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moleskine 28 LA REGIA MARINA ITALIANA DURANTE IL CONFLITTO 1940-43, TRA FELLONI E VITTIME Ricordo dedicato a tutti coloro che persero la vita, durante il conflitto 1940-43, per la fellonia ed il tradimento di alcuni ammiragli ed ufficiali della Regia Marina Italiana” M olte perplessità aleggiavano sulla Marina Militare, e non solo per il mancato intervento in Sicilia, ma anche perché la Flotta, per precisa volontà dello Stato Maggiore di quell›Arma, non venne più impegnata, negli ultimi anni di guerra, in operazioni belliche. Fu pertanto il comportamento complessivo tenuto da Supermarina, come si era ampollosamente soprannominato lo stesso comando della Marina, a far sorgere i peggiori sospetti. Il primo ad accusare pubblicamente e chiaramente, dopo la fine della guerra, alcuni ammiragli di fellonia e tradimento, fu Antonino Trizzino, un ufficiale dell›Aviazione, pubblicando il volume «Navi e poltrone». Ma già durante la guerra molti sospetti si erano appuntati nei confronti dell›Alto Comando della Marina Militare. A metà gennaio del 1942 si tenne, a Forte Braschi, una riunione dei massimi dirigenti del Sim, presieduto dal colonnello Cesare Amé. Quest›ultimo riferì: «Ho incontrato il capo di Stato Maggiore Generale, Cavallero, che mi ha fatto uno strano discorso: i mercantili che partono all›improvviso o che non seguono le rotte prescritte non vengono mai attaccati. Gli altri non hanno scampo. E› evidente che c›è spionaggio. Mi ha autorizzato a fare un›autentica invasione coi nostri agenti in tutti i porti». Il tenente colonnello Fattarappa-Sandri, che era il capo del controspionaggio, lo interruppe affermando che «Cavallero è fuori strada. Lo spionaggio non avviene nei porti. [...] Lo spionaggio parte da Roma». Tutti i presenti si convinsero, quindi, che «agli inglesi le notizie arrivavano per canali insospettabili e tutti di altissimo livello, il più alto dei quali era piazzato nel cuore della direzione navale. Cosa di cui Amé era convinto da un pezzo». Anche Mussolini, secondo Bastianini, nutriva i suoi bravi dubbi. Trizzino non si limitò a riproporre generiche denunzie ma, con grande coraggio, indicò anche i nomi dei vili e dei traditori: l›ammiraglio Bruno Brivonesi, che si era fatto completamente distruggere un convoglio di navi mercantili affidato, per la protezione, alla divisione navale che comandava; l›ammiraglio Gino Pavesi, comandante del presidio di Pantelleria, che sì era arreso senza sparare un colpo; il contrammiraglio Priamo Leonardi, comandante della Piazzaforte marittima di Augusta e Siracusa, che aveva addirittura ordinato lo smantellamento delle difese ancor prima che gli Alleati sbarcassero in Sicilia e che subito dopo si era reso irreperibile. Per quest’atto di viltà, su proposta dell’amm. Barone, fu ricompensato con la medaglia d’argento. Per quanto riguarda l›ammiraglio Franco Maugeri, capo dei servizi segreti della Marina, Trizzino si chiese: «C›era anche lui nel numero di quelli che volevano la fine a tutti i costi e con qualsiasi mezzo? Non possiamo dirlo, ma è certo che egli fu ricompensato con la decorazione americana della Legion of Merit, che porta sul petto, in riconoscimento dei meriti acquisiti appunto, mentre era a capo dell›Ufficio informazioni». E› di tutta evidenza che, nei primi anni di guerra, la supremazia della Marina militare italiana nel Mediterraneo, ed anche dell›Aviazione, era tale che, se gli ammiragli avessero voluto, avrebbero potuto fare sloggiare gli inglesi sia da Malta che da Giuseppe Pracanica Ammiraglio Franco Maugeri

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LA REgiA MARiNA iTALiANA dURANTE iL CONFLiTTO 1940-43, TRA FELLONi E ViTTiME

Ricordo dedicato a tutti coloro che persero la vita, durante il conflitto 1940-43, per la fellonia ed il tradimento di alcuni ammiragli ed ufficiali della Regia Marina Italiana”

Molte perplessità aleggiavano sulla Marina Militare, e non solo per il mancato intervento in Sicilia, ma anche perché la

Flotta, per precisa volontà dello Stato Maggiore di quell›Arma, non venne più impegnata, negli ultimi anni di guerra, in operazioni belliche. Fu pertanto il comportamento complessivo tenuto da Supermarina, come si era ampollosamente soprannominato lo stesso comando della Marina, a far sorgere i peggiori sospetti. Il primo ad accusare pubblicamente e chiaramente, dopo la fine della guerra, alcuni ammiragli di fellonia e tradimento, fu Antonino Trizzino, un ufficiale dell›Aviazione, pubblicando il volume «Navi e poltrone». Ma già durante la guerra molti sospetti si erano appuntati nei confronti dell›Alto Comando della Marina Militare. A metà gennaio del 1942 si tenne, a Forte Braschi, una riunione dei massimi dirigenti del Sim, presieduto dal colonnello Cesare Amé. Quest›ultimo riferì: «Ho incontrato il capo di Stato Maggiore Generale, Cavallero, che mi ha fatto uno strano discorso: i mercantili che partono all›improvviso o che non seguono le rotte prescritte non vengono mai attaccati. Gli altri non hanno scampo. E› evidente che c›è spionaggio. Mi ha autorizzato a fare un›autentica invasione coi nostri agenti in tutti i porti». Il tenente colonnello Fattarappa-Sandri, che era il capo del controspionaggio, lo interruppe affermando che «Cavallero è fuori strada. Lo spionaggio non avviene nei porti. [...] Lo spionaggio parte da Roma». Tutti i presenti si convinsero, quindi, che «agli inglesi le notizie arrivavano per canali insospettabili e tutti di altissimo livello, il più alto dei quali era piazzato nel cuore della direzione navale. Cosa di cui Amé era convinto da un pezzo». Anche Mussolini, secondo Bastianini, nutriva i suoi bravi dubbi. Trizzino non si limitò a riproporre generiche denunzie ma, con grande coraggio, indicò anche i nomi dei vili e dei traditori: l›ammiraglio Bruno Brivonesi, che si era fatto completamente distruggere un convoglio di navi mercantili affidato, per la protezione, alla divisione

navale che comandava; l›ammiraglio Gino Pavesi, comandante del presidio di Pantelleria, che sì era arreso senza sparare un colpo; il contrammiraglio Priamo Leonardi, comandante della Piazzaforte marittima di Augusta e Siracusa, che aveva addirittura ordinato lo smantellamento delle difese ancor prima che gli Alleati sbarcassero in Sicilia e che subito dopo si era reso irreperibile. Per quest’atto di viltà, su proposta dell’amm. Barone, fu ricompensato con la medaglia d’argento. Per quanto riguarda l›ammiraglio Franco Maugeri, capo dei servizi segreti della Marina, Trizzino si chiese: «C›era anche lui nel numero di quelli che volevano la fine a tutti i costi e con qualsiasi mezzo? Non possiamo dirlo, ma è certo che egli fu ricompensato con la decorazione americana della Legion of Merit, che porta sul petto, in riconoscimento dei meriti acquisiti appunto, mentre era a capo dell›Ufficio informazioni». E› di tutta evidenza che, nei primi anni di guerra, la supremazia della Marina militare italiana nel Mediterraneo, ed anche dell›Aviazione, era tale che, se gli ammiragli avessero voluto, avrebbero potuto fare sloggiare gli inglesi sia da Malta che da

Giuseppe Pracanica

Ammiraglio Franco Maugeri

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Alessandria, per cui, senza alcun dubbio, le campagne di Libia ed Egitto avrebbero avuto sorte ben diversa da quella che effettivamente ebbero. Scrisse Trizzino che il 1941 fu un anno terribile per i convogli italiani che trasportavano uomini e mezzi verso la «quarta sponda». «Il mare fu addirittura spazzato dalle navi italiane. Si stenta a credere che tanta sciagura abbia potuto essere causata soltanto da due piccoli incrociatori e da due cacciatorpediniere di stanza a Malta, che uscivano a far preda preferibilmente col buio», come il 9 novembre 1941 quando un convoglio di 7 piroscafi italiani, scortati da sei cacciatorpediniere, fu intercettato, al largo di Siracusa, da tale sparuto gruppo d›assalto e prontamente affondato. Invece di intervenire, «gli incrociatori Trento e Trieste, con quattro cacciatorpediniere, che navigavano dietro il convoglio per proteggerlo in caso di bisogno, virarono di bordo e si allontanarono». All›ammiraglio mancò «un po› più di animo». L›ammiraglio cui si riferisce Trizzino, anche se non lo nomina, è l›ammiraglio Brivonesi. Il 19 gennaio del 1953 il Ministero della Difesa, allora ministro era il repubblicano Randolfo Pacciardi, presentò denunzia al Procuratore della Repubblica di Milano accusando Trizzino di aver «vilipeso la marina militare dello Stato», con la pubblicazione del libro «Navi e poltrone». In particolare l›autore veniva accusato di aver scritto «che i capi della marina e la marina stessa, in occulto accordo con il nemico, avrebbe sabotato la guerra senza preoccuparsi delle vittime, e che i primi, in combutta con il nemico, avrebbero in favore di questo, svolta opera di spionaggio, esponendo senza difesa i convogli di rifornimento ai suoi attacchi e le navi da guerra al siluramento». In primo grado Trizzino venne condannato, perché il Tribunale ritenne che l›offesa al prestigio delle forze armate può anche realizzarsi mediante la critica vilipendiosa a tutti i loro capi. Invece la Corte d›Assise d›Appello di Milano, dopo una lunga disquisizione giuridica, stabilì che tale individuazione dei valori che andavano protetti non poteva esser condivisa, giacché vilipendere, nel senso letterale della parola, vuoi dire accusare di viltà, e certamente non accusa di viltà le forze armate chi «nel rievocare fatti di guerra, nel metterne a nudo gli aspetti riprovevoli, nel risalire alle cause e nel ricercare le responsabilità dei rovesci subiti, proponga al lettore la

rappresentazione di un›antitesi tra il valore dei più ed il disvalore dei pochi, anche se questi pochi si trovino per avventura insediati al vertice della gerarchia». Dopo una tale impostazione del processo, fu necessaria, per ammissione degli stessi giudici di Milano, una attenta rilettura critica del libro incriminato, con particolare riferimento agli episodi che erano stati oggetto di querela per diffamazione a mezzo stampa da parte di alcuni ammiragli, ma che non facevano più parte della causa in quanto espunti per sopraggiunta amnistia. L›ammiraglio Brivonesi, nella sua querela, si era lamentato che Trizzino «nel narrare l›affondamento di un convoglio italiano da parte delle forze navali inglesi, avvenuto la notte del 9 novembre 1941 nelle acque del Mediterraneo, aveva falsamente asserito che Brivonesi, comandante della divisione di incrociatori addetta alla protezione di quel convoglio, si era sottratto per viltà al combattimento, lasciando in balia del nemico le navi che avrebbe dovuto proteggere». Secondo la Corte, quanto denunziato da Trizzino, in base alle testimonianze raccolte ed alle prove documentali, peraltro allegate agli atti di causa, rispondeva invece al vero. Infatti

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non solo il convoglio di scorta comandato da Brivonesi non si interpose tra le navi italiane e gli incrociatori inglesi, «ma la circostanza più grave è che la divisione ruppe il contatto balistico e abbandonò il campo mentre l›azione nemica era in atto e forse nella fase più distruttiva» (furono sparati dalle navi comandate da Brivonesi 289 colpi ma, incredibilmente, neppure uno raggiunse le navi nemiche, NdA). Mussolini, appresa la notizia del disastro e saputo della codardia del Brivonesi, invece di farlo fucilare immediatamente, si limitò a farlo sbarcare. La Corte Marziale, di fronte alla quale inevitabilmente dovette finire, dopo aver perso, con le motivazioni più varie, oltre un anno di tempo, e nonostante le scuse, ridicole e risibili, avanzate a sua discolpa dall›ammiraglio, lo prosciolse con formula piena. La vigliaccheria o, comunque, l›incapacità dimostrate di fronte al nemico, non potevano rimanere senza adeguato riconoscimento, per cui gli allora responsabili di Supermarina, prontamente, gli affidarono il comando del dipartimento marittimo della Maddalena. Indubbiamente Trizzino non intendeva estendere le sue accuse di viltà e di intelligenza con il nemico, indiscriminatamente a tutti i capi e comandanti della Marina. Infatti oltre ai comandanti in mare che considerava vittime di Supermarina, escluse anche parecchi ufficiali che ricoprivano alti gradi nella Marina, compresi alcuni che lavoravano negli uffici dello stesso Comando Supremo della Marina: gli ammiragli Jachino, Campioni, Sansonetti, Somigli, etc. Il non aver presentato querela non salvò l›ammiraglio Maugeri dagli sferzanti giudizi della Corte d›Assise d›Appello di Milano. Nella sentenza citata infatti si legge che «il ragionamento di «Trizzino segue un filo conduttore che è stato tracciato da altra mano: prende le mosse da una frase rivelatrice che si legge nel libro dell›ammiraglio Maugeri, pubblicato in lingua inglese da un editore americano [From thè Ashes of Disgrace, New York, 1948]: “L’Ammiragliato britannico aveva abbondanti amici tra i nostri ammiragli anziani e nello stesso ministero della Marina. Sospetto che gli inglesi fossero in grado di ottenere genuine informazioni direttamente alla fonte. In questo caso non c’era bisogno di spendere danaro e sforzi per avere un esercito di agenti scorazzanti per i fronti a mare di Napoli, Genova, Taranto, La Spezia”. Rivelazione gravissima, come si vede, e tanto più grave in quanto proviene da

una fonte qualificata: da colui che fino all›armistizio fu a capo dell›ufficio informazioni della marina, resse cioè le fila del controspionaggio». Conferma di quanto sostenuto da Maugeri si trova in un rapporto segretissimo, risalente al 1942, ma ritrovato solo nel 1953: “All’inizio del ‘42 gli elementi informativi [trasmessi a Londra] assunsero un tale grado di precisione da far ritenere indiscutibile che la fonte dovesse trovarsi in seno al ministero stesso della Marina, sia nell’Uffico Informazioni Segrete.” La sentenza della Corte d’Appello di Milano, pertanto, concludeva “Non si ravvisano, dunque, sotto il profilo dell’elemento morale, gli estremi del delitto di vilipendio delle forze armate: il Trizzino deve essere assolto da questa imputazione perché il fatto non costituisce reato.” Particolarmente coinvolto da quanto avevo letto dedicai un libro sull’ultima guerra, scritto assieme a Giovanni Bolignani, “A tutti coloro che persero la vita, durante il conflitto 1940-43, per la fellonia ed il tradimento di alcuni ammiragli ed ufficiali della Regia Marina Italiana”. La provocazione non ebbe effetto di sorta.