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LA RELATIVITA' RISTRETTA LA LEZIONE Energia impulso nella relatività ristretta Una delle equazioni della dinamica relativistica, attraverso cui spiegare i nuovi principi di conservazione, universalmente accettate dai diversi autori, può essere scritta nella seguente forma: (E/c) 2 -p 2 =(E 0 /c) 2 . Il simbolo E rappresenta l’energia relativistica del corpo (particella); p, la quantità di moto; c, la velocità della luce nel vuoto; E 0 , l’energia a riposo della particella. Questa quantità calcolata in due riferimenti inerziali, in moto relativo l’uno rispetto all’altro con una velocità v, non dipende dal riferimento scelto e viene detta invariante relativistico. Per l’energia, equiparata dimensionalmente alla quantità di moto tramite il fattore costante c, e la quantità di moto stessa, valgono delle relazioni simili alle trasformazioni di Lorentz delle coordinate spaziali e temporali nei due riferimenti. L’espressione precedente può essere applicata anche nel caso particolare di particelle che non hanno energia a riposo, come i fotoni incessantemente in moto alla velocità della luce. Per simili particelle si può scrivere: (E/c) 2 -p 2 =0; da cui si ricava una soluzione possibile: (E/c)=p. Un risultato, già discusso in una precedente lezione, che ha portato a prevedere voli spaziali di navicelle spinte dai fotoni. fig.1 Illustrazione del racconto Sunjammer di Arthur C. Clarke; fig.2 Realizzazione di un prototipo di vela solare nei laboratori NASA Un’equazione diverse interpretazioni Come si arriva a dimostrare, nella teoria della relatività ristretta, l’invariante precedente? La prima strada prevede che la massa relativistica di una particella sia una funzione della velocità. Si distinguono così una massa a riposo m 0 =m(0) e una massa dipendente dalla velocità m(v)= m(0), con =(1-v 2 /c 2 ) -1/2 , il solito fattore di dilatazione caratteristico dei riferimenti in moto con velocità v. Scrivono ad esempio Sexl e Schhmidt sull’incremento relativistico della massa: ”supponiamo che un corpo che si muova con velocità crescente si opponga sempre più a un’ulteriore accelerazione. La sua massa deve aumentare incessantemente e con l’avvicinarsi alla velocità della luce divenire talmente grande da non poter essere ulteriormente accelerata.” Allora l’equazione: (E/c) 2 -p 2 =(E 0 /c) 2 si trasforma in un’identità sostituendo a E l’equivalenza m(v)c 2 e a p la quantità m(v)v. Lo stesso Einstein, negli scambi epistolari con altri autori (figura 3), si lamentava dell’utilizzo dell’interpretazione della massa dipendente dalla velocità. In linea con le indicazioni del padre fondatore della relatività ristretta nel 1905 (premio Nobel della fisica nel 1921 per un altro articolo del 1905 sull’effetto fotoelettrico!), diversi fisici (si

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LA RELATIVITA' RISTRETTA

LA LEZIONE

Energia impulso nella relatività ristrettaUna delle equazioni della dinamica relativistica, attraverso cui spiegare i nuovi principi di conservazione, universalmente accettate dai diversi autori, può essere scritta nella seguente forma: (E/c)2-p2=(E0/c)2.Il simbolo E rappresenta l’energia relativistica del corpo (particella); p, la quantità di moto; c, la velocità della luce nel vuoto; E0, l’energia a riposo della particella.Questa quantità calcolata in due riferimenti inerziali, in moto relativo l’uno rispetto all’altro con una velocità v, non dipende dal riferimento scelto e viene detta invariante relativistico. Per l’energia, equiparata dimensionalmente alla quantità di moto tramite il fattore costante c, e la quantità di moto stessa, valgono delle relazioni simili alle trasformazioni di Lorentz delle coordinate spaziali e temporali nei due riferimenti. L’espressione precedente può essere applicata anche nel caso particolare di particelle che non hanno energia a riposo, come i fotoni incessantemente in moto alla velocità della luce. Per simili particelle si può scrivere: (E/c)2-p2=0; da cui si ricava una soluzione possibile: (E/c)=p. Un risultato, già discusso in una precedente lezione, che ha portato a prevedere voli spaziali di navicelle spinte dai fotoni.

fig.1 Illustrazione del racconto Sunjammer di Arthur C. Clarke; fig.2 Realizzazione di un prototipo di vela solare nei laboratori NASA

Un’equazione diverse interpretazioniCome si arriva a dimostrare, nella teoria della relatività ristretta, l’invariante precedente?La prima strada prevede che la massa relativistica di una particella sia una funzione della velocità. Si distinguono così una massa a riposo m0=m(0) e una massa dipendente dalla velocità m(v)= m(0), con =(1-v2/c2)-1/2, il solito fattore di dilatazione caratteristico dei riferimenti in moto con velocità v. Scrivono ad esempio Sexl e Schhmidt sull’incremento relativistico della massa: ”supponiamo che un corpo che si muova con velocità crescente si opponga sempre più a un’ulteriore accelerazione. La sua massa deve aumentare incessantemente e con l’avvicinarsi alla velocità della luce divenire talmente grande da non poter essere ulteriormente accelerata.”Allora l’equazione: (E/c)2-p2=(E0/c)2 si trasforma in un’identità sostituendo a E l’equivalenza m(v)c2 e a p la quantità m(v)v.Lo stesso Einstein, negli scambi epistolari con altri autori (figura 3), si lamentava dell’utilizzo dell’interpretazione della massa dipendente dalla velocità. In linea con le indicazioni del padre fondatore della relatività ristretta nel 1905 (premio Nobel della fisica nel 1921 per un altro articolo del 1905 sull’effetto fotoelettrico!), diversi fisici (si

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vedano i lavori citati nella bibliografia di Fabri, Battimelli, Okun) preferiscono invece la seguente ipotesi: la massa m è la carta d’identità del corpo. Una proprietà intrinseca, le equazioni di partenza sono allora: E=E0, p=mv. Per mantenere la massa un invariante relativistico si accetta l’ipotesi che l’inerzia sia dipendente dallo stato di moto di un corpo. L’inerzia è allora descritta da un termine che non coincide con m. Negli scambi energetici bisogna tener conto dell’inerzia dell’energia. Come spiegava Einstein sulla base di un esperimento ideale: “Se un corpo, che si muove con velocità v, assorbe una quantità di energia E in forma di radiazione (energia acquisita, giudicata da un sistema di coordinate che si muove con il corpo), senza che questo ne alteri la velocità, esso subisce di conseguenza un incremento della propria energia uguale a E […] Il corpo ha così la stessa energia di un corpo di massa m+E/c2.”Il brano è tratto dall’esposizione divulgativa della relatività dello stesso Einstein, ma i simboli sono stati adattati alla lezione.Come commenta Fabri:” Se a un corpo fermo cedono energia in modo che resti fermo, la sua massa aumenta.” Così come avviene scaldando un corpo o portando un atomo in uno stato eccitato. La variazione di massa m=E/c2 può essere positiva oppure negativa come avviene per un corpo (macroscopico o microscopico) che irradia energia. Non basta, continua Einstein nella sua esposizione divulgativa della teoria, Il termine mc2 “non è altro che l’energia del corpo (giudicato da un sistema di coordinate che si muove con il corpo) prima che esso assorba l’energia E.”In altri termini l’energia a riposo dell’energia è uguale alla quantità mc2. Si noti la differenza con l’espressione, dai più utilizzata, E= mc2. Einstein concludeva allora: ”le variazione dell’energia a cui possiamo sottoporre un sistema [macroscopico] non sono grandi abbastanza da rendersi percettibili sotto forma di variazione della massa inerziale del sistema. E/c2 risulta troppo piccola in confronto alla massa m, che era presente prima dell’alterazione energetica. E’ grazie a questa circostanza che fu possibile stabilire con successo un principio di conservazione della massa come legge avente validità autonoma.”

fig.3 A sinistra, Particolare della lettera di Albert Einstein a Lincoln Barnett del giugno 1948; fig.4 A destra, Esperimento mentale di Einstein descritto nel 1905: Un corpo fermo avente energia a riposo E0 emette due fotoni nella stessa direzione, ma con versi opposti. Applicando il principio di equivalenza, in un riferimento stazionario e in un altro riferimento avente velocità v piccola rispetto alla velocità della luce, Einstein ottenne ΔE0=Δmc2.

La massa delle particelle in elettronvoltLa possibilità di trasformare, attraverso l’equazione di Einstein: E0=mc2, una massa in energia è così diffusa nel mondo della fisica delle particelle che normalmente le masse sono espresse in valori multipli di elettronvolt (eV). Ovviamente 1 eV è pari all’energia di una carica elementare e=1,6 10-19 J/V accelerata da una differenza di potenziale di 1V. Quindi 1 eV= 1,6 10-19 J. Da ciò si ricava che ad esempio per la massa di un protone mp=1,673 10-27 kg, E0=1,673 10-27 kg 9 1016m2/s2=15,057 10-11 J. La trasformazione dell’ultima quantità in elettronvolt avviene dividendo per 1,6 10-19eV/J. La “massa” del protone è allora: 941 MeV. Il valore più preciso che si ottiene con calcoli

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meno approssimati delle costanti in gioco è 938 MeV. Le tabelle della masse delle particelle per ricordare il procedimento adottato fanno seguire il valore dai simboli MeV/c2.

fig.5 Tabella relativa alle caratteristiche delle particelle del modello standard

Il difetto di massaJohn Cockcroft e Ernest Walton nel 1932 realizzarono la prima esperienza di radioattività, citata anche da Einstein, interpretata con l’ausilio dell’equivalenza massa energia. I due fisici, raggiunsero risultati eccezionali: misero a punto il prototipo di quello che poi fu chiamato acceleratore di Cockcroft-Walton, interpretarono alcune reazioni nucleari come disintegrazione di atomi di litio (6 anni prima della scoperta della fissione!), applicarono per le misure energetiche l’espressione di Einstein. Con l’ausilio di un fascio di protoni accelerati colpirono un bersaglio di litio e ipotizzarono che tra i prodotti della reazione vi fossero coppie di particelle alfa. La variazione di energia cinetica dei protoni accelerati era di 0,25 MeV, mentre l’energia cinetica di ogni particelle alfa fu valutata pari a 8,6 MeV. Il fenomeno radioattivo

Li+p → +comportava quindi una variazione di energia notevole. L’interpretazione di questa variazione, inizialmente non prevista, fu affidata al confronto con le masse atomiche del litio, del protone e delle particelle alfa (Li = 7,0104 uma; p = 1.0072 uma; 2 =8.0022 uma).Risultava infatti, secondo le tabelle dell’epoca, una differenza (rispetto all’unità di massa atomica) tra le masse dei “reagenti” confrontate con quelle dei prodotti della reazione uguale a: (0,0154±0,003) unità di massa atomica. In accordo con l’espressione di Einstein E= mc2, i due autori trasformarono l’unità di massa atomica con un valore corrispondente a 931 MeV ottenendo così una variazione di energia uguale a: (14,3±2,8) MeV. Un intervallo che comprendeva il valore prossimo a 17 MeV indicato in precedenza.Con lo sviluppo della fisica nucleare il metodo del calcolo del decremento della massa atomica venne ripreso in moltissimi esperimenti. Più in generale, oggi in fisica nucleare si parla di difetto di massa m di un nucleo. Esso misura la differenza fra la somma delle masse dei protoni e dei neutroni che lo costituiscono e la massa del nucleo stesso. In altre parole la massa non gode della proprietà di additività. Il nucleo stabile ha una

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massa inferiore a quello della somma dei componenti. Così come succede alla massa della molecola se confrontata con quella dei singoli atomi che la compongono, o alla massa dell’atomo rispetto alla massa del nucleo e degli elettroni. Solo nel caso nucleare però il rapporto m/m non è piccolissimo (ordine di grandezza 10-3). Il difetto di massa positivo, in accordo all’equazione di Einstein, misura l’energia di legame del nucleo stesso, ovvero l’energia necessaria per separarlo nei singoli nucleoni. Equivalentemente, l’energia liberata quando si forma il nucleo a partire dai protoni e dai neutroni. Nell’ultima figura sono rappresentati i diversi nuclei e il rapporto tra l’energia di legame e il numero di nucleoni, Così se l’elemento C12 avesse un difetto di massa di 0,17 10-27 kg l’energia di legame risulterebbe: 0,17 10-27 9 1016 J=1,53 10-11 J=96 MeV. Poiché il nucleo è composto da 12 nucleoni, l’energia di legame media a nucleone risulterebbe uguale a 8 MeV. Energia intorno alla quale si colloca la maggior parte dei valori del grafico.

fig.6 A sinistra, Apparato sperimentale dell’esperimento di Cockcroft e Walton per la conversione di massa in energia; fig.7 A destra, Energia connessa al difetto di massa misurata in funzione del numero atomico