo che la famiglia

vanta dalla disponibilità di beni aziendali e che possono o non essere finanziari.

I primi derivanti dall‟utilizzo di asset aziendali a costi inferiori o nulli rispetto a

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quelli di mercato, i secondi definiti extra costi e di non facile quantificazione

riguardanti anche l‟attribuzione dei compensi89.

Il valore di un‟azienda familiare è dato dalla somma algebrica tra il valore

finanziario e il valore emozionale attribuito dalla famiglia proprietaria, l‟uno è

funzione dei cash flow attesi, mentre l‟altro è determinato dalla somma

algebrica dei ritorni non finanziari e i costi non finanziari. La componente

emozionale se non considerata adeguatamente può implicare la non

comprensione dell‟accettazione da parte del soggetto proprietario di

investimenti a rendimento inferiore rispetto ad altri alternativi. Il valore socio

emozionale può diminuire con l‟età e la maturità dell‟impresa per una minore

identificazione con la stessa da parte delle generazioni successive dovuta alla

possibilità di conflitti interni alla famiglia. La presenza del capitale emozionale

ha dunque ricadute operative come la difficoltà ad acquistare a un prezzo

razionale imprese a conduzione familiare. Un acquirente potenziale dovrà

quindi valutare il valore dell‟azienda eliminando dalla valutazione tali benefits,

considerando se e quanto il tasso di attualizzazione debba tener conto delle

caratteristiche di impresa familiare e il suo grado di indebitamento90.

4. L’influenza della struttura finanziaria sul valore delle aziende di

famiglia.

Per poter sostenere lo sviluppo della capacità competitiva e non incorrere in

una perdita o distruzione di valore, le imprese familiari devono cogliere le

opportunità della globalizzazione e delle condizioni presenti in un più ampio

89 Guatri L., Valore e intangibles nella misura della performance aziendale. Un percorso storico, Egea, 1997 90 Astrachan J.H., Jaskiewicz P., Emotional returns and emozional costs in privately held family businesses. Advancing traditional business valuation, Family Business Review, 2008

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contesto territoriale. Il nostro sistema imprenditoriale con livelli di

indebitamento finanziari elevati nonché sbilanciati verso il breve termine e

frazionati in una pluralità di rapporti bancari, con livelli di indebitamento a

medio termine nella forma di mutuo e assetti proprietari concentrati o chiusi,

trova difficoltà nell‟affacciarsi sui mercati non soltanto nazionali, ma anche

internazionali. Le aziende di famiglia continuano a scegliere fonti di

finanziamento tradizionali con il coinvolgimento del patrimonio familiare in

termini di garanzie reali senza però contribuire al miglioramento della

capitalizzazione per l‟esigenza di mantenere il controllo della propria attività91.

Gli effetti di questa situazione di avversione al rischio e alla perdita di controllo

sono di maggiore costo del capitale e di limite allo sviluppo e alla crescita92.

Una valida alternativa consisterebbe nell‟apertura del capitale attraverso

l‟emissione di debito o di capitale netto93. La teoria del trade-off manifesta la

propensione delle imprese a scegliere quanto debito e quanto capitale sulla base

dei costi e dei benefici connessi, affermando che esiste una struttura finanziaria

ottimale che massimizza il compromesso ideale tra vantaggio fiscale del debito

e il valore attuale dei flussi di cassa. Ne consegue che le imprese con asset

tangibili e imponibili elevati dovrebbero tendere a rapporti elevati di

indebitamento a differenza di imprese con attività intangibili e rischiose che

dovrebbero finanziarsi mediante capitale proprio. Questa teoria rappresenta

l‟evoluzione della teoria sull‟irrilevanza della struttura finanziaria di Modigliani e

91 “Ritengo che il nostro gruppo, poco avvezzo alle improvvisazioni, debba mantenere posizioni controllabili, quindi svincolate da interventi esterni”, Cit. Filippo Cerruti, Presidente del Final Gastaldi Group 92 Galbiati P., La struttura finanziaria delle imprese. Modelli teorici e scelte operative, Egea, 1999 93 “L‟attenzione a breve termine al mercato azionari non è nel Dna aziendale, indirizzato com‟è su obiettivi di lungo periodo”,Cit. Marcello Binda, Amministratore Delegato Gruppo Binda

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Miller94. Nella loro prima formulazione basata su presupposti astratti di mercati

caratterizzati dall‟assenza di imposte, di costi diretti e indiretti al rischio di

dissesto finanziario, di costi di agenzia, di asimmetrie informative, di frizioni e

di costi di transizione dimostravano che aumentando la leva finanziaria la

distribuzione del rischio tra i diversi investitori si modifica, ma non varia il

rischio complessivo associato all‟impresa. Con lo scopo di migliorarla nella loro

formulazione successiva introdussero la presenza di imposte societarie sul

reddito e dimostrarono che la struttura ottimale del capitale è interamente

finanziata con il debito essendo il costo del capitale proprio non deducibile

fiscalmente diversamente da quello del debito detraibile dalla base imponibile95.

La teoria dell‟ordine di scelta nota anche come pecking-order hypothesis sostiene

invece che le imprese seguano uno schema gerarchico nella scelta delle fonti di

finanziamento optando in primis per il finanziamento interno poiché il ricorso

a fonti di finanziamento esterne ridurrebbe la loro flessibilità e il loro controllo

onde evitare i costi di transazione relativi. Mentre la teoria dell‟agenzia afferma

che la scelta della struttura finanziaria ottimale deriva dal trade-off tra costi di

agenzia del debito e costi di agenzia dell‟equity dati dall‟impossibilità di

contrattare in modo perfetto le azioni degli agenti le cui decisioni sono

determinanti sia per loro che per il principale. Questi comportamenti possono

essere tuttavia mitigati da un buon sistema di incentivi e di monitoraggio (costi di

agenzia). I conflitti di agenzia sono minori nelle imprese familiari data la

corrispondenza tra la proprietà e l‟organo di controllo come ridotti sono i costi.

Le aziende di famiglia sono caratterizzate da un‟avversione all‟apporto di

capitali dall‟esterno e per aumentare l‟equity esterna sostengono costi

94 Modigliani F., Miller M.H., The cost of capital, corporation finance and the theory of investment, American Economic Review, 1958 95 Modigliani F., Miller M.H., Corporate income taxes and the cost of capital. A correction, American Economic Review, 1963

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transazionali e comportamentali più alti96. Evitano inoltre il ricorso ai capitali

esterni affidandosi a utili non distribuiti e prestiti bancari di breve termine

sostenendo fortemente che un‟emissione di azioni amplierebbe la compagine

sociale con perdita di controllo o perfino acquisizione ostile97. La dimensione e

l‟età delle imprese familiari rivestono un ruolo importante nella scelta della

struttura finanziaria da adottare. Per quanto concerne la dimensione le piccole

imprese tendono a preferire finanziamenti a breve termine poiché esso è

correlato negativamente alla struttura degli asset e i finanziamenti esterni

risultano più onerosi rispetto alle grandi imprese. Per quanto riguarda l‟età

invece, le fonti del capitale sono influenzate dalla fase del ciclo di vita in cui si

trova l‟impresa e più precisamente l‟avversione all‟apertura dei capitali a terzi è

più visibile nelle prime generazioni, mentre muta con il passare del tempo.

Generalmente le imprese di famiglia piccole e chiuse tendono verso la filosofia

dell‟ordine di scelta con ampia base di equity derivata internamente tra capitale

azionario e utili non distribuiti che consente loro di contenere l‟influenza di

fattori esterni nelle strategie di sviluppo e transazioni d‟impresa. Ovviamente il

loro sviluppo finanziario sarà determinato dallo stato dell‟economia, dalle

condizioni del mercato dei capitali e dalle loro caratteristiche interne tra cui la

loro predisposizione verso l‟indipendenza finanziaria e il controllo

dell‟impresa98.

Nonostante i benefici relativi ai minori costi di agenzia, i vantaggi provenienti

dall‟identificazione tra famiglia e impresa e la libertà nella scelta delle decisioni

di lungo termine, la governance familiare è causa dei costi connessi al

perseguimento di obiettivi non legati alla massimizzazione dei profitti, alle

96 “I soldi facili non mi convincono, men che meno quelli che potrebbero arrivarmi dalla borsa”, Cit. Loris Meliconi, Presidente Meliconi S.p.A. 97 “Non mi piacciono più di tanto i vincoli che mi porterei dietro una quotazione in borsa”, Cit. Giuseppe Margaritelli, Presidente Margaritelli Italia S.p.A. 98 Gallo M.A., Vilaseca A., Finance in family business, Family Business Review, 1996

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dinamiche di stabilità e successione e al basso grado di innovazione con lo

scopo di mantenere le tradizioni o pratiche aziendali di famiglia99. A sostenere

la loro resistenza alla perdita di controllo ne sono prova i sistemi interni

informali adottati senza ricorrere a procedure formalizzate per il monitoraggio

dei dipendenti e i processi dell‟impresa sacrificando l‟opportunità di ottenere

più alti profitti per mantenere il controllo dell‟azienda. Il basso livello di

indebitamento trae anche origine dalla istituzioni creditizie che non facilitano la

separazione tra famiglia e impresa basandosi sulla ricchezza personale della

proprietà. Il family business triangle mette in evidenza le principali interazioni tra

gli interessi cardini della famiglia e dell‟impresa con le loro rispettive aree di

interesse. L‟impresa necessita di capitali per reperire le fonti di finanziamento

necessarie alla crescita, mentre i proprietari ambiscono al reddito derivante

dall‟attività di impresa e inseguono la liquidità per il loro patrimonio. Il controllo

in un‟impresa di famiglia può essere garantito oltre al mero possesso di quote

dalla conoscenza ed esperienza nel gestire l‟impresa. Con riferimento alla

liquidità la maggior parte della ricchezza personale dei membri appartenenti al

nucleo familiare è investita nell‟impresa e come conseguenza si ha il desiderio

di renderne liquida una parte per ottenerne il pieno controllo con la possibilità

di diversificare il portafoglio delle attività e produrre un reddito per il consumo

corrente. In relazione al bisogno di capitale gli interessi propri dell‟impresa

inerenti alla sua crescita e alla sua solvibilità possono entrare in conflitto con

quelli degli azionisti. In tal caso gli azionisti attivi potrebbero essere favorevoli

a sacrificare le proprie esigenze per quelle dell‟impresa, per contro gli azionisti

non attivi possono non sentirsi obbligati100.

99 “Rientrano nella logica della continuità l‟esperienza e i sacrifici di chi ci ha preceduto”, Cit. Giovanni Recordati, Presidente Recordati S.p.A. 100 Dreux D.R., Financing family business. Alternatives to selling out or going public, Family Business Review, 1990

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5. I vincoli e le opportunità del family business.

La proprietà partecipa al governo dell‟impresa, alle decisioni di indirizzo delle

strategie aziendali, alla loro approvazione e verifica, al conferimento del capitale

di rischio nonché alla scelta dei ruoli chiave più critici da destinare ai membri o

non della famiglia. In tal senso l‟esercizio del ruolo proprietario può

rappresentare una forza motrice oppure un impianto frenante per il family

business101.

Un opportunità è data da una visione imprenditoriale vincente in cui vi è la

presenza di originalità nelle scelte di prodotto, di lungimiranza rispetto alle

tendenze del mercato, di flessibilità nei confronti dei mutamenti dell‟ambiente

esterno con la ricerca di nuove possibilità competitive attraverso il possesso di

competenze distintive. La proprietà a riguardo risulta decisiva in quanto una

visione imprenditoriale vincente è sempre frutto di un contributo da parte di

un imprenditore o di una coalizione di soci che consentono la sua formazione

partecipandovi in prima persona o approvandola oppure non ostacolandola e

che costruiscono attorno a essa il consenso di altri stakeholders come conferma

della loro reputazione di affidabilità con il loro impegno diretto. Il livello

strategico presenta dunque proprietà capaci di incubare visioni imprenditoriali

di lungo termine e attrattive per familiari e non.

Queste visioni e strategie debbono essere supportate da un capitale di rischio

adeguato ai loro fabbisogni e dalle scelte di destinazione degli utili con la

preferenza all‟autofinanziamento piuttosto che alla distribuzione dei dividendi

senza sacrificare però le aspettative di liquidità dei soci. L‟impegno economico

della proprietà oltre alle politiche di dividendo si dispiega nelle operazioni di

riacquisto delle quote o di acquisizioni di altre aziende. Ai fini di una crescita

sostenibile della visione e delle strategie di sviluppo la proprietà risulta attenta a

101 Montemerlo D., Il governo delle imprese familiari, Egea, 2000

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contenere le remunerazioni periodiche per incrementare il valore di lungo

termine senza prescindere del tutto dalle aspettative di dividendo dei soci.

Infatti per una crescita profittevole il capitale deve avere natura paziente ed

essere sufficientemente capiente.

Un altro elemento necessario è costituito dalla scelta da parte della proprietà di

persone qualificate nei ruoli chiave per non dover incombere in difficoltà

eventuali derivanti dall‟assegnazione di responsabilità non adeguate a familiari

con carenza di competenze. Una proprietà che comprende i fabbisogni

aziendali è disposta dove serve a cedere ruoli a terzi e detiene la capacità di

individuarli e coinvolgerli nella gestione d‟impresa. Solitamente le imprese

familiari adottano consigli di amministrazione diversi in funzione della loro

struttura proprietaria e di controllo ricercando una coerenza interna ai loro

sistemi di governance.

Un vincolo è evidenziato dalla possibilità che le famiglie proprietarie possono

nel loro duplice ruolo di governo ostacolare la crescita che può a un certo

punto arrestarsi. Questo accade quando vi è assenza di una visione di crescita

in cui vi sono caratteristiche personali atte allo sviluppo di interessi

imprenditoriali differenti dal core business o quando vi è la presenza di

strategie divergenti originate dalle caratteristiche e dai comportamenti delle

persone oppure in caso di mancato coinvolgimento di terzi. In tutte queste

situazioni la visione di crescita è determinata a monte dai limiti organizzativi e

finanziari della famiglia proprietaria. Un modello di controllo non funzionale

alla crescita è rappresentato da quelle aziende impegnate più nella costruzione o

nel mantenimento degli equilibri tra soci piuttosto che nella gestione strategica

ed è diffuso in quelle realtà a proprietà allargata. Un altro limite operativo è

generato dalla scarsa comunicazione tra i soci che possono essere evidenti in

compagini proprietarie allargate con il rischio di non trovare unità di

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orientamenti e di non comprendere i fabbisogni aziendali per il prevalere di

interessi personali. Ulteriore visibilità va riconosciuta alla volontà di mantenere

il controllo dell‟impresa con una chiusura a priori verso i terzi102.

Alcuni tratti distintivi propri delle imprese a carattere familiare possono essere

considerati come best practises per una diffusione di proprietà capaci di

assecondare processi di crescita profittevoli. Una compagine proprietaria

disposta a trasmettere valori quali il rispetto dei fabbisogni aziendali, il

coinvolgimento delle persone in base al principio della meritocrazia, l‟apertura

dei canali di comunicazione al suo interno e se necessario adottare una

semplificazione della sua struttura, è in grado di costruire una condizione di

crescita sostenibile. Occorre sviluppare alla base una visione strategica vincente

e condivisa con un„appropriata disponibilità di capitale di rischio. Tuttavia

questa propensione alla crescita potrebbe causare la perdita dalla natura

familiare stessa con l‟inserimento di outside directors nei ruoli chiave di

gestione dell‟impresa con obiettivi di sviluppo dimensionale non sempre

coincidenti con quelli di redditività dei soci. Questo orientamento di tipo

manageriale indurrebbe a una riduzione della quota di capitale detenuta dalla

famiglia con lo scoraggiamento dell‟ingresso in azienda degli eredi. Ciò

comporta un trade-off tra il mantenimento dei ritmi di sviluppo e di

competitività e il controllo familiare. Nel caso in cui l‟impresa venga percepita

come familiare più che manageriale allora bisognerebbe arricchirsi delle best

practises sopra citate. Le ragioni dell‟unità del commitment familiare devono

essere attentamente conservate al fine di rendere la partecipazione della

famiglia uno strumento fondamentale per il mantenimento della storia

dell‟impresa. Come conseguenza si dovranno trasmettere agli eredi le

opportunità e i vincoli che l‟appartenenza a una famiglia imprenditoriale

102 Montemerlo D., La proprietà familiare. Motore per la crescita o impianto frenante, in a cura di Corbetta G., Capaci di crescere. L‟impresa italiana e la sfida della dimensione, Egea, 2005

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comporta stimolandoli con percorsi formativi e aiutandoli nello sviluppo delle

loro capacità e competenze attraverso il confronto con familiari e non. Di base

dovranno essere il meno possibile rigidi i rapporti tra famiglia e impresa con la

predisposizione di eventuali criteri di liquidazione nel caso in cui si intenda

uscire senza compromettere l‟azienda e le relazioni familiari. Per quanto

riguarda la situazione di allargamento della compagine sociale sarà necessario

individuare preventivamente i membri appartenenti alla famiglia in grado di

esercitare la leadership familiare e proprietaria per non distogliere le energie

dell‟imprenditore dall‟obiettivo di crescita aziendale. Questo ruolo comporta

l‟adeguata comunicazione delle informazioni ai soci, la programmazione delle

riunioni tra i soci, la coordinazione con l‟imprenditore per la preparazione delle

informazioni da dover comunicare e il raccoglimento delle richieste o delle

proposte. Ove indispensabile la costruzione di un patto o il rinnovamento di

quello già esistente103.

Un ruolo fondamentale spetta anche a chi accompagna l‟impresa instaurando

con essa rapporti di ricerca e insegnamento, di consulenza e di finanziamento

sostenendola nello sviluppo e nella salvaguardia delle best practises soprattutto

nel momento critico del passaggio generazionale.

103 Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Economia aziendale, Il Mulino, 1994

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Capitolo Quinto

OBIETTIVI E METODOLOGIE DELLA RICERCA

SOMMARIO: 1. Il quadro di riferimento teorico; 2. Il modello di ricerca; 3. La raccolta

dei dati; 4. Analisi e discussione del caso.

1. Il quadro di riferimento teorico.

La letteratura in tema di family business si è concentrata prevalentemente

sull‟approfondimento delle caratteristiche o peculiarità strutturali e dell‟insieme

delle risorse idiosincratiche proprie di tale tipologia aziendale derivanti dal

coinvolgimento della famiglia nell‟impresa e dalla loro corrispondente

sovrapposizione istituzionale. Scarsa attenzione è stata dedicata allo studio del

ruolo svolto dalla famiglia in azienda e all‟individuazione di talune variabili che

possono ritenersi significative nell‟interpretazione del legame esistente tra la

famiglia, l‟impresa e la relativa performance104.

L‟impresa familiare può essere definita come un‟entità governata e/o gestita

con l'intenzione di partecipare alla definizione e al raggiungimento degli

obiettivi strategici, la cui proprietà è detenuta da una o più famiglie in modo da

poter rendere potenzialmente sostenibile il passaggio generazionale all‟interno

di essa. Numerosi sono i problemi che le imprese familiari devono affrontare

per ottenere la creazione di valore nel lungo termine e un sistema di governo

economico adeguato può rivelarsi necessario, seppur più complesso rispetto ai

104 Habberson T., Williams M., MacMillan I.C., A unified systems perspective of family firm performance, Journal of Business Venturing, 2003

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sistemi di governo delle imprese non familiari, data la stretta connessione

presente tra i sistemi proprietari e di management105.

Il coinvolgimento della famiglia nella proprietà e nella gestione può influenzare

gli obiettivi strategici da perseguire, le modalità e i tempi di attuazione nonché

lo sviluppo di organizational capabilities106. Nelle imprese familiari il compito della

creazione di valore è tipico del sistema di governance ed è svolto sulla base di

varie forme di incentivazione, di struttura di autorità e di norme di

responsabilità. Risulta opportuno dover indagare sulle modalità con cui i

membri della famiglia esercitano il potere e le responsabilità al fine di

determinare i presupposti del vantaggio competitivo e i caratteri della

performance delle family business107.

Nello studio delle sfide strategiche notevole importanza è data attualmente

dalla dimensione dell‟imprenditorialità stessa piuttosto che dalla protezione del

valore creato, il quale ha rappresentato finora uno dei principali filoni di ricerca.

Del resto anche i rapporti tra la proprietà, il consiglio di amministrazione e il

management sono stati poco trattati. In tal senso gli amministratori

indipendenti o influenti azionisti esterni potrebbero detenere sia un ruolo di

protettori del valore esistente che di creatori di una nuova imprenditorialità

come potrebbero contribuire alla riduzione dei costi di gestione della proprietà

all‟interno della famiglia, al miglioramento dell‟allocazione delle risorse o ad

attrarre manager più competenti oppure a evitare l‟appropriazione della

ricchezza dell‟impresa da parte della famiglia108. Al contempo potrebbero

105 Steier L., Family firms, plural forms of governance and the evolving role of trust, Family Business Review, 2001 106 Sirmon D.G., Hitt M.A., Managing resources. Linking unique resources, management and wealth creation in family firms, Entrepreneurship Theory and Practice, 2003 107 Uhlaner L., Wright M., Huse M., Private firms and corporate governance. An integrated economic and management perspective, Small Business Economics, 2007 108 Dalton C., Daily C., Ellstand A., Johnson J., Board composition, leadership structure and financial performance, Strategic Management Journal, 1998

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facilitare l‟accesso dell‟impresa alle informazioni o risorse per la creazione di

valore ad alla definizione di una strategia di sviluppo109.

La strategia imprenditoriale consente la creazione di valore nel caso in cui si

riesca a individuare e implementare i vantaggi competitivi derivanti e sostenibili

nel lungo termine con l‟identificazione delle relative opportunità, ma

soprattutto con la capacità di saperle sfruttare nella loro successiva applicazione

economica. Se così non fosse si correrebbe il rischio eventuale di distruggere il

valore creato o potenziale. Le imprese familiari in possesso di vantaggi

competitivi, ma non inclini alla ricerca di nuove possibilità rischiano di

rallentare il tempo della creazione di valore se non addirittura ridurre la loro

ricchezza a seconda dei cambiamenti ambientali nel settore in cui operano110.

I vantaggi competitivi sono derivanti dal possesso di risorse distintive scarse,

inimitabili e difficilmente sostituibili e impiegate per l‟implementazione di

strategie di prodotto e di mercato. In una prospettiva resource based view

(RBV) il vantaggio competitivo si risolve non solo col mero possesso delle

risorse anche con una serie di rimedi derivanti dall‟integrazione della famiglia

con l‟impresa, ricompresi nel concetto di familiness111. Dotarsi di tali risorse non

implica di certo una garanzia di creazione di valore, ma il raggiungimento di tale

obiettivo necessita di una combinazione di queste atte a ottenerne un vantaggio

competitivo, attraverso un processo con cui il portafoglio delle risorse di

un‟azienda viene strutturato in modo da manifestare capacità distintive in grado

di creare o mantenere valore per i propri stakeholders. Le ricerche effettuate in

questo senso sono state poche e non vi è alcuna spiegazione chiara di come nei

109 Le Breton Miller I., Miller D., Why do some family businesses out-compete? Governance, long term orientations and sustainable capability, Entrepreneurship Theory and Practice, 2006 110 Barney J.B., Alvarez S.A., How do entrepreneurs organize firms under conditions of uncertainty?, Journal of Management, 2004 111 Cabrera-Suarez K., Dee Saa-Perez P., Garcia-Almeida D., The succession process from resource and knowledge based view of the family firm, Family Business Review, 2001

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processi strategici le imprese e i manager impieghino le risorse a loro

disposizione nella creazione di valore112.

Una prospettiva utile per lo studio dei caratteri distintivi delle strategie

imprenditoriali adottate e della relativa performance delle imprese familiari è

rappresentata dal capitale sociale in quanto la gestione delle risorse richiede un

sistema di relazioni interno alla famiglia e tra tutti i familiari e non coinvolti

nell‟impresa. Il capitale sociale nelle sue qualità strutturali, cognitive e

relazionali costituisce una risorsa chiave per la creazione di valore favorendo

l‟accesso, l‟assimilazione e il controllo delle conoscenze113. Il suo compito è

quello di facilitare le relazioni, promuovere la cooperazione tra gli individui

all‟interno del business, favorire l‟orientamento alla fiducia e la creazione di un

sistema di valori condivisi. Come risultato dei processi di interazione sociale

generati dall‟acquisizione e dallo sfruttamento di conoscenza rappresenta una

premessa per la continuità e lo sviluppo aziendale114. Le relazioni sociali tra

individui di diverse organizzazioni o le alleanze strategiche tra le imprese

costituiscono il capitale sociale esterno all‟azienda il cui sviluppo richiede

interazioni fiduciarie e incentivanti per la condivisione delle risorse in un

rapporto di reciprocità che miri a un ritorno nelle operazioni future.

Ciò consente di potenziare l‟absorptive capacity del business, definita come una

competenza dinamica che accentua la capacità dell‟azienda di ottenere o

mantenere un vantaggio competitivo con riferimento alla creazione e

all‟utilizzazione di conoscenza. L‟opportunità di cogliere e far proprie le

conoscenze esterne facilita la creazione di valore da parte dell‟impresa, ma la

112 Hitt M.A., Ireland R.D., Camp S.M., Sexton D.L., Strategic entrepreneurship. Entrepreneurial strategies for wealth creation, Strategic Management Journal, 2001 113 Adler P., Kwon S., Social capital. Prospects for a new concept, Academy of Management Review, 2002 114 Salvato C., Melin L., Creating value across generations in family-controlled businesses. The role of family social capital, Family Business Review, 2008

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sua efficacia può essere minata dal livello di conoscenza iniziale che essa

dispone pregiudicando la stessa identificazione e utilizzazione delle conoscenze

esterne a cui avrebbe accesso115. Un‟ appropriata capacità di applicare ai

processi le nuove conoscenze esterne identificate ne favorisce l‟innovazione e

ne facilita l‟ulteriore ricerca che assieme alla capacità di utilizzare con successo

le informazioni derivanti dal mercato, ne consente un adeguato sfruttamento116.

Per comprendere il fenomeno della crescita è opportuno invece fare

chiarimento sui concetti di crescita dimensionale e di sviluppo qualitativo. La

maggior parte delle nostre imprese infatti conserva la piccola dimensione senza

preoccuparsi di eventuali percorsi di sviluppo. La crescita dimensionale,

definita in ambito internazionale internal or organic growth, è uno sviluppo

quantitativo che si manifesta con la crescita operativa, con l‟incremento del

fatturato, nella crescita strutturale e con l‟aumento della forza lavoro impiegata.

Essa può essere avviata dopo il vantaggio competitivo avvenuto da una

strategia imprenditoriale di successo che ha mantenuto invariata la

combinazione tra il prodotto, il mercato e la tecnologia, oppure che ha

perseguito lo sviluppo attraverso la modifica delle suddette variabili. Lo

sviluppo qualitativo invece è basato su strategie atte a rimuovere le cause di

vulnerabilità e dunque massimizzare le possibilità di sopravvivenza del

business. La sua realizzazione avviene attraverso le relazioni interpersonali

(network formali e informali) oppure mediante i rapporti che si sviluppano tra le

aziende (network interni ed esterni). Con riferimento particolare alle imprese

familiari occorre notare come le relazioni parentali e sociali garantiscano scambi

di conoscenze e informazioni tra più individui. Questi network informali sono

esterni all‟attività imprenditoriale e si sviluppano su di una dimensione

115 Cohen W., Levinthal D., Absorptive capacity. A new perspective on learning and innovation, Administrative Science Quarterly, 1990 116 Sirmon D.G., Hitt M.A., Ireland R.D., Managing firm resource in dynamic environments to create value. Looking inside the black box, Academy of Management Review, 2007

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orizzontale, come la formazione di accordi interaziendali. E‟ importante

sottolineare che “[…]the how of growth is a necessary and fundamental question that

needs to be better understood before we can turn our attention to how much a firm grows117”.

Secondo quanto emerso da un‟analisi empirica condotta su un campione di

imprese italiane medie e medio-grandi dal Prof. Corbetta le condizioni interne

che favoriscono i processi di crescita aziendale richiederebbero una famiglia

proprietaria avente un atteggiamento favorevole alla crescita, vissuta come

opportunità e non come minaccia, un‟impresa con buona redditività, basso

grado di indebitamento e soprattutto presente sui mercati internazionali118. Per

quanto concerne il contesto esterno invece deve essere rappresentato da

condizioni di mercato o di settore viste dall‟impresa familiare come opportunità

necessarie e da sfruttare per intraprendere il percorso di crescita. Il contributo

diretto e fondamentale al salto dimensionale è comunque manifestato dalla

volontà dell‟imprenditore.

Il fenomeno della crescita aziendale può anche essere interpretato attraverso un

modello evolutivo in cui la crescita dimensionale è solo una delle dimensioni

della crescita aziendale, la quale si combina con la crescita relazionale e la

crescita quantitativa generando una pluralità di percorsi nei quali non vi è

possibilità di tracciare una sequenza di stadi idealtipici119. Se da una parte le

piccole imprese sono favorevoli a una crescita dimensionale interna, dall‟altra

con l‟aumento della dimensione aziendale, delle esigenze di differenziazione e

integrazione verticale assume notevole importanza la crescita per vie esterne

mediante la costituzione di nuove entità o l‟acquisizione di imprese esistenti.

117 Cit. McKelvie A., Wiklund J., Advancing firm growth research. A focus on growth mode instead of growth rate, Entrepreneurship, Theory and Practice, 2010 118 Il campione è formato da 18 imprese familiari con più di 50 dipendenti, con un tasso di crescita superiore al 50% nel periodo 1997-2001, un ROI positivo nel 2000 e nel 2001 e operanti nei settori alimentare, tessile, abbigliamento, arredamento, chimico-farmaceutico e meccanico 119 Grandinetti R., Nassimbeni G., La dimensione della crescita aziendale, Franco Angeli, 2007

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2. Il modello di ricerca.

Il progetto di ricerca è un processo “of intellectual discovery which has the potential to

transform our knowledge and under standing of the world around us120” per la cui

comprensione è indispensabile la prospettiva teorica di riferimento che

rappresenta “qualche cosa di più ampio e anche di più generale di una teoria come una

visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che precede l‟elaborazione

teorica121”. Come afferma Hughes “ogni procedura o strumento di ricerca è

inestricabilmente intrecciato con particolari interpretazioni del mondo che il ricercatore ha e

con i modi di conoscere quel mondo il cui ricercatore fa uso. […] Nessuna teoria o metodo

d‟indagine […] si giustifica da sé. La sua efficacia, la sua stessa qualifica di strumento

d‟indagine […] dipende in ultima analisi da giustificazioni di tipo filosofico122”.

La sua metodologia deriva necessariamente dal riferimento teorico adottato e si

basa su “an empirical inquiry that investigates a contemporary phenomenon within its real-

life context, especially when the boundaries between phenomenon and context are not clearly

evident123”. Consiste dunque in un‟analisi aziendale prolungata di un sistema che

è delimitato nel tempo e nello spazio mediante la raccolta di dati e informazioni

dettagliate descriventi le condizioni storiche, sociali o economiche di

riferimento. Il paradigma teorico impiegato è di tipo interpretativista. “Il termine

interpretativismo fa riferimento a tutte le visioni teoriche per le quali la realtà non può essere

semplicemente osservata, ma deve essere interpretata. Nell‟ambito di tale paradigma, la

questione ontologica, quella epistemologica e quella metodologica assumono peculiari

configurazioni. Secondo la logica del costruttivismo, il mondo conoscibile è quello del

significato attribuito dagli individui. Quindi non esiste una realtà sociale universale valida per

tutti gli uomini (realtà assoluta), ma esistono molteplici realtà(realtà multiple) secondo le

120 Ryan B., Scapens R., Theobald M., Research method and methodology in finance and accounting, Thomson, 2002 121 Corbetta G., Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, 1999 122 Hughes J.A., The philosophy of social research, Longman, 1982 123 Yin R.K., Case study research. Design and methods, Sage Publications, 2003

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diverse prospettive con cui gli uomini vedono e interpretano i fatti sociali. Sotto il profilo

epistemologico non c‟è una separazione tra studioso e oggetto di studio. La scienza sociale, nel

perseguire l‟obiettivo di comprensione del comportamento individuale, può utilizzare

astrazioni e generalizzazioni, ossia tipi ideali ed enunciati di possibilità. Le tecniche di

ricerca, infine, sono qualitative e soggettive, poiché lo scopo principale della ricerca è quello di

comprendere il significato attribuito dal soggetto alla propria azione124”.

L‟indagine proposta è basata su di un case study attraverso cui identificare i

caratteri distintivi per la continuità aziendale e le pratiche conseguenti di

corporate governance con cui affrontare i cambiamenti strategici nelle imprese

di famiglia125. In particolare si sono utilizzati i metodi di intervista

semistrutturata e l‟analisi documentale.

Il caso studio è una strategia di ricerca collegata a una storia, un esperimento

oppure una simulazione non necessariamente riconducibile a una determinata

evidenza empirica o metodologia di raccolta dati. Rappresenta un sistema

molto popolare che si focalizza su particolari temi portandoli a ragionevoli

livelli di concretezza. Il caso studio si basa su di un‟analisi approfondita di un

singolo esempio o evento senza dover servirsi di larghi campioni e rigidi

protocolli. Fornisce importanti elementi di previsione conducendo alla

comprensione del perché un certo scenario si sia configurato proprio in quel

modo. E‟ una specie di ricerca-inchiesta che può includere dati quantitativi,

evidenze qualitative o elementi teorici.

Fu sviluppato per la prima volta nel 1967 dai sociologi Glaser e Strauss126 con il

nome di Grounded Theory, ma la sua diffusione come metodo di ricerca prima e

124Università Federico II di Napoli, I risultati aziendali. Significato, misurazione e comunicazione, Convegno SIDREA, 2010 125 Yin R.K., Case study research. Design and methods, Sage Publications, 1994. 126 Glaser B.G., Strauss A.L., The discovery of grounded theory. Strategies for qualitative research, Aldine Publishing Company, 1967

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di formazione poi risale agli ultimi decenni. I pionieri di tale strumento sono

stati alcuni professori della Harvard Business School127, che attraverso le

interviste di manager e le relazioni di sintesi di come operavano, rintracciarono

con riflessioni e approfondimenti collettivi proposte risolutive rispetto ai

problemi che riguardavano l‟azienda. Questo approccio fu poi adottato anche

all‟interno delle realtà di impresa.

I case study possono descrivere un dominio utilizzando uno o due esempi per

analizzare le situazioni (illustrative case study), anticipare un‟indagine più

approfondita (explorative case study), chiarire l‟impatto di determinate variabili di

programmi o azioni (program effects case study) e rappresentare la realtà sotto

forma di narrazione (narrative case study). Negli studi di caso i partecipanti

ricevevono una descrizione scritta, integrata da un‟eventuale trasmissione orale,

contenente dettagli e informazioni riguardanti una determinata problematica

cosicché possano avere tutti gli strumenti utili per elaborare riflessioni o azioni

da intraprendere. Il dettaglio delle informazioni non deve essere eccessivo, ma

deve basarsi su presupposti dai quali dar vita al confronto. Il controllo della

discussione si serve di un ammontare di dettaglio definito, di un limite di

tempo in cui esprimersi, del modo con cui strutturare il compito attraverso

raccomandazioni, decisioni o linee guida per un piano d‟azione e di una lista di

domande a cui rispondere per facilitare la sinterizzazione delle loro opinioni al

fine di un lavoro finale.

Viene utilizzato prevalentemente dai ruoli manageriali o membri di team

multifunzionali che devono far previsioni in un‟ottica sistematica sui fattori di

cambiamento che avvengono con una certa frequenza. Ciò favorisce la

comunicazione, agevola lo spirito di gruppo e promuove soluzioni creative a

127Christensen C.R., Hansen A.J., Teaching and the case method. Text, cases, and readings, Harvard Business School Press, 1986

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problemi specifici di particolare interesse per l‟azienda con l‟approfondimento

di temi e la previsione sull‟evoluzione di situazioni o scenari futuri.

Nella scelta dei casi è stata data priorità alle fattispecie più significative e che

meglio replicavano le teorie esistenti, nonché quelle che potessero confermare

la validità di un costrutto teorico vigente o dare altrimenti la possibilità di

raffinarne le premesse128. Si sono individuate aziende a carattere familiare che

fossero contraddistinte da discontinuità strategica e cambiamenti nelle pratiche

di corporate governance. Non sono stati dunque utilizzati parametri casuali.

Attraverso un esame esplorativo di fonti secondarie quali riviste e giornali

economici, si sono ricercate alcune imprese dello stesso settore industriale che

potessero essere potenzialmente stimolanti fino a selezionarne due in

particolare idealtipo che operassero con successo nel contesto italiano e

internazionale con strumenti di governance e di finanziamento differenti. La

Barone Ricasoli S.p.A. offriva un utile spunto per quanto concerneva l‟aspetto

delle variazioni nel posizionamento strategico con una sostanziale modifica nel

sistema di corporate governance, mentre la Poggio Le Volpi con chiari intenti

di crescita contenuta non prevedeva l‟ingerenza di membri esterni alla famiglia.

In ultimo nella logica di scelta di casi questo era adatto a studiare le interazioni

specifiche esistenti tra le dinamiche strategiche di continuità e l‟adattamento

relativo delle strutture o processi di governance in un‟impresa a conduzione

familiare con gli abbondanti dati provenienti da fonti informative differenti.

128 Eisenhardt K.M., Building teories from case study research, Academy of Management Review, 1989

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3. La raccolta dei dati.

La scelta delle tecniche di raccolta dei dati è condizionata dalla natura stessa dei

quesiti, dall‟ampiezza dell‟unità di analisi indagata e il fattore tempo. La

combinazione di tali elementi determina il carattere longitudinale o trasversale

dei dati e dunque lo strumento più adatto. Lo studio longitudinale implica

periodi molto lunghi in cui raccogliere dati e impiegare varie tecniche, mentre

lo studio trasversale necessita di un‟ attenta selezione delle modalità con cui

approfondire la conoscenza di un determinato fenomeno. Si possono tuttavia

combinare opportunamente le varie esigenze di raccolta dati e vincoli di tempo

con uno studio integrato con cui si selezionano e classificano degli eventi o dei

dati più significativi mediante metodologie differenti. Spetta alla capacità del

ricercatore invece l‟efficacia della raccolta e dalla sua abilità nell‟adattare le

esigenze del piano alla dinamicità e imprevedibilità degli eventi o dei soggetti

partecipanti. Egli dovrà infatti trarre vantaggio da eventi inattesi, supplire a

metodi di raccolta fallaci, saper cogliere indizi utili e importanti combinando il

rigore scientifico alla flessibilità.

Le fonti di un caso studio derivano abitualmente da documenti e registrazioni

di archivio, da interviste individuali e di gruppo, dall‟osservazione diretta e

partecipante o dalle prove fisiche per le quali si richiedono abilità tecniche,

strumentazioni e procedure di campo specifiche.

I documenti e le registrazioni di archivio sono fondamentali per qualsiasi tipo

di indagine e possono assumere molteplici forme con contenuti più diversi. La

loro utilità è dovuta non solamente al grado di accuratezza e attendibilità del

loro contenuto, ma anche alla capacità di mettere in discussione altre prove o

stimolare altri approfondimenti. Semplicemente consentono al ricercatore di

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“descrivere in modo oggettivo, sistematico e quantitativo il contenuto manifesto della

comunicazione129” cioè trasformare un contenuto verbale in dato quantitativo.

Attraverso le interviste a risposta aperta o focalizzate oppure tramite

questionario si può confermare o approfondire eventi, stimolare gli informatori

a esporre i loro pareri personali e coinvolgere un ampio campione di soggetti

“scelti in modo da costituire una sezione trasversale rappresentativa della popolazione130”.

Seppur più sensibili agli errori di interpretazione e di condizionamento

risultano tra le fonti più flessibili, ma occorre aver cura della scelta e della

formulazione delle domande, della standardizzazione delle procedure

verificandole in maniera incrociata con altre raccolte di dati.

Con l‟osservazione diretta o partecipante di comportamenti o ambienti si

registrano molteplici variabili in modo flessibile e informale, si scopre la

globalità del soggetto e soprattutto si opera senza vincoli come il tempo, la

strutturazione della relazione, la memoria e la capacità espositiva. Diviene però

indispensabile il riferimento a procedure di campo comuni per ovviare al suo

basso grado di comparabilità, soggettività e attendibilità.

In ultimo le prove fisiche di prodotti materiali, creativi, culturali, tecnologici

rappresentano la manifestazione e il risultato del fenomeno oggetto dello

studio e può essere supportata da contributi fotografici, audio e video.

I dati sono stati raccolti mediante interviste dirette e fonti secondarie quali

giornali, articoli di riviste, documenti interni, relazioni annuali, comunicati

stampa e i siti web delle aziende durante un arco di tempo di oltre quattro mesi.

Col fine di preservarne l‟obiettività e soprattutto la pluralità delle vedute le

129 Berelson B., Content analysis in communication research, Free Press, 1954 130 Bailey K.D., Methods of social research, Free Press, 1978

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interviste sono state rivolte a più persone all‟interno dell‟organizzazione in

differenti ruoli del sistema di corporate governance131.

Inizialmente si sono individuati coloro che detenevano le maggiori

informazioni sul funzionamento dell‟organizzazione o che potessero

influenzarla oppure assumere decisioni riguardo le strategie e i modelli di

business da adottare. Le persone coinvolte detengono infatti ruoli chiave nei

cambiamenti strategici recenti e risiedono nel consiglio di amministrazione

della società altrimenti in posizioni manageriali di vertice. La loro presenza

operativa nel management dell‟impresa è stata determinante per la raccolta di

informazioni utili allo studio sia per il posto ricoperto nell‟organizzazione che

per il peso avuto nei processi di cambiamento.

“Defining the research questions is, probably, the most important step to be taken in a

research study, so you should allow patience and sufficient time for this task. The key is to

understand that research questions have both substance (e.g. What is my study about?) and

form (e.g. Am I asking a “who”, “what”, “where”, “why”, or “how” questions?)132”.

Le interviste si sono susseguite in vari incontri formali e non con una durata

media di due ore e organizzate in modo da lasciare agli intervistati ampio spazio

per parlare della storia, delle caratteristiche nonché del funzionamento del

sistema di governance. Sono state audio registrate e trascritte poi entro la

giornata della riunione133. Il caso studio si è concentrato sulle modalità di

superamento crisi in ottica della continuità aziendale fino al successivo rilancio

e a tal fine i dati acquisiti circa la storia precedente sono serviti a

contestualizzare gli eventi e a interpretare le azioni delle persone coinvolte per

comprendere al meglio il business con le sue peculiarità organizzative. Le

131 Myers M.D., Qualitative research in business and management, Sage Publications, 2009 132 Yin R.K., Case study research. Design and methods, Sage Publications, 2003 133 Bryman A., Bell E., Business research methods, Oxford University Press, 2007

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domande rivolte agli intervistati erano aperte senza nessuna spiegazione

riguardo i costrutti alla base del progetto di ricerca onde evitare possibili

influenze nelle loro risposte. Durante le interviste si sono poste domande di

controllo al fine di verificare l‟esattezza dei dati raccolti e ottenere maggiori

dettagli sugli argomenti trattati. Successivamente invece sono state più puntuali

per capire meglio il ruolo della famiglia proprietaria, la sua interazione con il

business, la composizione e i compiti del consiglio di amministrazione e gli

aspetti specifici di corporate governance.

Le fonti secondarie hanno permesso all‟indagine di ricostruire trasversalmente

le dinamiche strategiche dell‟impresa e i suoi interventi o variazioni nella

struttura di governo con l‟identificazione degli eventi critici e le modalità con

cui si è provveduto alla soluzione. Questo a consentito di analizzare i potenziali

collegamenti tra strategia e governo attraverso una descrizione attenta

dell‟organizzazione.

4. Analisi e discussione del caso.

La scelta dei casi da analizzare è ricaduta sulla Barone Ricasoli e sulla Poggio Le

Volpi sia per la loro longevità aziendale assieme al loro indiscusso rilievo

sociale che per i loro importanti cambiamenti negli assetti proprietari nonché

nelle strategie di business.

La Barone Ricasoli risulta al quarto posto della classifica delle più longeve

aziende rimaste di proprietà della famiglia fondatrice recentemente pubblicata

dalla rivista statunitense Family Business134. La classifica inoltre dimostra che nel

settore vitivinicolo è la più antica impresa a livello nazionale, mentre a livello

134 www.familybusinessmagazine.com

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internazionale seconda solamente a una cantina francese fondata nell‟anno

Mille.

“Secondo gli esperti che hanno lavorato alla classifica, meno di un terzo delle aziende fondate

da una famiglia riescono a essere passate alla seconda generazione, e quindi le 19 imprese

della classifica devono essere considerate come una sorta di eccezione alla regola. Difficile

capire le cause di tali primati, ma forse il segreto sta tutto nella capacità di queste famiglie di

cogliere i cambiamenti e di sapersi adattare a essi.

Da questo punto di vista Barone Ricasoli, oggi condotta da Francesco Ricasoli, è senza

dubbio paradigmatica: la sperimentazione vitivinicola infatti qui è di casa, e l‟enologia

chiantigiana e toscana in genere devono molto a questa azienda che per prima mise a punto

una tecnica di vinificazione che nell‟Ottocento aprì la strada dell‟esportazione ai vini toscani.

La pubblicazione della classifica di Family Business per altro coincide con una ricorrenza

particolarmente importante per la famiglia Ricasoli e per l‟azienda. Nel 2009 cade infatti il

bicentenario della nascita di Bettino Ricasoli, uno dei protagonisti più importanti della storia

italiana del secondo Ottocento e fautore dell‟Unità d‟Italia. In campo vitivinicolo, come è

risaputo, a Bettino Ricasoli si devono invece numerose sperimentazioni che portarono alla

famosa formula del Chianti che è stata alla base della nascita dei disciplinari di produzione

del vino più importante della Toscana.

Questo bicentenario non passerà inosservato, e molte sono le iniziative che l‟azienda ha in

corso di preparazione, sia in campo storico-culturale che più prettamente vitivinicolo. Perché se

è vero che i primati devono essere innanzi tutto mantenuti, è altrettanto vero che vanno anche

festeggiati135”.

Ad eccezione di un breve periodo in cui la Barone Ricasoli fu vittima del

controllo di multinazionali straniere per il resto la proprietà di Brolio è stata

condotta dalla famiglia e ingenti sono stati nel corso degli anni gli investimenti

135 www.corrieredelvino.it

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per il recupero della territorialità e dei vitigni autoctoni oltre a quelli dedicati

alle aeree di vinificazione come le cantine di affinamento. L‟obiettivo dopo il

riacquisto dell‟Azienda da parte dei Ricasoli è stato quello di ricostruire le

caratteristiche di ogni singolo vigneto secondo le antiche vocazioni

perseguendo un miglioramento continuo dei vini già intrapreso nell‟Ottocento

in ottica di modernità e di attualità.

La Poggio Le Volpi invece fondata negli anni Novanta da una brillante

intuizione di Felice Mergè affonda le sue radici nel lontano 1920 quando il

nonno Mario inizia la sua attività lavorativa nella viticoltura. Rappresenta

un‟immagine di altissimo livello nella qualità e nella raffinatezza dei suoi vini

rinnovando la realtà della Femar Vini del padre Armando costituita negli anni

Settanta.

E‟ stata contrapposta alla Barone Ricasoli per le diversità soprattutto

dimensionali e strutturali che la caratterizzano oltre al rifiuto per l‟ingerenza

manageriale esterna. Infatti la proprietà e il controllo sono sempre rimasti in

mano alla famiglia che ha saputo promuovere un dinamismo strategico con

conseguenti rinnovamenti anche senza l‟influenza di membri esterni a essa.

La discussione verterà sulle politiche di governance adottate da entrambe

identificando le relative opportunità e minacce per la continuità aziendale, ma

in particolar modo l‟importanza del ruolo della risorsa famiglia nelle imprese

tradizionali di non facile sostituibilità, dimostrando come l‟influenza di un

management esterno con logiche di governo differenti rispetto a quelle familiari

possa indebolire l‟azienda se non addirittura minacciare la sua stessa

sopravvivenza. In ultimo e non per importanza, come il nome della famiglia

unito alla sua reputazione e al suo rapporto con il territorio locale possa

agevolare il processo di acquisizione delle risorse divenendo fonte di vantaggio

competitivo.

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Capitolo Sesto

IL CASO BARONE RICASOLI S.p.A

SOMMARIO: 1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio; 2. Il governo societario e

le fonti di finanziamento; 3. Il processo di crescita e la continuità aziendale; 4. Prime

considerazioni.

1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio.

La Barone Ricasoli è una delle più antiche case vinicole del mondo e la più

antica d‟Italia. Fu fondata nel 1141 dalla famiglia nobile dei Ricasoli paladini nel

medioevo della Firenze ghibellina contro la supremazia guelfa Siena nel

territorio toscano. Il nome si lega al territorio Chianti nel quale la famiglia

possiede circa mille ettari di terra di cui 250 destinati a vigneto e il Castello di

Brolio sito a Gaiole e a un vino il Chianti Classico.

Il Barone Bettino Ricasoli, detto Barone di Ferro, è il capostipite della famiglia

e colui che scrisse il disciplinare del vino nel 1841 in cui vengono definite le

proporzioni delle miscele di vino da utilizzare sia per ottenerne uno da

invecchiamento che uno da consumarsi giovane136. La sua lungimiranza e la sua

cultura fecero storia nel risorgimento italiano in qualità di uomo di stato nel

136 “[…] Mi confermai nei risultati ottenuti già nelle prime esperienze cioè che il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l‟amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli nulla del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all‟invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all‟uso della tavola quotidiana”, Cit. Barone Bettino Ricasoli, Lettera indirizzata al Prof. Cesare Studiati dell‟Università di Pisa, 1872

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regno d‟Italia, nel quale fu nominato due volte primo ministro ricoprendo

importanti dicasteri come quello degli esteri, della guerra e degli interni, e

sostenitore dell‟adesione della Toscana al Regno di Sardegna. In campo

enologico si distinse per aver anticipato il rinnovamento agronomico e culturale

alla base del fenomeno dei Super Tuscans. Fu membro dell‟Accademia dei

Georgofili di Firenze, studioso di scienze fisiche e naturali e intenditore della

produzione dei grandi vini rossi francesi attraverso i quali maturò la

convinzione di mutare le prassi produttive toscane esistenti. Per tale motivo la

sua impostazione prevedeva la ricerca scientifica delle caratteristiche del

territorio e delle sue potenzialità, nonché la selezione dei vitigni migliori con

l‟affinamento delle tecniche di vinificazione come continua analisi della qualità

e dell‟eccellenza. Sperimentò assieme al Prof. Cesare Studiati dell‟Università di

Pisa le caratteristiche e le peculiarità dei terreni con la selezione successiva dei

vitigni, sia autoctoni che importati dalla Francia, per scoprire i più adatti alla

coltivazione. Il vino prodotto veniva venduto in bottiglia e non sfuso come

vigeva tra gli altri produttori del tempo e acquistò notorietà a livello mondiale

non appena fu accolto sulle tavole dei sovrani e dei capi di stato dell‟epoca. La

sua importanza scaturiva non solo dalla sua qualità, ma anche e soprattutto dal

prestigio della persona che lo rappresentava137.

Le generazioni che successero dopo la morte del Barone poterono godere di un

vantaggio competitivo che egli stesso aveva creato, ma la forte

immobilizzazione del patrimonio indusse alla fine degli anni 50‟ alla

monetizzazione di una parte con lo scopo ulteriore di consolidare rapporti con

un partner che potesse distribuire il prodotto su larga scala. E‟ proprio nel 1958

che i noti e prestigiosi marchi della produzione furono conferiti in una società

di distribuzione la cui maggioranza fu detenuta da una multinazionale

137 Spadoli G., Ricasoli e il suo tempo, Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXI

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americana, la Joseph Seagram and Sons inc., leader nel settore degli spiriti

alcolici, mentre la proprietà dei terreni e del Castello rimasero nelle mani della

famiglia. Ma la penetrazione commerciale prestava maggior attenzione ai

volumi incidendo negativamente sulla qualità e l‟innovazione del prodotto. La

multinazionale investì con il tempo sulle strutture produttive con la

realizzazione di una cantina all‟avanguardia a Gaiole che però smentì le

aspettative della famiglia la quale non partecipando ai successivi aumenti di

capitale si vide progressivamente ridurre la propria quota partecipativa nella

società. Solo nel 1986 la Seagram decise di cedere la società a una finanziaria

inglese di cui faceva parte la famiglia Ricasoli e il fondo britannico Candover

per focalizzarsi sui business a maggior rendimento rappresentati dagli spirits,

dagli spumanti e dagli champagne. In quell‟occasione la famiglia del Barone

riuscì a incrementare la sua quota di partecipazione. Il fondo però guidato dal

chiaro intento speculativo impose in qualità di socio di maggioranza una nuova

cessione. Nel 1990 subentrò il gruppo australiano Thomas Hardy, specializzato

nella produzione e distribuzione di birra e bevande alcoliche, che a discapito

della redditività la fece crescere significativamente in termini di dimensione. La

Hardy non riuscì a sfruttare le potenzialità commerciali insite nei prestigiosi

marchi della famiglia Ricasoli e nel 1993 raggiunse un accordo con la società

italiana Moccia per la cessione della sua intera partecipazione. Ciò accade prima

dell‟approvazione del bilancio dell‟esercizio 1992 quando la famiglia Ricasoli

disponendo del diritto di prelazione già si era organizzata per un eventuale

riacquisto delle quote societarie138.

Il giovane Barone Francesco Ricasoli Ricolfi esercitò il 3 Aprile 1993 la

prelazione dell‟intero capitale attraverso il sostegno della Cassa di Risparmio di

Firenze che ne garantì il pagamento. Lasciò la sua attività di fotografo per

138 Anselmi L., Aziende familiari di successo in Toscana, Franco Angeli, 1999

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dedicarsi assieme a un gruppo di persone tra cui il Marchese Filippo Mazzei,

appartenente alla nobiltà toscana e proprietario del Castello di Fonterutoli, al

compimento dell‟operazione. L‟esperienza di Mazzei e della sua famiglia

impegnata nel settore del vino da molte generazioni unite alle sue competenze

in ambito finanziario furono essenziali per ottenere il supporto della Cassa di

Risparmio di Firenze in cui il padre fu presidente. Francesco d'altronde riuscì a

pretendere la gestione dell‟azienda agricola e l‟esercizio dei pieni poteri

derivanti, ma non gli fu permesso di mettere il patrimonio familiare a garanzia

dei finanziamenti bancari. La compagine sociale era formata dal Barone

Francesco Ricasoli che ne deteneva la maggioranza assoluta, dal Marchese

Filippo Mazzei e da un finanziatore svizzero. Il consiglio di amministrazione

era composto da tutti e tre i soci, mentre le deleghe operative erano state

affidate a Francesco Ricasoli e a Filippo Mazzei. Si decise di mettere in

liquidazione la società vista la gravità della situazione in cui versava richiedendo

al tribunale di Firenze la procedura del concordato preventivo con il

trasferimento dell‟attività operativa in una di nuova costituzione. Il business

model precedente era totalmente da rivisitare dati i risultati fallimentari generati

e così fu intrapresa una strategia di focalizzazione, già sperimentata nell‟azienda

di famiglia dei Mazzei, al fine di penetrare nel mercato di nicchia dei vini d‟alta

gamma. La società con l‟ausilio esperto dell‟enologo Carlo Ferrini investì subito

in vigna con il ricambio anno dopo anno delle viti esistenti per via della loro

pessima condizione causata dalla vecchiaia e dalla scarsa manutenzione

effettuata precedentemente. Non solo, si lavorò contemporaneamente

all‟affinamento delle tecniche produttive e alla ricerca di standard qualitativi

sempre più elevati con la reintroduzione di molte fasi manuali che

consentivano la selezione dei prodotti migliori evitando che i processi

meccanici potessero influire sulla qualità. Per entrare rapidamente nel ristretto

mondo dei produttori Super Tuscans si affiancò alla produzione del Chianti

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Classico quella di vino di alta qualità, noto come un blanded di sangiovese e

merlot, con l‟ottenimento dei primi riconoscimenti nazionali e internazionali.

L‟ambizione di far diventare il chianti classico Barone Ricasoli non inferiore ai

celebrati Super Tuscans portò a riprendere gli studi iniziati cinquant‟anni prima

e finalizzati all‟individuazione dei cloni di sangiovese migliori rispetto ai vari

poderi di proprietà. Il progetto Castello di Brolio fece ottenere da una delle

principali riviste del settore nel 2000 il premio come migliore cantina dell‟anno.

Per giungere a tale risultato si procedette al cambiamento radicale del personale

legato a un modello di business differente con l‟introduzione in azienda di un

corpo dirigenziale giovane, capace e competente. Ne sono esempi l‟allievo di

Carlo Ferrini, Massimiliano Biagi, che da neolaureato si trovò a ricoprire il

ruolo di responsabile agronomo della fattoria oppure Cristina Capitani che da

impiegata nell‟amministrazione nella passata gestione assunse la responsabilità

della funzione. Nel 2002 Francesco Ricasoli decise di riunire i marchi e la

distribuzione del vino assieme ai terreni di proprietà in un‟unica società dopo la

conclusione della procedura di concordato preventivo139.

L‟attuale consiglio di amministrazione consta oltre ai tre soci fondatori anche

del Dott. Carlo Ferrini, dell‟Avv. Massimiliano Colacicchi e del Prof. Filippo

Donati. Tutte le iniziative sono rivolte al consolidamento dei risultati fin qui

raggiunti con il rafforzamento della funzione commerciale e l‟attività di ricerca

per la selezione clonale condotta da Massimiliano Biagi. Oggi la Barone

Ricasoli credendo fortemente nel suo territorio quale risorsa più grande e

importante dell‟azienda occupa circa 110 persone con una produzione

complessiva di 3,6 milioni di litri e un ricavo stimato di oltre 16 milioni di euro.

139 Caratteri di imprenditorialità e problematiche di governance nell‟azienda familiare. Il caso Barone Ricasoli S.p.A., Working Papers, LUISS Guido Carli di Roma, 2010

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2. Il governo societario e le fonti di finanziamento.

La longevità aziendale unita all‟indiscusso rilievo sociale della famiglia Ricasoli

costituiscono i vettori essenziali del cambiamento dell‟assetto proprietario e

delle strategie di business che hanno caratterizzato l‟azienda dopo la seconda

metà del Novecento. Il nome e la reputazione d‟altra parte assumono

particolare rilievo nelle family business e soprattutto per le aziende vitivinicole

toscane possedute e condotte generalmente da famiglie nobili alcune delle

quali, tra cui i Ricasoli, ottennero l‟investitura in epoca feudale140.

Il prestigio legato al nome e amplificato dal blasone nobiliare posseduto hanno

inciso profondamente agevolandone il riacquisto dell‟azienda da parte della

famiglia. Tali elementi assieme al network di relazioni sociali possedute dal

Barone Francesco Ricasoli hanno facilitato il reperimento di risorse critiche

fondamentali per la buona riuscita del suo percorso strategico di crescita

insidiato all‟inizio da bassa profittabilità associata alla necessità di ingenti

nonché sostanziali investimenti. Se così non fosse stato l‟unica via percorribile

era rappresentata dalla possibilità di vendere ciò che rimaneva dell‟azienda di

famiglia e cioè la Fattoria di Brolio. La riuscita del progetto fu chiaramente

sostenuta da due importanti istituti di credito che ne favorirono l‟esercizio del

diritto di opzione spettante per patto parasociale e dalle relazioni o contatti

personali nel mondo della finanza e del settore vitivinicolo che le due famiglie, i

Ricasoli e i Mazzei, vantavano. Questi sono state le condizioni alla base del

processo di riacquisto e di rinnovamento strategico della Barone Ricasoli con il

forte legame esistente tra l‟accesso a risorse finanziari e il capitale sociale della

famiglia. Ulteriori risorse finanziarie furono reperite attraverso l‟inserimento

nella compagine sociale di un terzo socio, Bruno Widmer, amico di Filippo

140 Bates T., Entrepreneur factors inputs and small business longevity, Working papers 89-4, Center for Economic Studies, 1989

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Mazzei e possidente della tenuta di Brancaia che ne garantì il riposizionamento

dell‟azienda per la sua modernizzazione. Il capitale sociale della famiglia può

dunque agevolare la ricerca di risorse intangibili quali la professionalità e le

competenze anche quando vi è da parte dei familiari la negazione di utilizzare il

patrimonio di famiglia a garanzia del compimento del progetto come successe a

Francesco Ricasoli.

Il successo di un‟azienda è strettamente legato all‟abilità di creare un network

di relazioni utili nel reperimento di risorse e competenze da parte

dell‟imprenditore. Per di più dipende dalla capacità dell‟azienda di far proprie le

conoscenze e le competenze acquisite e sviluppate all‟esterno (absorptive capacity).

In questo senso il consiglio di amministrazione può rivelarsi determinante nel

rapporto esistente tra tale capacità e la corporate governance come fattore

stimolante di nuove conoscenze e competenze141.

Alla fine del processo di riacquisto della proprietà dell‟azienda i soci optarono

per un radicale cambiamento degli organi di governo e del management

rivisitando l‟intera struttura organizzativa. Individuarono i ruoli chiave da

assegnare a persone di fiducia e in possesso di capacità e competenze operative.

Da qui emerse il forte legame esistente con la comunità locale come fonte di

entusiasmo e di soddisfazione per ciò che essa ha rappresentato per il territorio.

La maggior parte dei dipendenti dell‟azienda infatti vivono e/o sono nati a

Gaiole in Chianti e per loro lavorare per la Barone Ricasoli è motivo di

orgoglio. Il coinvolgimento del Marchese Mazzei ha consentito la formazione

di un team in possesso di competenze critiche che hanno supportato il

progetto per una sorta di obbligazione morale nei confronti di una famiglia così

importante e radicata nella storia del Chianti come quella dei Ricasoli. Come

141 Zahra S., George G., Absorptive capacity. Reconceptualization and extension, Academy of Management Review, 2002

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affermato dallo stesso Mazzei “La Barone Ricasoli non è semplicemente un‟azienda ma

è l‟azienda da cui tutto è iniziato. La Barone Ricasoli è stata la bandiera del Chianti nel

mondo”. E‟ grazie alle relazioni personali delle famiglie Ricasoli e Mazzei che essi

riuscirono a intrattenere i rapporti con clienti e fornitori dopo che per decenni

il controllo da parte di multinazionali estere ne aveva compromesso la

competitività con bassi livelli qualitativi, una scarsa redditività complessiva e un

elevato grado di rischio percepito dagli stakeholders. Il consiglio di

amministrazione composto da professionisti esperti anche esterni alla realtà

familiare può comportare se ben gestito con la formazione di competenze

variegate il raggiungimento di posizioni di vantaggio competitivo142.

Per sviluppare solide relazioni occorre che tra le parti vi sia una piena

condivisione di intenti e valori che attraverso una visione e un sistema comune

può ovviare il rischio di comportamenti opportunistici. In azienda ciò accresce

il livello di fiducia innescando lo sviluppo di un clima organizzativo più

consono a stimolare i processi e i percorsi di rinnovamento strategico143.

Nel nostro caso la presenza di una proprietà stabile con valori e obiettivi

condivisi è stata decisiva per la formazione di un clima organizzativo capace di

rendere possibile il progetto del passaggio della proprietà nelle mani della

famiglia Ricasoli. Ciò ha potuto valorizzare gli investimenti delle proprietà

precedenti al fine della creazione di valore e del raggiungimento delle posizioni

di vantaggio competitivo come si evince dalle parole di Filippo Mazzei che

definisce l‟azienda Barone Ricasoli “un‟azienda senza prodotti a differenza delle altre

realtà del Chianti dove ci sono i prodotti ma non l‟azienda”. Attraverso il plusvalore

ottenuto rispetto ai precedenti proprietari e lo sfruttamento delle risorse a

142 Zahra S., Filatotchev I., Wright M., How do threshold firms sustain corporate entrepreneurship? The role of boards and absorptive capacity, Journal of Business Venturing, 2009 143 Dyer J.H., Singh H., The relational view. Cooperative strategy and sources of interorganizational competitive advantage, Academy of Management Review, 1998

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disposizione dell‟azienda il progetto imprenditoriale potette servirsi di un

nuovo business model associato alle prospettive di sviluppo e crescita piuttosto

che limitato al marchio e alla redditività. Inizialmente però in conseguenza di

un‟analisi contabile si dovette aprire una procedura di concordato preventivo

che si concluse con un accordo sindacale e la successiva sostituzione della

dirigenza. Il forte senso di coinvolgimento che la Barone Ricasoli ha saputo

instaurare tra il personale e il progetto imprenditoriale in termini di chiarezza e

coerenza sono alla base del suo successo.

Le aziende familiari dispongono di una particolare risorsa nota con il nome di

familiness strettamente legata alla variabile famiglia, alla sua storia e al suo

background di competenze e conoscenze. Di per sé ciò non è condizione

sufficiente per garantirle il raggiungimento di posizioni di vantaggio

competitivo, ma occorre che le risorse siano combinate tra loro attraverso

specifici legami ottenuti e sviluppati con la valorizzazione del capitale umano.

L‟esperienza maturata dalla famiglia nel corso del tempo e un sistema di

conoscenze tramandate sono alla base del vantaggio competitivo nel processo

di riconfigurazione delle risorse144.

Il progetto di riportare l‟azienda Barone Ricasoli agli antichi splendori poteva

contare sull‟esperienza tramandata dal Barone Bettino che Francesco Ricasoli

ha saputo sintetizzare e riprodurre nel suo business model. Infatti in passato

l‟obiettivo del Barone di ferro era la produzione di un vino di elevata qualità

mediante la sperimentazione scientifica delle caratteristiche delle viti e del loro

adattamento ai diversi poderi di proprietà che il suo successore ha saputo

rivisitare facendo del territorio di Brolio il carattere distintivo della sua strategia

di business. La valorizzazione della risorsa territorio, critica e inimitabile, ha

144 Habbershon T., Williams M., A resource-based framework for assessing the strategic advantages of family firms, Family Business Review, 1999

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riconfigurato il modello su modesti volumi e su di un prodotto di alta qualità da

inserire nel mercato a prezzi elevati. L‟azienda Barone Ricasoli infatti è l‟unica

azienda a possedere nel Chianti un territorio così vasto e diversificato che può

portare a un vantaggio competitivo durevole se adeguatamente gestito145. Come

nel passato Francesco Ricasoli seppe avviare un processo mirato allo sviluppo e

alla valorizzazione delle risorse presenti in azienda (resource enriching), investendo

unicamente nel Chianti Classico per il suo miglioramento continuo piuttosto

che perseguire strategie di diversificazione.

I valori e la cultura della famiglia sono importanti per il successo di una

strategia imprenditoriale in particolare nel settore vitivinicolo dove le tradizioni

e il radicamento territoriale sono considerate risorse critiche. Al fine di

raggiungere posizioni di equilibrio economico durevoli le aziende familiari che

operano in settori così tradizionali devono valorizzare il proprio nome e la

propria reputazione attraverso l‟ottimizzazione delle risorse distintive.

Solamente in questo modo la famiglia o i membri della stessa possono essere

considerati veri e propri asset per l‟azienda.

3. Il processo di crescita e la continuità aziendale.

La Barone Ricasoli fu vittima di chiari intenti speculativi sia con il suo acquisto

nel 1986 da parte di una finanziaria inglese, di cui oltre alla famiglia facevano

parte il fondo britannico Candover e un imprenditore Roger Lamberth (ex

responsabile della divisione vini di Seagram), che con il subentro nel 1990 del gruppo

australiano Thomas Hardy. Infatti il bilancio dell‟esercizio 1989 chiudeva con

ricavi per 24 miliardi di lire, ma con un risultato netto negativo di 1,5 miliardi di

lire in seguito a una strategia rivolta esclusivamente ai volumi di vendita e alla 145 Barney J.B., Firm resources and sustained competitive advantage, Journal of Management, 1991

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crescita in termini dimensionali, mentre al momento della cessione il bilancio

dell‟esercizio 1985 chiudeva con una produzione di circa 12 milioni di bottiglie

e ricavi per poco meno di 17 miliardi di lire. Neanche i successivi proprietari

riuscirono a cogliere appieno le potenzialità dei prestigiosi marchi della famiglia

Ricasoli continuando a preferire una crescita dimensionale significativa a

discapito della redditività cosicché i ricavi raggiunsero i 26 miliardi di lire nel

1990 e i 27,6 miliardi nel 1991, mentre la redditività continuò a risultare

negativa.

In un contesto competitivo fortemente articolato e instabile le forme

organizzative tendono progressivamente a divenire più flessibili e partecipative

con il chiaro intento di manifestare la capacità reattiva dell‟impresa. Come

conseguenza anche gli assetti istituzionali tendono a modificarsi e si evolve il

rapporto tra la proprietà e il management attraverso la ricerca di organizzazioni

più elastiche rispetto alla contrapposizione netta tra i soggetti detentori del

business risk e quelli che concorrono alla determinazione degli obiettivi od

orientamenti dell‟impresa pur non assumendone il rischio146.

La distinzione tra proprietà e management è fatta risalire ai primi sviluppi

dell‟industria capitalistica, dove con la rivoluzione industriale alcune imprese

abbandonarono i sistemi di produzione e vendita locale per affidarsi

all‟iniziativa e all‟organizzazione dei capitalisti. Con la diffusione

dell‟industrializzazione, l‟aumento delle dimensioni, la dispersione del capitale

nonché l‟introduzione di un management professionale venne a delinearsi una

prima demarcazione tra finanza e direzione. L‟utilizzo dello strumento giuridico

della società per azioni ha consentito poi di concentrare la ricchezza di numerosi

146 Rullani E., Pilotti L., L‟impresa post manageriale, Egea, 1991

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individui ma il cui controllo è esercitato da un ristretto gruppo di soggetti,

superando la tradizionale concezione del diritto di proprietà147.

Si afferma così il principio di separazione e non coincidenza tra la proprietà e la

direzione risultando massima nel caso in cui vi è un frazionamento cospicuo

delle azioni tale da rendere impossibile qualsiasi forma aggregativa tra gli

azionisti. La complessità del rapporto tra la proprietà e il management necessita

dell‟adozione di forme di incentivo o di modalità di coinvolgimento della

direzione nel capitale di rischio con un‟intensa interdipendenza di base favorita

dalla condivisione di valori, interessi e obiettivi per una collaborazione

autentica a riguardo della crescita aziendale. Ciò non deve essere inteso quale

criterio per bilanciare i diversi poteri contrattuali, ma un‟opportunità da

valorizzare mediante il contributo di alcune risorse chiave dell‟azienda per un

modello imprenditoriale innovativo e di successo148.

La teoria di Grossmann, Hart e Moore (GHM)149 tenta di dimostrare come

l‟esercizio della proprietà e del controllo debbano coincidere al fine di rendere

l‟impresa efficiente. Infatti l‟incompletezza dei contratti, l‟eterogeneità dei

soggetti e il ruolo cardine dell‟innovazione con il contributo degli investimenti

in capitale umano correlati tendono a non attribuire il giusto peso ai soggetti il

cui grado di sostituibilità è minimo e il cui contributo in termini di creazione di

valore è massimo150. In tal senso la teoria afferma come occorra garantire un

147 Bearle A.A., Means G.C., Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, 1966 148 Barca F., Allocazione e riallocazione della proprietà e del controllo delle imprese. Ostacoli, intermediari e regole, Banca d‟Italia, 1992 149 Hart O., Moore J., Property rights and the nature of the firm, Journal of Political Economy, 1990 Grossman S.J., Hart O., The costs and benefits of ownership. A theory of vertical integration, Journal of Political Economy, 1986 150 I contratti sono generalmente incompleti in quanto non è possibile descrivere ex-ante in un contratto univocamente interpretabile da terzi tutti gli eventi futuri e le azioni da compiere per far fronte a ciascuna eventualità.

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diritto di controllo al proprietario sul proprio investimento al fine di correggere

l‟incompletezza dei contratti posti in essere ed evitare comportamenti devianti.

Al contrario se gli agenti non vantano un diritto di proprietà sono poco

incentivati a investire in capitale di rischio e in risorse umane rispetto ai soggetti

le cui azioni hanno un maggior effetto sul valore del bene151.

Un‟altra teoria contrapposta alla tradizionale visione dualistica del capitalismo

manageriale occidentale è proposta da Aoki152 che sostiene come il rischio

d‟impresa venga supportato sia dall‟azionariato che dai suoi dipendenti

considerati risorse firm specific in quanto entrambi interessati alla crescita della

stessa. Il suo sviluppo comporta per il dipendente prospettive di carriera,

promozioni e incremento della remunerazione pertanto è motivato da

aspettative sia di breve periodo, date dalla retribuzione periodica, sia di lungo

periodo, date da meccanismi di capital gain153.

Da quanto sopra riportato si evince come risulti necessario ricercare nuove

forme di organizzazione degli assetti istituzionali dove i portatori di capitale

sociale non siano esclusi dall‟esercizio del potere. Sono esempi di modalità di

comunicazione e di collaborazione tra i vari orientamenti delle diverse parti

coinvolte nella determinazione delle scelte strategiche di impresa la crescente

adozione di meccanismi di agenzia, l‟aumentato interesse verso le minoranze, le

Il concetto di eterogeneità dei soggetti si rifà alle conoscenze che possono essere profuse dagli individui e che vengono utilizzate nel corso del processo produttivo ma che naturalmente non possono essere trasmesse come istruzioni. Infine la teoria fa riferimento all‟impegno che ogni soggetto può apportare al fine di contribuire all‟innovazione sottolineando che tale risulta non prevedibile e definibile. 151 Barca F., I modelli proprietari della grande impresa, Convegno di Studi di Economia e Politica Industriale, 1993 152 Aoki M., Toward a comparative institutional analysis, The MIT Press, 2001 153 Podestà S., Neomanagerialismo e teoria del valore. Riflessioni su Aoki, Finanza, Marketing e Produzione, 1993

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diffuse operazioni di management buy-out e la relativa produzione di norme

nella regolamentazione dei rapporti di governo154.

Di fondamentale rilevanza è l‟analisi delle diverse prospettive della proprietà e

del management che determinano le differenti influenze esercitate sui rispettivi

sistemi di utilità e sui relativi comportamenti. La loro attitudine nei confronti

del rischio costituisce un ulteriore elemento di differenziazione in quanto nelle

aziende manageriali si tende ad assumere rischi minori per la ricerca di

sicurezza e la salvaguardia del posto di lavoro rispetto a quelle controllate dalla

proprietà il cui interesse va oltre la massimizzazione del rendimento

dell‟investimento. Tale divergenza può essere estesa anche alle differenti

preferenze sulle fonti di finanziamento, sui criteri di valutazione degli

investimenti e sugli indicatori finanziari della gestione oppure alla diversità di

caratteristiche personali e attitudinali155. “Un dirigente è un tipo di persona diverso

dall‟imprenditore, con ideali diversi e con diversi valori personali156” da ricondurre al

clima e alla cultura dell‟impresa attraverso modalità di comunicazione e di

collaborazione dirette ad accrescerne il valore con la creazione di un‟area di

interesse comune che assicuri la sopravvivenza aziendale nel lungo termine

basata su caratteri di razionalità, larga accettazione, stimolazione e

misurabilità157.

Resta tuttavia da considerare che l‟attuazione di meccanismi di partecipazione

comporta la modifica di alcune peculiarità tradizionali dei rispettivi ruoli e

l‟alterazione delle regole su cui sono impostati i reciproci rapporti. Occorre

analizzare l‟impatto che simili sistemi possono esercitare sulla proprietà e il

154 Schillaci C.E., Management e proprietà, Giappichelli Editore, 1997 155 Donaldson G., Financial goals. Management vs. Stockholders, Harvard Business Review, 1963 156 Marris R., La teoria economica del capitalismo manageriale, a cura di Nuti D.M., Einaudi, 1972 157 Guatri L., Massari M., La diffusione del valore, Egea, 1992

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management nonché riflettere su quale possa essere il loro corrispondente

interesse. Ciò dipende soprattutto dalla percezione dei soggetti coinvolti, dai

contesti in cui si applicano le formule di partecipazione della direzione, dalle

modalità di progettazione e dalla loro successiva implementazione.

4. Prime considerazioni.

Il caso sopra analizzato costituisce un‟importante testimonianza di come la

cultura della famiglia assieme alle sue tradizioni e al suo radicamento territoriale

locale siano delle risorse critiche per un business model di successo

specialmente in un settore quale quello vitivinicolo caratterizzato da un‟ampia

presenza di aziende familiari con un elevato grado di longevità. In questa analisi

sono state evidenziate le relazioni tra il vantaggio competitivo e il business

model adottato con la finalità di approfondire il ruolo della famiglia come

risorsa critica per l‟azienda supportando la teoria secondo cui alcune realtà

familiari o membri delle stesse possono essere considerati dei veri e propri

asset dell‟impresa.

In generale per le aziende familiari operanti in settori tradizionali i fattori

determinanti che sono in grado di assicurare il raggiungimento di posizioni di

equilibrio economico durevoli nonché di influenzarne il loro livello evolutivo

vengono rappresentati dal nome e dalla reputazione della famiglia.

Riguardo alla Famiglia Ricasoli ciò sembra aver nei fatti agevolato il processo di

riacquisto della azienda di famiglia con il network di relazioni sociali detenute

dal Barone Francesco che ha consentito l‟accesso a risorse critiche quali

capacità, conoscenze e competenze necessarie per la riuscita del suo percorso

strategico. In tal senso il nome e la reputazione della famiglia hanno potuto

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agevolare l‟attrattività di risorse intangibili come la professionalità e il

reperimento di finanziatori terzi per garantirne il riposizionamento strategico.

Il family factor può dunque agevolare il processo di acquisizione delle risorse

sia finanziarie che umane e di conseguenza essere fonte di vantaggio

competitivo e influenzare il grado di attrattività di competenze all‟interno del

consiglio di amministrazione a sua volta determinante per il supporto alla

strategia di riconfigurazione delle stesse.

La storia della famiglia Ricasoli unita al suo radicamento territoriale con le sue

continue, sistematiche e sinergiche interazioni con il sistema azienda hanno

determinato una reale differenza tra la gestione a carattere familiare e quella

manageriale propria delle multinazionali che si sono susseguite. La familiness

intesa come l‟insieme di risorse idiosincratiche che esistono in virtù del

coinvolgimento in azienda della famiglia rappresenta la principale variabile per

la continuità aziendale e si evolve tramite lo svolgersi dell‟attività di impresa

attraverso l‟arricchimento, la trasformazione o la rivitalizzazione degli asset

intangibili.

Il ruolo della famiglia nella creazione del valore può essere ulteriormente

sviluppato e analizzato sia da un punto di vista statico in termini di

composizione del capitale sociale mediante lo studio del capitale strutturale,

relazionale e cognitivo, sia da una prospettiva dinamica in termini di processo

di sviluppo di regole o valori condivisi per la costruzione di una gestione

aziendale coesa attraverso lo svolgimento di un‟indagine accurata sulla storia

della famiglia158. E‟ dalla storia familiare costante dinamica e in più casuale che

discende la variabile nome o reputazione della famiglia legata all‟aspetto più

statico del fenomeno ossia all‟analisi della componente strutturale e relazionale

158 Adler P., Kwon S., Social capital. Prospects for a new concept, Academy of Management Review, 2002

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del capitale sociale che rappresenta un elemento valutativo dell‟affidabilità

oppure della rispettabilità dell‟azienda. Mentre il forte radicamento territoriale

si rivela importante in riferimento alle aziende del settore vitivinicolo159.

Decenni di controllo da parte di multinazionali estere avevano minato la

competitività aziendale costringendo la produzione a bassi livelli qualitativi con

una redditività complessivamente scarsa che hanno elevato il grado di

rischiosità percepito dai diversi stakeholders, ma attraverso una vision comune

con un sistema condiviso di valori e la presenza di una proprietà stabile e attiva

nella vita dell‟azienda si è diminuito il rischio di comportamenti opportunistici.

Questa è stata la variabile decisiva di questo progetto imprenditoriale e di un

clima organizzativo vincente atto a valorizzare gli ingenti investimenti in beni

strumentali, informativi e gestionali promossi dalle precedenti proprietà per la

creazione di valore e il raggiungimento di posizioni di vantaggio competitivo160.

Quanto osservato consente di evidenziare come i valori di fondo della famiglia

e la capacità di presidio degli stessi debba tener conto di una cultura comune

diffusa indispensabile per superare le divergenze al suo interno per giungere a

scelte coerenti con le esigenze aziendali. Occorre perciò formalizzare i valori in

un‟ottica di condivisione degli stessi concretizzandoli in regole, ma soprattutto

disporre delle adeguate competenze di contenuti e di processo sia all‟interno

della famiglia che tra terzi eventuali cui si scelga di far ricorso161.

159 Bourdieu P., The forms of capital, in a cura di Richardson J., Handbook of theory and research for the sociology of education, Greenwood, 1986 160 Barber B., The logic and limits of trust, Rutgers University Press, 1983 161 Tomaselli S., Il patto di famiglia, Giuffrè Editore, 2006

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Capitolo Settimo

IL CASO POGGIO LE VOLPI S.R.L.

SOMMARIO: 1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio; 2. Il governo societario e

le fonti di finanziamento; 3. Il processo di crescita e la continuità aziendale; 4. Prime

considerazioni.

1. Il profilo aziendale e il legame con il territorio.

La Poggio Le Volpi affonda le sue radici là dove si incontrano i confini di

Frascati, da Monte Porzio Catone a l‟Agro Romano, su di una luminosa collina

dove nel crinale sud orientale è situata l‟Azienda Femar Vini, fondata negli anni

Settanta da Armando Mergè nel solco della secolare tradizione di famiglia.

La Femar Vini possiede circa 40 ettari di vigneti e può contare sulle uve e sui

vini conferiti dalle aziende associate che le garantiscono una diversificazione

della gamma produttiva da presentare poi alla propria clientela. La cantina nei

suoi aspetti più tecnici si sviluppa su circa 6.000 metri quadrati e consta di due

unità operative, una attrezzata di contenitori Inox per la vinificazione e lo

stoccaggio con ampi spazi e riguardi alla tecnologia del freddo, compresa una

modernissima linea di imbottigliamento e un sofisticato laboratorio di analisi,

l‟altra destinata a ospitare un‟area tufacea sotterranea sperimentale contenente

circa 800 barriques con settori riservati alle grandi botti coniche di rovere di

Slavonia per i vini rossi e per i vini bianchi di particolare struttura. L‟azienda in

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tal modo ha raccolto e vinto la sfida di coniugare in un lungimirante e unico

progetto le esigenze produttive con la tecnologia più avanzata162.

Il figlio di Armando, Felice Mergè, dopo aver profondamente osservato e

studiato le realtà vitivinicole nazionali e internazionali più interessanti, ha

saputo imprimere il proprio marchio attraverso la sperimentazione di nuovi e

rivoluzionari processi di vinificazione con l‟affinamento del prodotto fino al

raggiungimento degli attuali livelli qualitativi dove tecnologie e impianti

all‟avanguardia sono al servizio di una grande tradizione enologica. Rinnovata con

una filosofia basata sulla ricerca della qualità più estrema, l'Azienda nel giro di un decennio

ha raggiunto traguardi decisamente prestigiosi, con la coscienza di vivere e operare in un

territorio che ripaga gli sforzi di chi lavora con serietà163.

Il quarantenne enologo rappresenta la terza generazione della famiglia che

trova in Mario Mergè il capostipite, il quale nel 1920 inizia la sua attività

lavorativa impegnandosi principalmente nella viticoltura e nella olivicoltura

oltre che nel commercio dei suoi prodotti. Egli trasmise le sue esperienze di

vita e di lavoro alla seconda generazione che furono determinanti quando nel

1975 tre dei suoi nove figli (Armando, Pietro e Luigi) fondarono la Vini Mergè,

poi sciolta in seguito a fallimento. Oggi si completano e acquistano nuovo

vigore nell‟audace spirito di iniziativa del nipote Felice, ben sostenuto

dall‟impulso concreto e attivo del padre164.

Nasce così Poggio Le Volpi con una immagine di altissimo livello per qualità e la

raffinatezza dei suoi vini, i quali sono le gemme preziose che nobilitano il pedigree

162 Brochure, Femar Vini S.R.L. 163 www.femarvini.it 164 Brochure, Poggio Le Volpi S.R.L.

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dell‟azienda e che hanno conseguito lusinghieri apprezzamenti nel raffinato ed esclusivo

ambito dei vini di nicchia165.

I migliori vitigni che dopo una lunga e accurata selezione entrano a far parte del

marchio Poggio Le Volpi si estendono in una zona raccolta tra le pendici di

Monte Porzio Catone e la campagna romana. Una terra ricca e accogliente

dove gli animali in particolare le volpi, da cui prende il nome l‟Azienda, ancora

oggi trovano un ecosistema in gran parte non contaminato. Terreni

ottimamente esposti dove la vite da tempo immemorabile riesce a sfruttare al

meglio l‟ottimo microclima naturale.

L‟azienda si sviluppa su di una superficie di 30 ettari completamente dedicati

alla viticoltura con impianti a spalliera orientati prevalentemente a mezzogiorno

e una cantina dotata delle più moderne tecnologie per la migliore vinificazione

e conservazione del prodotto. La produzione si orienta su vini di qualità

ottenuti da vitigni selezionati, curati con passione e competenza dal giovane

enologo, proprietario viticultore.

Creata nel 1996 da Felice Mergè, Poggio Le Volpi in meno di 15 anni ha saputo imporsi

come una delle aziende più interessanti e dinamiche dei Castelli Romani. La voglia di

sperimentare e la ricerca di nuove strade espressive si alleano alla qualità dei vigneti di Monte

Porzio Catone, a 400 metri di altitudine e su suolo vulcanico, impiantati quasi

esclusivamente con vitigni tradizionali, dai quali nascono vini di spiccata personalità. Da

anni i vini della cantina di Felice Mergè erano a due passi dal conquistare i Tre Bicchieri166.

Li ottiene il Frascati Superiore Epos '09, primo Frascati premiato. Il bouquet è ampio e

complesso, con note di spezie, legno, susina e agrumi, mentre il palato è coerente, sapido e di

buona spinta acida, lungo e dinamico. Sorprendente il Frascati Cannellino, dai toni di

165 www.poggiolevolpi.it 166

“I tre bicchieri” rappresentano il più prestigioso riconoscimento del Gambero Rosso come testimonianza di eccellenza

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albicocca candita, zafferano, frutta secca e dal palato lungo e fresco. Ben realizzati il

Baccarossa '08, Nero Buono di Cori di grande nitidezza aromatica, e il Donnaluce '09, un

blend di malvasia del Lazio (60%), greco (30%) e chardonnay, dalle note di frutta tropicale,

ricco e abbastanza complesso ma con poco nerbo e un finale marcato da note dolci167.

Così Luca Maroni168, critico enologico di fama mondiale, valuta

complessivamente la produzione Poggio Le Volpi: “Si conferma un gran vino il

Baccarossa 2007 di Poggio Le Volpi. Un manto eccezionalmente denso di morbida

confettura di mora. In quest'annata potente la spezia, ulteriormente enfatizzante la morbida

balsamicità del suo favoloso ammontare di frutto. Poi eccellente è anche la suadenza gustativa

del Frascati Superiore Epos 2008. Eppure non ci si aspettava un vino bianco della favolosa

magnificenza estrattiva e olfattiva del Donnaluce Lazio Bianco 2008. Un capolavoro

assoluto in termini di volume e corale, di potenza e fragranza dell'emissione. La nota che

domina è frutto x fiore, che si leva a un'altezza, a una cristallinità e a una frequenza di

vibrazione, che la sua onda è uva. Della celestiale fragranza d'un mazzo di fiori, non recisi,

ma ancora linfatici nella lor nativa frescura. Chapeau per questo conseguimento di eccezionale

valore tecnico e naturale. Profumi di questa inaudita e inossidata forza, sin qui solo dai

grandi bianchi fermentati in Germania”.

Sul web invece si legge che “in pochi anni, questa innovativa realtà vinicola ha saputo

guadagnare un posto in prima fila nello scenario enologico regionale, grazie a una serie di

fattori di successo tenacemente perseguiti: cura dei vigneti, aggiornatissime tecniche di

vinificazione, stile e qualità riconoscibili. Felice Mergè è un giovane e orgoglioso produttore che

crede fermamente nel lavoro, nella cura dei dettagli produttivi e nella partecipazione e

formazione di tutta la squadra che in cantina porta il proprio contributo, dagli operai agli

167 www.gamberorosso.it 168 Luca Maroni ha premiato il Frascati Donnaluce Lazio Bianco 2009 come “Miglior vino bianco d‟Italia” al Senseofwine 2011, che si è tenuto a Roma al Palazzo dei Congressi dell‟Eur il 29 e 30 Gennaio

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agronomi. Ma è anche un appassionato sostenitore dei vitigni locali e un tenace ricercatore di

nuove strade espressive che consentano di portare il territorio ai massimi livelli enologici.

Questa è la linea, il messaggio che ci arriva da Poggio Le Volpi, confortato dai numerosi

risultati lusinghieri che premiano la non consueta personalità dei vini, rappresentanti di una

evidente singolarità caratteriale. L‟azienda, seppur di recente fondazione, vanta una

consolidata esperienza familiare in campo enologico, dalla quale Felice ha saputo rilanciare

con il duplice impegno da enologo e patron della cantina.

Già da diversi anni si susseguono importanti interventi sui vigneti, chiamati a un ruolo

fondamentale, cioè a imprimere l‟indispensabile qualità d‟origine; ancora oggi sono in corso

costanti rinnovamenti che, a rotazione, porteranno i terreni al compimento di un chiaro

programma agronomico. Grazie alla presenza di un antico e panoramico casale, nelle cui

cantine tufacee hanno già riposato diverse annate, si sta realizzando una accoglienza di livello

per i qualificati visitatori (o per i numerosi turisti) che arrivano in cantina per un assaggio

guidato e i relativi acquisti.

La gamma si compone di sei vini, posti in una progressione che ne rappresenta il valore e le

caratteristiche peculiari. Tutti i vini bianchi, secchi o dolci, sono frutto di raccolte ritardate e

due sono i Frascati Superiore: il fragrante ed elegante „People‟, legato alla netta prevalenza di

Malvasia di Candia, e l‟avvolgente „Epòs‟, che nel connubio tra le tipiche Malvasie castellane

trova lunga espressione esotica e finissimo finale. Il „Donnaluce‟ è un IGT suadente nella

struttura, ricco e persistente, con l‟innesto dell‟uva Greco sulla dominante Malvasia del

Lazio.

Due sono anche i vini da dessert: il classico „Frascati Cannellino‟, da raccolto molto tardivo e

fermentazione parziale sulle bucce per 24 ore, e il complesso IGT „Odòs‟, in cui

all‟appassimento sulla pianta di Malvasia Bianca e Sauvignon, seguono 48 ore di

criomacerazione e un‟attenta vinificazione in bianco. Unico ma incantevole vino rosso, il

„Baccarossa', dalla raffinata e corposa generosità espressiva, in cui il vitigno Nero Buono,

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colto in quel di Olevano Romano, viene estratto con brevi fermentazioni a bassa temperatura,

rilasciando setose sensazioni di frutti neri e terrosi169”.

2. Il governo societario e le fonti di finanziamento.

La Poggio Le Volpi è l‟esempio della struttura organizzativa di tipo verticistico

italiana dominata dalla figura del socio-fondatore-amministratore unico e non

bilanciata da altri organi o management professionale. Nella stessa maniera la

collaborazione esterna viene vincolata o frenata dall‟operatività

dell‟imprenditore che limita e si sovrappone funzionalmente.

Gli imprenditori e i manager si comportano seguendo logiche differenti dove la

massimizzazione del profitto non qualifica le scelte imprenditoriali

specialmente nelle PMI in cui i fondatori vedono l‟impresa come lo sviluppo

della propria personalità, della propria idea e della continuità familiare a cui è

strettamente legata. I drivers culturali che sono alla base delle small family business

sono costituiti da valori e motivazioni della proprietà stessa in cui dominante è

il family effect instaurato dalla figura dominante del suo fondatore. La loro

quotazione è resa difficoltosa da motivazioni di origine culturale nonché da

ragioni di natura strettamente istituzionale.

E alla domanda “Lei si definisce un imprenditore?” Armando Mergè, amministratore

delegato della Poggio Le Volpi, risponde timidamente e con umiltà “Si, sono un

imprenditore. Lo sono sempre stato. Un manager non è un imprenditore, ha bisogno di

incentivi. Un imprenditore è il padrone, già li ha. Ma adesso scusami vado, devo pensare

all‟Azienda”.

Nella maggior parte dei casi le PMI italiane risentono di una

sottocapitalizzazione con conseguenti bassi tassi di crescita. Occorre dunque

169 www.bussoladelbuongustaio.it

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comprendere in quale misura tale sviluppo dimensionale dipenda dalla

propensione limitata all‟investimento oppure dalla soggezione derivante dalle

forme di finanziamento da adottare nella realizzazione dei progetti. L‟analisi più

appropriata sarebbe quella di osservare l‟utilizzo che le imprese fanno degli

strumenti di finanziamento predisposti dal settore finanziario. Le imprese

possono operare o attraverso il finanziamento con capitale di rischio (equity)

oppure con capitale di debito (debt) attraverso i loro rispettivi e diversi

strumenti tecnici.

La Poggio Le Volpi preferisce servirsi delle fonti interne di finanziamento

costituite principalmente dagli utili non distribuiti in cui non vi è la presenza di

alcun costo di agenzia derivante dall‟asimmetria informativa esistente sia ex-

ante che ex-post tra la proprietà e gli eventuali finanziatori170. Infatti nel

momento della stipulazione del contratto di finanziamento l‟asimmetria

informativa ex-ante genera il problema della selezione avversa (adverse selection),

mentre l‟asimmetria informativa ex-post quello dell‟azzardo morale (moral

hazard) e del costo per la verifica dello stato dell‟investimento (costly state

verification). Tanto più rilevante risulta essere il livello d‟indebitamento oppure

trascurabili le attività prestate in garanzia, liquide o collaterali171, tanto più

oneroso sarà il costo legato al finanziamento bancario.

L‟apertura di credito rappresenta per La Poggio Le Volpi lo strumento più

usato nella gestione della tesoreria d‟impresa e tra le principali forme di

finanziamento a breve termine offerte dalle banche oltre ai leasing172 per gli

170 “Preferisco utilizzare i miei soldi. Non ho fiducia nelle banche”, Cit. Armando Mergè 171 Le garanzie collaterali si distinguono in inside e outside. Le prime sono costituite da beni

capitali o da attività altamente liquide dell‟impresa, mentre le seconde riguardano beni che

sono di proprietà dello stesso imprenditore.

172 Con il contratto di leasing (finanziario od operativo) un soggetto (locatore o concedente) concede a un altro (utilizzatore) il diritto a utilizzare un determinato bene a fronte del

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impianti impiegati. Vanta della caratteristica di elasticità e della proprietà di

essere utilizzata dall‟affidato anche attraverso assegni bancari secondo le

proprie esigenze e i tempi o gli importi occorrenti. Questa linea di credito può

essere ripristinata con versamenti successivi, costituendo una sorta di riserva di

liquidità tra l‟importo concesso e quello utilizzato con la finalità di riequilibrare

l‟andamento dei flussi che sono soggetti alle variazioni impreviste per

fronteggiare il rischio di una situazione eventuale di illiquidità. Queste

oscillazioni non del tutto prevedibili del fabbisogno sono causa di un costo

ulteriore per l‟impresa dato dall‟onerosità di tale strumento che è comunque

spiegabile dall‟elasticità massima del suo utilizzo.

Altro strumento utilizzato, non attinente alle esigenze di una piccola impresa,

ma più vicino alle necessità di una dimensione media, è rappresentato dalla

linea di credito stand by. Questo consente all‟impresa di attivare finanziamenti

bancari in condizioni di relativa certezza col manifestarsi di esigenze finanziarie

non previste e si differenzia dalla più usuale apertura di credito in conto

corrente per la durata contrattuale, generalmente di 18 mesi, dove la banca è

impegnata a mantenere in essere l‟affidamento che non può essere revocato se

non al termine del periodo stabilito.

pagamento di un canone periodico. Alla scadenza del contratto è prevista per l'utilizzatore la facoltà di acquistare il bene stesso, previo l'esercizio dell'opzione di acquisto con il pagamento di un prezzo (prezzo di riscatto). Solitamente nel canone sono ricompresi servizi aggiuntivi come la manutenzione, le coperture assicurative e l'assistenza. Nel leasing finanziario vi è la presenza di un rapporto trilaterale tra il locatore che svolge l‟attività di intermediario finanziario (colui che acquista il bene dal fornitore e lo dà in leasing all' utilizzatore), l'utilizzatore o locatario (conduttore) che utilizza il bene e il fornitore (colui che fornisce al locatore il bene strumentale o l'immobile che verrà utilizzato dal conduttore). Il bene è scelto direttamente dall'utilizzatore presso il fornitore, con il quale determina le modalità della vendita al locatore. Nel leasing operativo vi è invece la presenza di un rapporto bilaterale se il bene viene offerto dallo stesso costruttore e coincide con il noleggio (renting). Differentemente, il rapporto può essere trilaterale quando la proprietà si trasferisce dal fornitore alla società finanziaria.

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Tali strumenti sono importanti opportunità di flessibilità ed efficienza offerti

per la gestione della tesoreria dell‟impresa e nell‟ottica bancaria se organizzati in

forma consortile possono costituire forme di collaborazione atte a istaurare o

migliorare i rapporti con la propria clientela.

La preferenza del finanziamento bancario rispetto all‟emissione diretta di azioni

è dovuto in prevalenza alla possibilità riservata alle banche di selezionare

(screening) e monitorare (delegated monitoring) le imprese con l‟attenuazione del

grado di asimmetria informativa e la minimizzazione del costo di agenzia, oltre

che alla funzione di produzione di informazione propria delle aziende di

credito che ha effetti positivi sul valore stesso delle imprese finanziate173.

L‟ottenimento di un finanziamento o di un prestito comporta il miglioramento

della reputazione delle imprese verso gli stakeholders o di altri potenziali

investitori a differenza di un‟emissione azionaria diretta (public equity) che al

contrario ne provoca una sua diminuzione con la percezione di una certa

incapacità da parte dell‟impresa nell‟ottenere un finanziamento e l‟idea che i

proprietari o manager la sopravvalutino. I costi connessi a tale forma di

finanziamento oltre ai costi di agenzia sono di rating, pubblicità e di

collocamento che ne determinano la sua onerosità rispetto all‟utilizzo delle

fonti interne di autofinanziamento e dell‟indebitamento bancario.

Per comprendere la dinamica di finanziamento nelle PMI è utile prendere in

considerazione il modello del financial growth cycle che dimostra come nella fase

di avvio data la scarsa o inesistente reputazione dell‟impresa i canali di

finanziamento siano nella realtà molto razionati. Solo successivamente e cioè

quando si è creata questa reputazione tra i finanziatori è possibile utilizzare vari

strumenti che il sistema finanziario mette a disposizione. La fase di avvio

173 “Io svolgo il mestiere che sò fare. Il mercato azionario non mi interessa”, Cit. Armando Mergè

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dipende dunque dalle disponibilità liquide e la ricchezza personale

dell‟imprenditore.

Un tema analogo è rappresentato dalle start up innovative dove le asimmetrie

informative sono maggiori rispetto alle realtà di settori più tradizionali. Queste

hanno la necessità di sommare all‟autofinanziamento il capitale di rischio

proveniente da investitori quali business angels o venture capital. Dal punto di vista

finanziario gli strumenti utilizzati dalle medie e grandi imprese di tipo più

sofisticato e oneroso divergono da quelli delle piccole imprese che vengono

escluse perché poco attraenti dagli operatori di capitale di rischio. Allo stesso

modo il finanziamento con capitale di debito data la sua onerosità risulta a uso

esclusivo delle medie e grandi imprese. Ciò non vale invece per le piccole

imprese o start up innovative con chiara e spiccata predisposizione allo

sviluppo, che per quanto riguarda il capitale di rischio hanno bisogno come

unica via per finanziare l‟impresa di un investitore interno che investa nella

società a fronte di una quota di capitale. Per quanto concerne la dimensione

superiore della media impresa gli strumenti sofisticati sia per il debito che per il

private equity o quotazione del capitale sono liberamente utilizzabili e di facile

accesso date le motivazioni alla base molto differenti rispetto a quelle di una

piccola impresa.

Di estrema rilevanza per la scelta delle fonti di finanziamento sono le

consulenze di figure professionali. In particolare nella gestione amministrativa

della Poggio Le Volpi il ruolo del commercialista seppur di influenza marginale

rappresenta un vero supporto alle decisioni finanziarie.

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3. Il processo di crescita e la continuità aziendale.

Tutti i percorsi di crescita sui mercati esteri che le imprese intraprendono

rientrano nel concetto di processo d‟internazionalizzazione. Con ciò “si allude

non solo allo svolgimento di attività all‟estero e alla connessa presenza di imprese estere nel

proprio ambiente, ma anche a una tendenziale attenuazione delle differenze a livello

internazionale di modalità e metodologie operative, di caratteristiche dei prodotti, di

regolamentazioni e comportamenti174”.

Il più semplice strumento con cui le imprese si internazionalizzano è costituito

dalle esportazioni e in tal senso ci si riferisce alla forma mercantile

dell‟internazionalizzazione, mentre il trasferimento di risorse e capacità

tecnologiche dal paese di origine a un altro prende il nome di forma produttiva,

attraverso investimenti diretti all‟estero (IDE) o mediante differenti modalità

quali le joint venture, gli accordi di cooperazione, i trasferimenti vincolanti

oppure le partecipazioni incrociate.

Si tratta di un processo alquanto complesso necessario alla comprensione del

“grado di collegamento che il circuito cognitivo della singola impresa ha nelle grandi reti

mondiali, in cui si acquista sapere codificato (non importa se contenuto in macchine, materiali

tecnologici, componenti, prodotti finiti, servizi, licenze software, o altri artefatti cognitivi)175”.

Questa definizione ha la caratteristica di estendere l‟analisi del concetto di

internazionalizzazione prendendo in considerazione non solo le forme

classiche, ma anche quelle più sofisticate in cui si mette in rilievo l‟importanza

delle conoscenze d‟impresa nel contesto internazionale. Resta tuttavia la non

facile determinazione quantitativa della stessa rispetto alle forme più

tipicamente classiche in cui la quantità è identificabile attraverso indicatori

reperibili come per le esportazioni o gli IDE.

174 Usai G., Velo D., Le imprese e il mercato unico europeo, Pirola Editore, 1990 175 Rullani E., Economia della conoscenza, Carocci, 1994

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L‟internazionalizzazione è stata favorita dalla “maggiore mobilità, assieme alle

restrizioni nei movimenti della forza lavoro, hanno esteso l‟ampiezza dei network

internazionali di produzione, e di conseguenza accelerato la crescita del commercio in un

consistente numero di settori, specialmente dove le catene di produzione possono essere spezzate

e localizzate in diversi paesi176”. Non solo, le politiche tariffarie e gli incentivi di

carattere fiscale hanno promosso nuove metodologie di commercio in cui il

prodotto viene realizzato in diverse località prima di giungere al consumatore

finale.

La relazione sottile che lega il concetto di internazionalizzazione a quello della

globalizzazione va ricercata nella loro natura infatti si parla di

internazionalizzare un‟attività quando ci si riferisce allo sviluppo di un sistema

che favorisce scambi con l‟estero attraverso nuove opportunità di sbocco per le

attività commerciali, economiche e produttive. Più precisamente all‟insieme

delle attività che vanno dalla realizzazione dei sistemi di programmazione ai

piani di investimento atte ad acquisire o sviluppare le risorse e capacità

necessarie per operare sui mercati internazionali. Con riferimento al termine di

globalizzazione si indicano una serie di fenomeni che favoriscono

l‟interdipendenza tra i diversi paesi del mondo mediante la creazione di una

fitta rete di relazioni con processi di natura economica, politica e sociale. A tal

proposito la globalizzazione ha delle implicazioni sulla crescente integrazione e

interdipendenza nella realtà industriale italiana in molti settori con un sistema di

interscambio guidato da logiche di sviluppo delle opportunità senza lo

sfruttamento o la minaccia di determinate realtà economiche e sociali. Occorre

sottolineare come questo sviluppo delle relazioni con i paesi esteri incrementi le

reti infrastrutturali dei sistemi economici interni che sono in grado di

176 Nanut V., Tracogna A., Processi di internazionalizzazione delle imprese. Vecchi e nuovi paradigmi, Sinergie, 2003

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controbilanciare le influenze negative delle diversità legislative nonché le

differenze dei prezzi di produzione dei concorrenti esteri.

“L‟internazionalizzazione delle piccole e medie imprese è ancora una realtà senza teoria” in

quanto la letteratura e gli sviluppi teorici dell‟International Business riguardano

soprattutto le imprese di grandi dimensioni in cui le determinanti sviluppano

un profilo di impresa multinazionale “che possiede dei vantaggi competitivi, che sfrutta e

consolida attraverso la realizzazione di economie di scala a livello internazionale,

ottimizzando il gioco competitivo oligopolistico, attraverso una conveniente scelta

organizzativa177”. E‟ possibile concretamente osservare come non ci siano per le

PMI barriere di tipo dimensionale all‟ingresso o sull‟espansione dei mercati

internazionali, ma solamente un differente modo di operare con modalità,

strumenti e forme di coinvolgimento.

L‟internazionalizzazione venne teorizzata per incrementare il coinvolgimento

dell‟Azienda sull‟estero con conseguente apprendimento delle dinamiche

globali attraverso risorse materiali e immateriali capaci di sostenere una

graduale espansione sui mercati internazionali sulla base di processi

organizzativi e strategici di natura strettamente imprenditoriale. La Poggio Le

Volpi manifesta una predisposizione alla modalità dell‟export piuttosto che una

propensione agli investimenti esteri dato che la proiezione internazionale ha

riguardato esclusivamente la vendita del prodotto finito e non le attività a

monte della catena del valore. Nel caso in cui si presenterà la necessità di un

eventuale decentramento di tali attività l‟Azienda prevede di utilizzare in gran

parte a risorse e soggetti presenti nel contesto territoriale locale. Questa

preferenza è il risultato del contributo offerto dal suo stesso modello di

governance centrato sul ruolo dominante dell‟imprenditore e della sua famiglia

177 Compagno C., Aspetti di governance e processi di internazionalizzazione nelle PMI, Sinergie, 2003

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caratterizzato dallo scarso ricorso a profili manageriali o alle strategie

organizzative strutturate per far fronte ai mercati internazionali.

L‟esportazione non va sottovalutata o ritenuta una forma meno evoluta di

internazionalizzazione, ma può essere motivata quando il valore dell‟offerta

dipende da vantaggi competitivi in prevalenza derivanti da risorse country specific.

Queste competenze possono essere potenziate solamente attraverso

un‟estensione mondiale delle vendite dato il forte radicamento territoriale

esistente, con la possibilità di sfruttare a livello internazionale le caratteristiche

distintive senza particolari adattamenti dell‟offerta ai diversi mercati178.

La Poggio Le Volpi fu fondata subito dopo aver investito nella Femar Vini 2

milioni di euro per il rinnovo degli impianti della catena di produzione

passando dall‟imbottigliamento di 400 bottiglie a circa 5 milioni a servizio della

qualità del prodotto e la ormai testata capacità di commercializzazione. Un

investimento ingente per un progetto ambizioso di innovazione e

internazionalizzazione facilitato dalla fiducia e dalla stima manifestata da

Armando Mergè nei confronti del figlio Felice. In tal senso la sua nascita fu

determinata dall‟evoluzione stessa della cantina paterna che da azienda di

servizi con la quale si vendeva vino sfuso su un mercato prettamente nazionale

a clienti che in seguito imbottigliavano e poi distribuivano divenne un‟azienda

trasformatrice che attraverso protocolli di lavorazione si serviva di cantine

sociali per poi vendere il prodotto finito in bottiglia. Le due aziende con gli

annessi terreni vennero solo successivamente incorporate in una società

immobiliare, la MGSF (acronimo di Mergè Giovanna, Sonia e Felice – figli di

Armando), di proprietà della stessa famiglia.

178 Grandinetti R., Rullani E., Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia Scientifica, 1996

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Si respira un clima sereno in Azienda dove Felice Mergè offre la possibilità a

chiunque al suo interno di potersi esprimere incentivando con bonus salariali

gli aumenti di produzione raggiunti al fine di conseguire in un ambiente

stimolante l‟obiettivo dello sviluppo aziendale. “Essere imprenditore significa avere

una marcia in più e cioè credere fortemente in quello che si fa sapendolo trasmettere ai propri

dipendenti. Occorre valutare maggiormente lo sforzo necessario a costruire il proprio futuro

imprenditoriale piuttosto che la predisposizione più sviluppata all‟aspetto prettamente

economico e remunerativo. E‟ l‟amore e la passione verso l‟attività imprenditoriale a ripagarti

nel tempo con il successo179”.

La Poggio Le Volpi diviene così la punta di diamante della cantina rivolgendosi

a un mercato di nicchia con vini D.O.C. e servendosi dei collaudati canali

distributivi della Femar Vini si impone sul mercato estero attraverso

rappresentanti diretti o indirettamente mediante un‟agenzia di distribuzione con

cui vi è una collaborazione esclusiva reciproca. Oggi può vantare di un 60% di

fatturato estero e di un magazzino privo di scorte alla fine dell‟anno.

“Il mantenimento delle posizioni raggiunte richiede una chiara coerenza tra il prezzo, la

qualità del prodotto e il servizio offerto. Perciò non concedo ai miei clienti alcun tipo di sconto

o promozione altrimenti perderei di credibilità e danneggerei la Nostra reputazione. Per

difendere il vantaggio competitivo acquisito occorre entusiasmare ogni volta il consumatore

finale, mentre per consolidare il processo di crescita aziendale vi è la persistente esigenza di

fidelizzare il rapporto con i possibili ed eventuali finanziatori. Per tale motivo preferisco non

diversificare i miei guadagni in altre attività in modo da non compromettere la sopravvivenza

stessa dell‟Azienda che necessita di una costante e attiva presenza180”.

179 Cit. Felice Mergè 180 Cit. Felice Mergè

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4. Prime considerazioni.

Nelle imprese familiari l‟imprenditore specialmente se della prima generazione

può decidere di indirizzare i flussi di autofinanziamento a supporto di

investimenti per lo sviluppo futuro dell‟azienda impostando gli indirizzi

strategici in un‟ottica di lungo termine. Come conseguenza si sacrificano le

remunerazioni di breve periodo per accrescere il valore dell‟impresa al

contrario delle grandi dimensioni in cui si rende difficile un contemperamento

degli interessi della proprietà, degli organi di governo e del management

aziendale181.

Gli organi di governo della Poggio Le Volpi sono composti dai proprietari

dell‟Azienda e ciò comporta un maggiore livello di motivazione e impegno

nell‟esercizio delle funzioni dati gli incentivi economici nonché le ambizioni

soggettive di tipo extra economico. Questi fattori sono alla base dei

meccanismi di autocontrollo e di stimolo al miglioramento della performance,

alimentato dalla personalizzazione degli organi di governo oltre che dal

desiderio di creare o accrescere qualcosa di privato, dalla volontà di esercitare

forme di potere oppure unicamente per ottenere successo. L‟orientamento al

lungo termine è invece giustificato dal fatto che l‟Azienda costituisce la parte

più rilevante del patrimonio della famiglia e la fonte principale di lavoro o di

reddito per i membri della stessa. Naturalmente è necessario che i risultati di

breve periodo siano sacrificati per la crescita e la prosperità futura attraverso un

orientamento strategico coerente con l‟evoluzione dell‟ambiente.

Questo modello di governo imprenditoriale può fallire se si è incapaci di

sostituire le finalità aziendali alle proprie finalità personali non adottando un

comportamento di razionalità economica tra l‟ambiente competitivo, la

181 Bastia P., Incentivi e motivazioni per il corretto governo e per lo sviluppo delle piccole e medie aziende, Convegno AIDEA, 1996

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strategia e l‟assetto istituzionale. In altre parole non bisogna snaturare i fini e gli

obiettivi di fondo dell‟impresa per non compromettere l‟orientamento degli

indirizzi strategici. Per quanto concerne invece la personalizzazione degli organi

di governo se da una parte questo rende il processo decisionale più flessibile,

dall‟altra richiede capacità e competenze adeguate nell‟impostazione

strategica182.

La Poggio Le Volpi rappresenta un chiaro esempio di come durante la fase di

espansione il fondatore debba cominciare a pianificare la successione valutando

le attitudini imprenditoriali dei figli sia manageriali che tecniche per

determinarne l‟assegnazione di un ruolo in linea con il fabbisogno aziendale183.

In tal senso Armando Mergè nella Femar Vini non ha commesso l‟errore di

ignorare il problema della transizione generazionale (cosiddetto delirio di eternità),

né quello di sovrapporre i valori della famiglia a quelli dell‟azienda ed è stato

capace di garantire una parità di trattamento a tutti i suoi figli nonostante le

loro attitudini differenti ribadendo come l‟appartenenza alla famiglia non

comporti necessariamente la partecipazione alla proprietà e al governo

dell‟impresa.

L‟assegnazione dei ruoli chiave negli organi di governo dovrebbero avvenire

sulla base di decisioni razionali che tengano conto del mix ottimale tra

imprenditorialità e managerialità insite negli eredi soprattutto quando l‟azienda

è cresciuta in termini dimensionali con la necessità di competenze gestionali più

qualificate. I comportamenti più efficaci da adottare sono quelli guidati da

logiche strettamente aziendali in cui la sovrapposizione degli assetti istituzionali

non genera conflitti di interazione tra la famiglia e l‟impresa. Le responsabilità

182 Coda V., L‟orientamento strategico dell‟impresa, Utet, 1988 183 “Ho trasmesso sin da piccolo a mio figlio la passione per quello che la nostra famiglia ha svolto nel corso degli anni giocando con lui in cantina. E‟ da piccoli che si formano gli eredi con la speranza che un giorno possano ereditare meritatamente un ruolo in azienda”, Cit. Felice Mergè

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strategiche e direzionali devono dunque essere delegate ai familiari più

meritevoli attraverso una selezione della compagine proprietaria a sostegno

delle esigenze organizzative dell‟azienda184.

L‟esigenza di delegare a manager esterni parte delle funzioni direzionali e di

governo non è tipica della Poggio Le Volpi dove Felice Mergè ha dimostrato di

avere doti per guidare il rilancio della cantina e il padre condivide appieno le

decisioni strategiche proposte dal figlio. Inoltre il giovane enologo ha dato

prova di saper supportare le scelte con competenze tecniche senza essere

influenzato dai sentimenti o dagli equilibri precostituiti all‟interno della famiglia.

Ciò nonostante la presenza di consiglieri esterni nel consiglio di

amministrazione seppur non formalizzata costituisce un valido apporto di

risorse e gode della più ampia fiducia da parte della compagine familiare.

Al momento del rilancio strategico le generazioni debbono aver avuto modo di

dimostrare il loro talento imprenditoriale in quanto diventeranno il nuovo

punto di riferimento per il futuro. Questa fase risulta essere molto delicata dato

che il fondatore non sempre condivide le decisioni apportate dai figli e le

famiglie proprietarie non sempre riescono a fare fronte ai fabbisogni

manageriali dell‟impresa. Per questo motivo può sorgere l‟esigenza di delegare a

soggetti esterni funzioni che vanno oltre a quelle tipiche di governo dell‟azienda

con il loro inserimento nel consiglio di amministrazione. L‟intervento di

membri non appartenenti alla famiglia può avere l‟effetto di riequilibrare il

potere dell‟imprenditore, di consentire ai soci non impegnati di essere

consapevoli degli orientamenti strategici adottati, di sorvegliare a beneficio dei

soggetti che non fanno parte del top management, di facilitare la soluzione

184 Marchini I., L‟imprenditorialità manageriale, Piccola Impresa, 1995

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eventuali conflitti tra i familiari e infine di dettare le linee strategiche da

seguire185.

Occorre però analizzare se effettivamente e in quale modo queste ingerenze

esterne portino a un miglioramento della performance con derivante creazione

di valore e se questa sia valida per ciascun settore d‟appartenenza.

185 Corbetta G., Tomaselli S., I consigli di amministrazione nelle imprese familiari italiane, Economia & Management, 1996

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Capitolo Ottavo

CONSIDERAZIONI DI SINTESI

SOMMARIO: 1. Riflessioni; 2. Conclusioni.

1. Riflessioni.

Per valutare le strategie economico-finanziarie delle aziende familiari occorre

analizzare in maniera congiunta sia le dinamiche proprie delle imprese

controllate che quelle riguardanti la famiglia proprietaria. Senza questa visione

sistemica si rischierebbe di non comprendere le scelte compiute dalla proprietà.

I fabbisogni finanziari tendono ad aumentare per le dinamiche competitive e le

dinamiche familiari.

In molti settori infatti la spinta alla crescita dimensionale necessita di un elevato

grado di internazionalizzazione, di ingenti investimenti in ricerca o tecnologia e

di un riequilibrio contrattuale con clienti o fornitori. Conseguentemente si

manifesta il problema del finanziamento allo sviluppo che a seconda delle

caratteristiche del settore di appartenenza, delle dimensioni dell‟impresa e delle

risorse a essa disponibili rendono opportuna una valutazione sulla possibilità di

ricorrere o meno a finanziatori esterni.

Gli andamenti familiari invece, soprattutto al momento della pianificazione

della successione generazionale, possono scaturire in difficoltà legate alla

diversificazione del patrimonio in attività extra-familiari al fine di soddisfare i

diritti patrimoniali dei membri che non rientrano a ricomposizioni della

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compagine proprietaria divenuta troppo ampia per non incombere nella

cosiddetta deriva generazionale186.

In altri casi l‟aumento dei fabbisogni finanziari è influenzato da un piano

strategico lungimirante perseguito dalla famiglia in settori che inizialmente non

richiedono un aumento delle dimensioni.

Le famiglie imprenditoriali che non intendono perdere posizioni competitive in

settori in crescita debbono saper gestire le ristrutturazioni della compagine

proprietaria per non cedere il controllo dell‟attività aziendale a terzi. In tal

senso possono utilizzare le risorse generate internamente per autofinanziarsi,

liquidare attività aziendali non funzionali al piano strategico, aumentare

l‟indebitamento con istituti di credito, immettere capitale proprio derivante

dalle disponibilità della famiglia proprietaria o dal mercato dei capitali. Tutto

ciò dipende dai settori di appartenenza e dalla loro stabilità nonché dai risultati

generati dall‟azienda per finanziare oltre agli investimenti di mantenimento

anche quelli di ampliamento. L‟apertura del capitale può essere per i soci

un‟occasione di rendere liquida una parte di patrimonio o di rientrare di

posizioni creditorie anche se superate certe dimensioni si rende quasi

inevitabile la propensione a condividere con terzi un impegno finanziario e

farsi supportare nella realizzazione della strategia di impresa. Occorre

evidenziare oltremodo come all‟ampliamento della dimensione aziendale

aumenti la visibilità dell‟impresa con successiva attrattività degli investitori

istituzionali187.

Le aziende di famiglia di successo sono caratterizzate da una forte cultura

industriale e da un elevata reputazione che consente la formulazione di strategie

186 Corbetta G., Demattè C., I processi di transizione delle imprese familiari, DIR, 1993 187 Corbetta G., Forestieri G., Le banche italiane dal credito al merchant banking, Mediocredito Lombardo, 1996

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competitive con sviluppi di crescita rapidi. Da un lato l‟esigenza di coinvolgere

terzi è dettata dalla necessità di affiancamento di un operatore professionale,

dalla volontà di diversificazione patrimoniale o semplice riduzione del tasso di

rischio complessivo derivante dagli investimenti oppure dal bisogno di

semplificare la compagine proprietaria favorendo l‟uscita di membri meno

interessati che potrebbero rallentare la tempistica dei processi decisionali oltre

che essere fonte di conflitti interni. Dall‟altro la cessione di quote costituisce

una discontinuità nella storia aziendale e quindi essere ritardata per motivi di

carattere culturale prima ancora di valutazioni economiche negative.

L‟origine di queste diversità di vedute è insita oltre che nella formazione

culturale anche nella preparazione manageriale ma soprattutto nella concezione

del rapporto con l‟impresa. Per il fondatore non è facile dover rinunciare a un

modello di gestione adottato nel corso degli anni e l‟apertura del capitale a soci

non familiari è interpretato come un percorso difficile se non addirittura

costoso. Un solida cultura deve essere perciò supportata da un approfondita

conoscenza delle metodologie e delle tecniche manageriali abbinata all‟ idea di

autonomia relativa dell‟impresa rispetto alla stessa proprietà familiare.

Un‟indagine effettuata nel 2006 riguardo la struttura finanziaria delle imprese

familiari mise a confronto un campione rappresentativo delle aziende di

famiglia socie dell‟AIdAF188 con un altro delle imprese italiane family e non

family inserite nel database della Centrale dei Bilanci189. Dal confronto è

emerso che le imprese familiari presentano un più basso grado di

188 L‟Associazione Italiana delle Aziende Familiari è stata costituita nel 1997 con il fine di svolgere la propria attività per le aziende familiari piccole, medie e grandi per assicurarne la continuità nei processi di transizione e lo sviluppo. 189 La Centrale dei Bilanci è nata nel 1983 per iniziativa della Banca d‟Italia e delle maggiori banche italiane con lo scopo di raccogliere i bilanci delle società di capitali italiane con la loro riclassificazione in base alle performance economico-finanziarie a livello di impresa o di settore.

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indebitamento indipendentemente dalla classe di fatturato con una

distribuzione del debito orientata al breve termine rispetto a un‟impresa

generica. Questa preferenza è il risultato dell‟avversione all‟apertura del capitale

in modo da conservare comunque il controllo nel medio-lungo periodo. Con

riferimento al finanziamento bancario i risultati confermano la letteratura

prevalente di un loro basso ricorso. Riguardo alla redditività delle imprese di

piccole dimensioni si evidenzia invece come la proprietà familiare induca al

raggiungimento di risultati migliori190.

Giova ricordare come in realtà le imprese familiari presentino un debito ancora

più basso di quello che provano i loro bilanci d‟esercizio dato che

l‟indebitamento bancario viene molto spesso sostenuto da garanzie personali

come le fideiussioni e reali mediante titoli di credito, contanti o ipoteche su

immobili di proprietà a testimonianza di un capitale allocato superiore rispetto

a quello che si deduce dalla riclassificazione di bilancio del patrimonio netto.

2. Conclusioni.

Questo progetto di ricerca ha analizzato come un‟efficace gestione del family

business non dipenda dalla netta separazione tra management e controllo, ma

da modelli di imprese familiari che sviluppando caratteristiche idiosincratiche di

competitività superano i vari ostacoli di natura sociale, psicologica e

organizzativa già considerati. Nelle imprese in cui la proprietà è distinta dal

management infatti lo scopo aziendale si identificherà con gli obiettivi di

quest‟ultimo a danno degli interessi primari. La razionalità manageriale tende

190 In base al criterio adottato vengono considerate piccole le imprese con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro, medie quelle con un fatturato compreso tra 10-50 milioni di euro e grandi le imprese con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro.

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alla massimizzazione del fatturato dato che i compensi, il potere, il prestigio, lo

status e la sicurezza dei manager è strettamente legata alla crescita.

In tal senso si è criticata la teoria secondo cui la presenza della famiglia è

limitata al semplice ruolo di proprietaria in quanto elemento negativo ai fini di

una corretta gestione manageriale.

Inoltre si è rilevato come in alcuni casi l‟elevato grado di intenzionalità delle

aziende di famiglia sia supportato da adeguate capacità e competenze atte a

raggiungere gli obiettivi prefissati.

I manager esterni e i professionisti indipendenti sfamiliarizzano l‟impresa

valutandone solo gli elementi di azienda e società non considerando che una

family business è identificabile nel concetto di FAP (famiglia, azienda e patrimonio

dell‟imprenditore). Le loro difficoltà risiedono nel saper cogliere nonché capire le

interconnessioni tra questi tre elementi garantendone un equilibrio nei diversi

ambiti di responsabilità. Raramente le logiche manageriali riescono ad adattarsi

a questo specifico contesto in cui tutto è gestito meno tecnicamente, con una

minore rigidità operativa e sulla base di rapporti umani differenti. Ma questi

professionisti sembrano poco inclini verso le esigenze psicologiche degli

imprenditori familiari anteponendo quelle aziendali.

Diviene indispensabile nell‟eventualità di un intervento congiunto con membri

esterni la definizione da parte della famiglia dei propri fini e valori su cui

impostare le relative strategie nelle politiche di gestione. Prima di avvalersi di

risorse umane non familiari occorre dunque riflettere profondamente sulla

volontà di rilasciare deleghe effettive e sul conseguente mutamento delle

logiche gestionali nella pura ottica aziendale dei costi-benefici. Ciò accade

specialmente quando si ha la presenza di eredi con scarse attitudini

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imprenditoriali e competenze manageriali o professionali non in grado di

adattarsi alle dinamiche in atto sui mercati.

“La famiglia resta il fulcro dell‟imprenditoria, ma la famiglia imprenditrice non può essere

una famiglia come le altre. Essa deve avere la capacità di distinguere quando parla come

proprietà e quando parla come gestione dell‟impresa. Deve saper valutare le professionalità in

azienda senza essere distorta da normali sentimenti affettivi. Essa deve conquistare una

cultura manageriale che è necessaria per crescere191”.

A tal proposito il presente lavoro ha dimostrato come i salti dimensionali che

generalmente si accompagnano a un progressivo aumento della compagine

manageriale possono in settori tradizionali come quello vitivinicolo essere

avviati e gestiti anche esclusivamente dalla famiglia proprietaria attraverso

un‟opportuna formazione professionale.

Alla base delle imprese familiari più longeve vi è l‟esistenza di una forte cultura

organizzativa specifica e condivisa che da una parte si riferisce all‟educazione e

al consolidamento delle facoltà naturali, dall‟altra all‟intervento attivo volto al

raggiungimento di un ulteriore sviluppo. Questa funzione deve essere svolta in

relazione all‟adattamento con l‟ambiente esterno oltre che all‟ottenimento di

una vision comune sia per la totale comprensione della sua realtà che per il

pieno consenso delle sue finalità. La cultura aziendale è strutturata e

configurata in ordine alla trasmissione delle conoscenze e alla loro

assimilazione interiore, di vitale rilievo per la trasmissione trans-generazionale

del valore creato.

Dall‟identificazione dei valori si fonda l‟idea di continuità e il rapporto esistente

tra la famiglia e l‟impresa, dove la chiarezza in merito è un‟indispensabile

premessa dell‟atteggiamento della proprietà nei confronti delle generazioni

191 Luca Cordero di Montezemolo, Relazione alla Assemblea della Confindustria, Roma, 2004

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future. La sua articolazione e personificazione può rappresentare un messaggio

vincente per tutti i portatori di interesse siano essi dipendenti, fornitori, clienti

o membri della comunità con derivante vantaggio competitivo e culturale.

In taluni casi la risorsa famiglia rappresenta un evidente vantaggio competitivo

da difendere e nella nostra analisi risiede nel legame particolare che essa ha con

il proprio territorio locale. Questa caratteristica non facilmente imitabile da

parte dei concorrenti non deve essere oggetto di speculazione da parte di

multinazionali come successe alla Barone Ricasoli, piuttosto diligentemente

potenziata dalla proprietà familiare con lo stesso criterio della Poggio Le Volpi

al fine di garantirne la continuità aziendale. E‟ noto come questo influenzi le

scelte dei consumatori e per tale ragione le implicazioni manageriali devono

essere attentamente valutate in ragione della tutela delle tradizioni culturali dei

luoghi d‟origine con il recupero del radicamento territoriale prima ancora della

valorizzazione del proprio marchio. Esso costituisce per meglio dire un

elemento di differenziazione rispetto al diffondersi delle omogeneizzazioni

delle produzioni e dei consumi.

“L‟attuale crisi economica è una crisi di carattere strutturale […]192” che necessita di

decisioni strategiche attuate in tempi più rapidi e con meccanismi più snelli, ma

soprattutto di una predisposizione all‟iniziativa imprenditoriale. Proprio quello

che le family business sanno fare meglio.

192 “[…] Ci vorrà del tempo perché venga riassorbita ed è, soprattutto, necessario che gli

studenti imparino a fare impresa, perché il superamento della crisi è legato alla capacità di

farsi carico del proprio destino professionale da parte delle nuove generazioni. Ma le

Università non insegnano a fare impresa ed è per questo che dobbiamo anche sulla base

dei principi dell‟Agenda di Oslo per la formazione all‟imprenditorialità in Europa

pensarci noi”, Cit. Pier Luigi Celli, Amministratore Delegato e Direttore Generale della

LUISS Guido Carli di Roma

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