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La relazione educativa a scuola: il contributo della psicologia Annella Bartolomeo [email protected]

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La relazione educativa a scuola:

il contributo della psicologia Annella Bartolomeo

[email protected]

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Le relazioni a scuola: il contributo psicodinamico

e il contributo ecologico

La relazione insegnante-alunno: la teoria

dell’attaccamento

La relazione famiglia- scuola

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L’INSEGNANTE NELLE RELAZIONI SCUOLA

L’insegnante a scuola non gestisce solo la

relazione con l’alunno, ma si inserisce in un

contesto organizzato di relazioni significative.

La relazione insegnante-bambino si pone in una

complessità relazionale, che deve tenere conto

di altri attori che a diverso titolo partecipano al

funzionamento dell’organizzazione scolastica:

colleghi insegnanti, dirigente, famiglia, personale

ausiliario, operatori dei servizi, ecc.

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IL CONTRIBUTO PSICODINAMICO:

L’INSEGNANTE COME PROFESSIONISTA DELLE RELAZIONI

Il contributo psicoanalitico ha iniziato a occuparsi del

funzionamento relazionale nel contesto scolastico,

offrendo una lettura della relazione educativa sulla base

delle conoscenze maturate nel setting terapeutico.

Giorgio Blandino, psicoanalista che si è occupato a fondo di

tematiche connesse all’apprendimento, presenta la

psicoanalisi come un modo per osservare e descrivere i

fenomeni nel contesto scolastico, un VERTICE da cui

OSSERVARE i fenomeni che caratterizzano il campo

interpersonale ed educativo.

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In questa prospettiva l’insegnante non si limita a fare,

ma soprattutto gestisce delle relazioni e tutto questo

lavoro psicologico si fonda su relazioni asimmetriche

o per ruolo o per conoscenza.

La mente dell’insegnante è lo strumento psicologico

di lavoro, intesa non solo in termini cognitivi, ma

anche e soprattutto emotivo-affettivi.

All’interno di una relazione …noi possiamo pensare

solo quando siamo in contatto con le nostre

emozioni.

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La professionalità relazionale consiste nella possibilità di

fornire supporto sia cognitivo che emotivo all’altro, nella

capacità di comprendere, capire e assumere responsabilità

all’interno della relazione.

Questa professionalità consiste anche nella capacità di

sentire e di essere presenti nella relazione, ricevere,

accogliere e contenere, nel saper entrare in contatto con

l’altro, comprenderne le richieste e i bisogni.

Si tratta della capacità di gestire la complessità

interpersonale.

La professionalità relazionale coinvolge il rapporto tra

insegnante e alunno, tra insegnanti e genitori, tra operatori

e utenti, rapporti che possono favorire o ostacolare il

processo di crescita e di apprendimento dei bambini.

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L’approccio psicoanalitico, nel tentativo di leggere la

dimensione relazionale nel contesto scolastico, offre un

contributo importante nel sottolineare il mondo interno e

i vissuti emotivi e affettivi che caratterizzano la vita di

ciascun individuo.

L’importanza del lavoro psicologico, inteso come quel

lavoro che coinvolge il docente sulla dimensione

relazionale, comporta la necessità di conoscere come il

proprio mondo interno possa giocarsi nell’incontro con

l’altro.

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IL CONTRIBUTO ECOLOGICO: IL MODELLO DI

BROFENBRENNER

Bronfenbrenner è il principale esponente della teoria

ecologica, prospettiva di ricerca che studia le interazioni tra

individuo e ambiente, con attenzione alle componenti

individuali della personalità e alle variabili contestuali

dello sviluppo umano.

Bronfenbrenner ha evidenziato come per molto tempo è

stato studiato lo sviluppo dell’individuo tralasciando la

considerazione del contesto e, successivamente

l’attenzione è stata focalizzata sul contesto tralasciando

però la dimensione evolutiva.

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Bronfenbrenner rileva poi un altro limite presente in

molte teorie psicologiche, riguardante la mancanza

di considerazione della dimensione temporale, da

cui emerge una concezione dell’ambiente come fisso

e immutabile.

Bronfenbrenner elabora un modello crono-

sistemico, che tiene conto della dimensione

temporale sia nell’individuo sia nei contesti, con

attenzione anche alle più ampie modificazioni

storico-sociali e ai problemi che riguardano il

rapporto fra individuo e istituzioni.

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L’approccio ecologico ha il pregio di aver modificato

l’impostazione lineare causa-effetto che ha caratterizzato la

ricerca nella prima metà del secolo scorso, assumendo una

prospettiva di studio delle relazioni umane CIRCOLARE, che

sottolinea l’importanza del contesto da cui non può essere

scissa alcuna unità.

L’interazione individuo-ambiente viene determinata dalle

relazioni esistenti tra le diverse situazioni ambientali e dai

contesti più ampi di cui le prime fanno parte. L’ambiente

ecologico include le interconnessioni tra più situazioni

ambientali e le influenze esterne su quelle situazioni.

All’interno dell’ambiente ecologico Brofenbrenner individua

una serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una

nell’altra, definite come microsistema, mesosistema,

esosistema e macrosistema.

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Microsistema: è l’ambiente immediato in cui vive il bambino

in un preciso momento dello sviluppo. E’ dato dal complesso

di attività, ruoli e relazioni interpersonali con cui l’individuo è

in contatto diretto in un particolare contesto, casa, scuola o

gruppo dei compagni durante il suo sviluppo.

Mesosistema: zona di relazione tra due o più contesti, ai

quali il bambino partecipa direttamente; è un sistema di

microsistemi. Si riferisce a due o più contesti ambientali e

alle loro interconnessioni.

Scuola – famiglia: Il tentativo di modificare le relazioni con il

coinvolgimento di genitori e insegnanti in progetti comuni

può incidere sull’atteggiamento dei genitori e sui processi di

apprendimento dei bambini in modalità rilevanti ai fini dello

sviluppo.

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Esosistema: ambito in cui hanno luogo eventi e

vengono prese decisioni che influiscono sullo

sviluppo del bambino pur non avendo contatto

diretto con esso. Riguarda due o più contesti

ambientali, fra i quali almeno uno a cui la persona

non partecipa direttamente, ma in cui si verificano

eventi che influenzano l’ambiente con cui la persona

è in contatto diretto.

Per esempio il rapporto fra l’ambiente di lavoro del

padre e/o della madre del bambino e i processi

intrafamiliari.

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Macrosistema: contesto ideologico, culturale e

organizzativo che governa tutta la rete relazionale, e

dota di coerenza l’intero sistema.

Rappresenta il contesto sovrastrutturale. Tale

contesto è legato a culture e organizzazioni sociali

più ampie, che hanno i loro sistemi di norme,

credenze, rappresentazioni sociali e aspettative,

che sono rilevanti ai fini dello sviluppo.

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.

Bronfenbrenner ha analizzato il contesto scolastico secondo

il modello ecologico. Nella scuola, la classe e lo spazio di

gioco sono microsistemi del bambino; la relazione tra casa

e scuola è un mesosistema; gli esosistemi si situano a livello

comunitario dove si compiono le scelte educative e di

organizzazione del funzionamento scolastico.

Se famiglia e scuola sono microsistemi del bambino e la

relazione tra di essi è un mesosistema, è necessario

analizzare le interconnessioni tra questi due ambienti

sociali per comprendere lo sviluppo del bambino.

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CARATTERISTICHE DELLA FAMIGLIA E DELLA CARATTERISTICHE DELLA FAMIGLIA E DELLA SCUOLA NELLA SOCIETASCUOLA NELLA SOCIETA ’’ ATTUALEATTUALE

Famiglia = educazione affettiva e socialeScuola = educazione cognitiva e intellettuale

LA FAMIGLIA : primo contesto di formazione e socializzazione

Associazione cooperativa intima finalizzata a promuovere lo sviluppo del soggetto; educazione emozionale o affettiva (Nigris)

I genitori trovano difficoltà sul piano normativo:

Cosa si deve fare da un punto di vista educativo?

Forti Caterina e Valgolio Elena

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Cambiamenti della famiglia attuale:

Modello di famiglia nucleare isolata (crisi del ruolo paterno)

Figli ad un’età avanzata.

Perdita nella nostra società di riti e di rituali condivisi.

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Anni ’60: espansione della scolarizzazione; la famiglia delega alla scuola il

destino sociale degli alunni.

Metà anni ’80: necessità della scuola di ridefinire la funzione e gli obiettivi

dell’istruzione pubblica.

Ultimi anni: dalla custodia all’offerta di occasioni di confronto e di

incontro .

Cambiamento percezione del ruolo dei docenti: non solo didattica ma

anche relazione e luogo di consulenza, di supporto e spazio di

discussione.

Ridefinizione del ruolo di insegnante.

LA SCUOLA

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In famiglia: acquisizione dello stile educativo

Lewin: funzione genitoriale

autoritaria

autorevole

permissiva

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LE RELAZIONI GENITORI INSEGNANTI: UNA LETTURA LE RELAZIONI GENITORI INSEGNANTI: UNA LETTURA

EVOLUTIVAEVOLUTIVA

L’inserimento nella scuola dell’infanzia

(Primo momento di incontro)

� Nuova sensibilità verso i genitori:

- accordo sui ritmi di inserimento

- ambiente fisico famigliare

- accompagnatori

� Cooperazione favorita dall’assenza di valutazione formale

� Genitori:

- ansia rispetto alla crescita e allo sviluppo psicofisico del bambino

- si va oltre il cognitivo, privilegiati gli aspetti affettivi relazionali

� Incontro con la competenza materna e alle modalità di accudimento

Forti Caterina e Valgolio Elena

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La scuola dell’obbligo

� Momento di transizione causata dal cambio di scuola:

- nuovi orari

-nuovi compagni (comportamento diverso)

-nuova impostazione della attività (oggetti differenti)

-attese dei genitori e della società più definite

-difficile acquisizione di equilibrio tra autonomia e dipendenza

Richieste dei genitori: - Attenzione ai bisogni

- Aspettative contraddittorie (troppi compiti)

� Open day

� Durante il momento di incontro prima dell’ inserimento a scuola dovrebbe

iniziare a crearsi un clima di fiducia, ma spesso si riduce a promozione della

stessa scuola da parte dei dirigenti

� Assemblee � si possono trasformare in momenti di scontro (asimmetria

di rapporto)

Forti Caterina e Valgolio Elena

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Ecco le indicazioni per la promozione del coinvolgimento dei genitori

(documento redatto dalla Canadian Association of Principals e dalla Canadian

Association for school Health):

� INFORMARE REGOLARMENTE IGENITORI IN MERITO AI PROGRESSI;

� COMUNICARE LE DIFFICOLTA’;

� COMUNICARE OBIETTIVI E I SERVIZI DISPONIBILI;

� CONVOLGERE I GENITORI NEI COMPITI A CASA;

� INTERVENTI MIRATI;

� PROPORRE PROGRAMMI DI FORMAZIONE AI GENITORI;

� COINVOLGERE I GENITORI COME VOLONTARI;

� SOSTENERE GENITORI DISPONIBILI A FORMARE ASSOCIAZIONI;

Possibili attività:

� Organizzazione di incontri formativi o lavori di gruppo per genitori;

� Gestione di un comitato di genitori;

� Ricerca di fondi per attrezzature e materiale per la scuola;

� Supporto alle politiche di sostegno della scuola.

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La collaborazione è possibile :

�Corretta analisi dei bisogni della specifica realtà in cui si intende operare;

�Mentalità focalizzata sulla risoluzione dei problemi piuttosto che sulla giustificazione e sulle accuse;

�Considerare il successo degli alunni come responsabilità da condividere tra tutti gli operatori (approccio di squadra);

�Investire sulla promozione delle competenze professionali degli insegnanti;

�Strutturare strategie comunicative efficaci.

Forti Caterina e Valgolio Elena

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La comunicazione genitori-insegnanti

La relazione tra insegnanti e genitori si caratterizza per

modalità comunicative che possono assumere forme

differenti e incontrare difficoltà di vario genere.

Modelli comunicativi degli insegnanti

Nell’incontro tra insegnanti e genitori possiamo individuare

almeno tre modelli di comunicazione che caratterizzano il

docente e che descrivono quali modalità può assumere la

relazione tra scuola e famiglia.

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La comunicazione direttiva: l’insegnante si pone

soprattutto come un rappresentante della scuola e

sottolinea la sua dimensione istituzionale.

Gli strumenti comunicativi privilegiati sono le note e i

giudizi. La comunicazione è prevalentemente valutativa;

il genitore si percepisce incapace di sostenere i compiti

educativi e di apprendimento e tende a evitare

l’incontro con l’insegnante o a cercare lo scontro.

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Il professionista è colui che detiene il sapere, è l’esperto

che impone le sue decisioni al genitore, portato ad

aspettare le soluzioni provenienti dal sapere dell’altro in un

atteggiamento di prevalente passività. Si verifica una

gestione gerarchica e fortemente asimmetrica del potere.

Non c’è spazio per l’espressione delle risorse dei genitori

nei quali si generano sentimenti di ansia.

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La comunicazione genitoriale: l’insegnante si pone

come una persona di famiglia, utilizzando modalità

comunicative di tipo affettivo, quali la comprensione e

l’accudimento dei genitori.

Il colloquio informale davanti alla scuola diviene uno

strumento privilegiato di comunicazione.

Il rischio di tale modello può consistere nell’alimentare

la dipendenza del genitore dalle decisioni

dell’insegnante, con ridotte possibilità di attivare le

risorse autonome della famiglia. L’eccesso di affettività

rischia di mascherare una richiesta di sostituzione

educativa del genitore da parte dell’insegnante.

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La comunicazione competente: l’insegnante sostiene la

relazione con il genitore al fine di condividere una lettura del

percorso scolastico in funzione di obiettivi di apprendimento

e di relazione, utilizzando strumenti tecnici ed empatici.

L’insegnante, attraverso la comprensione emotiva e la

competenza didattica, aiuta il genitore nella promozione

delle potenzialità del figlio, al fine di rendere la relazione

educativa il più funzionale possibile al raggiungimento di

obiettivi condivisi.

Il genitore viene visto come una risorsa e non come un

problema. La dimensione è prevalentemente collaborativa in

quanto l’insegnante sa che il genitore può essere un aiuto

nelle questioni educative, ma ne rispetta l’autonomia

decisionale; eventuali problemi vengono segnalati e gestiti

nella valorizzazione della competenza genitoriale.

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Modelli comunicativi dei genitori

Anche le modalità comunicative messe in atto dai genitori, come

quelle degli insegnanti, concorrono a definire alcune dimensioni

relazionali tipiche del contesto scolastico. Possono essere

presentate almeno quattro tipologie di genitori in base alle

caratteristiche che emergono dall’incontro con i docenti.

Sfidante: questi genitori non riconoscono l’autorità dell’insegnante.

Vissuti di scarsa autostima, svalutazione e ansia possono

caratterizzare questi genitori, che attribuiscono alle comunicazioni

degli insegnanti un disvalore o un attacco.

La loro presenza nella scuola è finalizzata soprattutto a sottolineare

ciò che non funziona.

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L’insegnante dovrebbe cercare di non raccogliere la sfida e

tentare la proposta di una dimensione relazionale

accogliente della sofferenza di questi genitori.

Una strategia può consistere nel sottolineare le risorse del

bambino; se il genitore coglie che il contenuto dell’incontro

non è dato solo dalla evidenziazione dei problemi del figlio,

può aprirsi alle indicazioni e all’aiuto dell’insegnante.

Spesso questi genitori hanno avuto una storia scolastica

simile a quella del figlio problematico e ritengono di non

avere avuto quasi nulla dall’esperienza nella scuola. Molte

volte la scuola del figlio rappresenta un luogo di riscatto e di

possibile affermazione e di conferma delle proprie capacità

attraverso l’eventuale successo del figlio.

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Sottomesso: questi genitori sono sicuramente molto apprezzati

dagli insegnanti perché entrano in una relazione di dipendenza

dalla figura dell’autorità. Però questa sottomissione può

essere l’espressione di un passività delegante al docente, che

sente di avere in mano la responsabilità educativa dell’alunno e

di non poter contare su risorse a cui appellarsi.

L’atteggiamento passivo delegante, rischia di non promuovere

la crescita dei genitori stessi, i quali evidenziano una scarsa

autostima nelle loro competenze educative.

L’insegnante non dovrebbe accettare nessun tipo di delega,

ma dovrebbe lavorare per promuovere le competenze

genitoriali, cercando di attivare la risorse possibili. Le

insicurezze di questi genitori concorrono a cercare nella scuola

un luogo di accudimento, inteso come delega del ruolo

educativo agli insegnanti.

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Assente: questi genitori sono difficilmente definibili, proprio

perché non si vedono quasi mai a scuola.

Spesso sono proprio i genitori degli alunni che presentano

difficoltà nell’apprendimento e nel comportamento di notevole

rilievo. I motivi di queste assenze risiedono in vari fattori:

livello socio-culturale, sofferenza psichica e/o fisica, difficoltà

economiche.

In alcuni casi i motivi sono di tipo pratico, in altri casi possono

risiedere in fattori psicologici legati all’attribuzione di valore che

questi genitori fanno dell’esperienza scolastica in generale. La

scuola viene considerata come un “parcheggio”, un luogo dove

mettere i figlio nel tempo lavorativo o da dedicare ad altro.

Manca la condivisione di un obiettivo con gli insegnanti.

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Mentre i genitori sfidanti o sottomessi non discutono il

valore formativo dell’esperienza scolastica, i genitori

assenti comunicano disinteresse profondo nei

confronti dell’istituzione scuola.

Gli insegnanti si trovano impotenti nei confronti di

questi genitori. L’assenza di questi genitori deve

essere considerata soprattutto come assenza

dall’esperienza scolastica dei figli. La vita nella scuola

di questi bambini e ragazzi non trova uno spazio nella

mente dei loro genitori, che per vari motivi non se ne

interessano.

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Partecipativo: il genitore che si pone con modalità

collaborative, attente e interessate alla scuola, al lavoro

dell’insegnante e ai progressi del bambino, costituisce un

modello auspicabile.

Questi genitori sono persone che mostrano una discreta

sicurezza e ritengono di potersi confrontare con gli insegnanti

anche su questioni di apprendimento, riconoscendo i propri

limiti e ponendosi in una dimensione di ascolto. Non temono

il giudizio e la valutazione e sono in grado di affrontare i

momenti delicati con equilibrio e rispetto della

professionalità.

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Questi genitori possono anche trovarsi a fronteggiare

situazioni problematiche per il bambino e vivere momenti di

incertezza, di difficoltà e di crisi, ma difficilmente entrano in

un rapporto di sfida con gli insegnanti, piuttosto ne cercano

l’aiuto.

La scuola è vista come un luogo di crescita per il proprio

figlio. Questi genitori possono essere una risorsa per la scuola

stessa come motori per la realizzazione di reti di sostegno e di

aiuto anche per i genitori portatori di maggiori difficoltà.

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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO: I MODELLI DI RELAZIONE

La qualità delle relazioni può essere compresa più a fondo grazie al contributo della

teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969) e ai suoi sviluppi più recenti. Questa teoria

ha evidenziato come la modalità di relazione che si forma tra il bambino e la figura

di riferimento, di solito la madre, nel secondo semestre del primo anno di vita

concorre alla creazione di un legame che fornisce la base per l’esplorazione del

mondo fisico e sociale da parte del bambino.

La relazione di attaccamento è regolata dalla capacità degli adulti di rispondere ai

bisogni del bambino in un equilibrio tale per cui se la vicinanza ottimale tra adulto

e bambino viene alterata si attiva un sistema di segnalazione finalizzato a ristabilire

l’equilibrio.

La teoria dell’attaccamento è un paradigma teorico che rende conto di un aspetto

dello sviluppo ha il pregio di essere accessibile ad una verifica sperimentale e

prende in considerazione il legame del bambino con la madre come punto

determinante del suo sviluppo successivo.

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La teoria, proposta inizialmente da Bowlby venne successivamente precisata

e ampliata da Ainsoworth ed è il risultato di apporti derivanti da diverse aree

di studio: psicoanalitica, etologica e antropologica.

L’uso corrente del termine attaccamento è dovuto a Bowlby, per attuare una

sostituzione del termine dipendenza con una parola che non fosse gravata

dalle connotazioni teoretiche di questa.

Infatti la dipendenza può instaurarsi ne confronti di più persone, non implica

un legame duraturo e non è necessariamente associata a forti emozioni,

mentre l’attaccamento assolve a una funzione altrettanto importante della

spinta sessuale e di quella alimentare.

Bowlby considera il legame di attaccamento una necessità primaria e innata

che si sviluppa indipendentemente dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici di

base ed è presente fin dalla nascita.

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La funzione del comportamento di attaccamento e del reciproco comportamento

della madre, consiste nella protezione del bambino dal pericolo.

L’attaccamento è una classe di comportamenti intenzionalmente rivolti a

provocare e mantenere la vicinanza di una persona scelta come figura di

attaccamento.

Esso ha origine da un certo numero di sistemi comportamentali caratteristici della

specie.

I modelli di comportamento che contribuiscono all’attaccamento sono il succhiare,

l’aggrapparsi, il seguire, il piangere. Questi sistemi si integrano e si focalizzano sulla

madre e costituiscono la base dei comportamenti di attaccamento.

L’autore introduce poi un modello di sistemi di controllo e postula che essi siano

organizzati e attivati in modo che il bambino tende a mantenersi in prossimità della

madre in un equilibrio dinamico, senza superare un limite massimo accettabile per

entrambi.

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Tale equilibrio risulta dalla combinazione di quattro elementi:

due del bambino: attaccamento e attività esplorativa

due della madre: atteggiamento protettivo e atteggiamento opposto

Uno dei comportamenti viene attivato o inibito dall’azione degli altri; per esempio

se il bambino si allontana troppo, la madre cercherà di sapere dove sia e che cosa

sta facendo (comportamento protettivo); se è la madre che si allontana, il bambino

la cercherà; se è presente il bambino si avventura in esplorazioni dell’ambiente.

Il comportamento di attaccamento è solo una delle quattro classi di

comportamento che costituiscono complessivamente le interazioni fra madre e

bambino; esso si manifesta quando vengono attivati certi sistemi

comportamentali in seguito all’allontanamento della madre o ad una esperienza

paurosa e in tale occasione si evidenzia la sua intensità.

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I comportamenti di relazione reciproca bambino-genitore sono adattati

reciprocamente in senso evoluzionistico; il comportamento di attaccamento del

bambino è predisposto per un ambiente che contiene un figura, quella della

madre, che è accessibile al bambino e che risponde alle sue richieste che egli

esprime attraverso il comportamento.

Il bambino è predisposto a realizzare un legame di attaccamento in circostanze

appropriate nei confronti di una o più specifiche figure.

Sono rare le situazioni in cui un neonato non sperimenta tali condizioni; infatti i

bambini lo mettono in atto anche con figure materne punitive o non responsive.

L’attaccamento è un legame tra bambino e madre, che una volta formato, si

mantiene anche in presenza di una separazione.

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LA PAURA DELL’ESTREANEO COME MISURA DELL’ATTACCAMENTO

L’angoscia dell’ottavo mese è stata studiata da Ainsworth per fornire un criterio

discriminante dei diversi tipi di attaccamento, cercando di valutare l’attaccamento

rispetto alla reazione del bambino di fronte all’estraneo, e in particolare i suoi

comportamenti al momento del ricongiungimento con la madre.

Nella procedura ci sono 8 episodi presentati in un ordine fisso a partire da quelli

meno ansiogeni:

1 breve periodi familiarizzazione

2 osservazione del bambino con la madre nella stanza predisposta dallo

sperimentatore, stanza sconosciuta, ma non allarmante, per vedere quanto tempo

impiega ad allontanarsi dalla madre per andare a esplorare i giocattoli lasciati a sua

disposizione

3 con la madre presente entra un sconosciuto e inizia un lento approccio con il

bambino

4 la madre si allontana

5 la madre dopo poco ritorna e lo sconosciuto e se ne va; la madre è invitata a

richiamare di nuovo l’attenzione del bambino sui giocattoli, con la speranza di

ripristinare il comportamento esplorativo allo stesso livello in cui si trovava quando

all’inizio il bambino era da solo con lei.

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6 si propone una seconda separazione e il bambino viene lasciato solo

nell’ambiente sconosciuto per valutare se c’è un’ansia maggiore in risposta al

restare da solo, piuttosto che all’essere separato una seconda volta e per

verificare se la separazione è più disturbante della presenza dell’estraneo,

7 l’estraneo viene fatto rientrare nella stanza

8 poi vi è l’ultimo ritorno della madre

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Attaccamento sicuro e attaccamento ansioso

Non sempre le madri sanno essere in sintonia con i bisogni del piccolo. Alcune

madri per motivi culturali o per ragioni legate alla loro storia personale,

ridicolizzano le richieste di aiuto del figlio o rifiutano il contatto fisico con lui.

Questa diversità nella responsività materna indirizza verso direzioni diverse le

strutture comportamentali dell’attaccamento.

Quando il bambino anticipa mentalmente che la madre non sarà responsiva

alle sue richieste e non offrirà l’aiuto necessario in caso di pericolo, la ricerca

della prossimità sarà ben più pressante e si esprimerà in maniera disfunzionale

rispetto allo scopo.

Il piccolo elaborerà sia pure a livello inconsapevole delle strategie per

mantenere in alcuni casi una vicinanza continua con la figura allevante e in

altri casi un distacco, sia pure controllato, da essa provocherà in maniera

abnorme la cosiddetta angoscia di separazione.

Quello che è un attaccamento prudente in circostanze normali, in casi

disfunzionali diviene un attaccamento ansioso e insicuro. Il bambino sente che

la responsabilità nel mantenimento con la figura che dovrebbe proteggerlo è

completamente a suo carico e mette in atto dei meccanismi di difesa dal

rischio di restare senza protezione.

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Tipologie di attaccamento

La valutazione della qualità attaccamento del bambino è fatta non sulla base di

singoli comportamenti ma considerando l’insieme organizzati di essi; l’attenzione

è puntata sul comportamento della riunione. Vengono distinte quattro categorie

di attaccamento (sicuro, ansioso ambivalente, ansioso evitante, disorganizzato):

Gruppo A: questi bambini mostrano pochi segni aperti di angoscia per la

separazione e ignorano la madre al momento della riunione, specialmente nella

seconda occasione quando presumibilmente lo stress è maggiore. Rimangono

guardinghi nei confronti della madre e inibiti nel gioco. Il bambino evita di

avvicinarsi alla madre al momento della riunione; mette in atto manovre di

evitamento, andando lontano, evitando lo sguardo, senza notare la madre.

Questo tipo di attaccamento è insicuro -evitante.

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Gruppo B: questi bambini sono in genere angosciati dalla separazione, ma al

momento della riunione salutano il genitore, ricevono conforto se necessario e

poi tornano a giocare felici e soddisfatti. Il bambino ricerca la vicinanza della

madre, vuole esserle vicino e toccarla, specialmente negli episodi di

ricongiungimento; questo tipo di attaccamento è definito sicuro, ed è indice di un

buon legame.

Gruppo C: sono fortemente angosciati dalla separazione e non possono essere

facilmente pacificati al momento della riunione. Cercano fortemente il contatto

ma resistono scalciando, scappando, strapazzando e buttando via i giocattoli

che gli vengono offerti. Continuano ad alternare stati di rabbia e momenti in cui

si stringono violentemente alla madre, mentre il loro gioco esplorativo è inibito. Il

bambino presenta una forte resistenza al contatto e alla interazione, soprattutto

nell’ultimo episodio; dà l’impressione di essere ambivalente, cioè di volere la

vicinanza e di rifiutarla; questi sono indici di un attaccamento insicuro –

ansioso/ambivalente.

Gruppo D: questo piccolo gruppo mostra una gamma diversificata di

comportamenti confusi, come il restare paralizzati o fare movimenti stereotipati

quando vengono riuniti ai loro genitori. Viene aggiunta una ulteriore categoria,

cioè quei bambini in cui le usuali categorie di classificazione dell’attaccamento

appaiono frammentate; il termine usato è disorganizzato, cioè ci è l’assenza di

una linea comune tra i vari comportamenti.

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MODELLI OPERATIVI INTERNI

Bowlby ipotizza che con i primi scambi con le figure di attaccamento

significative, l’individuo costruisce dei modelli operativi interni sempre più

complessi sia delle figure affettive sia di se stesso.

Saranno poi queste rappresentazioni interne, questi working models, a

indirizzare l’individuo nell’interpretazione delle informazioni che

provengono dal mondo esterno e a guidare il suo comportamento nelle

situazioni nuove.

Se il bambino ha avuto delle esperienze precoci con una figura allevante

pronta a offrire aiuto e conforto, costruirà un modello del Sè come di

persona degna di essere confortata e che può aspettarsi di essere amata e

una rappresentazione interna degli altri come di persone pronte ad aiutarlo

in caso di necessità.

Avrà meno bisogno di controllare continuamente la disponibilità della sua

figura di attaccamento e sarà più libero e autonomo nell’esplorazione del

mondo circostante.

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Là dove la prontezza nella risposta ai bisogni di sicurezza non è stata assicurata

dalla figura di attaccamento nel periodo sensibile per la formazione del

legame di attaccamento, o là dove abbia esperito in quel periodo una madre

rifiutante, il bambino formerà un modello mentale del sè come di un individuo

non degno di essere amato e che non può aspettarsi di essere confrontato e un

modello della figura di attaccamento come di persona da cui non può

aspettarsi niente (individui evitanti e distaccati rispetto all’attaccamento) o

tale da dare risposte inaffidabili (caso degli individui dall’attaccamento

ambivalente).

Queste aspettative verranno estese a tutte le figure affettive che si

incontreranno nel corso della vita e determineranno i comportamenti indirizzati

a esse.

Il legame di attaccamento può essere di tipo sicuro o di tipo insicuro.

Nel primo caso, i bambini definiti “sicuri” mostrano fiducia nell’altro e sono in

grado di tollerare separazioni, evidenziando desiderio di esplorazione.

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Nel caso dell’attaccamento insicuro troviamo le seguenti tipologie.

I bambini “ansioso-ambivalenti” hanno sperimentato una relazione con la madre

caratterizzata da insicurezza e incapacità di accudire ai bisogni del bambino nei

momenti di reale bisogno. Questi bambini oscillano tra momenti di affetto e

momenti di rabbia e sono bisognosi di attenzione da parte degli insegnanti.

I bambini caratterizzati da un attaccamento “evitante” hanno sperimentato nella

relazione con la madre una mancanza di responsività, tale per cui si mostrano

eccessivamente autonomi. In realtà sono bambini che hanno imparato a gestire la

relazione senza contare sull’altro.

I modelli operativi interni sono meccanismi cognitivi di interpretazione della realtà.

Tali schemi cognitivi, che si costruiscono nella relazione con la figura di riferimento

primaria, vengono applicati anche alle figure con cui il bambini entrano in contatto

successivamente.

Queste modalità di relazione sono state osservate anche nelle interazioni con gli

insegnanti; di conseguenza la relazione genitore-bambino può essere trasferita

nella relazione con figure diverse da quelle genitoriali, sulle quali il bambino fa

affidamento per ricevere protezione e conforto.

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LA RELAZIONE INSEGNANTE – ALUNNO

Pianta, psicologo dell’educazione americano, ha adottato una prospettiva

relazionale dello sviluppo e dell’apprendimento che consente di comprendere la

natura affettiva della relazione tra insegnante e alunno, in condizioni di

normalità e di rischio evolutivo, con l’integrazione delle principali prospettive

evolutive, la teoria generale dei sistemi e la teoria dell’attaccamento.

La dimensione relazionale genitore-figlio influenza anche il comportamento e la

qualità dell’apprendimento dell’alunno nel contesto scolastico stesso.

Si è osservato che le relazioni che il figlio vive in famiglia, in particolare quella

con la madre, è strettamente correlata a possibili esiti problematici nell’ambito

della socializzazione con i coetanei e con l’adulto e negli apprendimenti.

La relazione tra il bambino e l’adulto che si prende cura di lui coinvolge anche

l’ambito della motricità, delle funzioni cognitive e conseguentemente delle

potenzialità di apprendimento.

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Ricerche recenti evidenziano che i bambini con una relazione di attaccamento

sicuro mostrano di possedere competenze cognitive più precoci rispetto ai

bambini che rivelano una qualità dell’attaccamento insicuro (ansioso-

ambivalente o evitante).

Altri autori, Fonagy e Target, hanno mostrato come la qualità sicura della

relazione di attaccamento sia correlata con lo sviluppo della funzione

metariflessiva, ovvero della capacità di pensare la mente propria e altrui in

termini di stati mentali e emozioni. Questi bambini possiedono una maggiore

competenza relazionale proprio perché sarebbero più capaci di rappresentarsi

l’altro come soggetto che possiede una vita mentale.

La relazione di attaccamento si costruisce non solo con la madre, ma anche con

altre figure educative. A questo proposito si pone la questione relativa al ruolo

dell’insegnante nel contesto scolastico, e alla sua relazione con il bambino in

termini di cura e protezione.

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Mentre la prima elaborazione della teoria dell’attaccamento era

focalizzata sulla relazione esclusiva tra il bambino e la madre,

successivamente la ricerca si è interessata alle relazioni

significative che il bambino instaura con altri adulti, sin dai primi

giorni, ovvero il padre, i nonni le educatrici e le insegnanti.

In tale prospettiva per quanto riguarda la rappresentazione del

legame di attaccamento tra insegnante e bambino è emersa

l’esistenza di somiglianze tra la relazione genitore-bambino e la

relazione insegnante-bambino. Entrambe sono asimmetriche in

termini di potere, responsabilità e abilità e presentano

dipendenza, bisogni di protezione e di apprendimento nel

bambino.

Ricerche recenti hanno evidenziato l’esistenza di una coerenza tra

la qualità della relazione madre-bambino e quella insegnante-

alunno, anche se genitori e insegnanti rivestono e assumono ruoli

differenti.

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Pianta approfondisce l’esistenza di tale coerenza, ovvero di una stabilità tra

le relazioni del bambino con adulti differenti, considerando la qualità

dell’attaccamento tra genitore e bambino come un’infrastruttura

all’interno della quale si situa e opera la relazione insegnante-alunno.

La qualità della relazione di attaccamento con l’insegnante può connotarsi

in termini di sicurezza, se questa è già presente nel legame con il genitore o

emergere come una nuova e diversa qualità di attaccamento, permettendo

al bambino di sperimentare una qualità relazionale differente da quella

familiare a cui si collegano nuove potenzialità e risorse cognitive.

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Diversamente la qualità di attaccamento insicuro sia con i genitori che con gli

insegnanti evidenziata nel contesto scolastico si collega a prestazioni inferiori negli

ambiti della motricità e della metacognizione rispetto a bambini che presentano

legami sicuri di attaccamento, familiari e scolastici.

Queste ricerche confermano l’importanza del ruolo dell’insegnante che si pone

come figura educativa che fornisce cura e protezione, offrendo la possibilità di

sperimentare una legame di attaccamento sicuro, con effetti importanti per il

bambino sia a livello affettivo che a livello cognitivo.

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BIBLIOGRAFIA

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Pianta R.C. (1999) La relazione bambino-

insegnante, tr. it. Raffaello Cortina Editore,

Milano, 2001