Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna...

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Primo volume dell'opera dell'Ufficio Storico della Regia Marina sull'operato dell'arma durante la Grande Guerra 1915-1918.

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U F F I C I O S T O R I C O D E L L A R. M A R I N A

LA MARINA ITALIANA NELLA GRANDE GUERRA

VOLUM E I

VIGILIA D’ ARMI SUL MAREDalla pace di Losanna alla Guerra Itaio-Austriaca

V A L L E C C H I - F I R E N Z E

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LA MA RI NA I T A L I A N A

NELLA GRANDE GUERRA

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UFFICIO STORICO DELLA R. MARINA

LA MARINA ITALIANA

NELLA GRANDE GUERRAVOLUME I.

VIGILIA D’ARMI SUL MARE

Dalla pace di Losanna alla Guerra Italo-Austriaca

V A L L E C C H I E D I T O R E F I R E N Z E

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Il presente volume è stato compilato dal capitano di vascello G. Almagià e dal capitano di corvetta A. Zoli.

I diritti di edizione e traduzione, anche di semplici brani, sono riservati.

Firenze, 1935-XIII - Stab. Grafici A. Vallecchi, Viale dei Mille, 72.

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P R E M E S S A

Già da parecchi anni l’ ufficio storico della R. Marina ha descritto gli avvenimenti della nostra guerra sul mare in una Cronistoria documentata della guerra marittima italo-austriaca 1915-18.

È un’opera che consta di ben nove fascicoli che riguardano la preparazione dei mezzi ed il loro impiego; di dieci fascicoli che trattano dell’ im­piego delle forze navali e delle operazioni relative, e di sette altri fascicoli che trattano argomenti speciali non contenuti nelle due precedenti colle­zioni. Questi fascicoli, sia per il formato poco ma­neggevole, che fu adottato in un primo tempo uni­camente per consentire eventuali correzioni e mo­difiche, sia per la limitata tiratura, non sono af­fatto conosciuti dal pubblico, e poco noti sono agli stessi nostri ufficiali.

È vero che gli ultimi volumi della serie speciale intitolati Gli avvenimenti della guerra nei riflessi della legislazione marittima, D ’Annunzio combat­tente al servizio della R. Marina, L ’ attività della R. Marina dalla guerra libica a quella italo-au-

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siriaca, Il traffico marittimo, Le occupazioni adria- tiche e I nostri sommergibili durante la guerra, avendo avuto una forma più maneggevole ed una più larga tiratura, sono stati diffusi con grcùrule successo. Ma le richieste, da parte di ufficiali e di privati, dei primi volumi pubblicati (ormai per la maggior parte esauriti), i voti espressi da emi­nenti personalità in vari congressi storici, hanno indotto il nostro ufficio a procedere non ad una pura e semplice ristampa dei fascicoli della cro­nistoria, ma a porre mano ad una vera e propria storia, che, valendosi di tutti gli elementi di archi­vio già esistenti, di altri venuti alla luce, e dei giudizi espressi in opere straniere che trattano anche delle nostre operazioni, prenda il nome La Marina italiana nella grande guerra.

L’opera consterà di diversi volumi. Il primo, intitolato Vigilia d’ armi sul mare, tratta del pe­riodo precedente al 24 maggio 1915, e vede ora la luce. Gli altri seguiranno a breve scadenza.

I\on avendo preteso di fare opera perfetta, V ufficio storico sarà grato a tutti coloro che fa­ranno notare eventuali inesattezze od omissioni.

Il Capitano di Vascello Capo dell’ufficio storico della R. Marina.

G u i d o A l m a c i à .

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PARTE PRIMA

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C a p it o l o I .

DALLA PACE DI LOSANNA ALLA FINE DEL 1913

S o m m a r i o :

La marina italiana alla fine della guerra italo-turca. — Le «quadre internazionali a Costantinopoli. — Occupazione di Co­stantinopoli da parte delle forze intemazionali, — Il caos alba­nese. — Il rinnovamento della Triplice Alleanza. — Il fosco orizzonte politico nel dicembre 1912. I « Giovani Turchi » e la seconda guerra balcanica. — Valona. — La politica italiana in Adriatico. — Le aspirazioni slave. — I serbi a Durazzo. — La situazione militare albanese nei primi mesi del 1913. — Le prime nubi italo-austriache per l ’Albania. — L’assedio di Scutari. — La flotta internazionale ad Antivari. — Il blocco del Montenegro. — La capitolazione di Scutari. — Preparativi per l ’ occupazione di Valona. — Mobilitazione parziale e dislocazione della flotta ita­liana. — La politica austriaca in Albania. — L’occupazione inter­nazionale di Scutari. — La delimitazione dei confini dello Stato albanese. — L ’orizzonte politico si rasserena. — La flotta nelle basi. — Periodo di raccoglimento. — Costituzione delle forze navali. — La flotta francese in Levante.

La guerra italo-turca aveva impegnato la quasi totalità delle forze navali per oltre un anno in un vasto' bacino di operazioni (che comprendeva tutto il Mediterraneo orientale ed il Mar Rosso) di cui

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il dominio assoluto era stato conquistato in grazia ad una ininterrotta attività.

Le navi di linea, gli incrociatori, le siluranti e i cacciatorpediniere rimasero costantemente in mare, compiendo faticose crociere dal Tirreno al- T Egeo, dalle coste inospitali della Libia ai mal­fidi approdi del Mar Rosso e dell’ Oceano Indiano.

Per comprendere la mole dello sforzo compiuto esaminiamo il numero delle unità che presero parte attiva alla campagna di Libia:

36 navi da battaglia e incrociatori, 63 silu­ranti, 22 navi sussidiarie, 8 incrociatori ausiliari, 17 cannoniere e navi minori. In totale 146 navi da guerra.

Oltre a queste si ebbero, in servizio della Re­gia Marina, ben 106 navi onerarie requisite, che in unione alle precedenti costituirono un complesso veramente notevole di 252 navi, armate di 1255 cannoni e che in un anno spararono 32056 colpi; affondarono 13 unità da guerra avversarie, oltre alle numerose unità da commercio affondate o cat- turate.

Il personale del corpo reale equipaggi, che al- l ’ inizio della campagna contava un totale di 30 mila uomini, raggiunse nel 1912 la cifra di 41 mila uo­mini.

Dobbiamo infine ricordare che, mentre le ope­razioni militari svolte dalle truppe del R. Esercito ebbero carattere di guerra coloniale e non impe­gnarono che una parte deH’esercito nazionale, le

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operazioni navali dovettero essere condotte con quei criteri che si richiedono ad una guerra tra po­tenze marittime e resero di conseguenza necessa­ria la mobilitazione e 1’ impiego totale delle forze navali.

È facile comprendere quali furono gli effetti della guerra libica nei riguardi della efficienza della flotta.

Le continue crociere, le operazioni militari con­tro le coste nemiche, gli scontri navali, gli sbar­chi, le scorte ai convogli, diedero la possibilità al personale di conseguire un grado realmente note­vole di allenamento, tennero vivo l ’ entusiasmo e lo spirito offensivo, aumentarono l ’ esperienza e la confidenza in ogni genere di attività navale.

In tutti i gradi, in tutte le categorie l ’ affiata­mento era perfetto, così che nel 1912 la marina italiana si presentava come un complesso moral­mente armonico e ottimo.

Il personale, che alla fine della guerra era stato congedato, costituiva infine una magnifica riserva di uomini di mare, e ne fu constatata la preziosa preparazione quando, dopo breve tempo, essi ri­presero il loro posto a bordo durante la grande guerra.

Poco favorevole, invece, per la marina era il bilancio nei riguardi del materiale.

L ’ intensa attività svolta era stata causa di un inevitabile logorìo di macchinari, in modo par­ticolare per quelli delicatissimi delle siluranti.

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Buona p a r t e delle spese del bilancio era stata assorbita dalla necessità di acquisto del combusti­bile consumato durante la guerra, a detrimento delle normali riserve, delle costruzioni e del rin­novamento del materiale in genere.

La pace di Losanna avrebbe dovuto quindi se­gnare per la marina 1’ inizio di un periodo di rac­coglimento e di riposo allo scopo di ridare ad un materiale tanto costoso e delicato, quale era quello della flotta, la sua completa efficienza.

* * H*

L ’orizzonte politico europeo con lo scoppio della guerra balcanica assumeva un aspetto quanto mai nebuloso e gravido di avvenimenti.

Gli interessi nazionali, minacciati da continui pericoli nella delicata situazione che si andava svi­luppando in Europa, richiesero di nuovo l ’ opera della marina, che fu in tale maniera ancora chia­mata a vigilare e a svolgere dalla fine del 1912 allo scoppio della guerra europea una notevole at­tività, e questa a detrimento dell’ indispensabile periodo di riposo di cui abbiamo indicato più 60- pra la necessità.

È quanto mai interessante l ’esame, sia pure breve, degli avvenimenti a cui presero parte le nostre navi da guerra, in seguito alla situazione politica creatasi nell’ Oriente europeo alla fine del 1912.

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Il racconto dei fatti svoltisi dall’ ottobre 1912 al luglio 1914 può apparentemente esorbitare dallo scopo della presente pubblicazione che si propone dT illustrare l ’opera della marina italiana nella grande guerra.

Ma le operazioni, a cui parteciparono le no­stre navi, ebbero un carattere così affine con l ’at­tività guerresca, da potere talora essere considerate ■come un seguito delle operazioni navali della guerra libica ed apparire come i prodromi della grande guerra.

Si può affermare, senza tema di dire inesat­tezze, che talune nostre navi da guerra si misero in assetto di combattimento nell’ ottobre del 1911 e mantennero tale assetto, entrando anche in azione ed eseguendo operazioni guerresche, fino alla con­clusione dell’ armistizio con l ’Austria.

Non si può non ricordare quasi con commo­zione il nome di talune di queste navi, oggi de­molite, che portarono in tutto il Mediterraneo fie­ramente spiegata la bandiera della Patria, prime sempre ad essere inviate ove era necessario affer­mare la volontà della giovane nazione italiana, de­cisa a riprendere nelle grandi competizioni marit­time il posto che la natura e la storia le avevano as­segnato. ' »

Tale attività fu sovente esplicata a prezzo di gravi sacrifizi da parte di comandanti, ufficiali ed equipaggi che fecero miracoli di abnegazione e di abilità per supplire alle deficienze del materiale,

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derivate dall’ assoluta impossibilità di concedere turni di lavoro, ricambi di macchinari, rettifiche alle artiglierie, riparazione degli scafi.

Il compito così gravoso fu spesso sopportato da talune unità, la cui perdita o il cui logorìo avreb­bero meno diminuita la potenza navale della ma­rina, perchè più antiquate e meno efficienti, ma che appunto per tali ragioni più delle altre avreb­bero dovuto ricevere una destinazione tranquilla nella flotta di riserva, e trascorrere gli ultimi anni della loro vita in un giusto riposo nella quiete delle darsene militari.

Come non ricordare i nomi gloriosi della R. N. Saint Bon, dell’Agordat, del Piemonte, tanto per citare qualcuna delle unità che più sovente ritro­veremo nelle pagine di questo volume?

La breve narrazione cronologica degli avveni­menti a cui partecipò la marina dal 1912 al 1915, varrà meglio di qualsiasi commento ad illustrare e a far comprendere l ’ importanza di tale intervento.

* # *

I preliminari di pace con la Turchia erano stati firmati a Losanna il 15 ottobre 1912.

Non erano trascorsi che 20 giorni da tale data, allorché la Turchia apriva gli stretti alle navi da guerra neutrali, in seguito alla pressione esercitata dai rappresentanti diplomatici delle varie nazioni, di fronte al pericolo di gravi torbidi a Costantino­

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poli, provocati dal timore che l ’ esercito turco scon­fitto dagli eserciti bulgari si riversasse in rotta di­sordinata sulla città.

L ’ Italia provvide all’ immediato invio della co­razzata Emanuele Filiberto, appartenente alla se­conda squadra dislocata ancora in Egeo, e che, no­nostante la necessità di svolgere i lavori annuali, non aveva ancora potuto essere rimpatriata.

Il mattino del 9 novembre 1’ Emanuele Fili­berto dava fondo all’ancora nel Bosforo.

La situazione politica può essere chiaramente compresa da alcuni brani del rapporto che il co­mandante di detta nave, capitano di vascello Mo­rino, inviò a Roma subito dopo l ’ arrivo e che qui in parte riproduciamo :

«N on appena espletate le prime formalità, dopo avere preso la fonda, iniziai le visite di dovere e mi recai anzitutto sulla nave francese Léon Gam­betta a visitarvi il contrammiraglio Dartige du Four- net che ha assunto la direzione dell’ azione collet­tiva delle navi estere per la protezione degli Eu­ropei qui residenti.

« Nel pomeriggio dello stesso giorno mi recai a far visita a S. E. l ’ ambasciatore di Germania, che per il ritardato arrivo del nostro incaricato d ’af­fari, conte Manzoni, conservava tuttora le funzioni del rappresentante dell’ Italia, ed egli mi sinte­tizzò la situazione accennandomi che il Gran Visir aveva dichiarato non essere da escludersi che tutto il mondo mussulmano qui residente — cioè una po­

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polazione di 650.000 persone — stretto dal nemico e perduta ogni via di scampo, prima di abbando­nare la costa d’ Europa per rifugiarsi in Asia, avrebbe forse sotto il cieco furore del fanatismo riversato il suo odio sulla popolazione cristiana (300.000 persone) non esitando ad abbandonarsi al saccheggio ed ai massacri....

« Intanto la presenza a Costantinopoli delle navi ha indubbiamente portato un senso di sollievo nella popolazione europea e altresì in quella turca che temeva disordini dalla plebe facinorosa mussul­mana......».

Il giorno 11 novembre giungeva a Costantino­poli la R. N. Coatit (comandante A. Cerbino).

Il giorno 13 si univa alle precedenti unità la R. N. ospedale Re d’Italia.

Ricordiamo a tale proposito che il Re d’ Italia suscitò l ’ interesse di tutti i medici militari della flotta internazionale che studiarono attentamente le installazioni sanitarie di tale unità.

Contemporaneamente la marina italiana met­teva a disposizione del comandante superiore della flotta internazionale il piroscafo Luigino Accame con 2000 tonnellate di carbone.

Da un successivo rapporto del comandante Mo­rino, di cui diamo una riproduzione parziale, così appare l ’ opera svolta dalle forze internazionali:

« __ il mattino del 18 novembre 1912 alle ore 5tutte le navi misero a terra i loro reparti di mr sinai. Il Filiberto sbarcò una compagnia comandata da

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un tenente di vascello ed una mitragliera, con un totale di 5 ufficiali e 159 uomini, e il Coatit sbarcò un plotone di 40 uomini comandato da un sot­totenente di vascello. Le forze da sbarco del Fili­berto furono accentrate in parte nelle scuole ita­liane ed in parte nell’ ospedale italiano. Quelle del Coatit, il cui compito si restringeva alla protezione dell’ ambasciata e del consolato d’ Italia, furono ac­cantonate in questi stessi edifici.

« In totale le navi estere hanno complessiva­mente sbarcato 2639 uomini e la determinazione di procedere allo sbarco di questa notevole forza fu adottata in una riunione degli ambasciatori, il giorno 17 corr., non già perchè l ’ ordine pubblico minacciasse di essere turbato, bensì per una mi­sura precauzionale onde all’ oocorirenza i contin­genti esteri si trovassero già nei settori loro asse­gnati senza doverli raggiungere precipitosamente ad improvviso segnale...».

Il giorno 19 è segnalato l ’ arrivo della nave au- siliaria Bosnia (comandante capitano di corvetta Vaccaneo), che recava S. E. il marchese Garroni, nostro ambasciatore, e il giorno successivo giunse anche la corazzata B. Brin (comandante capitano di vascello Arturo Resio), in modo che le nostre forze navali comprendevano due corazzate, un esplora­tore, una nave ospedale e due navi ausiliarie.

Il reparto da sbarco italiano, che prese parte alla oc; azione di Costantinopoli, fu in totale di 400 uomini circa con 2 mitragliere.

2 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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Il comando superiore delle forze italiane era stato assunto dal capitano, di vascello A. Resio, co­mandante della R. N. B. Brin.

* * *

Contemporaneamente agli avvenimenti in Le­vante, si creava una nuova delicata situazione in Albania, tale da richiamare subito l ’ attenzione dei governi di Roma e di Vienna solidali circa l ’ as­setto politico albanese per accordi esistenti fin dal 1898.

La minaccia greca e serba contro l ’Albania, indusse l ’ Italia, d’ accordo con l ’Austria, a inco­raggiare la costituzione di uno stato albanese, la cui indipendenza fu proclamata il 12 novembre 1912 da un governo provvisorio presieduto da Ismail Kemal IBey.

Pochi giorni dopo Turchia, Serbia e Montene­gro, concludevano un armistizio, che però non fu seguito dalla pace, ed a cui la Grecia rifiutò di par­tecipare per avere mano libera nelle occupazioni territoriali nell’ Epiro settentrionale, che costituiva una delle sue ben note aspirazioni.

Infatti il 3 dicembre VAgenzia Stefani diramava il seguente comunicato :

« Due cannoniere greche hanno bombardato la città di Valona che non è fortificata.

«U no shrapnel è scoppiato fra il consolato ita­liano e quello austro-ungarico.

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« Ismail Kemal Bey, visto il panico della po­polazione, ha inviato a bordo dei parlamentari, ai quali il comandante greco ha risposto di avere or­dine di bloccare la costa albanese quale territorio turco e perciò ha detto di ritenere di avere agito secondo il suo diritto. Disse che la città doveva ar­rendersi alla Grecia che avrebbe trattato fraterna­mente gli albanesi.

<c Ismail Kemal Bey ha diretto subito una pro­testa telegrafica alle grandi potenze».

L ’ azione della Grecia indusse i governi di Roma e di Vienna a manifestare ad Atene che non pote­vano approvare operazioni tendenti all’ occupa­zione di Valona e Saseno.

¡E, poiché il momento politico assumeva una gravità eccezionale, il 5 dicembre veniva rinnovata tra l ’Austria, Germania e Italia la Triplice Allean­za con notevole anticipo sulla data di scadenza.

La proclamazione dell’ indipendenza albanese era stata accettata dalle potenze della Triplice In­tesa (sebbene con poca soddisfazione della Francia e della Russia) nella speranza che tale soluzione potesse evitare il seguito di più gravi complicazioni balcaniche, che avrebbero trascinato qualcuna delle potenze maggiori, e particolarmente l ’Austria e la Russia, ad un intervento universalmente giudicato come il segnale inevitabile della tanto temuta con­flagrazione europea.

Vari erano i sintomi del pericolo imminente.Fino dal 15 novembre l ’Austria aveva richia­

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mato nelle sue basi tutte le navi dislocate in Egeo e a Costantinopoli.

Il 10 dicembre, con intenzione ben chiara di carattere politico, la squadra francese appariva al largo di Ventimiglia e negli stessi giorni sommer­gibili e siluranti francesi evoluivano ostentatamente presso Pantelleria.

In considerazione di tali fatti, il ministro della marina, per accordi presi col presidente del con­siglio, emanava le disposizioni necessarie per ri­chiamare nelle acque nazionali la seconda squadra, che era ancora in Levante, e le rimanenti unità dislocate all’ estero, e informava i comandi navali dell’ incertezza della situazione politica.

In tale periodo, ma solamente per breve tempo come vedremo in seguito, la flotta fu riunita in Italia, composta nella seguente maniera :

l a S q u a d r a . Corazzate : Regina Elena (insegna del comandante in capo vice ammiraglio Viale); Vittorio Emanuele; Napoli; Roma; incrociatore co­razzato Pisa (insegna del comandante di divisione contramm. Cito); Amalfi; S. Giorgio; S. Marco.

2a S q u a d r a . Corazzate : Regina Margherita (in ­segna del comandante in capo vice ammiraglio M. Amero d’Aste Stella); B. Brin; E. Filiberto; Saint Bon; incrociatore corazzato G. Garibaldi (in­segna del comandante la 2a divisione contrammi­raglio Patris); F. Ferruccio; 1 esploratore; 22 cac­ciatorpediniere; 1 nave cisterna; 1 nave officina;2 posamine.

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I s p e t t o r a t o s i l u r a n t i . Incrociatore corazza­to : V. Pisani (insegna del contramm. P. Thaon di lievel); 4 squadriglie torpediniere alto mare (su 6 unità); 7 squadriglie torpediniere costiere (su 6 unità).

D i v i s i o n e n a v i s c u o l a . Corazzate: Re Um­berto (insegna del contrammiraglio Y. Cerri); Si­cilia; Sardegna; incrociatore corazzato Carlo Al­berto; R. N. Lombardia, nave appoggio sommer­gibili; 2 squadriglie sommergibili (su 6 unità).

Rimanevano tuttora fuori delle acque nazio­nali : Coatit, Archimede e la nave ausiliaria Ba­sili a a Costantinopoli; i. c. Varese e c. t. Artigliere e Bersagliere in Egeo; mentre in Libia stazionavano per le operazioni militari contro i ribelli arabi 1’ i. protetto Etruria, 1’ i. ausiliario Città di Siracusa, la cannoniera Tobruk e 4 torpediniere a. in., e in Cirenaica il vecchio incrociatore Bausan, la R. IN. Misurata e 4 torpediniere a. m.

Nel Mar Rosso stazionavano le cannoniere Staf­fetta, Volturno, Curtatone, Giuliana.

* * *

Similmente ai provvedimenti presi dalla marina italiana, anche la marina austriaca attuava provve­dimenti militari e si approntava per l ’ eventuale azione.

Oltre al richiamo, già accennato, delle navi da guerra presenti a Costantinopoli, era stato nomi­

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nato comandante in capo della flotta il vice ammi­raglio Antonio Haus, con pieni ed eccezionali po­teri; le classi in congedo, inclusavi quella del 1905, erano state richiamate, e la flotta di riserva, com­pletata di personale, assumeva la posizione di ar­mamento.

Frattanto perduravano le trattative a Londra per indurre la Turchia ad accettare la pace.

L ’ azione diplomatica esercitata dalle potenze maggiori con le dure condizioni imposte, ridestava il fermento nel inondo mussulmano, e ne derivò la necessità di una nuova dimostrazione navale nel Bosforo, da parte delle potenze europee.

Mentre gli avvenimenti si seguivano di giorno in giorno suscitando sempre più viva attenzione nelle già turbate cancellerie europee, Enver IBey, reduce dalla Libia, alla testa dei «Giovani Tur­ch i», rovesciava il governo del Gran Visir il gior­no 23 gennaio 1913, e il 3 febbraio si riaprivano le ostilità tra la Turchia e gli Stati balcanici.

Nei medesimi giorni lo scoppio di un moto an­ticristiano nel Vilayet di Smirne provocava da parte del nostro console la richiesta di una nave da guerra.

Così ancora una volta si manifestò indispensa­bile per 1’ Italia l ’ invio di numerose navi da guerra nel travagliato Levante mediterraneo per la tutela della bandiera nazionale e per la cooperazione con le altre nazioni.

Fu quindi decisa la dislocazione a Costanti­nopoli di una delle nostre divisioni più moderne.

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L’ i. c. Pisa e 1’ i. c. S. Marco affondavano l ’ancora nel Bosforo il 9 febbraio, mentre l ’ esplo­ratore Agordat e un c. t. giungevano a Smirne, in attesa che 1* i. c. San Giorgio, che si preparava a partire da Taranto, potesse sostituire VAgordat.

Sulla Pisa era alzata 1’ insegna del c. a. Cito co­mandante della divisione, alla quale si era anche aggiunta la R. N. Archimede, destinata a rimanere come stazionaria nella capitale turca.

* * *

Alla necessità di vigilare da vicino gli avveni­menti di Costantinopoli si aggiungeva per l ’ Italia, sempre a mezzo della sua flotta, la convenienza di un’ oculata sorveglianza per quanto avveniva nelle coste orientali dell’Adriatico.

L ’ importanza della posizione strategica marit­tima di Valona e delle coste albanesi in genere aveva attirato sempre l ’ attenzione del nostro stato mag­giore. Gli avvenimenti politici, che si svolgevano in Albania, non potevano infatti lasciare indiffe­renti nè l ’ Italia nè l ’Austria.

Esisteva e vi abbiamo già accennato, una con­venzione italo-austriaca la quale stabiliva fin dal 1900 che nn’ eventuale azione militare austriaca verso Scutari, sarebbe stata compensata con il di­ritto dell’ Italia ad occupare Valona. Infatti, men­tre l ’ Austria mirava ad aprirsi nei Balcani la strada verso Salonicco per uno sbocco commerciale in Le-

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vante, 1’ Italia tendeva ad assicurarsi il controllo del canale di Otranto.

L ’azione dei due governi in Albania sotto la turbolenta minaccia serbo-greca, doveva svolgersi quindi in comune accordo, provocando inevitabil­mente il malcontento, sia pure larvato, della Rus­sia, che vedeva di buon occhio la tendenza slava verso l ’Adriatico, e quello più palese della Fran­cia, che mirava a creare una minaccia greca al nostro potere marittimo in Levante.

Essendo ancora prematuro da parte italiana l ’ invio di una nave da guerra nell’ Albania setten­trionale, considerata sfera d’ influenza austriaca, vi fu inviato il piroscafo requisito Caprera con 1’ incarico, dopo aver sbarcato a Durazzo il nostro console cav. Dolfini, di assicurare le comunicazioni radiotelegrafiche tra il nostro consolato e 1’ Itali i.

A bordo di tale nave ausiliaria era anche im­barcato in incognito un nostro osservatore, il te­nente di vascello Torrigiani, con la missione di vi­gilare sulla situazione.

Abbiamo già detto come il 27 novembre 1912 fosse proclamata l ’ indipendenza albanese; ciò non ostante il giorno successivo a tale proclamazione le truppe serbe occupavano Durazzo, Elbassan, Ti­rana ed altri centri minori, e qualche giorno più tardi, oltre ad eseguire il ricordato bombardamento di Valona, le truppe greche sbarcavano a Saseno e tagliavano il cavo telegrafico Otranto-Valona.

¡Perdurando dopo tali avvenimenti lo stato di

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disordine, ma non essendo ancora avvenuto un de­ciso intervento austriaco nella zona di Scutari, r Italia si limitò ad un’ azione di assistenza tra le popolazioni albanesi e le truppe serbe che avevano occupato Durazzo.

Un intervento decisivo sarebbe stalo prematuro, giacche le diplomazie lavoravano attivamente per assicurare il mantenimento dell’ indipendenza al­banese allo scopo di scongiurare un’azione au­striaca. Tn speciale modo la Russia usava tutta la sua influenza sui governi di Belgrado e Cettigne per indurli a rinunciare al loro sogno di un porto albanese sull’Adriatico.

Intanto il piroscafo requisito Caprera fu sosti­tuito dal piroscafo requisito Cariddi, che rimase a Durazzo continuando il servizio delle comunicazioni r. t. e sbarcando materiale sanitario, che veniva offerto, dall’ Italia, a mezzo del nostro console, alle autorità serbe di occupazione per l ’ assistenza alle truppe e alle popolazioni civili. E poiché a Du­razzo verso la fine di gennaio si era concentrata una grande quantità di feriti e di ammalati del­l ’ esercito serbo, e la scarsità dei mezzi ospedalieri e di trasporto facevano sorgere una situazione quanto mai penosa e pericolosa dal punto di vista sanitario, il governo italiano con atto veramente generoso mise a disposizione delle autorità serbe la R. N. ospedale Regina d’ Italia, che comandata dal capitano di fregata Basso giunse a Durazzo il giorno 8 febbraio,

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Quanto preziosa sia stata l ’ opera di assistenza prestata dalla R. Marina ai Serbi in tale occasione, può facilmente essere compreso dalla lettura del rappòrto del comandante della nave ospedale che riproduciamo nella sua integrità:

«M i recavo subito dal R. Console cav. Dolfini, per prendere gli opportuni accordi circa 1’ imbarco degli ammalati e feriti.

« Mi recavo quindi dal governatore militare lo­cale serbo, colonnello Bulich e con lui e i suoi sanitari venne stabilito che l ’imbarco avrebbe avuto inizio l ’ indomani 9 febbraio alle ore 6 del mat­tino. Mi resi subito conto che più che feriti si sarebbe trattato di ammalati essendo il concetto delle autorità quello di sgombrare i locali adibiti ad ospedali ed infermerie del massimo numero di degenti per far posto ai feriti delle azioni pros­sime e probabilmente risolutive della presa di Scutari.

«A ltro fatto che risultò lucidamente fu l ’ av­versione mostrata dai sanitari serbi a permettermi, assieme ai medici, di visitare gli ospedali o locali adibiti a tale uso.

« Gli ammalati vi erano ammucchiati in modo indescrivibile e sotto una coperta stavano spesso tre persone : il vitto scarsissimo, deplorevole la pu­lizia, scarsi i rimedi, elevata la mortalità.

« Poco prima del tramonto una commissione di medici serbi si presentava a bordo pregando a nome del colonnello Bulich di andare, prima di sgom­

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brare Durazzo, a raccogliere dei feriti a S. Gio­vanni di Medua, ritornando poi a Durazzo per com­pletarsi in ordine ai posti disponibili. Ciò non cor­rispondeva alle istruzioni ricevute; pur tuttavia al­l’ alba dell’ indomani, 9 febbraio, lasciavo Durazzo, dirigendo a San Giovanni di Medua, dove giungevo alle 8,30; imbarcavo in breve tempo 120 ammalali e due ufficiali e ricevevo nel contempo la preghiera di aspettare ancora altri ammalati che avrebbero dovuto venire da Alessio.

«L e preghiere di trattenermi provenivano dal colonnello Popovich, comandante supremo delle forze operanti presso Durazzo (uno dei noti pro­motori e forse autori dell’ eccidio dei Reali di Ser­bia) ma non mi fu possibile parlare con lui, nè leggere un suo fonogramma.

«Questa indeterminatezza mi decise a stabilire nettamente un limite ed informai che avrei atteso fino alle otto dell’ indomani dopo di che sarei tor­nato a Durazzo aggiungendo che qualora avessi avuto a Durazzo una formale e chiara richiesta del colonnello 'Bulich, non avrei avuto difficoltà a ritornare a San Giovanni.

« Alle otto dell’ indomani nulla scorgendosi nè avendo comunicazioni di sorta, partivo per Durazzo ove giungevo alle ore 10. Si iniziava 1’ imbarco de­gli ammalati e feriti e nella giornata se ne presero circa 300. Al far della notte si interruppe il ser­vizio e, poco dopo, la commissione solita si presentò d’ordine del governatore ad informare che il go­

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verno serbo aveva noleggiato un vaporetto greco, ancorato a San Giovanni di Medua, per portare quegli altri feriti che avrei dovuto prendere io se fossero stati pronti (circa 500).

« L ’ indomani alle 8 giungeva infatti il vapo­retto ed iniziai l ’ imbarco di una parte dei suoi am­malati e feriti, se non che, ad un certo inomento, venne un messo del colonnello Bulich a dirmi ch^ aveva cambiato idea e che gli sembrava più na­turale darmi quelli di Durazzo, più trasportabili.

« Su questi cambiamenti io non ho avuto nulla da eccepire. In fondo si capiva questo: che l ’Au- torità serba ha la fobìa più acuta delle eventuali comunicazioni sulle ultime operazioni militari da parte dei feriti, tende quindi a dare malati este­nuati da un lungo periodo di sofferenze e degenza in ospedali, anziché feriti recenti. Mi sono pie­gato ad ogni cambiamento od esitazione dell’ auto­rità serba, che era intendimento del nostro governo di soccorrere nel miglior modo possibile.

«Invitai in quel giorno a colazione il colon­nello (Bulich.

« I l brindisi del colonnello Bulich fu informato tutto alla più viva gratitudine per il R. Governo d’ Italia.

« La nave partì alle 18 di quel giorno (11 feb­braio) per Salonicco. Il giorno 13 il vento scop­piava con forza ciclonica e si avevano a bordo già 4 morti: nel reparto di chirurgia si stentava note»

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volmente a medicare i feriti. Mi decisi pertanto ad approdare nel pomeriggio a Nauplia.

« Vi giungevo poco prima del tramonto, e pre­vie trattative con l ’ autorità ellenica che fu corte­sissima, sbarcavo e seppellivo coi dovuti onori i morti.

« Proseguivo l ’ indomani 14 per Salonicco ove giungevo il 15 poco prima di mezzogiorno : nella traversata erano morti altri due soldati. Lo sbarco procedeva ordinatissimo, e rapido. Degli ammalati e feriti, 749 presero posto su di un treno speciale lungo la banchina, i rimanenti 12 gravissimi, si tennero a bordo, per mandarli più tardi all’ospe­dale ellenico.

«Anche a Salonicco numerosissimi furono i vi­sitatori di tutte le nazionalità e grande, in ogni ceto, di persone, l ’ammirazione destata dall’organiz­zazione della nostra nave ospedale. Sebbene la cosa non abbia grande importanza, mi permetto segna­lare che, avendo il giornale La Libertà, organo del Governo ellenico, stampato a chiare lettere che :

« Le vapeur Regina d’ Italia a été affrètè par le Gouvernement serbe pour le transport de ses ma- lades et blesssés » e profondamente convinto che il rappresentante serbo si sarebbe ben guardato di smentire la sciocca notizia, mi affrettai a scrivereio stesso al direttore della Liberté la seguente let­tera (pubblicata poi dal giornale) :

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«Monsieur le Directeur,« Le navire hôpital de la Marine Royale Ita­

lienne Regina d’ Italia n ’ a pas été affrété par le Gouvernement serbe, comme votre journal de ce matin en donne le nouvelle aux lecteurs, mais a été gratuitement dan le sens le plus ample du mot mis à la disposition du dit Gouvernement pour le tran­sport des pauvres malades et blessés des forces ser­bes engagés dans les opérations militaires d’A l­banie.

« Je vous serai gré de vouloir bien rectifier en ce sens la petite information de La Liberté à fin que le pubblique des nationalités nombreuses habi­tant cette ville ne tombe dans l ’ erreur de croire que l ’ Italie permette l ’ affrètement de quelque unité de sa flotte à une poissance étrangère ».

« Il concetto della gratuità del servizio fu, d ’al­tra parte, così ben capito da questi signori che essi sbarcarono senza lasciare la tradizionale mancia ai camerieri, ciò che fu per il personale di camera e per il sottoscritto, oggetto di viva soddisfazione.

« S. ¡E. Yassilch, colonnello di stato maggiore serbo, commissario, per quel governo a Salonicco, venne personalmente a ringraziare dell’ opera pre­stata dalla nave in favore del suo paese e si espresse nei termini più lusinghieri e suonanti caldissima riconoscenza e lasciò intendere che avrebbe uffi­ciato il suo governo a chiedere al governo d ’ Italia

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di completare l ’opera pietosa mandando un’altra volta la nave a Durazzo ».

* * *

Nel mese di febbraio 1913 le condizioni poli­tiche e militari dell’Albania subivano delle modi­ficazioni in seguito alla ripresa delle ostilità, pro­vocata dal fallimento delle trattative tra Stati bal­canici e Turchia.

I residui dell’ esercito turco, aiutati da bande di volontari albanesi, si stavano riunendo e rior­ganizzando per fronteggiare i Serbi presso Elbas- san e contemporaneamente si preparavano a soste­nere l ’ attacco dei serbo-montenegrini che investi­vano Scutari.

Nell’Albania meridionale continuava l ’offensiva greca che puntava specialmente su Janina.

Nonostante la comunità d’ intenti che legavano Austria ed Italia nel vigilare sull’ indipendenza al­banese, la prima tentava ostacolare per evidenti ragioni di rivalità la nostra azione di propaganda politica nella zona di Durazzo.

Vedremo in seguito come, malgrado l ’ apparente accordo, specialmente nelle alte sfere militari au­striache si confidasse e sperasse di impedire la no­stra espansione in Albania.

Ciò rendeva ancora più difficile l ’opera dei no­stri rappresentanti diplomatici e dei comandanti

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di unità, che colà si trovavano in quel momento così delicato.

Era allora dislocata nelle acque albanesi la R. N. Ciclope (comandante tenente di vascello L. Man­cini), che come nave talassografica, era tollerata dalla suscettibilità austriaca e svolgeva una doppia attività scientifica e politica, non senza dover su­perare ostacoli con le autorità serbe probabilmente sobillate da agenti austriaci.

A comprendere quanto fosse resa difficile l ’opera nostra, può servire di esempio l ’ incidente che ri­portiamo.

Il giorno dell’ arrivo del Ciclope a Durazzo, mentre il sottotenente di vascello Malusardi, uffi­ciale in 2a, si recava a terra per la visita al console italiano, ufficiali serbi al comando di truppe serbe di occupazione lo trattennero, tentando di impe­dirgli in un primo tempo di mettersi in comuni­cazione col nostro rappresentante diplomatico. Il fermo contegno del sottotenente di vascello Malu- sardi e 1’ immediato intervento del nostro console cav. De Faccendis, intimorirono l ’ autorità serba, che si affrettò a fare ampie scuse al comandante della R. N. Ciclope, tenente di vascello Mancini, e l ’ incidente si risolse con piena soddisfazione ita­liana.

Sempre in quei giorni tra gli avvenimenti note­voli è da segnalare il bombardamento di Durazzo, eseguito dall’ incrociatore turco Hamidié.

Il tenente di vascello Torrigiani, imbarcato sul

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Cariddi nella rada di Durazzo, cosi riferisce il fatto in un suo rapporto :

« Alle ore 9 del 12 marzo si avvistò uno scafo da guerra che dirigeva verso Durazzo, ma fino al­l ’ ultimo momento non fu possibile distinguerlo bene....

« Giunto in prossimità della boa accostò un poco sulla dritta ed entrò in rada alzando solo allora la bandiera turca e i segnali :

« D A F = sono in procinto di, G Y J = bom­bardare, Y B L = truppa.

« Inviai immediatamente una lancia con un u f­ficiale a terra ad avvisare il nostro console e a met­tersi a sua disposizione, ma nel frattempo (9 ore e 40 minuti) 1’ incrociatore turco che riconobbi es­sere 1’ Hamidié aprì il fuoco con la batteria di si­nistra contro l ’accampamento serbo. Ultimata la bordata girò con la prora in fuori e fece fuoco con la batteria di dritta. I pezzi usati furono quelli di medio calibro, i proiettili granate di ghisa, e la distanza approssimativa da terra 4600 metri. Ulti­mata questa seconda bordata alle ore 9 e 55 alzò il segnale: Bandiera italiana, D J X = addio!, ed uscì dalla rada dirigendo verso il Nord. Il totale dei colpi sparati fu di 15 dei quali due caddero in pros­simità o in mezzo alle tende dei soldati__ tre tendefurono incendiate__ ».

Un brano di un successivo rapporto ancora me­glio può illustrare le difficoltà che incontrava l ’opera

3 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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delle nostre navi e può darci chiaramente un’ idea della delicatissima situazione politica:

« ....dopo il bombardamento dell’Hamidié__essendosi trovati dei frantumi di granata con sopra incise parole con caratteri latini, venne detto che era stata la nostra nazione (Italia) a rifornire la nave turca di munizioni, che anzi il bombarda­mento fu fatto, dietro nostra istigazione, che 1’ Ha­midié venne chiamato per mezzo della R. T. del Cariddi ed a conferma di tutto questo fu sobillata r idea che il Ciclope era venuto in queste acque a fare scandagli appunto per vedere se l ’ incrociatore turco avrebbe potuto entrare in rada.

« Queste dicerie trovarono, subito largo piede non solo nella bassa popolazione e nei soldati, ma presso un gran numero di ufficiali serbi.

« È mio personale convincimento che tali voci tendenziose siano state fatte spargeve a bella posta per rendere invisi gli Italiani (che invece special- mente dopo la venuta della nave ospedale Regina d' Italia erano assai ben visti) e far sorgere quindi serie difficoltà all’ esplicazione della nostra azione politica e allo sviluppo di qualsiasi nostra influenza sulle popolazioni albanesi.

« Così pure debbo riferire che pochi giorni or sono ho saputo che l ’ incidente occorso (29 dicem­bre 1912) quando mi trovavo sul Caprera e cioè dell’ intenzione di visitare la nave e dell’ imposta sospensione delle comunicazioni con la terra, non accadde per iniziativa del capitano di porto ma per

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incitamento di persone molto in relazione con 1’ L R. console austriaco, le quali misero sotto cattiva luce la presenza di un bastimento italiano in que­ste acque e convinsero le autorità portuarie che erano in diritto di approfondire i motivi di tale presenza con il visitare minutamente la nave ».

* * *

Nel mese di marzo si acuiva lo sforzo degli eser­citi serbo-montenegrini per far cadere Scutari che resisteva con tenace valore.

Ma la sorte di Scutari, non ancora decisa dalle armi, era invece già stata decretata da parte dei governi delle due Triplici, che, superata faticosa­mente in novembre la prima crisi risoltasi con il riconoscimento della indipendenza albanese, si erano messi infine d’ accordo anche sulle più diffi­cili questioni della definizione dei confini del nuovo stato.

L ’accordo fu dapprima per naufragare, perchè la Francia appoggiava le mire greche su Valona, e la Russia era favorevole alla cessione di Scutari e Giacova alla Serbia e al Montenegro. Ma uno scam­bio di lettere tra gli Imperatori di Russia e d ’Au- stria-Ungheria riuscì a conciliare le aspirazioni delle due nazioni, che rappresentavano l ’ esponente delle tendenze in contrasto nei due grandi raggruppa­menti politici europei.

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Con l ’ acoordo del 13 marzo 1913 le potenze sta­bilivano che Scutari dovesse rimanere all’Albania e una successiva deliberazione della conferenza degli ambasciatori del 22 marzo concretava un’ azione comune contro il Montenegro per far cessare le ostilità da parte delle armate serbo-montenegrine che si accanivano nell’ assedio di Scutari.

Fu naturalmente affidato all’Austria l ’ incarico dell’ azione diplomatica a nome delle potenze, di modo che il 23 marzo il ministro austro-ungarico a Cettigne, presentò una nota al governo del Re Ni­cola, chiedendo la cessazione delle ostilità intorno a Scutari.

Nè tale nota nè una successiva del 28 marzo, furono prese in considerazione dal governo monte­negrino, che solo il 31 marzo rispose dichiarando di non accettare la deliberazione delle potenze.

Si arrivò pertanto alla palese necessità di una azione militare, consistente in una dimostrazione navale delle potenze a mezzo di una squadra in­ternazionale riunita davanti ad Antivari.

La flotta internazionale comandata dal vice am­miraglio inglese Cecil Burney, risultò suddivisa in3 divisioni, e composta dalle seguenti unità :

l a D i v i s i o n e , comandata dal contrammiraglio austriaco Njegovan :

Corazzate: Erzherzog Franz Ferdinand (Au­stria); Radetzky (Austria); Zrinyi (Austria). Incro­ciatore leggero Dartmouth (Inghilterra). 2 caccia­torpediniere (1 inglese, 1 austriaco).

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2* D i v i s i o n e , comandata dal comandante più anziano delle forze italiane, capitano di vascello Giorgi de Pons :

Corazzata, Ammiraglio Saint Bon (Italia). In­crociatore leggero Aspern (Austria). Incrociatore leggero Breslau (Germania). 1 cacciatorpediniere austriaco.

3® D i v i s i o n e , alle dirette dipendenze del vice ammiraglio inglese Cecil Burney, comandante su­periore della squadra internazionale:

Corazzata King Edward VII (Inghilterra). In­crociatore corazzato Edgard Quinet (Francia). In­crociatore corazzato F. Ferruccio (Italia) (coman­dante capitano di vascello Giorgi de Pons R.).

Con la data del 10 aprile l ’ ammiraglio Burney trasmise al governo di Cettigne la dichiarazione del blocco alle coste montenegrine ed albanesi com­prese fra Antivari e la foce del Drin, blocco che in una successiva conferenza dei comandanti na­vali, tenutasi il 22, fu esteso fino a Durazzo.

Mentre per effetto dell’ azione diplotnatica delle potenze le truppe serbei che occupavano Durazzo si preparavano ad evacuare l ’Albania, le truppe mon­tenegrine facevano l ’ultimo sforzo contro Scutari, che capitolava il 23 aprile.

Essad Pascià, che comandava le truppe tur­che, si ritirava accampandosi presso Tirana con circa 10 mila uomini.

Abbiamo già visto quale avrebbe dovuto in mas­sima essere la situazione politica nell’Albania, se­

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condo le intenzioni delle grandi potenze e possiamo riassumerla nei seguenti termini : Costituzione di un’Albania indipendente sotto un governo provvi­sorio riconosciuto dalle grandi potenze e presieduto da Ismail Kemal Bey, in attesa di una definitiva costituzione della forma di governo.

I confini di tale stato non erano stati ancora ben fissati, essendo tutt’ ora in discussione fra le potenze protettrici la delimitazione delle frontiere.

In linea di massima, tuttavia, era stato con­cretato che al Nord tali confini dovevano compren­dere il Vilajet di Scutari, e giungere alla riva de­stra della Boiana includendo S. Giovanni di Medua, mentre i confini orientali erano ancora ben lon­tani da una approssimata delineazione.

La situazione di fatto era ben differente.Tra S. Giovanni di Medua e Durazzo erano di­

stribuiti circa 25.000 Serbi in procinto però di concentrarsi a Durazzo per evacuare l ’Albania in conseguenza della pressione esercitata per via di­plomatica dalla Russia.

Nei dintorni di Tirana e di Valona si accampa­vano gli avanzi dell’ esercito turco comandati ri­spettivamente da Essad Pascià e da Djavid Pascià, mentre al Sud forze greche e bande di volontari epiroti si spingevano fino a Santi Quaranta e Saseno.

Contemporaneamente il paese era infestato da bande albanesi, che andavano sorgendo per aiutare l'una o l ’ altra delle varie parti in contrasto.

L ’attività della nostra marina non si limitava a

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concorrere all’ azione della squadra internazionale con le navi Saint Bon e Francesco Ferruccio, giac­ché, mentre si svolgeva contro il Montenegro razio­ne militare delle potenze, l ’Austria e l ’ Italia, di comune accordo, organizzavano una spedizione sa­nitaria di soccorso per la popolazione civile di Scu- tari, che durante l ’ assedio avrebbe da un momento all’ altro dovuto essere evacuata per non essere di peso ai difensori turchi.

Naturalmente l ’ opera sanitaria delle Croci Rosse italiana ed austriaca era appoggiata e sostenuta dai rispettivi governi, che intendevano fare in tale modo anche opera politica.

La spedizione di soccorso si riunì a Cattaro e risultò composta di navi ausiliarie austriache e ita­liane. L ’ Italia contribuì con il piroscafo Cariddi, sostituito in un secondo tempo dal piroscafo Pen- ceta, e in seguito dal Città di Messina che giunse a Cattaro il 14 aprile. Sul Città di Messina, come comandante militare era imbarcato il tenente di vascello Rota e come capo della missione sanitaria il colonnello medico della R. Marina Rosati.

Contemporaneamente due piroscafi fluviali Ma- falda e Jolanda, agli ordini del tenente di vascello Michelagnoli, con provvista di viveri e medicinali, venivano inviati a S. Giovanni di Medua, pronti per risalire la iBoiana fino a Scutari.

Ma prima che la spedizione di soccorso par­tisse da Cattaro, avvenne la caduta della città as­sediata, e pertanto la spedizione rimase a disposi­

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zione della squadra internazionale, che se ne servì, quando, come vedremo in seguito, le Potenze de­cisero l ’ occupazione della tanto contestata Scutari.

La ¡presenza del Città di Messina in una base austriaca consentiva intanto all’ ufficio del capo di 6tato maggiore di vigilare attentamente le inten­zioni dello stato maggiore austriaco, che meditava da tempo un intervento militare in Albania.

I telegrammi inviati il 15 e il 21 aprile dal Città di Messina e di cui riproduciamo qualche bra­no, confermano questa asserzione:

« Numerosi gendarmi concentrati per passare in Albania__

« Risultami propaganda austriaca in Albania in­tensissima, senza limitazione spese, scopo prepa­rarvi corrente favorevole mentre governo austro- ungarico preparerebbe terreno perchè deputati re­clamino urgentemente intervento. Due membri go­verno Valona accompagnati ufficiali stato maggiore austriaco in incognito diretti Trieste Vienna per as­sicurare fedeltà 50.000 uomini pronti chiedere o provocare intervento.... pronti primo ordine 120 mila uomini raggiungere confine austriaco monte­negrino in 12 ore. Massimo concentramento truppe a Spalato».

Oltre alla manifesta intenzione austriaca di agire verso Durazzo, confermata dalle precise informa­zioni contenute nel dispaccio segnalato, si aggiun­geva un altro fattore che minacciava di turbare l ’ instabile equilibrio nell’ Adriatico meridionale,

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rappresentato dalle aspirazioni greche sempre vive.

Già da tempo l ’ ufficio del capo di stato mag­giore della marina aveva segnalato l ’ importanza di Valona e della costa dell’ Epiro e pertanto la nostra azione si svolse in perfetta collaborazione tra le autorità militari e il ministero degli esteri per controbattere l ’ azione francese, che tendeva ad assicurare alla Grecia il pieno possesso del ca­nale Nord di Corfù, con una favorevole delinea­zione dei confini dell’Albania meridionale '.

Queste due minaccie concomitanti al Nord ed al Sud dell’Albania, indussero il governo italiano ad affrettare i preparativi per l’ occupazione di Valona.

Che il momento fosse opportuno lo dimostra il seguente rapporto telegrafico del capitano di vascello Cerbino in data 6 marzo in missione se­greta a Durazzo:

cc__ Djavid Pascià trovasi a 6 ore di marciada Valona con 25 mila uomini di cui solo 15 mila sotto le armi.

«Largo approvvigionamento di viveri Valona trasportato da piroscafi del Lloyd austriaco. Ser-

1 Per chi voglia meglio esaminare le fasi dell’azione diploma­tica nel periodo marzo-aprile, riportiamo nell’appendice alcuni documenti che non inseriamo nel testo per non interrompere la narrazione di carattere militare, essendo questo lo scopo princi­pale della presente pubblicazione. Appendice documenti nn. 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8 e 9.

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vizio sbarco e trasporto viveri dalla spiaggia al campo eseguito da regolari turchi è lento.... per­ciò pontile e spiaggia sono ingombri.

« Console afferma Turchi possedere trenta mi­tragliatrici, parecchi cannoni da campagna. Dja- vid Pascià impulsivo è ritenuto capace azione ir­riflessiva perciò non è da escludere possibilità che di sua iniziativa si opponga alla nostra azione. Si trova accampato a Fieri e volendo potrebbe avan­zare non mancandogli ripieghi per guadare Voiussa appena ridottasi perchè attualmente in piena.

(( Per questa ragione non ritengo consigliabile sbarco meno di 10 mila uomini per fare di Valona base navale.

« Sponda meridionale Voiussa da essere presa come limite Nord mettendo presidio nello stesso tempo altura Kanina, attualmente non difesa, co­me limite meridionale.

« Essad Pascià trovasi Tirana con 10 mila re­golari avendo licenziato riserva. Distaccamento 500 volontari greci si trova Kimara.... Il grosso si trova a Tepeleni, due compagnie di regolari greci si trovano a 10 ore da Valona, ad un’ ora di mar­cia dal passo Lunetz dominante comunicazione Va­lona con Albania meridionale. Se dobbiamo ese­guire sbarco Valona conviene non perdere tempo e approfittare attuale buona disposizione popola­zione e.favorevole situazione militare per noi».

Da parte della marina i preparativi eseguiti per Fazione su Valona furono i seguenti:

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Il 1° maggio fu emanato l ’ordine di richiamo degli equipaggi dalla licenza e si costituirono le commissioni d’ imbarco a Brindisi, Bari, Taran­to, Palermo, Messina, Catania, Napoli.

La l a divisione della l a squadra (ammiraglio Viale) che si trovava frazionata tra l ’ Egeo e la Libia, fu concentrata ad Augusta e tenuta pronta in 6 ore. A Messina fu dislocata la divisione delle navi scuola (contrammiraglio Cerri) (RR. NN. Re Umberto, Sicilia e Sardegna).

Le unità della 2a divisione della l a squadra (RR. NN. Pisa, S. Marco) furono richiamate da Costantinopoli e concentrate in Egeo per vigilare hi flotta greca ed impedirne un’eventuale azione. L ’Amalfi invece venne dislocata in Sicilia, mentre per la protezione dei nostri interessi in Turchia veniva colà inviata VEtruria.

Carlo Alberto, Palinuro e Miseno furono in­viate in Libia.

La 2* divisione della 2* squadra (ammiraglio Patris) (RR. NN. Garibaldi, Ferruccio, Varese) era dislocata neirAdriatico meridionale, ove era anche la Saint Bon che con la Ferrucccio parteci­pava al blocco del Montenegro.

L t ferma decisione italiana ed i palesi prepa­rativi L.‘ ti dalla nostra marina per 1’ intervento a Valona m dificarono la situazione politica in Al­bania. Il momento in esame va considerato at­tentamente, perché è proprio in tale periodo che gli interessi deH’Austr*.i e dell’ Italia, che fino al

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inaggio 1913 erano andati d’accordo, cominciarono ad essere in contrasto.

Le convenzioni esistenti potevano solo ritar­dare l ’ urto inevitabile.

Per comprendere la situazione occorrerebbe il­lustrare ampiamente le divergenze tra la politica navale nostra e quella austriaca e ciò non può es­sere consentito in questa pubblicazione, che ha carattere puramente di cronistoria. Un piccolo cen­no sembra tuttavia necessario e qualche brano del primo volume del Sokol La guerra marittima del­l'Austria Ungheria 1914-18 che il nostro ufficio sto­rico ha tradotto e divulgato, potrà essere sufficiente per delineare quali erano le ragioni del contrasto e sopratutto quali erano le direttrici della politica austriaca che vedeva una minaccia imperialistica in ogni nostra azione intesa ad assicurarsi una po­sizione sostenibile in Adriatico.

Parlando della politica navale austriaca così si esprime il Sokol :

(( Questo mare ( l ’Adriatico) era piuttosto il ponte attraverso il quale l ’ Italia, spinta dalla ne­cessità di terra e dalla brama di potenza, avrebbe potuto portarsi nella penisola balcanica. Quivi si presentavano favorevoli prospettive economiche, quivi gli Italiani potevano dirigere correnti emi­gratorie senza allontanarsi eccessivamente dalla ma­dre patria. Quivi il Montenegro attendeva i suoi protettóri e i suoi finanziatori, strettamente legati ad esso da vincoli dinastici e politici. Sulle sponde

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di quel mare si trovava Valona che in unione ai porti italiani di Bari e di ¡Brindisi poteva sbarrare10 sbocco dell’Austria-Ungheria dall’Adriatico verso11 libero traffico mondiale.

cc Così era fatale che le direttrici lungo le quali si sviluppava l ’ espansione italiana dovessero in ul­tima analisi attraversare quelle della monarchia da­nubiana. Ma l ’Adriatico era geograficamente troppo ristretto per poter offrire alle due grandi potenze che ad esso si affacciavano un campo di estensione sufficiente per il loro accrescimento economico e demografico__

« Anche l ’Albania, la quale costituiva il punto geografico di intersezione delle reciproche direttrici di avanzata, divenne contemporaneamente un fo ­colaio di contrasti politici, ma, tenendo conto della loro amicizia, sigillata da un trattato, le due grandi potenze dovevano accuratamente evitare di trarre le estreme conseguenze della loro lotta per il pre­dominio culturale ed economico in Albania ed a Valona. L ’appello alle armi non si trasformò in realtà, sebbene esso fosse patrocinato in Austria- Ungheria dalla influente opinione di Conrad von Hotzendorff ed in Italia da uomini politici diri­genti.

« Le aspirazioni dell’ Italia al possesso di Valona implicavano per la monarchia danubiana una mi­naccia, la quale non poteva essere scongiurata, nè per mezzo dei trattati relativi all’Albania, con­clusi col Regno d’ Italia (1897-1901), nè per mezzo

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della sua fiducia nella fedeltà dell’ Italia alla Tri­plice; ma solo quando Valona fosse diventata uu ¡porto austro-ungarico....

« La politica austro-ungarica nei riguardi del­l'Albania si irrigidì nel tentativo passivo di mante­nere lontani dalle coste albanesi gli altri rivali posto che la monarchia non si sentiva abbastanza forte per impossessarsi di Valona. Con i trattati conclusi con T Italia, l ’Austria-Ungheria si era dimostrata con­senziente a spartire le proprie aspirazioni su Va­lona con il suo vicino, il quale vedeva in questa posizione strategico-marittima un possibile rim­piazzo per Biserta. Ogni possibilità di assicu­rare con mezzi politici il collegamento fra le coste austro-ungariche ed il Mediterraneo parve così svanita.

« Nè questa situazione di fatto risultò modifi­cata in nulla dalla circostanza che, nel dicembre 1912, la Conferenza degli ambasciatori di Lon­dra riconobbe 1’ indipendenza dell’Albania allo scopo di impedire l ’ accesso al mare ai Serbi ed alle aspirazioni espansionistiche russe, che si na­scondevano dietro la Serbia....

«L a direttrice, scelta dalla Russia per attuare le sue mire espansive verso il Mediterraneo, che sboccava sulle coste adriatiche, tagliava la strada che la conferenza di Berlino aveva assegnato alla monarchia danubiana per l ’avanzata verso Salo­nicco. Questo porto aveva acquistato un’ impor­tanza tanto, più grande per l ’Austria-Ungheria in

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quanto che la reazione politica dell’ Italia in Adria­tico aveva impedito l ’ occupazione di Valona ».

È palese pertanto quanto vaste fossero le aspi­razioni dell’Austria, che era in accordo con noi nell’ arrestare l ’ avanzata degli Slavi fino all’Adria­tico e nel desiderare la neutralizzazione del canale Nord di Corfù, ma nello stesso, tempo non vedeva di buon occhio la nostra collaborazione in Albania che giudicava dannosa e contraria ai suoi interessi tendenti al possesso non solo di Durazzo ma anche di Valona e di tutta l ’Albania.

Come vedremo in seguito, il contrasto non fu risolto che con la guerra e la costa albanese di­venne uno dei teatri della lotta delle marine ita­liana ed austriaca.

Come lo stesso storico austriaco riconosce, la minacciata azione italiana fece desistere l ’Austria dall’occupazione militare di Scutari e Durazzo.

A tale decisione contribuì anche il fatto che nel frattempo il Montenegro, per effetto delle pres­sioni russe anche più gravi di quelle contenute nella nota del 10 aprile che riproduciamo in ap­pendice (documento n. 10), cedette al volere delle potenze, mentre l ’ azione greca in Epiro veniva fatta sospendere dalla Francia in attesa di una de­limitazione dei confini meridionali albanesi che l ’ Italia imponeva con l ’ azione diplomatica e mi­litare già illustrata.

Non ostante la rivalità latente tra 1’ Italia e l ’Austria, l ’ azione comune svolta dalle due po­

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tenze alleate, valse a tenere lontani Slavi e Greci dell’Albania & impedì che la riva orientale del ca­nale di Otranto cadesse in potere di una grande nazione per mezzo di uno Stato satellite.

L ’ azione diplomatica italo-austriaca svolta nel maggio non fu, come vedremo in seguito, l ’ ultimo bagliore di luce della morente Triplice Alleanza.

Ancora una volta prima che le rispettive ed in­transigenti aspirazioni sul controllo dell’Adriatico rendessero inconciliabile l ’ urto di interessi tra le nostre necessità di sicurezza militare e la politica dell’ impero austro-ungarico, le due diplomazie e le due marine da guerra collaborarono per la tutela dell’Albania e sopratutto per impedire l ’ accesso in Adriatico ad altre potenze.

Ma inevitabilmente, allontanati gli altri com­petitori la partita doveva risolversi in modo irre­vocabile tra le due potenze rimaste in lotta per un dominio che non poteva ammettere rivali, e l ’Adria­tico doveva fatalmente divenire il pomo della di­scordia. Non per nulla venti e più secoli di storia insegnano che tale mare è troppo piccolo per ap­partenere a due padroni.

Ritorniamo pertanto a seguire gli avvenimenti albanesi che nel loro tempestoso se pur breve svol­gimento richiesero continua, vigile, laboriosa e ta­lora pericolosa l ’ azione delle navi armate della patria.

Mentre il grosso della flotta lasciava la dislo­cazione assunta per l ’ eventuale azione guerresca e

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si distribuiva nelle varie basi per il necessario pe­riodo di lavori e di esercitazioni, la divisione Ga­ribaldi che abbiamo segnalato in Adriatico pronta a effettuare 1’ impresa di Valona, si dislocava in Albania per partecipare in modo più appariscente e decisivo all’ azione internazionale, come si con­veniva all’ Italia, potenza particolarmente interes­sata nelle cose albanesi. E pertanto dal maggio 1913 al luglio 1914 il peso maggiore delle operazioni navali fu sopportato in grande parte dalle marine italiana ed austriaca e cioè fino a quando lo scop­pio della guerra europea lasciò indisturbata l ’ Ita­lia di portare a compimento l ’occupazione di Va­lona da tanto tempo meditata, mentre l ’Austria era costretta a lasciare il campo libero essendo la flotta austriaca chiamata a difendere la corona degli Asburgo.

Riprendiamo in esame le operazioni svolte dalla flotta internazionale.

In seguito alle decisioni prese dal Montenegro di accettare quanto le potenze avevano stabilito re­lativamente a Scutari, la conferenza degli amba­sciatori diede ordine all’ ammiraglio inglese di pro­cedere aU’oceupazione della città con le forze da sbarco delle navi nominando una commissione composta di ufficiali delle varie potenze che a nome di queste assicurassero il temporaneo governo della città.

Il primo provvedimento fu quello di assicurare 1’ invio di soccorsi sanitari e di mezzi di sostenta-

4 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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mento alla popolazione stremata dal lungo assedio. E perciò la spedizione italo-austriaca già pronta a Cattaro ebbe ordine di recarsi alle foci della Boiana.

Il Citta di Messina ed il piroscafo austriaco Me- tcovich, giunti il giorno 7, trasbordarono tutto il materiale sui due piroscafi fluviali italiani Mafalda e Jolanda che, in unione al piccolo piroscafo flu­viale austriaco Scutari, passata la barra del fiume il giorno successivo, risalirono la Boiana diretti a Scutari con il loro carico di medicinali e di molte tonnellate di viveri, e con il personale sanitario.

Lo stesso giorno era giunta la R. N. Garibaldi già preceduta dalla Farese, cosicché la 2a divisione della 2a squadra ( Garibaldi, Varese e Ferruccio) trovavasi riunita al comando del contrammiraglio Patris, che da quel momento rappresentò l ’ Italia nella commissione internazionale.

Questa risultò così composta :vice ammiraglio Cecil Burney, comandante

superiore e comandante le forze inglesi;contrammiraglio Patris Giovanni, comandan­

te la divisione italiana;contrammiraglio Njegovan M., comandante

la divisione austriaca;capitano di vascello Laugier, comandante

1’ incrociatore corazzato francese Ernest Rénan ;capitano di fregata V. Klitzing, comandante

1’ incrociatore germanico Breslau.Le forze di occupazione furono costituite da un

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- SI —

contingente diviso in quattro gruppi composti in parti eguali di marinai delle quattro nazioni pre­senti.

Il distaccamento italiano comandato dal capi­tano di fregata Ciano Arturo e costituito a sua volta da 4 sezioni risultò composto come segue:

sezione A, uomini 50, RR. NN. Garibaldi e Ferruccio ;

sezione 6 , uomini 50, R. N. Garibaldi; sezione C, uomini 50, R. N. Ferruccio; sezione D, uomini 50, R. N. Varese.

Il trasporto del corpo di spedizione fu eseguiloil 14 maggio sempre servendosi dei due piroscafi italiani e di quello austriaco.

L ’ opera della commissione internazionale si ini­ziò il 15 maggio e fu opera complessa di carattere militare, civile, politico e umanitario. Qualche brano dei rapporti del contrammiraglio Patris po­trà darcene un’ idea :

« 15 maggio. Alle 10 si riuniscono i membri della commissione con 1’ intervento di tutti i con­soli e dei componenti il municipio.

« Si prendono parecchie disposizioni riguar­danti l’ andamento dei vari servizi della città (pu­lizia, illuminazione delle strade, ecc. concessione della pesca nel lago di Scutari per un canone an­nuo fisso di 400.000 lire, ecc. riscossione entrate doganali e telegrafiche, ecc.).

« Di non breve discussione ha formato oggettoil rimpatrio di circa 900 militari convalescenti tur­

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chi che ancora restano negli ospedali e della mag­gior parte degli impiegati turchi con le loro fa­miglie. Si è deciso di inviarli a Brindisi usufruendo dei due vapori (Città di Messina e Metcovich) che trovansi alla Boiana a disposizione della Croce Rossa per farli poi proseguire per Costantinopoli con le coincidenze del Lloyd austriaco e dei Ser­vizi marittimi italiani.

« Altre decisioni prese :«Aggregare un ufficiale al municipio che, per

desiderio degli stessi consiglieri comunali, è stalo scelto di nazionalità italiana '.

« Istituzione di una commissione sanitaria, stante le condizioni igieniche della città.

« Essa è composta da due medici italiani, uno austriaco, due albanesi (uno cristiano ed uno mus­sulmano). Per i rifornimenti, i movimenti e per le altre varie necessità delle truppe è assolutamente necessario un mezzo comodo, capace, veloce (quali sono le cannoniere lagunari italiane) per percor­rere le 25 miglia che separano Scutari dal mare.

« L ’ ammiraglio inglese oggi alla conferenza me ne fece personale richiesta e contro ogni mia aspet­tativa, incontrò anche l ’aggradimento dell’ ammi­raglio austriaco.

« 17 maggio. La commissione ha preso le se­guenti deliberazioni :

1 Tenente di vascello Parisio Perrotti, sostituito poi il 4 giù- gno 1913 dal tenente di vascello Perricone.

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1) ha autorizzato la Banca ottomana ad apri­re un conto corrente di lire 25 mila a favore del municipio di Scutari. I buoni di prelevamento do­vranno essere controfirmati dall’ ammiraglio in­glese;

2) è stata deliberata 1’ istituzione di una gen­darmeria per il servizio di polizia della città. Essa sarà composta di militari inglesi ma vi saranno adi­biti due marinai italiani che sappiano l ’ albanese e 1’ inglese;

3) si è autorizzato che si proceda alla vac­cinazione dei cittadini stante il vaiolo che serpeg­gia nella città.

ce 19-20 maggio. Si è proceduto alla costituzione di una Corte suprema di giustizia e di un Tribu­nale giudiziario ordinario. La prima composta di :

« Flag captain Heaton Ellis ;(( Capitano di fregata Ciano Alessandro;« Korvetten kapitan Welsersheim;

si riunirà quando lo crederà necessario e giudi­cherà dei reati gravi e delle infrazioni alle leggi militari. TI secondo presieduto dal capitano di fre­gata francese Ardnell si unirà tutti i giorni per i reati comuni....

«S i discute la formazione di una capitaneria di porto a Scutari, l ’ ammiraglio austriaco propone di mettervi a capo l ’ufficiale italiano addetto al mu­nicipio, sostituendolo in tale carica con un ufficiale austriaco. Faccio subito notare apertamente come tale cambio sia poco opportuno. L ’ ammiraglio Bur-

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ney propone, in vista delle insistenze austriache, che si metta un ufficiale a capo della capitaneria e che questi sia austriaco.

« Una rappresentanza dei cittadini notabili del­la città viene ad esprimere i profondi ringrazia­menti della cittadinanza per l ’ opera delle grandi potenze....

« La Città di Messina è pronta a partire e di­sponibile per il trasporto degli ammalati e delle famiglie turche ma la partenza di tutta questa gen­te è ora ostacolata dal fatto che non ricevendo più paghe dal governo da sei mesi hanno contratto debiti.

« Senza risposta sono finora rimaste le richie­ste fatte al governo turco. Intanto le missioni sa­nitarie italiana ed austriaca continuano a distri­buire ogni giorno a tutti questi turchi i soccorsi necessari al loro sostentamento».

Alle forze navali dislocate in Albania era stata anche aggiunta la cannoniera fluviale Marniera, i! cui attivo concorso fu prezioso nello svolgimento delle operazioni di trasporto da Scutari al mare.

Tra gli assillanti problemi, che nei primi giorni tennero occupata la commissione degli ammiragli, era anche quello dello sgombero dairAlbania del­le truppe turche.

L ’ evacuazione ed il trasporto di tali truppe fu compiuto servendosi in gran parte dell’ opera della marina italiana.

La viva ed efficace descrizione che nei suoi rap­

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porti ci ha lasciato l ’ ammiraglio Patris, merita an­che in questo caso di essere riprodotta per non to­gliere nulla all’ interesse della narrazione :

« 30 maggio. Quest’ oggi sono finalmente partiti da Scutari i 700 Turchi. L ’ organizzazione di que­sta partenza è costata non lievi fatiche. La natu­rale indolenza, lo stato di abbandono in cui tutta questa gente era stata lasciata, il nessun interesse dei medici turchi, hanno obbligalo i nostri ufficiali a supplire a tutto. Fino all’ ultimo momento non si potè sapere esattamente quanti convalescenti avrebbero potuto comminare e quanti no, e il nu­mero di questi ultimi riferito essere 70 risultò al­l’ atto pratico più del doppio e fra essi vi erano molti che più che il nome di convalescenti meri­tavano quello di resti umani per orribili mutila­zioni a cui erano stati sottoposti. Tutta questa gen­te offriva in complesso uno spettacolo assai peno­so. Sia quelli che potevano camminare, quanto gli altri in carrozza o sui carri furono fatti partire dalle 5 e mezzo in poi a grappi dall’ ospedale— scortati a dritta e sinistra da plotoni dei distacca­menti internazionali.

«L a cannoniera lagunare Marghera. quella au­striaca Salamander 1 e il piroscafo Scutari messi a

1 Poco dopo l ’arrivo della cannoniera Marghera giunsero qui per cura dell’ amniiraglio Njegovan, senza alcun preavviso, una cannoniera austriaca (Salamander) ed una specie di piccolo tender. La Salamander pesca m. 1,50 e poco meno il tender. Le acque

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disposizione dell’ ammiraglio Njegovan erano siati precedentemente fatti ormeggiare con la prua al ponte di Scutari sicché tutto l ’ imbarco poté com­piersi con grande rapidità. La ripartizione fu presso a poco la seguente: Scutari 320; Salaman­der 120; Marghera 220; sulle due maone a rimor­chio, 60 destinati ad imbarcare sul cacciatorpedi­niere italiano che li avrebbe trasportati <t Durazzo. La spedizione partì alle 8 da Scutari, a mezzo­giorno il Lanciere partiva per Durazzo, alle 14 la Citta di Messina e il Cariddi 1 per Costantinopoli avendo rispettivamente a bordo 60, 450 e 250 per­sone».

Nello stesso periodo di tempo la corazzata Na­poli e i cacciatorpediniere Lanciere e Carabiniere stazionavano nelle acque di Durazzo e di Valona. L ’ occupazione militare di Scutari fu mantenuta per circa 2 mesi con i soliti reparti di marinai sbarcati dalle navi.

del fiume per contro, abbassano rapidamente e la navigazione da Oboti a Scutari, già difficile per la forte corrente, diventa im­possibile per scafi a forte pescaggio. Per far cooperare le navi austriache al servizio internazionale ho aderito alla richiesta del­l'ammiraglio Njegovan che la Salamander limiti il servizio fra le foci e Oboti e il Marghera farà servizio da Oboti a Scutari.

1 Dal rapporto del tenente di vacello Torrigiani, comandante militare del Cariddi: « Durante la traversata morirono 2 turchi.... il primo trascorse 24 ore dal decesso constatato dagli ufficiali me­dici ottomani presenti, ebbe sepoltura in mare all’altezza dell* isola di Strati, il cadavere del secondo fu invece sbarcato al villaggio di Dardanelli.... ».

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Verso la fine di luglio tali reparti furono sosti­tuiti da contingenti di truppe degli eserciti delle potenze.

L ’ opera svolta nei mesi di occupazione è ben descritta nel rapporto del comandante Ciano, che riproduciamo per il particolare interesse che ha tale documento :

« La città all’ arrivo delle truppe internazionali mancava di tutto; gli uomini ed i bambini vesti­vano abiti logori e stracciati; il loro aspetto era quello di persone sofferenti e sotto 1’ incubo del terrore; pochissime le donne. La città rigurgitava di truppe montenegrine che occupavano con le loro famiglie le caserme e gli edifici pubblici, devastati dagli albanesi nell’ intervallo di tempo interceduto fra l ’uscita dei Turchi e la presa della città da parte del Montenegro. Sporcizie e pestifere esala­zioni dappertutto. Le strade ridotte in pessime condizioni a causa della guerra ed impraticabili dalle recenti pioggie, prive quasi del tutto d’ illu­minazione, ingombre di cannoni, munizioni e di carriaggi militari.

(c I principali edifici, chiese, moschee, caserme e moltissime case coi tetti e le mura rovinate.

« Oggi, dopo solo tre mesi di governo delle forze internazionali, la città ed i dintorni liberati dalla presenza del nemico; sgombrati da tutta la enorme quantità di materiale guerresco abbandonato dai Turchi e preda di guerra del Montenegro, risanati con la sepoltura e l ’ incenerimento dei cadaveri,

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delle carogne e di rilevanti quantità di luridi e pe­stiferi indumenti personali e letterecci, liberati da cani idrofobi che sembravano iene, presentano un aspetto ridentissimo.

«: I mercati sono abbondantemente provvisti, le strade pulite e relativamente bene illuminate; molti edifici riparati, le caserme rese abitabili, i campi dei dintorni coltivati; l ’ ordine, la giustizia, l ’ am­ministrazione civica ristabiliti; la libertà d ’ azione e religione, la tranquillità delle famiglie assicu­rate; i commerci ripresi; ritornato e forse accre­sciuto il benessere della popolazione— ecco in poche parole il benefico effetto che la città di Scu- tari ha tratto in soli tre mesi di occupazione in­ternazionale, mercè la quale ha potuto dimenti­care gli orrori della dominazione turca, quelli de­rivanti dalle continue insurrezioni tanto crudel­mente represse, dal lungo assedio e dal metodico giornaliero bombardamento al quale da mesi la cit­tà era stata sottoposta.

« A tale opera altamente civile l ’ Italia ha effica­cemente concorso senza riguardo a sacrifici finan­ziari, accrescendo la sua influenza in questa regio­ne; e il distaccamento della R. Marina__ vi hacontribuito con tutte le energie delle quali dispo­neva, lasciando il miglior ricordo di sè nella po­polazione, e riuscendo ad attirarsi la simpatia delle autorità estere che hanno avuto ancora una volta occasione di ammirare la disciplina, lo spirito di sacrificio, l ’ operosità e 1’ intelligenza dei nostri ma­

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rinai, in uno alla perfetta organizzazione dei no­stri reparti da sbarco— ». «

Il 25 luglio il nostro reparto di marinai fu so­stituito con un battaglione del R. Esercito. Nei medesimi giorni si costituiva una commissione per la delimitazione dei confini albanesi.

La commissione di controllo degli ammiragli cessò di funzionare il 15 ottobre e cedette il governo della città alla sottocommissione composta dagli uf­ficiali comandanti dei corpi di spedizione e dei con­soli delle potenze, e alla fine di agosto la divisione Garibaldi potè rimpatriare essendosi ormai sciolta la flotta internazionale.

L ’ ammiraglio Patris aveva alzato la sua insegna sul Dandolo destinato a rimanere stazionario in Al­bania insieme con la R. N. Iride (comandante ca­pitano di corvetta 0 . Ruta) dislocata a Valona.

L ’Austria lasciò a sua volta nelle acque alba­nesi 1’ incrociatore St. Georg sostituito poi dal- VAspern, e a Valona una unità minore (cannonierao cacciatorpediniere).

La questione del confine meridionale fu risolta conformemente alle proposte italo-austriache, as­segnando cioè all’ Albania il litorale orientale del canale di Corfù fino a S. E. di Punta Stylos, il canale fu dichiarato zona neutralizzata e la Grecia fu invitata a sgombrare entro il 31 dicembre la zona occupata, tra cui Saseno e Santi Quaranta.

Le tergiversazioni greche tuttavia fecero rite­nere necessaria anche in questa occasione un’ azione

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coercitiva esplicata in comune dalle flotte italiana ed austriaca e le duef marine si prepararono allo scopo.

Ma tale azione fu evitata in seguito al soprav­venuto sgombro dell’Albania meridionale da parte dei Greci.

Così si chiude, per quanto riguarda l ’ attività navale nell’Albania settentrionale, il faticoso an­no 1913.

Vedremo in seguito come la questione albanese dovesse assumere nuovamente capitale importanza nel 1914 e richiedere un nuovo intervento.

* * *

La situazione politica europea, che si era man­tenuta quanto mai oscura fino al maggio 1913 così da mostrarci nel teatro del Mediterraneo le flotte inglese, francese, italiana ed austriaca sempre pronte ad entrare in azione, si andò rischiarando nel mese di luglio e agosto.

Dall’ agosto al novembre, la flotta italiana potè usufruire di un relativo periodo di raccoglimento e provvedere alle complesse operazioni indispen­sabili per il mantenimento in efficienza delle navi e per l ’ allenamento del personale.

Nell’ agosto furono svolte le gare di tiro in Sar­degna, alle quali assistette S. M. il Re imbarcato sulla R. N. Dante Alighieri recentemente entrata a far parte della squadra.

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Tale riunione non potè essere completa, per­chè vi mancava la 1J divisione della 2“ squadra, che per necessità politiche dovette rimanere dislocata in Egeo.

L ’Amalfi era recentemente rimpatriata da Stoc­colma, ove aveva scortata la R. N. Trinacria nel viaggio compiuto dalle LL. MM..

I mesi di agosto, settembre e ottobre trascorsero nello svolgimento delle normali esercitazioni e ne­gli arsenali per l ’ esecuzione dei lavori annuali.

La dislocazione e la costituzione della flotta pre­vista per il novembre avrebbero dovuto essere quel­le proposte dalla lettera inviata dal capo di stato maggiore al ministro della marina in data 20 ago­sto dal golfo Aranci e che riproduciamo parzial­mente :

« Spezia e Genova:

« Prima squadra (vice ammiraglio Amero d’Aste Stella).

cc Prima divisione (vice ammiraglio Amero d’Aste Stella).

« Dante Alighieri (nave ammiraglia), G. Cesare (in allestimento), Leonardo da Vinci (in allesti­mento a Genova), Nino Bixio (in allestimento a Na­poli), squadriglia cacciatorpediniere tipo Animoso.

« Adriatico :

cc Seconda divisione (contrammiraglio Trifari).ccG. Garibaldi (nave ammiraglia), Varese (iu

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lavori a Venezia), Ferruccio, Coalit, Agordat, squa­driglia cacciatorpediniere tipo Artigliere.

« Tirreno:

« Terza divisione (navi scuola) (contrammira­glio Cutinelli).

« B. Brin (nave ammiraglia), Regina Margheri­ta, E. Filiberto, S. Marco, Carlo Alberto, Liguria, Miseno, Palinuro. Aggregata alla prima squadra : Eridano (cisterna).

« Riviera ligure:

« Seconda squadra (S. A. R. vice ammiraglio Luigi di Savoia).

« Prima divisione (S. A. R. vice ammiraglio Lui­gi di Savoia).

« Regina Elena (nave ammiraglia), Vittorio Emanuele, Roma, Napoli, Quarto, squadriglia cac­ciatorpediniere tipo Impavido.

« Egeo e Jonio:

« Seconda divisione (contrammiraglio Cagni). « S. Giorgio (nave ammiraglia), Amalfi, Pisa,

Marsala, squadriglia cacciatorpediniere tipo Cara­biniere. Aggregata alla seconda squadra: Vulcano (nave officina), Tevere (cisterna).

« Maddalena e Gaeta:

« Ispettorato delle siluranti (contrammiraglio Corsi).

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6 squadriglie di cacciatorpediniere tipo Nem­bo e Strale, 5 squadriglie di torpediniere alto mare e 7 squadriglie di torpediniere costiere.

<( I sommergibili costituiti in 4 squadriglie e la loro nave appoggio Lombardia.

Tale dislocazione però non fu attuata comple­tamente per la sopraggiunta necessità d’ inviare la divisione Regina Elena al comando di S. A. R. il Duca degli Abruzzi in Asia Minore, dove si era re­cata a scopo dimostrativo una parte notevole della fiotta francese (documenti 11-12). Ed il 17 novem­bre nelle acque di Rodi la squadra italiana e quella francese composta di 6 corazzate ebbero occasione di incontrarsi e di scambiarsi i prescritti saluti.

La fine dell’anno 1913 trovò la marina italiana pronta ad intraprendere qualsiasi operazione cbe le necessità politiche avessero richiesto.

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C a p i t o l o II.

LE OPERAZIONI NAVALI IN LIBIA DOPO LA PACE ITALO-TU RCA

So m m a r i o :

Le condizioni politico-militari della Libia dopo la cessazione delle ostiiltà con la Turchia. — La guerriglia coloniale. — Le speranze turche. — Il contrabbando costiero. — I presidi sulla co­sta ed i loro collegamenti. — Le forze navali dislocate in Libia.— Prime azioni contro nuclei ribelli in Cirenaica. — Azioni del Bausan e dttWElruria. — Bombardamento ed occupazione di Sirte.— Imbarco dei regolari turchi. — Le azioni nei dintorni di Ben- gasi nel gennaio 1913. — Il trasporto dei regolari turchi a Beirut.

• La .situazione in Cirenaica. — I preparativi per l’ azione di Tolmetta. — Operazioni delle torpediniere nei dintorni di To- biuk. —• Costituzione del corpo destinato ad occupare il Merg. — Dislocazione della prima divisione della prima squadra. — Co­stituzione del convoglio. — L’ imbarco del corpo di spedizione.— Il concentramento a Tobruk. — Lo sbarco dei marinai. — Le difficoltà dello sbarco. — La crisi della testa di sbarco. — La notte dall’ 11 al 12 aprile. — Le operazioni nei giorni successivi. —- Le artiglierie delle navi in azione. — Le operazioni interrotte dalla mareggiata. — Fine dèlio sbarco — Avanzata e occupa­zione del Merg. — Epilogo. —- Sbarco ad Apollonia. — La divi­sione navi scuola in Cirenaica. —■ Azione della Sicilia. — La mi­gliorata situazione militare alla fine del luglio 1913. La parteci­pazione delle navi alle operazioni ne] settore di Tobruk.

5 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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Le pagine che precedono, nelle quali abbiamo cercato di riassumere brevemente gli avvenimenti dell’ anno 1913 ed i loro riflessi inevitabili sulla no­stra politica navale, hanno illustrato il contributo dato dalla marina nella lotta che, pur non avendo ancora assunto un carattere di guerra, esisteva tutta via tra le varie grandi Potenze per assicurarsi una posizione predominante nei Balcani e nell’ oriente europeo.

L ’ opera svolta da importanti frazioni della flotta in Levante, in Albania, in Egeo, sebbene incruen­ta, aveva avuto alcuni momenti veramente dram­matici; talvolta il successo diplomatico fu conse­guito con la presenza e l ’ appoggio delle navi, che risposero costantemente all’ appello della patria, pronte ogni giorno, ogni ora, ogni istante a passare dall’ azione rappresentativa all’azione guerresca.

La marina, nell’ anno 1913, svolse nel modo più completo il compito importantissimo e delicato di essere la collaboratrice della diplomazia ed insiemelo strumento e l ’arma sempre pronta con cui la nazione potè svolgere la sua politica navale.

I tangibili risultati ottenuti con l ’ attiva parte­cipazione delle forze navali agli avvenimenti po­litici, compensarono la marina delle rudi fatiche sopportate.

Ma nell’ anno 1913, contemporaneamente all’ at­tività che abbiamo riassunta brevemente, la ma­rina fu chiamata a svolgere un altro compito che, pur potendo sembrare di secondaria importanza, ri­

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chiese l ’ intervento di numerose unità ed assorbì no­tevole quantità di mezzi e di uomini. Intendiamo parlare delle operazioni militari sulle coste della Libia.

Il doppio aspetto della guerra libica, che fu guerra tra potenze europee e nello stesso tempo guerra coloniale, lasciò, nonostante la pace con­clusa con la Turchia, lo strascico inevitabile di tutte le guerre coloniali.

L ’avita avversione dell’ arabo per l ’ infedele, gli interessi di confraternite religiose, 1’ industria del contrabbando delle armi, gli interessi commerciali e politici di altre potenze, contribuirono a tener viva la guerriglia coloniale.

Alcuni nuclei di regolari turchi rimasti nel- 1’ interno avevano costituite ed organizzate, inqua­drandole, numerose bande irregolari, che agivano per conto di alcuni dei più influenti capi della Se- nussia, perchè questa confraternita religiosa-poli­tica pretendeva di succedere alla Turchia nel go­verno di alcune zone della Libia.

Inoltre la Turchia, che si era adattata ad accet­tare la pace con l ’ Italia spintavi in parte dalla ne­cessità di difendersi dall’ assalto dei confederati balcanici, aveva sempre interesse a tener viva la ribellione araba contro di noi, nella lontana spe­ranza che ulteriori gravi avvenimenti politici le o f­frissero l’ occasione, approfittando del parapiglia di una conflagrazione che tutti presentivano vicina, di riprendersi la Libia.

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Alla fine del 1912 la nostra occupazione si li­mitava al possesso effettivo dei soli centri più im­portanti della lunga costa libica. Non solo la no­stra occupazione militare non aveva ancora potuto svilupparsi in profondità, ma rimanevano ancora molti punti della costa inospitale ed idrografica­mente poco nota in mano a nuclei di ribelli arabo­turchi, che minacciavano da vicino o impedivano le comunicazioni tra i vari centri da noi occupati. Alcuni punti della costa nelle mani dei ribelli rap­presentavano anche dei discreti rifugi per piccoli piroscafi o velieri, e poiché ad essi facevano anche capo alcune delle più battute vie carovaniere che li univano all’ interno, tali punti davano la possi­bilità ai ribelli di svolgere un regolare traffico col mare. Questo traffico inevitabilmente aumentava la possibilità di resistenza e di vita, sia col riforni­mento di armi, sia col commercio carovaniero.

Da questa premessa risultano ben chiari quali dovevano essere e quali furono effettivamente i com­piti della marina, e precisamente: operazioni mi­litari in appoggio alle truppe di occupazione, blocco delle zone costiere ancora nelle mani dei ribelli e vigilanza delle linee di comunicazione lungo il mare. Tali operazioni furono svolte in linea di massima sia da vecchie navi di scarsa efficienza guerresca, sia da unità aventi caratteristiche parti­colarmente adatte alle esigenze del servizio colo­niale; oltre a queste forze furono impiegate alcune squadriglie di siluranti meno moderne.

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Si potè in tale modo quasi sempre non dimi­nuire sensibilmente l ’ efficienza del grosso della flotta metropolitana, già sufficientemente assorbita da altri gravi compiti; ma alcune delle operazioni svolte in Libia (ad esempio l ’ occupazione di Tol- metta) assunsero un aspetto ed una importanza così notevole da richiedere la partecipazione di grosse frazioni della flotta da battaglia.

La narrazione cronologica delle operazioni mi­litari svolte in Libia, dopo la conclusione della pace con la Turchia, richiederebbe, di per sè stes­sa, più di un capitolo; ma, poiché la narrazione ha il puro scopo di mettere in evidenza le condizioni in cui si trovò la marina allo scoppio della grande guerra europea, riteniamo sufficiente ricordare sol­tanto alcune delle più importanti operazioni mili­tari, che faremo precedere da un brevissimo cenno sulla situazione militare in Libia alla conclusione della pace italo-turca, in quanto le operazioni na­vali che seguirono erano necessariamente in stretta relazione con l’ attività militare terrestre del corpo di occupazione.

La breve durata della guerra non aveva an­cora consentito alle nostre truppe di poter avan­zare in profondità verso il Sud; perciò come già si è detto più sopra, la nostra occupazione militare si limitò alla fascia costiera, eccetto che nella zona di Tripoli, ove si potè raggiungere con una certa vapidità l ’ altipiano del Oarian.

Ma anche l ’ occupazione costiera era frammen­

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taria per ragioni evidenti. La mancanza di strade tra i vari punti importanti della costa non consen­tiva d’ irradiare spedizioni di truppe dai maggiori centri di occupazione. D’altra parte le occupazioni non potevano essere fatte subito per via di mare, giacche l ’ assenza di buoni approdi, rendendo diffi­coltose le comunicazioni marittime, rischiava di rendere precaria la situazione delle teste di sbarcoo dei presidi isolati, la cui entità non poteva assu­mere proporzioni molto notevoli senza l ’ appoggio di una base, dato che le risorse del luogo erano insufficienti a garantire le più modeste condizioni di vita per la mancanza di acqua e di viveri.

L ’ occupazione della costa doveva quindi essere eseguita con molta cautela e con mezzi navali e terrestri di una certa importanza al fine di assicu­rarne la continuità e non esporre le nostre truppe a pericolosi ed inutili insuccessi.

Alla fine del 1912 la nostra situazione militare in Libia era la seguente:

Il nucleo maggiore del nostro corpo di occupa­zione presidiava Tripoli ed i dintorni, mentre alcune colonne avanzate si erano già spinte a Sud verso il Garian.

A ponente di Tripoli la costa era occupata fino a Zuara e ben presidiata, mentre a levante i pre­sidi di Homs e Misurata assicuravano il fianco orientale della zona di espansione militare.

La situazione nel complesso era buona e con­sentiva Io svolgimento di eventuali operazioni verso

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1’ interno. Quindi fu qui meno necessaria l ’ opera della marina.

La zona desertica della Sirte era invece ancora completamente fuori del nostro controllo, tutt’ ora percorsa da nuclei di ribelli arabi armati, e sepa­rava completamente la zona occupata della Tripo- litania dai nostri presidi della Cirenaica.

Anche la situazione militare in Cirenaica non era molto buona, data la particolare configurazione montuosa di tale regione, la mancanza di carova­niere tra i punti della costa sia pure relativamente vicini, le minori risorse del suolo, la vicinanza del focolaio della ribellione rappresentato dai Senussi e infine la particolare sistemazione del confine egi­ziano, che facilitava il rifornimento dei ribelli sia per il materiale sia per gli uomini.

La nostra occupazione in Cirenaica si riduceva pertanto alle città principali, limitandosi a presi­diarle in un raggio molto breve, che si arrestava alla cinta dei fortini intorno alle oasi di Bengasi e Der- na ed intorno alla rada di Tobruk.

Le operazioni navali in Cirenaica e nella Sirte ebbero quindi un maggiore sviluppo di quelle svol­le nelle acque della costa vicina a Tripoli e richie­sero talora l ’ impiego delle forze metropolitane per effettuare sbarchi notevoli che permettessero un’ul-l eri ore estensione delle operazioni militari terrestri.

Alla fine della guerra con la Turchia il grosso della flotta composto dalla prima e seconda squa­dra da battaglia aveva lasciato la costa della Libia

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in parte per rimpatriare ed in parte per partecipa­re agli avvenimenti di Costantinopoli.

Erano rimaste in Tripolitania la R. N. Carlo Alberto con 1’ insegna! del comando superiore (ca­pitano di vascello Triangi), la R. N. Partenope ed alcune torpediniere e navi minori ; in Cirenaica : la R. N. Bausan con 1’ insegna del comandante superiore capitano di vascello Bertetti, una squa­driglia di torpediniere a. m. ed alcune cannoniere.

Alla fine del 1912 la R. N. Bausan rimpatriò per eseguire il turno di lavori ed alcune speciali si­stemazioni per una successiva permanenza in co­lonia e particolarmente per essere provvista di un apparato distillatore.

I] comando superiore in Cirenaica fu assunto per breve tempo dalla R. N. Carlo Alberto, che a sua volta rimpatriò in novembre sostituita dalla R. N. Etruria battente l ’ insegna del comandante superiore, capitano di fregata Arturo Ravenna, e che nel mese di novembre si dislocò a Tobruk.

In tale mese non vi furono notevoli avvenimenti militari; le torpediniere, che mantenevano la linea di vigilanza, eseguirono le consuete crociere, fatte spesso segno al fuoco dei ribelli, quando si avvi­cinavano alla costa.

Sempre nel mese di novembre giunse in Cire­naica il ministro delle colonie, che visitò con 1’ in­crociatore ausiliario Città di Siracusa i vari punti della costa fino al golfo di Solum.

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Una delle prime azioni di una certa importanza si verificò nel mese di dicembre e fu svolta dal c. t. Strale (comandante capitano di corvetta Gui­do Milanesi) che bombardò efficacemente il giorno 1° di dicembre un raggruppamento nemico a Bu- Kalifa a 15 miglia a Sud di Bengasi, distruggendo varie opere in muratura nelle quali i ribelli si erano trincerati.

Un successivo bombardamento dello Strale il3 dicembre disperse in una località vicina a Bu Ka- lifa altri nuclei ribelli.

Verso la metà del mese ritornò in Cirenaica la R. N. Bausan, che sostituì 1’ Etruria nel comando superiore navale, e quest’ultima nave si dislocò a sua volta a Tripoli, conservando l ’ insegna del co­mandante superiore in Tripolitania.

Alla fine di dicembre vi fu un periodo di mag­giore attività navale, sia in Cirenaica per la recru­descenza del contrabbando, sia nella Sirte, ove era necessario estendere le nostre occupazioni. E per­tanto entrarono in azione così il Bausan comel ’’Etruria.

Il Natale 1912 ed il Capo d ’anno 1913 non fu­rono davvero giorni d ’ ozio per il personale della marina dislocato in Libia. La R. N. Etruria, giunta a Tripoli il 24 dicembre, si rifornì rapidamente di carbone e dopo una breve sosta ripartì per Sir­te, ove era già stata preceduta dalla nave ausiliaria Sannio avente a bordo la spedizione destinata alla

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occupazione di tale località composta di un reparto di ascari libici e di una banda libica di 200 uomini inquadrati da ufficiali italiani.

A Sirte, ove VEtruria giunse il giorno 28, si era­no concentrati circa 200 regolari turchi, che senza resistenza furono imbarcati sul Sannio; ma rima­sero a terra nuclei numerosi di ribelli risoluti ad opporsi ad un nostro sbarco.

L ’occupaz'ione di Sirte dovette essere perciò fatta di viva forza. I ribelli avevano abbandonato l ’ abitato di Sirte, ma si erano trincerati nelle dune circostanti. Durante la notte dal 29 al 30 1 '‘Etruria eseguì dei tiri di preparazione, e nella mattina del 30, dopo un breve ed intenso bombardamento con i piccoli e medi calibri, che inflisse perdite sensi­bili ai ribelli (una quarantina tra morti e feriti), gli uomini della banda libica sbarcarono ed occupa­rono il castello. Le nostre forze erano condotte dal capitano di S. M. Hercolani, destinato a rimanere a Sirte come residente. In appoggio a queste forze V Etruria inviò a terra un reparto da sbarco di 30 marinai con un pezzo da 75 comandato dal S. T. di V. Sansone, mentre sempre con personale del- l ’Etruria veniva installata una stazione di segnali.

Anche nelle notti del 30 e del 31 dicehibre e del 1° gennaio 1913 la nostra difesa, attaccata dai ribelli, fu sostenuta col fuoco del pezzo da sbarco e delle artiglierie della nave, che fece anche con­tinuo servizio di scoperta e di vigilanza con i proiet­tori. Durante le ore diurne si provvide allo sbarco

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Hai Sannio del materiale occorrente per costituire e rafforzare la base.

La situazione accennò a stabilizzarsi verso il giorno 2 gennaio, ed il Sannio ripartì per Tripoli per sbarcarvi le truppe regolari turche ed imbar­carvi i rinforzi richiesti dal residente per consoli­dare la occupazione. L 'Etruria rimase alla fonda sul posto per sostenere le forze sbarcate.

I giorni 3, 4, 5 gennaio trascorsero tranquilli, mentre a Sirte affluì un’ altra colonna di regolari turchi, proveniente dal Fezzan, comandata da un maggiore, che fu imbarcata sul Sannio ritornato da Tripoli.

Col Sannio erano anche giunti a Sirte i rinforzi composti di 2 compagnie eritree, una batteria li­bica, una stazione R. T ., materiali e viveri, così che il reparto da sbarco dell’ Etruria potè ritor­nare a bordo.

II mattino del 7, dato che ormai la nostra oc­cupazione era assicurata e le condizioni del mare rendevano difficile la permanenza delle navi sulla '’•osta aperta. 1’ Etruria, seguita poco dopo dal San- nio, ritornò a Tripoli.

Mentre si svolgevano tali awenihienti a Sirte, anche le navi dislocate in Cirenaica non rimanevano inattive. Il 1° gennaio 1913 le ridotte a N. E. di Bengasi venivano attaccate da bande arabe che fu ­rono respinte con forti perdite; anche le nostre truppe ebbero sei morti ed undici feriti.

Il comando del corpo d’ occupazione decise per-

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tanto di far bombardare le oasi di Zeiana e Sidi Kalifa nei pressi di Bengasi, dalle quali proveni­vano i nuclei ribelli che avevano eseguito l ’ attacco.

Il Bausan lasciò Bengasi il giorno 2 e con un intenso fuoco dei cannoni da 152 e dei piccoli ca­libri distrusse gli abitati delle due oasi. Altra pic­cola azione fu svolta dalla torpediniera Orsa (co­mandante capitano di corvetta V. Bianchi), che, mentre navigava vicino alla costa in prossimità del­l ’ abitato di Marsa Susa, fu fatta segno a scariche di fucileria dei ribelli annidati dietro le case, sulle quali essi avevano alzata la bandiera turca. La tor­pediniera rispose con le artiglierie demolendo al­cuni abitati.

Un’ azione simile fu compiuta il giorno 10 gen­naio dalla torpediniera Orione (comandante tenen­te di vascello A. Ledà) mentre la R. N. Misurala (comandante tenente di vascello F. Arese) nei primi di gennaio eseguiva un’ importante ricognizione della costa fino a Solum, ove il posto turco di con­fine era tuttora in armi.

Particolarmente gravoso era in Cirenaica il ser­vizio di vigilanza contro il contrabbando di armi alimentato da piccoli piroscafi e velieri, la cui par­tenza veniva segnalata dalle nostre autorità conso­lari residenti nei porti del Levante. Cosicché le nostre poche unità erano costrette a tenere conti­nuamente il mare in condizioni particolarmente sfavorevoli, dovute alla stagione invernale, alla mancanza di punti di approdo ed alle offese

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dei ribelli quando cercavano un ridosso sotto la costa.

L ’ opera della marina in tale periodo non può essere dimenticata senza far torto a coloro che mo­destamente e in silenzio sopportarono il peso delle faticose crociere spesso in lotta cogli elementi, con i ribelli e con le difficoltà dovute alla scarsità dei mezzi.

Nel periodo dalla fine della guerra libica al gen­naio 1913 erano intanto affluiti a Tripoli i contin­genti superstiti dell’ esercito ottomano, che aveva combattuto con il nostro corpo di occupazione. Da­ta 1’ impossibilità per i Turchi di fare ritorno in patria attraverso l ’Africa, nelle trattative di pace tra noi e la Turchia era stato stabilito che la ma­rina italiana avrebbe provveduto al rimpatrio di tali truppe.

La questione rese necessarie alcune delicate trattative col governo ellenico, perchè, essendo la Turchia in guerra con la Grecia, occorreva tutelare i Turchi fino al loro sbarco, ma nello stesso tempo non venire meno ai nostri doveri di neutralità verso la Grecia.

D’ accordo col governo di Atene e consenziente la Turchia, fu prescelto come punto di sbarco il porto di Beirut, che, data la lontananza dal fronte balcanico, era quello che meglio si prestava a ri­tardare notevolmente un eventuale trasporto alla linea del fuoco dei contingenti turchi già in Libia (documento n. 13).

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Sebbene la Grecia avesse dato assicurazione di non molestare la spedizione in caso di avvistamento in mare, pur nonostante fu incaricata la R. N. Agordat di scortare il Sannio e di dirigere le opera­zioni d’ imbarco e sbarco.

L ’Agordat, partito da Spezia il 4 gennaio, si recò a Tripoli. Il comandante di tale nave, presi gli accordi con il governo della Tripolitania, partì scortando il piroscafo Sannio il 14, toccò Augusta e Siracusa, ove il Sanino si rifornì, e diresse quindi per la Siria, giungendo a Beirut il 22 gennaio.

Il rapporto fatto dal comandante della R. N. Agordat (capitano di fregata Nicastro Salvatore) è interessante e lo riproduciamo in parte:« Si trovavano ormeggiate nel porto le navi Hen­ri IV della marina francese e Barham inglese. Fuori dei moli era ancorata la Medea inglese, che poche ore dopo è partita, e nel pomeriggio sono giunte pure all’ancoraggio esterno il Latouche Treville ed il Montana nord-americano.

« Prima dello sbarco mi sono recato sul San­nio a visitare e salutare Nesciat-bey, il quale di persona e per mezzo del suo capo di stato maggiore ha più volte manifestato ammirazione e gratitudine per la marina italiana e per il trattamento che ave­vano ricevuto sul noleggiato da parte del coman­dante del piroscafo, del comandante militare, degli ufficiali e del personale tutto. Altri vivi ringrazia­menti mi ha porto il generale governatore del vilayet nel restituirmi a bordo la visita.

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« Completate le operazioni di sbarco da parte del Sannio ed il rifornimento deWAgordat il 23 alle ore 14 il piroscafo ha lasciato Beirut diri­gendo verso Derna, ed alle ore 16 questa nave ha mosso per Messina ».

L ’Agordat, in realtà non ritornò in patria, per­chè fu trattenuta in Levante per gli avvenimenti già descritti.

L ’ occupazione di Sirte, avvenuta ai primi di gennaio, aveva aumentato il nostro prestigio e mi­gliorate le condizioni generali della nostra espan­sione nella zona desertica. Infatti in una crociera eseguita dal Bausan nel febbraio 1913 il coman­dante riferiva quanto segue :

« Il paese di Sirte conta un migliaio di abitanti che si dimostrano di indole buone e pacifica. Nel piccolo porto trovasi un cutter siciliano proveniente da Misurata con 50 tonnellate di merci; il quale, appena giunto, aveva già ricevuto le ordinazioni per un successivo viaggio.

« A Sirte affluiscono molte genti dei dintorn i — un posto di 25 ascari è stato stabilito a 30 km. verso W.S.W. in un nodo carovaniero e non ha avuto molestie nè al suo insediamento nè sinora.

« Non vi sono notizie che bastimenti abbiano approdato ultimamente sulle coste della Sirte ad eccezione di un vapore che, nell’ ottobre ultimo, ancora durante la guerra, sbarcò fucili e muni­zioni in una località a tre giornate a levante di Sirte ».

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Al contrario la situazione sulla costa tra Ben- gasi e Derna e tra Derna e Tobruk rimaneva sem­pre incerta.

La torpediniera Orsa, che il 7 febbraio esegui una crociera per esplorare la costa verso Tolmetta, nei pressi di Marsa Susa vide alzata in un caseg­giato la bandiera turca e poco dopo fu accolta da scariche di fucileria alle quali rispose a colpi di cannone. Pochi giorni prima, nei pressi di Ben- gasi la piccola torpediniera 48 T (comandante capo timoniere G. Di Paola), priva di artiglierie, aveva dovuto sostenere il fuoco dei ribelli che l ’ avevano colpita; da bordo si misero in fuga i ri­belli col fuoco della moschetterà e della mitra­gliera.

Tali piccoli incidenti quasi quotidiani resero manifesta la necessità di un’azione in grande stile per meglio assicurare il fianco di Bengasi e Derna. 11 mese di marzo trascorse in grande parte nell’ ese- guire crociere di esplorazione verso Tolmetta, ove il Bausan si recò nottetempo a lumi spenti per in­viare a terra un emissario avente l ’ incarico di co­noscere lo stato d ’ animo della popolazione e fare opera di propaganda per un’ eventuale nostra oc­cupazione di tale punto della costa, giudicato il più adatto per crearvi una testa di sbarco per un corpo di operazione.

Da tempo si era prospettata l ’ opportunità di occupare le alture di Merg a cavaliere tra Bengasi e Derna e ritenute una posizione di particolare im­

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portanza strategica tale da assicurare il controllo di tutta la zona montuosa della Cirenaica occi­dentale.

Ma per occupare e presidiare in modo defini­tivo il Merg occorreva un corpo di spedizione di circa 10 mila uomini.

L ’ operazione accuratamente studiata dallo stato maggiore dell’ esercito richiedeva l ’ ausilio di no­tevoli forze navali e di un convoglio importante per lo sbarco a Tolmetta e non poteva essere svolta impiegando le sole forze navali dislocate in Libia.

Dopo un attivo scambio di idee tra i ministri della guerra, della marina e delle colonie, l ’ope­razione fu approvata e decisa per il mese di aprile.

Mentre in Italia ed in Colonia si approntava la spedizione concentrando e raccogliendo uomini, trasporti, mezzi di sbarco, le torpediniere della Cirenaica continuavano a svolgere le consuete azioni di polizia ed a partecipare a veri fatti d ’ arme in appoggio alle truppe operanti nei settori di [Ben­gasi e Tobruk.

Il 26 marzo YOrsa (comandante tenente di va­scello Virgilio Bianchi) proteggeva dal mare l ’ ala destra di un battaglione che avanzava insieme con due batterie lungo la costa a ponente di Tobruk a pochi chilometri dalla linea dei forti.

L 'Orsa mantenendosi tra i mille e i duemila metri dalla costa e precedendo gli esploratori della colonna operante, fece fuoco contro formazioni

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ribelli che furono disperse ed ebbero diversi morti ; anche la torpediniera fu ripetutamente fatta segno al fuoco di fucileria.

Il generale comandante del presidio di Tobruk a mezzo del comando superiore in Cirenaica ri­volse al comando della torpediniera un encomio : « Per r intelligente ed efficace concorso prestato in tale circostanza non solo col sorvegliare il fianco destro verso il mare, ma anche con l ’ intervenire coirartiglieria a protezione di tale fianco minac­ciato da pattuglie nemiche che tentavano l ’ accer­chiamento ».

Nello stesso giorno, 26 tnarzo, la torpediniera Orione (comandante tenente di vascello Leda) svolgeva un’ azione simile in appoggio delle truppe uscite da [Bengasi, battendo con le artiglierie il fianco del nemico trincerato nell’ oasi di Gariunes. Prese parte a tale azione anche la torpediniera 48 T (comandante capo timoniere G. Di Paola) con la sua mitragliera.

La.R. N. Tobruk, intanto, si era recata a Tol­metta per proseguire i rilievi e scandagli iniziati dal Bausan per la progettata azione di sbarco ed anche la R. N. Misurata si recò a Tolmetta per lo stesso scopo.. I lavori furono portati a compimento malgrado un vivo fuoco di fucileria, che confermò l ’ intenzione dei ribelli di opporre resistenza alla nostra vanzata sul Merg. E cosi per la fine di marzo i rilievi della spiaggia di Tolmetta erano pronti.

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Il corpo eli occupazione al comando del gene­rale Tassoni era stato stabilito nella seguente mi­sura: cinque battaglioni di alpini, due di ascari e due di fanteria, tre batterie da montagna, due da posizione e tutti i relativi reparti del genio e i servizi ausiliari.

Tale corpo, completamente equipaggiato per operazioni in montagna, aveva una notevole quan­tità di quadrupedi, che raggiungevano la cifra di 2500 capi.

Un primo scaglione, composto di due batta­glioni alpini e due di ascari e per il quale occor­sero quattro piroscafi, doveva prendere terra per costituire la testa di sbarco, preceduto però dal battaglione da sbarco delle navi e dal reparto spiaggia.

Le forze navali erano composte dalla 1“ divi­sione della l a squadra, al comando dello stesso co­mandante in capo, vice ammiraglio Viale, che prese la direzione generale delle operazioni ma­rittime e dello stesso sbarco.

Oltre alle corazzate della l a squadra RR. NN. Elena (ammiraglia), Roma, Vittorio Emanuele, erano state messe a disposizione dell’ ammiraglio Viale le seguenti unità : Bausan, Etruria, Aquilo­ne, Turbine, Dardo, Alcione, Albatros, Orsa, Orione ed unità minori: Misurata, Tobruk, Verde.

Per il convoglio furono requisiti in Italia undici piroscafi, su ciascuno dei quali prese imbarco un comandante militare con personale della R. Ma­

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rina ; i piroscafi precedettero la l a squadra nei porti della Cirenaica per iniziare 1’ imbarco delle truppe.

Essi erano i seguenti : Lazio, Cavour, Bologna, Rio Amazonas, Solferino, Valparaiso, Caterina Ac­came, Albaro, Minas, Cornigliano, Titanio. Fu in­fine messa a disposizione nella forza navale anche la nave ospedale Regina d’ Italia1.

Complessivamente la R. Marina contribuì a tale operazione con un totale notevole di 27 unità. Il 30 marzo la l a divisione lasciò Messina e fece rotta per Bengasi.

Prima di giungere a Bengasi la R. N. Roma si distaccò dalla formazione e diresse per Derna.

Il corpo di spedizione era stato approntato in tre nuclei e precisamente a Bengasi, a Derna e a Tobruk.

I piroscafi erano pertanto suddivisi in questi tre porti e le operazioni d’ imbarco si svolsero sotto la direzione dei comandanti delle navi mag­giori dislocate nei vari porti.

La spedizione fu poi suddivisa in quattro con­vogli così composti :

T e s t a d i s b a r c o ( p r o v e n i e n t e d a D e r n a ) :

R. N. Roma; piroscafi Lazio, Cavour, Bologna.T e s t a d i s b a r c o ( p r o v e n i e n t e d a B e n g a s i ) :

R. N. Vittorio Emanuele; (piroscafo Rio Amaz- zonas.

1 I nomi dei comandanti delle unità risultano dal documento in appendice (n. 14).

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1 ° C o r p o d i s p e d i z i o n e ( p r o v e n i e n t e d a D e r ­

n a ) : R. N. Etruria; piroscafi Solferino, Valparai­so, Caterina Accame, Minas.

2 ° C o r p o d i s p e d i z i o n e ( p r o v e n i e n t e d a B e n ­

g a s i ) : C . T. Aquilone; piroscafi Cornigliano, Ti­tania.

L ’ imbarco delle truppe fu reso, specialmente a Bengasi, difficile per le condizioni del mare e ri­chiese vari giorni.

Compiuto 1* imbarco, il grosso della spedizione si riunì nella rada di Tobruk, sia per attendere in un buon ridosso il momento propizio per svolgere l ’ operazione, sia per ingannare i ribelli circa il punto prescelto facendo supporre che lo scopo del­l ’ operazione fosse uno sbarco nel golfo di Bomba.

Per il mattino del giorno 8 tutta la spedizione era pronta e imbarcata e tutte le navi da guerra e ausiliarie erano concentrate nell’ ampia rada di Tobruk che offriva uno spettacolo notevole d ’ im­ponenza e di forza.

La narrazione migliore della spedizione e delle difficoltà incontrate è quella contenuta nei rapporti dell’ ammiraglio Viale e del generale Tassoni co­mandante delle truppe.

I vari brani dei due rapporti, interessanti e vivaci nella descrizione, si integrano e si comple­tano, e pertanto ne riportiamo le parti che possono dare al lettore la sensazione più veritiera dei fatti.

Rapporto Viale. — c r i i m a t t i n o d e l 7 a p r i l e

s i l e v ò v e n t o d a m a e s t r a l e ; n e l p o m e r i g g i o i l m a r e

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aumentò in modo molto sensibile, mettendo a mal partito i galleggianti che trasportavano l ’ ultima parte dei carichi di materiale e sul fare della sera le comunicazioni con la terra non erano più possi­bili. Siccome le apparenze del tempo non accen­navano in nessun modo a migliorare e siccome l ’ ancoraggio di Derna era eccessivamente ingombro di piroscafi carichi di truppe, di navi e di torpe­diniere, che male si tenevano alla fonda, ordinai successivamente, prima alle siluranti e poi ai pi­roscafi, di salpare e di raggiungere il mattino ap­presso l ’ ancoraggio di Tobruk.

« Diressi anche con la Regina Elena per quella località e stabilii che la Roma partisse dopo tutti i piroscafi.

« I l mattino successivo (8 aprile) le RR. Navi ed i piroscafi erano tenuti riuniti nella rada di To­bruk secondo un grafico di ancoraggio in antece­denza stabilito.

« Ordinai alla Regina Elena ed alla Roma di completarsi al ipiù presto di carbone ».

Rapporto Tassoni. — « I l giorno successivo 9, accennando il mare a migliorare, l ’ ammiraglio de­cise per 1’ imbrunire la partenza da Tobruk; frat­tanto nel pomeriggio, per facilitare le operazioni tra il comando della squadra e quello delle trup­pe, trasbordavo, portando al mio seguito il capi­tano Teliini, dal piroscafo Cavour sulla nave ammi­raglia Regina Elena.

« Alle ore 18, tra gli urrà degli equipaggi, cui

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rispondevano le festose grida dei soldati, il con­voglio salpò dal golfo di Tobruk, dirigendosi in alto mare ».

Rapporto Viale. — «P oco prima del tramon­to il convoglio guidato dalla Roma lasciava l ’ an­coraggio dirigendo verso il largo, simulando di fare rotta verso la costa di levante; più tardi, al cader della notte, salpò anche la Regina Elena, e non rimasero all’ancoraggio che le navi del secondo convoglio e le siluranti destinate a raggiungere di­rettamente il primo convoglio nel punto stabilito.

« La navigazione si iniziò sotto i migliori au­spici: spirava una leggera brezza da W.S.W. ed il mare era appena leggermente mosso dalla stessa direzione.

« Più tardi, all’ altezza di Derna, il vento andò lentamente rinfrescando.

« Il giorno 10 il mare ed il vento andarono al­quanto aumentando, sempre dalle direzioni pros­sime a quelle di ponente e subirono successiva­mente degli alti e dei bassi che non mi permisero assolutamente di fare previsioni anche appros­simate.

« I l Vittorio Emanuele, che proveniva da Ben- gasi con l ’ altro gruppo del primo convoglio, il Bausan che era in rotta per l ’ ancoraggio, la Etruria che era partita da Tobruk con i piroscafi del se­condo convoglio, non mi davano sullo stato del tempo informazioni allarmanti e siccome d ’altra parte io avevo preveduto, nelle istruzioni emanate

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in precedenza, anche la possibilità di non poter andare all’ ancoraggio, oppure di dover nuova­mente salpare appena giunto alla fonda, stabilii di riunire il convoglio e di proseguire risolutamente per Tolmetta secondo il piano prestabilito, nella intesa di prendere poi quelle decisioni che sareb­bero state consigliate dalle circostanze.

« I l convoglio si riunì all’ora prestabilita ed al cader della notte era in rotta per il punto di an­coraggio.

« Alle 22,30 le navi ed i piroscafi erano al­l ’ ancoraggio; la Regina Elena al centro, in corri­spondenza del Marabutto.

« Furono subito messi in mare ed approntati i mezzi di sbarco; si iniziò quindi l ’ imbarco delle truppe nei galleggianti e si effettuò con la maggior possibile oculatezza qualche movimento di imbar­cazioni per riunire secondo il desiderio del Co­mandante della spedizione, i vari reparti organici.

«P oco prima dell’ alba le forze da sbarco della Regina Elena, della Roma e della Vittorio Ema­nuele erano pronte in prossimità della nave ammi­raglia e tutte le truppe destinate a costituire la testa di sbarco erano pronte nelle imbarcazioni a prendere terra.

« Nelle prime ore del taattino giunsero il se­condo convoglio e la nave ospedale Regina d’Italia; tutti questi piroscafi presero il loro posto di anco­raggio senza nessun inconveniente ».

Rapporto Tassoni. — «Dalle navi intanto si

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osservavano sulla costa grandi fuochi; erano gli indigeni che sorpresi dall’ improvviso nostro ap­parire si chiamavano a raccolta e riunivano be­stiame e tende per salvarsi verso l ’ interno del paese ».

Rapporto Viale. — «Verso le 4 e 1 /4 , ai pri­mi chiarori si riconobbe perfettamente la costa.Il terreno prospiciente alla spiaggia appariva pia­neggiante per la profondità di un chilometro al- l ’ incirca, si elevava quindi in alture di altezza va­riabile fra i 200 e i 400 metri e presentava ovun­que caratteri coperti ed insidiosi, perchè cosparso di cespugli, di muretti e di rovine. In prossimità del Marabutto, ove doveva effettuarsi lo sbarco, esisteva anche un piccolo e fitto giardino.

« La spiaggia appariva sicura e di facile ap­prodo.

« Non si delineava nessun indizio di presenza di armati, ma non era possibile stabilire in modo sicuro se tra i numerosi appigli tattici esistenti nelle adiacenze fosse stata oppure no organizzata una qualsiasi difesa, diretta ad impedire o a mo­lestare le nostre operazioni. Alile 4 e mezza le nostre forze da sbarco diressero verso la spiaggia, ed i marinai, con lo slancio consueto, presero ter­ra, si distesero in catena ed avanzarono a rapidi sbalzi, riconoscendo ed esplorando intorno ai ce­spugli, ai muretti e nelle pieghe del terreno.

«P oco dopo presero terra i gruppi spiaggia delle navi, seguirono le prime truppe del R. Esercito e

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lo stesso comandante del corpo di spedizione, ge­nerale Tassoni».

Rapporto Tassoni. — « Punti sicuri di riferi­mento a terra erano il Marabutto di Sidi Abdal- lah cui sovrastava un’ alta palma, l’unica della lo­calità, e il Mausoleo, imponente rovina che il sole nascente illuminava di luce rossigna, tre chilometri circa ad oriente del primo. Regolandosi su questi le prime imbarcazioni guadagnarono la costa ai punti prescelti, dove furono subito issati i segnali convenuti ed iniziata la costruzione di pontili di circostanza ; a breve distanza seguirono le imbarca­zioni cogli alpini e ascari della testa di sbarco che cominciarono a prendere terra alle 6,15.

« Subito dopo anch’ io, cogli ufficiali al segui­to, scendevo su una barca a vapore della Regina Elena che si diresse verso la costa. Ma intanto il mare, anziché abbonacciare, cominciava ad ingros­sare ed a non più di 50 metri dalla riva, forse per una barra di sabbia nel fondo, l’ onda si rial­zava formando frangente sì violento che la barca a vapore non potè procedere oltre. Fu necessario chiamare una imbarcazione a remi e trasbordare sul posto ; si potè così giungere penosamente a una ventina di metri dalla terra, che guadagnammo por­tati a spalle dai marinai.

«M a ben maggiori difficoltà incontravano le imbarcazioni cariche di truppe: presso il punto di sbarco occidentale un pontone carico di ascari aveva urtato violentemente contro la riva spezzandosi

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nelle sue due parti, e molti ascari caddero in mare riuscendo però tutti a salvarsi».

Rapporto Viale. — « Il mare intanto, senza alcun preavviso di vento, andava lentamente gon­fiandosi e prima ancora di dar tempo di prendere un qualche provvedimento, rompendosi in piccoli frangenti ad una distanza di una cinquantina di metri circa dalla costa, mise in evidenza l ’ esistenza di dune e banchi sabbiosi, che avrebbero seriamente compromessa la sicurezza del traffico di numerosi galleggianti. Ordinai di sospendere lo sbarco.

« Disgraziatamente per altro una maona del piroscafo Lazio, carica di 4 pezzi da montagna e di cassette di munizioni, tallondando su di uno di quei banchi sabbiosi aveva imbarcato acqua, rotto la cima del rimorchio ed era andata a picco di piatto causando la morte di 16 soldati e di un ca­pitano di artiglieria. Il dolorosissimo incidente non potè essere evitato malgrado lo slancio di tutti i marinai accorsi».

Rapporto Tassoni. — «Erano in questo mo­mento a terra, col comando della divisione, circa 300 marinai, e frammenti di compagnie di ascari e alpini, un totale di 6 o 7 compagnie incomplete e prive di comandanti o di elementi essenziali, in una situazione quanto mai oscura, tagliate da ogni rifornimento o rinforzo, e mentre cominciava ad echeggiare sulle alture qualche colpo di fucile, gravava ancora sull’ animo di ognuno il dolore per tanti compagni miseramente perduti; ma nessuno

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si lasciò vincere dallo scoraggiamento e tutti atte­sero colla maggior alacrità ai compiti che il grave momento esigeva ».

Rapporto Viale. — « Ordinai che tutti i gal­leggianti facessero ritorno ai rispettivi piroscafi, in­viai ufficiali a riconoscere la costa ed a cercare il piccolo ridosso indicato dal portolano, ed autoriz­zai il comandante delle forze da sbarco ad ese­guire, allo stesso scopo, per via di terra, delle ri- cognizioni lungo la costa.

«Il piccolo ridosso venne infatti trovato a circa 4 chilometri dal punto ove si era iniziato lo sbarco ed apparì adattissimo alle operazioni di atterrag­gio, per quanto di capacità molto limitata.

« Le operazioni di sbarco furono intensiva­mente attivate in questo unico punto della costa; ed alle 11 antimeridiane il traffico con la terra era nuovamente ripreso.

«Disposi allora che i vari piroscafi successiva­mente si spostassero verso levante e si avvicinas­sero così al punto di sbarco, lasciando le navi da guerra dislocate in modo da proteggere convenien­temente la testa di sbarco da tutte le provenienze di una eventuale offesa nemica ».

Rapporto Tassoni. — « Per superare la crisi e dare un primo assetto alla testa di sbarco, e poiché il comandante della brigata alpini, generale Etna, che doveva assumere il comando della testa di sbarco non aveva neppure esso potuto prendere terra, assumevo direttamente il comando delle po­

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— O s ­

che truppe sbarcate e ordinavo intanto (ore 10,20) che gli elementi del gruppo Tedeschi (battaglione bvrea e V ili ascari) si disponessero a S.O. del Ma­rabutto fino al mare, quelli del gruppo Borzini — il colonnello era ancora imbarcato e lo sostituiva il maggiore Solari — (IV ascari e reparti del batta­glione Mondovì) si mantenessero a S.E. del Ma­rabutto, quelli del gruppo Dalmasso (battaglione Fenestrelle e V ili ascari) occupassero i pressi del Marabutto e che infine il battaglione da sbarco della R. Marina colmasse il vano fra questi ultimi due nuclei ».

Rapporto Viale. — «G li sbarchi vennero ri­presi e seguitarono per tutta la giornata in modo abbastanza intensivo, di guisa che, per la sera, si poterono mettere a terra tulle le truppe dei quat­tro battaglioni destinati a costituire la testa di sbarco ».

Rapporto Tassoni. — «Intanto piccole avvisa­glie avvenivano fra le pattuglie di ricognizione e beduini armati che vigilavano le vallate, mentre altri gruppi di armati erano segnalati verso Benet; continuavano nel piccolo porto gli sbarchi, spinti colla maggiore attività, tanto che a sera gran parte delle truppe della testa di sbarco erano a terra (3500 uomini circa), senza quadrupedi, senza ba­gaglio, con sole dotazioni individuali di viveri e munizioni, coi reparti frammischiati, in terreno sconosciuto e nell’ oscurità subito caduta. Cosi fu passata la notte dall’ l l al 12, tra il frequente ere-

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pitare della fucileria agli avamposti; alcuni proietti avversari passarono sopra le tende del comando.

« Grosse pattuglie di alpini ed ascari coman­date da ufficiali furono inviate verso le alture per ricacciare gruppi di ribelli che, sparando dall’ alto, molestavano i nostri accampamenti; una di queste riuscì ad aggirare un gruppo più degli altri audace, uccidendo una diecina di beduini e un sottufficiale bengasino al servizio dei turchi, certo Mussa ¡Ben Alì ».

Rapporto Viale. — «N ei tre giorni seguenti le operazioni di sbarco delle truppe, dei numerosi quadrupedi di cui il corpo di spedizione era prov­veduto e dei vari materiali, vennero continuate nel modo più sollecito consentito dalla limitata capa­cità del punto di approdo e dalle cattive condizioni del mare, sempre mosso da maestro; non fu pos­sibile, sempre a causa del mare, stabilire altri punti di atterraggio sulla spiaggia nelle adiacenze.

« Il mattino del 12 alle 7, salutata dalle salve delle navi presenti, veniva issata la bandiera na­zionale sopra il Mausoleo, dove si era stabilito il quartiere generale».

Rapporto Tassoni. — « Dalle informazoni rac­colte sull’ avversario si sapeva che questi aveva formato un campo con circa un migliaio di armati alla testata del Vallone Sciaaba nella località di Sag el Harash e si disponeva ad opporsi alla nostra avanzata, sperando di ricacciarci verso il mare;

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anima di questo aggruppamento di ribelli era Sidi Omar, capo Zauia di Merg.

« La notte dal 12 al 13 passò relativamente tran­quilla, ma il mattino, essendosi fatti più audaci e più molesti i posti avanzati dell’ avversario allo sbocco della Sciaaba, il tenente colonnello Tedeschi dal Marabutto mandava una prima pattuglia di 18 alpini e ascari al comandò del sottotenente Mac­cario, e quindi un’ altra della 4a compagnia del- rVIII eritreo per ricacciarli; contro l ’avversario che andava aumentando, apri il fuoco anche la 19l batteria e successivamente, regolandosi sugli scoppi di quest’ ultima, sparò anche l ’ artiglieria delle navi \

«Intanto il generale Etna aveva inviato pili al largo un buluc della 3a compagnia dell’VIII eri­treo, il quale appena cessato il tiro dell’ artiglieria, con magnifico ardire ed accorgimento, risalì le al­ture boscose, in modo da aggirare l’ avversario sul quale si gettò poi con impeto irruente, facendone strage a colpi di baionetta; l ’avversario lasciò sul posto 20 m orti2 ; noi avemmo 3 ascari morti (tra cui il bravo IBuluc-basoi Aberrai Rapté) e 8 feriti 6 dei quali abbastanza gravi. Risultato dell’ ener­

1 In una lettera diretta all’ammiraglio Viale dal generale Tas­soni il giorno 13, così si esprime quest’ultimo in una postilla scritta di suo pugno : « A quanto mi consta il tiro delle navi di slamane fu aggiustatissimo e azzeccò giusto. Ringrazio.... ».

2 Si seppe poi che su cento uomini il nemico aveva avuto 40 morti e 30 feriti.

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gica azione fu che per tutto il pomeriggio regnò ovunque la massima tranquillità».

Rapporto Viale. — Il mattino del 13, le con­dizioni del tempo e del mare andarono peggio­rando sensibilmente; il vento ed il mare sempre da maestro, obbligarono verso le 11,30 ad inter­rompere lo sbarco che fu ripreso faticosamente nel pomeriggio verso le 14. Rimandai la torpediniera 48 T a Bengasi.

« Il successivo giorno 14, verso il mezzogiorno, le operazioni furono però nuovamente interrotte a causa di una violenta mareggiata da scirocco, che impedì qualunque traffico fino al pomeriggio del giorno 16.

« Non tutti i piroscafi poterono in tempo alzare le imbarcazioni di cui erano provveduti, di guisa che, durante la mareggiata, furono asportati e get­tati sulla costa vari zatteroni ed altri galleggianti ».

Rapportoi Tassoni. — « Il mare ingrossava per vento da tramontana-maestro; nell’ entrare in por­to una maona trasportante uomini e tutti i ma­teriali del 10° ospedaletto da campo ebbe la bar­betta di rimorchio spezzata e si capovolse. Solo con grande stento e lavoro poterono essere salvati gli uomini e anche il materiale ricuperato, ma con danni non lievi.

« L ’ ira sorda del mare ricomnciava così a contrariarci, ad osteggiare in ogni guisa il nostro estenuante lavoro, tanto che si dovette interrom­pere ogni operazione dalle 10 fin verso le 15,

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quando gli sbarchi furono ripresi con grandi diffi­coltà. A sera con sforzi indicibili si potè avere a terra parte delle salmerie degli ascari, quelle del battaglione Ivrea e gran parte del battaglione del 30° fanteria; viveri scarsi, nessuna stazione radio e quindi comunicazioni incerte e difficili colle navi e col comando di Bengasi. La situazione mi per­metteva però di rinviare a bordo il battaglione di marinai che, nei tre giorni che furono a terra, in un impiego che non era loro abituale, avevano data magnifica prova di ardire, resistenza alle pri­vazioni, ai disagi, entusiasmo; il capitano di fre­gata Giovannini Giovanni li aveva ottimamente impiegati e comandati.

« Pochi elementi sbarcarono perciò nella gior­nata e fra essi una stazione radio someggiata, ma­teriale della sezione sanità e del 9° ospedaletto ; mi mancavano a terra 1100 uomini e 900 quadru­pedi per avere il minimo indispensabile per l ’ avan­zata; scarsi i viveri e l ’acqua».

Rapporto Viale. — «L o sbarco fu così fa ­ticosamente proseguito nei giorni successivi; si ebbe, è vero, a deplorare più di un inconveniente perchè alcuni galleggianti vennero gettati sulla co­sta o sugli scogli, inconvenienti che per lo zelo e per l ’ indiscussa capacità del nostro ottimo perso­nale non recarono alcun danno alle cose ed alle persone, ma io provavo, alla fine del giorno 18, la grande soddisfazione di aver potuto provvedere il corpo di spedizione, malgrado la continua per-

7 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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sìstente inclemenza del tempo, di tutto il neces­sario per vivere e per combattere».

Rapporto Tassoni. — « Finalmente il giorno 18, permanendo le discrete condizioni del mare e lavorando febbrilmente anche nella notte, si pote­rono sbarcare la sezione sanità, la colonna muni­zioni e, mettendo a contributo tutte le energie, anche 1’ intera 15a batteria da montagna, giunta in giornata da Bengasi; di questa taluni elementi pre­sero terra la mattina del 19, appena in tempo per unirsi alla colonna già in marcia verso il Merg.

«Terminava così il laboriosissimo sbarco du­rato ben otto giorni, mentre in condizioni normali otto ore sarebbero state sufficienti a mettere a terra almeno la parte essenziale del corpo di spedizione.

« Le condizioni del tempo quasi sempre sfavo­revoli e la speciale configurazione della costa crea­rono ogni sorta di difficoltà, che furono vinte sol­tanto colla costanza e coll’ abnegazione di tutti».

iRapporto Viale. — « La sera del 18 lo sbarco del grosso della spedizione era pressoché ultimato e non rimanevano sui piroscafi che i materiali, in quantità considerevole, nonché i viveri per un mese all’ incirca.

« I l generale Tassoni stabilì allora per il mat­tino del giorno 19 l ’ avanzata generale sul Merg e mi comunicò il suo piano di azione con la ri­chiesta di opportuni accordi per l ’eventuale ap­poggio delle artiglierie navali.

« Tutte le truppe, ad eccezione soltanto di 6

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compagnie di fanteria destinate alla protezione della base, dovevano prendere parte all’avanzata su tre colonne distinte destinate a procedere sul Merg lungo i ciglioni dominanti tre vie adiacenti di accesso verso l ’ interno.

« Non si avevano icarte dettagliate della regio­ne, non si conoscevano le quote esatte delle alture prospicienti e di quelle verso 1’ interno; pur tutta­via d’accordo con il comando della spedizione ed in base ad un rilievo speditivo della zona già oc­cupata, si concretò una suddivisione del terreno in quadretti, nell’ intesa di aggiustare convenien­temente il tiro in base alla diretta osservazione degli scarti da indicarsi alle navi per mezzo di semplici segnalazioni.

« Il mattino del 19, sotto una pioggia battente ed ininterrotta, si iniziò l ’ avanzata generale.

« Le nostre truppe, malgrado 1’ inclemenza del tempo, che per la prima volta si era messo alla pioggia, salirono sollecitamente sulle alture nelle tre direzioni in cui dovevano svolgersi le opera­zioni; al principio furono molestate da gruppi di armati subito dispersi dal tiro della Regina Ele­na, che fece fuoco in base alle richieste ed alle segnalazioni da terra.

«Alle 11 tutte le lunghe file di quadrupedi che seguivano il grosso della colonna centrale erano scomparse dietro alle colline prospicienti alla co­sta ed il mattino dopo un telegramma del generale Tassoni portava a noi la lieta notizia che il corpo

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di operazioni, in una sola tappa e dopo una mar­cia contrastata da una pioggia continuata per ben4 ore, raggiungeva ed occupava felicemente il Merg, avendo incontrato poca resistenza nel primo tratto del suo cammino ».

Dopo uno scontro vittorioso nel giorno succes­sivo il Merg fu definitivamente occupato, mentrei ribelli, lasciando sul campo numerosi morti, si ritiravano precipitosamente verso il Sud. L ’epilogo della difficoltosa impresa è riassunto dai seguenti telegrammi :

Telegramma del 24-4-13 del generale Briccola a S. E. J’ ammiraglio Viale.

720 - Ministero Colonie telegrafa:«Esprima ammiraglio Viale generale Tassoni

le vive felicitazioni del Governo per le operazioni che hanno condotto alla felice occupazione di Tol- metta e di Merg. Prego comunicare generale Tas­soni».

Telegramma di S. E. Leonardi Cattolica al­l ’ ammiraglio Viale in data 23 aprile 1913.

779 - Ammiraglio Viale nave Vittorio Ema­nuele.

10442 - « Sono lieto esprimere V. E. mio vivo compiacimento per operazioni felicemente com­piute nonostante gravi difficoltà di tempo e di luogo ».

Telegramma del generale Briccola all’ ammira­glio Viale in data 25 aprile 1913 :

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«8X6 - Ammiraglio Viale - Nave Vittorio.«780 - Mi è grato esprimere a V. E. mia pro­

fonda riconoscenza per validissima fraterna coo­perazione prestata per operazioni sbarco 4* di­visione ».

Abbiamo voluto dare ampio svolgimento alla narrazione dello sbarco di Tolmetta, perchè tale operazione è stata, dal punto di vista militare na­vale, un esempio classico di sbarco su costa aperta di un grosso corpo di spedizione effettuato in pre­senza del nemico.

Durante la stessa guerra italo-turca non si era verificato forse un fatto così importante e pieno di difficoltà tecniche, come quelle sorte per le con­dizioni meteorologiche incontrate a Tolmetta. Nelle stesse relazioni dei dirigenti delle operazioni si legge che tale sbarco non aveva precedenti nella marina italiana, in quanto le operazioni militari avvenute nel corso della guerra italo-turca avevano condotto ad eseguire sbarchi in località ove più o meno si era avuto sempre la possibilità di trovare un porto o almeno un discreto ridosso.

L ’ attento studio dell’ operazione di Tolmetta fu ricco di insegnamenti per tutti coloro che vi parte­ciparono e può essere tuttora interessante per il lettore.

Vedremo in seguito nella narrazione dello svol­gimento della guerra italo-austriaca come l ’espe­rienza acquistata in Libia fu preziosa, giacché im­

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pedi alla marina italiana di lasciarsi trascinare dal miraggio di facili successi da ottenersi con opera­zioni di sbarco su coste nemiche, ciò che invece fu fatto da altre marine durante la guerra con gravi insuccessi.

* * *

Tra i giorni 22 e 23 aprile la divisione dell’ am­miraglio Viale lasciò Tolmetta, essendo ormai su­perflua la sua permanenza in quelle acque, e, rifornitasi di carbone a Tobruk, proseguì per 1’ Egeo.

Rimase a Tolmetta il Bausan per assicurare le comunicazioni e proteggere la base colà costituita.

Le torpediniere di stazione in Cirenaica conti­nuarono la loro crociera di vigilanza contro il con­trabbando, crociere non sempre prive di incidenti.

Infatti il 19 maggio la torpediniera Alcione (comandante capitano di corvetta G. Milanesi), che aveva dovuto avvicinarsi a circa 800 metri dalla costa per svolgere una missione presso Solum, in una località ove si era già recata altre volte indi- sturbata, fu improvvisamente fatta segno a fuoco intenso di numerosi ribelli nascosti nell’abitato.

Subito da bordo, mentre la torpediniera si al­lontanava per mettersi fuori portata del tiro della fucileria, fu iniziato il fuoco di artiglierìa che di­strusse gli abitati da cui era partita l ’ offesa.

Fortunatamente, nonostante l ’ intensa fucileria avversaria non si ebbero a lamentare feriti.

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Tale fatto, per se stesso poco importante, era tuttavia un indizio certo, insieme con altri, di una ripresa di attività da parte dei ribelli arabo­turchi, e pertanto al ciclo di operazioni militari per la conquista dell’ altopiano cirenaico, iniziatosi con l ’ occupazione del Merg, fu necessario dare un ulteriore sviluppo.

Il corpo di spedizione del generale Tassoni do­veva dal Merg cercare di riunirsi con i presidi di Derna e Bengasi, ma le difficoltà incontrate re­sero manifesta la convenienza di costituire una base intermedia tra Tolmetta e Derna, per sbar­carvi altri reparti in appoggio alle forze della di­visione Tassoni che puntava su Cirene.

La località prescelta fu Marsa Susa, l ’ antica Apollonia.

Anche per questo ciclo di operazioni impor­tanti svoltesi tra il maggio ed il luglio 1913 fu richiesta la cooperazione di reparti notevoli della flotta, non essendo sufficienti le sole unità di sta­zione in Libia, e fu prescelta a tale scopo la di­visione delle navi scuola, che nel maggio si tro­vava in Tirreno, composta dalla R. N. Re Umberto (nave ammiraglia - contrammiraglio Cerri). R. N. Sicilia e R. N. Carlo Alberto (documento n. 15).

La divisione Cerri lasciò Napoli il 23 maggio e fece rotta per la Cirenaica, ove nel frattempo, dopo la partenza della divisione Viale, era giunta anche la R. N. Agordat di ritorno dal Levante.

L ’ ammiraglio Cerri, appena giunto, assunse il

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comando superiore navale in Cirenaica, ed in ac­cordo con il comando del corpo di operazione ini­ziò subito le operazioni per l ’ occupazione e la costituzione di una base a Marsa Susa (Apollonia).

Sotto la protezione delle navi, che inviarono a terra anche un reparto di marinai con un pezzo da sbarco, fu eseguita l ’ occupazione di Apollonia.

Le operazioni iniziate alla fine di maggio pro­seguirono regolarmente nei primi di giugno e, ser­vendosi dei piroscafi requisiti già adoperati nella occupazione di Tolmetta, furono sbarcati i contin­genti di rinforzo destinati a presidiare Apollonia ed a proteggere il fianco della divisione Tassoni.

Intanto questa divisione aveva potuto occupare Cirene ed il personale della R. Marina recatosi colà potè eseguire l ’ allacciamento delle stazioni ra­dio-telegrafiche di Cirene, Tolmetta e Apollonia. La R. N. Umberto rimase ad Apollonia per or­ganizzare definitivamente la base e portare a fine l’ unione con Cirene. Il personale di detta nave, sbarcato, diede la sua opera, in aiuto al genio mili­tare, per aprire la strada da Cirene al mare. In poco più di 15 giorni tale opera veramente degna delle tradizioni di Roma Imperiale, era portala a compimento, scavando la viva roccia a colpi di mine. Particolare interessante e molto significativo fu il ritrovamento in alcuni punti delle traccio dell’ antica strada romana che sboccava ad Apollo­nia. Cosicché le artiglierie e le colonne di auto­

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carri poterono transitare rapidamente su tale stra­da e riunire in poche ore la divisione operante nel­l'altipiano con la base sul mare.

Ma prima ancora che la strada fosse ultimata, un significativo ordine del giorno del generale Tas­soni ci dice quanto notevole sia stato sotto ogni aspetto il contributo dato dai marinai, che di volta in volta con romana tenacia e multiforme attività seppero trasformarsi, maneggiando con eguale en­tusiasmo il cannone ed il remo, il fucile ed il piccone.

Cosi troviamo scritto nell’ ordine del giorno del generale Tassoni :

« Con vero compiacimento ho appreso che re­parti di fanteria, la 9a compagnia minatori ed un drappello di marinai hanno efficacemente concorso al trasporto della batteria Nasi, che in un solo giorno ha potuto superare il primo tratto di strada da Apollonia a Cirene che presenta le maggiori difficoltà. E per tanto tributo un encomio ai reparti suddetti, che tanto buon volere hanno dimostrato in tale occasione ».

Mentre si svolgevano le operazioni descritte nella Cirenaica occidentale, anche nei settori di Derna e Tobruk si verificava una notevole attività e quindi parte delle forze alle dipendenze del­l ’ ammiraglio Cerri furono dislocate per svolgere azioni verso Bomba.

In tale località, da informazioni avute, si ri­

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teneva che stessero dirigendo i contingenti turchi che avevano evacuato il campo di Ettangi presso Derna da noi ripetutamente attaccato.

Fu perciò dato ordine alla Sicilia di esplorare tale località e battere le colonne turche coman­date da Aziz-Bey, che eventualmente avessero ten­tato di raggiungere, passando da Bomba, il confine anglo-egiziano.

La R. N. Sicilia lasciò Derna la sera del 13 giugno ed all’ alba del 14 era già nel golfo di Bom­ba, ove potè effettivamente sorprendere la colonna di Aziz-Bey.

Contemporaneamente e facendo rotta opposta, perchè proveniente da Tobruk, anche la torpedi­niera Alcione esplorava la costa, cosi che le truppe e le carovane turche si trovarono nelle prime ore del mattino sotto il fuoco delle due unità che fu intenso ed efficace, particolarmente per effetto dei medi calibri della Sicilia, mentre VAlcione poteva bersagliare da vicino la colonna di quadrupedi.

Un’ altra carovana fu sorpresa il giorno suc­cessivo nella stessa località dalla Sicilia e dispersa dal fuoco.

Tale azione naturalmente costringeva i contin­genti turchi a cercare scampo verso l ’ inospitale regione dell’ altopiano e ne rendeva difficile la si­tuazione.

Nello stesso periodo anche il Piemonte (coman­dante capitano di fregata L. Resio) proveniente da Tripoli si riuniva alle unità operanti in Cirenaica.

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Il giorno 18 di giugno le forze del corpo di occupazione, che presidiavano Derna, eseguirono una nuova azione offensiva contro i ribelli e per garantire da aventuali sorprese Derna, la R. IN. Sicilia inviò due compagnie da sbarco che presi­diarono la città in unione alle poche forze del­l'esercito non impegnate nell’ azione in corso.

Contemporaneamente la Sicilia e VAlcione pro­teggevano dal mare l ’ avanzata delle ali estreme delle colonne operanti.

Questa energica offensiva combinata tra le forze dell’ esercito e le forze navali fece naturalmente sentire il suo effetto allontanando in molti punti i ribelli dalla costa, e rendendo meno pericoloso il cerchio degli arabo-turchi che fino allora preme­vano in modo particolare su Derna e Tobruk.

Verso la metà di giugno il Carlo Alberto aveva potuto essere lasciato libero di riunirsi a Tripoli con le RR. Navi Miseno e Palinuro per proseguire la campagna d’ istruzione per gli allievi; alla fine di giugno anche la Sicilia lasciava le acque della Cirenaica per rimpatriare.

Altre unità rimasero dislocate a Tobruk, ad Apollonia, a Tolmetta ed unità minori continua­rono ad eseguire crociere di collegamento e vi­gilanza.

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* * *

In conseguenza delle operazioni svolte dalla marina, il generale (Briccola, comandante del corpo di occupazione della Cirenaica, rivolgeva la ¡se­guente lettera in data 21 maggio 1913 al comando della divisione navale:

« Mi è grato esprimere alla S. V. a nome mio e delle truppe dipendenti i più vivi ringraziamenti per l ’attiva efficace fraterna opera prestata dalle RR. NN. e dagli equipaggi nelle recenti operazioni militari.

« Voglia V. S. farsi interprete presso le forze navali della Cirenaica di tale sentimento che riaf­ferma rinsalda i vincoli di solidarietà tra esercito e marina che la campagna libica ha messo in cosi bella luce».

Le azioni offensive costiere svolte nei primi sei mesi del 1913 avevano nel complesso migliorata la nostra situazione nella zona costiera; con le avve­nute occupazioni di Sirte, di Tolmetta e di Apol­lonia, la costa dal confine tunisino a Derna poteva dirsi quasi completamente sotto il nostro controllo.

A levante di Derna, invece, data la posizione politica incerta del golfo di Solum e dato anche Porto Bardia e Bomba rimanevano tuttora fuori del nostro controllo, questi approdi rappresenta­vano sempre un vantaggio notevole a favore dei ri­

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belli, che ¡purtroppo continuarono ancora per mol­ti mesi ad essere riforniti di armi dai contrabban­dieri. Questi, con piccoli e ’veloci velieri dai por­ti del sempre irrequieto e malfido levante, riusci­vano spesso nottetempo a violare la nostra linea di vigilanza, che, per poter essere perfettamente ef­ficiente, avrebbe richiesto un numero di silu­ranti assai maggiore di quello di cui potevamo di­sporre, sopratutto in vista dei gravi avvenimenti che si maturavano in Europa.

Il comando del corpo di occupazione meditava da tempo, a simiglianza di quanto era stato fatto ad Apollonia ed a Tolmetta, di occupare di sor­presa il golfo di ¡Bomba.

E l ’ operazione non facile stalva per essere ese­guita allorché una pericolosa ripresa di attività dei ribelli, che attaccarono la nostra linea di comu­nicazione tra Apollonia e Cirene, ci costrinse ad impegnare nella zona tra Derna e iBengasi gran parte delle forze che l ’ esercito aveva in Cirenaica, e non consentì di avere truppe disponibili per ul­teriori occupazioni.

La torpediniera Arpia (comandante tenente di vascello A. Dilda) e la R. N. Misurata (coman­dante tenente di vascello F. Arese) verso i primi di luglio si erano più volte recate a Solum, per vigilare quanto colà succedeva, ed avevano potuto constatare che parte dei contingenti turchi erano concentrati per rimpatriare sotto la protezione delle autorità anglo-egiziane di confine.

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Ma, nonostante il rimpatrio di tali contingenti turchi, l’ attività dei ribelli era tutt’ altro che dimi­nuita e la pressione da essi esercitata contro To­bruk cominciava verso la metà di luglio a divenire minacciosa, cosicché il presidio di Tobruk decise un’ azione offensiva contro tale concentramento prima che esso ricevesse altri rinforzi. Il generale Salsa, comandante la divisione che presidiava To­bruk, richiese anche in questa occasione l ’ appog­gio delle navi, e, poiché in tali giorni era giunta in Cirenaica anche la R. N. Emanuele Filiberto (comandante capitano di vascello E. Girosi), que­sta insieme col Piemonte (comandante capitano di fregata L. Resio) e colla torpediniera Arpìa fu dislocata a Tobruk per partecipare all’azione.

Il mattino del 18 luglio due brigate composte del presidio di Tobruk e di rinforzi giunti da Derna puntavano decisamente sul campo ribelle, mentre, come nelle precedenti azioni, le navi dal mare ne appoggiavano le ali, precedendole e bat­tendo l ’ avversario colle artiglierie.

L ’azione terminò la sera ed il nemico battuto ebbe forti perdite e lasciò tra l ’ altro nelle nostre mani un cannone, un camion e una mitragliera, prova evidente dell’ importanza che aveva assunto tale reparto ribelle.

Anche il giorno 20 la R. N. Emanuele Filiberto e VArpia cooperarono alle successive azioni.

Abbiamo spiegato quali furono le necessità mi­litari che fecero rimandare le ulteriori occupazioni

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«lei golfo di (Bomba e di Porto Bardia. Di conse­guenza vennero meno le ragioni di tenere impe­gnati in Cirenaica reparti considerevoli della flotta o navi maggiori.

Perciò il 21 luglio, potè rimpatriare la R. IN. Re Umberto e poco dopo anche la R. N. Filiberto lasciò le acque della Libia per ritornare in Egeo.

Le operazioni militari assunsero in seguito un carattere prevalentemente terrestre; ma l ’ atti­vità svolta dalle unità minori rimaste di stazione in Libia fu ancora gravosa delicata e difficile, sem­pre per le già esposte ragioni della permanenza di ribelli a Bardia e Bomba.

* * *

Abbiamo così ultimato la narrazione degli av­venimenti politico-navali che vanno dalla pace di Losanna alla fine del 1913.

Il lettore può a prima vista pensare che questo capitolo dedicato alle operazioni di carattere co­loniale esuli dal compito che ci siamo imposti, cioè di narrare gli avvenimenti relativi alla grande guerra.

Ma a nessuno potrà sfuggire l’ importanza che le operazioni svolte per assicurarci il possesso di buona parte della opposta ¡Jponda mediterranea ebbero in seguito come riflesso sulla condotta ge­nerale della grande guerra. Ciò risulterà special­

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mente quando si prenderà in attento esame lo sforzo navale interalleato rivolto ad ottenere il do­minio del mare e a contrastare l’ azione dei som­mergibili nemici nella guerra al traffico.

Purtroppo il sopraggiungere del grande con­flitto mondiale non ci consentì di ultimare come sarebbe stato desiderabile quella conquista così fa­ticosamente iniziata svolta e proseguita fino al 1914.

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C a p i t o l o III.

S o m m a r i o :

L’apparente calma nell’ inverno 1913-1914. —• L ’ irrequietezza dell’ Epiro. — Il principe di Wied. — La. R. N. Quarto nel golfo di Trieste. — L’ intervento della nostra forza da sbarco per la protezione del Sovrano albanese. — La collaborazione navale italo-austriaca. — L’arresto di Essad Pascià. — Gli intrighi au­striaci alla corte del principe. — L’ incidente Muricchio. — L ’at­tacco degli insorti a Durazzo. — Il telegramma dell’eccidio di Se- rajevo. — Il funerale nell’ Amarissimo. — Il Consiglio dei Mini­stri a Vienna e le direttive per la politica austriaca in Albania. — La partenza delle navi austriache dalle acque Albanesi. — Il pre­sidio dei marinai italiani al palazzo reale. — La partenza del principe sul Misurata. — L ’occupazione di Durazzo da parte degli insorti. — La Dandolo in Albania.

L ’ anno 1913 così fecondo di avvenimenti po­litici e turbato frequentemente da minacce di guerra si chiuse in un’ apparente atmosfera di calma e di reciproca fiducia tra le potenze.

La nostra attiva politica navale e le operazioni della flotta si conclusero con un bilancio favore­vole per 1’ Italia.

Mentre in Adriatico eravamo riusciti a garan­tirci da una occupazione delle sponde orientali del

8 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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canale di Otranto da parte di una potenza ma­rittima dell’ uno e dell’altro raggruppamento po­litico, nel Mediterraneo avevamo acquistato in gran parte il controllo marittimo della lunga costa li­bica e consolidati i nostri punti di appoggio nel mare Egeo.

Ma nonostante l ’ apparente calma dell’inverno 1913, il fuoco covava sotto la cenere, e, quantun­que le flotte mediterranee ritiratesi a svernare nelle rispettive basi per l ’ ordinario periodo di la­vori mostrassero una minore attività apparente, gli ambienti navali militari che in tutti i tempi si può dire siano stati i termometri più delicati della temperatura politica, manifestavano una certa ir­requietezza.

Gli stati maggiori delle varie marine vigilavano attentamente e le piccole unità da guerra di sta­zione nei vari punti del Mediterraneo erano le sentinelle avanzate della diplomazia.

Che gli ambienti politici e navali si facessero poche illusioni sulla apparente tranquillità del­l’ Europa è facile dedurlo da molti indizi.

Negli ultimi giorni del dicembre 1913 il conte Tisza aveva dichiarato alla commissione della ma­rina della delegazione ungherese, che la flotta au­striaca doveva essere rinforzata per poter rendere alla sua alleata Italia preziosi servigi. Può darsi che tale dichiarazione fosse sincera, ma sta il fatto che essa avveniva pochi giorni dopo che a Gratz si erano verificati conflitti sanguinosi tra studenti

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italiani e tedeschi per la insoluta questione della Facoltà Italiana.

Ma, a meglio dimostrare come l ’ attiva, ma non certo aggressiva politica navale italiana richia­masse l ’ attenzione di varie potenze e destasse delle suscettibilità, è da rammentare che nei primi giorni del febbraio del 1914 il Times iniziò una , campagna di propaganda per l ’ aumento delle forze navali inglesi nel Mediterraneo a fine di pareggiare quelle italiane.

Valgano queste note a dimostrare ed a far ri­cordare oggi, quanto nell’ ormai lontano anteguerra fosse aspro, difficile e contrastato per la nostra giovane nazione il ritorno alle naturali e millena­rie rotte che le navi equipaggiate da gente italica avevano percorso fin dagli albori della civiltà.

E pertanto era ben giusto se nel 1914 i marinai d ’Italia Vela dabant laeti et spumas salis aere rue- bant su quella via acquea che unisce le foci del Tevere all’ azzurro Egeo, percorrendo nuovamente quell’ itinerario che il dolce Virgilio ci aveva abi­tuato a non dimenticare, allorché, fondendo in­sieme il mito epico delle origini della stirpe con la tecnica nautica dei tempi antichi, aveva cesel­lato in sonori distici il più antico portolano delle nostre comunicazioni marittime.

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* * ¡¡s

Mentre il grosso delle forze navali italiane cer­cava di approfittare del periodo di calma per ri­mettersi in completa efficienza dopo l ’ intensa at­tività della flotta svolta nel 1913, l ’ ufficio del capo di stato maggiore seguiva lo svolgersi degli avve­nimenti albanesi a mezzo della R. N. Iride che insieme con un’unità austriaca stazionava a Va- Iona.

L ’assetto dell’Albania decretato dalla confe­renza di Londra era stato ormai accettato da tutte le potenze, ma la commissione di controllo, che nella sua qualità di loro mandataria, doveva at­tuare tali decisioni e dare forma di stato e di go­verno all’Albania, si trovava di fronte a difficoltà enormi. Il governo provvisorio non riusciva a dare la pace necessaria al paese sconvolto dall’ irrequie­tezza delle diverse nazionalità che lo formavano, preso di mira dalle cupidiglie slave ed elleniche, e turbato anche dall’urto delle diverse religioni dei suoi abitanti.

Nei primi di gennaio si era verificato un ten­tativo insurrezionale contro il governo provvisorio di Ismail Kemal Bey avente lo scopo d ’ imporre come principe, in Albania, Izzet Pascià.

Il comando della R. N. Iride negli stessi giorni

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inviava un rapporto in data 8 gennaio 1914, che riassumiamo in parte e che ci espone chiaramente quale fosse la situazione:

« __ da ieri è stato proclamato lo stato d ’ as­sedio per tutto il distretto di Valona. Sono stati dati pieni poteri al colonnello olandese (W .G.G. de Weer) comandante della gendarmeria per la re­pressione di eventuali disordini.

« Sono stati destituiti vari funzionari (il ca­pitano di porto, il capo della polizia..., ecc) so­spetti di partecipare ad un movimento tendente a proclamare principe di Albania Izzet Pascià, mi­nistro della guerra turco.

«Essendovi la certezza che da Costantinopoli erano partite molte persone, in gran parte militari, per organizzare e dirigere il movimento, la com­missione internazionale di controllo dette mandato ai membri italiano ed austriaco di provvedere, a mezzo delle navi da guerra stazionarie, per una accurata sorveglianza delle rispettive navi da com­mercio, stabilendo, anche, che non sarebbe stato permesso trafficare colla terra alle navi di altre bandiere ».

A rendere ancora più complicata la situazione ed il compito della commissione internazionale si verificava un movimento insurrezionale nell’Alba­nia meridionale fomentato dalla Grecia che si era in apparenza rassegnata alla volontà delle potenze, ma che cercava per altre vie di pervenire agli scopi prefissi.

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Infatti un successivo rapporto della R. N. Iride in data 1° marzo 1914 così sintetizza la situazione :

«L a commissione internazionale di controllo del governo albanese ha ricevuto da Corfù un te­legramma di certo Zographos con il quale questi comunica che un’ assemblea epirota riunita in Ar- girocastro ha proclamato l ’ indipendenza dell’Epiro in nome del diritto che hanno tutti i popoli di disporre della propria sorte, eleggendolo capo del governo provvisorio con pieni poteri.

«N el telegramma lo Zographos invita la com­missione a prevenire il governo albanese di non inviare militari oltre il confine epirota perchè tale invio sarebbe considerato come apertura di osti­lità ».

Nella necessità di risolvere al più presto la crisi interna che travagliava l ’Albania, le potenze che avevano tenuto a battesimo il nuovo piccolo stato, cercarono di dargli un sovrano.

Naturalmente nella scelta occorreva tenere conto di vari fattori e delle varie tendenze po­litiche.

Tra i molti candidati erano il principe Fuad di Turchia, il principe Uraeh, il principe Napo­leone, il duca di Montpensier, ma naturalmente il prescelto doveva essere persona gradita soprattutto all’Austria.

Questa potenza contava di ottenere, mettendo sul trono di Albania un principe a lei devoto, quel predominio che non aveva ottenuto con i mezzi

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militari (non portati a termine in parte per il nostro fermo proposito di occupare Yalona) e che, nonostante i trattati, non voleva condividere con noi con mezzi pacifici.

Alla scelta fatta contribuirono interessi privati, tra cui le pressioni della Regina Elisabetta di Ru- menia, che vide nel nuovo trono albanese la pos­sibilità di sistemare un suo nipote, il principe Gu­glielmo di Wied, capitano degli Ussari dell’ esercito prussiano.

Essad Pascià, che aveva rinunciato ad eventuali sue pretese sul trono albanese, si recò il 21 feb­braio a Neu-Wied con una deputazione per offrire al principe Guglielmo la corona, mentre nei me­desimi giorni a S. Quaranta e a Delvino la popo­lazione in rivolta dichiarava decadute le autorità greche.

I sovrani albanesi si imbarcarono il giorno 6 a Trieste sulla nave della I. R. Marina austro- ungarica Taurus scortata da varie navi da guerra, tra cui la R. N. Quarto, che non entrò nel porto di Trieste per evitare eventuali dimostrazioni da parte della popolazione della città, quantunque il Governatore principe di Hohenlohe avesse auto­rizzato l ’ ormeggio della nave in porto.

Possiamo oggi ricordare a tale proposito que­sto caratteristico particolare. All’ imbarco a Trie­ste il podestà della città nel porgere il saluto al nuovo sovrano gli rammentò che tale saluto gli veniva rivolto nella «lingua che il Re d ’Albania

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avrebbe udito per tutta la costa orientale del­l ’Adriatico ».

La R. N. Quarto ferma sulle macchine era al largo; fu tuttavia ben veduta dalla popolazione triestina che la salutò da lungi come una profetica apparizione.

I Sovrani sbarcarono il giorno 7 a Durazzo e nel medesimo giorno la commissione di controllo affidò al Sovrano il potere.

II breve regno del principe di Wied è stret­tamente legato ad avvenimenti ai quali la marina italiana partecipò attivamente, e si deve in grande parte all’ azione delle nostre navi se questo so­vrano poco fortunato non subì, in modo più grave di quanto sia avvenuto, le conseguenze della po­litica austriaca. Questa nell’ intendimento di ser­virsi del principe ai suoi fini ne compromise (come vedremo) oltre che la dignità, anche la stessa vita, senza ottenere alcun scopo pratico se non quello di peggiorare la situazione.

L ’Albania, sotto un principe tedesco devoto al­l’Austria e divisa tra 1’ influenza italiana e quella austriaca, diveniva campo degli intrighi da parte dell’Austria che mirò costantemente ad allonta­narci da Valona, mentre le fiere popolazioni alba­nesi non si mostravano disposte ad accettare un governo che d ’ indipendenza e di libertà non aveva che il nome.

La situazione del nuovo sovrano apparve cri­tica fin dai primi giorni, e si manifestò chiaramente

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la necessità di proteggere sia la corona, sia 1’ in­columità della sua persona e della famiglia

Si erano già manifestati dissidi tra il governo albanese nazionalista e gli ufficiali olandesi che comandavano la gendarmeria; nello stesso tempo bande greche commettevano saccheggi e devasta­zioni nell’ Epiro.

Anche gli albanesi mussulmani insorgevano contro il governo e nel mese di aprile sia 1’ Epiro sia rAlbania settentrionale erano in armi.

In seguito a tali fatti l ’Austria e l ’ Italia prov­videro all’ invio di forze navali con 1’ intento di sostenere e proteggere il trono del principe, ed in­fatti verso i primi di maggio il contrammiraglio Tri- fari, ispettore delle siluranti, ebbe l ’ ordine di di­slocarsi in Albania con la R. N. Pisani e varie squa­driglie di torpediniere.

La situazione si andò aggravando di giorno in giorno, finché fu indispensabile l ’ intervento delle nostre forze da sbarco.

Quanto abbia contribuito a creare tale stato di cose il personale austriaco che faceva parte della corte del principe di Wied, e quanto abbia fatto la marina italiana per la sicurezza del Sovrano può

1 A titolo di curiosità storica mettiamo in appendice la noia, ritrovata tra i documenti relativi all’Albania, dei membri della famiglia e della casa reale, della commissione di controllo e delle legazioni, dei comandanti delle varie unità da guerra presenti a Durazzo nel luglio 1914.

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essere rilevato dal rapporto che riproduciamo. Così si esprime l ’ ammiraglio nel rapporto n. 22 del 19 maggio 1914 :

« — giungendo ieri sera a Valona verso le ore 17, mi pervenne il seguente telegramma dell’ inca­ricato d ’ affari, marchese Durazzo: ” Per desiderio espresso dal principe pregola tornare immediata­mente Durazzo con le tre squadriglie torpediniere. Insorti marciano su Durazzo ,,.

« Mentre gli ho fatto rispondere dal console di Valona, venuto a bordo a farmi visita, che sarei ripartito al più presto, ho immediatamente provve­duto al rifornimento di acqua e nafta delle silu­ranti. La 5a squadriglia (Ferrerò) è partita alle ore 19; la 10a (Cattellani) e la l l a (Menicanti) alle ore 20,30; la Pisani alle ore 1.

« Alle ore 3,30 di stamane, al giungere della Pisani a Durazzo, il comandante della nave da guerra austriaca Szigetvar insieme al comandante della R. N. Misurata, sono venuti ad informarmi che si temeva da un momento all’ altro l ’ arrivo de­gli insorti, che si trovavano a quattro chilometri dal paese di Bazar Siale che dista da Durazzo chi­lometri 10; che il principe li aveva chiamati la sera precedente al palazzo per provvedere alle segnala­zioni in caso di allarme e ai soccorsi da inviare per salvaguardare la vita della famiglia reale e tutto era stato predisposto in conseguenza di comune ac­cordo fra il comandante dello Szigetvar e quello del Misurata. Verso le 4 si sono uditi da bordo diversi

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colpi di cannone, ad intervallo; mentre i due co­mandanti, a tale allarme, tornavano al loro bordo, ho disposto che fosse approntata la compagnia da sbarco della Pisani ed al segnale convenzionale, ri­volto alla Pisani dalla nave austriaca a mezzo del proiettore, ordinai l ’ invio a terra della compa­gnia, dando tassative disposizioni circa 1’ impiego dei marinai nel servizio di sola protezione della fa­miglia reale e delle legazioni.

« Alle ore 5 mi sono recato a terra : ho consta­tato che i marinai del Misurata e delle squadriglie torpediniere, al primo segnale fatto dal palazzo reale, erano prontamente sbarcati ed avevano m i­litarmente occupato 1’ ingresso del palazzo; succes­sivamente sono arrivati i marinai austriaci in nu­mero di 60, e in numero di 120 quelli della Pi­sani la quale, data la sua pescagione, è alla fonda a circa 4000 metri da terra. Ho rimandato a bordo i marinai delle siluranti ed ho affidato il comando delle forze da sbarco italo-austriache al capitano di corvetta Giorgio Menicanti.

«Dalle informazioni assunte subito, sulla casuale deirallarme, mi risulta che durante la notte, per timore di una possibile invasione di insorti, sono stati armati di fucile dalle autorità locali molti de­gli abitanti di Durazzo per difesa della città e che alcuni di questi, forse per segreta intesa, verso le 4 hanno cominciato a sparare in aria.

« Il comandante della gendarmeria albanese, maggiore olandese, avrebbe di sua iniziativa ordi­

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nato il fuoco ai cannoni, che, quantunque conse­gnati all’Albania, erano comandati da ufficiali au­striaci e sistemati ¡presso il palazzo reale.

« Forse ritenendo che i colpi di fucile fossero sparati dagli insorti di cui si temeva un movi­mento verso Durazzo, i colpi di cannone in numero di sette furono diretti contro questi presunti insorti ; sta però il fatto indiscutibile che un colpo di can­none ha colpito la casa di Essad Pascià (ministro della guerra) danneggiandola ’ .

« Dopo ciò il maggiore olandese ha ordinato, sembra di sua iniziativa, la resa di Essad Pascià il quale, disorientato dagli avvenimenti della notte, ha opposto rifiuto domandando un ordine scritto dal principe. Subito dopo egli ha chiamto il no­stro incaricato d’ affari, marchese Durazzo, per far­gli conoscere quanto succedeva e avvisandolo che, se il principe ordinava la sua resa, intendeva affi­darsi alle mani dell’ Italia ed essere trasportato su nave italiana.

« L ’ incaricato d’ affari ha presentato la questione al principe, che, dopo lunga discussione tenuta con il ministro d’Austria, con il nostro incaricato d’ af­fari ed il ministro di Romania, ha deliberato che Essad Pascià con una scorta italo-austriaca fosse imbarcato sopra la nave austriaca Szigetvar, re-

1 Dagli austriaci ritenuto, a torto, responsabile dei moti rivo­luzionari.

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standovi a sua disposizione. Un drappello di 10 ma­rinai austriaci con un ufficiale e 10 marinai ita­liani agli ordini del comandante Menicanti si è recato a casa di Essad Pascià per scortare lui e la moglie fino alla banchina. L ’aiutante di campo del principe ha portato ad Essad Pascià l ’ ordine so­vrano ed il comandante Menicanti gli ha comu­nicato l ’ assicurazione formale del principe pro­vocata da me che sulla nave austriaca sarebbe stato trattato con tutti i riguardi possibili.

« Obbedendo all’ordine del principe, Essad Pa­scià e la sua signora, sotto scorta, sono stati conse-

* gnati al comandante della nave austriaca verso le ore 8,30.

«Mentre il principe ha insistito per avere du­rante la notte la forza da sbarco italo-austriaca per la protezione della famiglia reale, di comune ac­cordo con le autorità austriache, ho preso tutte le precauzioni per la personale difesa e per l ’ even­tuale imbarco dei Sovrani e del personale delle le­gazioni.

« Ho inviato due torpediniere, la 1 e la 3 P. N. nella insenatura di Capo Pali, per sorvegliare du­rante la notte con il proiettore la strada che lungo la costa conduce a Durazzo e dare l ’ allarme in caso di avanzata degli insorti ».

Il 25 maggio la situazione era tale da consigliare poco prudente la permanenza della famiglia del So­vrano a Durazzo e il ministro d’ Italia decise di fare ricoverare la famiglia del principe sulla R. N.

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Misurata, mentre l ’ Iride, la Pisani e le navi au­striache, giunte in quei giorni, prendevano a bordo il personale delle legazioni e le famiglie albanesi dei membri del governo.

Ma il giorno successivo il principe Guglielmo ritornò a terra accompagnato dall’ ammiraglio e dal ministro d’ Italia, barone Aliotti, e decise di ri­manere al konak nonostante la pressione dei con­siglieri di corte e del ministro d’Austria, contrari al suo sbarco dal Misurata, sul quale rimasero in­vece solo i Principi Reali, mentre la guardia del palazzo veniva affidata ai marinai italiani essendosi il ministro d’Austria rifiutato di far sbarcare i ma­rinai austriaci.

Il giorno 25 giunsero altre navi da guerra au­striache e le forze da sbarco italo-austriache ripre­sero di comune accordo, dietro le direttive dell’am­miraglio Trifari, il servizio di protezione del principe.

Riproduciamo a tale riguardo un altro brano di un rapporto dell’ ammiraglio Trifari in data 25 maggio :

Egli così riferisce :«A l tramonto di ieri giunse la nave ammira­

glia austriaca Sankt Georg con due torpediniere e stamane nella diana è partita la nave Admiral Spaun.

« Durante la notte scorsa il palazzo reale rimase sotto la protezione dei nostri marinai, sempre al comando del capitano di corvetta Menicanti; pre­

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disposi tutto per inviare rinforzi e per 1’ imbarco dei principi in caso di bisogno.

« La R. N. Iride con il suo proiettore illuminò in permanenza e sorvegliò il ponte della strada di Siak, mentre le navi austriache durante la scorsa notte tralasciarono 1’ illuminazione del palazzo reale di cui erano incaricate da precedenti accordi.

« Stamane il contrammiraglio austriaco Seiden- sacher, che ho incontrato a terra, mi ha comuni­cato che oggi alle ore 14 avrebbe sbarcato 80 ma­rinai dalla sua nave, numero uguale a quello dei nostri presenti a terra, per riprendere il servizio di guardia al palazzo reale come era precedente- mente organizzato.

« Di comune accordo si è stabilito che il co­mando delle forze da sbarco italiane ed austriache sia giornalmente affidato alternativamente ad un ufficiale superiore loro e nostro.

« Mentre stamane sembrava che gli insorti vo­lessero marciare verso Kavaia essi sono rimasti nel loro accampamento rifiutando sdegnosamente i no­stri soccorsi, che per la seconda volta abbiamo in­viato in automobile con il medico dell’ Iride.

« La giornata è passata calma, ma la situazione politica è oscura, e possono da un momento al­l ’ altro sorgere complicazioni imprevedibili; ad ogni modo tutto è organizzato per la sicurezza della fa­miglia reale e il suo imbarco sul Misurata.

« Rimango ancora sul Misurata per tenermi in continuo contatto con il ministro Aliotti, con il

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quale mi trovo in completo accordo per fronteg­giare la situazione.

« I comandanti delle navi austriache hanno sempre rispettosamente accettato ed eseguito le di­rettive da me emanate, e quando queste sono state in contrasto con gli ordini del loro ministro, come sopra ho accennato, hanno provveduto, tenendo nelle imbarcazioni, presso il pontile, una trentina di marinai armati, oltre la guardia alla legazione, pronti a prestar soccorso in caso di bisogno.

« Le relazioni mie con l ’ ammiraglio austriaco e quelle dei miei ufficiali con quelli austriaci sbar­cati, sono improntate alla maggiore cordialità ».

Mentre l ’ ammiraglio italiano e l ’ ammiraglio austriaco agivano con sincera e franca intesa mi­litare nel modo migliore per tutelare, oltre che le persone della famiglia reale, la stessa dignità del Sovrano e gli interessi delle due potenze, gli agenti austriaci influivano sulla già incerta condotta del principe, creando continui incidenti che, oltre a indebolire sempre più la già traballante compagine del governo albanese, rendevano pressoché impos­sibile l ’opera di accordo, indispensabile tra le auto­rità diplomatiche e il governo albanese per salvarelo stato e la corona.

Nei primi di giugno gli insorti continuavano le trattative col governo albanese svolte per il tra­mite della commissione di controllo, e intanto pro­gredivano nelle occupazioni dei vari paesi, così che ormai la sovranità del principe nell’Albania set­

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tentrionale era ridotta alla sola città di Durazzo, che gli insorti non si decidevano ad attaccare uni­camente per il timore delle artiglierie delle forze navali italo-austriache.

A Durazzo, nel frattempo, si verificavano in­cresciosi incidenti che dànno un chiaro esempio degli intrighi di corte, diretti ai nostri danni, e che ebbero invece il solo risultato di aumentare il di­sordine. Sempre nei rapporti dell’ ammiraglio Tri- fari leggiamo :

« Mentre ieri sera eravamo a pranzo dal ba­rone Aliotd, come sopra ho accennato, si è veri­ficato l ’ arresto del colonnello Muricchio, eseguito dalla locale gendarmeria, al comando del capitano olandese Fabius.

«L a relazione sull’ accaduto del ministro Aliotti non è arrivata in tempo a partire la notte scorsa con la torpediniera.

« Invio all’ E. V. a mezzo della torpediniera in partenza stasera, una copia del telegramma da tra­smettersi per filo da Brindisi e qui accluso rimetto a V. E. copia dell’ originale della relazione del mi­nistro.

« Da questa rilevasi la gravità dell’ accaduto che ha prodotto penosissima impressione su tutta la co­lonia italiana, la quale, convinta dell’onestà e del- 1’ innocenza del colonnello Muricchio, ha interpre­tato l ’ arresto come una conseguenza di mene segrete tra la legazione d’Austria e gli ufficiali olandesi ed è rimasta alquanto allarmata.

9 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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« Le pratiche svolte durante la giornata con la massima energia dal nostro ministro, hanno por­tato a questo risultato : la commissione d’ inchiesta che voleva nientemeno deferire il colonnello Mu­ricchio alla corte marziale, dato il presunto stato d’assedio, ha ricevuto direttamente dal presidente del consiglio l ’ ordine di interrompere qualsiasi in­dagine. Per evitare qualsiasi falsa interpretazione della condotta del colonnello il ministro Aliotti ha richiesto che le carte sequestrate fossero esaminate da una speciale commissione, della quale doveva fa­re parte un rappresentante del governo e il nostro console. Questa si è riunita stasera alle 22, ma sic­come il colonnello Thomson pretendeva assistere alla verifica delle carte, la commissione ha sospeso il suo lavoro in attesa di ordini più precisi da parte del governo locale.

« Il presidente del consiglio dei ministri Turkan Pascià, oggi si è recato due volte alla nostra lega­zione per deplorare l ’ accaduto e per deliberazione dei ministri ha scritto al barone Aliotti una lettera nella quale assicura che il governo è disposto a dare completa soddisfazione in base a modalità da sta­bilirsi».

L ’ incidente fu risolto, grazie aH’energico in­tervento del ministro Aliotti, che aveva richiesto l ’ immediato allontanamento del colonnello olan­dese Thomson. Questo però morì combattendo da valoroso contro gli insorti prima che il provvedi­

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mento richiesto dal nostro ministro avesse avuto luogo (documenti nn. 16, 17, 18).

Il giorno 15 gli insorti si decisero ad attac­care Durazzo e, poiché la minaccia dell’ invasione della città era imminente, l ’ ammiraglio Trifari provvide a far sbarcare altri reparti di marinai dalla R. N. Pisani e dalla R. N. Iride, oltre a quelli che già erano a terra a guardia del konak, per pro­teggere le legazioni.

Nella sera i ribelli furono respinti dai regolari albanesi. Data la gravità della situazione, anche le altre potenze europee, pur avendo riconosciuto al­l ’Austria e all’ Italia il diritto maggiore di tute­lare l ’Albania, non potevano, come firmatarie del patto di Londra, disinteressarsene completamente, e provvidero perciò all’ invio di forze navali per cooperare alla difesa del principe.

Prima fu l ’ Inghilterra, che inviò il Defence con l ’ ammiraglio Troubridge con l ’ ordine però di non inviare forze da sbarco a terra. Contempora­neamente arrivò la nave russa Teretz, che prese poca parte agli avvenimenti.

La Germania, che già aveva dislocato una forza navale nel Mediterraneo fin dall’ anno precedente, inviò a Durazzo il Breslau, mentre il Goeben era a Pola, e anche la Francia inviò un incrociatore co­razzato.

Il 18 giugno il governo albanese tentò un’o f­fensiva contro gli insorti, ma le truppe del prin­

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cipe, dopo qualche tentativo, ripiegarono su Du­razzo incalzate dai ribelli; tale avvenimento rese necessario un conseguente nuovo invio di forze da sbarco italiane ed austriache e l’armistizio stipu­lato lo stesso giorno 18 tra il governo del prin­cipe e gli insorti cessò il 26 giugno, essendo fal­lite le trattative, perchè gli insorti richiedevano la immediata abdicazione del principe.

Lasciamo ancora una volta la descrizione degli avvenimenti a coloro che ne furono spettatori ed attori.

Il rapporto dell’ ammiraglio Trifari del 29 giu­gno ci descrive rapidamente gli avvenimenti fino alla data fatale dell’ eccidio di Serajevo.

Rapporto n. 42 in data 29 giugno 1914:« La sera del 26 il principe Guglielmo dopo un

colloquio con l ’ ammiraglio inglese e con il colon­nello Philips decise di mandare il suo aiutante di campo Ekrem iBey Libohova come suo rappresen­tante, a parlamentare con i capi degli insorti, ma all’ultimo momento non volle che il suo aiutante vi si recasse. Allora solamente il colonnello Philips si recò al ponte di Siak a parlamentare con i capi degli insorti.

« Questi ripeterono al colonnello Philips quanto avevano già esplicitamente dichiarato alla commis­sione di controllo il giorno 3 corrente, ossia che prima condizione per entrare in trattative di pace doveva essere l ’ abdicazione del principe Wied dal trono d’Albania, perchè essi non potevano soppor­

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tare un sovrano che li accoglieva sempre a can­nonate.

« I capi degli insorti, nel dichiarare che sareb­bero anche disposti ad accettare un principe non mussulmano, hanno manifestato di nuovo il loro volere che il successore al trono di Albania sia di loro gradimento; hanno ripetute le richieste pre­cedenti relative al rispetto della religione, alle scuole mussulmane, ma reclamano anche un rap­presentante mussulmano nella commissione di con­trollo. Ripetutamente hanno domandato se le navi europee avrebbero tirato contro di loro; il colon­nello Philips ha risposto che essi avrebbero veduto quello che farebbero le navi in caso di attacco alla città. A giudicare dall’ esito di questo colloquio, bisogna convenire che nessun progresso si è verifi­cato nelle trattative con gli insorti e che le condi­zioni presentate il giorno 27 non differiscono so­stanzialmente da quelle avanzate alla commissione di controllo il 3 corrente. Sembra che continuino però le trattative e che ieri sia stata mandata agli insorti dallo sceicco di Siak, sempre ricoverato al­l ’ ospedale austriaco, una lettera nella quale egli raccomanda ai ribelli di assoggettarsi al principe e fare la pace.

« Corre voce in città, confermata anche dal­l ’ ammiraglio austriaco, che il governo albanese ab­bia intenzione di attaccare subito gli insorti. I colpi di cannone sparati senza ragione la sera del 26, mentre l ’ ammiraglio inglese discuteva al palazzo

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l ’ invio dei parlamentari, furono ordinati dal mag­giore olandese Schloss. Questi aveva lo stesso giorno respinto dagli avamposti alcuni insorti, latori di una lettera per il principe, lettera che fu poi re­capitata, e conteneva la richiesta dell’ invio dei due rappresentanti a parlamentare.

« Per tali fatti il presidente del consiglio dei ministri ha domandato al principe l ’ allontanamento da Durazzo del maggiore Schloss e, se entro 24 ore questi non fosse partito, il gabinetto sarebbe stato dimissionario.

« Il maggiore olandese sembra che sia partito per Yalona.

« L ’ ammiraglio inglese, che giornalmente in­contro a terra, mi ha comunicato, ridendo, di es­sere stato chiamato al palazzo dal principe, il quale gli ha espresso il desiderio che le navi europee bloc­chino la costa dell’Albania per impedire 1’ intro­duzione di armi e munizioni, che sembra siano dirette in gran quantità agli insorti. L ’ammiraglio inglese ha risposto che non ha istruzioni dal suo governo e che sarebbe impossibile mantenere tale blocco con le navi.

«Io non so quanto vi possa essere di vero nella notizia che ha prodotto tanto timore nel principe; mi sembra strano però che i favoreggiatori degli insorti approfittino dei punti della costa albanese per inviare carichi di armi e munizioni, quando queste possono giungere, senza controllo alcuno, attraverso i confini serbi, greci e montenegrini.

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• « Ieri sera verso le 17 fu intercettato dalla sta­zione radiotelegrafica della Fisani, il telegramma da Vienna diretto al governo albanese contenente le prime notizie dell’attentato contro l ’arciduca Max Ferdinando e la duchessa Sofia; immediatamente fu inviato un tenente di vascello di comandata a darne il triste annunzio all’ ammiraglio austriaco.

« Nella notte sono stati intercettati altri tele­grammi recanti i particolari dell’ attentato e l ’ an­nuncio della morte degli arciduchi; stamane l ’ am­miraglio Seidensacher ha mandato a bordo un uf­ficiale per confermarmi la notizia della morte del­l ’ arciduca ereditario e della duchessa.

«A lle ore 10 mi sono recato sulla nave Sankl Georg ad esprimere all’ ammiraglio Seidensacher la viva parte che la marina italiana prende al! gravis­simo lutto che colpisce la nazione austriaca e subito dopo, insieme col barone Aliotti e col marchese Durazzo, sono andato alla legazione austriaca per presentare al ministro Lowenthal le più vive con­doglianze della nostra marina per la tragica fine degli arciduchi.

« Uniformandomi alle altre navi europee pre­senti ho disposto che le navi dipendenti tengano al­zata a metà albero la bandiera austriaca per indi­care che il lutto si riferisce a questa nazione. La nave Breslau ha sbarcato un distaccamento di 10 marinai per proteggere la legazione di Germania.

«Ieri mattina alle ore 8 è giunta a Valona la R. N. Agordat.

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« Il comando di detta nave mi ha ieri sera in­formato che per ora colà tutto è tranquillo.

«L a nave russa Teretz è partita da qui ieri l ’ altro.

« Ieri con la torpediniera 3 P. /V. è partito per [Brindisi il Presidente del consiglio Turkan Pascià ».

La fulminea tragedia, che aveva messo in al­larme tutte le capitali d’ Europa, non ebbe imme­diata ripercussione negli ambienti navali austriaci, e le navi da guerra, che la duplice monarchia aveva dislocate in Albania, continuarono il loro servizio in collaborazione con quelle italiane e le poche unità sopraggiunte delle altre nazioni.

In quei giorni frattanto, l ’Adriatico diveniva il grandioso scenario di un tragico spettacolo, ricco di presagi. La nave ammiraglia della flotta austriaca la Viribus Unitis, seguita dallo yacht imperiale Lussin, e da tutte le divisioni della flotta, solcava a lento moto le acque dell’Amarissimo portando sulla sua poppa le salme dell’arciduca ammiraglio e della consorte.

Da terra e dalle isole dalmate le popolazioni della vacillante monarchia, assistevano mute e pen­sose al triste corteo che trasportava sul mare da Metcovich a Trieste un feretro nel quale era rac­chiuso il fatale destino della tragica Casa d’Asbur- go, dell’ Impero austro-ungarico e della stessa nave. Ed anche la già vacillante corona del trono albanese si avviava al suo triste destino.

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Da Durazzo il principe Guglielmo non com­prendeva che la morte dell’ erede al trono degli Asburgo segnava la data inevitabile della fine del suo breve regno e si ostinava a lottare contro i ribelli che facevano continui progressi.

L ’ ostinazione del principe era in parte dovuta all’ azione diplomatica austriaca che pensava di po­ter continuare ad interessarsi dell’Albania, senza valutare la gravità del temporale che si addensava sull’ Europa.

A Durazzo nei primi giorni del fatale luglio 1914 continuavano le trattative tra il principe e gli insorti, che erano più che mai decisi a non ri­conoscergli alcuna autorità.

Un tentativo fatto dal principe Bib-Doda con i suoi Mirditi per attaccare gl’ insorti nella zona di Al essio, fallì completamente.

Alla fine il principe di Wied non vide altre pos­sibilità di sostenersi che nel rivolgere un appello alle potenze europee, ma purtroppo in quei giorni i vari governi erano assorbiti da ben più gravi preoc­cupazioni e si limitarono a dare al principe molti consigli, ma ben scarsi aiuti materiali. I coman­danti superiori navali infatti ebbero soltanto l ’or­dine di garantire l ’ incolumità della famiglia reale.

A Durazzo erano bensì giunti numerosi volon­tari austriaci e germanici per costituire un corpo agli ordini del principe, ma questi volontari, quasi tutti ex ufficiali, pretendevano soprattutto di assu­mere il comando di truppe che non esistevano e

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finirono coll’ essere solo d’ imbarazzo per i ministri delle rispettive nazioni.

Anche la situazione dell’Albania meridionale si andava però oscurando e ciò non poteva lasciare in­differente lo stato maggiore della marina italiana, e pertanto la R. N. Agordat che aveva già parteci­pato agli avvenimenti di Durazzo, era stata in se­guito dislocata a Valona per cooperare con le au­torità consolari italiane ed austriache e, nel caso occorresse, appoggiarle efficacemente. Il coman­dante di tale nave poco dopo il suo arrivo mandò a Durazzo l ’ufficiale in 2a per comunicare le allar­manti notizie sulla situazione dell’Albania meri­dionale.

Risultava infatti che il 6 luglio i Greci erano entrati vittoriosi a Coritza, che avevano occupata, mentre le truppe albanesi in disordine si rifugia­vano a Valona ridotte a soli 80 uomini comandati da ufficiali olandesi. Le rimanenti forze regolari si erano sbandate e disperse alla sola presenza del nemico.

Gli insorti avevano attaccato iBerat da Nord mentre gli epiroti attaccavano da Sud ed anche i Serbi tentavano di approfittare del momento; in­fatti con la loro cavalleria si spingevano verso El- bassan.

A Valona si erano rifugiati gli abitatiti dei vari centri invasi, in numero di circa 60.000, privi di viveri e di mezzi.

L ’ ammiraglio Trifari, d ’accordo col ministro

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Allotti, propose l ’ invio della R. N. Iride in ap­poggio alVAgordat, data l ’ imminente minaccia dì un’ occupazione greca di Valona, ma il ministro austriaco si oppose, probabilmente per le solite ra­gioni di rivalità, forse perchè temeva colà una no­stra preponderanza di unità navali.

All’’Agordat furono date tuttavia istruzioni per la protezione dei fuggiaschi, che dovevano essere concentrati in un punto della costa sotto la prote­zione dell’ artiglieria della nave; essa in caso di ne­cessità avrebbe dovuto usare anche la forza, ma doveva disinteressarsi della sorte della città, qualora fosse stata occupata dai Greci.

Un brano del rapporto del contrammiraglio Tri- fari del 14 luglio, così ci descrive ciò che avve­niva nell’Albania meridionale:

« __ La notizia odierna dell’ avanzata dei Serbiverso Elbassan non ha destato qui molta meravi­glia, perchè era da prevedersi che, in seguito alla marcia incontrastata degli epiroti verso il Nord, i Serbi abbiano voluto approfittare della critica si­tuazione dell’Albania per avanzare anch’ essi.

cc Nonostante queste gravi notizie, a Durazzo re­gna la calma più perfetta e il principe e il go­verno albanese attendono la decisione e 1’ inter­vento dell’ Europa per eliminare l ’ anarchia che so­vrasta su tutto lo stato d’Albania.

« L ’ ammiraglio Troubridge mi ha riferito che slamane è arrivata da Valona una persona degna di

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fede la quale gli ha raccontato di essere stata a Coritza e di essersi ritirata fra gli ultimi dopo l ’ oc­cupazione dei Greci.

« Egli asserisce di aver veduto i Greci precipi­tarsi sulle donne, oltraggiarle, ucciderle, facendone addirittura scempio, sfogare il loro impulso bestiale contro i vecchi e bambini, commettere le più or­rende atrocità. Egli afferma anche che le truppe, che hanno occupato Coritza con bandiere greche spiegate, erano regolari, benissimo equipaggiate ed organizzate, con molti carri di ambulanza per i loro feriti, e seguite da salmerie complete. La ge­nerale supposizione è che gli epiroti non marce­ranno mai verso la costa, ma indurranno gli in­sorti, con i quali sono in perfetto accordo, ad avan­zare contro Valona.

« L ’ ammiraglio austriaco mi ha informato che domani giungerà qui una nave trasporto con ma­teriale per le navi austriache e 12 cannoni che il governo d’Albania ha adesso acquistati dal­l ’Austria ».

* * *

Mentre fin dal 18 luglio il ministero della guerra austriaco aveva proposto la mobilitazione della flot­ta, un consiglio dei ministri, che aveva avuto luogo a Vienna e a cui avevano partecipato i capi del­l ’ esercito e della marina, oltre ad aver esaminato

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quali passi fossero da svolgere contro la Serbia, ed aver preso la decisione di un’ azione militare, aveva discusso quali misure fossero da prendere, qualora P Italia, data la già prospettata situazione a noi sfavorevole nell’Albania meridionale, avesse occu­pato Valona. Fu deliberato di partecipare in ogni caso a tale azione per non lasciare all’ Italia mani libere in Albania.

Le navi austriache continuavano perciò a rima­nere di stazione con le nostre a Durazzo ed a Va­lona, mentre il grosso della flotta si preparava alla guerra nella piazzaforte di Pola.

L ’ammiraglio Trifari rimpatriò con la Pisani e con le siluranti il giorno 20 luglio. Il comando su­periore delle nostre unità fu assunto dal coman­dante Molà giuntovi con la R. N. S. Marco.

Fino al 23 luglio continuarono le trattative a Durazzo tra i ribelli ed il governo del principe che non si decideva ancora ad abdicare, incoraggiato dai pochi aiuti datigli dall’Austria e dai 700 fucili che 1’ incrociatore austriaco Sankt Georg aveva sbar­cato per armare poche centinaia di volontari ru­meni giunti a Durazzo in quei giorni.

Ma verso la fine del luglio 1914 cominciarono ad una ad una a partire le navi delle diverse po­tenze tutrici dell’Albania ed i vari governi mani­festarono chiaramente 1’ intenzione di disinteres­sarsi della sorte del principe Guglielmo.

Questi fece ancora qualche tentativo di resi­stenza; cercò di risollevare la popolazione albanese

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recandosi a Valona, colla R. N. Misurata, mentre nella rada 1’ Iride, VAgordat e l ’ incrociatore au­striaco Szigetvar gli rendevano gli onori.

Intanto, senza preavviso, la nave russa Teretz, lasciava Durazzo per ignota destinazione.

Il tentativo fatto dall’ Italia per accordarsi con l’Austria per svolgere una comune azione in Al­bania era fallito, nonostante la buona volontà ita­liana, e così si arrivò alla data del 3 agosto che segnò praticamente la fine dell’ influenza austriaca in Albania. L ’ Italia ebbe piena libertà d ’azione e non potè che limitarsi a mettere in salvo la fami­glia reale di un principe, che senza 1’ intervento delle nostre navi avrebbe forse pagato la conse­guenza di errori che non si potevano certo attri­buire a lui solo, ma piuttosto a chi gli aveva fatto balenare il miraggio di una corona, distogliendolo dalla sua modesta vita di ufficiale prussiano.

Gli ultimi giorni di questo effimero regno sono ben descritti nei rapporti del comandante Molà in data 31 luglio e 3 agosto 1914:

« Alle ore 2 del 29 corrente 1’ Edgard Quinet senza alcun preavviso ha lasciato l ’ ancoraggio di Durazzo, e, nella stessa guisa, cioè senza preav­viso, la nave ammiraglia inglese Defence, mentre aveva nella mattinata del 29 cambiato ancoraggio per allontanarsi da terra, è partita alle ore 4 di ieri ( 30 corrente) assieme al cacciatorpediniere.

« Dall’ aver cambiato di ancoraggio e per aver ritirato la propria stazione di segnali a terra, si era

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capito che il Defence si teneva pronto a partire da un momento all’ altro.

« È però riuscito strano l ’ allontanamento cosi improvviso, senza una parola di congedo, mentre l ’ ammiraglio inglese aveva predisposto per rendere gli onori ad un marinaio della Defence morto a bordo, onori che stando alle precise sue istruzioni, si sarebbero dovuti rendere alle ore 9 di ieri, ed aveva altresì fissato per le ore 11 a bordo della Defence un appuntamento con ufficiali delle altre navi qui presenti allo scopo di concordare un nuovo orario per le comunicazioni radiotelegrafiche.

« L’ ammiraglio austriaco mi ha riservatamente informato, a sua volta, che prevede, per averlo sa­puto dal proprio ministro a Durazzo, di essere quanto prima sostituito da una nave minore. Le siluranti austriache, che prima erano otto, ora sono ridotte a quattro.

« Stanotte è partito il Breslau il cui coman­dante, che era stato ieri sera a pranzo con me, mi ha detto che sarebbe andato a Brindisi per ri­fornirsi e tornare qui domani.

« È noto che gli ufficiali olandesi, con a capo il generale De Wer, hanno presentato alla com­missione di controllo un memoriale con il quale chiedono di essere prosciolti da ogni impegno as­sunto : questa è una naturale conseguenza della mal riuscita organizzazione della gendarmeria e dei prevedibili insuccessi in caso di bisogno, insuccessi che potrebbero infirmare il loro prestigio.

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« I membri della commissione di controllo, pur dimostrandosi disposti ad accettare le dimissioni sin­gole dei predetti ufficiali, hanno chiesto in propo­sito istruzioni ai propri governi.

« Ieri mattina le truppe rumene forti di circa 200 uomini, hanno fatto una insignificante ed in­cruenta ricognizione verso Porta Romana, tornando indietro con qualche capo di bestiame e qualche famiglia innocua. Questa sortita che non risponde ad alcun serio concetto militare è stata deplorata, poiché essa non può avere altro effetto oltre quello di provocare da parte degli insorti qualche rap­presaglia. E difalti ieri sera alle 23 si ebbe un al­larme con vivo fuoco di fucileria alle trincee, du­rato circa un quarto d’ ora.

« I l Breslau alle ore 10,30 del 1° agosto era di ritorno da Brindisi, dopo esservisi rifornito di car­bone. Appena ripreso il suo posto di fonda si è affrettato a mettere a bordo la guardia che aveva sbarcato alla legazione germanica, ed alle 13 è par­tito di bel nuovo diretto verso il Goeben con il quale aveva ordine di riunirsi. Alle ore 14 dello stesso giorno l ’ ammiraglio austriaco, mediante se­gnali, informa che ha ricevuto l ’ ordine di partire assieme a tutte le altre navi e siluranti dislocate in Albania. Lo Szigetvar era partito già sin dal giorno prima.

« Il distaccamento austro-ungarico fece subito ritorno a bordo della Sanht Georg! salutato a terra

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nell’ allontanarsi dalla reggia dalle nostre truppe con gli onori prescritti.

« Mi recai a fare visita di congedo aH’ammira- glio e furono fra noi scambiate cordiali espres­sioni di ringraziamento per il reciproco accordo re­gnato fra ufficiali ed equipaggi delle due nazioni presenti in queste acque e cordiali espressioni di simpatia e di augurio.

« Quando la Sankt Georg defilò di poppa alla S. Marco fu scambiato il saluto alla voce e molte entusiastiche ovazioni partirono dalla Sankt Georg a noi dirette. Uguale scambio di cortesie ebbe luogo fra noi e il Panther che partì poco dopo.

« E così nel pomeriggio di quel giorno nessuna nazione estera, oltre 1’ Italia, era qui rappresen­tata nella tutela e difesa del trono di Albania.

« Era da presupporsi che gli insorti, tuttora ac­campati sulle alture prossime, fatti audaci dalla partenza di quasi tutte le navi, e consapevoli inoltre del conseguente ritiro delle truppe austria­che, potessero tentare un attacco su Durazzo con maggiore probabilità di successo.

« Disposi in conseguenza che i nostri marinai non dovessero più prendere posizione alle trincee m eventualità di attacco, non essendo essi in nu­mero sufficiente per colmare la lacuna lasciata da­gli austriaci, e che in caso di allarme si schieras­sero a difesa del palazzo.

« Ciò d’altra parte è in armonia col concetto a

10 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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cui fu ispirata la costituzione di questo distacca­mento a terra, quello cioè di stare a guardia e pro­tezione dei Sovrani senza entrare in conflitto con gli insorti, tranne che nei casi estremi per inevi­tabile necessità di difesa.

« Altre misure precauzionali furono adottate e cioè: 1’ impiego dei proiettori di notte per indi­care che continua ad essere esercitata, per parte dell’unica nave rimasta alla fonda, la dovuta vi­gilanza sulle eventuali mosse dei ribelli, la com­pagnia di rinforzo da sbarcarsi in caso di bisogno è stata tenuta pronta a murata, vestita, sì che al primo allarme potesse essere in brevissimo tempo sbarcata.

« I sudditi germanici ed austriaci residenti a Durazzo sono rimpatriati in questi giorni per la mobilitazione. Gli ufficiali olandesi, in parte già partiti, fecero ieri visita alla Reggia per prendere congedo dovendo rimpatriare anch’essi per la mo­bilitazione. Il generale De Wer ed il comandante inglese Lamb si recarono ieri a parlamentare nel campo degli insorti per ottenere il rinvio di due ufficiali olandesi colà prigionieri. Entro oggi o do­mani i capi si riservano di decidere in merito.

« Sembra che anche i rumeni debbano rimpa­triare. Gruppi piuttosto numerosi di mirditi in­fermi, ed i mussulmani di Giacova, di Prizren e di Cossovo abbandonano la difesa e rientrano nei loro territori, gli ultimi per assumere attitudine ostile contro la Serbia.

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« La difesa, per le cause ora dette, va gradata- mente indebolendosi. Sembra che analogo esodo di armati avvenga tra i ribelli e che perciò sia ora meno probabile un attacco deciso da parte di essi.

« Scarso assegnamento si potrebbe fare sulle truppe a difesa in caso di serio attacco da parte de­gli insorti. E la nostra guardia alla Reggia ha più valore morale che difensivo, dappoiché esiguo ne è il numero ed anche sbarcando le truppe di rin­forzo, se le intenzioni degli invasori fossero deci­samente ostili ed aggressive, le nostre forze potreb­bero rimanere sopraffatte.

«U n notabile albanese, tal Mehamet Drhalla Pascià, ha assunto l ’ iniziativa di inoltrare proposte agli insorti tendenti a pacificarli in vista dell’ at- luale conflitto austro-serbo, esortandoli a combat­tere contro la Serbia. Pare che i capi degli insorti si siano riservati di rispondere.

« Stamane in condizioni di tempo favorevoli il Marghera, scortato dallo Strale, si è messo in viag­gio verso Venezia.

« Alle ore 16 di oggi una torpediniera di alto mare austriaca (N. 66) è venuta a Durazzo per consegnare un plico alla propria legazione. Per domani a mezzodì è qui atteso il Dandolo ».

Negli stessi giorni in cui le navi della marina austro-ungarica erano costrette a salpare da Du­razzo per recarsi nei loro porti militari e l ’Austria

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ili fatto doveva disinteressarsi almeno per il mo­mento dell’Albania meridionale, lasciando all'Ita­lia, unica rimasta tra le potenze garanti del Patto di Londra, il compito di difendere il principe e di assicurare 1 integrità albanese, il governo di Vienna ci offriva con vaghe promesse Valona in cambio del Lovcen e di altri ingrandimenti territo­riali dei Balcani.

In quel momento i veri padroni della costa al­banese eravamo noi con le nostre forze navali. Contrariamente a ciò che in Italia stessa molti pensavano, mai vi fu intenzione nel nostro governo di avventurarci in conquiste territoriali sull’altra sponda, ma soltanto (e di ciò lo stato maggiore della marina ebbe una chiara visione) di garantirci la sicurezza in Adriatico col controllo dell’ unico porto, che poteva nelle mani di un’ altra na­zione divenire una formidabile minaccia contro di noi.

L’ offerta di Valona (che noi potevamo di di­ritto e di fatto occupare, quando lo ritenessimo opportuno, attenendoci nel modo più fedele allo spirito del trattato di Londra, anche senza il be­neplacito dell’Austria che in quel momento non aveva nè i mezzi giuridici nè i mezzi militari per impedircelo) non fu presa naturalmente in consi­derazione e l ’ occupazione fu effettuata solo in se­guito, come vedremo, quando si accentuò la mi­naccia non più camuffata da una parvenza di governo epirota, ma in forma ben chiara di inva­

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sione di truppe regolari greche e di una prospet­tata occupazione di Saseno a mezzo delle navi della marina ellenica.

Le navi italiane dopo la partenza delle unità delle altre nazioni rimasero perciò a Durazzo, af­frontando rischi e sopportando un faticoso servizio unicamente per proteggere un principe che non era mai stato a noi favorevole. La sua sorte come so­vrano ci era perfettamente indifferente, ma la marina italiana con senso umanitario e cavalleresco aveva assunto la difesa del principe di Wied e della sua famiglia, senza riguardo a sacrifici di denaro e di materiale veramente sensibili per il nostro bilancio navale non lauto rispetto a quello di na­zioni più ricche di noi.

I marinai italiani costituirono l ’ultima guardia personale di questo sovrano ormai abbandonato dai suoi stessi soldati e da quelle milizie mercenarie, che erano accorse sotto la sua bandiera solo per il miraggio di lauti guadagni.

Gli avvenimenti ben più importanti che si svol­gevano in Europa nei primi giorni di agosto ci dovrebbero far tralasciare per il momento la nar­razione delle cose albanesi e degli ultimi istanti del regno del principe Guglielmo, ma per non inter­rompere la trattazione dell’ argomento e per l ’ in­teresse storico che tali avvenimenti pur offrono a chi ha seguito le fasi della politica balcanica,

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ne proseguiremo la narrazione fino all’ effettuata partenza del principe.

Il giorno 6 agosto il San Marco fu richiamato in Italia per unirsi al rimanente delle forze navali che avevano assunto la dislocazione opportuna in relazione a quanto avveniva nel Mediterraneo, e di cui tratteremo nel prossimo capitolo.

Si provvide perciò ad inviare in Albania la vecchia corazzata Dandolo richiamata dall’ Egeo e la cui dislocazione in Adriatico, già prevista, non diminuiva l ’ efficienza della flotta.

I plotoni da sbarco del Dandolo sostituirono quelli della San Marco e continuarono a svolgere il servizio di protezione ravvicinata al palazzo reale, mentre la nave vigilava durante la notte con i proiettori, tenendosi pronta con le artiglierie a coprire l ’ eventuale ritirata del principe.

Fino al 13 non si verificarono avvenimenti im­portanti, eccetto le solite scaramucce tra le poche truppe rimaste fedeli al principe e gli insorti. Le condizioni del governo albanese divenivano di giorno in giorno più precarie per mancanza di fondi e da tale fatto derivava l ’ esodo dei difensori, che, non essendo più pagati, preferivano passare agli insorti o tornarsene alle loro case.

II primo settembre gli insorti inviarono un ul­timatum perentorio al governo albanese richiedendo la partenza immediata del principe e minacciando di bombardare Durazzo.

Il principe da tutti abbandonato si decise per­

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ciò a lasciare l ’Albania, emettendo un proclama col quale dichiarava che temporaneamente si recava in Occidente per ragioni politiche.

L ’ imbarco avvenne sotto la protezione dei re­parti da sbarco della R. N. Libia anch’ esga in Adriatico in base alla prevista dislocazione della flotta.

Il 3 settembre il Misurata lasciava Durazzo avendo a bordo il principe e la sua famiglia di­rigendo per Venezia, e nel medesimo giorno a) Va­lona gli insorti occupavano la città. L ’ occupazione di Durazzo avvenne qualche giorno dopo.

Riportiamo la descrizione dell’occupazione di Durazzo contenuta nel rapporto del comandante del Dandolo, capitano di fregata A. Magliano :

« Pregiomi riferire quanto segue circa gli av­venimenti svoltisi dopo la partenza del principe di Wied.

« Fra i notabili della città e i capi degli insorti venne decisa la resa e la pacifica occupazione della città.

« In conseguenza il sindaco di Durazzo con un bando invitava i cittadini a recarsi per le ore IO del 5 settembre a ricevere le truppe insorte che avrebbero fatto il loro ingresso dal ponte della laguna.

«A lle ore 11,15 si trovarono colà il sindaco, il mutasarif, il metropolita con circa 300 persone. Poco dopo preceduti da un centinaio di cavalleg- geri, passano il ponte Mussa Effendi, muftì di T i­

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rana, Suleiman Aga e gli altri capi che scambia­rono gli abbracci d ’uso albanese con le autorità di Durazzo.

«Quindi, al suono delle trombe e sventolando bandiere turche, entrano al comando di Irfan Bey gli insorti armati, in numero di circa 600, regolar­mente inquadrati e con il massimo ordine preceduti da un brillante nucleo di cavalleria.

« Il corteo dirige per il piazzale del palazzo rea­le, la cavalleria fa ala, Mussa Effendi e Suleiman Aga prendono possesso del palazzo stesso e su di esso fra grida di « evviva il Padiscià » ed al suono delle trombe viene issata la bandiera turca. Mussa Aga pronuncia quindi un breve discorso in cui dichiara di prendere possesso del governo in at­tesa del futuro principe mussulmano.

« La cerimonia termina con il canto preghiera di pace « Amin » ed il corteo si scioglie.

cc Per disposizione presa dal capo degli insorti il palazzo reale rimane ora chiuso. I capi stessi si sono resi garanti che nulla di ciò che è contenuto nel palazzo che era proprietà del principe sarà manomesso.

« È da notare che nel palazzo vi sono molti oggetti, mobili, quadri, ceramiche, argenterie, ecc. di grande valore artistico e commerciale; è stato quindi convenuto che la formale presa di possesso del palazzo avesse luogo solo per alcune camere, mentre a tutte le altre sono stati apposti i sigilli della commissione di controllo.

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« Ho potuto constatare personalmente che l ’ or­dine e la tranquillità in città non vennero in alcun modo turbati e la disciplina e la serietà di cui hanno dato prova le truppe e tutti gli insorti danno affidamento che non si avrà a deplorare al­cun disordine.

« Presi accordi con la legazione, ho quindi ri­tirate le imbarcazioni che avevo tenuto ieri pronte alla banchina per qualsiasi evenienza. Oggi è arri­vato a Valona Mustafà Bey il più autorevole capo degli insorti. Prima però di prendere definitiva­mente deliberazioni circa la forma di governo, at­tenderà l ’ arrivo di Essad Pascià, che si ritiene avrà luogo fra pochi giorni.

« Si dice insistentemente che il trono di Alba­nia verrà offerto ad un principe mussulmano figlio dell’ ex sultano Abdul Hamid.

« I capi intanto hanno dichiarato di capire per­fettamente la delicatezza della loro posizione di fronte ai rappresentanti delle potenze e che è loro intendimento di avere le migliori relazioni con la commissione di controllo.

« A parte 1* importanza politica che può avere qui la Dandolo, credo mio dovere esprimere avviso che, per quanto mi risulta, la sua presenza a Du­razzo non è più richiesta dalle circostanze ».

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Capitolo IV.

IL CONFLITTO EUROPEO

S o m m a r i o :

Le convenzioni navali e il conflitto nel Mediterraneo. — L’ac­cordo italo-austriaco dèi 1900. — La convenzione navale franco­britannica. — La convenzione navale italo-austro-germanica del 1913. — La situazione militare marittima nel Mediterraneo allo scoppio del conflitto. — Il trasporto delle truppe francesi. — I mi­nistri della guerra e della marina convocati dal Presidente del Consiglio. — Le conseguenze della nostra neutralità. — L’ incom­prensione austro-tedesca del fattore marittimo italiano. — La di­slocazione della flotta nelle basi meridionali. — I provvedimenti per la difesa costiera. — I provvedimenti per la sicurezza del na­viglio mercantile. — Il Goeben ed il Breslau a Messina. I prov­vedimenti per salvaguardare la neutralità italiana. — I successivi spostamenti delle forze navali italiane.

La tragica giornata di Serajevo apparve in tutti gli ambienti europei come un grave sintomo di nuovi perturbamenti politici nella situazione in­ternazionale già difficile. La relativa tranquillità dei primi mesi del 1914 aveva aperto gli animi alla speranza di un miglioramento dell’orizzonte politico, ma l ’ inatteso sanguinoso avvenimento de-

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luse le speranze e rese manifesto che la desiderata pace veniva minacciata.

Tuttavia nè gli uomini di governo nè i popoli percepirono subito chiaramente quanto gravi e ra­pide conseguenze dovessero seguirne; nei primi giorni di luglio si può dire che nemmeno le can­cellerie di Vienna e di Berlino prevedessero im­minente una soluzione del conflitto con le armi.

Ad ogni modo il rapido succedersi degli avve­nimenti non colse impreparata la marina italiana, che già alla fine della primavera, dopo ultimati i periodi di lavori, era pronta a prendere il mare con le migliori divisioni della flotta. Lo stato maggiore aveva già fissato il programma delle esercitazioni di allenamento che dovevano essere svolte, ed era stato previsto che le grandi manovre dopo le gare di tiro e di lancio avessero per tema la riprodu­zione* di un’ azione combinata fra la flotta italiana ed austriaca contro quella francese.

Tali disposizioni erano state prese in conside­razione degli accordi esistenti fra 1’ Italia e gli Im­peri centrali, a cui stava di fronte una conven­zione navale anglo-francese concertata nel feb­braio 1913.

È qui opportuna una sia pur brevissima illu­strazione di tali convenzioni.

L’ accordo italo-austriaco concluso fino dal 1900, pur facendo parte delle varie convenzioni militari esistenti fra l ’ Italia, Germania ed Austria, non contemplava allora la partecipazione di forze na-

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vali germaniche in unione alle forze italo-austriache nel Mediterraneo.

Pur avendo fissato il concetto che le flotte italo- austriache dovessero avere un compito comune, la azione delle due flotte era stata ripartita secondo criteri geografici, assegnando alla flotta italiana come campo d’ azione il Mediterraneo a ponente del meridiano di Santa Maria di Leuca, mentre alla flotta austriaca era assegnata solamente la difesa dell’Adriatico sino al parallelo di Santa Maria di Leuca.

Non era stato concertato nulla per quanto ri­guardava l ’unità d ’azione ed il comando unico,

* partendo dal criterio che, in caso di un’azione co­mune, il comando in capo sarebbe stato assunto dall’ ammiraglio comandante le forze appartenenti alla nazione nei cui mari di giurisdizione si sarebbe svolta l ’ azione.

Gli avvenimenti politici, che abbiamo descritti nei precedenti capitoli, indussero i governi della Triplice Alleanza a riprendere in esame tali con­venzioni e a perfezionarle alla fine del 1913.

D’ altra parte nel settembre del 1912 a Londra tra l ’ ambasciatore di Francia Cambon e Sir Edward Grey era avvenuto uno scambio di idee per una azione navale in comune nel Mediterraneo contro la flotta italo-austriaca. Questo scambio di vedute si concluse in una convenzione navale franco-bri­tannica che, per quanto si riferisce al bacino del Mediterraneo, stabiliva quanto segue: La Gran

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Brettagna prendeva impegno di tenere nel Mediter­raneo una flotta di forza tale da potersi opporre con sicurezza a quella austriaca, mentre in un primo tempo la flotta francese avrebbe dovuto as­sicurare e proteggere i trasporti di truppa dalle co­lonie africane alla Francia. Evidentemente si par­tiva dal presupposto di poter battere separatamente le due flotte italiana ed austriaca prima che po­tessero riunirsi. Nulla di concreto era stato deciso circa l ’unità di comando; è tuttavia probabile che, in caso di ostilità, le due nazioni avrebbero desti­nati i comandanti in capo, in modo che il più anziano fosse l ’ ammiraglio francese.

La situazione navale anglo-francese prospet­tata nell’accordo ora descritto, veniva così fronteg­giata dal corrispondente accordo delle tre potenze della Triplice, che s’ iniziò nell’ aprile del 1913 con uno scambio di vedute e con informazioni re­ciproche tra i tre stati maggiori per concordare una comune collaborazione particolarmente nel ba­cino occidentale del Mediterraneo.

La convenzione fu firmata a Vienna il 23 giu­gno 1913 e riteniamo utile riportarla nel testo in­tegrale :

« Convenzione navale fra le Potenze della Tri­plice Alleanza :

« Con l ’ altissima approvazione dei Sovrani della Triplice Alleanza, fra l’I. e R. Ministero della Guerra austro-ungarico (sezione marina),l’Ammiragliato dell’ I. Marina tedesca ed il R. Mi­

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nistero della Marina italiana (ammiragliato) è stata conclusa la seguente convenzione navale.

« Con ciò cessa di essere in vigore l ’ accordo concluso a Berlino il 5 dicembre 1900.

CONVENZIONE PER IL MEDITERRANEO

1 ° I m p i e g o d e l l e f o r z e n a v a l i d e l l a T r i ­

p l i c e i n g u e r r a .

a) Nel Mediterraneo.

Le forze navali della Triplice che si trovano nel Mediterraneo si riuniscono con 1’ intento di acqui­stare il dominio del Mediterraneo mediante l ’ an­nientamento delle flotte avversarie.

Il piano di operazioni in comune nel Mediter­raneo sarà, fin dal tempo di pace, preparato nelle sue linee fondamentali dagli ammiragliati, rispet­tivamente dell’ I. e R. Ministero della Guerra, se­zione marina, nella forma di una convenzione ad­dizionale e deve avere l ’ approvazione fondamentale dei tre Sovrani. Delle particolarità possono caso per caso, essere modificate a reciproca intesa degli ammiragliati, rispettivamente dell’ I. e R. Mini­stero della Guerra, sezione marina.

b) Al di fuori del Mediterraneo:

Le divisioni di navi che si trovino nelle stesse stazioni straniere o in vicinanza tale da poterle

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raggiungere, quando non abbiano ordini diversi, cercheranno di unirsi tra loro per agire in comune nell’ interesse della Triplice.

I comandanti delle singole navi degli Stati della Triplice, che soggiornino all’ estero nel medesimo Stato, quando la situazione politica generale faccia prevedere la possibilità di una guerra fra la Tri­plice Alleanza e la Triplice Intesa, possono essere messi a conoscenza dai loro superiori della esistenza di una Convenzione navale. In questo caso i ri­spettivi comandanti di navi hanno il dovere d ’ in­tendersi l ’un l ’ altro sulle misure da prendersi allo scoppio delle ostilità per le quali essi prenderanno in considerazione le speciali istruzioni ricevute dalle autorità superiori.

2 ° C o m a n d o s u p r e m o :

a) Il Comando supremo delle forze di mare della Triplice nel Mediterraneo può essere affidato ad un ammiraglio austro-ungarico o italiano, la cui nomina seguirà già in pace con 1’ intesa reciproca dei tre Stati.

Se durante le operazioni comuni il comandante supremo venisse a essere posto fuori servizio o do­vesse essere sostituito temporaneamente, il coman­dante che lo segue immediatamente per rango, o nel caso di carica eguale, il comandante di una forza maggiore, terrà il comando supremo, fintanto che il comandante supremo riprenda il servizio o finche

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segua la nomina di un nuovo comandante supremo al senso del capoverso precedente.

b) Per le navi e i comandanti nominati al punto 1 6 il comando supremo spetta secondo i rapporti di rango. In caso di carica eguale il co­mando superiore tocca a chi comanda una forza maggiore.

3 ° R a p p o r t i f r a g l i A l l e a t i :

a) Preparazione di operazioni e scambio di informazioni:

Tosto che si presenti opportuna una prepara­zione di operazioni delle flotte alleate, le autorità menzionate al principio si pongono in rapporto tra loro o direttamente o mediante ufficiali delegati. Del pari avviene fra essi uno scambio di informa­zioni sulle forze marittime del presunto avversario e dei progetti per lo sviluppo delle proprie flotte.

b) Scambievole azione di comando degli uf­ficiali di marina nei quartieri generali:

Un’ intesa rapida e sicura ed uno scambio di informazioni su questioni navali da un quartiere generale all’ altro incombe agli ufficiali di ciascuna Potenza alleata distaccati presso gli altri due quar­tieri generali. In quanto convenga, a questi sarà concesso e facilitato di comunicare segretamente con i propri quartieri generali.

Per questo servizio sono presi in considerazione

11 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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gli addetti navali, poiché questi ¡per le loro rela­zioni personali colle marine alleate sembrano i più indicati.

Gli addetti navali saranno messi a conoscenza dell’esistenza di una Convenzione segreta di ma­rina, e se si presenta la necessità, possono anche caso per caso, essere informati di quelle parti della convenzione che, al presentarsi di nuove circostan­ze, possono essere sottoposte a modificazioni, previa reciproca intesa, fra gli Ammiragliati e 1’ I. e R. Ministero della Guerra, sezione marina.

c) Ufficiali e comandanti allo stato maggiore del comandante supremo nel Mediterraneo:

Per lo stato maggiore del comandante supremo nel Mediterraneo fin dal tempo di pace saranno no­minati: un capo di stato maggiore, che copra la carica di comandante di una nave di linea, da parte dell’Austria-Ungheria e uno da parte dell’ Italia; un ufficiale di stato maggiore per uno, con il ne­cessario personale ausiliario, per l ’Austria-Unghe- ria, la Germania e l ’ Italia.

4 ° M e z z i d ’ i n t e l l i g e n z a :

Per la trasmissione degli ordini e del servizio informazioni fra le navi, stazioni di segnalamento, delle Marine alleate serve il libro comune dei se­gnali (Triplecodex) che contiene anche delle indi­cazioni sopra i segnali di riconoscimento e le co­municazioni in cifra.

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5 ° R e c i p r o c a c e s s i o n e d i n a v i m e r c a n t i l i p e r

s c o p i b e l l i c i ;

а) In caso di guerra navi commerciali pos­sono essere messe a disposizione di una Potenza alleata. Sulle norme per la requisizione delle navi commerciali degli Stati alleati le autorità so­pra indicate si metteranno d’ accordo fin dal tempo di pace. Esse si sforzeranno anche di facilitare se­condo il possibile l ’utilizzazione delle navi per scopi speciali.

б) Se una Marina intende fin dal tempo di pace apprestare delle preparazioni militari per determinati navigli mercantili degli stati alleati, i piani e le descrizioni di questi navigli saranno messi a disposizione di essa, per uso temporaneo, per mezzo delle autorità sopra indicate.

6° S c a m b i e v o l e u s o d e i p o r t i :

Nel caso di guerra su contemplato, i porti di una delle Potenze alleate possono essere adoperati dalle forze di guerra e dal naviglio commerciale delle altre Potenze alleate come dalle proprie navi.

Vienna, 23 giugno 1913.

K o h l e r - C i g o l i - C o n z .

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CONVENZIONE ADDIZIONALE PER IL MEDITERRANEO

(Punto 1 a, capoverso 2 della Convenzione navale)

1 ° C o m a n d o s u p r e m o :

A sensi del punto 2 della Convenzione navale il Comando supremo delle forze navali della Tri­plice nel Mediterraneo sarà affidato all’ I. e R. ammiraglio Antonio Haus.

2 ° C o m p o s i z i o n e d e l l o s t a t o m a g g i o r e d e l

C o m a n d o s u p r e m o :

Secondo il punto 3 c della Convenzione navale,lo stato maggiore del comandante supremo si forma come segue :

— un capo di stato maggiore austro-ungarico di rango di comandante di una nave di linea;

— un capo di stato maggiore italiano del rango di comandante di una nave di linea;

— un ufficiale dell’ ammiragliato per ciascuna marina austro-ungarica, tedesca e italiana.

I due capi di stato maggiore e l ’ ufficiale del­l ’ ammiragliato tedesco sono posti alle dipendenze dirette del Comando supremo.

Come elementi ausiliari sono da assegnarsi, se­condo il bisogno, il personale di segnalazione ra­diotelegrafico e di ufficio.

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È desiderabile che già in pace il comandante supremo entri in rapporti personali con gli uffi- cali del suo stato maggiore.

3 ° D i s t r i b u z i o n e d e l l e f o r z e n a v a l i a l l e a t e

i n g u e r r a :

Come norme fondamentali per la distribuzione di guerra debbono valere le seguenti :

a) i singoli elementi di ciascun gruppo di navi devono essere formati da navi della stessa na­zionalità;

b) una divisione deve constare possibilmente di non più di otto navi.

La distribuzione di guerra è annessa alla Con­venzione addizionale come annesso 1° e il coman­dante supremo avrà cura di tenerla costantemente al corrente.

4 ° R i u n i o n e d e l l e f o r z e a l l e a t e :

La flotta austro-ungarica e quella italiana si riu­niranno a Messina e completeranno le provviste. La flotta italiana prenderà gli ancoraggi tra Milazzo e Messina, quella austro-ungarica nel porto di Au­gusta. L ’ Italia eventualmente tratterrà una divi­sione speciale nel Nord del mar Tirreno e dirigerà una parte delle sue flottiglie di torpediniere e di posamine comprese nell’ annesso 1°, sotto la let­tera a, verso Cagliari e Trapani, di che il coman­dante supremo sarà informato a tempo.

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Le navi tedesche cercheranno di riunirsi a Gaeta (in caso di tempo sfavorevole a Napoli) per esple­tarvi le loro provviste. Se speciali circostanze non permettessero di raggiungere Gaeta (Napoli), an­che le forze tedesche si riuniranno con il Comando supremo nella zona intorno a Messina.

Al primo riunirsi delle flotte tutte le navi e le torpediniere devono fare accurata osservazione delle indicazioni contenute dal «Triplecodex » so­pra i segnali segreti di riconoscimento.

Le torpediniere che navighino isolate e le squa­driglie di torpediniere devono di notte tempo evi­tare di avvicinarsi alle navi ed agli ancoraggi delle flotte riunite perchè qualunque torpediniera che non sia riconosciuta con piena sicurezza come amica sarà presa sotto il fuoco.

5 ° P i a n o d i o p e r a z i o n i :

Scopo principale per il comandante supremo deve essere quello di ottenere il dominio marittimo nel Mediterraneo mediante il più rapido annienta­mento delle forze nemiche.

Se una pare della flotta francese si tratterrà a Biserta, il comandante supremo cercherà di bat­tere isolatamente le parti separate di questa flotta. Per trattenere parte della flotta nemica a IBiserta vanno prese in considerazione azioni di mine e di torpediniere da Trapani e Cagliari; per le azioni contro la flotta francese avanzante da Tolone verso

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oriente possono valere le forze leggere della difesa costiera locale della riviera ligure di ponente.

L ’ azione principale è da eseguirsi così rapida­mente che la decisione avvenga ancor prima del- l ’apparire della flotta russa del Mar Nero.

Accanto alle operazioni principali contro la flotta nemica è lasciato al comandante supremo di ordinare contemporaneamente operazioni parziali contro i trasporti di truppe francesi dall’Africa settentrionale o contro porti della costa nemica.

6° A p p r o v v i g i o n a m e n t o e p u n t i d i a p p o g g io

DELLE FLO TTE:

Per i punti di appoggio ricordati in questo punto l ’ Italia' si offre di provvedere fin dal tempo di pace e per proprio conto gli apprestamenti qui indicati. Le masse di approvvigionamento prese dalle masse austro-ungariche e tedesche saranno ab­bonate alla R. Marina italiana.

a) Punti di appoggio per la riunione. Con riguardo al punto 4 della Convenzione aggiunta saranno apprestati come punti di appoggio per la riunione :

il porto di Augusta per le forze austro-un- gariche; Gaeta (Napoli) per le germaniche; Mes­sina per le italiane.

Le masse di approvvigionamento da immagaz­zinarsi ad Augusta e Gaeta sono da commisurarsi, con riguardo alla riserva necessaria, cosicché le navi alla prima riunione possono completare le loro

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provviste da magazzini al completo. Dopo questo completamento di equipaggiamento, rispettiva­mente dopo la partenza definitiva delle forze au- stro-ungariche da Augusta, tutte le provviste di quel porto devono essere allontanate o distrutte per sottrarle al nemico.

Se l ’ equipaggiamento delle navi germaniche non fosse più possibile a Gaeta (Napoli) esse lo com­pleteranno a Messina.

b) punti di appoggio per operazioni ulteriori.Con riguardo al punto 5 della Convenzione ag­

giunta saranno presi in considerazione e apprestati come punti di appoggio per operazioni ulteriori:

La Maddalena per le forze austo-ungariche;La Spezia per quelle italiane;

Trapani, Cagliari e le coste liguri occidentali per gli aggruppamenti leggeri.

La Maddalena sarà provvista di viveri per la flotta austro-ungarica per un mese; un corrispon­dente fabbisogno di equipaggiamento e combusti- bile e materiale meccanico deve trovarci si costan­temente.

L ’ annesso II contiene la composizione di tuttoil fabbisogno ed equipaggiamento voluto ai sensi del punto 6.

7 ° D i f e s a d e l l ’ A d r i a t i c o :

A difesa dell’Adriatico valgono le forze indi­cate sotto la lettera 7? nell’ annesso I dell’ aggiunta alla Convenzione navale, come pure le forze nor­

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mali previste per la difesa locale delle coste.Le forze elencate alla lettera B dell’ annesso 1

si riuniranno al più presto possibile e precisamente : quelle austro-ungariche e germaniche nel

Golfo di Cattaro;quelle italiane a Brindisi.

Le operazioni nell’Adriatico saranno condotte dal comandante delle flotte alleate più alto di ran­go, secondo le disposizioni del comandante supre­mo, al quale ultimo rimane anche il diritto di or­dinare, secondo la situazione, dei raggruppamenti e deii distaccamenti delle forze ivi esistenti.

8° A t t a c c h i a t r a s p o r t i d i t r u p p e f r a n c e s i Da l l ’ A f r i c a s e t t e n t r i o n a l e :

Poiché i primi trasporti di truppe francesi dal- l ’ Africa settentrionale al Nord sono da attendersi nei principali centri di imbarco di Bona-Philip- peville, Algeri, Orano, Mostaganem, Casablanca, Mogadir entro le tre prime settimane di mobili­tazione, l ’ Italia disporrà immediatamente per la vigilanza delle coste nord africane mediante in­crociatori rapidi.

Per disturbare ulteriormente altre mandate di truppe si prevedono azioni di forze leggere da Ca­gliari (cfr. II punto 4, della Convenzione addizio­nale), e in seconda linea, dalla Maddalena.

La direzione generale di queste azioni si svol­gerà da Cagliari per opera di un comandante da destinarsi dall’ Italia che per questo è sottoposto al

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comandante supremo. Eventualmente il coman­dante supremo potrà anche distrarre degli incro­ciatori leggeri per disturbare i trasporti di truppe (cfr. il punto 5 ultimo capoverso della Conven­zione addizionale).

9 ° I n t e r r u z i o n e d e l c o m m e r c i o n e m i c o n e l

M e d i t e r r a n e o :

Per r interruzione del commercio nemico nel Mediterraneo sono da prendersi in considerazione innanzi tutto gli incrociatori ausiliari.

A ll’ infuori delle misure che presumibilmente sono da prendersi soltanto nella seconda fase della guerra, a disturbo del commercio nemico, fin dallo scoppio della guerra sembra vantaggiosa una im­mediata vigilanza del Canale di Suez e dei Dar­danelli.

Gli apprestamenti necessari per la guerra al commercio saranno iniziati dal comandante su­premo fin dal tempo di pace.

Le navi che sono prese prima di tutto in con­siderazione come incrociatori ausiliari per la guerra al commercio sono indicate nell’ annesso III del­l’ aggiunta della Convenzione.

Quali punti di appoggio per tali azioni sono da tenersi presenti nel Mediterraneo orientale, Taran­to, la zona intorno a Messina, la costa libica (Tri­poli, Tobruk), per il Mediterraneo occidentale tutti i punti di appoggio nominati al punto 6 della Convenzione addizionale.

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1 0 ° I m p i e g o d i n a v i g l i o c o m m e r c i a l e d e g l i

S t a t i a l l e a t i p e r s c o p i s p e c i a l i i n g u e r r a :

Le navi da impiegarsi per scopi di guerra si dividono in :

a) incrociatori ausiliari (incrociatori ausiliari di guerra);

b) le navi per trasporti di truppe e materiale ;c) navi ospedali.

Le autorità sopra ricordate si scambieranno delle indicazioni sopra le navi che vengono in que­stione e con intese dirette fisseranno gli accordi più speciali circa il diritto di uso e di impiego di tali navi. Tali indicazioni e accordi sono allegati alla Convenzione addizionale come annesso III e il co­mandante supremo curerà di tenerle costantemente al corrente.

Gli incrociatori ausiliari posti sotto il comando militare cadono sotto la giurisdizione del coman­dante più anziano delle forze della loro nazione nel Mediterraneo.

Per il materiale appartenente alla flotta austro- ungarica sono da considerarsi come punti di ap­poggio appropriati Messina e la Maddalena.

Come punti di appoggio principali per le navi ospedali delle nazioni alleate servono, a seconda della posizione del teatro della guerra : Spezia, Napoli o Taranto.

Le Società di Navigazione tedesche saranno istruite perchè allo scoppio della guerra avviino

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le loro navi che si trovano nel Mediterraneo ai porti italiani, e cioè le navi postali per quanto è possibile a Spezia, gli altri navigli commerciali a Taranto, e rispettivamente agli altri porti italiani esclusa Genova.

Vienna, 23 giugno 1913.K o h l e r • C i c o l i - C o n z .

A n n e s s o I .

DISTRIBUZIONE DELLE FORZE MARITTIME DELLA TRIPLICE PER OPERAZIONI IN

COMUNE

(Valevole per il 1914).

Comandante supremo delle forze marittime al­leate I. R. ammiraglio austro-ungarico Antonio Haus.

a) N e l M e d i t e r r a n e o :

1 ° I t a l i a .

l a Squadra. — 1“ Divisione : Dante Alighieri, G. Cesare, Leonardo da Vinci. Esploratore: Quarto.

2a Divisione: Vittorio Emanuele, Regina Elena, Roma, Napoli. Esploratore : Nino Bixio.

2a Squadra. — l a Divisione : S. Giorgio, S. Marco, Pisa, Amalfi. Esploratore : Marsala.

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2a Divisione: Garibaldi, Varese, Ferruccio. Esploratore: Agordat.

Divisione per scopi speciali: Benedetto Brin, Regina Margherita, Emanuele Filiberto, Ammira­glio Saint Bon. Esploratore : Coatit.

Flottiglie di torpediniere : 16 cacciatorpediniere (6 da 1000 e 10 da 700 torni.) tipo Indomito, Ardente.

10 cacciatorpediniere da 400 tonn. tipo Bersa­gliere.

2 4 torpediniere da 2 5 0 tonn. tipo Saffo, Cigno.

30 torpediniere costiere.

2 ° A u s t r i a - U n g h e r i a .

l a Squadra. — 1® Divisione: Viribus Unitis, Tegetthoff, Prinz Eugen.

2a Divisione: Erzherzog Franz Ferdinand, Ra­detzky, Zrinyi.

l a Divisione incrociatori : Sankt Georg, Kaiser Karl VI.

2a Squadra. — 3a Divisione: Erzherzog Kart Erzherzog Friedrich, Erzherzog Ferdinand Max.

2a Divisione di incrociatori : Spaun, Helgoland, Saida, Novara.

Flottiglie di torpediniere: 6 cacciatorpediniere di 800 tonn. tipo Tatra. 12 cacciatorpediniere di 400 tonn. tipo Huszar. 12 torpediniere da 200 tonn. tipo Kaiman.

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3 ° G e r m a n i a .

Divisione di incrociatori (dipendente diretta- mente dal comandante supremo): Goeben, Stras- sburg, Breslau, Dresden.

b ) N e l l ’ A d r i a t i c o :

1 ° I t a l i a .

Vettor Pisani, Carlo Alberto, Marco Polo, Dan­dolo. Esploratori : Piemonte, Libia.

4 cacciatorpediniere ed alcune divisioni di tor­pediniere.

2 ° A u s t r i a - U n g h e r i a .

Monarch, Wien, Budapest, Maria Theresia, Kaiser Franz Joseph I, Zenta, Aspern, Szigetvar.

1 2 torpediniere di 2 0 0 tonn. tipo Kaiman ed alcune divisioni di torpediniere dei tipi più antichi.

3 ° G e r m a n i a .

Navi scuola e incrociatori più vecchi che si trovino nel Mediterraneo.

K o h l e r - C ic o l i - C o n z .

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La Germania fin dalla fine del 1912 aveva de­stinato nel Mediterraneo il Goeben ed il Breslau, e tali navi costituirono la divisione tedesca che avrebbe dovuto operare con le forze italo-au- striache.

In seguito, nel mese di settembre 1913, S. A. R.il Duca degli Abruzzi si era recato in Germania per assistere ad alcune esercitazioni della flotta germanica e inoltre particolari accordi erano stati presi tra i comandanti delle tre forze navali in lunghe conversazioni avvenute a Pola tra l ’ am­miraglio Haus e l ’ ammiraglio Souchon nell’otto­bre del 1913 e ad Alessandria d’ Egitto tra S. A. R.il Principe Luigi di Savoia e l ’ ammiraglio tedesco, che a sua volta nel gennaio 1914 venne anche a Roma per conferire col capo di stato maggiore della marina. Infine, nel marzo 1914, l ’ ammiraglio Haus, sempre d’ accordo con il nostro stato mag­giore e l ’ ammiraglio tedesco, aveva precisato cheil primo obbiettivo da raggiungere sarebbe stato quello di impedire il trasporto dall’Algeria in Francia del 19° corpo1 d’ armata. Tale missione do­veva essere svolta dal naviglio leggero italiano ed austriaco sostenuti dal Goeben, che era l ’unico incrociatore da battaglia di cui disponevano le flotte della Triplice Alleanza.

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Nel complesso, la situazione navale mediterra­nea verso la fine della primavera del 1914 era fa­vorevole alla Triplice Alleanza, particolarmente in considerazione del fatto che le due navi da batta­glia Giulio Cesare e Leonardo da Vinci erano pronte e già entrate in squadra alla fine di maggio 1914, portando così a 3 il numero delle navi monocalibre italiane.

Ugualmente in servizio erano le prime 3 unità della classe Viribus austriache, mentre la Francia in tale epoca aveva pronte in modo effettivo sola­mente due navi da battaglia monocalibre.

Tenuto conto pertanto dei tre incrociatori da battaglia inglesi, si trovavano di fronte 7 navi mo­nocalibre della Triplice contro 5 anglo-francesi.

La preponderanza navale delle tre nazioni della Triplice Alleanza, esistente sugli avversari nel lu­glio 1914, appare ancora più manifesta, qualora si prenda in esame il particolare armamento delle unità maggiori. Infatti alla bordata di 12 o 13 cannoni da 305 di ogni singola unità italiana od austriaca, le navi francesi del tipo Paris, pure es­sendo armate di 12-305, non potevano opporre che una bordata di soli 10 pezzi, non avendo que­ste navi le torri disposte nel piano assiale come i nostri tipi Dante e Cavour e gli austriaci Viribus.

Una simile considerazione può essere fatta nei riguardi degli incrociatori da battaglia inglesi ar­mati di soli 8 - 305, i quali, a quanto risulta dal-

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l ’acoordo anglo-francese già citato, avrebbero da soli dovuto impedire la riunione delle forze au­striache con quelle italiane, ma che in realtà non avrebbero potuto sostenere senza gravi rischi, l ’urto con le navi da battaglia austriache, molto protette, più armate e sostenute da buone divisioni di coraz­zate meno recenti ma pur ben armate.

Il Goeben infine aveva a sua volta un arma­mento di 10-280 ed una protezione superiore a quella dei corrispondenti incrociatori inglesi.

Riepilogando : se si considerano le sole navi monocalibre dei due gruppi contrapposti, ai 65 cannoni da 305 e 10 da 280 delle tre flotte della Triplice si trova un corrispondente di 48 cannoni da 305 degli anglo-francesi.

Nel riguardo delle navi non monocalibre le unità dell’uno e dell’ altro campo si potevano con­siderare equivalenti.

Ma a prescindere da queste considerazioni nu­meriche e statistiche tìhe da sole non possono dare idea di una situazione marittima, altri fattori non trascurabili in favore delle flotte della Triplice erano :

a) l ’ unità di comando e di azione, già come abbiamo detto, da tempo concretate anche nei pic­coli particolari e che non trovava corrispondenza nel campo avversario;

b) la particolare e favorevole situazione stra­tegica in relazione ai compiti offensivi ben definiti

12 — La marina italiana, ecc.( Voi. I.

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che dovevano assolvere le forze navali italo-austria- che, nell’ impedire le comunicazioni marittime tra l ’Africa del Nord e la Francia;

c) la possibilità di intercettare il traffico fran­cese e inglese tra Suez e Gibilterra conquistando il dominio del Mediterraneo, se non assoluto, perlo meno nel bacino orientale, costringendo così il traffico dell’ immenso impero colonialé inglese e che in gran parte contribuisce alla vita del Regno Unito, a deviare completamente dal Mediterraneo.

In gran parte questi enormi vantaggi che avreb­bero avuto nel fattore marittimo del Mediterraneo le nazioni della Triplice Alleanza, erano dovuti al forte contributo dato dall’ Italia colle sue eccellenti basi meridionali ed insulari adatte alla dislocazione così favorevole per i compiti sopra indicati.

Che la situazione navale degli anglo-francesi, lino a che l ’ Italia non dichiarò la neutralità, fosse poco buona, ci viene confermato, sia dalle istru­zioni che l ’ ammiragliato inglese aveva emanate fin dal 1913 contemplando l ’ ipotesi di guerra contro le tre Potenze della Triplice Alleanza, sia dalle istruzioni inviate il 30 luglio 1914 dall’Ammira- gliato al comandante della flotta inglese nel Medi- terraneo vice ammiraglio Barkeley Milne sconsi­gliandolo dall’ attaccare da solo la flotta austriaca.

Dalle varie istruzioni dell’ ammiragliato inglese risulta chiaramente che almeno in un primo tempo, gli anglo-francesi, ammesso che la loro riunione avesse potuto effettuarsi subito, avrebbero dovuto

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abbandonare il bacino orientale del Mediterraneo, e preoccuparsi solo di proteggere i trasporti fran­cesi di truppe.

La dislocazione della flotta austriaca nelle basi italiane meridionali si sarebbe dunque effettuata senza gravi contrasti.

Avvenuta la riunione della flotta italo-austriaca e del Goeben, il compito nettamente offensivo già chiaramente indicato nella convenzione avrebbe certamente portato all’ urto tra le flotte avverse, urto che si sarebbe risolto tra le grandi navi da battaglia non essendo ancora intervenuti i nuovi fattori che nel corso della grande guerra modifi­carono profondamente i criteri della condotta della guerra marittima.

Il sommergibile infatti non aveva ancora rive­lato tutta la sua importanza; una vasta e grandiosa guerra di mine, quale si ebbe in seguito, non era ancora attuabile, particolarmente nel Mediterraneo occidentale sia per la mancanza di materiale pronto da ambe le parti, sia per difficoltà idrografiche su­perate solo in un tempo eccessivo. Non esistevano ancora i sommergibili posamine, scarsa era l ’ avia­zione.

Per quanto si riferisce invece alla possibilità che le flotte inglese e francese potessero rapida­mente mettersi in condizioni di svolgere un’ azione in comune e con la necessaria unità di comando, nulla ci sembra più convincente per definire 1’ im­preparazione francese e inglese nel Mediterraneo,

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delle stesse parole dell’ allora primo Lord del mare Winston Churchill1, che nella sua bellissima opera la Crisi mondiale così espone lo stato, di fatto, nei primi giorni di guerra :

« Fino allora però egli ( l ’ ammiraglio Milne) non era riuscito a mettersi in comunicazione con l ’ ammiraglio francese nè per radiotelegrafia nè con l ’ invio di lettere portate a iBiserta dal Dublin, ed ignorava perciò dove si trovassero le squadre al­leate ed i trasporti. Non ne aveva però informato l ’ ammiragliato il quale viceversa, dopo il telegram­ma circolare emanato il giorno 4 (agosto) col quale ordinava a tutti i comandanti delle singole stazioni di prendere accordi coi francesi e agire di conser­va con essi, era convinto che ciò fosse già avvenuto anche in Mediterraneo. ¡Per questa ragione noi non ci eravamo curati di domandare a Parigi in­formazioni e schiarimenti mentre, se l ’ avessimo fatto, avremmo saputo che nel frattempo i piani francesi erano cambiati e che i trasporti non erano ancora in mare. Ciascuno aveva dunque la propria parte di torto ».

* * *

Nei riguardi particolari della marina italiana, questa, nonostante avesse sopportato il peso della

1 C h u r c h i l l W ., La crisi mondiale 1911-1918. Edita a cura del- rUfficio storico délia R . Marina.

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notevole attività descritta nei precedenti capitoli, era in condizioni di affrontare la situazione con tutta serenità.

Ricordiamo e non senza orgoglio ciò che l ’ al- lora presidente del consiglio On. Salandra ha la­sciato scritto in proposito, circa la riunione del 27 luglio in cui convocò i ministri della marina e della guerra, ammiraglio Millo e generale Grandi:

« Proprio quel giorno, fra i primi baleni del­l ’ uragano, io dovetti prospettarmi la possibilità di una immediata mobilitazione delle nostre forze armate.

« Ne parlai ai due ministri militari. Il mini­stro della marina mi rispose senz’ altro di essere pronto » 1.

Si deve oggi riconoscere senza tema di esage­rare che mai come nella primavera del 1914, la marina italiana aveva raggiunto un grado così ele­vato di organizzazione morale e materiale in rela­zione ai mezzi allora esistenti ed ai compiti richie­sti dal problema marittimo del tempo. Se fosse le­cito esprimere le condizioni di una flotta, con un termine sportivo, dovremmo dire che la nostra ar­mata era, allo scoppio del conflitto, in « forma per­fetta ».

Ne avevano dato la prova le gare di tiro svolte nell’ autunno del 1913 alla presenza di S. M. il Re a Golfo Aranci.

1 Salandra, La neutralità italiana 1914-15.

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Le lunghe crociere svolte per necessità poli­tiche o militari avevano fatto conseguire al perso­nale tutto un alto grado di allenamento, ed al per­sonale di macchina in particolare una padronanza assoluta dei macchinari.

Deficienze nel materiale e particolarmente del­le artiglierie, comuni alle navi di tutte le nazio­ni, avevano già avuto occasione di manifestarsi du­rante la guerra libica, e pertanto ad esse si era già potuto porre rimedio; quindi durante la guer­ra le nostre artiglierie di tutti i calibri ebbero in misura relativamente piccola gli inconvenienti che invece si manifestarono più grandi in altre marine.

Nei prossimi volumi che tratteranno le azioni di guerra ne daremo ampia documentazione.

Al logorio dei macchinari, che specialmente nelle siluranti era stato sensibile per l ’ attività svol­ta negli anni 1912-13, si era rapidamente posto ri­paro, e le navi grandi e piccole erano in condizioni di dare la velocità prevista. Questo fu provato chiaramente durante la guerra e talora riconosciu­to con sincero stupore dagli stessi nemici.

Anche le due navi da battaglia Giulio Cesare e Leonardo da Vinci, benché entrate da soli due mesi in servizio effettivo, potevano considerarsi in efficienza anche nei riguardi del personale; certo le deficienze di organizzazione non erano superiori a quelle delle due navi monocalibre francesi, an- ch’ esse entrate in servizio da pochissimo tempo.

Questo breve esame della situazione navale del

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Mediterraneo nei giorni che seguirono la tragedia di Serajevo dimostra che mai come allora si era presentato un momento così favorevole alle flotte della Triplice Alleanza per una eventuale decisa azione. La sola minaccia di una tale azione, avreb­be avuto, come immediata conseguenza la quasi im­possibilità o per lo meno la enorme difficoltà per la Francia di portare rapidamente sul fronte delle Alpi o del Reno il forte contributo dell’ esercito co­loniale.

Tutto ciò che abbiamo ora detto circa la situa­zione mediterranea può ben fare comprendere al lettore quanto possa dirsi infondata e ingiusta la opinione di scrittori e uomini di governo stranieri che tentarono nei passati anni di diminuire o sva­lutare 1’ importanza della nostra azione diffondendo scritti tendenti a dimostrare che l ’ Italia preferì at­tendere di partecipare alla guerra per potersi schierare dal lato più forte.

La nostra astensione dal partecipare al conflitto accanto agli Imperi centrali fu considerata gene­ralmente in relazione alle conseguenze che essa ebbe sulla distribuzione delle forze militari sui fronti terrestri, senza approfondire completamente le importanti conseguenze che essa ebbe anche nel campo marittimo. Gli stessi uomini di Stato, che in passato ressero le sorti delle grandi potenze eu­ropee (ad eccezione dell’ Inghilterra il cui governo fin dal tempo della regina Elisabetta ha avuto sem­pre la fisionomia di una specie di grande stato

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maggiore navale ed ha anteposto il problema del potere marittimo a qualsiasi altro concetto politi­co), non sempre valutarono 1’ importanza dell’ Ita­lia come potenza navale, e non considerarono quale influenza il peso della sua flotta avrebbe potuto avere nell’ equilibrio europeo intimamente legato al­l ’ equilibrio del Mediterraneo.

Se infatti nei primi giorni del conflitto 1’ Italia non si fosse mantenuta neutrale gli eserciti tedeschi si sarebbero incontrati con un esercito francese di- minuto non solo delle armate rimaste a presidiare i valichi alpini, ma forse anche delle forti divisioni dell’ esercito coloniale che la Francia si proponeva di trasportare.

Quanto abbiamo detto crediamo possa sufficien­temente convincere che la situazione dell’ Italia era al momento dello scoppio della guerra mondiale, almeno dal punto di vista militare navale, tanto favorevole quanto lo fu un anno dopo, allorché entrammo nel conflitto a fianco dell’ Intesa.

Una particolare incomprensione dei problemi che si sono più sopra trattati la dimostrarono pro­prio gli uomini che reggevano le sorti della duplice monarchia.

Essi anziché liberarci della costante preoccupa­zione del problema adriatico, soddisfacendo insie­me le nostre aspirazioni di carattere morale e sen­timentale e le nostre necessità della sicurezza in quel mare, per poter più tranquillamente dedicarci ad una attività nel bacino occidentale del Mediter­

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raneo, fecero di tutto (come lo provano la sorda ostilità dimostrata e gli impedimenti creatici in Al­bania con una incomparabile ostinazione sino alla vigilia del conflitto) per renderci insopportabile la situazione adriatica.

La mancata partecipazione della marina italia­na allo scoppio del conflitto ebbe come immediata conseguenza che il Mediterraneo venne senza con­trasto in potere delle flotte dell’ Intesa.

Quella possente flotta austriaca che sin dal prin­cipio del secolo XX per volontà di intelligenti ed energici capi, quali il Montecuccoli, lo Spaun e per ultimo lo stesso imperiale arciduca Francesco Ferdinando, l ’ucciso di Serajevo, si era radical­mente trasformata e che costruita sin al 900 con criteri difensivi, aveva in seguito solcato il mare con delle magnifiche divisioni dotate di alto potere offensivo, quella stessa flotta che pur vantava tra­dizione di spirito decisamente aggressivo (e ne era prova il nome di quella nave, la Tegetthoff, che per qualche annoi dopo la fine della guerra tutti noi ve­demmo come trofeo di vittoria ancorata senza ban­diera nella laguna di Venezia) si rinchiuse a Fola assumendo un’ attitudine difensiva che, se pure il­luminata da qualche episodio di audacia dovuto alla singola iniziativa di qualche giovane e valoroso con­dottiero, non portò notevole contributo alla difesa della Monarchia, e fu la causa non ultima di quella depressione morale tra gli equipaggi che ne pro­vocò la non gloriosa fine.

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Il Goeben ed il Breslau si rifugiarono a Co­stantinopoli e in realtà la loro minacciosa attività fu in seguito resa vana.

La guerra marittima nel bacino del Mediterra­neo avrebbe forse potuto avere un carattere ben differente da quella del Mare del Nord; l ’azione delle flotte da battaglia avrebbe potuto essere de­cisiva e influire sulla condotta della guerra marit­tima negli altri bacini, ed invece anche in questo mare divenne guerra di attrito che costò alla ma­rina italiana, quando l ’ Italia entrò nel conflitto, inauditi e non sufficientemente valutati sacrifici di uomini, navi e denaro.

Non fu perciò un puro calcolo di convenienza che indusse l ’ Italia a non partecipare al conflitto allorché esso divampò improvviso.

Fu in un primo tempo 1’ istintivo senso di ri­pugnanza di un popolo civile a partecipare ad una guerra aggressiva provocata inizialmente dalla stol­ta impulsività di pochi uomini al potere non con­sci della spaventevole tragedia in cui trascinavano i popoli; fu la percezione dei nostri capi che com­presero bene che, entrando in guerra a fianco degli Imperi centrali, anche se vittoriosi, mai avremmo potuto liberarci dalla pesante, soffocante tutela delle due vecchie Monarchie tedesche, che mai l ’Austria avrebbe accondisceso a garantirci la no­stra sicurezza sulle Alpi e sul mare, ed a permet­terci di conseguire la nostra unità nazionale.

La guerra italiana fu in seguito guerra voluta

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dal popolo, guidato, anzi talora trattenuto, ma non certo forzato dagli uomini di governo a pren­dere tale decisione eroica.

Quando nel novembre 1914 nella primitiva po­vera e disadorna redazione milanese del Popolo d’ Italia si redigeva il primo numero del giornale in cui erano le parole che più di tutto quanto si è scritto in seguito esprimevano il pensiero e l ’ ani­ma della Nazione, con la indimenticabile e sculto­rea frase di Mussolini : cc II mio grido augurale è una parola paurosa e fascinatrice: Guerra», non si pensava alla guerra come ad un affare di bancao a un lucroso contratto.

Chi scriveva ben sapeva quali enormi sacrifici avrebbe affrontati la nazione, ma comprendeva con visione molto più alta e vasta dei mercanteggianti diplomatici della vecchia Europa, che la guerra ita­liana contro l ’Austria sarebbe stata, appunto per­chè dura e dolorosa, il vero Crisma della nazione, e i vantaggi materiali che potevano venirne, anche se molto maggiori di quanto ci fu promesso e non mantenuto, nulla erano, in confronto alla ricchezza morale che avrebbero ereditato le nuove genera­zioni.

Quanto si è detto, valga per chi, fuori d ’ Italia, scrisse (C che 1’ Italia aveva fatto un buon con­tratto prima di entrare in guerra » \

1 S t a n n a r d B a k e r , Woodrow Wilson e la sistemazione del mondo.

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Il sangue dei figli non ha prezzo nè si può con­trattare. Alla guerra, più che vantaggi materiali nè sperati nè tanto meno ottenuti, chiedemmo qualche cosa di più alto, ossia la grandezza e la forza spi­rituale. Questi furono i veri, incontrattabili acqui­sti ottenuti dalla nostra guerra. Il resto verrà come conseguenza inevitabile.

Gli uomini che in Italia avevano allora più alte responsabilità militari, furono, a loro volta, so­lamente i fedeli servitori del Re e della Patria.

In Italia non avvenne ciò che si verificò in qual­che altro grande Stato europeo ove i capi delle ge­rarchie militari giudicarono 1’ Europa solamente come una mappa militare su cui sperimentare i loro piani di guerra e i poderosi organismi da essi vo­luti e creati a tale scopo, non comprendendo talora che gli interessi morali di un popolo possono es­sere superiori alla egoistica speranza di conquista militare e di potenza territoriale e trascinarono nel­la loro limitata visione anche i capi di governo verso folli avventure.

E allorché la necessità di non potere oltre ri­manere estranei allo sconvolgimento europeo con­vinse. la parte migliore degli italiani che ciò di­veniva per la Patria ragione di vita o di morte 1’ Italia intera sotto la guida del suo Re « sur se cantando a chiedere la guerra » non facendo spe­culazioni o calcoli sulle situazioni militari, ma se­guendo l ’impulso che veniva dallei vie del cuore.

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* * *

Quantunque alla metà di luglio la situazione politica non fosse ancora allarmante, il ministero della marina aveva già cominciato a prendere le precauzioni consigliate dagli avvenimenti, e le pri­me disposizioni date si riferirono al rimpatrio delle navi dislocale nei mari lontani e precisamente del Marco Polo, che era in Cina, e della Calabria che si trovava nell’America Centràle.

Ma alla fine di luglio il precipitare improvviso degli avvenimenti fece ritenere indispensabile che la flotta fosse pronta ad ogni evento, ed il 28 luglio fu trasmesso l ’ ordine riservato agli ammiragli, che si trovavano in licenza, di ritornare in sede, ed il giorno successivo fu disposto per il richiamo di tutto il personale in permesso. Contemporaneamente venne ordinata una tacita mobilitazione, senza pe­rò richiamare alcuna classe, per non peggiorare la situazione politica, visto che i governi d’ Italia e d ’ Inghilterra stavano svolgendo in quei giorni una coraggiosa e sincera azione diretta ad evitare il conflitto.

La divisione delle navi scuola composta dal vecchio incrociatore Etna e delle RR. NN. Flavio Gioia e Vespucci era giunta a Glasgow e colà ebbe l ’ordine di rimpatriare.

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Anche le RR. NN. Miseno e Palinuro, che svol­gevano la campagna estiva per gli allievi nocchieri e si trovavano in quei giorni a Barcellona, ricevet­tero l ’ ordine di ritornare in patria.

Le unità maggiori della flotta si approntarono completandosi di munizioni, combustibili e viveri e sbarcarono tutto il materiale eccedente e le im­barcazioni non indispensabili.

Il Dandolo fu richiamato da Rodi e inviato, come abbiamo già segnalato, in Albania a sosti­tuirvi il S. Marco. La cannoniera fluviale Marghe- ra, che già da oltre un anno svolgeva un attivissimo servizio sulla Boiana, fu inviata a Venezia per approntarsi come affondamine.

La R. N. Puglia (comandante A. Bonaldi), che si trovava in navigazione nell’ alto Tirreno ed aveva a bordo S. A. R. il Principe ereditario, fu inviata subito a Vado dove dopo aver sbarcato S. A. R. proseguì per Spezia. S. M. il Re era in navigazione da Civitavecchia a Vado sul c. t. Indomito e ve­niva costantemente informato per radio circa la situazione politica.

Il 30 luglio, mentre veniva impartito l ’ ordine alla piazza marittima di Maddalena di assumere l ’ assetto di guerra, si disponeva che il Bronte par­tisse da Spezia per rifornire di munizioni le due piazze forti di Maddalena e Gaeta e le navi della prima squadra. La squadriglia torpediniere Cigno fu dislocata da Napoli alla Maddalena e la squa­driglia Saffo a Messina.

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La Trinacria, la Partenope e il Coatit si ten­nero ¡pronte a partire da Napoli per Taranto.

Nello stesso giorno veniva infine predisposto per richiamare il personale della leva di mare delle classi ’ 87, ’ 88, ’ 89, ’90.

Frattanto rimpatriava dal Mar Rosso la R. N. Piemonte.

Nel giorno 31 continuarono con celerità e con la massima regolarità ad effettuarsi le dislocazioni delle squadriglie di siluranti secondo gli accordi stabiliti nella Convenzione navale.

La 10a squadriglia lasciava Brindisi per Vene­zia e la l l a partiva da Taranto per La Spezia. La squadriglia Airone si riuniva alla Maddalena con le altre squadriglie già dislocate colà il giorno pre­cedente. La l a squadra si stava concentrando a Ta­ranto e la 2a a Gaeta.

La R. N. Etruria e il Tobruk ancora dislocati a Tripoli furono sostituiti dai cacciatorpediniere Euro e Ostro, mentre in Cirenaica furono inviati il Bixio ed il Granatiere a sostituire il Bausan, il Cun~ fida e la torpediniera Pellicano.

Il comando della R. N. Atlante dislocata a Rodi come stazionaria ebbe l ’ ordine di affondare la nave in caso di necessità guerresca.

Il giorno 2 agosto erano giunte a La Spezia le RR. NN. Doria e Duilio ancora in periodo di al­lestimento, ed erano state così messe al sicuro da un eventuale bombardamento o colpo di mano su Genova. Contemporaneamente a mezzo del Quarto

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e dei cc. tt. Impetuoso e Ardente erano stati ritirati i depositi in oro dalle sedi della ¡Banca d ’Italia di Genova, Catania e Cagliari.

Parte dei sommergibili con la nave appoggio Lombardia si concentrò a Messina, mentre la Li­bia con altri 6 sommergibili si dislocò a Maddalena.

La Partenope, dopo essersi approntata rapida­mente a Taranto come affondamine, prese la dislo­cazione già stabilita alla Maddalena.

Nello stesso giorno, 2 agosto, S. M. il Re sbar­cava a Vado dall’ Indomito che subito si riuniva alla l a squadra.

La sera del 2 agosto il ministero poteva dare ordini affinchè le due squadre da battaglia prendes­sero la definitiva dislocazione ad Augusta.

La mobilitazione parziale della flotta, breve­mente riassunta nella successione cronologica qui riportata, fu effettuata dal 28 luglio al 2 agosto con una rapidità ed una precisione notevole, dando prova evidente della buona organizzazione conse­guita dalla marina.

I numerosi spostamenti di unità si verificarono senza ritardi, senza il minimo incidente, senza che sopravvenissero avarie degne di nota.

L ’ organizzazione degli arsenali consentì che i provvedimenti necessari a mettere in immediata efficienza le navi si svolgessero nel massimo ordine senza che si notasse un caotico e affannoso lavoro.

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* * *

Contemporaneamente alle disposizioni prese ¡per la mobilitazione e la dislocazione delle forze navali, il capo di S. M. provvedeva ad emanare tutti gli ordini relativi all’ approntamento della di­fesa costiera e alla sicurezza dei porti commerciali oltre che delle piazze marittime.

Oggetto di particolare attenzione fu natural­mente il naviglio mercantile indispensabile al ri- fornimento del paese e anche per questo furono prese in modo sollecito le necessarie precauzioni. Appena pervenuta la notizia della dichiarazione di guerra tra la Germania e la Russia, in data 1° ago­sto veniva trasmesso il seguente telegramma alle au­torità marittime:

« Telegramma 26637 — 1° agosto — ore 19,50.« Attuali condizioni rapporti internazionali im­

pongono armatori capitani navi nazionali massima ponderazione prima avventurarsi in viaggi verso porti stranieri. Fin quando situazione internazio­nale non sia ben determinata armatori capitani do­vranno avere presente probabilità siano colpiti osti­lità alcuni porti europei sedi frequenti traffici in occasione noleggio. Quindi navi trovantisi colà po­trebbero essere coinvolte spiacevoli incidenti.

« V. S. quindi richiamerà attenzione armatori e capitani quanto espone ministero con dovuta ac-

13 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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Cortezza onde evitare ingiustificati allarmi. Co­munichi analoghe istruzioni uffici dipendenti ».

Nello stesso giorno il capo di stato maggiore presentò al ministro della marina ed alla presi­denza del consiglio un promemoria prospettante la opportunità di salvaguardare la flotta mercantile (v. documento n. 19) e, in base a tali direttive che furono subito approvate, l ’ ufficio del capo di stato maggiore inviò alla direzione della marina mercantile le disposizioni contenute nella nota che riproduciamo :

«N . 15772 — 2 agosto 1914 — Ufficio del C. di S. M.

« Nel caso che le vicende politiche obbligassero il paese ad entrare in azione, si è predisposto, co­me già da verbali comunicazioni, di offrire anco­raggio nelle nostre piazze marittime a quanti pi­roscafi del commercio sarà possibile senza ostaco­lare l ’ eventuale approdo della nostra flotta nelle operazioni militari. Si rimettono a V. S. i relativi 35 permessi1 di approdo nelle piazze di Taranto

1 I permessi furono così distribuiti:a) per l ’approdo a Spezia ai piroscafi Duca di Genova, Duca

degli Abruzzi, Principe Umberto, Regina Elena, Re Vittorio, Ve­rona, Europa, Re d’ Italia, Ancona, Armando, Enrichetta, Regina d’ Italia;

b) per l ’approdo a Taranto ai piroscafi: America, Palermo, Bologna, Stampalia, Principe di Udine, Taormina, Tomaso di Savoia, Principessa Mafalda, Clara, Sardegna, Sicilia, Brasile, Napoli, Ravenna, Taranto, Italia, Mongibello, Sicania, S. Giorgio, S. Giovanni, S. Guglielmo, Città di Cagliari e Città di Sassari.

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e di Spezia, informando che i comandanti delle stesse hanno ricevuto opportune istruzioni al riguar­do. La concessione fatta, occorre far conoscere agli armatori, è principalmente nel loro interesse per non lasciare esposte le loro navi a possibili colpi di mano del nemico, delle cui conseguenze il Go­verno non può rispondere. Essi se lo crederanno opportuno potranno valersene dando in ogni caso avviso preventivo dell’ arrivo dei piroscafi ai rispettivi comandi in capo.

« f.to R e v e l » .

L’ impiego di quelle unità della flotta mercan­tile, che allo scoppio delle ostilità sarebbero state requisite, era già stato oggetto di accurato studio e predisposto con i seguenti concetti:

i piroscafi: Duca di Genova, Re Vittorio, Du­ca degU Abruzzi, Duca d’Aosta, Regina Elena, Principe Umberto, Ancona e Verona, avrebbero dovuto essere trasformati in incrociatori ausiliari per la guerra al commercio nemico;

i piroscafi : Re d’ Italia, Regina d ’ Italia ed Europa avrebbero dovuto essere trasformati in navi ospedali, e per tale necessità il materiale occorrente per la trasformazione era pronto a Spezia;

i piroscafi: Enrichetta e Armando, avreb­bero. dovuto essere impiegati per trasporto di ac­qua, di carbone e di materiali;

»

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i piroscafi presenti nelle acque di Taranto fu­rono così destinati : Citta di Cagliari e Città di Sas­sari (per i quali si trovava depositato a Taranto l ’ armamento guerresco) al trasporto delle munizio­ni ; i piroscafi : Sicilia, Sardegna, Brasile, Bologna, Napoli, Palermo, S. Giorgio (o S. Guglielmo), San Giovanni (o Mongibello), Taormina, StampaUa, America (o Tomaso di Savoia), Principe di Udi­ne, Principessa Mafalda al trasporto di truppe e di materiali ; i piroscafi : Città di Messina, Siracusa (o Italia) e Clara al trasporto di materiali e car­bone.

I piroscafi che si trovavano nelle acque di Mes­sina e di Venezia ebbero autorizzazione di rima­nervi, mentre Maddalena fu esclusa come porto di rifugio, sia per non gravare la piazza di ulte­riori compiti di rifornimento, sia per altre ragioni militari.

* * *

Sono ben note le ragioni che indussero il go­verno italiano a non riconoscere il casus foederis relativo alla nostra partecipazione alla guerra a fianco degli Imperi centrali ed è pertanto inutile trattarne in queste pagine.

In seguito alla deliberazione presa nella se­duta del consiglio dei ministri del 2 agosto, con cui r Italia dichiarava la neutralità, il ministro della marina emanava il giorno successivo la se­

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guente circolare telegrafica a tutte le capitanerie di porto:

« 3 agosto 1914 — Ore 20,20 —- n. 27380.

« Pubblicata dichiarazione neutralità Italia pre­sente conflitto alcune Potenze europee stato guer­ra stop Raccomando quindi V. S. vigilare ogni cu­ra osservanza regole doveri derivanti neutralità ba­se codice marittimo integrato Convenzioni Aja cui Governo Re attiensi sebbene non ancora ratificate stop V. S. riceverà istruzioni massima, intanto qualora abbia bisogno schiarimenti cioè applicazio­ne qualche caso suindicate regole rivolgasi urgenza telegrafo ministero stop Impartisca istruzioni u f­fici dipendenti.

« M il l o » .

Contemporaneamente l ’ ufficio del capo di stato maggiore provvedeva a modificare la dislocazione della flotta in modo che risultasse concentrata e sempre pronta ad ogni evento, ina in zone tali da non creare suscettibilità nelle nazioni belligeranti.

Uno dei primi provvedimenti presi dopo la dichiarazione della neutralità fu l ’ estensione del limite delle acque territoriali da 3 a 6 miglia.

Il decreto presentato al consiglio dei ministri fu approvato il giorno 4 ma fin dal giorno prece­dente l ’ ammiraglio Revel aveva provveduto a dira­mare i seguenti telegrammi :

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« N. 27506 — Ore 2,55.« Comandi Marina Spezia, Napoli, Venezia,

Taranto, Maddalena, Ispettorato Siluranti, Nave Pisani, Napoli, Capitanerie di porto.

« N. 27507 — Ammiraglio nave Dante — Ta­ranto.

«N . 27508 — Radio Roma per ammiraglio na­ve Elena.

« Riservandomi altre comunicazioni prevengo V. S. limite mare territoriale effetti disposizione codice marina mercantile relative neutralità Stato 246-251 nonché Convenzioni Aja stesso argomento rimane fissato sei miglia partendo da lido stop Ac­cusi ricevuta impartendo istruzioni autorità dipen­denti ».

Ciò trovava un precedente giuridico in un si­mile provvedimento già preso dalla Francia con un decreto presidenziale dell’ 8 ottobre 1912.

Il nostro esempio fu seguito pochi giorni dopo dalla Turchia. Le potenze belligeranti non fecero opposizione; solo l ’ Inghilterra, pur accettando il fatto compiuto si limitò ad inviare al governo ita­liano una nota conciliante (documento n. 20).

Oggetto di accurata riflessione furono i prov­vedimenti di legislazione marittima relativi allo stretto di Messina ed alle varie piazze forti allo scopo di garantire nel modo migliore la nostra neutralità e i nostri interessi di grande potenza marittima.

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Partendo dal concetto che lo stretto di Mes­sina non costituisce l ’unica e obbligata via di co­municazione fra i due mari esso fu considerato come zona di acque territoriali e pertanto ne fu decisa la chiusura al transito per i belligeranti; ma tale provvedimento fu in un successivo tempo re­vocato, ritenendosi sufficiente che la navigazione attraverso lo stretto fosse attentamente controllata dalle unità da guerra dipendenti dalla difesa ma­rittima.

Con la data del 5 agosto fu notificato ai navi­ganti che le acque territoriali di accesso alle piazze forti di Spezia, Maddalena, Taranto e Venezia era­no state difese con sbarramenti di mine, che ne era vietato di conseguenza l ’ accesso dal tramonto all’ alba e che s’ imponeva l ’ obbligo di servirsi del pilota.I comandi delle piazze marittime disposero per

organizzare il servizio semaforico per il riconosci­mento e l ’approdo, e le unità minori per il pilotag­gio, ed infine d’accordo con il ministero degli in­terni e con quello della guerra furono date ai comandanti delle piazze marittime ampie facoltà relative alle circostanze.

Il complesso dei provvedimenti giuridici e le­gislativi, impartiti con celerità ed eseguiti dalle autorità periferiche con energia ed avvedutezza, valsero ad evitare durante la nostra neutralità in­cidenti gravi, che nella critica e difficile situazione politica in cui si era trovata l ’ Italia avrebbero pò-

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tuto danneggiare o influire in senso sfavorevole sulla futura condotta delle relazioni diplomatiche del governo.

Particolarmente importante e delicata fu la questione che dovettero risolvere le nostre auto­rità navali, in relazione alla sopravvenuta dichia­razione di neutralità, nei riguardi della divisione germanica del Mediterraneo.

Quantunque siano ben note le vicende del Goe- ben e del Breslau, che con grande abilità l ’ammi­raglio Souchon riuscì a portare a Costantinopoli, pure crediamo opportuno dare un breve riassunto di quella parte che si riferisce all’ Italia.

Abbiamo già ricordato nel narrare gli avveni­menti in Albania la presenza del Breslau a Durazzo ove faceva parte della forza internazionale.

Questa nave lasciò improvvisamente Durazzo per Brindisi, ove si rifornì di carbone, ed il 1° ago­sto, dopo uscita dal porto, si unì al Goeben che proveniva da Pola.

L ’ ammiraglio Souchon, attenendosi a quanto era previsto dal patto navale, dirigeva verso Messina, essendo questa una delle basi destinate, secondo gli accordi, al rifornimento della divisione germanica. L ’autorizzazione di rifornirsi di carbone fu accor­data dal ministero della marina, non implicando tale fatto alcuna violazione di neutralità. Le due navi poterono così essere pronte con le provviste al completo nella notte del 2 e, non avendo ricevuto alcun ordine preciso dalla madre patria, l ’ ammi­

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raglio tedesco decise di agire di sua iniziativa por­tando a compimento quel ¡progetto di attacco ai porti e alle comunicazioni francesi che avrebbe do­vuto essere svolto in collaborazione con le forze italiane ed austriache.

L ’ardita scorreria a Bona e a Philippeville svol­ta nelle prime ore del 3 agosto raggiunse lo scopo di disturbare e ritardare il trasporto delle truppe francesi; dopo di che le due navi germaniche di­ressero nuovamente per Messina, ove giunsero alla mattina del 5 agosto.

Essendo nel frattempo già stata comunicata alle Potenze la dichiarazione della neutralità italiana, la sosta ed il rifornimento che le navi germaniche intendevano fare a Messina assumeva un aspetto molto differente dalle stesse operazioni già svolte il 2 agosto.

Il comando della difesa di Messina aveva già provveduto ad inviare incontro alle due navi ger­maniche le cinque torpedinière della squadriglia siluranti di Messina, che al limite delle acque ter­ritoriali ne assunsero la scorta fino all’ arrivo in porto.

Il rifornimento di carbone venne eseguito pre­levandolo dai piroscafi presenti a Messina.

Quantunque questo rifornimento potesse es­sere interpretato come una violazione della neutra­lità, fu tuttavia tollerato dal governo italiano in quanto trovava giustificazione nel fatto che il pre­levamento di carbone autorizzato il giorno 2 non

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fu in parte eseguito dalle navi tedesche, essendo giunta l ’ autorizzazione da Roma quando esse era­no già partite.

Ma oltre al rifornimento di carbone le navi germaniche svolsero altre operazioni che risulta­rono essere palesi violazioni di neutralità e parti­colarmente l ’ arruolamento di volontari e il pre­levamento di personale non militare fatto sui pi­roscafi germanici in porto a Messina (vedi docu­mento n. 21).

L ’ufficio del capo di stato maggiore emanò per­tanto immediatamente le disposizioni intese ad evi­tare nel modo più assoluto il ripetersi di tali fatti.

Inoltre si provvide ad impedire che navi mer­cantili di qualche nazione in guerra potessero ri­fornire le forze navali di una potenza belligeran­te in transito nelle acque di Messina. Fu perciò disposto che tali navi mercantili fossero visitate e messe nelle condizioni di non potersi trasformare eventualmente in navi da guerra ausiliarie e fu inoltre disposto che fosse effettuata la loro distri­buzione fra i vari porti della Sicilia.

Fu impartito l ’ ordine di sequestrare il materiale sbarcato dal Goeben e dato dal comando germanico in consegna alla Ditta Stinnes. Tale materiale com­prendeva, oltre a numerose imbarcazioni, anche un cannone da sbarco.

Il Goeben ed il Breslau avevano lasciato Mes­sina nel pomeriggio del giorno 6.

Il ministro della marina ammiraglio Millo tra­

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smetteva al comando della l a squadra dislocata a Taranto il seguente marconigramma :

«Radio per ammiraglio nave Dante.« Austria trovasi stato di guerra con Russia.« Oggi ore 17,30 navi germaniche Goeben e

Breslau lasciano Messina dirigendo Sud grande ve­locità. Taormina oret 19 informa nave inglese tipo Bristol mantenendosi fuori tiro segue navi germani­che. Spartivento telegrafa ore 21 navi germaniche dirigono Nord luci spente. Corre voce squadra au­striaca vada incontro navi germaniche.

« M il l o » .

La flotta austriaca in realtà non potè effettuare l ’operazione intesa ad appoggiare l ’ ammiraglio Souchon, e questi con grande abilità e coraggio, fa­cendo assegnamento sulle sue sole forze, dopo un brve scontro con le forze navali inglesi, potè rag­giungere Costantinopoli.

A Messina una commissione di ufficiali della R. Marina per ordine del comando difesa si recò il giorno 10 sui seguenti piroscafi:

Albany di 3777 t. di r. della Deutch Au- stralische Dampfschiffs di Amburgo;

Ambria di 3232 t. di r. della Hamburg Ame- rika Linie;

Mudros di 2017 t. di r. della Deutch LevantLinie;

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Barcellona di 3357 t. di r. della Hamburg Amerika Linie;

Katterturm di 3485 t. di r. della Norddeut­scher Lloyd di Brema.

Dopo una visita minuziosa queste navi furono distribuite tra Catania ed Augusta, Siracusa e Pa­lermo, ove poterono giungere indisturbate navi­gando nelle nostre acque territoriali.

Con la dichiarazione di neutralità si conclude­va per la marina italiana tutto un ciclo di avveni­menti che fino ad allora erano stati condotti secondo le direttive dettate dalle ragioni politiche relative alla nostra posizione nella Triplice Alleanza.

La situazione navale nel Mediterraneo veniva ad essere completamente mutata dal 3 agosto 1914 in poi, ed allo stato maggiore della marina si ma­nifestava l ’ immediata necessità di modificare le direttive generali con cui fino ad allora era stata dislocata ed organizzata la flotta.

Inoltre gli avvenimenti guerreschi in Adriati­co, la nascente ma già minacciosa attività dei som­mergibili anche contro i neutri, l ’ uso rapidamente generalizzatosi nell’ impiego delle mine su vasta scala da parte di tutti i belligeranti, la necessità di tutelare il nostro traffico mercantile, le restri­zioni alla navigazione neutrale provocate dalle di­chiarazioni di blocco, il dovere di garantire nel modo più leale ed imparziale la neutralità, pre­sentavano un gravoso compito, che la marina do- . veva affrontare e risolvere, mettendo a contributo

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tutte le energie intellettuali degli organi dirigenti e l ’ attività navale delle unità della flotta.

Sui mari del mondo intanto, la guerra maritti­ma assumeva nuove ed inattese forme portando un profondo e radicale sconvolgimento nei metodi e nei concetti dell’ impiego delle forze navali, fa ­cendo sorgere impreveduti mezzi di offesa, e di rea­zione, e modificando la stessa struttura delle flotte.

Gli insegnamenti che fin dai primi giorni ci venivano dal conflitto non potevano lasciarci indif­ferenti e si iniziava quindi per la marina un pe­riodo di intensa e silenziosa preparazione sia degli animi che delle armi, che doveva essere portata a termine con un periodo di sereno raccoglimento e di decisa ed unica volontà.

La marina italiana non fu inferiore alla vastità del compito a cui si era trovata di fronte nel cata­clisma che sconvolgeva il mondo. Essa lo affrontò con ferma e forte disciplina, frenando le singole impazienze, accettando in silenzio le fatiche e le inevitabili conseguenze della dura preparazione alla guerra ignorate da chi non viveva nell’ ambiente na­vale, trovando solo in sè stessa la fede e la convin­zione che il sacrificio non sarebbe stato vano e che sarebbe scoccata l ’ora inevitabile in cui 1’ Italia avrebbe potuto conseguire quegli scopi che con mi­rabile tenacia da molti anni erano l ’ oggetto della nostra politica navale.

Cambiarono talora gli uomini nei posti più alti di comando, ma non cambiarono mai le direttive e

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fu immutabile la disciplina con cui furono ese­guite.

Unica fu l ’ anima della marina d ’Italia, che af­frontò il cimento forse non molto ricca di mezzi e di navi, ma con l ’ infinito patrimonio di una straor­dinaria saldezza morale conseguita attraverso le dure ed ignorate prove dei nostri primi passi per af­fermarci sul mare.

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Capitolo V .

L ’ ITALIA A VALONA

S o m m a r i o :

Costituzione dell’ Armata navale. — Dislocazione a Taranto. — Valona e il problema strategico dell’Adriatico. — Le condizioni dell’Albania dopo lo scoppio del conflitto europeo. — La neces­sità dell’ intervento italiano in Albania. — La minaccia greca in Epiro. — La costituzione della divisione navale in Albania. — Le trattative diplomatiche. -— Il forzato consenso russo. — Lo sbarco a Saseno. — La missione sanitaria a Valona.— Il ministro Sonnino alla Consulta. — I disordini a Valona. — Lo sbarco dei marinai italiani. — L’occupazione delle alture intorno alla città. — Le conseguenze militari negli ulteriori avvenimenti della guer­ra. — Le mine austriache in Adriatico. — La protezione del traf­fico nazionale durante la neutralità. — Le conseguenze economi­che della guerra in Adriatico. — Il blocco austriaco del Monte- negro e il nostro intervento diplomatico. — Il blocco inglese e le proteste italo-americane.

La nuova situazione ¡politica creatasi con la di­chiarazione della nostra neutralità modificava pro­fondamente le direttive che il ministero doveva dare» all’ attività della marina. Apparve ben chiaro alla mente dei capi che l ’ Italia non poteva rima-

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nere per lungo tempo estranea al grande urto dei popoli e che l ’ interesse nazionale ci avrebbe ine­vitabilmente portato a partecipare al conflitto. Ra­pidamente in Italia si formava quella corrente po­polare che non lasciava molti dubbi circa l ’orien­tamento delle future nostre azioni. L ’ oggetto della attenzione per la marina divenne naturalmente l ’Adriatico che presumibilmente sarebbe stato il campo d’ azione della nostra flotta. Tuttavia un im­mediato concentramento delle forze navali in Adriatico non era possibile, sia per ragioni poli­tiche, sia per ragioni tecniche.

Le ragioni politiche facevano infatti ritenere come più conveniente la dislocazione in una zona nella quale la flotta fosse pronta ad entrare in azio­ne rapidamente senza però manifestare chiaramente in un primo tempo contro quale stato fosse diretta la nostra azione. Inoltre la mancanza di basi pron­te, specialmente nell’Adriatico meridionale, non ne consentivano colà una dislocazione conveniente.

La comoda base di Taranto, prossima all’Adria­tico e nello stesso tempo in posizione tale da dare ogni libertà al movimento della flotta, parve la più indicata e le forze navali si concentrarono in quel sorgitore.

Essendo venuta meno la ragione della prece­dente distribuzione organica delle forze navali sud­divisa in due squadre, com’era previsto dalla con­venzione navale con gli alleati, si provvide a riu­nire le forze navali in un complesso che assunse

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il nome d ’armata navale, sotto un unico coman­dante in capo.

Il 26 agosto 1914 S. A. R. il Duca degli Abruz­zi, designato a tale carica, assunse il comando delle forze navali riunite.

L ’ armata risultò composta della squadra da battaglia che comprendeva le 3 divisioni di navi più moderne ed efficienti, di 2 divisioni di navi da battaglia e incrociatori meno moderni e di un gruppo di navi ausiliarie e di navi posamine (vedi appendice n. 2, «situazione e composizione del­l ’ armata ».

L ’ ispettorato delle siluranti fu sciolto e le squa­driglie di cacciatorpediniere più moderne vennero poste alle dipendenze delle varie divisioni della squadra da battaglia, cc. tt. di tipo meno recen­te, lei torpediniere a. m. e le torpediniere costiere vennero assegnate ai vari comandi militari maritti­mi, destinandone la maggior parte alle piazze del­l’Adriatico e del mare Jonio. Tali squadriglie non furono però subito dislocate nelle sedi stabilite per non sguarnire prematuramente le piazze del Tir­reno.

Verso la metà di settembre i tre esploratori Quarto, Marsala e Bixio, che fino a quell’ epoca erano ciascuno alle dipendenze di una delle tre di­visioni della squadra da battaglia, furono riuniti in un gruppo posto alla diretta dipendenza del co­mando in capo dell’ armata.

Mentre nelle basi navali, nei centri marittimi

14 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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industriali, ed a bordo delle unità della squadra da battaglia si svolgeva un’ intensa attività, desti­nata a perfezionare l ’ organizzazione delle forze na­vali adattandola ai nuovi metodi di guerra ed alle nuove particolari esigenze derivate dal mutato in­dirizzo del nostro eventuale obiettivo di guerra, la marina con un numero di navi non disprezza­bile era altresì impegnata in una notevole attività in Albania, ove la situazione sempre incerta ri­chiedeva da parte dell’ Italia una continua atten­zione.

La questione albanese, che ci condusse nel periodo della neutralità alla occupazione di Valo- na, ebbe per tutta la durata della guerra ed anche in seguito molta influenza sullo svolgimento delle fasi della lotta in Adriatico e sul fronte balcanico.

Yalona e Durazzo furono sovente teatro di av­venimenti militari di notevole interesse, sia nelle operazioni terrestri sia in quelle marittime, e quin­di si può affermare che le operazioni militari na­vali in Adriatico del ciclo della guerra italo-au- siriaca si iniziarono con lo sbarco dei marinai ita­liani a Saseno.

È necessario perciò esaminare i precedenti del­l ’ azione sulla costa sud-orientale dell’Adriatico per comprendere in seguito lo svolgimento delle ulte riori attività della marina nella parte meridionale di quel mare.

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* *

Nei precedenti capitoli si è illustrata la que­stione albanese per i riflessi che ne derivarono verso la nostra politica navale nell’Adriatico.

Prima di iniziare la narrazione degli avveni­menti militari in Albania ci sembra opportuno sof­fermarci ad esaminare l ’ influenza di Valona con­siderata in relazione al problema strategico ma­rittimo dell’ Italia.

L ’ importanza militare marittima del possesso di Valona da parte dell’ Italia derivava non tanto dalla necessità di possedere sulla sponda opposta una buona base per noi, quanto dal grave pericolo che rappresentava Valona qualora fosse divenula la base di una marina a noi avversa, giacché la posizione geografica di Valona avrebbe consen­tito ad una marina adriatica quale l ’ austriaca, di uscire da tale mare e affacciarsi al Mediterraneo per portare l ’ offesa contro buona parte delle no­stre linee di comunicazione, e ad una marina me­diterranea in guerra contro di noi di penetrare fa­cilmente in Adriatico per offenderci anche in tale mare, aumentando cosi il nostro fronte marittimo da difendere.

È pertanto evidente che il primo scopo da rag­giungere sarebbe stato quello di neutralizzare il valore di Valona; a tale risultato però a cui aveva

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mirato la nostra politica con i tentativi di creare un’Albania indipendente, garantita dalle potenze, e con gli accordi con l ’Austria prima del conflitto, non corrisposero i risultati, in seguito alle disgra­ziate vicende dello. Stato albanese.

Rimaneva a noi la possibilità di impedire l ’uso della rada di Valona, da parte di una qualsiasi for­za navale, controllandone l ’ entrata dominata dal- l’ isola di Saseno che avremmo potuto occupare c fortificare con pochi mezzi e senza costose e lun­ghe operazioni militari; naturalmente però in tali condizioni nemmeno noi avremmo potuto servirci in modo effettivo di Valona come base navale.

Rimane ora da considerare quale potesse essere l ’ importanza diretta che aveva per noi il possesso di Valona sempre riguardato in relazione al no­stro problema strategico marittimo.

Un passaggio tra due mari, relativamente ri­stretto come il canale di Otranto, poteva in li­nea di massima ritenersi controllabile avendo una base su di una delle due sponde, senza necessità di dover avere un punto di appoggio sulla riva op­posta e pertanto la posizione di Brindisi poteva es­sere sufficiente alle nostre necessità militari, quan­do Valona fosse stata neutralizzata.

Esaminato dunque il caso di Valona nei soli riguardi della situazione navale si potrebbe dire che il possesso della baia non aveva per noi gran­de importanza e non migliorava affatto il proble­ma strategico dell’Adriatico.

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Rimane infine da considerare Valona nella sua importanza come testa di ponte per il controllo dell’Albania e per eventuali operazioni militari nei Balcani, in quanto che, con la sola occupazione di Saseno, e non avendo la possibilità di disporre liberamente di Valona, praticamente sarebbe di­venuto difficile per noi intervenire tempestivamen­te e in forze qualora se ne fosse presentata la ne­cessità; limitandoci al possesso di Saseno avremmo praticamente dovuto disinteressarci delle vicende balcaniche.

L ’ Albania, che fino ad allora non era riuscita a darsi un assetto statale, presentava tuttora un aspet­to caotico e poco rassicurante per la generale tran­quillità, alimentava le cupidigie ed era sempre og­getto degli sguardi avidi dei paesi circostanti.

L ’Austria infatti non aveva ancora perdute ìe sue speranze su Durazzo e inoltre si adoprava sem­pre molto attivamente per tenerci lontani da Va­lona a cui reconditamente ed insaziabilmente an­cora aspirava. La Turchia, ormai attratta nella com­binazione politica degli Imperi centrali e diretta da Berlino, contava sull’ elemento mussulmano al­banese per riprendere la sua influenza nei Balcani e restaurarvi il suo antico e secolare dominio, an­che se non in via diretta, almeno attraverso il tra­mite di un sovrano albanese della dinastia degii Osmanli, ligio al partito giovane turco.

Nè erano sopite le aspirazioni degli Slavi del Sud ormai apertamente appoggiati dalla Russia, che

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a guerra iniziata non aveva più freni diplomatici verso l ’Austria, e vedeva anzi nell’ occupazione slava dell’Albania un mezzo per giungere all’Adria­tico. Egualmente attivi erano i Greci i cui occhi guardavano con desiderio 1’ Epiro, che essi con lata quanto assurda concezione geografica estendevano a Nord fino a Valona inclusa.

Dopo la partenza del principe di Wied, nono­stante l ’ apparente tranquillità seguita alla installa­zione del nuovo governo di Durazzo, l ’Albania re­stava in uno stato tale di debolezza economica, mi­litare e finanziaria, da far temere che da un mo­mento all’ altro potesse divenire facile preda di una qualsiasi delle grandi o piccole potenze con essa confinanti.

Era evidente però che qualsiasi ingrandimento territoriale di uno stato balcanico affacciantesi al­l ’Adriatico era cosa contraria ai nostri interessi.

Infine, le stesse condizioni interne di disorga­nizzazione di tale regione erano una causa di danno economico per le nostre ricche provincie dell’ Ita­lia meridionale orientale che sempre avevano avu­to attivi rapporti commerciali con l ’Albania.

Naturalmente solo avendo una base si poteva pensare ad un intervento energico in Albania quan­do se ne fosse manifestata l ’ assoluta necessità, e tale base non poteva essere logicamente che Valo­na destinata a divenire (come infatti divenne), la testa di ponte per le eventuali operazioni militari nei Balcani.

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La decisione di occupare Valona non derivava dunque da necessità di carattere militare maritti­mo, ma da opportunità politiche di carattere ge­nerale. Qualora naturalmente Valona fosse dive­nuta la base di un corpo di occupazione operante in Albania, il compito della marina italiana veniva aumentato dalla necessità di assicurare le comu­nicazioni tra l ’ Italia e l ’Albania, perciò il pro­blema strategico che noi dovevamo risolvere in Adriatico diveniva ancora più complesso in quan­to si offriva all’ avversario una occasione di più tra le tante per colpirci.

Tale svantaggio poteva essere compensato solo in parte dal fatto di poter disporre liberamente di Valona per le nostre forze navali, per le ragioni già dette circa 1’ importanza strategica di Valona nei riguardi del controllo del canale di Otranto.

Riepilogando : un complesso di circostanze, di opportunità politiche e di prestigio fecero ritenere che non fosse sufficiente il possesso di Saseno, ma fosse indispensabile assicurarsi anche Valona, per poterne sempre disporre quando diventasse neces­sario e la marina si tenne pronta per tale opera­zione che portò a compimento in- gran parte con i suoi soli mezzi.

Riprendiamo dunque la narrazione degli avve­nimenti nel loro sviluppo cronologico.

Fin dal 28 settembre il comandante della R. N. Agordat telegrafava all’ ufficio del capo di stato maggiore :

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« V alona, 28 settembre 1914.« Giunta notizia cavalleria greca in marcia su

Fieri. Popolazione convinta che movimento greco sia fomentato da governo italiano per trovare pre­testo occupazione Valona. Console di Austria reca­tosi stamane sindaco scongiurando prevenire qual­siasi disordine non offrire Italia pretesto occupazio­ne. Ignoro intenzione governo, però ritengo attua­le situazione militarmente favorevole qualora si do­vesse addivenire occupazione Valona.

« Agordat ».

Ed il giorno 1° ottobre telegrafava :

«Popolazione preoccupata temendo occupa­zione Grecia. Secondo informazioni giunte oggi da Fieri si ritiene colà imminente arrivo greci».

In base a tali notizie il presidente del consiglio on. Salandra informava con una comunicazione u f­ficiosa il governo di Atene che l ’ Italia non, avrebbe consentito che Valona fosse occupata da alcuna po­tenza.

Circa le linee generali dell’ azione eventuale da svolgere, in relazione alle informazioni che giunge­vano dallo stazionario a Valona, ecco ciò che scri­veva il capo di stato maggiore al ministro della marina il 1° ottobre 1914:

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<t Eccellenza.«L a presa di possesso di Valona da parte dei

greci potrebbe essere impedita dal mare mediante navi da guerra preferibilmente di moderata pesca­gione, ovvero occupando la città, le alture meridio­nali e specialmente i passi di accesso alla pianura di Valona.

« Nel primo caso basterebbero tre o quattro navi che proporrei fossero Piemonte, Calabria, Etna ed Etrnria. Nel secondo caso la iniziale azione di sbarco sarebbe effettuata dalla compagnia da sbarco marinai, ma dovrebbe essere seguita subito da sbarco di truppe regolari con effettivi commi­surati alla condizione sovradetta di essere padroni delle alture meridionali, tenendo come linea di prò' tezione settentrionale la Vojùssa, per il che occor­rerebbero almeno tremila uomini con qualche bat­teria di posizione.

(( L ’ occupazione e l ’ armamento di Saseno con artiglierie navali di medio calibro sarebbe comun­que opportuna per la protezione dell’ ancoraggio e per stazione di segnalazione; quest’ isola però non avendo risorse proprie dovrebbe costantemente at­tingerle dal mare.

« Attendo gli ordini che V. E. si compiacerà comunicarmi per ulteriori disposizioni. Lo stato maggiore possiede all’ uopo buoni e recenti ele­menti.

« Il vice ammiraglio capo di stato maggiore ccf.to: Revel».

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In base a tale proposta, che il ministro approvò immediatamente, fu subito costituita la divisione speciale composta dei vecchi incrociatori Etna, Ca­labria e Piemonte posti al comando dell’ammira­glio Patris, e contemporaneamente si costituiva a Taranto un battaglione da sbarco della R. Marina, mentre la R. N. Eritrea, con una sezione della base passeggera imbarcata a Taranto, raggiungeva la di­visione speciale.

Tuttavia il nostro intervento in Albania non av­venne immediatamente per un complesso di circo­stanze, e diede luogo a laboriose discussioni tra il governo e le alte autorità militari e particolar­mente col generale Cadorna, che riteneva conve­niente che l ’ azione fosse svolta solo con i mezzi della R. Marina, non sembrandogli opportuno in quel periodo impegnare in Albania truppe dell’ eser­cito nazionale, tutto intento alla sua riorganizza­zione ed alla preparazione alla guerra.

In una lettera all’ on. Salandra in data 29 set­tembre 1914, S. E. Cadorna così si esprimeva:

« Eccellenza,« Il partito più opportuno sembra essere quello

di mandare ora una divisione di navi vecchie a prendere possesso di Saseno e del golfo di Va­lona, sbarcando a Valona tre o quattro compagnie da sbarco, le quali, sotto la protezione delle navi, affermerebbero il nostro possesso. Si organizzereb­bero intanto le bande colle popolazioni a noi favo­

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revoli. In seguito, se le circostanze consigliassero di inviare qualche reparto di truppa e ciò si po­tesse fare senza pericolo, lo si potrà fare.

« Ma intanto sbarcando come amici degli abi­tanti, parmi miglior partito sbarcare con poca gen­te. E non ci priviamo di forze che, per quanto scarse, sono molto utili in Italia.

« Voglia gradire i miei ossequi e mi credasuo devotissimo

« L. C a d o r n a » .

Tale parere, come si vede, concordava in linea di massima anche col parere del capo di stato mag­giore della marina.

Contemporaneamente ai preparativi militari che la marina svolgeva, la Consulta preparava diplo­maticamente l ’ azione.

Il governo greco in seguito alla nostra nota uf­ficiosa ci assicurava che Valona non sarebbe stala toccata, ma contemporaneamente Venizelos, pur di­chiarando che avrebbe consigliate le bande epirote ad astenersi da qualsiasi azione, non se ne ren­deva garante e incitava 1’ Italia ad occupare Va­lona per impedire agli epiroti di agire di loro ini­ziativa.

Da (Berlino venne nel modo più rapido ed ina­spettato il consenso, e a Vienna il conte Berchtold dichiarava al nostro ambasciatore Duca di Avarna che l’ Austria accettava le nostre decisioni di fare valere le deliberazioni del patto di Londra.

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Tale premurosa affermazione dell’ Austria era in verità non molto in accordo con la tenace pro­paganda a noi sfavorevole che gli agenti austriaci continuavano a svolgere in Albania.

A prova di tale asserzione riproduciamo un in­teressante rapporto che il comandante del Misu­rata, sempre stazionario a Durazzo, inviava al mi­nistero della marina in data 24 ottobre. Tale rap­porto con acuta percezione descrive bene la situa­zione in Albania e le difficolà che la marina si preparava ad affrontare e che seppe superare, pure con scarsi mezzi, mercè l ’ energia ed il tatto dei comandanti e lo spirito di disciplina degli equi­paggi-

Così riferiva il capitano di corvetta Ponza di S. Martino :

« All’ E. Y. è noto che partito il principe di Wied fu dapprima instaurato a Durazzo un go­verno provvisorio il cui capo era Mustafà Androki nota persona di Siak, il quale aveva avuto parte preminente nell’ ultima insurrezione e che, non li­gio alla politica giovane turca, era piuttosto pro­penso per l ’assoluta indipendenza dell’Albania.

« Incidentalmente credo opportuno notare, per la completa intelligenza dei fatti che si stanno svol­gendo, che questo Mustafà Androki sembra aver stretto e continuato a mantenere ancora segrete intelligenze col governo austriaco, il quale dopo il naufragio dei propri piani basati sull’ appoggio dei cosidetti nazionalisti e dell’ elemento cattolico

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del Nord ha completamente mutato di indirizzo po­litico ed ora tenta in ogni modo, con lusinghe e denaro, di accaparrarsi l ’ elemento mussulmano.

«Giova altresì rammentare che Mustafà An­droidi per quanto vittorioso non è che il capo della minoranza mussulmana più incivilita del litorale di Durazzo, ma le popolazioni più numerose e fa­natiche dell’ interno, non immemori dei successi ottenuti e delle speciali concessioni largite dal Sul­tano Abdul Hamid, obbediscono invece ciecamente al Mufti di Tirana Mussa Kiasim, persona intolle­rante e convinto sostenitore della causa giovane turca.

« Ad Essad Pascià, reduce dall’ immeritato esi­lio, assetato di vendetta, occorreva, per riconqui­stare il potere perduto, una forza su cui appog­giarsi, e questa forza trovò negli armati numerosi di cui dispone il Mufti di Tirana; ma per ottenere il comando fu obbligato ad accettare le condizioni che gli si imponevano e cioè:

« 1) adozione della bandiera turca;«2) preparazione per l ’ avvento di Buran

Eddin, figlio del sultano Abdul Hamid.«N oti V. E., un principe della famiglia im­

periale, figlio del sultano a cui questi albanesi sono particolarmente riconoscenti.

« Ben comprendendo le gravi difficoltà della propria situazione, Essad Pascià più volte espose le sue vedute ai diplomatici che qui rappresentano il R. Governo.

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« Egli soprattutto cercava di ottenere i mezzi per rafforzare la propria posizione personale o per ostacolare per quanto è possibile il rafforzarsi del potere giovane turco.

« Così avendo saputo che sarebbe giunta a Du­razzo una commissione inviata da Costantinopoli per prendere accordi sull’avvento al trono del prin­cipe Buran Eddin, segretamente ne informò la nostra legazione pregando che tale commissione non fosse lasciata partire dall’ Italia.

« Conscia dei gravi danni che tale arrivo avreb­be potuto arrecare al nostro interesse, la R. Lega­zione annuì al desiderio di Essad, ma purtroppo per cause che non mi sono note, la Commissione giunse invece, e giunse appunto in un momento affatto inopportuno.

« Ciò premesso, riferirò a V. E. che ieri mat­tina coi giornali italiani giunti a bordo col piro­scafo e per viva voce dei pochi passeggeri arrivati, si sparse la notizia in città che truppe italiane erano in procinto di occupare Valona; alcuni da­vano già per avvenuta l ’ occupazione.

« Il fermento in città fu subito grandissimo, e poiché da Valona, per via telegrafica diretta, era giunto pocanzi al Senato un dispaccio di quelle autorità locali chiedenti istruzioni circa una do­manda del console Lori, intesa ad ottenere l ’ auto­rizzazione di costruire alcune baracche ospedali sulla spiaggia di Valona, destinate ai profughi epi- roti, collegando questa domanda colle notizie giun­

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te, negli indigeni si tradusse in realtà il sospetto di un nostro improvviso colpo alla integrità al­banese.

« La presenza della commissione giovane turca lasciata liberamente giungere e composta da Hus­sein Fuad Pascià Pristina e da tre ufficiali turchi in attività di servizio (di cui uno capo della gendar­meria di Costantinopoli), la diffidenza che l ’ ele­mento fanatico ha verso Essad Pascià nei riguardi dei suoi rapporti con noi, la domanda fatta dal R. Console di Valona, le notizie esplicite dei gior­nali, misero Essad Pascià a dura prova.

« E con sincero rammarico egli notificò espli­citamente che non solo non avrebbe potuto garan­tire la vita dei membri della legazione e defila colonia italiana, se la notizia della nostra occupa­zione fosse stata conservata, ma che avrebbe do­vuto mettersi egli stesso a capo delle truppe che avrebbero marciato subito contro noi invasori.

« Frattanto il Senato, consigliato dagli elementi preponderanti mussulmani (Mussa Kiasim) e au­striacanti (Mustafà Androki) aveva deliberato di porre dieci cannoni sulle alture della città.

« Con calma encomiabile il cav. Piacentini, no­stro r. console ed incaricato d’ affari ed il cav. Galli della commissione di controllo, riuscirono ad ac­quietare gli animi avvalendosi della loro personale influenza ed assicurando che ancora notizie uffi­ciali in proposito a loro non confermavano le di­cerie corse, e assicurando inoltre che nel caso l ’ oc­

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cupazione italiana non avrebbe rappresentato una menomazione dell’ integrità albanese, ina piutto­sto sarebbe stato un provvedimento di difesa con­tro una non imiprobabile minaccia greca a Valona stessa.

«Così la giornata passò tranquilla, come tran­quilla è stata la giornata di oggi; ma, ove avve­nisse la conferma delle voci corse sulla nostra oc­cupazione, è assai facile che avverrebbero gravi disordini e che assai pericolosa potrebbe essere la situazione della R. Legazione e della colonia ita­liana. Ciò perchè un governo responsabile non esiste effettivamente, i capi che guidano il movi­mento sono alla loro volta schiavi dei gregari, e Fanonimo impera.

«Frattanto la commissione giovane-turca non poteva trovare un momento più favorevole per con­cludere il proprio mandato. L ’avvento del principe tìuran Eddin è ora facilissimo e, poiché esso si compie sotto l ’ egida giovane-turca, che ha per capo saldo la inviolabilità dei paesi dipendenti per re­ligione e per parentela dalla Turchia, le notizie propalate dai giornali italiani hanno rafforzato i vincoli fra i vari partiti locali.

«Meglio per noi sarebbe stato se questa com­missione non fosse venuta!

« Dopo aver esposto questi fatti mi permetta V. E. di esporre un mio personale giudizio formato dalla conoscenza che dopo un anno di permanenza in queste acque ho potuto acquistare.

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cc Al momento attuale una nostra occupazione effettiva provocherebbe una nuova insurrezione, e noi, andati per apportare l ’ ordine, ci troveremmo di fronte ad una ‘ popolazione agguerrita, ben ar­mata e numerosa.

cc Quindicimila uomini pronti alle armi, ed altri in seguito; otto moderni cannoni da montagna Sko­da; alcuni cannoni da campagna; munizioni abbon­danti ; ufficiali turchi provetti sono pronti per com­batterci: a noi quindi per mantenere alto il pre­stigio delle armi occorrerebbe una spedizione mi­litare di non lieve entità.

cc Limitarci ad una occupazione delle coste è una impresa ardua: ne è esempio la sorte toccata al principe di Wied; occupare 1’ interno è com­pito quanto mai difficile e non lontani ricordi di spedizioni turche, terminate in veri disastri, lo hanno insegnato. Gli uomini di qui nascono guer­rieri; fucili non mancano, loro, ai molti che esi­stevano in paese noi stessi ne abbiamo aggiunti10.000 ed alcuni milioni di cartuccie; la popola­zione non ha necessità di vita civile, ai suoi pochi bisogni basta il paese; il blocco della costa è quindi un’arma spuntata : in definitiva, l ’ impresa sarebbe a mio giudizio assai più grave di quanto general­mente non si creda.

cc Essad Pascià è in fondo all’ animo suo sem­pre legato a noi; intimamente egli è tale, pubbli­camente non deve mostrarlo, pena la sua popola­rità e forse anche la vita. Non sarebbe quindi inop­

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portuno per i nostri immediati interessi rafforzare il suo potere personale (gli austriaci gli offrirono800.000 franchi che rifiutò), cercare di emanciparlo dalla stretta giovane-turca che lo avvinghia e le­garlo a noi sino a che, terminato l ’ attuale con­flitto, non venga colle altre questioni risolta la questione albanese.

« Certamente ora la potenza giovane-turca in questo paese è notevole, e la preponderanza in Al­bania di questo partito è tra gli altri immediati intenti della politica austro-tedesca, che forse se ne vuole giovare per creare imbarazzi alla Serbia ed a noi.

« La situazione nei nostri riguardi non è così facile come poteva apparire giorni sono, poiché abbiamo forse un solo amico, Essad Pascià, e la esperienza di ieri ha chiaramente palesato quanto fortemente influisca su di lui il potere di elementi ostili a noi.

« Il capitano di corvetta comandante « f . t o P. Di S. M a r t in o » .

Le difficoltà diplomatiche che avrebbe potuto in­contrare l ’ occupazione italiana erano superate e anche la Russia, unica tra le potenze che aveva in un primo tempo accolto poco benevolmente le no­stre intenzioni, perchè sempre premurosa e gelosa degli interessi slavi in Adriatico, aveva finito per accordare il suo consenso, in parte forzato dal consiglio della Francia e dell’ Inghilterra, che rite­

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nevano non essere quello il momento più oppor­tuno per inimicarsi l ’ Italia.

Tuttavia la nostra azione si limitò in un primo tempo alla sola occupazione militare di Saseno, ed al controllo delle acque albanesi, mentre a Valona leniva sbarcata una missione sanitaria.

L ’ ammiraglio Patris alzò la sua insegna a (Brin­disi il 25 sulla Dandolo, che era stata aggregata alla divisione speciale, e partì subito per Valona seguito dalla Calabria e da varie siluranti, mentre 1’ Etna attendeva a Brindisi per imbarcare altre compagnie da sbarco che provenivano da Spezia.

Le unità della divisione speciale, alle cui di­pendenze erano anche le RR. NN. Misurata ed Agordat ed alcune squadriglie di siluranti, inizia­rono un servizio di crociera su tutta la costa alba­nese intesa ad impedire contrabbando di armi e soprattutto sbarco di truppe regolari greche o mus­sulmane.

Il 28 ottobre giunse notizia che navi greche ave­vano sbarcato truppe ed occupato S. Quaranta e nel medesimo giorno la Turchia in seguito al noto bombardamento del Goeben contro i porti russi, entrava di fatto in guerra contro le potenze del- 1’ Intesa. Tali avvenimenti fecero ritenere indispen­sabile l ’ affermazione italiana in Albania e il giorno 29 il ministro della marina trasmettetva airammi- raglio Patris il seguente telegramma:

« 30 ottobre. - Sbarco missione sanitaria av­venga palesemente e se occorresse anche con prò-

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lezione forze da sbarco. Occupi isola Saseno inal­berandovi bandiera e sistemandovi artiglieria a difesa ».

Ciò avveniva mentre il ministro degli esteri con una comunicazione ufficiale alle varie potenze con­fermava che l ’ Italia, unica tra le potenze neutrali, era in grado di prendere le misure opportune per il mantenimento dell’ integrità albanese.

Perciò, pur essendo limitata l ’ occupazione ter­ritoriale alla sola isola di Saseno, le acque albanesi divenivano di fatto il campo della nostra sfera di influenza.

Lo sbarco a Saseno viene così descritto nel rap­porto. dell’ ammiraglio Patris in data 30 ottobre :

« La nave Etna che doveva provvedere allo sbarco del personale (tre compagnie del battaglio­ne) e dei materiali (pezzi da 75 mm.) fu mandata ad ancorarsi nella baia di S. Nicolò, con la nave Calabria che, restando pronta sulle macchine nelle vicinanze dell’ isola, poteva agevolare le operazioni di sbarco.

« Mi recai sul luogo, imbarcando sul cacciator­pediniere Dardo, seguito dalla torpediniera Pal- lade per la trasmissione delle comunicazioni con le navi a Valona.

« Lo sbarco si effettuò rapidamente e senza il minimo incidente.

«A lle ore 14 alla mia presenza venne alzata la bandiera nazionale, nella posizione più visibile e alta dell’ isola (quota 310). Ivi subito fu stabi­

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lita la stazione di vedetta che verrà completata con la stazione foto-elettrica che sbarcherà dalla R. N. Eritrea.

« Le truppe da sbarco rimasero attendate nel- F isola, rifornite ed equipaggiate dalla nave Etna che lascio all’ ancoraggio di Saseno.

«In una piccola parte quasi pianeggiante di prato ho fatto sistemare i pezzi da 75 ed in questa vicinanza sarà pure collocata la stazione fotoelet­trica e gli attendamenti del personale. La stazione di vedetta invece si sta situando nella parte più alta dell’isola dove si è alzata la bandiera ».

Il 1° novembre giunse da Brindisi la R. N. Pie­monte con un’ altra compagnia da sbarco che tra­sbordò sull’Eriirea, rimasta alla fonda a Saseno come nave appoggio delle forze sbarcate.

Il Dandolo alla fonda a Valona aveva provve­duto allo sbarco della missione sanitaria. Il servi­zio di crociera fu esteso da Valona alle foci del Drin e svolto dalla Calabria, Etna e Piemonte.

Il Misurata stazionava sempre a Durazzo a pro­tezione della nostra legazione, mentre VAgordat veniva richiamato in Italia ed entrava a fare parte della divisione a cui era stato assegnato. A Du­razzo nei giorni successivi si manifestavano un no­tevole fermento e la possibilità di disordini contro gli italiani colà residenti, e perciò anche 1’ Etna rimase a Durazzo per proteggere i nostri conna­zionali.

A Saseno, intanto, i marinai sbarcati mette­

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vano rapidamente l ’ isola in stato di difesa impian­tandovi una stazione di segnali, una stazione foto- elettrica ed in seguito una stazione radiotelegrafica.

L ’ occupazione di Saseno e la presenza delle no­stre unità non avevano però modificato 1’ irrequieto e turbolento contegno del governo di Durazzo, nel quale i rappresentanti del partito mussulmano in­citati e sostenuti da Costantinopoli e da Vienna fa­cevano del loro meglio per aumentare il disordine già esistente con inevitabili ripercussioni a Valona.

Il giorno 8 novembre l ’ ammiraglio Patris ri­feriva :

« Il ministro Aliotti telegrafa che stante grave situazione colà causata dalla propaganda turca in Albania, Essad passerebbe alla difesa di Durazzo, e che perciò forse gli occorrerebbero artiglieri por l ’ armamento delle sue artiglierie che tiene dislo­cate tra Durazzo e Sikimman. Rispondo che prov­vedere solo dopo che avrò ordini in proposito da codesto ministero. Intanto interesso il comando del Misurata di accertare di quale specie sono le dette artiglierie; questi mi riferisce trattarsi di 4 can­noni da montagna stabiliti a Durazzo e due della stessa specie a Siak».

E il giorno successivo 9, troviamo anche un al­tro rapporto molto sintomatico del contrammira­glio Patris :

«Ricevo comunicazione dal ministro Aliotti che con il piroscafo Città di Rari arriveranno a Valona tre individui : Mustafà Mahut, Suleiman Gelo e Ma-

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riponi; i primi due ex ufficiali di Wied ed il terzo giornalista turco e che, essendo questi pericolosi austriacanti, ha disposto per il loro arresto. Invio perciò sul Città di Bari al suo giungere a Valona un picchetto armato per impedire lo sbarco a terra dei tre individui sospetti. Questi realmente tro- vansi a bordo e sono quindi dichiarati in arresto dal capo della gendarmeria, inviato dal nostro con­sole che aveva istruzioni in proposito.

« Giunge a Valona il trabaccolo di nazionalità montenegrina Buon Pastore, proveniente da Corfù e diretto a S emani e Scutari.

(( Ricevendo riservate notizie che nella serata da terra sono state inviate armi su detto navicello, invio un guardiamarina con armati a visitarlo. Se­questra parecchi fucili. Il console compirà un’in­chiesta al riguardo ».

La necessità di inviare il Dandolo a Venezia per essere immesso in bacino, rese necessario il tra­sbordo dell’ ammiraglio Patris sull’ Etna, mentre 3 Spezia si provvedeva ad armare la Sardegna in so­stituzione del Dandolo.

Il battaglione da sbarco ritornò temporanea­mente a Brindisi, non essendovi la possibilità di alloggiarlo a bordo delle altre unità rimaste in A l­bania e d ’altra parte essendo per il momento non giudicata opportuna l ’ occupazione militare della città di Valona.

La seconda quindicina del mese di novembre passò relativamente tranquilla. Il 3 dicembre si

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ebbe a Roma la storica apertura della Camera ed il presidente del consiglio nel presentare il nuovo ministero pronunciò quel vivace discorso che ebbe vasta ripercussione nell’ opinione pubblica e ma­nifestò la decisa tendenza nazionale all’ interven­to. Particolarmente significativo ed accolto con grande entusiasmo fu il seguente brano del di­scorso :

«Nelle terre e nei mari dell’ antico continente, la cui configurazione politica si va forse trasfor­mando, l ’ Italia ha vitali interessi da tutelare, giu­ste aspirazioni da affermare e sostenere__ una si­tuazione di grande potenza da mantenere intatta non solo, ma che da possibili ingrandimenti di al­tri Stati non sia relativamente diminuita.

cc Non dunque inerte e neghittosa, ma operosa e guardinga; non dunque impotente ma poderosa­mente armata e pronta ad ogni evento, doveva e dovrà essere la neutralità nostra ».

La scomparsa del ministro di S. Giuliano aveva portato al dicastero degli esteri l ’ on. Sonnino, che prima ancora di essere ministro, fin dal 26 set­tembre scriveva dal Romito all’ on. Salandra, a pro­posito di Valona la seguente lungimirante lettera:

« Più ci ripenso e più mi confermo nell’ im­pressione che l ’ occupazione di Saseno e della baia di Valona va fatta subito senza chiedere più per­messo a nessuno, prima specialmente che si de­cida la grande battaglia dell’Aisne in Francia e che la Russia abbia potuto sconquassare di più

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l ’ esercito austriaco. Ora tutti sono sospesi e sono pronti a ingoiare qualunque rospo pur di non spin­gere nuove forze dalla parte dell’ avversario e non accrescersi gli impicci sulle braccia. Quando le cose avessero preso una piega più decisa potrebbe es­sere diverso. Vedi come oggi la Triplice Intesa s’in­goia per due terzi in santa pace persino l’ aboli­zione delle capitolazioni, fatta arbitrariamente dalla Turchia, pur di non spingerla in campo. La cosa fatta avrebbe un enorme vantaggio all’ estero in quanto ci libera dalla trappola albanese e ci dà modo di conciliarci con la Serbia e la Grecia (con che riesce più facile alla Serbia e alla Grecia di conciliarsi con la Bulgaria, e noi potremo lavorar­ci); di prendere il passo sull’Austria nell’ affranca­mento dell’Adriatico senza farne un casus belìi; <* all’ interno col fare una cosa popolare che distrae le menti da tante altre troppo pericolose questioni, dando modo al governo di preparare un’ azione più seria e generale pel marzo; che riempirà le discus­sioni parlamentari per il dicembre; che darà a te personalmente una grande forza politica, e in que­sto momento occorre che il Capo del Governo l ’ ab­bia; che soddisfa tutti i partiti senza distinzione e che prepara una più facile soluzione finale e gene­rale delle questioni estere per noi, in quanto si può sostenere che per gli interessi nostri adriatici si è guadagnata una importante garanzia, onde possiamo meglio intensificare la nostra azione pel Trentino.

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Tu capisci benissimo tutto questo senza che io mi dilunghi. Dunque osa e subito. Scusami questa tiritera ».

E naturalmente appena Sonnino fu al potere accanto all’ on. Salandra, mise in atto le sue vedute.

A tali considerazioni di carattere politico in­terno ed estero si aggiunse la sempre crescente in­certezza della stabilità del governo di Durazzo e della condotta di Essad Pascià a nostro riguardo (vedi documento n. 22) e fu quindi deciso che il nostro interessamento in Albania non fosse limi­tato al controllo delle acque albanesi e alla mis­sione sanitaria a Valona ma, pur tenendo conto delle considerazioni militari di non impegnare colà grandi forze, si procedesse tuttavia ad una vera occupazione militare della città di Valona.

Già da tempo era pronto a Brindisi un corpo di spedizione composto da un reggimento di bersa­glieri che avrebbe dovuto imbarcarsi sui piroscafi Valparaiso e Re Umberto. La R. N. Sardegna era frattanto giunta in Adriatico fin dal 7 dicembre, e su di essa aveva alzata 1’ insegna l ’ ammiraglio Patris, al quale dal ministero degli esteri era stata data la facoltà di agire qualora lo avesse giudi­cato opportuno, in accordo con le nostre autorità diplomatiche.

Il 25 dicembre avvennero improvvisi disordini a Valona ed il R. Console d’ Italia chiese all’ am­miraglio Patris che le forze da sbarco intervenis­sero per ristabilire l ’ ordine. Immediatamente il

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battaglione marinai, che da Brindisi era ritornato con la R. N. Etna, prese terra ed occupò la città.

* * *

Indipendentemente dalla maggiore o minore convenienza militare, l ’ occupazione di Valona, or­mai attesa in Italia da gran parte dell’ opinione pub­blica, si era resa indispensabile anche per ragioni di prestigio. Fu questo il primo decisivo atto verso r intervento e, anche dovendo oggi riconoscere che F impresa albanese ci costò enormi sacrifici, non si può negare l ’ importanza che tale affermazione ebbe nel ’ 14 e (sebbene ciò non fosse allora prevedi­bile) l ’ influenza che in seguito Valona, insieme con Salonicco, ebbe sul fronte balcanico. Come il generale Cadorna aveva chiaramente intuito, il pic­colo contingente di marinai, che il 25 dicembre 1914 prese effettivo possesso delle alture di Va­lona, andò aumentando rapidamente, sì che alla fine della guerra il corpo di spedizione in Albania aveva raggiunto la notevole cifra di 100 mila uo­mini, ai quali durante lunghi 4 anni di guerra la marina potè assicurare regolarmente l ’ enorme quantità di rifornimenti necessari.

Le comunicazioni marittime fra Brindisi e Va­lona furono saldamente tenute, sebbene a costo di sacrifici, dalle nostre forze navali, e contro tale linea si infransero i tentativi ostinati delle forze leggere austriache.

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Il campo trincerato di Valona consentì che dalla rada potessero partire indisturbati i convogli che portarono nelle basi francesi i resti dell’ esercito serbo che, riordinati e riorganizzati, poterono an­cora dare ai generali alleati la disponibilità di 200 mila uomini da mettere in linea sul fronte balca­nico. Valona fu insieme con Salonicco uno dei due capisaldi del fronte balcanico, che arrestò la vitto­riosa discesa degli austro-tedeschi verso il Medi- terraneo, ove contavano di trovare nuova sorgente di vita e di energie.

Le divisioni austriache, germaniche e bulgare, che pur riuscirono a travolgere la Serbia ed il Montenegro, si arrestarono contro il campo trince rato di Valona. Il Re Costantino di Grecia, che non chiedeva di meglio che di lasciare entrare nel suo regno gli austro-tedeschi e schierarsi al loro fianco, fu invece costretto a cedere il potere al par­tito venizelista che portò le divisioni elleniche di Salonicco in linea con quelle delle potenze alleate. Fu sul fronte balcanico che avvenne la prima seria rottura del fronte degli eserciti degli Imperi Cen­trali. Valona ci costò indubbiamente enormi sacri­fici, e non fu per la marina di grande utilità, anzi gravò la marina di enorme peso e responsabilità; tuttavia non si può disconoscere l ’ importanza che essa ebbe nella economia generale della guerra. Seil possesso di Valona non risolse in modo specifico nei nostri riguardi la situazione marittima in Adria­

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tico, diede indubbiamente un grande contributo alia causa comune nella guerra.

Infine non si può disconoscere cbe, se l ’ inizia­tiva di Salandra e Sonnino non avesse portato alla nostra occupazione, tale iniziativa sarebbe inevita­bilmente stata presa nel corso della guerra da qual­che altra potenza, che anche se nostra futura al­leata, alla conclusione della pace avrebbe fatto va­lere tale occupazione in senso non certo a noi be­nevolo.

L ’ occupazione fu tempestiva e fu atto di corag­giosa politica.

Ed ora lasciamo che la narrazione dei primi fatti di questa azione svolta con mezzi della R. Marina, sia descritta dagli stessi uomini che ne furono attori nell’ ormai lontano dicembre 1914.

Dalla relazione ufficiale dell’ ammiraglio Patris, trascriviamo le seguenti pagine:

« Il giorno 15 dicembre 1914 ricevo telegramma con il quale mi si informava che nazione belli­gerante 1 stava per sbarcare in Albania con desti­nazione Scutari ingenti quantità di materiale guer­resco da servire agli albanesi contro attacco Serbia e Montenegro, e mi si ordinava di dislocare oppor­tunamente le navi dipendenti in modo che la loro presenza valesse a rendere eventualmente difficile tale sbarco.

1 Austria.

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« Non potendo avvalermi per tale missione del Piemonte, impegnato per lavori a Saseno, ed avendo il ministero dato alla nave Etna una missione per Venezia, e la Calabria essendo sempre in Siria, non rimaneva che la Sardegna e perciò mi prepa­rai a partire con questa nave recandomi prima a Durazzo per conferire col ministro Aliotti, specie nei riguardi delle controverse visite ai vapori greci.

« Partito il mattino del 16 per Durazzo, vi giungevo nel pomeriggio.

« Nella stessa sera avevo conferito con il mi­nistro ed il successivo 17 venendomi confermato da codesto ministero che il diritto di visita po­teva essere esercitato sulle navi di qualunque na­zionalità, ne informai il prefato ministro.

« Potei quindi intrattenermi lungamente sia con il ministro che con Essad circa l ’ attuale con­dizione dell’Albania.

« Partii la mattina del 19 con la Sardegna per S. Giovanni di Medua dopo aver date le disposi­zioni alla R. N. Etna, che si trovava a [Brindisi, di ritirare il personale che doveva sostituire i richia­mati della classe 1889 per i quali era stato dispo­sto il congedo.

«Giunto a S. Giovanni di Medua scendevo a terra per avere maggiori notizie circa l ’ eventuale sbarco d’ armi ecc. Mi fu assicurato che dall’ agosto (epoca nella quale una silurante austriaca aveva portato fucili e munizioni a Medua) nessun’ altra

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nave nè piroscafo aveva fatto contrabbando di armi. Inoltre in questi ultimi tempi il trasporto di merci a Scutari viene impedito da gente ar­mata, ed anche risalendo la Bojana non è possi­bile eseguire tali trasporti. (Però essendomi queste informazioni state fornite dall’ agente della Società Puglia (descrittomi come austriacante), e dal per­sonale italiano del locale telegrafo ho creduto bene interrogare il tenente di vascello Perricone che feci venire a Medua da Scutari.

« Era mia intenzione recarmi in questa città onde avere colloqui con persone fidate da me per­sonalmente conosciute nella precedente missione, ma 1’ E. V. con telegramma giuntomi la sera del 19 mi comunicava di rinunciare a tale gita av­vertendomi che era in viaggio con una torpediniera il console Galli latore di una urgente ed importante comunicazione da parte del ministro degli affari esteri. Perciò la mattina dopo senz’ altro riparto per Durazzo dove infatti arrivai un’ ora prima che vi giungesse la silurante (che portava a bordo il prefato console) la quale passando a portata di voce proseguì per lo sbarcatoio.

«Attesi tutto il pomeriggio e poiché nessuna comunicazione mi giungeva, inviai il mio aiutante di bandiera dal ministro Aliotti per avere notizie. Seppi così che nella successiva mattina il console Galli sarebbe venuto a bordo; ma quando questi fu a bordo mi disse di non aver avuto incarico for­male per alcuna informazione da parteciparmi;

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tuttavia mi accennò essere stata decisa dal go­verno la occupazione di Valona con circa 6000 uo­mini di truppa del R. Esercito durante la quale le navi della mia divisione avrebbero dovuto, dopo coadiuvato lo sbarco, recarsi a Durazzo pronte a sbarcare gente per la tutela dell’ordine.

«Partii perciò subito per Valona dove giunsi a sera e mi accinsi a riorganizzare il personale da sbarco di cui parte era giunto il giorno prima con VEtna ed una rimanenza era pronta a venire col piroscafo il giorno 23. In seguito alle comunica­zioni ricevute dal ministero degli esteri e agli or­dini di codesto superiore dicastero che disponeva dovessi tenermi al contatto con il R. Console locale per effettuare lo sbarco quando richiesto, dispo­nevo nella giornata del 23 il prelevamento da Sa­seno di parecchio personale a mezzo della R. Nave Piemonte, ed impiego la giornata del 23 nell’ap- prontarlo.

« La mattina del 25 alle ore 7,15 mi perveniva dal R. Console la richiesta urgente dello sbarco di marinai in seguito a disordini verificatisi nella città stessa.

« Senz’ altro ordinavo alle navi dipendenti di sbarcare il battaglione, i 6 cannoni da 75 inni, e le 10 mitragliatrici con tutti i servizi logistici ine­renti.

« In meno di un’ ora lo sbarco veniva effettuato tutto in perfetto ordine senza che si avesse a de­plorare il più piccolo incidente. L ’ avanguardia

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(sottotenente di vascello Parona) composta di 2 plotoni e di una sezione di mitraglieri a passo di corsa f>ercorreva il tratto che intercede tra lo sbar­catoio e la città ed occupava prontamente la im­portantissima posizione di Gusbaba dalla quale si domina completamente la città.

« Le due compagnie (tenenti di vascello ¡Bian- cheri e Calderara) seguivano il comandante di bat­taglione (capitano di fregata Ciano) e senza indu­gio occupavano la città suddividendola per la vi­gilanza in due settori e prendendo stanza nei locali delle scuole italiane, maschili e femminili.

« Pattuglie, opportunamente formate, perlu­stravano subito le vie secondarie della città oc­cupando il telegrafo, gli uffici telefonici comuni­canti con le autorità dei dintorni, le poste, ecc.

«L a compagnia destinata a Cisbarza (tenente di vascello Darbelley) e quella destinata a Asné (tenente di vascello Malusardi), percorrevano ugualmente le vie della città per raggiungere le destinazioni loro assegnate, mentre il reparto che doveva presidiare Kanina (tenente di vascello De Ferrante) assicuratosi che la sua opera non neces­sitava in città, prendeva la via che conduce a Ka­nina e che si biforca dalla via principale prima di entrare nell’ abitato di Valona.

« La nave Piemonte giusta gli ordini dati in precedenza prendeva l ’ ancoraggio di Treporti dal quale si batte la strada conducente ad Asné e Va­lona. Giunta a Treporti avrebbe dovuto inviare

16 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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il reparto (sottotenente di vascello Sordina) desti­nato a Svernizzi per via di terra.

« Il pessimo tempo con pioggia dirotta che du­rava da ¡parecchi giorni aveva reso le strade asso­lutamente impraticabili, e dati i carriaggi da trai­nare e la lunghezza della strada da percorrere dai vari reparti isolati (Asné e Cisbarza), non fu ¡pos­sibile per questi nella sera stessa raggiungere ia loro destinazione; dovettero perciò attendarsi per passare la notte. Il reparto di Kanina giunse sul posto verso la mezzanotte attendando dietro le ro­vine del castello veneziano.

« Il giorno successivo 26, tutti erano a posto e debbo rilevare con vero compiacimento lo slancio l ’ ottima volontà del personale tutto, la vigile at­tenzione dei capi reparti e le direttive saggiamente date dal comando del battaglione e specialmente per il trasporto e l ’ approvvigionamento, che, dati i mezzi che si ¡potevano avere a disposizione, non fu cosa facile. Mancando bestie da soma e da tiro per coadiuvare i marinai a trainare i carretti logi­stici e i retrotreni si dovettero requisire i malan­dati cavalli attaccati alle ¡poche indecenti vetture che fanno servizio tra la città ed il porto. Se non si avessero avuti i 5 cavalli che l ’ E. V. si com­piacque far mettere a mia disposizione dal R. Eser­cito, difficilmente si sarebbero potute dare direttive utili e giuste, e non sarebbe stato possibile con­statare personalmente e sollecitamente se le cose procedevano a dovere.

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« A sbarco avvenuto ritenevo opportuno rivol­gere subito il seguente proclama alla popolazione:

« 1 gravi torbidi che a breve intervallo di tempo succedono in questa regione hanno paralizzato commercio, lavori ed iniziative, mettendo in pe­ricolo vita ed averi degli abitanti. Il Governo d’Italia, vigile custode delle sorti dell9Albania, vuole che la vostra tranquillità messa a dura prova sia assicurata. Invocati dai vostri voti i marinai d’ Italia sbarcano oggi dalle navi a tutela dell’or­dine ed a vostra difesa, f.to Patris ».

« Invitai il R. Console ad apporre anch’egli la sua firma, quindi il proclama veniva affisso nelle vie principali e pubblicato nel giornale locale in italiano ed albanese, producendo la migliore im­pressione e venendo benevolmente commentato dai notabili e dalla popolazione.

«L e truppe del R. Esercito giunsero alle ore 14 del 28 c. m. con i piroscafi Valparaiso e Re Umberto. Presi subito gli accordi con il coman­dante del 10° reggimento bersaglieri e con il co­mandante ¡Belleni capo del convoglio, per lo sbarco che doveva senz’ altro effettuarsi il mattino succes­sivo predisponendo i mezzi occorrenti e cioè oltre a quelli che erano a mia disposizione appartenenti alle navi, anche gli zatteroni dei piroscafi e le loro lancie.

« In ottemperanza intanto agli ordini telegra­fici ricevuti dall’ E. V. il mattino del 29 veniva

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alzata la bandiera italiana sulle posizioni occu­pate dai distaccamenti.

« Nella notte precedente per cura del mutasse- riff Osinan Effendi, ed in seguito ai miei ordini, veniva tolta dal konak la bandiera turca ed al mattino una compagnia di marinai e la gendarme­ria albanese rendevano gli onori alla bandiera ita­liana ed albanese che fra l ’ entusiasmo della popo­lazione venivano alzate in sostituzione della ban­diera turca. Subito gran quantità di bandiere albanesi sventolarono per ogni dove.

«L o sbarco del 10° reggimento bersaglieri av­veniva il mattino del 29; i primi due battaglioni scendevano a terra fra il plauso della popolazione festante che si era tutta raccolta allo sbarcatoio lungo la strada che va a Valona. Si notavano il go­vernatore della città, tutti i notabili, i preti e le associazioni locali italiane ed indigene con rela­tive bandiere.

« Al bivio di Kanina sfilò alla mia presenza e di moltissima folla il battaglione destinato in quella località, mentre il secondo battaglione fece ingresso in città festosamente accolto dalla popolazione plaudente ed, attraversando le vie principali, de­filò davanti al konak ove la gendarmeria albanese presentava le armi.

« Il terzo battaglione proseguiva versa sera per Asné.

« Vista l ’ accoglienza fatta alle truppe del R. Esercito, desiderando ringraziare la popolazione,

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ed anche per togliere i vari significati che subito si davano all’arrivo dei soldati, facevo affiggere il seguente manifesto:

(( Lo sbarco delle truppe del R. Esercito avve­nuto oggi a Valona, conferma sempre più il vivo interesse che il Governo d’Italia ha per il mante­nimento dell’ordine e la prosperità di questa re­gione. L ’ entusiasmo con il quale esse furono ac­colte, e che tanto fu gradito, assicura il felice adempimento della nostra missione, f.to Patris ».

« Ho dato le seguenti direttive per dividere i posti di occupazione fra il R. Esercito e la R. Ma­rina. La decisione fu accettata senza la menoma osservazione dall’ autorità militare.

« Città di Valona: fronte a terra con i distac­camenti di : Asné, Cisbarza, Kanina, Gusbaba (R. Esercito); fronte a mare con i distaccamenti di: Svernizzi, Skalo, Krionerò (batt. R. Marina), Isola di Saseno (batt. R. Marina).

cc Le posizioni furono occupate dal R. Esercito nella notte del 29 o il mattino del 30 sostituendo i reparti della R. Marina che la sera del 30 facevano ritorno a bordo. Ho dato le varie istruzioni e con­segne al comandante superiore delle truppe.

« Le direttive da me seguite furono sempre soggette alle seguenti regole:

1) evitare d’ impressionare la popolazione con una esuberanza di manifestazioni;

2) tenere una condotta che confermi il de­

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siderio di aiutare e non quello di opprimere o sfruttare ;

3) massimo rispetto agli usi, costumi, reli­gioni;

4) non lasciare mai fare dai militari italiani servizi o lavori pubblici che possono essere fatti da albanesi. Riservare all’ italiano la parte diret­tiva o quella operaia intelligente;

5) non lasciarsi mai influenzare dalle piccole questioni locali. Ascoltar molto poco le dicerie nu­merose a carico di persone o di fatti difficilmente controllabili; *

6) essere giusti nei rapporti con gli albanesi, togliere ogni ragione di lamento ma essere altret­tanto fermi in ciò che si vuole;

7) gli impiegati debbono essere assolutamente persone ben accette. Per i pochi in carica nominati dal governo di Durazzo esaminare bene la loro condotta e liberarci subito dei nemici dell’ Italia. Agire d’ accordo con il R. Console. Per i nuovi sebbene la lista sia pronta ed accettata da Essad ho sospeso la nomina fino a tanto che non si ab­biano precisi ragguagli sulla condotta degli iscritti;

8) tutte le cariche pubbliche importanti deb­bono essere rette effettivamente da ufficiale, appa­rentemente da un albanese;

9) esaminare le condanne delle persone at­tualmente in prigione. Rivedere bene le sentenze.I condannati politici, circa 15, meritano di essere esaminati al più presto perche in massima si tratta

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di vendette personali. Questi casi vanno vagliati d’ accordo con il R. Console;

10) l ’ amministrazione ha assoluto bisogno di una organizzazione stabile. Sino ad ora la maggior parte degli introiti andavano a Durazzo; cosa as­surda. Deve Valona ritenersi indipendente da Du­razzo ;

11) censura telegrafica. Esame dei passaporti dei passeggeri. Espulsione o visto d’ entrata in Al­bania ai propagandisti contro l ’ Italia ecc. ;

12) sia negli scritti al pubblico, sia nelle al­locuzioni evitare di citare S. M. il Re tanto più se si tratta di promesse od altro simile;

13) regolare i servizi tutti specialmente quelli derivanti dall’ occupazione e che riflettono le truppe italiane, in modo che ne derivi ottima im­pressione per l ’ ordine, la disciplina e la prontezza ;

14) curare il morale della colonia in modo che non debba essere causa di noie e cattivi esempi ».

Mentre a Valona avveniva lo sbarco delle truppe del R. Esercito, era stato necessario inviare la R. N. Piemonte a Durazzo ove il ministro d ’Ita­lia Aliotti manifestava il timore di disordini in conseguenza dei fatti di Valona, ina la presenza del Piemonte fu sufficiente a mantenere l’ordine ed il governo di Durazzo accettò il fatto compiuto.

La reazione nella diplomazia estera per la no­stra occupazione fu di nessuna importanza. Il go­verno germanico approvò incondizionatamente, La

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stampa austriaca tentò una debole protesta, ma non fu assecondata dagli ambienti governativi che tacquero.

Il blocco delle coste albanesi fu rigorosamente tenuto dalle navi della divisione speciale diminuite però della Calabria.

Questa nave ai primi di dicembre aveva dovuto essere inviata d’urgenza sulle coste della Siria a protezione delle nostre colonie minacciate da moti anticristiani. Tali manifestazioni ostili agli Europei erano una delle conseguenze della proclamazione della guerra santa. Dalle coste della Siria la Cala­bria passò poi a svolgere il servizio di nave stazio­naria in Mar Rosso.

* * *

Il compito affidato alle navi dell’ ammiraglio Patris e in genere a tutte le forze navali che erano dislocate in Adriatico assumeva ormai un vero e proprio aspetto di servizio di guerra.

Dopo pochi giorni dallo scoppio del conflitto europeo l ’Adriatico era divenuto il teatro della lotta tra la flotta austriaca e quella anglo-francese. Ma il caratteristico genere di guerra di blocco e di attrito aveva subito fatto sentire le sue conseguenze anche nei nostri riguardi.

Particolarmente grave era il danno prodotto alla navigazione in Adriatico dal vasto impiego di mine fatto dagli austriaci e dai francesi.

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Le condizioni idrografiche dell’Adriatico in con­seguenza delle correnti rendevano particolarmente pericolosa la costa italiana ove numerosi e continui erano gli avvistamenti di mine alla deriva. Appena avuta notizia dei primi avvistamenti, il ministro della marina dispose subito per l ’ invio di alcune squadriglie di siluranti per eseguire le ricerche e la distruzione delle mine. In un secondo tempo per non sottoporre le siluranti ad un logorìo eccessivo e non distoglierle dai loro normali periodi di eser­citazione e di organizzazione, si provvide ad armare piccole unità, in genere rimorchiatori che furono attrezzati come dragamine.

L ’Adriatico fu diviso in zone destinando 2 dra­gamine a ciascuna zona ed aventi per base i porti di Chioggia, Porto Corsini, Ancona, Ortona, Bar­letta, Brindisi, Otranto.

Nonostante queste precauzioni, il 30 settembre si ebbero a lamentare le prime vittime tra marit­timi italiani intenti alla pesca. Al largo di Rimini un trabaccolo urtò in una mina e affondò con la perdita di numerosi uomini. La responsabilità au­striaca era ben palese come risulta dal seguente promemoria che il capo di stato maggiore aveva preparato per il ministro nell’ottobre 1914 dopo che altre numerose mine tutte austriache furono trovate in Adriatico :

«Eccellenza. - In relazione al telegramma n. 9697 spedito il 1° ottobre dal R. Ambasciatore a Vienna al Ministro degli Esteri in cui viene riferito

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che il ministro Berchtold fa riserva sulla prove­nienza delle mine ricuperate in Adriatico e dichiara ad ogni modo che la Marina I. e R. non usa mine proibite dalla Conferenza dell’Aia, mi affretto ad informare l ’ E. V. che l ’ufficiale incaricato del­l ’esame delle mine sino ad ora trovate informa che esse non rispondono ai requisiti prescritti dalla Conferenza dell’Aia e che debbono, anche quando alla deriva, assolutamente ritenersi come pericolo­sissime alla navigazione. Sarebbe pertanto neces­sario che il console austriaco a Venezia fosse in­vitato ad assistere al loro esame affinchè si con­vincesse de visu del mancato funzionamento del congegno di disattivazione. Riterrei conveniente, a scanso di future contestazioni, documentare il nu­mero di tutte le torpedini rinvenute; perciò, anzi­ché affondarle, sarebbe il caso di disattivarle pro­curando poscia di ricuperare 1’ involucro per eseguire, a suo tempo, una fotografia che ne at­testi il numero complessivo, invero assai rilevante sino ad ora. Il vice-ammiraglio capo di stato mag­giore: f.to Revel».

Contemporaneamente con il seguente tele­gramma in data 8 ottobre al comando in capo di Venezia si sospendeva la partenza dei piroscafi:

« No. 3900 - urgente - precedenza assoluta ;«P er quelle informazioni e per quelle disposi­

zioni che riterrà del caso comunico aver tempora­neamente disposto: 1) sia sospesa la navigazione linee sovvenzionate che approdano lilorare a. u*

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salvo linea Venezia-Trieste per la quale V. E. vorrà disporre speciale vigilanza; 2) facciano capo a Brindisi le linee dell’Adriatico per l ’Egitto, Dar­danelli, Asia Minore nonché linee Genova-Venezia della Marittima italiana e linea C. dell’ Epiro della Puglia; 3) siano sospese le linee adriatiche di con­centramento. f.to Viale».

La R. Marina, sempre in ottobre, si assunse il servizio di rendere più sicura la navigazione dei piroscafi sovvenzionati sistemando subito a bordo piccoli cannoni o mitragliere da 25 a due canne armate dal personale militare con le quali si po­tevano distruggere le mine.

E così le comunicazioni marittime lungo le co­ste italiane dell’Adriatico furono garantite e rese relativamente sicure.

Andò tuttavia perduto durante la neutralità il piroscafo Varese e l ’ unico superstite non potè dare elementi tali da contestare ciò che le autorità na­vali austriache avevano, asserito e che cioè il p i­roscafo era affondato mentre passava in prossimità di Pola a meno di 6 miglia dalla costa, sulla linea di sbarramento (documento 23).

Le conseguenze della guerra ebbero anche ine­vitabile ripercussione economica in tutti i porti del­l ’Adriatico. Enormemente danneggiata fu la popo­lazione dei piccoli centri, il cui ceto marittimo era in gran parte dedito alla pesca. Le autorità marit­time italiane avevano dovuto limitare la pesca alle acque territoriali, nelle sole ore diurne, per evi­

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tare che altri pescherecci finissero sulle mine au­striache.

Anche i rifornimenti essenziali e le industrie ne risentirono particolarmente, perchè gli armatori della marina libera non lasciarono avventurare le loro navi in Adriatico.

A rendere ancora più precaria e difficile la si­tuazione economica del ceto marittimo italiano e particolarmente di quello che viveva del piccolo cabotaggio, vi furono vari provvedimenti austriaci che limitarono la navigazione anche delle nostre unità mercantili. Fu proibita la navigazione lungo le coste dalmate e l ’ entrata in porti tra l’ isola Mor- ter e Spalato (9 ottobre) e poco dopo fu concesso l ’ atterraggio ai soli porti di Trieste, Fiume e Gra­vosa, ove le autorità marittime austriache prov­vedevano a far proseguire sotto scorta verso gli altri ¡porti i bastimenti neutrali. Per ultimo l ’Au­stria dichiarò il blocco alle coste montenegrine il cui traffico col litorale italiano era di una certa entità.

La dichiarazione di blocco fatta dall’Austria in data 10 agosto fu notificata il 14 agosto dal mini­stero della marina a tutte le capitanerie di porto.

Il mantenimento del blocco da parte dell’Au­stria non fu però di lunga durata. Le unità leggere della flotta a. u. dislocate a Cattare iniziarono lungo le coste montenegrine un periodo di crociera per il mantenimento effettivo di tale blocco. Nei primi giorni di tali crociere, però, lo Zenta, vec-

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eh io incrociatore leggero a. u. fu sorpreso dal grosso delle forze navali anglo-francesi chiamate in Adriatico dal Montenegro. La piccola unità fu affondata dopo aver sostenuto con ostinato valore una lotta ineguale che valse tuttavia a dare tempo ad un cacciatorpediniere (Ulan) che era in cro­ciera con lo Zenta di mettersi in salvo a Cattaro.

Tale sfortunato scontro fece comprendere al­l’Austria la difficoltà del blocco effettivo. Contem­poraneamente il nostro ambasciatore a Vienna for­mulava al governo imperiale la richiesta di togliere il blocco.

Dopo soli 6 giorni la dichiarazione di blocco fu infatti annullata; tuttavia l’Austria notificò che le acque territoriali montenegrine dovevano con­siderarsi zona di guerra e quindi non poteva ga­rantire la sicurezza per le navi italiane. In realtà la costa montenegrina era divenuta notevolmente pericolosa per gli sbarramenti di mine che gli Au­striaci vi collocarono.

Le conseguenze della guerra non si fecero però sentire solo in Adriatico, ma ebbero ripercussione su tutto il nostro traffico marittimo in conseguenza della dichiarazione di blocco inglese contro gli Imperi Centrali espresso neWOrder in Council del 29 ottobre 1914 e che coinvolse tutti i neutrali e che particolarmente nel Mediterraneo colpì la no­stra marina mercantile per la severità con cui le forze anglo-francesi di pattuglia ,a Gibilterra lo applicarono verso le nostre unità da commercio.

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Forse a tale severità non era estranea la spe­ranza di indurci più presto a entrare in lotta con­tro gli Imperi Centrali, ma i ¡provvedimenti ac­cennati ebbero invece il risultato di suscitare vivo malcontento nell’ opinione pubblica italiana contro misure restrittive che, anziché danneggiare i bel­ligeranti, danneggiavano tutto il popolo italiano che subiva le conseguenze di un vero e proprio blocco.

I ¡provvedimenti furono in seguito mitigati per le energiche proteste dei governi italiano e ame­ricano.

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Capitolo VI.

LA FLOTTA ITALIANA E LA FLOTTA AUSTRIACA NEL 1914.

S o m m a r i o :

L’ influenza della Triplice alleanza sullo sviluppo della flotta italiana. — La minaccia ad Oriente. — Il rinnovamento del navi­glio dopo la guerra libica. — Le navi di linea. -— Gli incrociatori — Il naviglio sottile. — Lo sviluppo della flotta austro-ungarica dopo il 1900. — Le costruzioni austriache e quelle italiane nel decennio 1900-1910. — Le caratteristiche delle navi di linea austro- ungariche. — Il programma del 1910. — Gli esploratori. — I cac­ciatorpediniere. — I sommergibili e l ’aviazione.

JPrima di riprendere la narrazione, che si chiude nel capitolo precedente con gli avvenimenti del 1914 e con l ’ attività svolta dalla marina in tale anno, ci sembra conveniente dare un rapido e sin­tetico sguardo retrospettivo allo sviluppo delle due marine, la italiana e l ’ austriaca, che dopo circa mezzo secolo il destino si preparava a mettere nuo­vamente di fronte.

L ’ episodio poco fortunato dello scontro tra la flotta italiana ed austriaca che chiuse la brevissima

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guerra marittima del 1866 in Adriatico, aveva as­sunto nell’ opinione pubblica italiana un’ impor­tanza che non meritava.

La nostra superiorità navale sull’ avversario era rimasta pressoché invariata; quest’ ultimo, non avendo infatti ottenuto vantaggi tali da modificare la situazione, aveva assunto un atteggiamento di­fensivo in pieno contrasto con il brillante inizio dell’azione, rifugiandosi sotto la protezione dei cannoni dei forti.

Con la sensibilità e 1’ irrequietezza nervosa giu­stificabili e comprensibili allora, in una nazione troppo giovane e che non aveva ancora conseguita l ’unità morale, gli italiani si erano suggestionati al punto da trasformare un episodio guerresco di non grande valore in una sciagura nazionale. E l ’ avversario, sorpreso in un primo tempo da que­sta vittoria che noi stessi gli avevamo attribuito, seppe abilmente sfruttare questo stato di cose.

Oggi che la grande guerra nei lunghi e penosi quattro anni di lotta ci ha mostrato ben altre scia­gure, ben altri errori e ben più gravi colpi subiti da tutte indistintamente le nazioni in lotta in terra e in mare, possiamo dire che la storia, se non ha dimenticato, ha ridato infine il giusto valore a tale scontro e le navi della ex flotta austriaca, oggi in-, corporate come preda di guerra nella nostra mari­na, con i loro nomi a noi famigliari, hanno cancel­lato dalla nostra memoria quell’ altro nome su cui le passate generazioni si perdettero a scrivere fiumi

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d’ inchiostro, ma che le nuove generazioni potran­no giustamente ignorare, perchè oggi tale nome non dice più nulla.

Dopo la guerra del ’ 66 la marina austriaca, quasi timorosa della stessa improvvisa ed inaspet­tata fama che la leggenda le aveva creato, aveva ripreso il suo modesto posto tra le marine europee, limitandosi al compito della difesa costiera della breve frontiera marittima della monarchia, la cui politica continentale poco si occupava di problemi navali.

La marina italiana, a sua volta, dopo un pe­riodo indispensabile di ricostruzione (che la flotta del ’ 66, formata dall’unione delle varie marine re­gionali, non poteva chiamarsi ancora una vera e propria marina nazionale) rivolgeva la sua attività ed il suo sviluppo verso obbiettivi più preoccu­panti e minacciosi di quanto non fosse per il mo­mento l ’Adriatico.

L ’occupazione di Tunisi ci gettò decisamente nelle braccia degli imperi centrali e da quel pe­riodo fino alla vigilia della guerra italo-turca lo sviluppo delle forze navali, che la scarsità dei mezzi finanziari non ci consentì di sviluppare in pro­porzione a tutti gli obbiettivi militari che potevano presentarsi, subì naturalmente le conseguenze del­l ’ orientamento della nostra politica.

Il bacino occidentale del Mediterraneo sem­brava presentarsi come il teatro più probabile di azione per la nostra guerra marittima e le condi­

17 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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zioni di inferiorità sia geografica sia economica, in cui ci trovavamo rispetto alla Francia divenuta minacciosa verso di noi, ci indussero a dedicare tutte le nostre scarse risorse ad organizzare il si­stema difensivo verso occidente, trascurando per necessità di cose l ’Adriatico ove ¡per il momento la combinazione politica della Triplice Alleanza ci dava una relativa sicurezza. Questa sicurezza com­pensava però solo in parte la penosa situazione morale, che avevamo dovuto subire, accettando ta­citamente di lasciare in tale mare la mano libera all’Austria, che ne approfittava per tentare di sof­focare ogni velleità di irredentismo nelle iprovincie italiane a lei soggette e per affermare il suo incon­trastato dominio. Basterà ricordare che per mante­nere un’atmosfera di buoni rapporti con i nostri vicini orientali 1’ Italia rinunziò a mostrare nor­malmente la sua bandiera da guerra sulla sponda orientale dell’Adriatico, nè d’altra parte si sarebbe potuto fare altrimnti in momenti così difficili per il rafforzamento interno ed esterno della patria.

Naturalmente anche la costruzione del nostro naviglio subì 1’ influenza delle possibili necessità di impiego e dei problemi strategici che derivavano dal considerare il Mediterraneo occidentale come principale bacino per le nostre eventuali attività guerresche.

Tenuto conto che difficilmente avremmo po­tuto raggiungere il livello di potenza della flotta francese e sperare di ottenere di conseguenza con­

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tro di essa il dominio, del mare, dovemmo limitarelo studio dei nostri compiti a quello di contrastarlo all’ avversario, avendo come giusta direttiva nelle costruzioni navali quella di creare unità dotate in linea di massima di velocità ed autonomia supe­riori a quelle francesi.

Tali vantaggi avrebbero cosi consentito alle no­stre squadre di accettare o rifiutare 1’ incontro col nemico lasciando a noi la scelta del momento.

Questo era dunque il concetto informativo delle nostre costruzioni, finché il nemico probabile fu rappresentato dalla marina francese di noi molto più ricca di navi e di mezzi.

La particolare cura dedicata allo studio dei tipi di navi più adatte per noi per operare nello scac­chiere occidentale diede realmente buoni risultati, sì che al principio del secolo XX la marina italiana poteva realmente rappresentare, sia per il com­plesso ben organizzato delle forze navali, sia per gli apprestamenti delle basi e 1’ insieme della di­fesa del fronte marittimo, un avversario abbastanza temibile per la Francia.

Questa cura rivolta a fronteggiare la minaccia che veniva da occidente, aveva fatto trascurare i problemi di guerra in caso di conflitto con l ’Au­stria. Ma l ’ orizzonte che ad oriente fino al 1900 era sembrato sereno, cominciò anche da tale parte a rannuvolarsi ed a manifestare sintomi tempo­raleschi che andarono aggravandosi con il noto in­cidente di Prevesa.

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Con ritardo, ¡purtroppo, si dovè quindi comin­ciare a rivolgere l ’attenzione al rapido sviluppo che l ’Austria tra il 1900 e il 1910 aveva dato alla sua flotta fino a quell’ epoca ¡poco temibile.

Tale preoccupante situazione dell’ Italia nei riguardi della sua situazione navale non era sfug­gita allo stato maggiore che fin dal 1908 in un pro­memoria presentato alla commissione suprema ’ di difesa prospettava nei seguenti termini la neces­sità di portare l ’ entità delle forze navali rispetto all’Austria nel rapporto da 2 a 1.

« L ’Austria avvalendosi della capacità partico­lare della sua costa alle operazioni per linee co­perte, probabilmente, adotterà una tattica di tem­poreggiamento, in base alla quale le sue unità da battaglia saranno mantenute, in stato ¡potenziale, lungo i sorgitori dalmati, mirando col naviglio leggero e con le siluranti, a minacciare, offendere e stancare le forze avversarie ed eventualmente a perturbare ed interrompere le linee di rifornimento della nostra flotta. Tutto ciò in attesa di potere poi, al momento opportuno, se le condizioni della guerra lo permetteranno, far uscire al largo le unità maggiori per ingaggiare con le nostre una vera e propria battaglia navale di effetti risolutivi.

« Una guerra svolgentesi nelle circostanze ora dette, pare, abbia molta rassomiglianza con quelle

1 Relazione alla commissione suprejna per la difesa dello Stato sulla preparazione delle forze marittime nazionali (1908).

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operazioni che forze navali bloccanti debbono ese­guire contro forze navali bloccate; operazioni le quali, a partire dalle lotte della secessione ameri­cana, hanno avuto esteso e continuato impiego, tramandando norme e principi di cui bisogna tener conto. In base a siffatti principi sembra che si possa ritenere che una flotta operante al largo sia equipollente ad una flotta che si trovi in acque sicure, quando la prima abbia una potenza doppia di quella della seconda.

« E tale è la formula, cui in atto pare evidente, debba uniformarsi la nostra politica navale; for­mula che assegna al nostro programma un obbiet­tivo ben determinato, preciso e da conseguirsi con metodo organico, e cioè quello di portare anzitutto la potenza delle nostre forze mobili al doppio delle forze dell’ impero austro-ungarico.

«E si noti che tale rapporto di efficienza è più particolarmente richiesto dalle capacità strategiche, e ben differenti, che, principalmente per ragioni di condizioni naturali, presentano le due sponde dell’Adriatico onde non sarebbe possibile ritenerlo suscettibile di venir diminuito, anche quando siano stati apportati i necessairi miglioramenti alle nostre basi navali, le quali, conviene riconoscerlo, avranno sempre, nella lotta, una funzione importante, ma indiretta ».

Le parole dello stato maggiore erano però ri­maste Vox clamantis in daeserto, perchè le ragioni di politica generale precedentemente accennate

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non ci consentivano di sviluppare la marina solo nella previsione di conflitto con l ’Austria; a ren­dere inoltre anche meno realizzabile tale pro­gramma contribuirono negli anni successivi al 1908 le ancora più scarse disponibilità finanziarie ag­gravate dalle spese sostenute durante la guerra ita- lo-turca.

In considerazione della rinnovata alleanza con l ’Austria nel 1913 il nostro programma subì un’ ul­teriore riduzione, che ci avrebbe consentito di avere rispetto all’Austria una leggera superiorità rappresentata dal rapporto 1 a 0,8, e rispetto alla Francia invece il rapporto sarebbe stato di 1 (Ita­lia) a 1,8 (Francia).

Tale programma nel 1914 era però solamente all’inizio. Lo scoppio del conflitto sorprese la no­stra marina in un periodo di ricostruzione e di rinnovamento del materiale che si verificava anche nelle altre marine mediterranee, ma forse da noi iniziato con, qualche ritardo provocato dalle neces­sità della guerra libica.

Il radicale rinnovamento nei tipi di navi, di tutte le marine in corso da circa un decennio, po­teva riassumersi nei seguenti elementi principali :

1° Evoluzione della nave da battaglia verso il tipo monocalibro (dreadnought) con la conse­guente svalutazione delle navi corazzate anteriori.

2° Forte sviluppo del naviglio silurante e leg­gero in genere con sensibile aumento della prò-

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porzione numerica di questo rispetto al nucleo principale di navi maggiori e in particolare modo con sensibile aumento di tonnellaggio delle si­luranti.

3° Avvento del sommergibile quantunque an­cora poco sperimentato e sviluppato.

4° Eventuale impiego degli aerei nella guerra navale.

In particolare si deve osservare che il tonnel­laggio della nave di linea rimasto pressoché co­stante per lungo tempo si era circa raddoppiato nell’ultimo decennio.

Le caratteristiche d’ impiego e quindi anche di costruzione dell’ incrociatore leggero si erano net­tamente trasformate, accentuando in modo sensi­bile il rapporto di superiorità nella velocità rispetto alla nave di linea.

Il cacciatorpediniere, il cui tonnellaggio si era mantenuto intorno alle 300-400 tonnellate fino al 1910, tendeva in seguito rapidamente alle 1000 tonnellate ed acquistava le caratteristiche di unità cannoniera oltre che silurante.

La marina italiana, durante la guerra libica, aveva già sperimentato la grande importanza del naviglio silurante d’ alto mare nelle operazioni di guerra sottile, impiegando tale naviglio non più come parte integrante della squadra da battaglia, ma destinandolo anche a compiti nei quali esso operava in modo indipendente ed autonomo.

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Quindi, non appena le disponibilità finanziarie glielo consentirono, lo stato maggiore della marina diede impulso alle costruzioni dei grossi caccia­torpediniere.

Allo scoppio del conflitto però la scarsità nu­merica di grandi siluranti moderne si rese subito manifesta in quanto che il programma di costru­zioni in corso era da poco iniziato.

L ’ esiguità numerica del naviglio sottile rispetto alle grandi navi della nostra marina era del resto una logica conseguenza delle difficoltà economiche già ricordate ed appare ovvio che si fosse prima creduto opportuno di provvedere alla sostituzione delle grandi navi corazzate rappresentanti fino allo scoppio della guerra l ’ esponente della potenza navale di una nazione e tali da potersi effettiva­mente considerare come invulnerabili agli attacchi di forze leggere di superficie. Solamente in un se­condo tempo si potè provvedere al rinnovamento del naviglio silurante più costoso come costo uni­tario per tonnellata e ritenuto meno urgente.

Procediamo ora ad un esame delle nostre forze navali allo scoppio del conflitto europeo comin­ciando dalle navi da battaglia1.

Quantunque non molto sollecita fosse stata la costruzione delle navi da battaglia monocalibre,

1 Riportiamo nell’appéndice 3, per comodità dei lettori, le ca­ratteristiche delle nostre navi unitamente a quelle delle navi della flotta austriaca.

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iniziatasi con 1’ impostazione della Dante Alighieri nel 1909, seguita dal successivo tipo Cavour, già tre navi monocalibre Dante, Cesare, Leonardo, erano in servizio nella primavera del 1914. Una quarta la Cavour era in avanzato allestimento, mentre per le due successive Doria e Duilio, già varate, l ’allestimento era stato da poco iniziato.

Questi tipi di navi da battaglia potevano per molti riguardi considerarsi superiori alle unità cor­rispondenti di altre marine, perchè risultarono ba­stimenti dotati armonicamente di tutte le qualità necessarie alla nave di linea. ¡Pur senza eccedere, si era dato una leggera superiorità alla velocità rispetto alla protezione che era tuttavia buona; l ’ armamento era molto potente; l ’ allestimento era stato molto curato ed ottima era la compartimen­tazione dello scafo che rendeva relativamente si­cure queste unità dai pericoli subacquei.

11 materiale, nonostante le prime ed inevita­bili incertezze, si mostrò ottimo e lo prova il fatto che queste navi, dopo un ventennio, sono tuttora efficienti.

Oltre alle navi monocalibre, il grosso della flotta comprendeva la divisione di corazzate del tipo Elena le due nav/ del tipo Margherita e gli incro­ciatori tipi S. Giorgio e Garibaldi.

Per quanto si riferisce ai tipi Regina Elena ( Regina Elena, Vittorio Emanuele, Roma, Napoli) si deve riconoscere che queste non potevano con­siderarsi come rispondenti alle esigenze di vere e

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proprie navi da battaglia, perchè risentivano di una concezione in parte superata, prima ancora che entrassero in servizio.

I due soli cannoni da 305 non potevano rappre­sentare un armamento sufficiente, malgrado che l ’ armamento secondario fosse composto di ben 12 cannoni da 203.

Queste unità avevano subito in modo partico­lare la influenza della necessità, già spiegata, di dover costruire navi veloci, anche sacrificando al­tre caratteristiche importanti; la loro velocità era in verità notevole, ma nel complesso dovevano nel 1914 ritenersi navi alquanto svalutate, special- mente se paragonate con le corrispondenti unità della flotta austriaca dotate di migliore armamento e protezione.

Anche le due navi del tipo Margherita avevano scarsa protezione e difficilmente avrebbero potuto sopportare l ’ azione di grossi calibri moderni.

Nella classe degli incrociatori corazzati, costi­tuivano una forte e buona divisione le 4 unità (Pisa, Amalfi, S. Giorgio, S. Marco), che non tro­vavano corrispondenti nella flotta austriaca.

Queste 4 navi, ben costruite, veloci, protette e ben armate, erano un compromesso tra la nave di linea e l ’ incrociatore propriamente detto, superiori nel complesso agli incrociatori coetanei delle altre marine, ma non sufficientemente protette per poter essere considerate vere e proprie navi da batta­glia, ed erano più adatte a combattere e a svol­

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gere rapide azioni d’ incontro, in un vasto bacino d’ operazioni, che a sostenere l ’urto deciso e pro­lungato di una divisione di corazzate.

Per ultimo ricordiamo i tre incrociatori coraz­zati antiquati della classe Garibaldi, ( Garibaldi, Ferruccio, Varese), che, pure essendo ancora in buona efficienza potevano essere impiegati sola­mente in compiti di secondaria importanza.

È inutile prendere in considerazione le coraz­zate e gli incrociatori più vecchi delle classi Fili­berto (2 unità), Sardegna (3 unità), Pisani (2 uni­tà), perchè tali navi non potevano più figurare in una forza navale moderna.

Passiamo ora ad esaminare l ’ entità e le carat­teristiche del nostro naviglio leggero e silurante che era effettivamente pronto e già in servizio nel­l ’ agosto 1914.

La costruzione del tipo di unità rappresentato dall’ incrociatore leggero non era stata da noi presa in considerazione sfopratutto perchè anche nella marina francese non si era dato sviluppo a tale lipo di nave; ma, quando l ’Austria prese 1’ ini­ziativa di costruire 4 unità del tipo Spaun, anche noi dovemmo provvedere a contrapporre un tipo simile. Ciò però non avvenne in maniera del tutto adeguata, giacché nel 1914 non disponevamo che del Quarto e delle due unità Bixio e Marsala, de­rivanti dal Quarto, ma non certo di quello migliori.

Queste tre navi rappresentavano, è vero, un gruppo di unità veloci ed abbastanza armate, par­

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ticolarmente adatte iper i compiti loro assegnati nel Mediterraneo, ma il loro numero era insufficiente per poter contrapporsi ai 4 esploratori austriaci del tipo Spaun.

Come vedremo in seguito, questa deficienza di esploratori si fece sentire in modo particolare du­rante la guerra e ci costrinse a richiedere che unità leggere alleate fossero aggregate alle nostre forze navali.

Avevamo inoltre in servizio l ’ incrociatore Li­bia progettato e costruito in Italia nel 1910 sulla copia dei ben noti incrociatori turchi Hamidié, con criteri non più moderni e destinato ad una marina minore avente compiti e necessità guerresche dif­ferenti da quelli richiesti alle nostre unità. La Li­bia era stata incorporata nella nostra marinai come preda di guerra durante il conflitto con la Turchia e, pur essendo un’ ottima nave da crociera, non po­teva considerarsi come un esploratore per la sua scarsa velocità di sole 22 miglia nominali.

Infine era previsto, fin dal tempo di pace, che alcuni tra i migliori piroscafi delle Ferrovie dello Stato del tipo Città di Siracusa, aventi un tonnel­laggio di circa 3.000 tonnellate e dotati di una di­screta velocità (20-22 miglia), in caso di guerra ve­nissero armati come incrociatori ausiliari.

L ’ armamento era già pronto nei RR. Arsenali e consisteva in 2 o 4 cannoni da 120 mm., i cui basamenti erano già sistemati a bordo.

In conseguenza dello scarso numero di incro­

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ciatori leggeri, si dovette ricorrere a queste unità, che nei primi tempi della guerra furono impiegate come veri e propri esploratori, mentre invece per la scarsa velocità avrebbero dovuto essere adibiti solo a servizi secondari di blocco o di crociera (ser­vizi che competono agli incrociatori ausiliari) e che erano stati anche logicamente previsti in caso di guerra tra le due triplici. (Vedi accordo navale ri­portato nel capitolo IV).

Era evidente che tali unità non avrebbero mai potuto contrastare con successo le scorrerie degli incrociatori leggeri austriaci dotati di velocità molto elevata : tuttavia, in mancanza di meglio, fu stabi­lito che, appena gli incrociatori ausiliari avessero ultimata la sistemazione delle artiglierie, fossero riuniti in un gruppo per far servizio con i rima­nenti incrociatori leggeri; così fu costituito il pri­mo gruppo esploratori ( Città di Palermo, Città di Siracusa, Città di Catania, Città di Messina).

Circa la situazione del naviglio silurante, si de­ve dire che un deciso impulso allo sviluppo di un tale tipo di naviglio era cominciato nel 1913 dopo che l ’ ammiraglio Thaon di Revel aveva assunto la carica di capo di S. M. della marina.

Le numerose siluranti, con cui la marina ita­liana svolse le operazioni navali della guerra li­bica, erano ormai invecchiate non tanto per il logoramento del materiale, quanto per l ’ evoluzione rapida nei tipi del naviglio sottile avvenuta verso il 1910.

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Come già si è detto precedentemente, il caccia­torpediniere cominciava a sostituire la torpedinie­ra come silurante di squadra e rivelava la spiccata tendenza a diventare unità cannoniera destinata ad agire per la guerriglia e per le rapide azioni di sorpresa.

Il piccolo, incrociatore ed il cacciatorpediniere tendevano a fondersi in un tipo unico di unità da guerra veloce, maneggevole, destinata ad operare oltre che col siluro anche col cannone, special- mente nei bacini limitati, come quello del Medi- terraneo e più ancora dell’Adriatico.

In molte marine il calibro delle artiglierie dei cacciatorpediniere era infatti già arrivato ad egua­gliare quello degli incrociatori leggeri.

La costruzione dei moderni cc. tt. superiori alle 500 tonnellate era stata iniziata in Italia nel 1910 con il primo gruppo di 4 unità tipo Audace di Orlando ed i 6 tipo Indomito di Pattison.

Le unità di questo gruppo di moderni oc. tt. di alta velocità, di ottime qualità marine, inizial­mente armati con un cannone da 120 in caccia e 4 cannoni da 76 e di cui ancora numerosi esem­plari sono in servizio, si rivelarono ottime siluran­ti, ed erano già tutte pronte e armate in servizio prima che scoppiasse il conflitto.

Le buone prove da loro date consigliarono di riprodurne subito il tipo nella ricostruzione del na­viglio sottile e nel 1913 furono impostati altri otto oc. tt. (classe Abba e Mosto).

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Sempre nel 1913 venivano inoltre messi sullo scalo tre grossi cc. tt. del tipo Poerio da 1000 ton­nellate, destinali a svolgere il compito di piccoli esploratori, ed il cui armamento doveva consistere in cannoni da 102. Queste sarebbero state unità particolarmente preziose per la guerriglia in Adria­tico allo scoppio del conflitto, ma non poterono entrare in servizio che vari mesi dopo l ’ apertura delle ostilità tra 1’ Italia e l ’Austria.

Sempre nel 1914 venne decisa 1’ impostazione di un altro gruppo di tre unità, derivate dai tipi Poerio, ma più grandi, più veloci e più armate. Intendiamo parlare dei tre piccoli esploratori della classe Mirabello.

Queste unità avrebbero dovuto, in origine, es­sere veri e propri incrociatori leggeri di un tonnel­laggio sensibilinente superiore a quello dei tipi Quarto e aggirantesi intorno alle 5000 tonnellate: erano stati progettati per essere contrapposti ad una serie di incrociatori leggeri successiva alla classe Spaun, che la marina austriaca aveva inten­zione di costruire e di cui un esemplare era già stato impostato a Monfalcone.

Sopravvenuta la guerra, l ’Austria ne sospese la costruzione e noi, a nostra volta, anche in conside­razione della scarsità dei fondi, modificammo i piani, riducendoli a proporzioni molto più modeste di grossi cacciatorpediniere o piccoli esploratori, come più piaccia definirli.

Era in realtà un tipo di nave molto ben stu­

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m —

diato e adatto per la guerriglia in Adriatico, suffi­cientemente armato (tale anche da potersi opporre con probabilità di successo agli incrociatori leggeri austriaci, per l ’ armamento) in ogni caso decisa­mente superiore ad un cacciatorpediniere e molto veloce.

Quando queste unità, purtroppo solo nel terzo anno di guerra, poterono far parte delle nostre for­ze navali, ci compensarono in modo sensibile della mancanza di incrociatori leggeri, di cui risentim­mo nella prima fase della guerra, e ci diedero, se non una decisiva prevalenza, almeno una certa su­periorità sulle forze sottili degli avversari. Con la costruzione di tali unità la marina aveva realmente creato un tipo assolutamente nuovo, e che trovava solo qualche corrispondente nelle altre marine.

Oltre al nucleo già descritto di naviglio leggero più moderno ed efficiente, ma che purtroppo nel 1914 era ben lontano dall’ essere completo (solo10 cc. tt. erano effettivamente entrati in servi­zio), vi era la rimanente flotta sottile costruita nel primo decennio del corrente secolo.

Particolarmente ricordiamo le 11 unità del tipo Soldato e le 6 unità del tipo Borea di circa 350 tonnellate, che resero durante la guerra preziosi ser­vigi, e potevano contrapporsi alle similari 13 unità austriache del tipo Ulan.

Anche per le torpediniere era in corso il pro­gramma destinato a provvedere la flotta di un ade­guato numero di siluranti costiere; e dai vari can­

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tieri dell’ industria privata era già stato consegnato alla R. Marina il primo gruppo di 38 torpediniere costiere (le così dette P. /V.), le cui ultime super­stiti di una gloriosa e numerosa famiglia di 75 uni­tà stanno per lasciare oggi, dopo ben vent’ anni di attività, i quadri del naviglio.

Tale lungo stato di servizio costituisce per se stesso il migliore elogio che si possa fare al tipo di nave ed all’ industria italiana che le ha costruite.

Durante la guerra queste piccole siluranti, di sole 130 tonnellate, progettate in origine per sosti­tuire nella difesa ravvicinata delle coste le vec- che torpediniere Shichau, furono impiegate per necessità di cose per l ’ azione offensiva ed ebbero sulle coste nemiche il loro naturale campo di at­tività, sostituendo le vecchie torpediniere di alto mare non più rispondenti alle esigenze del mo­mento e che trovarono invece più utile impiego nelle scorte dei convogli e nel servizio di dragaggio.

Esaminiamo per ultimo le condizioni del nostro naviglio subacqueo nel 1914.

Quantunque la marina italiana fosse stata una delle prime a iniziare gli studi e le esperienze concrete sulle possibilità dell’ arma subacquea, nel primo decennio del ’900 essa non aveva proseguito attivamente tali studi, e la flotta sottomarina era stata piuttosto trascurata, non ostante che molti tra i giovani ufficiali ne avessero intuita 1’ impor­tanza. Lo scarso sviluppo dato al sommergibile non deve tuttavia essere attribuito che parzialmen­

18 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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te all’ incomprensione della sua importanza. Come per il naviglio leggero, aveva putroppo avuto molta influenza sulla costruzione dei sommergibili la scar­sità dei mezzi finanziari, che faceva ritenere non conveniente devolvere le ¡poche somme disponibili per le nuove unità nel costruire un tipo di naviglio non ancora troppo sperimentato in guerra, molto costoso e di cui non si potevano ¡prevedere ancora tutte le ¡possibilità d ’ impiego.

Infine a lasciare in un certo oblio il sommer­gibile aveva contribuito lo speciale svolgimento delle operazioni marittime della guerra libica, che non avevano ¡potuto dare un quadro completo di quello che sia una vera e propria guerra marittima, dato lo scarso contrasto della forza navale avver­saria.

A questa incomprensione dell’ arma subacquea non erano del resto sfuggite nemmeno altre marine ¡più ricche di mezzi della nostra.

Fu solamente nel 1913, allorché l ’ ammiraglio Revel assunse la carica di capo di S. M. della ma­rina che anche in Italia si risolse di dare maggiore sviluppo alla costruzione dei sommergibili.

Nelle sedute del maggio 1913 tenute dalla com­missione suprema per la difesa dello Stato, tra le varie proposte presentate dal capo di S. M. della marina e riportate nei verbali, troviamo che «rac­comanda caldamente la costruzione di commergi- bili, portandoli a 36, da 12 che ne abbiamo, e costruendoli di grande potenza » , e in seguito

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sempre nello stesso verbale : « a riguardo, dei som­mergibili fa presente che la Francia ne ha attual­mente 92, 1’ Italia 12 e l ’Austria 6, dei quali qual­cuno migliore dei nostri. Nel 1915 però la Fran­cia ne avrà 120, 1’ Italia 20 e l ’Austria 11, cosic­ché occorre provvedere a qualche aumento di tali unità ».

Ma naturalmente nel 1914 non era possibile ave­re già attuato il più vasto programma che l ’ammi­raglio Revel caldeggiava, cosicché 1’ Italia dispo­neva nel luglio 1914 (tralasciando di considerare le poche unità del tipo Glauco costruite prima del 1910, di scarsa autonomia, provviste di motori a benzina e che praticamente non potevano essere im­piegate per l ’agguato sulla costa nemica) di sole 8 unità molto piccole con 2 tubi di lancio, un solo periscopio e un dislocamento inferiore alle 250 ton­nellate (tipo Velella).

A queste piccole unità si aggiungevano 2 unità leggermente più grandi con 3 tubi di lancio e pre­cisamente il Pullino e il Ferraris; quest’ultimo pe­rò dava scarso affidamento, perchè provvisto di mo­tori difettosi, ed infatti fece parte solo per poco tempo delle forze subacquee dislocate in Adriatico.

Verso il gennaio del 1915 fu infine acquistato dalla Fiat S. Giorgio il sommergibile Argonauta del tipo Fisalia, già in costruzione presso tale ditta per conto della marina russa.

In totale si poteva fare effettivo assegnamento per operazioni offensive sulle coste nemiche su di

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una flottiglia di sole 13 unità, tutte piccole e con scarso armamento; e tale flottiglia era insufficiente per tenere con continuità il controllo davanti a ciascuna delle numerose basi nemiche ed avere la sicurezza di poter dislocare un sommergibile in costante agguato sulle probabili rotte delle unità nemiche, che fossero eventualmente uscite dai loro punti di rifugio.

La scarsa abitabilità e la poca autonomia dei nostri sommergibili diminuiva inoltre in modo sen­sibile il rendimento totale della flottiglia, per la necessità di cambiare frequentemente le unità in agguato.

Nel ’ 14, in seguito alle pressioni dello stato maggiore, si iniziava la costruzione di unità su­bacquee di maggiore autonomia e potenza, ma di­sgraziatamente ciò non avvenne in tempo tale da consentirci di disporre di esse allo scoppio della guerra (anzi alcune di esse non arrivarono neppure a prestare servizio durante il conflitto).

Nel luglio 1914 erano in costruzione due unità del tipo Pacinotti e 5 unità tipo Micca da 600 ton­nellate.

I lavori furono naturalmente sollecitati il più possibile, specialmente per i primi due.

Presso la Fiat S. Giorgio era in cantiere un’ uni­tà di circa 600 tonnellate ordinata dalla marina ger­manica. Anche per questa si accelerò l ’andamento dei lavori per conto della marina italiana, e quan­

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do nel 1916 essa entrò in servizio, prese il nome di Balilla.

Subito dopo lo scoppio del conflitto fu iniziata la costruzione di 4 unità simili al tipo Pacinottì, un poco ingrandite, ma anche questo gruppo di sommergibili non potè prendervi parte.

Infine si progettò di riprodurre in 21 esemplari, da costruirsi in serie e in modo sollecito, il tipo Veletta, naturalmente migliorato (tipi F), ma solo nel 1916 la prima di queste unità potè entrare in servizio. Nel periodo della neutralità non fu nem­meno possibile tentare di arricchire la troppo esi­gua flottiglia con acquisti all’ estero, perchè natu­ralmente tutto ciò che vi era di disponibile nei cantieri privati era già stato accaparrato dalle ma­rine belligeranti.

Ed ora che abbiamo dato un quadro sintetico delle nostre forze navali più moderne ed efficienti nel 1914 destinale a rappresentare il nucleo di combattimento e quindi a esprimere l ’ effettiva po­tenza della nostra marina, vediamo in contrappo­sto quali erano le forze avversarie.

* * *

Lo sviluppo della marina austriaca nel secolo scorso era stato intimamente legato alla politica della monarchia, che fino al 1900 aveva svolto una attività essenzialmente continentale, considerando

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l ’Adriatico come un bacino nel quale le sue forze potessero rimanere indisturbate, dato che 1’ Italia sembrava ormai rassegnata a disinteressarsene. Il compito della flotta austriaca si limitava perciò ad un’ eventuale protezione delle coste, munite di ot­time difese naturali.

Con la tendenza dell’Austria ad espandersi nei Balcani e con le nuove mire politiche tendenti ad ottenere uno sbocco diretto nel Mediterraneo, an­che la marina austriaca dovè modificare la sua struttura.

Era necessario che la flotta assumesse le carat­teristiche di flotta destinata ad operare sempre in un mare ristretto, ma non per agire soltanto difen­sivamente, bensì anche come strumento di offesa, e le condizioni geografiche per raggiungere tale scopo erano le migliori possibili, data la particolare situazione dell’Austria sul mare.

L ’ impero austro-ungarico, costituito da un ag­gi omer amento politico essenzialmente continenta­le, ricco di materie prime per le industrie, e nel medesimo tempo con un’ economia agricola svilup­pata, privo, di colonie oltremare, senza grandi ne­cessità di traffico marittimo, non aveva necessità di sviluppare il suo potere marittimo come mezzo per mantenersi al livello di potenza militare con le altre maggiori nazioni europee o come strumen­to per una espansione commerciale nel mondo.

E neppure la costruzione di una potente flotta avrebbe potuto avere giustificazione nelle necessità

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di difesa, giacche (come del resto ebbe a dimo­strare ampiamente la stessa guerra) una piccola flotta di unità insidiose ed una buona difesa su­bacquea mobile e fissa erano pressoché sufficienti ad assicurare la quasi invulnerabilità dell’Austria dalla parte del mare.

La costruzione di una grande flotta non pote­va quindi avere che uno scopo offensivo, e poiché questa flotta, come vedremo studiandone le carat­teristiche, era stata costituita essenzialmente per agire nell’Adriatico, risultava ben chiaro che que­ste intenzioni offensive erano in modo specifico di­rette contro l ’unica potenza marittima che avesse, oltre l ’Austria, interessi in Adriatico e cioè l ’ Ita­lia! La flotta austriaca con le sue caratteristiche era già di per sé stessa la migliore prova della poca fiducia che l ’Austria riponeva nella Triplice Alleanza e rivelava anche come essa meditasse di sbarazzarsi dell’ Italia, quando avesse potuto farlo.

Le ultime unità costruite dall’Austria con la concezione derivata dal criterio di assegnare alla flotta un compito di difesa semplicemente passiva erano state le tre navi tipo Monarch, ma come poco più sopra si è detto, al principio del ’ 900 la marina austriaca manifestò nelle nuove costru­zioni la tendenza a modificare tali concetti.

Come per 1* Italia abbiamo tenuto conto, nel quadro d’ insieme, soltanto delle navi maggiori, co­struite dal ’ 900 in poi, così faremo per l ’Austria....

Tra il 1900 e il 1905 in Austria venivano va­

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rate 6 unità, 3 del tipo Habsburg e 3 del tipo Erzherzog.

Nel medesimo periodo di tempo, si ricordi che in Italia erano varate 6 unità, 2 tipo Margherita e 4 tipo Elena.

Confrontando nella tabella, che riportiamo, i dati principali di questi due gruppi coetanei e cor­rispondenti di navi ne trarremo delle interessanti conclusioni :

Tipo Absburg (3 unità) Tipo Margherita (2 unità)Tonn.te 8300 - Velocità Mg. 19 Tonn.te 13000 - Velocità Mg. 19,5 Armamento 3-240 ; 12-152; Armamento 4-305; 4-203; 12-152;Protezione cintura min. 220 Protezione cintura mm. 150

Tipo Erzherzog (3 unità) Tipo Vittorio Emanuele (4 unità)Tonn.te 10600 - Velocità Mg. 20 Tonn.te 12800-Velocità Mg. 21,5 Armamento 4-240 ; 12-190 ; Armamento 2-305 ; 12-203 ;Protezione cintura mm. 210 Protezione cintura mm. 250

A ustria ItaliaTotale ; Totale :

6 unità tonn.te 59700 6 unità tonn.te 76000armate con : armate con :

21 cannoni di grosso calibro 16 cannoni di grosso calibro72 cannoni di medio calibro 80 cannoni di medio calibro

Osserviamo che le nostre navi con un tonnel­laggio superiore rispetto a quelle austriache ave­vano un armamento in cannoni di grosso calibro numericamente inferiore. È vero che questa infe­riorità numerica potrebbe apparire compensata dalla differenza di calibro superiore sulle navi ita­liane, ma in realtà non si può non rilevare il fatto che i cannoni da 240 Skoda delle navi tipo Erzher­zog, che potevano avere una elevazione sino a 20

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gradi, avevano una gettata di 16.500 metri, men­tre la gettata dei 305/40 dei tipi Elena e Brin era di soli 14.000 metri.

E per più si deve dire che l ’ inferiorità nel ca­libro delle grandi artiglierie austriache veniva in gran parte annullata dalla scarsa protezione dei tipi Margherita, che agli effetti pratici erano ugual­mente indifesi sia contro i 305 che contro i 240 dotati di alta velocità iniziale e quindi di forte po­tere di perforazione.

Nei cannoni di medio calibro si riscontra una leggera prevalenza in complesso a favore dell’ Ita­lia. Tutto ben considerato però, tra i due gruppi contrapposti non si può parlare di differenza così accentuata da stabilire una decisa superiorità da una parte o dall’ altra, e non si erra dicendo che il potere offensivo dei gruppi poteva praticamente considerarsi quasi equivalente 1.

È pertanto evidente che il minor tonnellaggio

I In una pubblicazione di carattere riservato, pubblicata prima della guerra dall'ufficio dello stato maggiore della marina, ab­biamo ritrovato alcuni dati indicanti il potere offensivo di alcune unità italiane ed austriache.

II potere offensivo di una nave, rappresentato con una cifra, non può darci che un’ idea molto approssimata della realtà, in quanto sono infiniti i fattori oltre che concreti, anche imponde­rabili, che entrano a costituire quel complesso valore bellico che è una grande nave da guerra, nella quale i fattori morali hanno un’ importanza altrettanto grande quanto i valori materiali; pur tuttavia le cifre che riportiamo possono servire per avere un’ idea e un termine di confronto sulla potenza di alcuni tipi di unità.

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totale delle navi austriache doveva andare a scapito di qualche altra qualità bellica.

Infatti notiamo nelle unità austriache una po­tenza di macchina, e quindi una velocità, alquanto inferiore a quella delle nostre unità ed inoltre un’ accentuata limitazione di autonomia.

Queste due qualità, poco sviluppate, non rap­presentavano però una grave deficienza per navi destinate ad agire in un bacino così limitato come l ’Adriatico.

Infatti l ’ autonomia del tipo Absburg era di 3500 mg. a velocità economica in confronto alle 5000 dei tipi Margherita ed Elena; ove però si con­sideri che da Fola ad Otranto vi era una distanza di circa 450 miglia solamente, si comprende! subito come le navi austriache avessero pur sempre un’autonomia più che sufficiente per tale bacino.

L ’autonomia, la maggior velocità e quindi il conseguente maggior tonnellaggio erano qualità in­dispensabili invece alle nostre navi, costruite in re­lazione ai nostri obbiettivi essenzialmente mediter­ranei.

Con mezzi inferiori e con navi più piccole e più economiche l ’Austria aveva brillantemente risolto

La formula, con cui sono stati ricavati i valori offensivi, è Ira le tante formule esistenti una delle più esatte, ed è calcolala tenendo conto del peso della bordata, in un minuto, in relazione alla capacità offensiva di una nave tipo.

I valori ricavati sono i seguenti: Radetzky 842; Pisa 625; Er­zherzog 737; B. Brin 617; Viti. Emanuele 680.

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il problema di contrapporci navi che praticamente avevano lo stesso potere offensivo delle nostre.

La situazione relativa peggiorò in modo sen­sibile a nostro svantaggio nel periodo 1905-1910, al­lorché l ’Austria senza perdere tempo impostò, varò ed allestì in soli tre anni (1907-1910) le tre unità del tipo Radetzky e cioè quasi contemporaneamente al periodo in cui nella marina italiana entravano in servizio le unità del tipo Elena, che abbiamo già segnalate come progettate e impostate in corrispon­denza dei tipi Erzherzog. Infatti la Vittorio Ema­nuele fu impostata nel settembre 1901 ed entrò in servizio nei primi mesi del 1908, mentre per la prima delle 3 Radetzky passarono meno di due anni tra l ’ impostazione e 1’ entrata in servizio (1907-1909).

La costruzione delle 3 unità tipo Radetzky co­stituì l ’ inizio di un ultimo periodo di sviluppo del­la politica e della potenza marittima dell’Austria- Ungheria; questa con il forte armamento di tati navi accentuava la tendenza offensiva, che nel 1906 l ’ arciduca ereditario aveva già annunciato essere l ’ obbiettivo della flotta austro-ungarica, definendoneil compito con le seguenti parole : « La flotta deve diventare così forte da poter assolvere i suoi com­piti in Adriatico non già limitandosi alla difesa pas­siva delle coste, ma uscendo in mare per ricercare e battere il nemico ».

In una tale frase si può vedere come, nono­stante il trattato di alleanza che univa le due na­

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zioni in Adriatico, l ’Austria sviluppasse il suo po­tere marittimo con lo scopo di contrastare il no­stro; d’ altra parte mai le costruzioni navali au­striache mostrarono 1’ intenzione di creare navi che potessero essere impiegate fuori dell’Adriatico e in collaborazione con le nostre (dalle quali differi­vano così profondamente per le caratteristiche).

Il varo avvenuto a Trieste nel settembre del 1908 della corazzata Erzherzog Franz Ferdinand, che dopo soli 10 mesi poteva entrare in squadra, stava altresì a dimostrare che la grande industria navale aveva raggiunto in Austria un rapido e gran­de sviluppo da noi insospettato, che dava alla mo­narchia la possibilità di creare rapidamente con le sue risorse una grande e minacciosa flotta.

Gli avvenimenti politici nel primo decennio del corrente secolo avevano messo in luce l ’ ottima pre­parazione militare austriaca, ma avevano anelic mostrato quanto minaccioso per l ’ esistenza della duplice monarchia fosse l ’ avvenire, e ciò aveva da­to occasione alla Lega navale austriaca, di cui era stato creatore e animatore l ’ ammiraglio Montecuc- coli, di intensificare la propaganda c far chiedere dall’ opinione pubblica abilmente preparata la com­pilazione di un nuovo e più vasto programma navale.

Nel 1910, in conseguenza, fu presentato al con­siglio dei ministri un progetto che contemplava l ’ acceleramento della costruzione dei tipi Radetzky, per i quali non vi erano più fondi, e 1’ impostazio­

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ne di 4 nuove navi da battaglia, 4 esploratori ed una numerosa flottiglia di siluranti da completarsi in meno di 4 anni; ciò che portava a richiedere il rad­doppiamento del bilancio ordinario. Un program­ma così vasto non fu approvato dal ministro delle finanze, ma ciò non impedì che lo stabilimento tec­nico triestino, allora in potere di un forte sinda­cato di banche austriache e di un sindacato metal­lurgico, a suo rischio e pericolo, iniziasse la costru­zione di due navi da battaglia monocalibre.

Sfortunatamente, per un complesso di circo­stanze sempre in relazione con le scarse disponi­bilità economiche del bilancio italiano, questo ra­pido e improvviso sviluppo della flotta austriaca non trovava corrispondenza nella marina italia­na, ed, allorché le tre navi da battaglia del tipo Radetzky furono pronte, noi non avevamo una di­visione simile da contrapporvi, e solo da poco tem­po era stato ultimato l ’ allestimento della Roma e della Napoli, ultime due unità del gruppo Elena.

Come è nolo, le Radetzky appartenevano a quella classe di navi che segnò il passaggio tra il tipo classico di nave da battaglia regnante incon­trastato sui mari fino alla battaglia di Tsushima, e le moderne navi monocalibre, comunemente dreadnought.

La caratteristica di tale classe consisteva nella prevalenza delle artiglierie di grosso calibro su quel­le di medio calibro come arma principale di coni- battimento, quantunque non si fosse ancora giunti

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all’unità del calibro principale. Infatti le Radetzky erano armate con 4-305 e 8-240 e la media arti­glieria vi era abolita mentre l ’ armamento antisilu­rante veniva convenientemente sviluppato e consi­steva in 20 cannoni da 100.

Con non minore rapidità procedette in Austria anche la costruzione delle navi inonocalibre, cosic­ché nel 1914, allo scoppio del conflitto, l ’Austria aveva già in servizio tre di queste, la Viribus, la Tegetthoff e la Prinz Eugen, mentre la quarta era già varata e in avanzato allestimento.

La situazione di fatto era dunque nel 1914 a favore dell’Austria nei nostri confronti per quanto si riferisce alle navi di linea.

Scarso sviluppo era stato dato invece agli in­crociatori corazzati, ma con giusto criterio il crea­tore della potenza marittima austro-»unga rica, il Montecuccoli, aveva rinunciato a tale tipo di navi molto costose, perchè esse trovavano in realtà scarso impiego strategico in un bacino ristretto come l ’Adriatico, mentre le funzioni esplorative pote­vano egualmente venire svolte da incrociatori leg­geri o da grosse siluranti. La deficienza di incro­ciatori corazzati non veniva quindi a diminuire nel suo complesso il valore della flotta austriaca e la preponderanza italiana in fatto di tale tipo di navi; non rappresentava per noi un deciso e reale van­taggio, in quanto tali unità non trovavano adeguato impiego in un conflitto italo-austriaco, in primo luogo perchè non avevano un corrispondente tipo

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di nave con cui combattere, ed in secondo luogo perchè le loro caratteristiche .erano state studiate per compiti differenti.

Passiamo ora a considerare l ’ entità del naviglio sottile austriaco.

Anche in questo campo purtroppo eravamo ri­masti indietro rispetto all’Austria non solo quan­titativamente, ma anche qualitativamente.

L ’ufficio del capo di stato maggiore della ma­rina, già si era preoccupato di questa nostra de­ficienza al riguardo ed aveva richiamato l ’ atten­zione su tale argomento. Troviamo infatti che fin dal 1908, nella relazione presentata alla commis­sione suprema mista per la difesa dello Stato, la questione era stata ampiamente svolta ed illustrata con parole che sembrano profetiche e che ritenia­mo di notevole interesse riprodurre perchè possono essere di ammonimento 1 : « Navi da esplorazione — Dalla appendice A rilevasi come, per questo tipo di nave, la marina italiana, la quale possiede solo VAgordat e il Coatit (disloc. 1300 tonn., ve­locità 22 miglia), sia in condizioni di inferiorità ri­spetto all’ austriaca, che ai tre incrociatori tipo Zenta (disloc. 2300 tonnellate, velocità 20 miglia), ne aggiungerà tra breve un quarto, (Admiral Spaun) velocissimo (26 miglia) e di dislocamento di

1 Dal fascicolo II: Basi navali e mezzi di difesa. Appendice B. Anno 1908. Verbali delle sedute tenute dalla commissione su­prema per la difesa dello Stato.

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3600 tonnellate. Questo tipo di nave, che ha per1 caratteristiche alta velocità e qualità nautiche ca­paci di realizzarla anche in condizioni di cattivo tempo, pareva, sul principio della sua introdu­zione in servizio presso le marine maggiori, parti­colarmente chiamato a operare in estesissimi spec­chi d ’acqua, attraverso gli Oceani. Onde il dubbio intorno all’ opportuntià della sua applicazione nella costituzione organica delle flotte destinate ad agire in bacini ristretti, ove sia possibile avvalersi, in larga misura, per il servizio di informazioni, del­l ’ esplorazione fatta con le torpediniere di mole maggiore. Ma, prescindendo pure dall’ affermazio­ne che bastino le sole siluranti a soddisfare le esi­genze di un simile servizio, al quale sarebbe ne­cessario attendere in modo continuo e quasi indi- pendente dalle vicende del tempo, cioè in circo­stanze poco compatibili con l ’ autonomia e la resi­stenza di quegli esili scafi, occorre tuttavia consi­derare le peculiari condizioni nelle quali la nostra flotta sarà chiamata ad agire in Adriatico, e notare come la marina austro-ungarica che trovasi in cir­costanze strategiche tanto migliori delle nostre non abbia trascurato di completare l ’ organismo delle sue forze navali con un esploratore di alta velocità e di gran tonnellaggio, quale YErsatz Zara (in se­guito Spaurì).

Riferendoci pertanto a tali considerazioni ed alla condotta strategica, che a noi sarà pur neces­sario seguire nel ristretto bacino dell’Adriatico, ove

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nuli mancano di imperversare i tempi, rotti dalla bora e dai violenti venti di Sud Est, preceduti e seguiti da fitte nebbie, pare che sia prudente di affermare la immediata necessità di preparare al­meno due grandi esploratori di tipo moderno».

In realtà non uno, ina quattro, furono gli esplo­ratori costruiti dall’Austria, mentre da parte no­stra sarebbe stato necessario costruirne un numero adeguatamente superiore a quello austriaco per ave­re la possibilità di contrastare 1’ iniziativa conces­sa all’ avversario dalle ben note condizioni della co­sta dalmata.

Ci sembra inutile ripetere qui le caratteristiche degli esploratori tipo Spaun (vedi appendice). Dob­biamo però richiamare l ’ attenzione sul fatto che queste unità si rivelarono in pratica e sotto certo aspetto superiori alle corrispondenti italiane, ed in­fatti, mentre già da tempo si è provveduto a ra­diare e demolire il Bixio e Marsala, le due navi ex austro-ungariche, quantunque per la loro età siano destinate a servizi ausiliari, fanno tuttora parte della flotta.

Una delle caratteristiche del tipo Spaun, che qui vogliamo ricordare, consiste nella leggera corazza verticale di cui furono provviste, protezione che invece non esisteva nelle unità italiane.

Questa leggera corazza di 65 mm. si rivelò effi­cace e resistente. Infatti VHelgoland tra i vari colpi ricevuti fu colpito sotto al galleggiamento nello scontro del 29 dicembre 1915 da un proiettile di

19 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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medio calibro e dovette in parte la sua salvezza alla corazza, che non fu perforata ina solo intaccata.

È ben noto infine che le unità tipo Spaun si mostrarono nettamente superiori in velocità a tutti gli incrociatori leggeri italiani ed alleati che pre­sero parte alla guerra in Adriatico.

L ’Austria possedeva dunque un gruppo di 4 unità veloci, ben armate e protette, particolarmen­te indicate per le azioni di sorpresa contro le no­stre linee di comunicazione; e contro di esse, tutto ben considerato, non avevamo nel 1914 forze leg­gere adeguate da contrapporre.

E neppure la marina austriaca aveva trascurato lo sviluppo del naviglio silurante, che, sebbene meno numeroso, del nostro, era nelle singole unità superiore in tonnellaggio ed in potenza.

Alla fine del 1914 l ’Austria disponeva infatti di 13 unità del tipo Ulan, non più recentissime, ma in buone condizioni di efficienza.

Questi cc. tt. costruiti tra il 1908 ed il 1909 eccetto il Warasdiner più recente (1913), rappre­sentavano un complesso quasi equivalente alle no­stri 16 unità del tipo Soldato e Turbine. Erano di dimensioni leggermente superiori e provvisti di ini- gliore armamento (6 cannoni da 70 mm. e 4 tubi lanciasiluri da 450), in confronto a 4 cannoni da 76 e 3 lanciasiluri dei nostri tipo Soldato.

Ma, prima ancora che queste unità invecchias­sero, la marina austriaca arditamente aveva inizia­ta la costruzione di 6 grossi cc. tt. (tipo Taira)

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aventi nn tonnellaggio superiore a quello medio dei cc. tt. costruiti in tale epoca dalle altre ma­rine europee. Questi grossi cc. tt. potevano sem­brare esuberanti per svolgere il servizio di siluranti di squadra in un mare poco vasto come l ’Adriatico. Ma in realtà essi furono costruiti con il giusto in­tendimento di disporre di unità veloci, ben arma­te, capaci di tenere il mare con qualsiasi tempo e destinate a svolgere il doppio compito di naviglio atto ad azione di sorpresa e al servizio esplorativo di squadra.

Ciò dunque rispondeva al concetto, già ricor­dato e seguito dall’ ammiraglio Montecuccoli e più tardi dall’ Haus, che in Adriatico fosse sufficiente affidare il servizio oìi esplorazione alle siluranti senza aver bisogno degli incrociatori corazzati. I tipi Tatra più che cacciatorpediniere potevano con­siderarsi come dei piccoli esploratori superiori sensibilmente ai oc. tt. italiani del tipo Indo­mito per il tonnellaggio, l ’ armamento e la potenza di macchina.

Essi avevano infatti un dislocamento di circa 900 tonnellate, un armamento di 8 pezzi di cui 2 da 100 e 6 da 70, 4 lanciasiluri da 530 e una po­tenza motrice di 23 mila H P., in confronto alle 650-700 tonnellate dei tipi Indomito, armati di 5 pezzi (uno da 120 e quattro da 76), 4 lanciasiluri da 450 e una potenza motrice di 15000 HP.

È bene di più ricordare che il cannone austro- ungarico da 100 mm. lungo 50 calibri era supe­

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riore in potenza e in gettala ai cannoni da 120 mm. 40 calibri di tipo non più recente (1891), di cui erano armati i tipi Indomito 1 sui quali non si era potuto sistemare il progettato armamento monoca­libro da 102, perchè la marina italiana aveva con ritardo deciso l ’ adozione di tale calibro ancora allo studio. Il calibro 102 mm. non potè ancora entrare in servizio che più tardi a sostituire il vecchio ar­mamento poco rispondente alle esigenze, così chè sui successivi 8 cacciatorpediniere allora in alle­stimento si rinunciò a sistemare il cannone da 120 e l ’ armamento fu ridotto a soli 5 pezzi da 76, in attesa che l ’ industria nazionale potesse provve­dere i cannoni da 102/35.

Da tutto ciò che si è detto risulta che i tipi Ta­ira potevano corrispondere piuttosto ai nostri gros­si cc. tt. del tipo Poerio, non ancora in servizio, che ai tipi Indomito.

E ciò trova conferma nel giusto criterio con

1 Riportiam o la seguente tabella ricavata dai documenti uffi­ciali della direzione generale armi ed armamenti navali. Corn’ è noto il cannone dai 100/50 S. ex a. u. è attualmente in servizio nella nostra marina.

CannoneV elocitàiniziale

Potenzain

DINAMODIGettata massima

120/40 A 1891 mod. 1910

654 m. s. 420 9500 metri

100/50 S. ex a. u. 880 » 550 13600 metri

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cui queste unità furono impiegate. Infatti il coman­do della flotta a. u. si servì dei tipi Tatra non come siluranti di squadra, ma come unità destinate, in­sieme con il tipo Spaun, a costituire un gruppo di esplorazione, ed in seguito ad eseguire attacchi alle nostre linee di comunicazione nell’Adriatico me­ridionale, operando contro i convogli di navi mer­cantili.

Questo redditizio impiego delle 6 grosse unità del tipo Tatra potè essere consentito alla marina austriaca, perchè essa disponeva anche di un buon nucleo di moderne torpediniere di alto mare, che per le loro speciali caratteristiche poterono sosti­tuire i cc. tt. come siluranti di squadra.!

L ’Austria infatti, oltre a possedere 25 torpedi­niere della classe Caiman non più recenti (1906- 1908) di 200 tonnellate, che corrispondevano alle nostre 28 torpediniere d’ alto mare, sia per l ’ età che per le caratteristiche, aveva iniziata la costru­zione nel 1913 di un altro gruppo di 26 torpedi­niere di maggiori dimensioni, veloci, ben armate e particolarmente adatte a tenere il mare. Quest’ul- lima preziosa qualità era stata ottenuta rinuncian­do alla tradizione della piccola silurante bassa sul mare c di poca visibilità, c dotando invece quelle torpediniere di scafi marini alti di prua, con un palco di comando elevato sul mare tale da consen­tire il governo anche con cattivo tempo.

Tutte queste caratteristiche le rendevano molto adatte ad operare in squadra con le unità maggiori.

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Molte di esse contraddistinte coi numeri dal 74 al 100 entrarono in servizio entro il 1914.

Facendo un confronto tra le caratteristiche del­le nostre torpediniere costiere P. N. costruite per scopi difensivi e le austriache di quest’ultima clas­se, appare subito anche a questo riguardo la no­stra inferiorità.

Torpediniere tipo P.N. • Torpediniere A.U. tipo 74 -100

Tonnellaggio 130 Tonnellaggio 250Potenza motrice HP. 3000 Potenza motrice HP. 6000Armamento : Armamento :

1 cannone da 57 mm. 2 cannoni dà 70 mm.2 lanciasiluri da 450 2 lanciasiluri da 450.

La flotta austriaca contava infine tra le siluranti recenti un gruppo di 12 torpediniere costiere del 1910 di caratteristiche pressoché equivalenti alle nostre P. N.

(Per quanto si riferisce ai sommergibili, la ma­rina austriaca ne aveva limitato lo sviluppo per le stesse ragioni che abbiamo accennato trattando del­la nostra marina. Parziale incomprensione, alto co­sto unitario, preferenza a devolvere i fondi desti­nati alle nuove costruzioni verso tipi di navi di si­cura esperienza.

L ’Austria pertanto nel 1914 disponeva di sole 6 unità di piccolo tonnellaggio tutte in piena effi­cienza.

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Un ulteriore accrescimento di due buone unità di medio tonnellaggio avvenne prima del conflitto con P Italia, in seguito al ricupero del sommer­gibile francese Curie, che, riarmato, prese il nome di U 14, ed all’ approntamento di un sommergibile in costruzione a Fiume per una marina estera che prese la caratteristica di U 12.

Ma un maggior accrescimento di sommergibili avvenne nei primi mesi del 1915, allorché varie unità spedite a pezzi per ferrovia dai cantieri del Weser furono montate a Pola ed armate in parte da personale austro ungarico ed in parte da perso­nale tedesco (tutte le unità battendo bandiera au­striaca).

Pola e Cattaro divennero nel corso della guer­ra due delle prncipali basi dei grossi sommergi­bili germanici che svolgevano la guerra al traffico.

Passando a dire dell’ aviazione navale, essa era molto sviluppata, efficiente e già costituita organi­camente fin dal 1912. Nell’ agosto del 1914 la ma­rina austriaca disponeva di due stazioni di idrovo­lanti a Pola e nel canale di Fasana, con un com­plesso di 30 apparecchi efficienti e numeroso per­sonale allenato. E prima della nostra entrata in guerra essa aveva sviluppato ancora tale nucleo iniziale, e gli apparecchi raggiungevano un totale di oltre sessanta, tutti moderni e di ottimo tipo.

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Capitolo VII.

IL NOSTRO PROBLEMA STRATEGICO E I PIANI DI GUERRA

So m m a r i o :

L’Adriatico « nido di vespe ». — La guerra navale in Adriatico prima dell’ intervento dell’ Italia. — L’ organizzazione difensiva del litorale austriaco. — La costa italiana. — Le effettive condi­zioni delle nostre basi adriatiche allo scoptpio del conflitto euro­peo. Studio sul piano di guerra compilato dallo stato maggiore nel 1914. — L’evoluzione del piano di guerra. — Il piano di guerra definitivo. — I piani di collaborazione tra il R. Esercito e la R. Marina.

Il confronto tra una forza navale e quella con­trapposta non può darci un’ idea dell’ essenza di un conflitto marittimo, s/e lo si considera indipen- temente dal teatro d’azione.

Prima di esaminare la situazione strategica, ve­diamo alcuni elementi, che potranno subito darci 1’ idea dei compiti differenti delle due marine.

Il movimento commerciale dell’ Italia si svol­geva nel 1914 per due terzi per via marittima, mentre il movimento commerciale dell’ impero au-

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siriaco si svolgeva solo per un sesto ¡per mezzo delle comunicazioni marittime; da questi dati è ovvio dedurre la conseguente necessità per 1’ Italia di proteggere il proprio traffico, senza possibilità di rivalsa contro il traffico marittimo avversario che, anche se soppresso, non avrebbe di molto dimi­nuito il potere di resistenza della monarchia da­nubiana.

La protezione del nostro traffico poteva essere effettuata mettendo la flotta avversaria nell’ impos­sibilità di agire o distruggendola, o bloccandola in una zona limitata, qualora questa avesse evitato la risoluzione del conflitto con la battaglia.

Ciò posto, risulta evidente la necessità per la flotta bloccante di essere prevalente per giungere allo scopo accennato; mentre invece la flotta av­versaria avrebbe potuto svolgere il suo compito, consistente nel minacciare la distruzione del no­stro traffico servendosi di mezzi insidiosi e unità leggere, anche essendo di potenza inferiore alla nostra, salvo poi ad approfittare di particolari favo­revoli condizioni di tempo e di luogo per impe­gnarsi contro frazioni della nostra flotta e distrug­gerle, sfruttando una momentanea superiorità.

Si ripeteva dunque e in forma forse anche più accentuata il problema marittimo del conflitto an- glo- germanico nel mare del Nord, con la differenza che la Germania più deH’Austria-Ungheria traeva dal mare le fonti di vita e quindi più dell’Austria aveva necessità di forzare l ’ eventuale blocco.

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La ¡particolare costituzione organica della flotta austriaca (assenza di grandi incrociatori), la limi­tata autonomia del suo naviglio e la mancanza di basi fuori dell’Adriatico mostravano tuttavia chiaramente che l ’Austria avrebbe cercato di' com­batterci senza uscire da tale mare con il grosso della flotta, tentando anzi di attirarci in quel ba­cino marittimo che gli alleati anglo-francesi, dopo la dolorosa esperienza del' primo anno di guerra, avevano definito con la caratteristica espressione di « Nido di vespe ».

Qualora dunque lo scopo delle forze navali avesse potuto limitarsi al solo compito di garantire le comunicazioni marittime, sarebbe stato sufficien­te per noi bloccare il nemico mantenendo il con­trollo del canale d’ Otranto senza rischiare l ’ avven­tura di ricercarlo vicino alle sue basi, costringen­dolo anzi a scendere verso il Sud, e batterlo in con­dizioni a noi favorevoli.

Sfortunatamente questa vantaggiosa linea di condotta delle operazioni navali non poteva per noi realizzarsi perchè, oltre al compito della difesa del traffico, alla marina italiana si imponeva la neces­sità di difendere la lunga costa che, dalle foci del Tagliamento a S. Maria di Leuca, per una lunghez­za di circa 850 km. era esposta alle offese del ne­mico.

Era pertanto necessario penetrare nel « Nido di vespe » e cercare di bloccare l ’ avversario non sem­plicemente sulla ¡porta di casa ma richiudendolo,

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Questa necessità che sussisteva per noi non si era invece verificata, finché il conflitto si era svolto tra le flotte austriaca e anglo-francese, perchè que- st’ ultima, constatata la difficoltà di agire in Adria­tico, si era limitata ad impedire che la flotta au­striaca ne uscisse; gli austriaci alla loro volta non avevano nessuna necessità di forzare il blocco, co­sicché la guerra in tale mare aveva finito con l ’ as­sumere un equilibrio statico, che non variò mini­mamente le condizioni di efficienza della flotta au­striaca.

L ’ inattività delle flotte contrapposte prima del nostro intervento è così illustrata e analizzata in un memoriale inviato dall’ ammiraglio Haus al presidente del consiglio dei ministri austriaco e che riproduciamo in parte :

« Dopo due bombardamenti delle opere co­stiere di Cattaro, i quali non ebbero alcun successo e meritano appena di essere menzionati, la strate­gia della flotta francese, caratterizzata da una grande cautela, si è limitata al convogliainento dei trasporti ad Antivari, due volte al mese. Rese an­cora più prudenti dagli attacchi dei nostri sommer­gibili e dei nostri idrovolanti, le navi maggiori del nemico, dal 3 novembre in poi, non sono più giunte in vista delle nostre coste; i trasporti fu ­rono scortati ad Antivari da cacciatorpediniere, quasi di nascosto, con frequenza assai minore e durante le ore notturne : soltanto il blocco del ca­nale di Otranto è rimasto in funzione,

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« Ma dacché, prima di Natale, la nave ammi­raglia francese è stata silurata nel canale d’Otranto dall’ U. 12, la linea di blocco è stata spostata an­cora più a Sud, al pari delle zone di permanenza o dei settori di crociera, sempre mutevoli, del grosso nemico, sicché questo non ha più potuto essere in­contrato neppure una volta dai nostri sommergi­bili, nè dalle nostre flottiglie siluranti, in occa­sione delle loro incursioni nel canale d’ Otranto e sino a Fano. In conseguenza, risulta che la flotta nemica, volontariamente, ma molto logicamente e razionalmente, si è alla fine dislocata a una tale di­stanza dalle nostre basi navali, che essa, all’ alto pratico, risulta quasi irraggiungibile da noi e si li­mita ad assolvere il compito principale di impedire la nostra evasione dall’Adriatico e di assicurare così nella forma più completa il traffico delle navi dell’ Intesa nel Mediterraneo, mentre la nostra na­vigazione mercantile in Adriatico è praticamente del tutto indisturbata. Poiché nè l ’ una nè l ’ altra flotta ha davanti a sè un obiettivo raggiungibile, adeguato alla potenza delle flotte stesse e che d’al­tra parte presenti una tale importanza da giustifi­care che si giochi il tutto per tutto per il suo conseguimento, ossia, in altre parole, poiché una battaglia fra le due flotte non deciderebbe nessuna questione vitale per i due rispettivi stati, questa strategia di attesa appare l ’unica razionale. Essa ad ogni modo implicherebbe per ambedue le flotte il rimprovero dell’ inattività ».

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In realtà la marina austriaca si considerava sempre in aitesa della guerra, a cui da anni si an­dava preparando contro il vero nemico rappresen­tato dall’ Italia; questo stato d ’animo viene mani­festato con felice espressione dallo storico della ma­rina austro-ungarica, il Sokol, che così si esprime in proposito :

«Tutti i sintomi valevano a mettere in rilievo che la quasi inevitabile guerra contro le potenze occidentali non sarebbe stata che un primo passo verso la lotta decisiva contro l ’ avversario meri­dionale.

« La flotta austro-ungarica però non aveva nes­suna ragione per paventare questo urto armato. Essa andava incontro a questa eventualità con la convin­zione che i suoi avversari sarebbero stati ad essa inferiori, se non dal punto di vista quantitativo, certamente però nel campo di quegli impondera­bili fattori spirituali, i quali decidono in ultima analisi dell’ esito di tutte le battaglie. Avendo que­sta coscienza, la marina austro-ungarica teneva le bocche dei suoi cannoni dirette contro la Fran­cia e contro la Gran Brettagna, ma aveva gli oc­chi rivolti verso 1’ Italia ».

Ed in un altro brano dice:« In conseguenza, la guerra contro 1’ Italia,

prima ancora di avere inizio, acquistò agli occhi dell’ Austria-Ungheria sempre più il carattere di una liquidazione di conti personali, di una giusti­

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ficata rappresaglia contro la defezione dell’ Italia dalla Triplice Alleanza.

« I francesi erano gli avversari militari, gli ita­liani divennero ,, il nemico ” ».

La necessità, ora illustrata, di combattere in Adriatico, comportava per noi, fin dall’ inizio, il coefficiente sfavorevole di dover subire come tea­tro di operazioni quello che l ’ avversario si era scelto e nel quale da anni si stava preparando.

È facile perciò comprendere che differenti sa­rebbero state le direttive d’ impiego delle forze navali nella lotta contro l ’Austria a seconda che queste forze navali fossero appartenute ad una na­zione direttamente interessata, come era l ’ Italia,o ad una nazione per la quale l ’Adriatico aveva un interesse indiretto se non del tutto secondario, come nel caso degli anglo-francesi.

La guerra destinata a sistemare le questioni na­zionali, non poteva essere condotta che con le di­rettive del nostro stato maggiore e, indipendente­mente dalla questione morale, non era possibile am­mettere che le direttive venissero da altri, perchè non potevano esser quelle convenienti ai nostri interessi e alle nostre necessità.

Era pertanto prevedibile che :il maggior peso della guerra marittima contro

l ’Austria sarebbe inevitabilmente gravato sulla ma­rina italiana, e per tale motivo, comunque fossero

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composte le forze navali che dovevano combattere contro l ’Austria, il comando supremo avrebbe do­vuto essere affidato agli italiani.

Passiamo ora ad esaminare le caratteristiche che avrebbe avuto l ’ urto italo-austriaco, considerato nel suo naturale teatro d’ operazioni e cioè limitato al­l'Adriatico, poiché tale era il problema che lo stato maggiore della marina italiana doveva prepararsi a risolvere, allorché nel 1914 il conflitto tra l ’ Italia e l ’Austria si manifestò molto probabile.

He * *

Già vari autorevoli scrittori di cose navali, hanno abbondantemente illustrato e divulgato la si­tuazione strategica relativa all’Adriatico, così che oggi anche i dilettanti di cose navali sono al cor­rente della questione.

Tuttavia non ci sembra superflua una breve e riassuntiva esposizione deH’argomento per fissare in seguito alcuni elementi concreti circa la relativa efficienza e capacità difensiva delle coste in genere e delle basi in ispecie.

La configurazione geografica del litorale nemico era tale da consentire l ’ attuazione di qualsiasi piano d’ impiego di forze navali nell’Adriatico, in quanto che le due catene d’ isole antistanti, le insena­ture profonde della costa rocciosa e frastagliata,

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a loro volta protette da isole che ne facevano delle rade aventi varie vie d ’uscita e facilmente difendi­bili, facevano sì che la regione fosse adatta in biodo meraviglioso alla manovra per linee coperte.

L ’Austria con chiara coscienza della sua pre­parazione marittima, non aveva trascurato di ap­profittare della mirabile condizione naturale del suo litorale per aumentare ed assicurare alla sua flotta la più efficace capacità strategica, ed aveva sa­pientemente distribuite e previggentemente prepa­rate, in base a un ben determinato, piano organico, le sue basi, disponendosi a metterne in ordine due principali estreme, una buona ed ampia interme­dia, e numerose stazioni per naviglio sottile lungo il litorale.

Vi erano infine ancoraggi e ridossi ottimi già preparati lungo tutto il litorale in modo da con­sentire alla flotta qualsiasi operazione di concen­tramento e di dislocazione dal Nord al Sud del­l ’Adriatico, sempre al coperto in vista delle pro­prie terre, nei campi d’ azione delle stazioni ra­diotelegrafiche e semaforiche, la cui rete era quanto mai sviluppata e dava la possibilità di mantenere costantemente il contatto, con le basi o con le altre forze navali per mezzo di naviglio leggero.

Il sistema difensivo austriaco si fondava per­tanto sulle due basi estreme, che erano Pola al Nord e Cattare al Sud. La base intermedia avente funzioni di collegamento era Sebenico.

Pola, protendendosi con l ’ Istria tra il golfo

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di Trieste e del Quarnaro, era il più importante porto militare della monarchia austro-ungarica.

Da Pola si dominava Venezia, situata più a Nord nell’Adriatieo, si proteggevano Trieste e Fiu­me, si controllava col suo retroterra tutta l ’ Istria e si dominavano infine gli importanti sbocchi della conca di Lubiana che, attraverso i canali della Dal­mazia, veniva ad essere così collegata con sicure e coperte linee marittime commerciali con tutti i porti della monarhia fino a Cattaro.

Scendendo da Pola verso il Sud, il carattere aspro e roccioso a natura carsica delle Alpi Dina- riche, muraglia inaccessibile della Dalmazia fino a Ragusa, metteva l ’ impero al sicuro da qualsiasi azzardato tentativo di offesa diretto contro la co­sta dalmata.

Le principali isole dell’ arcipelago, ( special- mente Lussin) che avrebbero potuto essere scelte come basi d’ operazioni da un nemico che avesse voluto attaccare Pola, erano fortificate con opere permanenti di notevole importanza e protette con sbarramenti di torpedini e con solide ostruzioni già da tempo approntate.

Sebenico era ottima base per siluranti e per tale funzione era stata sistemata e conveniente­mente fortificata.

Questa base, in unione a quella più meridio­nale di Spalato, costituiva la linea dei rifugi che collegavano le due basi principali. Egualmente for­tificate erano in linea di massima tutte le nume­

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rose località militarmente utilizzabili fino a Cattaro che rappresentava il caposaldo meridionale del si­stema istriano dalmato.

Questo ottimo sistema difensivo era completato nella parte meridionale da alcuni gruppi di isole avanzate che, allacciate fra di loro con semafori e stazioni radiotelegrafiche, costituivano le sentinelle avanzate per l ’ esplorazione strategica. Questa po­teva essere svolta altrettanto bene che con mezzi navali, risparmiando così alla flotta austriaca il gravoso compito dell’ esplorazione per mezzo degli incrociatori che in ogni epoca ha costituito la mag­giore difficoltà ed il problema più delicato nella guerra marittima.

Pelagosa infine, nel mezzo dell’Adriatico, per­metteva di vigilare perfettamente tutti i movimenti di forze navali provenienti dal canale d ’ Otranto.

A questo magnifico sistema di difesa che la na­tura aveva messo a disposizione dell’Austria e che questa aveva migliorato senza malintese economie, ben poco potevamo contrapporre noi, in quanto che, anche ammesso che i due unici porti capaci di appoggiare una forza navale, Venezia e Brin­disi, fossero stati in efficienza dal punto di vista della organizzazione marittima e militare, non po­tevamo dire di possedere un sistema difensivo vero e proprio. Tale espressione include già il concetto di unità ottenuta con collegamenti o punti inter­medi di appoggio, mentre così non poteva dirsi di Brindisi e Venezia, pressoché isolate fra di loro

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sia per la grande distanza che per la configura' zione geografica della costa italiana, priva di altri punti militarmente notevoli.

L ’unico porto di una certa capacità, che per la sua ubicazione avrebbe potuto rappresentare una buona base strategica, sarebbe stato quello di An­cona, ma le poco fortunate condizioni idrografiche di tale sorgitore ne sconsigliavano l ’ impiego come porto militare; a tale funzione del resto avrebbe potuto essere attrezzato soltanto con enormi la­vori che avrebbero richiesto anni di tempo e somme notevoli.

Più a Nord di Ancona, Porto Corsini, poteva offrire rifugio a poche siluranti di piccolo tonnel­laggio e non poteva considerarsi una base di col- legamento con l ’Adriatico meridionale, ma era so­lamente un punto di ridosso sussidiario che dipen­deva strategicamente da Venezia.

Per poter far fronte sempre alle minaccie della flotta avversaria, dirette contro, le nostre coste, l ’ Italia avrebbe dovuto disporre, in considerazione di quanto si è detto, di due flotte, ciascuna delle quali capace di contrapporsi alla flotta austriaca riunita, e dislocate rispettivamente l ’una al Nord e l ’altra al Sud. Le sole nostre forze navali non potevano, evidentemente essere sufficienti a tale compito e quindi dovevamo subire la pericolosa condizione di suddividere le nostre forze oppure accontentarci di mantenere la superiorità solo in uno dei due campi d ’azione limitandosi al con­

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trasto. nell’ altro. E questo senza poter neppure im­pedire offese svolte da naviglio leggero contro i numerosi porti del litorale.

Da tutto quanto si è detto risultano chiare le grandi difficoltà del nostro problema strategico.

* * *

Le medesime ragioni politiche che nel capitolo precedente sono state ampiamente svolte, parlando delle direttive date alle costruzioni del naviglio da guerra, avevano fatto sì che i nostri apprestamenti difensivi verso il fronte marittimo orientale non avessero avuto impulso tale da supplire neppure in parte alle sfortunate condizioni geografiche; così chè nel 1914 il ben munito fronte marittimo, che andava da Trieste a Cattare, non trovava un cor­rispondente adeguato nell’organizzazione difensiva della sponda italiana.

Le condizioni effettive di approntamento e di possibilità di utilizzazione delle basi, erano le se­guenti nell’ epoca a cui ci riferiamo (1914):

Venezia. - Idrograficamente insufficiente per ri­cevere una forte aliquota della flotta, soprattutto per difficoltà di manovra, poteva offrire ricovero solo ad una frazione di essa ed a flottiglie di si­luranti.

La sistemazione difensiva del fronte a mare, non ancora ultimata, era tuttavia in condizioni di

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resistere ad un attacco dal mare difendendosi con i soli suoi mezzi. Era sufficientemente protetta con­tro attacchi insidiosi di siluranti.

Porto Corsini. - Piccolo rifugio per sole silu­ranti, dove la difesa del fronte a mare era ancora all’ inizio dei lavori.

Ancona. - Idrograficamente scadente, aveva una difesa marittima così antiquata e così poco efficiente da far ritenere conveniente disarmarla e dichia­rarla città aperta.

Brindisi. - Idrograficamente capace di dare ot­timo ricovero a tutta la flotta, non offriva però an­cora le dovute condizioni di sicurezza militare, sia perchè il fronte marittimo era costituito da opere non recenti e scarse, sia perchè la sistemazione della imboccatura allo scopo di proteggerla con dighe ed ostruzioni era ancora in corso. Si stavano eseguendo grandi lavori di scavo per portare i fondali a pro­fondità tali da dare sicurezza di manovra alle navi da battaglia maggiori.

Confrontando la situazione delle artiglierie di grosso e medio calibro, antiquate e recenti, desti­nate al fronte a mare delle due principali piazze forti italiane (Venezia e (Brindisi) con le due prin­cipali basi austriache (Pola e Cattaro) abbiamo i seguenti dati :

Venezia 125 cannoni - Pola 261 cannoni Brindisi 34 cannoni - Cattaro 46 cannoni.Nel capitolo precedente e in quello in corso ab­

biamo prospettato le condizioni delle flotte, i prò-

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bleini strategici e le condizioni di approntamento difensivo delle rispettive fronti marittime per l ’ Ita­lia e per l ’Austria.

Le difficoltà che si presentavano allo stato mag­giore della marina e la necessità di prepararsi nel miglior modo al conflitto probabile, approfittando del periodo della nostra neutralità, debbono cosi apparire in modo chiaro al lettore, che ci abbia fino qui seguiti.

Vediamo ora come fu svolta l ’attività della ma­rina per affrontare la prova; accennando prima allo studio dei piani e poi ai provvedimenti presi per la esecuzione materiale della preparazione alla guerra.

* * *

Il primo piano di guerra, o per meglio definirlo, il primo studio di eventuali operazioni navali in Adriatico, risale al settembre 1914.

Il piano, di cui pubblichiamo qualche brano, risentiva naturalmente dell’ incertezza della nostra situazione politica e doveva considerare per neces­sità di cose lo studio del conflitto tra la sola flotta italiana e quella austriaca.

Nei riguardi delle relative posizioni strategiche doveva esaminare le effettive condizioni esistenti nelle basi italiane nel settembre 1914, precedente- mente illustrate.

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Ed infatti così prospettava tale situazione, te­nuto conto che Ancona era ancora considerata piaz­za forte, che i lavori di miglioramento del porto di [Brindisi erano stati appena iniziati, che erano in corso quelli di Porto Corsini, ed infine non era ultimata la sistemazione difensiva di Venezia.

«L a guerra marittima contro l ’Austria si pre­senta particolarmente difficile per la grande spro­porzione di capacità difensiva e strategica fra le due sponde adriatiche. In piccoli teatri di opera­zioni, come nell’Adriatico, la geografia strategica delle coste potrà esercitare una grande influenza sui divisamenti e sulle mosse delle parti chiamate a guerreggiare.

« La flotta austriaca possiede una base militar­mente fortissima in Pola, la quale protendendosi fra i Golfi del Quarnaro e di Trieste, è quasi sen­tinella dell’ alto Adriatico; nel basso Adriatico ha in Cattaro altra base ottima sia idrograficamente che nauticamente e pur militarmente abbastanza forte. Fra di esse si estendono molte lunghe isole, che, disposte parallelamente alla costa istriana e dalmata, offrono in sè stesse buonissimi ancoraggi (Lussinpiccolo, Meleda) e ne coprono un altro ec­cellente del continente (Sebenico).

« Queste isole rinserrano tra di loro e la terra­ferma canali navigabili, che consentono a forze na­vali di spostarsi in tutta sicurezza al coperto dalle offese del nemico, di mantenersi in piena efficienza morale, fisica e materiale, in attesa delle favore­

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voli occasioni per attaccare e sorprendere in forze preponderanti il nemico.

« Per converso, il l i t o t e italiano è tutto aperto alle offese, ed in fatto di basi e ancoraggi per rifornimenti nauticamente sicuri, nulla offre per grandissime navi, mentre per le medie e le minori al Nord non ba che Venezia, profondamente incu­neata nel golfo omonimo, le cui acque foranee sono facilmente cospargibili di banchi di mine; al cen­tro deirAdriatico abbiamo Ancona, mediocre an­coraggio, male difendibile, di scarso valore militare e logistico, la cui città converrebbe dichiarare aper­ta, ed al Sud Brindisi, in buonissima condizione sia logisticamente, perchè i rifornimenti vi possono affluire da Taranto, quanto strategicamente per la vigilanza che da esso si può esercitare sul canale d ’ Otranto. Brindisi è però militarmente insufficien­te; nauticamente è ottima per il naviglio leggero e silurante, mediocre per le grandi navi.

« In complesso la base di Brindisi soggiace oggi a notevoli deficienze marittime e militari, le quali scompariranno quando sarà costruito il molo della rada esterna (da poco tempo appaltato) ed il fronte marittimo sarà rinforzato con una batteria forse anche di soli tre pezzi da 381 mm.

« Intanto, per proteggere alquanto contro i som­mergibili e i siluri le grandi navi durante i loro rifornimenti nella rada esterna, si va disponendo una difesa retale sostenuta da boe e cavi di ac­ciaio.

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« Dal succinto confronto delle qualità strategi­che e logistiche delle sponde degli eventuali belli­geranti, risulta che la squadra austriaca potrà a suo beneplacito mantenersi in piena efficienza e si­curezza in qualsiasi punto della sua costa fra Cat­tare e Pola, mentre la nostra dovrà costantemente tenersi pronta alla difesa © per i rifornimenti non potrà nell’Adriatico fare assegnamento che sui de­positi di 'Brindisi e di Venezia.

cc Brindisi è indispensabile alla vita della flotta nel basso Adriatico e poiché essa non è in condi­zioni di difendersi efficacemente da sè stessa, sarà giuocoforza— coprirla contro un repentino attacco dal mare.

«Venezia, diversamente da Brindisi, dovrà ba­stare a sè stessa.

« Nei riguardi di Porto Corsini dovrà provve­dere, contro le siluranti, la difesa fissa del canale, e contro navi maggiori la coprirà la difesa mobile di Venezia, di notte con le siluranti costiere, di giorno con sommergibili.

« In ordine agli eventuali attacchi contro An­cona od altri minori centri della meridionale costa adriatica, 1’ intervento della nostra flotta dovrà essere sempre subordinato all’obiettivo principa­le, ossia all’ azione risolutiva mediante battaglia navale.

« Porterebbe indubbiamente a conseguenze di­sastrose il disperdere le nostre forze per accorrere a difesa di tutte le località minacciate. Questo ca­

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none della condotta delle operazioni non esclude però che a protezione del litorale intervengano, eventualmente ed occasionalmente, navi veloci, la cui perdita non apporterebbe notevole menoma­zione di potenza alla flotta da battaglia. Per ren­dere pericolose le operazioni di bombardamento, saranno efficaci dei banchi di torpedini al Nord-Est del posto dove la spiaggia più si presterebbe a que­ste operazioni ».

Come si vede l ’ idea di dichiarare Ancona città aperta era già stata considerata dal capo di stato maggiore, e infatti prima della fine dell’ anno, con decreto del 14 dicembre, Ancona fu dichiarata città aperta, notificando tale dichiarazione alle Potenze, mentre che un simile provvedimento era già stato preso fin dai primi giorni del conflitto mondiale, e precisamente il 6 agosto, nei riguardi di Genova.

Il piano di operazione, dopo aver considerato i possibili atteggiamenti dell’ avversario, che corri­sposero infatti alle previsioni, esaminava l ’ even­tuale possibilità d’ azioni diversive da svolgere da parte nostra. Il blocco naturalmente, sia commer­ciale che militare, era preso in considerazione an­che come mezzo per indurre il nemico a impe­gnarsi lontano dalle sue basi. La questione delle occupazioni territoriali di punti della costa o di isole della Dalmazia fu, sia durante la prepara­zione alla guerra, sia durante la guerra, l ’ argotaento continuo di studi, ma questi studi dovevano ine­vitabilmente subire variazioni, in quanto tali azioni

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non ¡potevano essere considerate indipendenti, ma erano legate alla situazione guerresca su tutti i fronti ed in tutti i mari. Inoltre anche il fattore politico doveva essere considerato.

Vedremo perciò nel corso di questo volume e dei successivi, come tali studi subirono modifiche di mano in mano che nuovi fattori si manifesta­rono. I fattori che più influirono furono lo stato di approntamento delle nostre basi, la disponibilità eventuale di truppe da parte dell’esercito, e la si­tuazione del fronte serbo-montenegrino.

Nel settembre 1914 i montenegrini avevano con l ’ aiuto francese iniziato dal Lovcen l ’attacco contro Cattare. Le condizioni di tale piazza erano in quel­l’ epoca critiche, e vi era da supporre che dovesse essere evacuata dagli austriaci, e pertanto il piano di operazioni così sintetizzava le possibilità di azione :

« Efficaci diversioni sarebbero occupazioni ter­ritoriali alle quali, finché l ’ avversario sarà in po­tenza, più che carattere di presa di possesso, sarà opportuno dare quello di distruzione; Lagosta, Cur- zola, Lesina, Melada offrono dal Sud al Nord an­coraggi le cui temporanee occupazioni favorireb­bero i rifornimenti e stimolerebbero il nemico alla reazione.

«Lagosta particolarmente, quando Gattaro fosse sgombrata dall’ avversario, si presterebbe quale base di osservazione dell’ arcipelago dalmato, e quantunque gli obiettivi strategici debbano preva­

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lere su quelli logistici, conviene pure tener conto dei successivi benefici che ridonderebbero dal pos­sesso di una base intesa a spostare i nostri punti di rifornimento in posizione più conveniente che non sia Brindisi.

« Considerati i probabili alleati nell’eventualità di un’azione contro l ’Austria, l ’ operazione diver­siva che meglio si presterebbe ai fini della guerra sarebbe la minaccia di sbarco sulla spiaggia fra Spitza e Antivari da rendere effettiva quando la fortuna ci arridesse sul mare. Una spedizione di simil genere anche condotta con limitati effettivi, eserciterebbe certamente una grande influenza sulla risoluzione del conflitto, e per la sua importanza sia nei riguardi militari che politici, è meritevole di molta considerazione. Pur astraendo da spedi­zioni di truppa, Antivari in nostro possesso diver­rebbe lo scalo al quale affluirebbero dall’ Italia quei soccorsi di armi, di munizioni, derrate alimentari, vestiario, senza dei quali potrebbe fallire lo spi­rito di resistenza e di aggressione accanito che non dovrebbe venire meno da parte dei serbi e dei montenegrini contro l ’Austria. La marina sarebbe allora chiamata a disimpegnare e proteggere questo compito logistico che dall’ Italia e più particolar­mente da Brindisi, farebbe capo ad Antivari e forse a Cattaro ».

A ll’atto della nostra entrata in guerra in realtà le condizioni sul Lovcen si erano completamente modificate e vedremo in seguito come di conseguen­

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za si modificarono le conclusioni delle operazioni sulla costa nemica.

Le operazioni offensive secondarie sulla costa nemica erano prospettate come in realtà si svilup­parono nei primi mesi delle ostilità :

« . ..a l l ’ inizio delle ostilità sarà subito distrutta la stazione di segnalazione di Pelagosa e, non ap­pena se ne abbia la possibilità, si distruggeranno di sorpresa con tiri da mare le stazioni radiotelegrafi- cbe di Lagosta, Lussinpiccolo, tenendo presente che .quest’ultima è fortificata.

« Di minor conto tornerebbe la distruzione di altre stazioni semaforiche e radiotelegrafiche perchè il servizio di scoperta continuerebbe ad esplicarsi dalle stazioni di rifugio il cui smantellamento im­porterebbe operazioni di sbarco nè tampoco sarebbe gran che utile il taglio dei cavi sottomarini fra le isole fra loro tanto vicine e con facili comunica­zioni ottiche.

« I l comando della piazza di Venezia, disporrà che nella prima notte di ostilità siano affondati ban­chi di mine al Nord del canale di Fasana ed a po­nente di Punta Peneda (Brioni).

« Poiché la navigabilità dei canali della Dalma­zia costituisce per gli avversari un vantaggio inesti­mabile, bisognerà cercare di neutralizzarlo od al­meno renderlo precario.

« Converrà per conseguenza sbarrare con ban­chi di torpedini gli sbocchi dei canali in modo che le navi maggiori non possano valersene che preca­

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riamente; la scelta degli sbocchi da chiudere do­vrà essere in relazione alla posizione del grosso delle forze nemiche».

La dislocazione delle unità sottili destinate alla difesa mobile delle piazze era così prevista :

« Venezia avrà quattro squadriglie di torpedi­niere costiere (oltre 20 unità) con il compito prin­cipale della difesa ravvicinata della piazza ed il compito eventuale di offese contro navi nemiche, di cui per informazioni di aerei o per altri mezzi si avesse sentore. Le acque di azione di queste si­luranti saranno quelle dell’ alto Adriatico.

« Sarà assai importante stabilire il parallelo di Ancona come limite normale meridionale delle azioni siluranti dipartentesi da Venezia, acciocché nessuna incertezza possa insinuarsi sulla naziona­lità delle siluranti che da quelle dell’ armata fos­sero scoperte al Sud del parallelo predetto.

«Venezia avrà pure una squadriglia di caccia­torpediniere (tipo Soldato), sia per sostenere le tor­pediniere costiere, sia per azioni offensive a distan­za che il comandante della piazza stimasse oppor­tune, sia per infestare di mine le acque frequentate dal nemico. A tale riguardo nella notte successiva all’ apertura delle ostilità, tempo permettendolo, con l ’ evenuale concorso delle torpediniere costiere, saranno gettati banchi di mine a Nord del canale di Fasana e a ponente di Punta Peneda: le torpedi­niere costiere per la piccola pescagione potranno con poco pericolo transitare sui banchi nemici af­

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fondati assai probabilmente a tre metri sotto il li­vello dell’ acqua. Tuttavia queste torpediniere, quali affondamine, avranno impiego limitato »,

Il concentramento di tali unità avvenne man mano che fu possibile sguarnire le piazze del Tir­reno e già prima della fine dell’anno 1914 si erano dislocati a Venezia i cacciatorpediniere) delle squa­driglie Artigliere e Carabiniere, mentre le torpe­diniere P/V. della 6a, 9a, 10a, l l a squadriglia, si concentrarono a Venezia o in altri porti dell’ ?lto Adriatico.

Negli studi svolti in comune tra lo stato mag­giore dell’ esercito e quello della marina, il primo aveva richiesto, l ’ appoggio delle forze navali per sostenere l ’ ala destra marciante lungo la costa del­l ’Adriatico, e il piano d’ operazione così contem­plava tale compito:

cc A Venezia saranno pure concentrate, possibil­mente prima dell’ apertura delle ostilità, Piemonte, Etna, Calabria, Etruria od altre antiquate piccole unità armate di 76, 120 o 152 per contrastare, ap­poggiandosi alla piazza di Venezia, l ’ avanzata lito­ranea del nemico o concorrere alla nostra oltre il Tagliatnento e 1’ Isonzo.

« Queste unità, svalutate per vecchiaia, di mo­destissimo valore militare, inette a lottare contro qualunque nave moderna di equivalente disloca­mento, mentre per la piccola pescagione soddisfe- ranno bene ai compiti costieri, saranno anche temi­bili avversari per i cacciatorpediniere nemici.

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« Qualora l ’ avanzata su Monfalcone e Trieste dovesse essere preceduta da dimostrazioni dinnanzi a questa città e dalla presa di possesso del suo porto mercantile, converrà aggregare alla sopradetta di­visione leggera qualche nave antiquata di maggiore potenza, ad esempio la Sardegna.

« Il sostenere dal mare un corpo di truppe lungo il litorale del golfo di Trieste, mentre a Pola è an­cora in potenza il più forte nucleo della flotta ne­mica è compito diffìcile, arrischiato e di esito molto incerto; la sua giustificazione non può tro­varsi che nella assoluta necessità di invadere il ter» ritorio nemico, prima che esso vi abbia addensato nuclei importanti, e neU’accelerazione di avanzata che il tiro da mare contro colonne nemiche in ri­tirata può anche determinare. Simile pericolosa operazione dovrà in qualsiasi caso essere eseguita da navi, quali le sopra indicate, la cui perdita non influirà minimamente sulla potenza dell’ armata da battaglia la quale invece dovrà essere conservataintatta__ pronta ad affrontare l ’avversario quandouscisse da Pola ».

Veniva attentamente studiata la dislocazione dei sommergibili, a cui erano rivolte particolari ed at­tente cure per l ’ allenamento ed approntamento.

I sommergibili più antiquati a benzina erano previsti per l ’ impiego difensivo, mentre quattro dei più moderni a nafta erano destinati a compiti o f­fensivi nell’ alto Adriatico.

Eguali provvedimenti erano suggeriti anche per

21 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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Brindisi e si contemplava la convenienza di avere come punti di appoggio e di rifornimento per il naviglio subacqueo ¡Bari e ¡Barletta per le squa­driglie di Brindisi; Ancora e Porto Corsini per le squadriglie di Venezia.

Poco sviluppato era il servizio aereonautico nel 1914 e solo in seguito, superando notevoli diffi­coltà, vi si potè dare grande incremento. Per il poco materiale pronto nel settembre 1914, l ’ im- ipiego e la distribuzione era così prospettata:

«II servizio aereo potrà essere di grande ausi­lio informativo : oltre i dirigibili di Campalto (Re­gio Esercito) e di Jesi e Ferrara (R. Esercito ma di prossimo passaggio alla R. Marina), abbiamo una stazione di idrovolanti a Venezia, e si dispone per averne a Ravenna, Ancona e Brindisi. La R. N. Elba alla immediazione del comando dell’ armata pi sta approntando per ricevere quattro idrovo­lanti. Dirigibili e idrovolanti saranno anche prov­veduti della maggiore possibile quantità di mezzi offensivi.

La funzione di Venezia, punto di saldatura tra il fronte terrestre e il fronte marittimo, la cui capitale importanza risultò ben chiara durante la guerra e che anche nei momenti critici del conflitto in gran parte per opera della marina potè tenace­mente essere sostenuta, appare già nel concetto del capo di stato maggiore.

« Per la iniziale lontananza dell’ armata e la probabile vicinanza del nemico, nonché per la fun­

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zione territoriale della piazza di Venezia, il suo comandante eserciterà nei riguardi delle operazioni offensive sia siluranti che litoranee con navi leg­gere, azione indipendente dal comandante dell’ar­mata sintantoché questi opererà nel basso Adria­tico ».

In base ai concetti esposti, in questo primo esame di operazioni, dal settembre 1914 al maggio 1915 si sviluppò di conseguenza la nostra preparazione alla guerra, subendo tuttavia man mano quelle modifi­cazioni che gli avvenimenti sugli altri teatri della guerra marittima suggerirono nei mesi successivi,

Tuttavia, fin da allora si delineava quella che fu la caratteristica della guerra in Adriatico.

Per 1’ Italia la necessità di considerare due zone di attività quasi indipendenti tra di loro e con ca­ratteristiche differenti; per l’ Austria la possibilità di concentrare le forze navali a seconda della con­venienza in una delle due zone con facoltà della scelta del momento per l ’ azione.

Vedremo in seguito come le due marine rivali risolsero ciascuna il proprio compito.

Sta di fatto che il golfo di Venezia al Nord e il canale d ’Otranto al Sud furono i punti di artico­lazione delle branche di questa morsa, con cui, per usare l ’ espressione di Ludendorf, l ’ Italia tenne stretta l ’Austria alla gola.

E questi due capisaldi del fronte italiano che non deve essere inteso (come comunemente se ne ha l ’ abitudine) soltanto dallo Stelvio al mare, ma

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più giustamente dallo Stelvio all’Albania, furono affidati alla marina.

Intorno ad essi più accanita fu la lotta.La marina austriaca applicò il giusto criterio

di mantenere la flotta in potenza. Ma tale criterio spinto al massimo grado finì col provocare il suo stesso annientamento.

La marina italiana in un primo tempo con grandi rischi e sensibili perdite cercò l’ azione deci­siva; in un secondo tempo passò al criterio del sof­focamento lento e metodico, che si mostrò efficace e ci portò alla vittoria.

* * *

Al primo esame di eventuali operazioni in Adriatico che abbiamo parzialmente riprodotto, fece seguito un secondo, ispirato alle nuove carat­teristiche che la guerra marittima nei vari teatri del conflitto aveva assunto ed allo sviluppo che assumeva man mano l ’ organizzazione del na­viglio e dei mezzi in guerra da parte della marina.

Questo secondo esame delle operazioni porta la data del 5 gennaio 1915 e viene riportato nei brani più salienti:

«Dal mese di agosto non pochi insegnatnenti ha fornito la guerra marittima svolgentesi nei mari del Nord, particolarmente sulle capacità offensive e difensive dei sommergibili e delle mine quando

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adoperate in gran numero. Nell’Adriatico poi, per la possibilità delle grandi navi di accedere al porto di Brindisi, va preparandosi un nuovo elemento a noi assai vantaggioso. Di questo nuovo elemento e dei sopradetti ammaestramenti, favoritici a spese e danno altrui, dovremo tener debito conto nei suc­cessivi studi di preparazione alla guerra in Adria­tico e modificare alcuni dei criteri esposti nel mio Esame di operazioni di guerra nell’Adriatico, scritto nel settembre scorso.

« La flotta austriaca non avrà convenienza ad attaccare battaglia, converrà invece ad essa mante­nersi in efficienza nella fortissima Pola; per co­stringerla ad uscire occorreranno diversivi da parte nostra ed azioni che portino a conseguenze gravis­sime per la monarchia austro-ungarica, ovvero la speranza di indurci a dare battaglia in acque da lei minate o facilmente minabili.

«L a flotta austriaca avrà ogni sua convenienza ad attaccarci nell’ alto Adriatico ed a tale scopo probabilmente inizierà le ostilità aggredendo Ve­nezia nella lusinga che noi interverremo a difesa.

«A lla sua sicurezza marittima Venezia dovrà provvedere da sè eolie batterie del fronte a mare, con banchi di mine opportunamente ancorati, non­ché con siluranti e sommergibili; questi e quelle però dovranno concorrere alla difesa di Venezia o f­fensivamente, dovranno cioè, gli uni di giorno, le altre di notte, mantenersi a contatto del nemico per aggredirne le navi maggiori non appena se ne pre­

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senti l ’opportunità. Tra Pola e Venezia si svol­gerà dunque una guerriglia di siluranti e som­mergibili.

« Nella ipotesi a noi meno favorevole, che cioè le grosse unità austriache rimangano inaccessibili entro la munitissima Pola, le perdite di siluranti, se numericamente uguali dalle due parti, torne­ranno in definitiva a nostro vantaggio; per con­verso noi dovremo assolutamente evitare che le no­stre navi maggiori siano esposte all’offesa dei sommergibili e delle siluranti avversarie.

«Mentre da Venezia si svolgeranno operazioni siluranti offensive contro la flotta di Pola ed il no­stro naviglio leggero e silurante procederà alla di­struzione od inutilizzazione delle basi minori Lus- sinpiccolo e Zara, a noi converrà mantenerci in potenza in posizione tale da coprire con contatto strategico il predetto naviglio medio e silurante me­diante qualche celere nave da battaglia di T classe tenuta in posizione avanzata. Solamente dopo pur­gate le coste dalmate sarà opportuna la costitu­zione di una base di rifornimento per l ’armata nell’ arcipelago dalmato superiore, base sicuramente difesa contro i siluri.

« I pratici moniti delle grandi navi che repen­tinamente si inabissano nel mare del Nord non de­vono per noi rimanere infecondi.

« Cattaro è la testa meridionale del sistema di difesa marittima che al Nord finisce a Pola e Ro- vigno; un attacco contro Cattaro che determinasse

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F intervento della flotta nemica, sarebbe per noi vantaggiosissimo : mancando i mezzi per tale attacco converrà che un gruppo di navi di potenza no­tevolmente superiore alle nemiche chiuse in Cat- taro, si tenga pronto ad assalirle qualora ne uscissero.

« A queste navi occorrerà una base di rifor­nimento che in primo tempo potrebbe essere Brin­disi stessa.

« Come già nel settembre scorso esposi nel mio Esame di operazioni di guerra nell9Adriatico, i no­stri sforzi dovranno tendere alla distruzione del ne­mico, ma se la battaglia di linea è il più desiderato mezzo, converrà tuttavia mettere preventivamente in atto ogni sforzo e mezzo secondario, per ferire l ’ avversario nelle sue unità maggiori ed impedire che lo siano le nostre.

« I l concorso che dalle navi attendono gli eser­citi antagonisti, vincola l ’ azione delle flotte a que­sti ultimi fini. Chiaramente apparisce quali diffi­coltà dovrebbe superare un esercito che da Mon- falcone a Trieste fosse battuto dal mare e come in tali condizioni sarebbe insostenibile la permanenza in quella città e quanto per converso sarebbe age­volata l ’ avanzata e la presa di possesso di Trieste dall’ appoggio di navi riunite. Onde non solamente la necessità di non esporsi a perdite (per mine o siluri) che non siano compensate da equivalente danno del nemico, ma il dovere di sfruttare la no­stra leggera superiorità in siluranti e in sommer­

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gibili per ottenere che qualche colpo ci assicuri la prevalenza di navi da battaglia sul nemico.

« Indicata la maggiore finalità dell’ azione della nostra flotta, conviene tuttavia bene affermare e stabilire che tale obiettivo non dovrà giammai tra­scinarci a mettere le navi da battaglia a repentaglio delle mine e dei siluri.

«N è mai la condotta della flotta dovrà essere subordinata a considerazioni di contrastare fugaci offese alle nostre coste e paesi indifesi. Vangelo delle operazioni della flotta dovrà essere sempre di arrecare il maggior danno al nemico ricevendone il minimo, il che si otterrà con l ’ aggressione da parte del naviglio sottile e silurante e con il serbare le navi maggiori per il combattimento contro le navi ».

In base alle direttive contenute in questo se­condo studio del capo dì stato maggiore il co­mando in capo dell’ armata iniziò la compilazione dei piani di azione per l ’ impiego particolareggiato delle forze navali componenti l ’ armata.

Anche tali piani non poterono essere definitivi, perchè fu necessario modificarli e adattarli alle mutate condizioni generali dell’andamento della guerra ed a quello particolare derivante dallo stato di approntamento delle basi con speciale riguardo a Brindisi.

Poiché agli alti comandi non era possibile il prevedere la data sicura dell’ entrata in guerra del- 1’ Italia, e l ’ apertura delle ostilità poteva avvenire

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in seguito a cause politiche in ogni momento, era necessario essere preparati a tutte le eventualità.

Naturalmente una delle costanti preoccupazio­ni dello stato maggiore e del comando dell’ armata era la questione di assicurare una base di opera­zioni alla flotta in Adriatico.

Si prospettò quindi in un primo tempo l ’ even­tuale necessità, finche Brindisi non era pronta, di cercare una base sulla costa o in qualche isola del­l ’ avversario.

Si svolse quindi un attivo scambio di idee e di proposte tra l ’ ufficio del capo di stato maggiore e il comando dell’ armata circa la convenienza mag­giore o minore di eseguire la prospettata azione sul territorio nemico.

Le località, su cui si era fermata l ’ attenzione dei capi militari, erano 1’ isola di Curzola e la Pe­nisola di Sabbioncello che si interpone tra Cattaro e l ’ arcipelago dalmato.

Sabbioncello si prestava in modo particolar­mente conveniente al blocco di Cattaro, operazione questa prevista nei primi tempi in relazione alla possibilità di investire Cattaro dal Lovcen.

L ’ azione del Lovcen comportava naturalmente l ’ invio di rinforzi e di artiglierie adatte ai Serbo- Montenegrini e richiedeva di conseguenza un no­stro sbarco ad Antivari.

La marina non poteva con le sole sue forze ese­guire l ’ occupazione stabile e definitiva di Sabbion­cello, che avrebbe provocata una logica reazione

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nemica oltre che con mezzi navali anche con for­ze dell’ esercito austro-ungarico.

Era quindi necessario, prima di decidere tale azione, avere la sicurezza della collaborazione e dell’ aiuto dell’ esercito, che almeno nel primo tem­po delle operazioni non era in grado di distogliere truppe dal fronte per tale impresa.

Infine le ben note vicende del fronte serbo­montenegrino resero vana questa possibilità d’azio­ne e lo studio per l ’ occupazione di Curzola e Sab- bioncello fu messo temporaneamente in disparte.

Vedremo poi nel corso della guerra come tale studio sia stato riesaminato e in base a quali avve­nimenti.

Il rapido progredire dei lavori a Brindisi fa­ceva intanto ritenere possibile che tale porto sa­rebbe stato quanto prima in condizioni di acco­gliere una cospicua quantità di navi. Veniva risolta in tal modo la questione della base nel bacino me­ridionale dell’Adriatico, senza la necessità di af­frontare i gravi rischi relativi ad un’operazione in forza sulla costa nemica. Tale impresa, anche se coronata da successo, non migliorava la situazione strategica dell’ Italia, ma ci lasciava nelle mede­sime condizioni che si verificavano 1 avendo come base meridionale ¡Brindisi.

1 Maggiori dettagli sugli studi compilati dal comando in capo dell’armata e sul relativo scambio di vedute con l'ufficio del capo di S. M. nei riguardi dell’ operazione per la presa di possesso

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Gli accurati studi, di cui abbiamo fatto esame e che in parte abbiamo riprodotto, si concretarono infine nel piano generale delle operazioni in Adria­tico, che dopo approvato dal governo fu sottopo­sto all’ esame di S. M. il Re che diede la Sua san­zione.

Il piano di guerra teneva conto delle esigenze superiori di carattere politico-militare e non sta­biliva i particolari per conseguire gli obiettivi in­dicati per non vincolare più del necessario il co­mando in capo dell’ armata, che aveva piena li­bertà d’ azione e di scelta dei mezzi opportuni a raggiungere gli scopi richiesti.

Riproduciamo integralmente l ’ importante e sto­rico documento che con la data del 18 aprile 1915 fu trasmesso al comando in capo dell’ armata.

« Parte I. — Criteri generali d’ ordine politico militare.

1°) La razionale condotta della guerra ma­rittima ed il conseguimento dei suoi obiettivi prin­cipali, non devono in guisa alcuna essere subordi­nati alla protezione delle città indifese e del lito­rale nazionale in genere.

Sarebbe grave errore, che potrebbe portare a disastrose conseguenze, se la flotta compromettesse

di località del territorio nemico, sono stati pubblicati da questo ufficio storico nel volume L ’attività della R. Marina dalla guerra libica a quella italo-austriaca riservato agli officiali,

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la sua efficienza assottigliandosi e logorandosi per accorrere a difesa di qualsiasi località minacciata.

Tuttavia le nostre forze navali dovranno prov­vedere a tale difesa, ogni qual volta possano farlo efficacemente — in relazione alla loro dislocazione del momento — purché non corrano rischio di su­bire danni superiori a quelli che presumibilmente infliggeranno al nemico.

Intese con queste riserve, le azioni di difesa costiera giovano, anziché nuocere, al consegui­mento deirobiettivo principale, dappoiché i danni e le perdite nelle azioni tattiche impegnate a tale scopo saranno almeno equivalenti.

2°) Il R. Esercito impegnerà tutte le forze disponibili per l ’ avanzata oltre il confine; e non può distoglierne, neppure in misura molto limita­la, per il conseguimento di altri obiettivi (sbarchi per invasioni diversive, occupazioni di isole o di altre località del litorale avversario ecc.).

3°) Le artiglierie occorrenti per attaccare il fronte terrestre di Cattaro non sono ora disponi­bili. Occorre inoltre tener presente che la difesa di Cattaro è stata di recente rafforzata anche sul fronte di terra; e che per assalire quest’ultimo oc­corrono oltre le artiglierie mezzi sussidiari di una certa importanza.

Per conseguenza tale operazione non deve, al­meno per ora, essere considerata. Si faranno se del caso ulteriori comunicazioni al riguardo.

4°) È assolutamente da proscriversi l’ attacco

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dal mare di piazze forti marittime, a meno di cir­costanze che non è possibile determinare preventi­vamente, perchè dipendenti da avvenimenti im­prevedibili.

5°) Le operazioni costiere sul litorale del­l ’avversario devono limitarsi alla distruzione, cat­tura o requisizione di tutto ciò1 che può comunque giovare all’ azione! bellica del nemico ; escludendo il bombardamento deliberato delle abitazioni priva­te. Se, per misura di rappresaglia, si riterrà oppor­tuna quest’ azione, il comando supremo farà a suo tempo le comunicazioni del caso.

Nell’ azione bellica suindicata, devono escluder­si i cantieri navali di Monfalcone e Fiume, e le navi che sono quivi sullo scalo, perchè sarà assai più conveniente impadronirsene che distruggerle.

6 ) Occorre impedire, per quanto è possibi­le, che navi nemiche riescano ad uscire dall’Adria­tico per esercitare azioni offensive sul litorale e nei porti del Jonio e del Tirreno e gravemente con­trastare e danneggiare in quei mari la nostra ma- vigazione commerciale.

Il conseguimento di questo obiettivo ha speciale importanza, nei primi 20 giorni successivi all’ or­dine di mobilitazione; dappoiché in quel periodo si effettueranno per via di mare notevoli trasporti di truppe tra alcuni porti del Tirreno.

In Adriatico la nostra navigazione commerciale sarà completamente sospesa, almeno fino a quando non si sia conseguito in misura sufficiente il domi­

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nio del mare. È quindi da escludersi qualsiasi mi­sura di protezione della stessa.

7°) Non è da escludersi che forze navali di altre marine siano aggregate alla nostra armata per la campagna in Adriatico, restando sempre de­voluto il comando in capo al comandante della no­stra armata. A tempo opportuno, si faranno le co­municazioni del caso al riguardo.

Parte II. — Obiettivi.

1°) Obiettivo primo ed essenziale dev’ essere la distruzione delle forze navali nemiche. Per con­seguenza, qualunque reparto dell’ armata dovrà sempre impegnarsi a fondo con forze di efficienza lattica all’ incirca equivalente, senza troppo preoc­cuparsi dei danni e delle perdite che dovrà neces­sariamente subire, per distruggere l ’ avversario o quanto ¿meno metterlo fuori combattimento.

Questo criterio ha speciale importanza per il naviglio silurante e per il naviglio leggero in ge­nere.

2°) Subordinatamente al conseguimento di questo obiettivo principale si dovrà :

a) distruggere o danneggiare le sistemazio­ni costiere situate in luoghi indifesi o tutt’ al più protetti con opere occasionali, che comunque pos­sono facilitare l ’azione del nemico, ed in partico- lar modo quelle sistemazioni che sono utili alle siluranti.

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Affinchè le forze impiegate in tali operazioni non corrano rischi eccessivi, occorrerà provvede­re che esse possano trovare adeguato sostegno ed appoggio presso reparti di navi maggiori opportu­namente dislocate e perciò tali operazioni dovran­no eseguirsi nelle varie zone del litorale nemico, in relazione alla dislocazione del grosso;

b) infestare di mine quei paraggi che più probabilmente possono essere traversati da navi nemiche ;

c) provvedere ad opportuni servizi di esplo­razioni navali ed aeree per avere notizia della di­slocazione o dei movimenti delle forze nemiche, senza per altro spingere le esplorazioni navali ed aeree ad eccessiva distanza dal grosso, e tenendo presente che nei riguardi di Pola e dell’ alto Adria­tico provvederà anche il comando della piazza di Venezia, con i mezzi, invero limitati, di cui di­spone;

d) coprire (Brindisi da un eventuale attacco di reparti nemici relativamente poderosi in rela­zione all’ efficienza limitata del fronte a mare di questa piazza, regolando la ripartizione e la di­slocazione delle nostre forze in modo che un re­parto di efficienza equivalente possa accorrere pron­tamente a Brindisi, o quanto meno giungere in tempo a dare battaglia prima che il nemico rientri nelle sue basi.

Si fa presente che per Venezia non occorre tale provvedimento, dappoiché il suo fronte a ma­

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re e la sua difesa mobile sono assai più efficienti. L ’assistenza dell’ armata per la difesa di Venezia potrà tuttavia risultare opportuna, qualora il ne­mico proceda all’ investimento ed attacco sistema­tico della piazza, operazione d’altronde molto im­probabile ;

e) provvedere a quanto è detto nei comma 6“ e 7° della parte prima;

/) assicurare il dominio relativo dell’ alto Adriatico ed in particolar modo del golfo di Trie­ste, con opportuna dislocazione di forze almeno equivalenti a quelle avversarie rinchiuse in Fola; allorché le condizioni belliche navali consentiran­no, si dovrà appoggiare con operazioni costiere la avanzata del R. Esercito verso il cuore del territo­rio nemico.

Se le operazioni del R. Esercito procederanno conforme alle previsioni, tale necessità si manife­sterà probabilmente verso il 15° giorno dato che l ’ inizio della radunata segni il principio delle osti­lità.

Si faranno al riguardo più precise comunica­zioni a tempo opportuno, e si avverte fin d ’ora che almeno alcune navi dell’ armata di efficienza bellica relativamente secondaria potranno succes­sivamente essere destinate a concorrere alle opera­zioni costiere summenzionate, insieme alle unità che, anche per tale scopo, avranno sede preven­tiva a Venezia;

g) il comando dell’ armata riceverà sempre

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coipia delle istruzioni che saranno impartite ai co­mandi delle piazze di Venezia e di Taranto.

3°) Non si esclude la presa di possesso di ancoraggi situali sul litorale avversario, quando questa operazione possa risultare utile per l ’ ulte­riore condotta della guerra.

Si fa però presente che :1 ) alla difesa delle basi eventuali così costi­

tuite occorre provvedere essenzialmente con mezzi dell’ armata, non potendosi fare sicuro affidamen­to sul concorso del R. Esercito, che in ogni modo verrebbe in secondo tempo;

2°) può sorgere da un momento all’ altro la necessità di trasferire altrove il grosso dell’ arma­ta, abbandonando una base eventuale già costitui­ta, e buona parte almeno del materiale sistemato in mare od in terra per la difesa — che ben diffi­cilmente si riuscirà a rimbarcare — e rimarrà fa­cile preda del nemico;

3°) i rifornimenti ed i servizi logistici delle basi sul litorale avversario saranno molto precari sinché non sarà stata ottenuta una sufficiente pa­dronanza del mare.

¡Perciò, almeno nella prima fase delle opera­zioni, quando probabilmente gli intendimenti del nemico non saranno ancora chiariti, e si presen­terà più facilmente la necessità di dislocare altrove il grosso, conviene escludere impianti su territo­rio nemico, i quali potrebbero non essere ancora pronti, quando già si presentasse la necessità di ab­

22 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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bandonare la base; e si dovrà in ogni caso prov­vedere essenzialmente alla sua sicurezza con la difesa mobile o con un buon servizio di esplora- , zione avanzata.

Parte III. — Dislocazione iniziale e movimenti delle nostre forze.

1°) A meno che l ’apertura delle ostilità non ci sorprenda improvvisamente, il governo dispor­rà le cose in modo che alla dichiarazione di guerra una parte deH’armata possa essere già dislocata a Brindisi. Con i lavori in corso di ultimazione, que­sta piazza offre ancoraggio abbastanza conveniente e protetto in modo sufficiente dalle insidie subac­quee.

Le difese retali preparate per le due basi even­tuali, qualora ad esse si rinunziasse in tutto od in parte, potranno concorrere a meglio premunire e salvaguardare dalle offese subacquee quelle delle base Rossa, le piazze di Taranto e Brindisi, quelle della base Azzurra, l ’ entrata di Malamocco.

La scarsa difesa del fronte a mare e le condi­zioni idrografiche deH’ancoraggio di Brindisi, vo­gliono che assolutamente si eviti di farsi sorpren­dere da forze nemiche relativamente considerevoli con le navi in porto : bisognerà per conseguenza prevedere e provvedere un efficiente servizio di esplorazione avanzata.

2°) AH’apertura delle ostilità, meglio possi­

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bilmente con qualche anticipo, l ’armata assumerà la dislocazione stabilita dal comando in capo, per conseguire, limitatamente al basso e medio Adria­tico, gli obiettivi indicati nella parte seconda. In questa fase delle operazioni, la base di rifornimen­to e di appoggio sarà [Brindisi od eventualmente Taranto; non si esclude che in un secondo tempo anche dei rifornimenti, sempre però limitati, pos­sano essere eseguiti nella base eventuale quando essa sia stata costituita.

La convenienza di appoggiarsi a Taranto risul­terà tanto maggiore, qualora alla nostra armata siano aggregati reparti di altre marine, e ciò per la limitata capacità dell’ ancoraggio di Brindisi. L ’au­mento di forza in tale modo conseguito, consentirà di allontanare a turno senza inconvenienti alcune unità anche a distanza considerevole dalla zona di probabile azione tattica.

Occorre inoltre considerare che il periodico ri- fornimento a Brindisi, o meglio a Taranto, sia pure ad intervalli relativamente lunghi, consentirà di concedere al personale brevi periodi di riposo, utilissimi per rinfrancare le energie, durante una guerra forse non breve.

3°) Se il grosso avversario scende da Pola per cercare battaglia le conseguenze di questa saranno così decisive, che l ’ulteriore svolgimento delle ope­razioni dovrà subordinarsi ai risultati di essa. Il comandante in capo dell’armata provvederà sen­z’ altro in conformità di questi secondo meglio giù-

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dicherà in relazione all’ obiettivo principale che è la completa distruzione del nemico, ed il comando supremo farà appena possibile le comunicazioni del caso, circa l ’ ulteriore condotta delle operazioni.

4“) Se invece il grosso avversario continua a restare a Pola, il grosso dell’ armata rimarrà nel basso Adriatico, e provvederà al graduale conse­guimento degli obiettivi indicati nel capitolo se­condo, sempre limitatamente al basso e medio Adriatico, fino a quando non risulti necessario ap­poggiare da mare l ’ avanzata del R. Esercito.

Avvertito in tempo utile di tale necessità, il comando in capo dell’ armata provvederà a dislo­care opportunamente le forze dipendenti per il conseguimento dell’ obiettivo indicato nella parte seconda.

La dislocazione a Nord nelle vicinanze del gol­fo di Trieste di considerevoli forze navali italiane costituirà di per sè stessa un successo morale di prim’ordine, e poiché a questo si aggiunge il no­tevole vantaggio militare risultante dal consegui­mento dell’ obbiettivo F che è subordinato a tale dislocazione, è probabile che questo induca il ne­mico, se fino ad allora è stato rinchiuso in Pola, ad uscirne per tentare le sorti della battaglia, che è appunto quanto di meglio noi possiamo desiderare, pur di essere in forza sufficiente per avere ragio­nevoli probabilità di vittoria. A queste condizioni di conservare cioè il grosso delle nostre forze na­vali in capacità offensiva almeno equivalente a

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quella del grosso della flotta avversaria, dovranno essere subordinate le operazioni di guerra dell’ar­mata ed anche quelle intese a sostenere l ’ avanzata dell’ esercito su Trieste. Molteplici ed importanti considerazioni consigliano adunque di effettuare a tempo opportuno la dislocazione a Nord di forze navali proporzionate a quelle rinchiuse in Pola.

Nel caso improbabile, ma non impossibile, che il grosso delle forze avversarie lasci Pola e riesca a rifugiarsi a Cattaro, occorrerà naturalmente pro­porzionare a tale dislocazione la forza dei nostri reparti dislocati a Sud ed a Nord.

Roma, 18 aprile 1915.

Il Ministro: f . to V i a l e » .

Prima di chiudere questa parte dedicata agli studi svolti e agli accordi presi tra gli alti coman­di, daremo un breve cenno degli studi e degli ac­cordi intercorsi tra le autorità della R. Marina e lo stalo maggiore dell’ esercito per la collaborazione in guerra.

Qualche scambio di idee era già avvenuto Iralo stato maggiore della marina c quello dell’ eser­cito prima ancora dello scoppio del conflitto euro­peo. Gli studi su tale argomento furono ripresi do­po l ’ agosto 1914 e si concretarono nelle istruzioni di massima emanate dall’ufficio del capo di stato maggiore della marina intitolate : « Impiego bellico delle navi, siluranti e mezzi aerei dislocati a Vene­

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zia » e stabilivano i criteri da seguire per la di­fesa del litorale limitrofo alla piazza e l ’ appoggio che la R. Marina avrebbe dovuto dare alle opera­zioni militari terrestri.

In conseguenza di tali accordi, lo stato mag­giore disponeva la costituzione di una divisione speciale composta di navi antiquate, ma adatte a cooperare con l ’avanzata dell’ esercito oltre la fron­tiera.

Di tale argomento vi è già accenno nei piani di operazione riportati precedentemente (vedi pa­gina 336).

Il contrammiraglio Patris venne designato al comando di queste forze navali e fin dal settembre 1914 si recò a Venezia per prendere contatto con il comandante designato d’ armata, generale Zuoca- ri, che all’ atto della mobilitazione doveva assumere il comando dell’ ala destra dell’ esercito. Furono esaminate, in relazione alle caratteristiche delle navi esistenti a Venezia, alcune località e partico­larmente Marano Lagunare e Porto Lignano per utilizzarle come rifugio e basi delle unità minori e dei galleggianti destinati al collegamento tra l ’ esercito e le forze navali.

Le navi che avrebbero dovuto costituire la di­visione speciale furono designate, riservandosi pe­rò di eseguire variazioni, tra le seguenti unità: Carlo Alberto, Marco Polo, Piemonte, Iride, le can­noniere lagunari Brondolo e Marghera e tre pon­toni lagunari armati con cannoni da 152. Questi

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pontoni costituirono il primo nucleo di quella nu­merosa flotta di natanti armati che durante la guerra contribuì in modo notevole a sostenere l ’ala meridionale del nostro schieramento terrestre, e di­venne elemento fondamentale della resistenza dellaIII armata.

Ad appoggiare ed a rafforzare il piccolo nucleo di unità ricordate era previsto 1’ invio a Venezia, in caso di necessità, che di volta in volta si mani­festassero, di altre unità maggiori, ma sempre an­tiquate, quali i tipi Sardegna, Filiberto, Garibaldi e Dandolo, che temporaneamente sarebbero state aggregate alla divisione speciale.

Verso i primi di aprile 1915 si iniziò uno scam­bio di lettere tra il generale Cadorna e il vice am­miraglio Revel, sempre sull’ argomento dell’ appog­gio che la marina avrebbe potuto dare all’ avanzata delle truppe verso Trieste lungo il litorale.

Il generale Cadorna nella sua prima lettera tra l’ altro così si esprimeva:

a Ma sopratutto quello che a me più preme, è di potermi valere della strada litoranea per la mar­cia su Trieste per la quale cosa occorre che questa strada non possa essere battuta dalle navi nemiche. Che se tale scopo si potesse raggiungere sia bloc­cando la flotta di Pola, sia con 1’ impiego di sotto­marini, sia spargendo mine lungo la zona litoranea sì che le navi nemiche non potessero avvicinarsi alla costa a tiro utile, giudicherei già efficace il con­corso della marina.

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« Ma tutto ciò è bene che io sappia fin d ’ ora, ed è perciò che ho creduto di porre il problema nei termini più concreti possibili, perchè Y. E. possa darmi affidamento sul grado di concorso che la ma­rina potrà dare alla III armata per il raggiungi­mento dell’ obbiettivo Trieste».

A questa e a successive richieste simili del ge­nerale Cadorna rispondeva definitivamente il vice ammiraglio Revel esprimendosi nei seguenti ter­mini : « il concorso della marina alle operazioni della III armata anche se limitato alla protezione della strada costiera non poteva risultare pieno ed efficace se non dopo aver conseguito il dominio, al­meno relativo, del mare sia con la battaglia vitto­riosa oppure con opportune dislocazioni del nostro grosso rispetto al grosso avversario. Per dare bat­taglia occorre però che il nemico intenda accet­tarla ed esca dalle sue munitissime basi.

La dislocazione del nostro grosso per assicurare almeno il dominio relativo del golfo, quando il grosso avversario fosse rinchiuso nelle sue fortezze settentrionali, è operazione resa difficile e rischio­sa dalla deficienza strategica del nostro litorale ri­spetto a quello strategicamente ottimo dell’ avver­sario » ; e concludeva assicurando che ad ogni mo­do si sarebbe tenuto conto al massimo delle esigen­ze dell’ esercito.

La convenzione navale che nel maggio 1915 era oggetto di trattative con i futuri alleati, faceva ri­tenere in seguito possibile il concorso nel basso

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Adratico di reparti di altre marine aggregati alle nostre forze navali e in base a tale possibilità l ’ al­tra divisione speciale, che fino ad allora al co­mando del contrammiraglio Millo aveva svolto ser­vizio nelle acque albanesi, composta delle navi S. Bon e Filiberto riceveva ordine di recarsi a Ve­nezia, ed in unione alla divisione dell’ ammiraglio Patris definitivamente costituita dalle navi Sarde­gna, Carlo Alberto, Marco Polo, Etruria, era po­sta agli ordini del comandante in capo della piazza di Venezia.

La divisione Millo giunse a Venezia nei primi di maggio. Il contrammiraglio Millo veniva nel frat­tempo nominato comandante della) divisione esplo­ratori dislocata a Brindisi, cosicché le due divi­sioni speciali, fuse in una sola, rimanevano sotto­poste al comando dell’ ammiraglio Patris.

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Capitolo Vili.

LA PREPARAZIONE E I MIGLIORAMENTI DEI MEZZI

GLI ACCORDI CON GLI ALLEATI

So m m a r i o :

Tentativi per aumentare il naviglio. — La preparazione alla guerra di mine. — Le torpedini. — I siluri. — L’aumento delle artiglierie. — I servizi logistici. — Gli uomini. — I lavori per ¡'approntamento delle basi in Adriatico. — La flottiglia del Garda. — L’aeronautica navale. — L’attività dell’ufficio III dello stato maggiore. —- Il patto di Londra. — La Convenzione navale. - - La crisi di maggio. — La mobilitazione e la dislocazione della flotta.

Mentre gli alti comandi svolgevano gli studi più adatti ad impiegare proficuamente il vasto com­plesso che costituiva la nostra potenza navale, nei porti, negli arsenali, nelle piazze forti e sulle navi, si esplicava una silenziosa ma costante attività in­tesa ad accrescere nei limiti del possibile la nostra potenza approfittando del periodo di tempo che la neutralità ci concedeva.

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Le necessità erano invero molte e non si poteva certo sperare, in sì breve tempo, di pervenire ad un grado di potenza tale da darci la certezza di una schiacciante superiorità sull’ avversario.

Una marina da guerra rappresenta un insieme di tradizioni, studi, esperienze, attività comples­se, mezzi economici, cure assidue e costanti, pre­parazione morale e materiale, frutto del lavoro di decenni; non è quindi possibile improvvisare flotte0 difese in pochi mesi, ma pur nulla doveva essere trascurato per affrontare la prova nelle condizioni migliori sia morali che materiali.

Appare ovvio che una delle prime preoccupa­zioni dello stato maggiore doveva essere quella di aumentare nel limite della possibilità le forze na­vali.

Nel capitolo VI, ove abbiamo fatto l ’ esame del­la flotta italiana in confronto a quella austriaca, risulta chiaramente qual fosse la necessità di au­mentare il nucleo più moderno delle navi di linea.

Mentre a tale scopo erano sollecitati al massimo1 lavori di allestimento della IV nostra nave ino- nocalibra, la Conte di Cavour, nell’ arsenale di Spezia venivano condotte trattative per l ’ acquisto delle due navi da battaglia Moreno e Rivadavia che la Fore River Company aveva costruito a New York per la Repubblica Argentina.

Ostacoli frapposti da una grande Potenza stra­niera, al fianco della quale abbiamo combattuto, non ci consentirono di conseguire lo scopo che

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avrebbe notevolmente migliorato la nostra situa­zione relativa in fatto di navi da battaglia.

La Cavour, frattanto, ultimato l ’ allestimento, entrava a far parte nei primi mesi del 1915 del-I armata e su di essa il comandante in capo alzava la sua insegna.

Egualmente sollecitati erano i lavori per l’ al­lestimento delle due navi Doria e Duilio, quantun­que per il momento sembrasse poco probabile che tali unità potessero essere ultimate in tempo per poter prendere parte al conflitto.

Veniva invece sospesa la costruzione delle 4 unità della classe Caracciolo per destinare le mae­stranze ed i mezzi finanziari che vi erano adibiti al completamento ed alla costruzione del naviglio leg­gero e subacqueo.

Importanti lavori venivano contemporaneamen­te intrapresi a bordo delle navi maggiori già in servizio per migliorare la difesa subacquea, rinfor­zando la compartimentazione e il bilanciamento.II vasto impiego della guerra di mine richiamò su­bito l ’ attenzione sul naviglio destinato al dragag­gio. Eravamo, in tale campo, in condizioni defi­cienti rispetto ad altre marine per l ’ assenza di una flotta peschereccia a motore o a vapore, in Ita­lia non ancora sorta.

L’ ammiraglio Revel già nel 1913 aveva segna­lato tale lacuna, ma nel 1914 ancora non si era provveduto. Si riparò in parte a questa manche­volezza destinando le siluranti meno moderne al

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servizio di dragaggio, e adottando un dragamine a sciabica ideato dal capitano di vascello Bollo; tale apparecchio diede buona prova, ma permetteva il dragaggio soltanto a piccolissima velocità. Il navi­glio mercantile di piccolo tonnellaggio e precisa- mente qualche rimorchiatore, le poche unità pe- schereccie a motore, vari piccoli piroscafi addetti al cabotaggio e ai servizi locali furono requisiti e organizzati in squadriglie per il dragaggio delle ac­que prossime alle basi principali. Particolarmente grave ed urgente era la preparazione alla guerra di mine diventata un fattore assai importante nel con­flitto.

La situazione nei riguardi della dotazione di torpedini allo scoppio della guerra era decisamen­te precaria. Alla fine del 1914 non esistevano che 473 torpedini Elia e 522 Harlé, con le quali si do­veva provvedere alla difesa di Venezia, Brindisi, Taranto, utilizzando le vecchie torpedini elettriche isolate modello 1887 per i porti del Tirreno.

Mentre si sollecitava la consegna delle prime 200 torpedini Bollo, fornite dall’ industria priva­ta, ne veniva ordinato un forte quantitativo, così che con uno sforzo veramente considerevole prima della nostra dichiarazione di guerra, 1400 di tali armi erano già state consegnate alla marina. Essa così disponeva nel maggio 1915, tenuto conto delle Harlé e delle Elia, di un totale di circa 3000 armi moderne, quantitativo modesto in confronto alla cifra di 16000 torpedini esistenti nel 1918.

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Per un certo quantitativo di torpedini Bollo si era dovuto impiegare una carica di balistite anzi­ché di tritolo, in conseguenza del fatto che gran parte della produzione nazionale di questo esplo­sivo era stata requisita dall’amministrazione del­l ’ esercito.

Mentre veniva sviluppata limitatamente ai mezzi la dotazione delle mine, si provvedeva an­che al naviglio posamine.

Le cannoniere Brondolo, Marghera e Castore furono destinate a Venezia, il vecchio incrociatore torpediniere Tripoli a Brindisi, la Betta 5 a Ta­ranto. Per la posa degli sbarramenti offensivi era­no invece già destinate e allestite fin dal tempo di pace le navi Puglia, Liguria, Minerva, Partenope c Goito, ma la loro scarsa velocità fece subito com­prendere che non sarebbero state adatte allo scopo ed in conseguenza molto rapidamente si iniziò la costruzione di speciali sistemazioni per la posa delle mine a bordo di numerose unità leggere. Per rima­nere nell’ argomento relativo alle armi subacquee aggiungeremo che, appena scoppiata la guerra eu­ropea, si rese difficile il rifornimento dei siluri, ed in conseguenza si provvide a dare notevole svilup­po alla officina di S. Bartolomeo alla Spezia e a far sorgere a Napoli un altro stabilimento di co­struzione di tali armi.

Il quantitativo di 2000 siluri, di cui dispone­vamo prima dell’ entrata in guerra, fu però suffi­ciente ai bisogni.

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Di particolare importanza era stata, nel perio­do della neutralità, la necessità di aumento del materiale di artiglieria, per provvedere alParma- mento delle unità in costruzione e prossime ad en­trare in servizio e delle navi ausiliarie requisite, per migliorare l ’ armamento di alcune unità minori già in servizio, ed infine per provvedere a perfe­zionare la difesa del litorale adriatioo e la difesa antiaerea delle unità navali e delle basi.

Tali complesse necessità non poterono tutte e contemporaneamente essere soddisfatte nei pochi mesi di tempo che precedettero la nostra dichiara­zione di guerra, mediante la produzione di nuove armi, poiché l ’attività delle officine militari e del- 1’ industria privata era in gran parte assorbita da­gli urgenti e notevoli bisogni dell’ esercito, che più della marina aveva necessità di rinnovare molto materiale antiquato e provvedere al vasto sviluppo che l ’ artiglieria terrestre aveva assunto nei moderni eserciti.

La R. Marina provvide quindi a ciò che le oc­correva, impiegando tutte le riserve disponibili nei magazzini, e in un secondo tempo, in relazione alla situazione politica che man mano si delineava, ope­rando il disarmo di alcune fortificazioni del fronte marittimo occidentale per utilizzare i cannoni nelle sistemazioni difensive, che alacremente si stavano approntando o migliorando in Adriatico.

In parte col materiale di riserva e in parte con la limitata nuova produzione si potè tuttavia porre

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rimedio ad alcune deficienze nell’ armamento delle torpediniere, così che prima del 24 maggio 1915 varie torpediniere a. m. avevano sostituito il vec­chio armamento composto di 3 cannoni da 47 con due pezzi da 76.

Anche sulle torpediniere costiere P. N. si vide la necessità di aumentare l ’ armamento d ’artiglieria, e l ’ unico cannone da 57 fu sostituito in seguito in varie unità con 1 o 2 cannoni da 76/30 a. a. di un tipo nuovo, che la R. Marina aveva progettato e fatto costruire per l ’ armamento dei sommergibili. Questo ottimo cannone di piccolo calibro, dotato di notevoli qualità balistiche in relazione alla li­mitata lunghezza dei soli 30 calibri ed alla conse­guente leggerezza, fu subito riprodotto in 162 esem­plari che durante la guerra servirono ad armare, oltre le siluranti, anche i sommergibili, i treni ar­mati, quando questi entrarono in servizio, ed in­fine) gli autocarri per la difesa a. a. mobile.

Più notevole ancora nei riguardi delle piccole artiglierie fu la portata dei provvedimenti intesi a dotare al più presto la marina di una conveniente quantità di cannoni antiaerei navali.

Fin dal marzo 1915 con sensibile anticipo ri­spetto all’ epoca in cui anche il R. Esercito inco­minciò ad introdurre in servizio le artiglierie a. a ., la R. Marina potè provvedersi in misura rapida­mente crescente di complessi da 76/40 a. a. An­che questo tipo di cannone corrispose nel modo più completo alle esigenze della guerra, tanto che in

23 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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un successivo tempo il numero dei complessi ordinati raggiunse il totale realmente notevole di 1400.

Contemporaneamente si provvedeva a modifica­re gli affusti dei cannoni da 47 e 37 per adattarli al tipo antiaereo. Eguale provvedimento fu preso per gli affusti delle mitragliere.

Mentre si svolgeva questa complessa, silenzio­sa, ma pur grandiosa attività per dotare la marina di un più completo e perfetto armamento, si in­tensificavano gli studi ed i provvedimenti intesi a migliorare la direzione del tiro navale, ancora mol­lo rudimentale nel 1914, ed a modificare sia a bordo die a terra i sistemi di trasmissione d ’ ordini, in­troducendo in servizio nuovi apparecchi, tra cui in modo particolare ricorderemo i tavoli previso­ri, gli indicatori elettrici di brandeggio, i fonici del fuoco, e sul naviglio sottile i trasmettitori idrauli­ci; nel campo del tiro antiaereo si adottarono te­lemetri monostatici speciali, i grafogoniometri e vari tipi di regoli per la determinazione dei cur­sori.

Il servizio di scoperta notturna sia navale che aerea fu sensibilmente migliorato aumentando la dotazione dei proiettori, perfezionando quelli esi­stenti con l ’ applicazione di lampade ad arco raf­freddato e con 1’ introduzione di proiettori mobili nella difesa costiera. Di questi furono costruiti nu­merosi esemplari provvisti di proiettore zenitale da 150. Essi furono in seguito adottati anche dal Re­

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gio Esercito che riprodusse il tipo costruito dalla marina.

Anche nel campo delle comunicazioni radiotele- grafiche l ’ attività fu notevole; dietro invito fatto dalla marina alla compagnia Marconi, il capitano di vascello senatore Marconi nel maggio 1915 por­tava in Italia una prima stazione a valvola che fu subito sperimentata e successivamente perfeziona­la ed adottata.

Contemporaneamente si iniziarono i lavori per sistemare una stazione R. T. sulle torpediniere d’al­to mare, su alcune P. N. e precisamente una per sezione, su alcuni sommergibili c su numerose unità ausiliarie e requisite; nel medesimo tempo si prov­vide ad aumentare la potenza delle stazioni R. T.ili cui erano dotati i oc. tt., che poterono così soddisfare meglio nel corso della guerra ai servizi di scoperta e di scorta. Per ultimo ricorderemo che già durante la neutralità si iniziarono esperimenti per 1’ impianto di stazioni R. T. sugli aerei.

Mentre si svolgeva l ’attività fin qui descritta intesa a migliorare l ’ eflìcienza del naviglio e l ’ or­ganizzazione difensiva del litorale, veniva intensi­ficata la produzione del munizionamento in relazio­ne all’ aumentata quantità di bocche da fuoco in servizio o prossime ad esserlo.

Particolare cura fu dedicata egualmente ai ser­vizi logistici di cui ricorderemo il più importante Ira essi, quello cioè dei combustibili.

I rifornimenti di combustibile, di cui 1’ Italia,

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com’ è noto, era nel 1914 ed anzi è quasi comple­tamente tributaria dell’ estero, divennero difficol­tosi per le non facili condizioni della navigazione dei neutri nei mari ¡percorsi dalle flotte dei belli­geranti. Tuttavia con accorti ed energici provvedi­menti la R. Marina potè aumentare le scorte esi­stenti.

Il quantitativo di carbone, che nell’ agosto 1914 nei depositi della marina ammontava a 423.000 tonnellate, nel maggio 1915 era stato portato a circa 500.000 tonnellate. Più difficile del riforni­mento del carbone era quello della nafta per la so­pravvenuta quasi impossibilità del trasporto dalla Romania.

Furono però intensificati i trasporti dal Texas a mezzo delle due unità della R. Marina Bronte e Sterope, alle quali si aggiunsero un piroscafo no­leggiato ed uno. sequestrato. Con tali provvedimenti si potè aumentare anche la dotazione di nafta, che da 105.000 tonnellate esistenti nell’ agosto 1914 salì nel maggio 1915 a 130.000 tonnellate.

Le razioni di carne in conserva furono più che raddoppiate e da un totale esistente nel 1914 di 1.500.000 circa, crebbero a un totale di 3.400.000 circa nel maggio 1915.

Anche la dotazione del vestiario subì un au­mento sensibile e per ultimo ricorderemo, per non tralasciare il servizio sanitario, che la dotazione complessiva dei letti negli ospedali e nelle infer­merie della R. Marina, che era di 1916 letti nel

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1914, fu portata, costruendo nuovi ospedali, au* mentando i padiglioni in quelli esistenti e adattando alcuni edifici requisiti, ad un totale complessivo di 3563 letti.

Il servizio ospedaliero della R. Marina con lo sviluppo che ebbe nel periodo della neutralità si manifestò durante il corso della guerra rispondente ai bisogni, di modo che non si verificò la necessità di altri ospedali in alcune località, eccetto che a Brindisi, dove vennero impiantate altre tre sezioni dell’ospedale secondario.

La marina potè anzi restituire, fin dall’ inizio delle ostilità, uno degli ospedali di riserva, il N. 3 (Albergo Danieli) di Venezia, e porre a disposizio­ne del R. Esercito i suoi ospedali di Lecce, che continuarono però ad essere diretti e gestiti da u f­ficiali medici della marina.

Nell’ estate 1914, allo scoppio del conflitto eu­ropeo, era sentita l ’ insufficienza numerica del per­sonale sia del corpo reale equipaggi, sia degli uf­ficiali. La marina si mise coraggiosamente alla ri­cerca di tutti i mezzi per fronteggiare le manche­volezze dei quadri, e vennero adottati provvedi­menti legislativi per ottenere il massimo rendimen­to dalle classi di leva e da quelle da richiamare; cosicché da un totale di 37.000 uomini sotto le armi nel luglio 1914 si era già arrivati ad un to­tale di 50.000 nel gennaio 1915. Quest’ultima ci­fra è però sempre lontana da quella di 125.000 uomini che erano sotto le armi nella R. Marina

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alla fine della guerra, quantitativo del resto non prevedibile nel 1915.

Più difficoltoso fu il problema degli ufficiali che, nonostante i molteplici provvedimenti presi e che portarono tuttavia notevoli aumenti, venne solo parzialmente risolto nel corso della guerra.

Per avere infine una più chiara e sintetica idea delle complesse previdenze che furono attuate tra l ’ agosto 1914 e il maggio 1915 per accrescere, in relazione alla più urgente necessità della nostra imminente entrata in guerra, i quadri del personale e le dotazioni di tutto il materiale in genere, dalle nuove costruzioni alle riparazioni del materiale esistente, dalle munizioni ai viveri e al vestiario, dalle armi nuove al materiale sanitario e di consu­mo, faremo il confronto tra le spese sostenute dal­la R. Marina nell’esercizio finanziario 1913-14 e le corrispondenti dell’ eserciizo 1914-15, anno del­la neutralità. Il bilancio consuntivo del 1914 dà un totale di lire 313.536.391, quello del 1915 dà un totale di lire 700.135.136.

La preparazione della guerra, brevemente rias­sunta dalle cifre statistiche che abbiamo riprodot­to, richiede di essere illustrata più particolarmente nei riguardi di alcuni argomenti che sono in stretta relazione con lo svolgimento delle operazioni na­vali la cui narrazione seguirà nei prossimi volumi.

Intendiamo parlare dei provvedimenti presi per migliorare le basi e la sistemazione difensiva del­

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l ’Adriatico in relazione alla nostra situazione stra­tegica.

A pag. 313-14 del precedente capitolo abbiamo riportata la situazione di fatto relativa alle condi­zioni nautiche e militari delle basi in Adriatico.

Nei riguardi di Ancona, constatata la difficoltà pratica di munirla di una organizzazione difensiva adeguata, si venne nella determinazione di dichia­rarla città aperta rinunciando perciò a tale base.

Le opere di difesa furono quindi radiate dal novero delle fortificazioni con decreto dell’ 8 no­vembre 1914 e, per non dare luogo ad eventuali equivoci nei riguardi della dichiarazione di città aperta fatta alle Potenze, alcuni giorni dopo fu anche abolito il comando difesa.

Le poche ed antiquate artiglierie delle opere di Ancona furono inviate a Brindisi per migliorare il fronte marittimo di quest’ultima piazza.

A Venezia furono spinti alacremente i lavori per l ’ installazione delle nuove e potenti artiglierie previste dal piano di riordinamento cosicché pri­ma del maggio 1915 la sistemazione difensiva del fronte a mare, se non proprio ultimata, era tale da dare la sicurezza che Venezia avrebbe potuto da sola sostenere l ’ attacco di forze navali nemiche.

Furono aggiunte tuttavia alcune batterie antisi­luranti di medio e piccolo calibro e si pose mano alla difesa a. a., il cui grande sviluppo fu però raggiunto solo nel corso delle ostilità.

Per quanto si riferisce alla sistemazione nau­

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tica di Venezia, piuttosto deficiente nell’agosto 1914, si cercò di provvedere subito.

I piani di operazioni da noi riprodotti avevano previsto il caso che esigenze belliche in relazione alla condotta delle operazioni terrestri richiedes­sero il concorso di un forte nucleo o addirittura di tutta la flotta nell’Adriatico settentrionale.

In tale caso era necessario preparare nell’ estua­rio di Venezia un conveniente ancoraggio per la flotta, al sicuro da attacchi di sommergibili.

II lavoro, condotto alacremente e con tutti i mezzi che fu possibile riunire a Venezia, consi­stette specialmente nell’ approfondimento mediante draghe degli ampi specchi d’ acqua agli Alberoni e nella messa a posto delle boe di ormeggio, per le quali, mancando le ancore di ferro di peso conve­niente, vennero usati dei grossi blocchi di calce- struzzo di conveniente forma che furono affondati nel fango.

Contemporaneamente vennero prese disposi­zioni per sbarrare l ’ entrata fra le dighe di Mala- mocco e fra quelle del Lido.

Malgrado però gli sforzi compiuti, non fu pos­sibile far trovare pronti all’ inizio delle ostilità gli ormeggi per la flotta; soltanto il 16 giugno 1915 potevano dirsi approntati 5 posti d’ ormeggio per navi tipo Cavour, 5 tipo Elena o Margherita ed 1 tipo Pisa.

Tenuto poi presente che, a causa della forte corrente di marea che si stabilisce a Malamocco

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Specialmente durante le sigizie, si sarebbero in­contrate delle serie difficoltà per mantenere ormeg­giato a ruota un cosi cospicuo numero di navi, ven­nero eseguiti degli scavi lungo tale canale portan­dolo a un fondale di metri 11.

Altri lavori di scavo vennero in tutta fretta eseguiti nei canali al Nord di Venezia per poter meglio avvicinare, per via interna, il confine ne­mico. Ai primi di maggio 1915 venne aperto un ca­nale fra Marano e la laguna di Ausa-Corno per galleggianti atti al trasporto di truppe.

Più complesse, gravi ed urgenti erano le ne­cessità di Brindisi, la cui importanza strategica è stata ampiamente (messa in evidenza negli studi e nei piani di guerra dello S. M.

Le deficienze di Brindisi erano molteplici, sia dal Iato militare, sia dal lato nautico, ed infine an­che dal lato logistico. Il fronte a mare era armato insufficientemente, l ’ accesso era troppo ampio per poter essere protetto bene contro eventuali tenta­tivi di forzamento, i fondali erano insufficienti, le banchine, i depositi, e le sistemazioni logistiche in genere limitatissime.

Non è possibile descrivere brevemente l ’ enorme e febbrile lavoro che fu svolto nei mesi della neu­tralità per trasformare Brindisi in una vera e pro­pria base navale capace di accogliere tutta o gran parte della flotta. Sta di fatto che Brindisi, che nell’ agosto 1914 poteva solo essere considerata come un buon porto di rifugio o una base secon­

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daria, era già nel maggio 1915 in condizioni di ricoverare una parte notevole della flotta e nel corso della guerra corrispose in modo sufficiente ai nostri bisogni.

Ci limiteremo a ricordare alcuni tra i princi­pali provvedimenti presi per migliorare Brindisi prima delle ostilità.

Nei riguardi del fronte a mare si provvide a rinforzarlo, sistemando due batterie di 8 obici da 280 complessivamente e dislocandovi la ex coraz­zata Italia e la corazzata Dandolo, come batterie galleggianti, alle quali si aggiunse la batteria gal­leggiante Valente, armata da 1 cannone da 305.

La ex corazzata Andrea Doria venne invece im­bozzata nella rada foranea come ostruzione che fu poi completata ed estesa con altri vecchi scafi.

La difesa antisilurante fu rinforzata con due batterie costituite dai 9 cannoni da 152 prelevati da Ancona.

Venivano nel frattempo concentrati a Brindisi tutti i mezzi di scavo disponibili nel Tirreno, in parte prelevandoli anche da Venezia, cosicché i fondali poterono rapidamente essere portati a 10 metri; contemporaneamente si provvedeva agli or­meggi, le cui ancore furono in parte tolte ad altri porti, in parte costituite, come a Venezia, con blocchi di cemento; per ultimo fu posto mano alla costruzione delle dighe foranee.

Anche a Taranto furono eseguite vaste opere di

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miglioramento alla difesa ed alle sistemazioni nau­tiche e logistiche.

Esaminati i lavori svolti o iniziati nelle basi maggiori, daremo un breve cenno anche per i porti di minore importanza.

La difesa di ¡Porto Corsini consistente in 2 bat­terie occasionali da 120 fu ultimata nei primi mesi del 1915, ed anche in questa località furono ese­guiti (miglioramenti nautici.

Saseno subito dopo la nostra occupazione fu messa in stato di difesa sempre per opera della marina, che vi pose un presidio e vi sistemò una batteria di piccolo calibro, una di medio calibro, una stazione foto-elettrica, una stazione R. T. e un posto semaforico. Anche a Yalona rimase un piccolo distaccamento di marinai e fu messa in opera una stazione R. T.

Oltre alle frontiere marittime rimaneva alla R. Marina il compito di provvedere all’organizza­zione militare navale del piccolo bacino di opera­zioni rappresentato dal Lago di Garda.

Durante il tempo di pace era già stata prevista in caso di ostilità la creazione di una flottiglia del Garda per vigilare la linea di confine del lago e le sue coste.

Questa flottiglia avrebbe dovuto essere costi­tuita dai piroscafi della società di navigazione del Garda, da requisire, ed ai quali si sarebbe dovuta aggiungere la squadriglia della R. Guardia di Fi­

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nanza composta di 2 vecchie torpediniere Torni- kroft e di un battello incrociatore.

Fin dal gennaio 1915 cominciarono gli appre­stamenti in modo che all’ atto della mobilitazione la flottiglia fosse pronta.

I piroscafi disponibili erano 6 complessiva­mente.

Finita la guerra, essi ripresero a percorrere le pacifiche vie acquee del Bcnaco ormai compieta- mente italiano, e tutt’ oggi alcuni di questi ancora in servizio, ripresa la loro bianca e civettuola ve­ste, trasportano sulle acque azzurre i turisti da una fiorita riva all’ altra; è perciò a titolo di cu­riosità storica che ne ricordiamo i nomi.

La flottiglia era composta di due piroscafi a elica Garda e Mincio e di 4 a ruote Italia, Zanar- delli, Euro, “Balbo.

I primi due furono armati con 3 cannoni da 57, 2 mitragliere e 1 proiettore; il terzo Vitalia* il più veloce fu armato con 2 cannoni da 57, 4 mi­tragliere e 1 proiettore. Furono tutti pitturati in grigio come le navi da guerra.

Sui rimanenti furono piazzati dei cannoni da 37, delle mitragliere e 1 proiettore.

II porto di Peschiera divenne l ’arsenale di ar­mamento della flottiglia, mentre come base di ope­razioni venne prescelta la baia di Sogno presso Mal- cesine, ove fu anche disposto ed organizzato un sistema difensivo contro eventuali mine alla de­

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riva, costituito da una leggera ostruzione di reti e da barconi.

Il comando della flottiglia fu assunto da un te­nente di vascello, mentre il comando delle singole unità fu affidato a capi timonieri della R. Marina.

* * *

La narrazione dell’ attività svolta nei dieci mesi di neutralità non sarebbe completa, se non si desse un cenno di quanto fu messo in opera per miglio­rare o meglio creare un’aeronautica navale, in realtà quasi inesistente nell’ agosto 1914.

Basti infatti pensare che in tale epoca la ma­rina non disponeva che di 14 idrovolanti di tipi così vari da poter dire che ogni idrovolante era il campione di un tipo a sè (Borei, Breguet, Curtiss, Albatros, Farman, Guidoni, ecc.). Le loro condi­zioni di efficienza non erano per tutti buone e scarse per tutti le qualità militari.

Questi 14 apparecchi erano suddivisi tra le grandi navi la stazione di Spezia © la scuola idro- volanti di Venezia.

Erano inoltre in servizio due aeronavi, l ’ una dislocata nell’ areoscalo di Ferrara, l ’ altra desti­nata a quello di Jesi, ma in realtà rimasta fino al 1915 a Vigna di Valle per le prove di collaudo.

Naturalmente, chiarito il nostro atteggiamento

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verso le potenze dell’ Intesa, la stazione di Spezia fu soppressa, ed i pochi apparecchi di essa vennero inviati in Adriatico destinando i migliori a Vene­zia. Frattanto veniva iniziata la costruzione di 10 apparecchi tipo Albatros e Curtiss, ma le poche ditte italiane costruttrici di apparecchi di aviazione avevano già forti impegni con l ’esercito e nessuna di esse era in grado di costruire buoni motori di aviazione.

Fu quindi necessario adattare il programma alle scarse risorse dell’ industria nazionale, e a quanto poteva acquistarsi sul mercato estero aperto (Stati Uniti); 1’ industria americana però, pur ac­cettando sempre nuove ordinazioni, intensificava la sua produzione a completo discapito della buona qualità, come si dovette purtroppo constatare non appena giunsero i primi materiali ad essa ordinati.

In definitiva, mediante lunghi e laboriosi ac­cordi col ministero della guerra per la suddivi­sione delle forniture presso 1’ industria nazionale, e mediante acquisti in America, fu possibile prov­vedere solo in piccola parte a colmare le lacune della aeronautica navale, ed all’ apertura delle ostilità la marina disponeva solamente di 30 apparecchi sempre di tipi svariati, e oltre alle due aeronavi già citate, di altri due tipi Forlanini in costruzione.

Gli apparecchi ed i motori Curtiss provenienti dalla produzione americana erano in parte ava­riati, in parte di costruzione scadentissima.

Gli apparecchi destinati alle navi maggiori ven­

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nero imbarcati sulla R. N. Elba approntata come nave porta-aerei, nave che in seguito nel corso della guerra fu sostituita da altra unità apposita­mente allestita e meglio attrezzata a tale scopo.

* * *

Mentre la marina da guerra viveva le giornate intense della sua vigilia d ’ armi sul mare, nell’ oscuro mezzanino dell’ antico convento di S. Agostino, r ufficio III dello stato maggiore seguiva con oc­chio vigile il traffico marittimo e la marina mercan­tile nazionale, preparando con una segretezza che fu mantenuta perfetta le complesse disposizioni ne­cessarie alla salvaguardia ed all’ impiego di que­sta in caso di apertura delle ostilità.

Occorreva essere pronti ad emanare un com­plesso di ordini e disposizioni che dovevano essere attuati in modo da non lasciar trapelare quali fos­sero i nostri intendimenti politici nei riguardi del­l ’Austria ma era nello stesso tempo necessario che pur non danneggiando il traffico, all’ apertura delle ostilità in qualunque epoca essa fosse avvenuta il naviglio nazionale non si trovasse a sostare in porti di nazione nemica.

Infatti, la marina mercantile italiana, sia per ragioni di opportunità politica, sia per convenienza commerciale, aveva continuato a svolgere un no­tevole traffico in Adriatico tra i porti nazionali e quelli austriaci; numeroso naviglio mercantile au-

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siriaco e germanico si era invece, allo scoppio della guerra nel '14, rifugiato in Italia per sfuggire alla cattura da parte di navi da guerra inglesi o fran­cesi. Lo stesso governatore marittimo di Trieste nel timore di un colpo di mano francese su Trieste, aveva avviato vari piroscafi austro-ungarici a Ve­nezia.

Era necessario per tale motivo assicurarsi que­sto naviglio come preda bellica, impedendo che tentasse la fuga e che fosse inutilizzato con atti di sabotaggio dagli equipaggi, e nel medesimo tempo impedire una equivalente rappresaglia da parte del­l’ avversario verso nostre unità del commercio che si fossero trovate nei suoi porti.

La mobilitazione semaforica di tutte le zone della R. Marina era già stata messa in atto fin dall’ agosto 1914, ed era stato iniziato il servizio di guerra. Sebbene in seguito durante la neutralità il servizio fosse stato un po’ ridotto, l ’ ufficio IV dello stato maggiore, a mezzo delle stazioni di ve­detta dell’Adriatico e dello Jonio, si mantenne co­stantemente al corrente di tutti i movimenti di navi mercantili nazionali e fu perciò in condizioni di notificare ad esse lo stato di guerra ed ordinare loro di rifugiarsi nei porti italiani.

Disposizioni opportune venivano contempora­neamente trasmesse, sotto forma di misure ammi- ministrative e di necessità statistiche, agli armatori, comandanti e consoli italiani delle città del litorale austro-ungarico.

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Con tali caute ed oculate misure, lo stato mag­giore fece sì che allo scoppio delle ostilità nessuna nave mercantile nazionale fosse catturata o seque­strata dall’Austria, mentre invece fu possibile al­l'Italia impadronirsi di 22 navi di bandiera austro- ungarica per un tonnellaggio totale di circa 45.000 tonnellate.

Altrettanto importanti furono i provvedimenti presi per la requisizione del naviglio nazionale per le necessità guerresche e logistiche e anche a que­sto riguardo l ’ ufficio IV dello stato maggiore do­vette superare notevoli difficoltà di carattere giuri­dico e amministrativo, perchè in Italia non esi­steva una legge speciale e moderna sulla requisi­zione del naviglio mercantile.

La marina mercantile italiana, prima che la guerra ne facesse la fedele, valida e silenziosa col­laboratrice della marina da guerra nel duro com­pito di assicurare al paese i mezzi di sussistenza, aveva attraversato nei primi mesi della neutralità una crisi dovuta in parte alle difficili condizioni del traffico create dalla guerra mondiale e in parte al malessere derivato nell’ambiente dei marittimi dalle influenze della propaganda politica sociali­stoide che incominciava a imperversare in Europa portando soltanto miseria, disordine e odio di classe.

La R. Marina, intervenendo con la requisizione di una certa quantità del naviglio mercantile, con­tribuì ad un miglioramento nel rifornimento ge­

24 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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nerale del paese, sia perchè la spinosa questione dei rischi di guerra venne parzialmente risolta avendo essa assunto a suo carico una forte aliquota delle assicurazioni, sia perchè intervenne anche nelle questioni tra gli armatori e la gente di mare.

Prima della dichiarazione di guerra all’Austria si era già provveduto a requisire ed in parte anche ad armare con personale militare, 200.000 tonnel­late di naviglio, di cui 160.000 tonnellate circa per gli approvvigionamenti e 40.000 tonnellate per il naviglio ausiliario della flotta. La complessa azio­ne che ci portò ad impadronirci di una notevole quantità di tonnellaggio mercantile austriaco senza che alcuna nostra nave del commercio venisse in possesso del nemico, rappresentò il primo successo ottenuto dallo stato maggiore nella lunga e sorda guerra marittima che per 4 anni sconvolse le pa­cifiche vie del traffico sui mari.

Ma non meno importante, anche se meno ap­pariscente, fu l ’ azione svolta per assicurare al paese nel difficile periodo della neutralità i mezzi di sus­sistenza alla popolazione civile che minacciava di esser travolta, sebbene non responsabile, dal ca­taclisma che sconvolgeva il mondo.

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L A C O N V E N Z I O N E N A V A L E

IL PATTO DI LONDRA

Il 4 marzo 1915 il nostro ambasciatore a Lon­dra marchese Imperiali, fallite dopo due mesi di inutili tergiversazioni da parte dell’Austria le trat­tative con gli antichi alleati orientali per la siste­mazione definitiva dei nostri interessi nazionali nei riguardi delle frontiere e dell’Adriatico, presentava al ministro degli esteri inglese, Sir Edward Grey, un promemoria nel quale venivano enunciate le condizioni richieste dall’ Italia alle Potenze del­l ’ Intesa per impegnarci ad entrare in guerra al loro fianco. Le nostre richieste trovarono ostacolo, spe­cialmente per 1’ influenza del ministro degli esteri russo Sazonoff, l ’ accanito difensore dell’ imperia­lismo degli Slavi del Sud contro di noi, nella que­stione che più ci stava a cuore e che aveva un’ im­portanza vitale per l ’ Italia, la questione adriatica.

Con tenace fermezza il ministro Sonnino con­fermava le nostre richieste circa la futura siste­

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mazione dell’Adriatico án un memoriale inviato agli ambasciatori italiani di Londra, Parigi e Pie­troburgo, memoriale che riproduciamo in parte per il suo alto interesse nei riguardi della politica na­vale italiana non solo del tempo passato, ma anche del presente:

« Il movente principale determinante la nostra entrata in guerra a fianco, dell’ Intesa è il desiderio di liberarci dalla intollerabile situazione attuale di inferiorità nell’Adriatico di fronte all’Austria per effetto della grande diversità delle condizioni fisi­che e geografiche delle due sponde dal punto di vista della offesa e difesa militare, diversità che è stata resa più grande dalle armi e dalle forme della guerra moderna. Pel resto 1’ Italia potrebbe pro­babilmente conseguire la maggior parte dei desi­derata nazionali con un semplice impegno di man­tenere la neutralità e senza esporsi ai terribili ri­schi e danni di una guerra. Ora non varrebbe la pena di mettersi in guerra per liberarsi dal pre­potente predominio austriaco nell’Adriatico quando dovessimo ricadere subito dopo nelle stesse con­dizioni di inferiorità e di costante pericolo di fronte alla lega dei giovani e ambizioni Stati ju­goslavi ».

Le conversazioni che avvenivano principal­mente a Londra continuarono a svolgersi con uno scambio di proposte e controproposte relative sem­pre all’ argomento dell’Adriatico, ma, mentre a Roma e a Londra si trattava per il nostro interven-

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to, i giornali russi svolgevano un’ attiva campagna tollerata dal governo russo contro il preteso impe­rialismo italiano! I capi militari delle Potenze del- l ’ Intesa Joffre, Kitchener e il granduca Nicola che attribuivano la giusta grande importanza al nostro intervento sollecitavano frattanto la risolu­zione delle trattative!

Questo contrasto di intendimenti, di vedute e di direttive tra le Potenze dell’ Intesa minacciò di far naufragare le trattative.

Da parte italiana eravamo rimasti nettamente fermi sui ¡punti più importanti e il presidente del consiglio Salandra nell’inviare nuove istruzioni a Londra le commentava con le seguenti frasi :

« Le potenze della Triplice Intesa debbono comprendere che non chiedendo noi alcun loro di­retto sacrificio pel nostro concorso, nè potendo esse per ora assicurarci alcun vantaggio concreto nel Mediterraneo orientale, unica seria ragione per metterci dalla loro parte trascinando la Rumenia è la esclusione dall’Adriatico di qualunque altra potenza militare. Non possiamo desiderare la sur­rogazione della rivalità con la Serbia alla rivalità con l’Austria, forse meno pericolosa perchè vec­chio Stato in decadenza ».

Il pertinace quanto astioso contegno di Sazonoff verso di noi, forse in quei giorni accentuato dal miraggio di una rapida soluzione del conflitto an­che senza necessità d’ intervento dell’ Italia, mi­raggio creato dai momentanei e fittizi successi dei

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russi nei Carpazi, fu tuttavia modificato dalla chia­roveggente ed efficace pressione del governo di Londra che, impersonato da Asquith, indusse Sa- zonoff sebbene a malincuore ad accettare il nostro punto di vista.

Si giunse così al 26 aprile 1915 giorno in cui a Londra venne firmato l ’ accordo noto col nome di « Patto di Londra ».

Riportiamo qui l ’articolo relativo alla conven­zione navale con gli alleati, ma in appendice, tra i documenti daremo il testo completo del Patto di Londra che, oltre all’ importanza storica può o f­frire tutt’ ora un notevole interesse per i lettori.

L ’articolo III dell’ accordo dice:«L e flotte della Francia e della Gran Brettagna

daranno il loro concorso attivo e permanente al- l ’ Italia sino alla distruzione della flotta austriaca,o fino alla conclusione della pace. Una convenzione navale sarà immediatamente conclusa a questo scopo tra la Francia, la Gran Brettagna e 1’ Italia ».

L ’ Italia s’ impegnava a entrare in guerra entro un mese dalla firma deiraecordo.

Il timore che l ’Austria, avuto sentore delle trat­tative che correvano tra noi e i nostri futuri al­leati, potesse prendere l ’ iniziativa ed assalirci im­provvisamente prima della mobilitazione e della radunata nel Veneto, cogliendoci così impreparati sul fronte terrestre, aveva indotto il presidente del consiglio e il ministro Sennino a condurre avanti le trattative con una segretezza assoluta.

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Ma questo scrupolo fu spinto al punto da non rendere partecipi delle trattative e in particolar modo delle clausole militari, neppure i capi di stato maggiore dell’ esercito e della marina, e tale fatto creò nei riguardi della cooperazione degli al­leati navali notevoli intralci e difficoltà.

L ’ espressione di concorso che le flotte alleate dovevano dare a quella italiana era suscettibile di molte interpretazioni, specialmente nella delicata questione del comando navale delle forze operanti contro l ’Austria.

D’ altra parte era per noi una questione della massima importanza non solo morale, ma anche materiale, il diritto di condurre la guerra contro la flotta austriaca secondo i nostri intendimenti e secondo i nostri scopi. Questi non sempre potevano coincidere con gli scopi degli alleati, che dopo un anno di guerra, in parte per necessità ed in parte per ragionamento, avevano limitato le loro azioni nell’Adriatico.

L ’ attenzione inglese era, oltre a tutto, assorbita in quei giorni dalla questione dell’ attacco ai Dar­danelli, ove le cose stavano prendendo una piega non molto buona, e che assorbiva in una dura at­tività le forze inglesi del Mediterraneo.

Rimaneva invece non molto attivo il grosso della flotta francese che, pur bramosa di acquistare giusta gloria e piena di spirito aggressivo, era però rimasta delusa nelle sue generose aspirazioni dallo difficoltà e dai pericoli incontrati in Adriatico.

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A rendere ancora meno agevole la situazione italiana nel corso delle trattative per la convenzione navale, contribuì infine la mancata comunicazione da parte del R. Governo al capo di stato maggiore della marina dell’ impegno assunto dall’ Italia di entrare in guerra entro un mese dalla firma del Patto di Londra ossia entro il 26 maggio. Il rap­presentante dello stato maggiore capitano di va­scello Grassi recatosi a Parigi il 26 aprile per in­contrarvi i delegati inglese e francese delle rispet­tive marine, apprese da questi che l ’ Italia sarebbe entrata in guerra entro un mese, cosicché solo in­cidentalmente, da un telegramma del comandante Grassi, il capo di stato maggiore venne informato della importante e impegnativa clausola della en­trata in guerra.

Il capitano di vascello Grassi aveva ricevuto dall’ufficio del capo di stato maggiore il mandato di richiedere un rinforzo agli alleati consistente in :

6 navi da battaglia; 24 cacciatorpediniere mo­derni; alcuni sommergibili, unità minori e idro- volanti.

Conosciuta tale richiesta, i rappresentanti della marina inglese dissero che, fino a quando 1’ im­presa dei Dardanelli era in corso, non potevano dare nessun aiuto. I francesi invece offrirono, non una frazione delle loro forze navali, ma tutta la flotta, chiedendo però il comando supremo delle operazioni.

Il terreno per svolgere trattative per noi con­

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venienti non era dunque molto favorevole, e d ’ al­tra parte l ’ offerta francese era conforme allo spi­rito dell’ articolo III del Patto di Londra che si prestava ad una interpretazione alquanto dubbia circa il concorso da dare alla flotta italiana.

Le trattative divennero difficili fin dallo inizio per le ragioni ora esposte, tanto da indurre il capo di stato maggiore ad ordinare telegraficamente al nostro rappresentante a Parigi di attendere or­dini ¡prima di firmare la convenzione navale. Con­temporaneamente egli si rivolgeva al ministro Sen­nino. con un promemoria di cui riproduciamo il brano più significativo ed interessante :

« Se pure riusciremo vittoriosi subiremo per­dite gravissime, il che avrà in seguito grande im­portanza politica perchè la Francia avrà una su­periorità marittima schiacciante e la farà certo va­lere a vantaggio dei suoi interessi e contrariamente ai nostri. Quando si discuterà il nuovo assetto po­litico ci troveremo anche male di fronte alla Gre­cia. Appunto in previsione di gravissimi inconve­nienti che potrebbero derivare in futuro, setnpre- ehè si è parlato di eventuale concorso di marine alleate, avevo indicato la necessità di assicurarci almeno 6 buone navi da battaglia e un poderoso concorso di cacciatorpediniere, e in genere di si­luranti e di naviglio leggero che è indispensabile per operare in Adriatico con l ’ energia necessaria a conseguire il dominio, almeno relativo, del mare senza esporre le navi maggiori a rischi eccessivi.

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«Qualora non si riuscisse ad ottenere che lo schema di Convenzione tuttora in discussione sia modificato nel senso suesposto, ritengo preferibile rinunziare a concludere e contare essenzialmente sulla nostra armata, qualora l ’ Italia dovesse pren­dere le armi».

A mezzo dei nostri ambasciatori a Londra e Parigi il capo di stato maggiore otteneva intanto che i governi inglese e francese dessero istruzioni ai loro delegati navali di modificare il loro atteg­giamento, minacciando di infirmare 1’ intero Patto di Londra per il mancato accordo sulle clausole della Convenzione navale; contemporaneamente venivano ridotte le nostre richieste a sole 4 navi da battaglia, 12 cacciatorpediniere, 3 esploratori, 6 idrovolanti, 6 sommergibili e 16 dragamine, sem­pre però nell’ intesa che tali unità fossero poste alla dipendenza del comando navale italiano.

Le 4 navi da battaglia che secondo la richiesta italiana avrebbero dovuto essere due del tipo mo­nocalibro e due del tipo Lord Nelson, si ridussero invece a 4 navi di linea di tipo non più recente. Queste unità non potevano dunque rappresentare un reale aumento di potenza della nostra flotta, che necessitava di navi moderne aventi una velo­cità almeno eguale a quella media delle nostre di­visioni corazzate dell’ armata.

Le navi di linea inglesi, poste alla dipendenza della nostra armata navale, avevano una velocità

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nominale di 18 miglia, non da tutte praticamente raggiunta.

Queste navi nel corso della guerra contro l ’Au­stria non trovarono mai pratica ragione d’ impie­go, essenzialmente a causa della deficienza in fatto di velocità, tanto che, in seguito, quando quasi tutte dietro richiesta della marina inglese furono tolte dalla flotta alleata (1’ italiana) per essere de­stinate ad altri servizi secondari, la marina italiana acconsentì senza difficoltà perchè l ’ assenza della divisione inglese non variava la relatività di po­tenza della nostra flotta rispetto a quella del ne­mico.

Quattro furono altresì gli esploratori: Darl- mouth e Dublin di recente costruzione; Sapphire e Amethyst di una classe antiquata (1902), di una velocità nominale di 22 miglia solamente. Il Dart- mouth, quando giunse a Brindisi, per le condizioni del suo apparato motore non poteva sviluppare che 21 miglia.

Dalla marina francese furono ottenuti 12 cac­ciatorpediniere, 6 sommergibili e alcune torpedi­niere antiquate.

Nessuna delle unità alleate giunse nelle nostre basi entro il 24 maggio, perchè la marina inglese subordinò 1’ invio delle sue unità alla sostituzione di esse nelle acque dei Dardanelli.

Da quanto abbiamo esposto risulta chiaramente che la marina italiana prese su di sè moralmente

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e materialmente tutto l ’ onere delle operazioni in Adriatico.

Oggi che la guerra è ormai lontana, dobbiamo essere riconoscenti a chi, con veggente intuito, osò condurre la marina italiana ad affrontare la lotta con forze forse inadeguate, rinunciando ad un po­lente aiuto di altre marine certamente utile, ma che ci sarebbe costato moralmente troppo caro e che in seguito avrebbe potuto trasformarsi in un pesante legame.

Riportiamo in appendice la relazione del capi­tano di vascello Grassi relativa alle trattative di Parigi per la Convenzione navale e il testo della Convenzione (documenti n. 26 e 27).

* * *

Gli avvenimenti narrati in questo primo vo­lume si avviano ormai rapidamente verso l ’ epilogo del 24 maggio.

Fin dal giorno 4 maggio era stato denunziato a Vienna il trattato della Triplice Alleanza, e le trat­tative con l ’Austria, durate ben cinque mesi, pote­vano praticamente dirsi fallite.

L ’Austria, sotto la pressione del governo ger­manico, aveva inutilmente e tardivamente tentato, con ulteriori promesse e col miraggio di nuove concessioni, di riallacciare queste trattative, ma sempre con l ’ esclusione a qualunque cenno sulla

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sistemazione del problema Adriatico. Non si po­teva ormai più sperare che l ’ importanza che aveva per noi tale questione fosse compresa dagli uomini di stato della duplice monarchia. Il governo au­striaco, nel continuare le conversazioni diplomati­che, aveva forse il solo miraggio di ritardare la nostra entrata in guerra e di creare in una parte dell’ opinione pubblica italiana la speranza di ot­tenere vantaggi territoriali senza ricorrere alle ar­mi, creando in tal modo una scissione nel Paese e delle difficoltà parlamentari al governo ormai im­pegnatosi con i futuri alleati,

L ’ Italia doveva dunque superare ancora una ardua prova morale, prima di giungere alle porte del tempio di Giano per sciogliervi il voto sublime avuto in eredità dai padri; l ’ unità della Patria e il ritorno di Roma all’ antico splendore.

La narrazione degli avvenimenti politici interni definiti con la nota espressione di crisi di maggio, quantunque sempre cosi viva e palpitante di in­teresse, esula dal nostro compito. Nel paese si discuteva, mentre sulle navi si attendevano in si­lenzio gli eventi. La mobilitazione graduale era pressoché compiuta e la dislocazione prevista delle forze navali in gran parte effettuata.

L ’ eccezionale gravità del momento trova riflesso nella disposizione che il capo di stato maggiore emanava il 15 maggio al comandante delle forze navali dislocate a Venezia :

«: La crisi politica che si è andata delineando

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in questi ultimi giorni raggiungerà, nei riguardi internazionali, il suo punto più critico il 20 corr., giorno stabilito per la convocazione del Parlamento.

« In conseguenza prego disporre che a datare dal 19 corrente le navi dipendenti da V. E. non prendano il mare per alcun motivo fino a quando la situazione politica non sarà chiarita.

« Le insidie dei sommergibili avversari sono specialmente temibili nei giorni che seguono im­mediatamente l ’ apertura delle ostilità ; resta quindi stabilito in modo assoluto che in tale eventualità le navi dipendenti da V. E. dovranno nei primi giorni della guerra restare chiuse nella base di Venezia; però se la piazza fosse attaccata potran­no, accorrendo nelle acque immediate, concorrere alla sua difesa.

« In questo frattempo il naviglio leggero e si­lurante potrà raccogliere preziose notizie sui cri­teri di impiego dei sommergibili avversari e sul loro spirito aggressivo: in pari tempo si organiz­zerà sempre meglio la caccia a queste insidiose na­vicelle e se esse si spingeranno di frequente al largo, o meglio ancora nei paraggi di Venezia, riu­sciremo forse a distruggerne qualcuna e ad atte­nuare il rischio delle loro insidie».

Ma fin dal 4 maggio, indipendentemente dalle formule parlamentari, la Nazione, per mezzo del suo Poeta, nel memorabile discorso di Quarto, a gran voce, soffocando le grida discordi dei neutra­listi pavidi, dei socialisti ignominiosamente proni

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al volere della internazionale rossa, aveva manife­stato la sua volontà, ed il grido della Nazione non rimase senza eco nel cuore del Re, che batteva al­l’ unisono con quello del suo popolo, come ne fa­cevano fede le alte parole del telegramma inviato da Sua Maestà in tale occasione.

Da Milano intanto sugli infiammati fogli del Popolo d ’Italia e nei comizi delle piazze, guidalo da un veggente, Benito Mussolini, un gruppo di animosi, primi tra essi gli eroi predestinati al sa­crificio Corridoni e Battisti, indicava alla gioventù la via sanguinosa e purificatrice che la Patria do­veva percorrere :

« Oh anno dei portentiOh primavera della PatriaOh giorni, ultimi giorni del fiorente maggio ».

I versi del vate che negli anni grigi tenne ac­cesa la fiamma sacra del ’ 48 ritrovarono la giova­nile freschezza nel 1915. Frattanto il ministero Salandra per le manovre parlamentari di una mi­noranza neutralista, era stato costretto a presen­tare le dimissioni il giorno 18 maggio.

Si delineavano giorni tragici e penosi per tutti coloro che avevano nel cuore la grandezza e l ’onore della Patria.

Ma la saggezza del Re che non accettò le di­missioni del gabinetto riconfermandogli la sua fi­ducia, salvò 1’ Italia dall’ ignominia verso cui si era tentato di condurla.

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Il 17 maggio dal Campidoglio, restituito dopo millenni a tutto il suo splendore simbolico, il Poeta guerriero pronunziò la magnifica orazione ammo­nitrice, e si arrivò così alla memorabile giornata della riapertura della Camera il 20 maggio, che si sciolse subito dopo il voto di fiducia al governo, al canto dell’ inno di Mameli.

Mentre a Roma si svolgevano tali avvenimenti decisivi per i destini della Nazione, il capo di stato maggiore inviava al comandante in capo dell’ ar­mata le disposizioni relative alle modalità di im­piego della flotta nei primi giorni della guerra. Queste disposizioni erano in conseguenza delle no­tizie di avvistamento di sommergibili austriaci per­venute all’ufficio del capo di stato maggiore.

Il 14 maggio l ’ ammiraglio Revel inviò infatti il seguente messaggio a S. A. R. il Duca degli Abruzzi, comandante in capo dell’armata : « Il R. Governo lascia a V. A. R. facoltà di disporre la dislocazione iniziale dell’ armata nel modo che ri­terrà preferibile.

«È noto a Y. A. R, che pochi giorni or sono fu accertata la presenza di un sommergibile au­striaco a poco più di 10 miglia Sud di Santa Maria di Leuca, altro sommergibile fu avvistato lungo le coste sicule di levante, altro, ancora, probabilmente germanico, fu avvistato l ’8 maggio a Sud delle co­ste meridionali spagnuole (paraggi dell’ isolotto di Alboran), e nelle ore pomeridiane del 10 corrente esso fu visto a 30 miglia a N.W. di (Biserta.

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« Si deve quindi ritenere che all’ apertura delle ostilità sommergibili avversari saranno già appo­stati sulle rotte probabili della traversata Taranto- Brindisi, ed in prossimità dei settori di accesso a queste piazze marittime.

« Reputo indispensabile stabilire in modo asso­luto che nei giorni immediatamente successivi alla apertura delle ostilità le nostre navi maggiori non dovranno muovere dalle basi per alcun motivo; e che la nostra azione navale dovrà limitarsi all’ esclu­sivo impiego al largo del naviglio leggero e silu­rante. S’ intende tuttavia, che se il grosso del­l’ armata sarà dislocato a Brindisi dovrà uscire per dare battaglia all’ avversario, qualora questi si pre­senti in forze poderose nelle vicinanze della piazza.

« Di questo primo periodo di temporanea inat­tività delle navi maggiori il sottoscritto assume piena ed intera responsabilità di fronte al Paese ».

L ’ armata al completo si dislocò a Brindisi il 17 maggio, ma le constatate difficoltà di manovra d’uscita per un numero così notevole di navi, in caso, d’ improvvisa sorpresa della flotta avversaria prima che pervenisse la dichiarazione di guerra, consigliò il comandante in capo a trasferirsi nuo vamente a Taranto il 19 maggio. Rimasero a Brin­disi le divisioni Brin, Garibaldi e Pisani, le di­visioni del naviglio leggero e le siluranti.

Il giorno 22 il governo emanava l ’ordine di mo­bilitazione generale ed il 24 l ’ Italia entrava in guerra.

25 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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S. M. il Re emanava il famoso proclama:

« Soldati di terra e di mare,

« L ’ora solenne delle rivendicazioni è inoliala.« Seguendo l ’ esempio del mio Grande Avo, as­

sumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con la sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra di­sciplina sapranno conseguire.

« Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’ arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio sa­prà di certo superarlo.

« Soldati!

« A voi la gloria di piantare il tricolore d’ Ita­lia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra, a voi la gloria di compiere fi­nalmente l ’ opera con tanto eroismo iniziata dai vo­stri padri.

« Gran Quartiere Generale, 24 maggio 1915.

V ittor io E m a n u e l e » .

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A P P E N D I C I

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A P P E N D I C E N . 1.

DOCUMENTI

Documento n. 1.Foglio n. 39 in data 30 marzo 1913, del ministro

degli esteri Di San Giuliano diretto al ministro della marina :

« Il Regio Ambasciatore a Londra 1 nel riferire circa l ’andamento delle trattative in corso per la delimita­zione S S E dell’Albania, dopo aver fatto cenno alla proposta francese di fare pairtire i confini del nuovo Stato dal Capo Kefali aggiunge che, a parer suo, si potrà forse venire ad una soluzione transazionale sta­bilendo una linea di confine che parta da Capo Stylos e raggiunga il confine interno da noi desiderato dopo aver deviato al Nord in modo da lasciare alla Grecia il distretto di Pagani.... ».

Documento n. 2.Foglio n. 36 P. S. in data 3 aprile 1913, del capo

di stato maggiore della marina diretto al ministro della marina:

1 Marchese Imperiali,

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« ....il concetto fondamentale più confacente ai no­stri interessi per il confine meridionale dell’Albania sem­brerebbe dover essere quello di rendere forte, il più eh® sia possibile, la posizione del nuovo Stato, sulla costa dominante lo specchio d’acqua compreso fra Corfù ed il litorale dell’ Epiro prospiciente....

« Perciò (ritengo che il confine meridionale albanese non dovrebbe essere stabilito nei riguardi litoranei troppo lontano dalle foci del Kalamas e che in ogni modo dovrebbe spingersi sufficientemente a S.E. del Capo Sylos, nella baia di Saiada, fino a giungere nelle vicinanze di Konispolis ».

Documento n. 3.,

lN. 43 in data 2 aprile 1913 del ministro degli esteri diretto al ministro della marina:

« Il Regio Ambasciatore a Londra nel aritornare sulla proposta transazionale di un confine greco-albanese par­tente da Capo Stylos, suggerisce l ’adozione di una clau­sola contenente la neutralità del canale di Corfù sotto la garanzia delle Potenze. A simile clausola 1’ Inghil­terra subordinò la cessione alla Grecia dell’ isola di Corfù che non può da essa venire fortificata.

« Ti sairò grato se vorrai fare esaminare dal capo di stato maggiore questo temperamento in relazione agli interessi della difesa nazionale, comunicandomene al più presto il parere».

Docuniento n. 4.

N. 38 P. S. in data 5 aprile 1913 del capo di stato maggiore dell« R. Marina diretto al ministro della marina ;

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« Gli interessi della difesa nazionale richiedono prin­cipalmente che nello stabilire la linea del confine greco- albanese siano mantenuti per quanto possibile intatti i principi generali su cui attualmente è basato l ’equili­brio dell’Adriatico. Uno di questi principi dovrebbe es­sere appunto quello che il dominio del canale di Corfù debba, almeno in parte, essere condiviso fra differenti Nazioni.

« Perciò per rispondere al quesito posto da S. E. il Ministro degli Esteri con il foglio 43 occorre ana­lizzare se la neutralità del canale di Corfù, assicurata da impegno collettivo ed individuale delle diverse po­tenze, può costituire un garanzia sufficiente per sosti­tuire o per giustificaire il sacrifizio, almeno parziale, del sopracitato principio fondamentale.

« La considerazione .esposta da S. E. il Ministro degli Esteri che lo stato di fatto attuale stabilisce di già la neutralità dell’ isola di Corfù in forza delle con­venzioni preesistenti.... non credo possa giustificare la completa rinuncia alla necessità che almeno il dominio del canale Nord di Corfù debba essere condiviso dalle due nazioni Grecia e Albania, perchè non mi sembra prudente affidarsi completamente ai soli vincoli deter­minati dalle convenzioni senza stabilire condizioni na­turali tali che li convalidino e che assicurino di per sè stesse sufficienti garanzie per i nostri interessi in ogni possibile eventualità.

« La clausola della neutralità dell’ isola di Corfù quando fosse completata dalla condizione che il domi­nio del canale Nord rimanesse contrastato fra le due nazioni, sembra di già sufficiente di per sè stessa ad escludere che nel canale di Corfù possa sorgere un vero centro di potenza navale.

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« L’estendere maggiormente il principio della neu­tralità__ potrebbe forse risultare più a svantaggio del­l ’Albania che della Grecia perchè verrebbe ad imporre una grave restrizione proprio nelle zone di confine la­sciando i corrispondenti tratti di territorio delle due na­zioni completamente esposti e scoperti, ciò che nel caso di conflitto fra di loro potrebbe risultare specialmente a svantaggio della nazione che ha meno risorse.

« In base alle precedenti considerazioni ritengo do­ver esprimere il parere che__ qualora l ’estendere ilprincipio della neutralità.... a tutto il canale di Corfù dovesse condurre alla rinuncia delle condizioni di di­videre il dominio del canale del Nord fra le due na­zioni, dovrebbe essere ritenuto molto più conveniente limitare la zona neutrale alla sola isola.... ed insistere per mantenere il confine, almeno lungo la zona costiera, da un punto non più settentrionale di Capo Stylos ».

Documento n. 5.Telegramma 178 in data 8 aprile del R. Ambascia­

tore a Parigi 1 al ministro degli affari esteri:« Se si dice che all’ Italia conviene che la Grecia non

si estenda oltre il fiume Kalamas si dice cosa giustis­sima. Ma non è egualmente giusto il dire che l ’estendere al litorale dell’ Epiro le garanzie che già la Grecia dette per 1’ isola di Corfù a nulla varrebbe. Tali garanzie avrebbero grande valore, perchè l ’ Italia e l ’Aiistria vi­gilerebbero perchè fossero rigorosamente applicate ed in caso di guerra alle flotte italiana ed austriaca sarebbe facilissimo occupare il canale di Corfù non fortificato. Certo, malgrado ciò, sarebbe migliore cosa che la Grecia

1 Tommaso Tittoni,

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non andasse al di là del Kalamas, ma la possibilità che noi possiamo ottenere ciò mi pare molto scarsa. Infatti data la necessità che nella questione delle frontiere dell’Albania meridionale si ottenga l ’accordo delle sei Potenze come per l ’Albania settentrionale e come per tutte le altre questioni balcaniche, e dato che l ’azione isolata di una o più potenze potrebbe facilmente con­durre ad una guerra europea, è conveniente che per ottenere l ’assenso delle sei Potenze nella questione del­l’Albania meridionale noi dovremo finire per accon­ciarci ad una transazione. A voler le frontiere al Ka­lamas sono solo le Potenze della Triplice. Le Potenze dell’ Intesa, pure non ammettendo ile eccessive pretese della Grecia, propugnano una soluzione conciliativa e non sono disposte a recedere da questo punto di vista. Abbandoneranno la soluzione conciliativa di Cambon quando ne verrà da noi proposta altra che ad essi convenga.

« Adunque se noi siamo risoluti di tenerci a qualun­que costo al Kalamas affrontando la responsabilità ed i rischi di una nostra azione isolata appoggiata dalla Ger­mania e dall’Austria ma senza l ’assenso della Triplice Intesa, possiamo attenerci ai rigidi pareri dei nostri Stati Maggiori. Se invece crediamo che la situazione ci renda impossibile sottrarci ad una soluzione conciliativa che ottenga l ’assenso unanime della Conferenza degli Ambasciatori a Londra, allora dobbiamo porre agli Stati Maggiori il quesito in forma diversa e chiedere loro quale potrebbe essere la soluzione conciliativa più vantaggiosa per noi e quali altre garanzie potremmo chiedere oltre quelle stabilite per 1’ isola di Corfù dai protocolli del 14 novembre 1863 e 25 gennaio 1860.

« L’osservazione che è stata fatta, che nella presente

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guerra detti protocolli non sono stati osservati, non ha valore perchè ciò è dipeso dal fatto che nessuna delle Potenze aveva interesse a reclamarne l ’osservanza... ».

Documento n. 6.Telegramma n. 46 in data 14 aprile del ministro

degli affari esteri al ministro della marina 1 :« La situazione politica attuale mi fa prevedere la

eventualità di non poter sostenere con successo il no­stro punto di vista di stabilire il confine Sud dell’Al­bania alla baia di Saiada e nemmeno quello del conte Bertchold 2 che tenderebbe a fare partire il confine stesso dalla baia di Kataito.

« Ciò posto debbo pregarti di voler studiare una nuova linea transizionale che parta a Sud di Butrinto e a Nord di Kataito e di formulare altresì un progetto concreto.... per la neutralizzazione del canale di Corfù ».

Documento n. 7.Telegramma 437 in data 22 aprile 1913 del R. Am­

basciatore a Londra:« .... ho pregato Ippen 3 di comunicarmi una descri­

zione della frontiera 4 quale fu approvata da Vienna, affinchè io possa sottoporla all’ E. V. e provocare suoi ordini.

« Prima di sapere esattamente intenzione definitiva di V. E,, non mi pare opportuno parlare a Cambon al quale occorre mostrare una descrizione della frontiera

1 Vice ammiraglio Leonardi Cattolica.2 Ministro degli affari esteri austro-ungarico.3 Esperto austriaco per le questioni albanesi.4 Terminante alla baia di Ftelia,

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da noi proposta. Se V. E. me ne conferma ordine co­mincerò col chiedere frontiera litorale baia Pagani, per arrivare, se occorre, fino al Capo Stylos che rimar­rebbe, ben inteso, albanese. Io sarei però d’avviso clic ■varrebbe meglio non mercanteggiare ma manifestare una buona volta circa frontiera laterale quali conces­sioni siamo disposti a fare ed a quali condizioni, di­chiarando però in pari tempo in modo categorico, che più oltre non ci è possibile andare e che a nessun patto andremo ».

Documento n. 8.49 P. S. in data 24 aprile 1913 del capo di stato

maggiore della marina:« ....questo ufficio.... ritiene che, in massima, vista

la necessità di adottare una soluzione conciliativa, non debba essere escluso il potere assegnare alla Grecia il distretto di Pagani purché però, in ogni caso, la punta Stylos segni sempre il massimo limite settentrionale del territorio costiero greco e che all’Albania siano asse­gnate le alture dominanti il Capo di Butrinto ».

Documento n. 9.Telegramma n. 437 in data 22 aprile 1913 del R. Am­

basciatore a Londra:« Ippen con il quale ho conferito sullo schema di

convenzione, elaborato dal nostro Stato Maggiore per neutralizzare il canale di Corfù, consente in massima a tutti gli articoli ad eccezione del 2° e 7°__x.

1 Circa proibizione transito delle navi da guerra nel canale di Corfù ed istituzione in quelle acque delle navi stazionarie delle varie nazioni.

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« Se V. E. approva, prego telegrafarmelo, perchè in tal caso si potrà procedere d’accordo con Ippeai alla re­dazione in francese dello schema di Convenzione da sot­toporre alla riunione come condizione che, insieme con rinuncia diritti Grecia su Saseno, Italia ed Austria su­bordinano concessione per estensione confine ».

Documento n. 10.Nota della Russia al Montenegro in data 10 apri­

le 1913:« La Conferenza degli ambasciatori ha ora assolto il

grave compito di delimitare le frontiere Nord e NE di Albania. Gli interessi di quest’ultima erano in opposi­zione con quelli del Montenegro e della Serbia, avendo entrambi questi paesi una tendenza.... alla espansione. D’altra parte gli interessi albanesi erano protetti daI-1 ’ Austria -Un gh eri a e dall’ Italia, le quali consideravano il mantenimento dello statu quo nelFAdriatico come un vitale interesse. Esse non ammettevano alcuna obbie­zione a tale proposito. Dopo alcuni risultati si pervenne ad un compromesso risultante da reciproche concessioni.

« Avendo consegualo Prizren, Ipek, Giacova, Diba agli Slavi, la Russia ritiene di dover consentire alla an­nessione di Seutari alPAlbania...

« I passi fatti presso il Re del Montenegro rimasero infruttuosi e risultò evidente che il Re basava i suoi cal­coli sulla ingerenza della Russia e.... anche sopra una guerra europea.

« — Il Governo Imperiale non può perdere di vista la propria responsabilità dinanzi al popolo russo, la quale impone che non venga versata neppure una goc­cia di sangue russo a meno che non lo esigano gli inte­ressi della Patria. La Russia.... non ha mai lesinato soc­

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corsi e sacrifici verso i suoi fratelli e questi hanno il dovere.... di rispettare i consigli di cui la Russia non abusa e di ricordarsi che se questa è fiera dei loro successi, questi non avrebbero potuto essere conseguiti senza la Russia che da vita ai popoli (ortodossi)— Co­sciente del suo assoluto dovere e della propria forza la Russia spera di non dovere passare dall’ inquietudine alla minaccia__».

Documento n. 11.Lettera 58831/1244 in data 25 ottobre 1913, del mi­

nistro degli affari esteri marchese di San Giuliano, al ministro della marina contrammiraglio Millo:

« Caro collega,

« Ricevo il tuo telegramma n. 848 col quale mi si­gnifichi.... che quando la squadra francese ancorerà a Rodi sarà presente in quel porto anche una nostra nave {Amalfi).

« Nel ringraziarti della cortese comunicazione, re­puto tuttavia necessario di farti presente che gravi ed importanti ragioni consigliano che analogo provvedi mento sia preso anche per Marmarice, Makri ed Adalia come ti scrissi precedentemente.

« In un momento in cui noi stiamo intensificando la nostra azione in Asia Minore ed in cui squadre poten­tissime quali 1’ inglese e la francese percorrono il Me­diterraneo Orientale, io considererei un errore che la flotta fosse rappresentata in quelle acque da una sola nave e che enei porti di Marmarice, Makri ed Adalia dove più si afferma la nostra influenza non sventolasse la nostra bandiera al passaggio più o meno immediato

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della squadra francese. Le ragioni da te eddotte sono certamente fondate, nè spetta a me il giudicarle, maio ti prego di voler tener presente anche quelle di po­litica generale che ti ho manifestato e non dubito che in vista di queste e del fatto che ultimate le elezioni verrà meno uno dei motivi indicati, tu vorrai e saprai provvedere perchè»'le nostre navi siano presenti.... a Rodi... a Marmarice, Makri ed Adalia.

« Ti sarò grato di una conferma ».

Documento n. 12.Lettera n. 4598 del comandante in capo della 2“

squadra in data 28 novembre 1913:« La divisione giunse a Rodi alle 14,30 del 14 no­

vembre. Il 17 alle 9,15 circa passò davanti a Rodi, di­retta a ponente, a circa 4 miglia di distanza, la squadra francese composta di 6 unità tipo Danton ¡ripartita su due divisioni. Salutata 1’ insegna dell’ammiraglio fran­cese (quando la squadra ci aveva oltrepassati col suo traverso senza accennare a salutare), la nave ammira­glia restituì subito colpo per colpo il saluto.

« __nel pomeriggio del 17 alla fonda a Marmarice,mi pervenne il seguente telegramma spedito da Scar- panto dall’ammiraglio comandante la squadra francese:

« L’amiral commandant in chef Armée navale fran­çaise, apprenant pax un radio telegramme saisi su pas­sage, que S. A. R. le Duc des Abruzzes est à bord de la Regina Elena prie S. A. de vouloir bien agréer ses très respectueux hommages».

« Risposi:« Le V. Amiral commandant la 2a Escadre Navale

Italienne remercie vivement l ’Amiral Commandant en chef l ’Armée française et le prie de vouloir bien rece-

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voir ses meilleurs complimenta et souhaits de borine tra*

versée. - Louis D e Savoie ».

Documento n. 13.

Telegramma del ministro della marina a S. E. il marchese di San Giuliano, ministro degli affari esteri, in data 21 gennaio 1913:

« In relazione telegramma n. 555 del R. Console Anielli, mi occorre far notare a V. E. che Sannio con truppe turche è partito da Augusta fin dal 18 corrente, e che data la scarsa potenza degli apparecchi radio-tele- grafici di tale piroscafo e della R. N. Agordat che lo scorta, non è sicuro poter comunicare per telegrafo senza fili l ’ordine di cambio di porto d’approdo.

« Si potrebbe invece telegrafare a Beirut in ma­niera che all’arrivo delle navi predette, queste doves­sero proseguire per Mersina. Credo però mio dovere far notare che sbarco delle truppe turche in quest’ul­timo porto invece che a Beirut (punto questo stabilito di comune accordo col Governo ellenico) le avvicine­rebbe di 250 miglia marine circa al teatro della guerra, inoltre che lo sbarco avverrebbe in prossimità della fer­rovia che renderebbe molto più rapido il trasporto delle truppe stesse alla capitale. Tutto ciò costituirebbe un fortissimo vantaggio militare per uno dei belligeranti.

« In tutti i modi, qualora si intendesse far sbarcare le truppe a Mersina, occorrerebbe provocare dal Governo ellenico l ’autorizzazione, per non esporre le nostre navi ad incresciosi incidenti.

« Il Ministro: Leonardi Cattolica».

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Documento n. 14.

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Navi die parteciparono allo sbarco di Tolmelta:

N aveN ome

del Comandante

R. N. Regina Elena................. C.V. MortolaR. N. R o m a ............................. C.V. GiavottoR. N. Vitt. Emanuele. . . . C.V. ActonTorp. O rsa................................. T.V. BianchiTorp. O rione............................. T.V. LedaTorp. Alcione. . ' ..................... C.C. MilanesiTorp. A lba tros ......................... T.V. ValentiniR. N. Bausan............................ C.F. BeileniR. N. E tru r ia ......................... C.F. SecchiCist. Verde................................. SottufficialeCist. B r e n ta ............................. id.Torpedin. « 48 T » ................ id.C.T. Aquilone. ......................... C.C. BonelliC.T. Turbine............................. T.V.Viscardi

Documento m. 15.

Piroscafi noleggiati :

N ome del piroscafo Comandante militare imbarcato

Accame................................. Ten. di Vascello RoeslerValparaiso............................. » » » GrenetMinas..................................... » n » PalermoLazio..................................... » » » TommasuoloRio Amazonas..................... » » » VolpeSolferino................................ » » » LuniniBologna................................ » » )) GaioA lb aro ................................. » )) » ZannoniCavour ................................. » )) » Cantele.Comigliano.........................Scutari.................................Titania.........................

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Telegramma 11. 13685 in data 20-5-913 (li S. E. Leo­nardi Cattolica, diretto all’ammiraglio Cerri:

« Radio Castel S. Elmo Napoli per ammiraglio Nave Umberto.

« Decifri da solo. Prosecuzione telegramma 13640 di ieri informo che Y. S. con sue navi potrà essere chia­mata a proteggere servizi di rifornimento od eventuali operazioni di sbarco a Marsa Susa in appoggio di nostre forze che dall’ interno della Cirenaica dove ora si tro­vano, potrebbero occupare Cirene, ed avere tagliate le proprie linee di comunicazione con Merg e Tolmetta. Accusi ricevuta ».

Documento n. 16.Rapporto del R. Ministro Allotti al ministero degli

esteri :cc 388. Diirazzo 6 giugno 1914. Ore 1 antimeridiane.« Ieri sera verso le otto il colonnello Muricchio rien­

trava in casa del cav. Alessi ove egli abitava, e poco dopo vi era raggiunto dal padrone di casa direttore della Posta italiana e dal prof. Chinigò.

« Passarono appena 10 minuti durante i quali il co­lonnello Muricchio ebbe il tempo di accendere due can­dele per darne uua al suo servo e portarne un’altra nel­l ’anticamera, quando egli si accorse che si bussava alla porta.

« Il Muricchio discese ed aprendo la porta disse ai poliziotti ed all’ufficiale olandese Fabius che era il te­nente colonnello Muricchio. In quell’atto il Fabius si precipitò per arrestare il colonnello Muricchio con i poliziotti che erano già penetrati in casa. Muricchio fece osservare che la polizia era entrata in una casa italiana e che aveva arrestato un ufficiale italiano. Fa-

26 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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bius cercò di allontanarsi dicendo che non lui ma la polizia operava l ’arresto. Allora il Muricchio fece atto di allontanarsi senza opposizione dei poliziotti. Vedendo il .Fabius che il Muricchio non usciva di casa, tornò in­dietro ripetendo l ’ordine di arresto. Muricchio e Chi- nigò furono allora condotti all'ufficio di polizia, mentre i poliziotti sequestravano varie carte. Muricchio chiese al1 ora 1’ intervento del console italiano. Fabius afferma che mandò in quel momento ad avvisare il console ma che non si potè recapitare 1’ invito a causa di un pranzo alla legazione a cui intervenivano gli ammiragli e il mi­nistro d’Austria.

« Allora io avendo udito da vari italiani di questo latto, feci chiamare alla legazione il colonnello Thomson che mi promise di regolare la faccenda dopo pranzo.Il marchese Durazzo verso le ore 9,30 si recò al posto di polizia, avendo il colonnello Muricchio insistito di voler la presenza dell’autorità consolare italiana al po­sto di polizia, prima di cedere all’ invito fattogli dal colonnello Thòmson di recarsi al consolato. Al marchese Durazzo appena giunto sul posto, il colonnello Muric­chio elevò formale protesta davanti al Thomson, a vari ufficiali olandesi ed a molti testimoni anche italiani, per i procedimenti usati verso di lui.

« Il Thomson, dichiarò da parte sua che, secondo il rapporto fattogli dal Fabius, il colonnello Muricchio era stato sorpreso in flagrante delitto contro la sicurezza dello Stato (segnalazioni fatte a mezzo di lumi con gli insorti con l ’alfabeto Morse dalla casa in questione) e che quindi la polizia, in considerazione anche dello stato di assedio, aveva diritto di arrestare senza avvisare previamente l ’autorità consolare.

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Il marchese Durazzo elevò subito formale protesta per violazione delle capitolazioni in seguito all’arresto di cittadini italiani ed a perquisizione domiciliare senza l’assistenza dell’autorità consolare. Siccome, in seguilo alla perquisizione, la polizia aveva sequestrato un pacco di carte, il colonnello Muricchio domandò che fossero suggellate dopo averle verificate una ad una, ciò che fu fatto. Il colonnello Muricchio riconobbe per sue tutte le carte tranne un taccuino che venne chiuso in piego a parte. Tutti i pieghi furono suggellati con il timbro del consolato.

« Recatomi verso le ore 10,30 con l ’ammiraglio Tri- fari al posto di polizia, feci protesta a mia volta per l’arresto di un ufficiale italiano, dichiarando che non ammettevo la scusa infondata della polizia che ai trat­tasse di delitto flagrante tanto più ohe il Thomson di­chiarò in nostra presenza che il Fabius aveva seguito per tre giorni consecutivi il segnalamento fino ad oggi. Allora chiesi la liberazione del colonnello, ina Thomson non consentì se non dopo avere avuto l ’autorizzazione del Principe, il quale fece dire che lo faceva per un favore personale verso di me dietro parola d’onore del colonnello Muricchio di tenersi a disposizione di una Commissione d’ inchiesta, nominata seduta stante.

« Ho domandato che le carte siano esaminate do­mani e 1’ inchiesta porlata immediatamente a conclu­sione.

« Ho incaricato il tenente Andreoli di seguire la procedura per evitare i soprusi che certamente si cer­cherà di tramare in questa occasione. Senza fare giu­dizio prematuro sui risultati di questa inchiesta ritengo che la gendarmeria cercherà di produrre testimonianze

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false per provare immaginarie segnalazioni agli insorti. Sono stati notati nella folla parecchi ufficiali austriaci travestiti, che si rallegravano dell’accaduto.

a Se dobbiamo fare delle ipotesi, dobbiamo credere che siamo in presenza di mi nuovo tentativo combinato a danno di italiani che si vorrebbero allontanare da Du­i-uzzo, compromettendoli insieme al nostro prestigio.

« Io credo che dobbiamo ottenere immediata e com­pleta soddisfazione, nel caso in cui nulla risultasse fon­dato nelle accuse. Prego V. E. di darmi intanto le istru­zioni che crederà del caso ».

Documento n. 17.Rapporto 11. 34 del 15 giugno 1914, dell’ ispettorato

siluranti:« Mi onoro informare V. E. che il nostro ministro,

Barone Allotti, ricevute dal Ministro degli Esteri le opportune istruzioni, ha domandato al Presidente del Consiglio dei Ministri albanese le riparazioni per 1’ in­cidente Muricchio.

« 11 Presidente Turkan Pascià ha fatto conoscere ieri sera al nostro ministro che il colonnello Thomson, interpellato dal Consiglio dei Ministri, aveva risposto che era pronto a scrivere una lettera di scusa al barone Aliotti solo perchè egli aveva violato le capitolazioni, ma nessuna scusa avrebbe rivolto per il colonenllo Mu­ricchio perchè egli lo riteneva colpevole di quanto era accusato e perchè gli era stato vietato di portare a con­clusione la sua inchiesta.

« Il nostro ministro per dare una pacifica soluzione all’ incidente, ha insistito presso Turkan Pascià perchè il Governo albanese convincesse il colonnello Thomson a fare le sue scuse nel senso desiderato, in caso con 4

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trario i l Governo italiano era costretto a domandare il

suo allontanamento da ll’A lbania.

« Il colonnello Thomson ha insistito nel s«o rifiuto di »orivere la chiesta lettera.

« Dietro invito del nostro ministro, stasera verso le ore 18 l ’ho accompagnato da Turkan Pascià che pre­siedeva il Consiglio dei ministri. TI barone Allotti ha esplicitamente deplorato 1’ ingiustificato rifiuto del co­lonnello Thomson ed ha invitato il Governo albanese a mantenere la sua promessa di dare completa soddisfa­zione al Governo italiano, visto che dall’esame dei do­cumenti era risultata lampante 1’ innocenza del Mu­ricchio dalla accusa mossagli.

Per evitare ohe il Governo albanese prendesse tempo a dare una risposta, come lè suo costume, il barone Aliotti ha chiesto che domani a mezzogiorno egli debba essere in grado di fare esplicite dichiarazioni al suo Go­verno in merito alle soddisfazioni che il Governo al­banese avrebbe dato per l ’ affare Muricchio.

« Per quell’ora quindi, il Governo albanese deve avere obbligato il colonnello Thomson a scrivere la let­tera di scusa, oppure deve aver scritta una lettera al Governo olandese per il richiamo immediato del capi­tano Fabius e per il richiamo del colonnello Thomson al più tardi per il 3 luglio, come ha domandato lo stesso Turkan Pascià, per sue speciali ragioni consistenti nel non privare Durazzo del capo della difesa in questi momenti critici.

« In questa seconda soluzione, il Governo albanese dovrebbe rimettere la questione nelle mani della Com­missione di controllo.

re Davanti al contegno energico del nostro ministro, Turkan Pascià ed i Ministri presenti si sono riservati

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di deliberare, assicurando però che domani a mezzo­giorno avrebbero fornito al nostro ministro la voluta risposta.

« Secondo il mio parere non è improbabile che il Governo albanese, trovandosi nell’ impossibilità d’ im­porre al colonnello Thomson la domandata soddisfa­zione del Governo italiano, presenti le sue dimissioni al Principe.

« Domani a mezzogiorno il ministro Aliotti sarà ri­cevuto dal Principe Guglielmo.

« Oggi verso le 15 i nazionalisti albanesi hanno tenuto un Congresso, nel quale hanno deliberato di fare una dimostrazione ostile agli italiani, qualora il Governo avesse deliberato il richiamo del colonnello Thomson ».

Documento n. 18.

Rapporto n. 39 in data 24 giugno 1914, dell’ ispetto­rato delle siluranti:

« Il governo albanese ha indirizzato al nostro mi­nistro una lettera nella quale è affermato che 1’ inno­cenza del colonnello Muricchio risulta anche dall’esame delle lettere e documenti sequestrati, e viene doman­data scusa per 1’ incidente e per la violazione delle ca­pitolazioni, rivolgendo l ’assicurazione che esso provve- derà affinchè non abbiano, in avvenire, a ripetersi tali deplorevoli incidenti.

« Lunedi scorso è arrivato a Durazzo il fratello del compianto colonnello Thomson; egli ha manifestata la sua gratitudine per le nostre sincere espressioni di cor­doglio per 1’ immatura perdita del suo caro congiunto e la sua alta stima a nostro riguardo, dolente che al­

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cuni malintesi abbiano potuto creare un deplorevole incidente ».

Documento n. 19.« L’odierna situazione politica è tale da obbligarci a

prevedere le pili gravi eventualità. E pertanto occorre tenere presente che la maggior parte dei nostri piro­scafi da carico trovasi ancor oggi in disarmo nel porto di Genova, esposta alle offese di un possibile avversario.1 piroscafi da passeggeri delle compagnie di navigazione, seguono tuttora il libero corso dei loro traffici normali.

« In caso di guerra con una potenza occidentale, dob­biamo attenderci un colpo di mano su Genova, che po­trebbe distruggere in poco tempo le navi ormeggiate in porto. Sarebbe perciò buona misura prudenziale fare Comprendere agli armatori, col dovuto tatto, che è nel loro interesse di trasportare al più presto i loro piro­scafi in porti neutrali, od anche il cambiar subito ban­diera, salvo a ricambiarla ancora a guerra finita.

« Nelle piazze forti di Spezia, Taranto, Venezia, po­chi piroscafi si potranno rifugiare, per lasciare posto alle navi da guerra. Sarà data la preferenza a quelli che per le loro caratteristiche potranno essere requisiti per servizi militari. In base a queste direttive, riservan­domi di comunicare l ’elenco dei piroscafi che potran.io rifugiarsi alla Spezia, Venezia e Taranto, dovrebbero il Direttore generale della Marina mercantile e l ’ ispet­tore dei servizi marittimi sovvenzionati in azione con­corde e con avvedutezza, consigliare agli interessati la condotta da tenere.

« Sulle esposte norme di massima, conviene definire l ’avvenire della Marina mercantile nella eventualità di guerra. F.to R evel ».

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Documento n. 20.

« Ho ricevuto istruzioni dal Segretario di Stato per gli Affari Esteri di affrettarmi a notificare al Governo del Re che il Comandante in capo britannico nel Me­diterraneo ha ricevuto ordini di rispettare i diritti di neutralità dell’ Italia. Il Governo di S. M., animato dal desiderio di assecondare al massimo grado le vedute del Governo italiano, ha inoltre proibito alle navi da guerra britanniche di incrociare a meno di sei miglia dalla co­sta italiana.

« Nel comunicare queste disposizioni a V. E. devo far presente che esse sono state impartite quale atto di cortesia verso il Governo ed il Popolo italiano, e che non implicano da parte nostra ammissione di sorta a riconoscere l ’estensione delle acque territoriali oltre il limite delle tre miglia. Ho l ’onore di approfittare di questa occasione per rinnovare a V. E. i sensi della mia massima considerazione. R e n n e l - R o d d » .

Documento n. 21.

Il ministro degli affari esteri, on. di San Giuliano, con telegramma 2869 del 14 agosto, concludeva:

« A suo modo di vedere il trasbordo di uomini del­l ’equipaggio del Mudros sul Goehen costituiva un atto di quelli che non sembravano consentiti secondo l ’ar­ticolo 18 della citata Convenzione, in quanto l ’effetto immediato e prevalente dell’atto stesso era quello di aumentare l ’efficienza guerresca di nave belligerante ».

Inoltre egli aggiungeva« __pur essendo lecito ad autorità estere di indurre

i propri sudditi all’adempimento di obblighi militari, non era peraltro lecito alle medesime di compiere atti

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coercitivi, come quello dell’ immediato arruolamento e incorporamento di marinai di una nave mercantile a bordo di una nave da guerra ».

Documento n. 22.(Ammiraglio Patris) - (13 novembre).« Le direttive comunicatemi dal Ministero degli Esteri

stabilivano che « quando se ne mostrasse l ’opportunità e fosse escluso il pericolo dei gheghi mussulmani, le re­gie navi sbarcherebbero i contingenti all’uopo imbarcati per occupare i punti strategici e città di Valona.

« L’ improvvisa venuta dei gheghi inviati da Du­razzo nella notte dal 2 al 3 corrente, giunti con piro­scafo italiano e sotto la tutela della Delegazione italiana, aveva rimandato, a mio modo di vedere, a tempo lon­tano il nostro sbarco. Ma la poco simpatica condotta dei gheghi, nonché le pressioni venute da fuori, fecero sì che la presenza di questi incomodi ospiti si riducesse a pochissimi giorni e così 1’ impressione dei soprusi da essi commessi si dileguò presto come la loro presenza.

« Sembrami che nessuna occasione migliore potesse favorire il nostro progetto che l ’esodo dei gheghi anzi- detti, ed io confesso che attendevo di minuto in mi­nuto l ’ordine di sbarcare.

« Contribuivano a formarmi questa opinione i sen­timenti che sapevo esistere in gran parte della popola­zione; il desiderio dei più di averci, e la fiacca ed im­belle opposizione che i pochi che ci osteggiavano avreb­bero potuto opporre.

« Senonchè gli ordini successivamente avuti dimo­strando la nessuna probabilità di occupare Valona, pro­fittando del desiderio espresso dal ministro Aliotti, di conferire meco, ieri 12 mi recai col Dardo a Durazzo,

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Ebbi colà occasione di visitare Essad Pascià in compa­gnia del ministro Aliotti e di intrattenermi con il mi­nistro parecchio tempo. Dalle minuziose esposizioni fat­temi dal ministro Aliotti, sembrami che la vera sor­gente delle preoccupazioni che fanno procrastinare l’oc­cupazione, debba attribuirsi all’affermazione fatta da Essad, che egli in tale evenienza si troverebbe obbli­gato dal partito giovane turco a marciare contro Va- lona con numerosi armati (da 10.000 a 15.000).

« Esorbita dal mio compito indagare e discutere ciò che non ha diretta relazione con le operazioni militari e tanto più quando come in questo caso a cotesto Mi­nistero debbono essere pervenute da fonte autorevolis­sima dettagliate notizie al riguardo.

« Mi sia lecito però, per quell’ interesse che è mio stretto dovere portare al buon esito della causa che sono chiamato a difendere, fare alcune argomentazioni che a mio avviso non collimano completamente con le deduzioni assunte a Durazzo.

« Non è ignorato da nessuno che in questi giorni, quando già trovavasi la Divisione a Valona, la Grecia ha sbarcato un contingente di truppe regolari a Santi Quaranta, inviandolo ad occupare Argirocastro. Tale fatto fu annunciato ufficialmente alle Potenze dal Go­verno ellenico. Inviati greci furono mandati in quelle località dove trovavansi i profughi di quelle provincie (compresa Valona) per invitarli a ritornare alle loro case.

« Se è vero che il Governo ellenico si è affrettato, occupando Argirocastro, a dichiarare che lo faceva sol­tanto provvisoriamente, per il buon ordine, e che avreb­be abbandonato il territorio allorquando necessario, in conformità al deliberato alla Conferenza di Londra, non è men vero che Essad Pascià dichiara, e la Legazione

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italiana mi Iva riferito, che tale occupazione sarà pro­babilmente stabile e ciò con il consenso dell’ Inghilterra.

« È da notare altresì che questi guerrieri mussul­mani che a detta di Essad Pascià dovrebbero precipi­tarsi su Valona se fosse da noi occupata, non sono cer­tamente pagati dalla Grecia, l ’occupazione territoriale della quale è rispettata, mentre è noto che buona parte delle spese di Essad potrebbero toccare molto vicino 1’ Italia.

« Di Essad Pascià ultimo difensore di Scutari, du­rante la mia permanenza colà udii parlare molto spesso, e certamente la biografia di questo uomo abile, furbo e poco scrupoloso è nota a tutti gli interessati. Dubito molto che colà possa, volente o nolente ritornare. Le sue fosche previsioni perciò io credo che dovrebbero essere messe ,, molto in forse ” , giacché esse non ser­vono ad evitare danni morali e materiali all’ Italia, ed a non metterla in posizione difficile, ma a mio parere servono a diminuire il prestigio che essa ha interesse di sempre più acquistare in queste popolazioni e a non dar forma concreta ai giusti desiderata della nazione ».

Documento n. 23.Rapporto del comandante della torpediniera au­

striaca N 2 al comando della difesa marittima di Pola:« Pola, 15 gennaio 1915. - Essendo di servizio di

comandata uscii alle ore 11,10 con l ’ordine di fermare e fare uscire dallo sbarramento un piroscafo che navi­gava eoe direzione N-W.

« Soffiava vento da NE forza 5 a 6, con forti piova­schi ie con mare grosso di prora a misura che la costa si allontanava.

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Alle 11,50 circa avvistai, appena emergente (lai va­pori dell’orizzonte e dalla pioggia, il profilo di un pi­roscafo con un fumaiolo, 2 alberi e castello e cassero elevati. Stimai la distanza a due miglia e la rotta se­guita dal piroscafo quella Nord.

« Poco dopo, mentre io ero appunto intento ad os­servare la variazione di rilevamento del piroscafo, al­l ’altezza del ponte di comando di questo si inalzò una nube di fumo, il piroscafo si stroncò in quel punto e si aprì in due e la parte prodiera andò a picco immedia­tamente. La parte poppiera si mise in posizione verti­cale con la poppa in alto ed affondò anch’essa rapida­mente. Non appena constatai lo scoppio della torpedine mi diressi sul posto dell’esplosione. Dall’esplosione della mina sino alla scomparsa del piroscafo non passarono più di 30 secondi.

« Dopo aver percorso due miglia fermai ed esplorai la località percorrendola a piccola velocità. L’ imbar­cazione era molto tormentata dal mare e imbarcava acqua. Non si poteva scorgere terra e quindi non si po­teva fare nessun punto.

« A cura del Comando della Difesa a. u. furono fatte altre esplorazioni sul posto. Furono rinvenute 3 im­barcazioni rotte, 6 salvagenti. Da un’ imbarcazione fu tratto vivo un uomo (il macchinista Alfieri). In un sal­vagente fu trovato un cadavere. Null’altro fu trovato ».

Documento n. 24.

Durazzo (Albania) luglio 1914

Casa R eale:Sua Maestà il Re Guglielmo I.Sua Maestà la Regina Sofia,

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2 figli (il principe Guglielmo Scanderberg, la princi­pessa).

Segretario civile: Sami Bey Wrioni.Aiutanti di campo:Maggiore Ekrem Bey Libohova.Capitano W. D. F. Heaton Armstrong - segretario mi­

litare.Capitano Salini Bey.Maresciallo di Corte: Von Trotha.Dama di compagnia: Signorina Von Oidtmann.M i n i s t e r o A l b a n e s e :

Primo Ministro: Turkan Pascià.Interni: Agii Pascià.Finanze: Filippo Nogga.Istruzione: Dr. M. Tourtoulis Bey.Lavori Pubblici: Midhad Bey Frasheri.Giustizia: Mufid Bey Libohova (dimissionario). Agricoltura: Abdi Bey Toptani.C o m m i s s i o n e i n t e r n a z i o n a l e d i c o n t r o l l o :

Inglese: Mr. Harry H. Lamb.Segretario: Mr. W. A. Fox-Strangways.

Francese: Sig. Leone Krajewski Germanico: Dr. Winckel.Austriaco: Sig. Augusto Kral.Italiano: Comm. avv. Alessandro Leoni.Russo: Sig. Alessandro Petriaew.

Segretario: Principe Nicolas Lobonov Rostov. Albanese: Mehdi Bey Frasheri.L e g a z io n i :

Rumenia: S. E. Bourghele, ministro.Bulgaria: Sig. Paulow, incaricato d’affari.

Sig. Petroff, segretario.

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Austria :

S. E. Riiter von Loeventhal, ministro.Barone Egon von Berger Waldenegg.Joan de Wettstein-Westersheimb.Sig. Stephen von Betegh.Sig. Bolgar Zitcokuky, console.

Italia:

S. E. Barone Aliotti, ministro.Marchese Durazzo, console.Tenente Andreoli Tenente Boscia addetti alla Legazione.

Francia: S. E. le Viscomte de Fontenay, ministro. Germania: S. E. von Lucius, ministro.

Sig. Kuotlie, segretario.

Serbia: Sig. Gravilawitch, incaricato d’affari.

A m m i r a g l i e s t a t i m a c g i o r i d e l l a s q u a d r a i n t e r n a ­

z io n a l e :

Inghilterra:

Contr’ A mmiraglio : E. C. T. Troubridge C. B.Capo di stato maggiore: Fawcet Wray.Segretario: W. M. C. Beresford-Whyte.Aiutante di Bandiera: F. P. C. Bridgeman.

Italia:

Contr’Ammiraglio: Eugenio Trifari.Capo di stato maggiore: Ruggero Ruggiero.Aiutante di Bandiera: Adolfo Cignozzi.

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Austria:Contr’ Ammiraglio : Seidensacher.Capo di stato maggiore: Dolenc.Aiutante di Bandiera: Schonte von Seebanke.

Comandanti di n a v i:

IngleseCapitano di vascello Fawcet Wray Defenee lenente di vascello Com. Muller Raccon.ItalianoCapitano di vascello Ruggiero R. V. Pisani.Capitano di corvetta Ruta Iride.1° tenente di vascello Ponza di S. Martino Misurata. Capitano di corvetta Ferrerò (par) 5a Squadr. torp. Capitano di corvetta Casano 6a Squadr. torp.Capitano di corvetta Laureati 9a Squadr. torp. Capitano di corvetta Cattellani (par) 10a Squadr. torp. Capitano di corvetta Menicanti (par) l l a Squadr. tor­

pediniere.AustriaCapitano di vascello Radon Sankt Georg.Capitano di fregata Kubelka Panther.Francia: Capitano di vascello Allaire Edgar Quinet. Germania: Capitano di fregata Kettner Breslau. Russia: Capitano di fregata N. Dimitrieff Teretz.

G endarmeria olandese :

Generale de Weer, comandante la Gendarmeria. Maggiore Rroon.Maggiore L. Roelfsema.Capitano Fabius.Capitano barone Gumppenberg.Dottar Reddingeus.

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Docuniento n . 25.

A ccordo di Londra (26 aprile 1915).

D’ordre de son Gouvernement, le marquis Imperiali, ambassadeur de Sa Majesté le Roi d’Italie, a l ’honneur de communiquer au très honorable sir Edward Grey, principal secrétaire d’Etat de Sa Majesté britannique pour les affaires étrangères, et à Leurs Excellences M. Paul Cambon, ambassadeur de la République française, et M. le Comte de Benckeudorff, ambassadeur de Sa Majesté l ’Empereur de Toutes les Russies, le mémo­randum suivant:

M ém orandum .

Art. 1. - Une convention militaire sera immédiate­ment conclue entre les états-majors généraux de la France, de la Grande-Bretagne, de l ’Italie et de la Russie; cette convention fixera le minimum des forces militaires que la Russie devra employer contre l ’Au- triche-Hongrie afin d’ empêcher cette Puissance de con­centrer tous ses efforts contre l ’Italie, dans le cas où la Russie déciderait de porter son principal effort contre l ’Allemagne.

La convention militaire réglera la question des ar­mistices, qui relève essentiellement du commandement en chef des armées.

Art. 2. - De son côté, l ’ Italie s’engage à employer la totalité de ses ressources à poursuivre la guerre en commun avec la France, la Grande-Bretagne et la Rus­sie contre tous leurs ennemis.

Art. 3. - Les flottes de 1* France et de la Grande Bretagne donneront leur concours actif et permanent

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à l ’Italie jusqu’à la destruction de la flotte austro-hon­groise ou jusqu’à la conclusion de la paix.

Une convention navale sera immédiatement conclue à cette effet entre la France, la Grande-Bretagne et l ’Italie.

Art. 4. - Dans le traité de paix, l ’Italie obtiendra le Trentin, le Tyrol cisalpin avec sa frontière géogra­phique et naturelle (la frontière du Brenner); ainsi que Trieste, les Comtés de Gorizia et de Gradisca, toute l ’Istrie jusqu’à Quarnero et y compris Volosca et les îles istriennes de Cherso, Lussin, de même que les petites îles de Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro di Nembi, Asinello, Gruica, et les îlots voisins.

Note. - Le frontière nécessaire pour assurer l ’exé­cution de l ’article 4 sera tracée comme suit:

Du Piz Umbrail jusqu’à nord du Stelvio, elle suivra la crête des Alpes rhétiennes jusq’aux sources de l ’Adige et de l ’Eisach, passant alors sur les monts Reschen et Brenner et sur les hauteurs de l ’Oetz et du Ziller. La frontière ensuite se derigera vers le sud, traver­sera le mont Toblach et rejoindra la frontière actuelle des Alpes carniques. Elle suivra cette frontière jusqu’au mont Tarvis, et après le mont Tarvis la ligne de par­tage des eaux des Alpes juliennes par le col Predil, le mont Mangart, le Tricomo (Terglou) et la ligne de par­tage des eaux des cols de Podberdo, de Podlaniscam et d’Idria. A partir de ce point, la frontière suivra la direction du sud-est vers le Schneeberg, laissant lioxrs du territoire italien tout le bassin de la Save et de ses tributaires; du Schneeberg la frontière descendra vers la côte de manière à inclure Castua, Mattuglia et Vo­losca dans le territoire italien.

Art. 5. - L’Italie recevra également la province de

27 — La marina italiana, ecc., Vol. I.

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Dalriialie dans ses limites administratives actuelles en y comprenant au nord Lisarica et Tribania, et au sud jusqu’à une ligne partant sur la côte du cap Planka et suivant vers l ’est les sommets des hauteurs formant la ligne de partage des eaux de manière à laisser dans le territoire italien toutes les vallées et cours d’eau de­scendant vers Sebenico, comme la Cicola, la Kerka, la Butisnica et leurs affluents. Elle recevra aussi toutes les îles situées au nord et à l ’ouest de la Dalmatie de­puis Premuda, Selve, Ulbo, Scherda, Maon, Pago et Puntadura au nord, jusqu’à Meleda au sud en y compre­nait Sant’Andrea, Busi, Lissa, Lésina, Torcola, Cur- zola, Cazza et Lagosta, ainsi que les rochers et îlots environants et Pelagosa, à l ’exception seulement des îles Grande et Petite Zirona, Bua, Solta et Brazza.

Seront neutralisées :1) toute la côte depuis le cap Planka au nord

jusqu’à la racine méridionale de la péninsule de Sabion- cello au sud, de manière à comprendre toute cette pe- ninsule ;

2) la partie du littoral commençant au nord à un point situé a 10 Kilom. au sud de la pointe de Ragusa Vecchia descendant au sud jusqu’ à la rivière Voiussa, de ¡manière à comprendre le golf et les ports de Cattaro, Antivari, Dulcigno, Saint-Jean de Medua, Durazzo, sans préjudice des droits du Monténégro résultant des déclara­tions échangéés entre les puissances en avril et mai 1909. Ces droits ne s’appliquant qu’au territoire actuel mon­ténégrin, ne pourront être étendus aux territoires et aux ports qui pourraient être attribuée au Monténégro. En conséquence, aucune partie des côtes appartenant actuellement au Monténégro ne pourra être neutralisée. Resteront en vigueur les restrictions concernant le

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port d’Antivari auxquelles le Monténégro a lui-même consenti em 1909;

3) et enfin toutes les îles qui ne sont pas attribuées à l ’Italie.

Note. - Les territoires de l ’Adriatique énumérés ci- dessous seront attribués par les quatre puissances alliées à la Croatie, à la Serbie et au Monténégro.

Dans le Haut-Adriatique, toute la côte depuis la baie de Volosca sur les confins de l’Istrie jusqu’à la fron­tière septentrionale de la Dalinatie comprenant le lit­toral actuellement hongrois et toute la côte de la Croa­tie, avec le port de Fiume et les petits ports de Novi et de Carlopago, ainsi que les îles de Veglia, Pervichio, Gregorio, Goli et Arbe. Et, dans le Bas-Adriatique (dans Ja région intéressant la Serbie et le Monténégro) toute la côte du cap Planka jusqu’à la riviere Drin, avec les ports importants de Spalato, Raguse, Cattaro, Antivari, Dulcigno et Saint-Jean de Medua et les îles de Zirona Grande, Zirona Piccola, Bua, Solta, Brazza, Jaclian et Galamotta. Le port de Durazzo resterait attribué à l ’Etat indépendant musulman d’Albanie.

Art. 6. — L’Italie recevra l ’entière souveraineté sur Vaillona, l ’ile de Saseno et un territoire suffisaamment étendu pour assurer la défense de ces points (depuis la Voiussa au nord et à l ’est, approximativement jusqu’à la frontière septentrionale du district de Chimara au sud).

Art. 7. — Si l ’Italie obtient le Trantin et l ’Istrie conformément aux termes de l ’article 4, la Dalmatie et les îles de l ’Adriatique dans les limites indiquées dans l ’article 5 et la baie de Vallona (article 6) et si la partie centrale de l’Albanie est réservée pour la con­stitution d’un petit Etat autonome neutralisé, elle ne

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s’opposera pas à ce que les parties septentrionale et mé­ridionale de l ’Albanie soient, si tel est le désir de la France, de la Grande-Bretagne et de la Russie, parta­gées entre le Monténégro, la Serbie et la Grèce. La côte à partir de la frontière méridionale de la posses­sion italienne de Vallona (voyer article 6) jusqu’au cap Stylos sera neutralisée.

L’Italie sera chargée de représenter l’Etat d’Albanie dans ses relations avec l ’étranger.

L’Italie accepte, d’autre part, de laisser dans tous les cas à l ’est de l ’Albanie un territoire suffisant pour assu­rer l ’existence d’une frontière commune à la Grèce et à la Serbie à l ’ouest du lac d’Ochrida.

Art. 8. — L’Italie recevra l ’entière souveraineté sur les îles du Dodécanèse qu’elle occupe actuellement.

Art. 9. — D’une manière générale, la France, la Grande-Bretagne et la Russie reconnaissent que l ’Italie est intéressée au maintien de l ’équilibre dans le Mé­diterranée et qu’elle devra, en cas de partage totale ou partiel de la Turquie d’Asie, obtenir une part équitable dans la région méditérranéenne avoisinant la province d’Adalia où l ’Italie a déjà acquis des droits et des intérêts qui on fait l ’ objet d’une convention italo-bri- tannique. La zone qui sera éventuellement attribuée à l ’Italie sera délimitée, le moment venu, en tenant compte des intérêts existants de la France et de la Gran­de-Bretagne.

Les intérêts de l ’Italie seront également pris en con­sidération dans le cas où l ’intégrité territoriale de l ’em­pire ottoman serait maintenue et où des modifications seraient faites aux zones d’intérêt des puissances.

Si la France, la Grande-Bretagne et la Russie occu*

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pent les territoires de la Turquie d’Asie pendant la durée de la guerre, la région méditerranéenne avoisi- nant la province d’Adalia dans les limites indiquées ci-dessus sera réservée à l ’Italie qui aura le droit de l ’occuper.

Art. 10. — L’ Italie sera substituée en Lybie aux droits et privilèges appartenant actuellement au Sultan en vertu du Traité de Lausanne.

Art. 11. — L’Italie recevra une part correspondant à ses efforts et à ses sacrifices dans l ’ indemnité de guerre éventuelle.

Art. 12. — L’Italie déclare s’associer à la décla­ration faite par la France, la Grande-Bretagne et la Russie à l ’effet de laisser l ’Arabie et les lieux saint3 musulmans en Arabie sous l ’autorité d’un pouvoir mu­sulman indépendant.

Art. 13. — Dans le cas où la France et la Grande- Bretagne augmenteraient leurs domaines coloniaux d’Afrique aux dépens de l ’Allemagne, ces deux puis­sances reconnaissent en principe que l ’Italie pourrait réclamer quelques compensations équitables, notam­ment dans le règlement en sa faveur des questions con­cernant les frontières des colonies italiennes de l ’Ery- tlirée, de la Somalie et de la Lybie et des colonies voisines de la France et de la Grande-Bretagne.

Art. 14. — La Grande-Bretagne s’engage à faciliter la conclusion immédiate, dans des conditions équita­bles, d’un emprunt d’au moins L. 50.000.000 à émettre sur le marché de Londres.

Art. 15, — La France, la Grande-Bretagne et la Russie appuieront l ’opposition que l ’Italie formera à toute proposition tendant à introduire un représentant

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du Saint Siège dans toutes les négociations pour la paix et pour règlement des questions soulevées par la pré­sente guerre.

Art. 16. — Le présent arrangement sera tenu secret. L’adhésion de l ’Italie à la déclaration du 5 septembre 1914, sera seule rendue pubblique aussitôt après la dé­claration de guerre par ou contre l ’Italie.

Après avoir pris acte du mémorandum ci-dessus, les représentants de la France, de la Grande-Bretagne et de la Russie, dûment autorisés à cet effet, ont conclu avec le représentant de l ’ Italie, également autorisé par son Gouvernement, l ’accord suivant.

La France, la Grande-Bretagne et la Russie donnent leur plein assentiment au mmorandum présenté par le Gouvernement italien.

Se référant aux articles 1, 2 et 3 due mémorandum, qui prévoient la coopération militaire et navale des quatre puissances, l ’Italie déclare qu’elle entrera en campagne le plus tôt possible et dans un délai qui ne pourra excéder un mois à partir de la signature des présentes.

En foi de quoi les soussignés ont signé le présent accord et y ont apposé leurs cachets.

Fait à Londres, en quadruple original, le 26 avril 1915.

DECLARATION

La Déclaration du 26 avril 1915, par laquelle la France, la Grande-Bretagne, l ’ Italie et la Russie s’en­gagent à ne pas conclure de paix séparée au cours de la présente guerre européenne, restera secrète.

Après la déclaration de guerre par ou contre l ’Italie,

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les quatre puissances signeront une nouvelle déclaration identique qui sera rendue publique à ce moment.

En foi de quoi les soussignés on signé la présente déclaration et y ont apposé leurs cachets.

Fait à Londres, en quadruple original, le 26 avril 1915.

Declaration par laquelle la France, la Grande-Bre­tagne, l’Italie et la Russie s’engagent à ne pas con­clure de paix séparée au cours de la présent guerre européenne.

Le Gouvernement italien ayant décidé de parteciper à la présente guerre avec les Gouvernements français, britannique et russe et d’adhérer à la déclaration faite à Londres le 5 septembre 1914, par les trois Gouver­nements précités.

Les soussignée, dûment autorisés par leurs Gouver­nements respectifs, font la déclaration suivante:

« Les Gouvernements français, britannique, italien et russe s’engagent mutuellement à ne pas conclure de paix séparée au cours de la présente guerre.

'< Les quatre Gouvernement conviennent que, lors­qu’il y aura lieu de discuter les termes de la paix, au­cune des puissances allieés ne pourra poser des condi­tions de paix sans accord préalable avec chacun des autres alliés ».

En foi de quoi les soussignés ont signé la présente déclaration et y ont apposé leurs cachets.

Fait à Londres, en quadruple original, le 26 avril 1915.

Comunicato Agenzia Stefani :

Rorna, 6 dicembre 1915. Il 30 novembre 1915 è stato firinalo a Londra il seguente atto: «Il Governo ita-

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liano avendo deciso di aderire alla dichiarazione fatta a Londra il 5 settembre 1914, dai Governi francese, britannico e russo, dichiarazione alla quale ha ugual­mente aderito il Governo giapponese in data 19 otto­bre 1915, i sottoscritti Governi, fanno la dichiarazione seguente :

« I cinque Governi convengono che, quando sarà il caso di discutere i termini della pace, nessuna delle Potenze alleate potrà porre delle condizioni di pace senza preventivo accordo di ciascuno degli alleati.

« In fede di che i sottoscritti hanno firmato la pre­sente dichiarazione e vi hanno apposto i loro sigilli ».

Fatto a Londra in quintuplo originale il 30 novem­bre 1915.

Firmati: (L. S.) I m per ial i, I nouye , B enckendorff,

P aul Cam bon , G ret .

Documento n. 26.

Relazione del capitano di vascello Mario Grassi sulle trattative per la Convenzione navale.

Nella prima seduta (1° maggio 1915) il Ministro della Guerra francese ci comunica il testo del Memo­randum di Londra 26 aprile 1915 in cui sono specificati gli obblighi ed i diritti d’Italia per quanto riguarda la parte militare.

Tra i primi vi è quello di entrare in campagna ad un mese dalla data cioè il 26 maggio 1915: viene poi stabilito che 1’ Italia impiegherà tutte le sue forze con­tro tutti i nemici comuni e tra i secondi è fatto l ’obbligo alla Russia di impiegare un minimum di forze contro l ’Austria e che le flotte di Francia e d’ Inghilterra da-

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ranno un concorso permanente all’ Italia fino alla di­struzione della flotta austriaca od alla conclusione della pace.

Non avendo noi avuto notizia di queste clausole ed avendo il Ministro della Guerra fatto ben notare che la data del 26 maggio era improrogabile, ne abbiamo chiesta conferma all’Ambasciata che ce 1’ ha data. Per questo stato di fatto non venivamo ad avere nessun ap­poggio diplomatico su cui basare le nostre pretese; si trattava perciò non più di pretendere ma di ottenere di buona grazia.

Richiesti delle idee e del nostro piano abbiamo in succinto spiegato le intenzioni degli stati maggiori. Per la parte navale ho parlato dei due tempi : il primo con la flotta al Sud dell’ Adriatico in attesa della chiamata a Nord (dopo 20 giorni circa) per aiuto all’esercito o di­fesa contro squadra austriaca ed a tal fine richiesi rin­forzo alle nostre navi da parte degli alleati. L’ammira­glio inglese ha subito sollevato la pregiudiziale; che, per gli effetti navali l ’entrata in campagna dell’Italia rappresentava con le mie domande un onere anziché un aiuto per gli alleati, però si diceva disposto a discutere la cosa, facendo pure osservare che il Memorandum parlava di concorso e non di rinforzo all’armata ■ ita­liana e che quindi la questione doveva essere studiala sotto il punto di vista generale delila guerra.

Dopo questo scambio d’ idee nella seduta plenaria si sono costituite le due Commissioni : una terrestre e l ’altra navale: la prima ha portato più facilmente a termine il suo compito per molte circostanze che è inu­tile ripetere, basta anche solo osservare che i termini erano assai più precisi.

Egualmente facile sarebbe stato per la parte navale

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se la Convenzione avesse fatto obbligo agli Alleati di dare un concorso sotto forma di un rinforzo all’armata italiana o meglio ancora sarebbe stato se la data per la nostra entrata in campagna fosse stata stabilita ad un mese dalla firma della Convenzione Militare Navale anziché da quella del Memorandum di Londra.

Ad ogni modo nella prima seduta navale ho ripreso la discussione dimostrando la necessità che poteva ob­bligare la nostra squadra di montare al Nord, e, data la presenza della squadra austriaca a Pola, per potere essere sicuri dei successi di avere un rinforzo; sia per la sicurezza della navigazione (naviglio sottile) sia per il combattimento (corazzate) e di poter contare su al­tri per la guardia di Brindisi ed il blocco dell’Adriatico in modo da poter opporre al nemico tutte le nostre forze. Furono tutti unanimi a disapprovare il piano così concepito perchè trovato troppo ardito pur com­prendendo le ragioni militari che l ’avevano dettato.

Mi si fece osservare che per la difesa dell’esercito nella sua marcia erano sufficienti degli incrociatori con cannoni da 120 o da 152; e clic per quanto riguardava la squadra austriaca questa non sarebbe uscita ben guardata da sottomarini e da siluranti come mai ne è uscita in questi dieci mesi per venire al Sud c che non sarebbe rientrata che molto mal ridotta. Essere assolutamente impossibile fino a che vi è un sottoma­rino nemico restare in mare con una squadra di coraz­zate senza andare incontro a perdite certe a meno che tutte le unità mantengano costantemente una grande velocità ed una continua variazione di rotta; ciò che naturalmente non è pratico nè possibile effettuarsi in un mare ristretto come l ’Adriatico in generale ed il golfo di Trieste in particolare. E senza perifrasi mi

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hanno detto che mai francesi ed inglesi ci avrebbero seguiti in questa strada, anzi fecero opposizioni anche per noi, perchè una perdita nostra non comportava solo un danno nostro ma per tutti gli altri i quali sii sarebbero trovati nell’obbligo di mandare rinforzi, ciò che, data l ’estensione del conflitto e la sua durata, essi si trovavano nell’ impossibilità di fare.

Ritengo che da questa premessa abbiano origine tutte le difficoltà incontrate in seguito per urna defi­nizione della Convenzione.

Nelle sedute successive dopo aver svolte varie ar­gomentazioni ho potuto, se non convincere, fare accet­tare come necessario l ’andata della squadra al Nord e la piena libertà nostra di maneggiare le forze nostre come meglio credevamo. E così si potè entrare nell’ar­gomento del concorso.

Gli inglesi premisero che fino alla fine dell’ impresa dei Dardanelli essi non potevano mettere nulla per l’Adriatico, anzi in un promemoria presentato dice­vano che avrebbero sperato che all’entrata dell’ Italia nel conflitto, la Marina francese avrebbe potuto man­dare rinforzi nel Mare del Nord e nei Dardanelli, ma specialmente aumentare il numero del naviglio silu­rante perchè quello inglese è assai ridotto di numero e di efficienza per il grave compito che deve disimpc- gnare contro i sottomarini per la scorta dei convo­gli, ecc.

A queste tesi io mi sono opposto dicendo che era­vamo riuniti per considerare il concorso che doveva essere dato all’ Italia e domandavo un rinforzo alla nostra squadra ed a intera nostra disposizione: ottoo sei grandi navi, tre esploratori, 24 cacciatorpedinie­re, ecc. ecc. Nacque allora la discussione sull’ interpre­

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tazione del concorso, intendendo, francesi ed inglesi, che esso dovesse essere inteso come aiuto ma non a disposizione dell’ Italia. E data la premessa inglese, sostenuta ed ¡accettata dai francesi, di non poter nulla fino alla fine dei Dardanelli, ne veniva la conseguenza che per noi l ’aiuto doveva essere esclusivamente fran­cese. I francesi si dichiararono subito pronti a coadiu­vare con noi con tutte le loro forze navali, ripetendo più volte che non poche unità ma 1’ intera squadra essi erano pronti a mettere in aiuto alla nostra ma na­turalmente data la loro superiorità bellica e per il fatto che essi si trovavano già in Adriatico da nove mesi contro lo stesso nemico si riservavano di avere il comando supremo.

Io non potevo negare che con questo mezzo man­casse il concorso previsto dalla Convenzione di Lon­dra, ma d’altra parte non potevo ammettere che il comando supremo fosse devoluto ai francesi. Compresi che era necessario intendersi con gli inglesi per tro­vare una via di uscita ed in un’altra conferenza, ri­tornando sulle mie richieste, portai la questione sul fatto di avere a nostra disposizione navi alleate e feci chiedere dal Ministro della Marina francese ai delegati inglesi se questi erano disposti a mettere a disposi­zione degli italiani qualche loro nave; gli inglesi ri­sposero affermativamente con gran meraviglia dei fran­cesi sempre con la clausola però della fine delle ope­razioni dei Dardanelli. Però prima della nuova conferenza gli inglesi mi avvertirono in via privata che avendo essi riconosciuto il comando supremo in Medi- terraneo ai francesi sarebbe stato difficile per loro so­stenere di mettere a nostra disposizione le loro navi senza il beneplacito francese, quindi la conferenza si

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svolse ancora sulle basi delle precedenti circa il co­mando supremo.

Non essendo possibile andare d’accordo e non es­sendo stata accettata la mia proposta che fosse devoluta a noi la direzione di tutte le operazioni da svolgersi al Nord della linea Otranto-Valona perchè trovata poco pratica, si venne allo schema della prima convenzione in cui erano considerate le due squadre alleate, la prima italiana con 4 incrociatori inglesi; 12 cacciatorpedi­niere, ecc.; ad esclusiva disposizione del comandante la flotta italiana, l ’ altra composta della squadra del­l ’ammiraglio francese che doveva essere pronta a ri­spondere all’appello di quella italiana. Con intesa ver­bale, che però non vollero mettere in iscritto, data la premessa che il comando in capo del Mediterraneo era devoluto ai francesi, si stabiliva che per accordi che avrebbero dovuto intervenire tra i comandanti in capo delle flotte francese ed italiana, questo ultimo avrebbe chiesto come appello al collega francese quattro navi che sarebbero state inglesi e che questi sarebbero ben contenti di mettere a nostra disposizione.

Per quanto non rappresentasse 1’ ideale si era così già ottenuto un gran passo; e cioè: gli inglesi noeti solo rinunziavano all’aiuto ma si preparavano a darlo; il nostro piano per quanto riguardava la nostra flotta era a nostro arbitrio, il comando se non chiaramente specificato ci veniva di fatto riconosciuto perchè più che nel fatto di star pronto a rispondere all’appello, che conveniva limitare ad una frazione di forze che non comportasse 1’ intervento del comandante francese, proveniva dalla radicata convinzione che nulla si sa­rebbe operato con le grandi navi probabilmente du­rante 1’ intera guerra ma che questa si sarebbe svolta

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con azioni offensive e difensive di naviglio silurante,

sommergibile, dragamine, ecc., la cui utilizzazione ci

era pienamente devoluta. E si ripeteva i l fatto che se

u n ’azione campale fosse stata necessaria, ciò che tutti

continuavano ad escludere, non erano solo poche navi,

m a tutte le corazzate francesi che sarebbero venule in

nostro aiuLo e qu i si riaffacciava il problema del co:

mando (solo p iù , però, durante l ’azione), bastava

qu ind i che la richiesta del nostro comandante in capo

si limitasse ad un aiuto parziale per assicurargli di

rimanere sul campo come p iù elevato in grado.

Tutto questo però non poteva, naturalmente, figu­rare per iscritto nella Convenzione, che rimaneva, per chi non aveva seguito le trattative, alquanto ambigua, e più che nella lettera doveva essere interpretata fra le linee. Rimaneva ancora il fatto che le navi inglesi non sarebbero state inviate che alla fine delle opera­zioni dei Dardanelli, ciò che mentre per eoi rappre­sentava cosa importantissima, per gli alleati era cosa secondaria, data la loro convinzione che le navi mag­giori non avrebbero forse servito mai ad un’azione, ed in ogni caso non nei primi tempi e fino a che vi fosse stata la minaccia dei sottomarini nemici, minaccia che non poteva essere tolta prima della fine di giugno, epoca in cui gli inglesi sperayano di aver portata a buon punto l ’azione dei Dardanelli.

Tutto questo il substrato della Convenzione più o meno attendibile a seconda dell’ impressione personale circa l ’entità dei fatti denunziati e la fiducia che si ripone in chi li espone. Per conto mio mi ero fatto la convinzione che essi fossero sinceri ed animati dalla migliore volontà di essere più utili in tempo ed in luogo opportuno. Ma specialmente per chi tale fiducia

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non condivide le espressioni del primo testo non risul­tavano abbastanza sicure. Ed infatti non fu approvato e si vollero più marcate e delineate le circostanze die erano rimaste di segreta intesa. Di più non condivi­dendo, sempre, l’opinione unanime circa l’andamento delle operazioni si volle precisato maggiormente l ’in­tervento degli alleati per una possibile azione navale. Poiché questo sarebbe stato dato dall’armata francese, era da prevedere che sarebbe stata risollevata la que­stione del comando. Occorreva, pertanto, girare la que­stione facendo intervenire gli inglesi, ma per questi vi era la clausola della fine delle operazioni dei Darda­nelli.

Per tutti poi vi era la questione dell’andata al Nord, che nessuno voleva e venne anche il 1° Lord dell’ammiragliato Churchill che prese parte ad una con­ferenza per spiegare l ’assurdità di tale piano e la con­venienza invece di aver molti sottomarini, dragamine, chalutiers, ecc. per parare i colpi delle mine e dei sottomarini. Non mancai di fare richiesta di chalutiers di cui siamo scarsi e me ne promisero 50 (essi ne hanno 1200 lungo le coste oltre quelli francesi) mentre i francesi me ne promisero 20 l. Debbono però essere armati da noi non avendo essi disponibili cannoni da 37 o 47. Fu allora che venne detta la frase che se si potesse converrebbe vendere tre dreadnoughts per acquistare sottomarini, che così si vincerebbe la guerra !

Dato questo stato di cose, per non urtare la su­scettibilità, che avrebbe riportata la discussione ad

1 Poi ridotti a 10, ceduti dietro rimborso del prezzo di requi­sizione.

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acredini già sorpassate, pensai che era necessaria una nuova intesa con gli inglesi, che, in certo modo, avreb­bero dovuto essere gli arbitri della situazione.

In una conferenza privata avuta con essi io proposi loro di dare a noi le quattro navi che essi mettevano a disposizione dei francesi, e a ciò essi annuirono es­sendo la cosa già convenuta nell’intesa precedente; ma di più domandai che queste navi fossero subito messe a nostra disposizione.

Questo urtava contro il principio sempre ammesso della fine delle operazioni dei Dardanelli, e compor­tava altresì il riconoscimento del minimum di 4 navi a nostra disposizione. Per la prima questione gli in­glesi si mostrarono inamovibili, dicendoci che non era possibile loro distrarre da quel teatro neppure una nave dato il lavoro che vi era e le avarie frequenti cui an­davano incontro; ma che avrebbero appoggiata volen­tieri la mia proposta di mandare le navi a nostra di­sposizione se esse erano rimpiazzate da altrettante fran­cesi. Circa il numero non vollero più ritornare a di­scutere perchè quattro avevano stabilito in precedenza ed anche perchè la squadra francese non avrebbe po­tuto rimpiazzare di più senza diminuirsi troppo, ciò che sarebbe stato dannoso anche per noi, specialmente nel periodo critico precedente alla nostra entrata in guerra, cui noi non portavamo nessun aiuto, mentre peri francesi ed inglesi gli obblighi restavano gli stessi e per questi le loro forze non erano sovrabbondanti e non potevano quindi distrarne per metterne a nostra di­sposizione.

Nella penultima conferenza, in seguito a questi ac­cordi presi con gli inglesi, feci la proposta di avere a nostra disposizione un rinforzo di navi adducendo la

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scusa del timore di essere assaliti d’improvviso e senza avere la possibilità di chiamare all’appello la seconda squadra alleata. Trovata giusta questa mia proposta gli inglesi dissero, secondo avevamo convenuto, che essi non avevano difficoltà di dare a noi le quattro navi già destinate ai francesi per le operazioni in Adriatico, ma che era necessario, per non diminuire tutte le ope­razioni ai Dardanelli, che una egual forza andasse a sostituirla.

Così per gli incrociatori. I francesi accettarono di buon grado di fare la sostituzione e di portare a 6 le loro corazzate ed a 4 i loro incrociatori operanti nei Dardanelli, e così fu concordato il secondo schema della Convenzione che è poi quello firmato. Intanto data la mia premessa del timore di essere assaliti avanti la dichiarazione di guerra ottenevo anche che fossero mandati ordini alla squadra francese di difenderci da qualche colpo improvviso che gli austriaci tentassero contro Brindisi o Taranto prima dell’arrivo dei rin­forzi a noi destinati, ed ordini in proposito furono emanati all’ammiraglio francese. Similmente ordini vennero compilati per la dislocazione delle navi fran­cesi e inglesi per mettere in esecuzione di progetto stabilito, ma non furono mandati che a firma avve­nuta della Convenzione 1. Così non si trovò difficoltà alla compilazione del Codicillo annesso alla Conven­zione perchè corrispondeva ad intelligenze già avve­nute, solo si ebbe un ritardo nei movimenti delle navi. Appena i documenti furono firmati gli ordini parti, rono e così la perdita di tempo si potè ridurre a 48

1 II 10 maggio 1915.

28 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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ore. Si può ritenere che fra il 22 o 23 avremo le navi a nostra disposizione ed in efficienza.

Le navi inglesi corazzate furono promesse delle mi­gliori che si trovavano ai Dardanelli, escluse le dread- noughts; non fu specificato il nome per non promet­tere cosa di cui non erano sicuri di mantenere date le possibili avarie cui vanno incontro le navi ai Darda­nelli specialmente in questi giorni di intenso lavoro. Così pure gli incrociatori furono promessi i più veloci. Di toccare il Mare del Nord era inutile pensare; tanto che essi richiedevano per questo mare un aiuto ai francesi.

In conclusione mentre le trattative si aprivano con intendimenti da parte degli inglesi di voler un aiuto dai francesi e di dare nulla a noi, e da parte dei fran­cesi di darci il concorso della loro intera flotta ma di diìrigerie la campagna (ciò che era pur sempre nel Memorandum di Londra), ho ottenuto che otto navi inglesi, dodici caccia francesi, 6 sottomarini, 6 avvisi dragamine, chalutiers, siano messi ad esclusiva dispo­sizione del comandante della flotta italiana in un tem­po relativamente breve e che la squadra francese sia pronta a venire in nostro aiuto se chiamata, ma che intanto rimanga in disparte. Non credo fosse possibile, dati i termini del problema, ottenere di più. Certo si sarebbe ottenuto quanto si voleva se vi fosse stata an­che per la Marina una clausola come per 1’ Esercito che avesse suonato così « in una Convenzione navale sarà stabilito il minimum delle forze navali che In­ghilterra e Francia debbono mettere a disposizione del- r Italia fino alla distruzione della squadra austriaca,ecc..... e se l ’entrata in campagna fosse stata datatadalla firma delle Convenzioni militari ».

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Documento 11. 27.

CONVENTION NAVALE

En exécution de l ’article 3 du memorandum italien signé a Londres le 26 avril 1915 et dont les termes sont rappelés ci-aprés:

Art. 3. — Les Flottes de la France et de la Grande Bretagne donneront leur concours actif et permanent à l ’Italie jusqu’à la distraction de la flotte austro-hon­groise ou jusqu’à la conclusion de la paix.

Une Convention Navale serà immédiatement con­clue, à cet effet, entre la France, la Grande Bretagne et l ’Italie.

La Convention Navale suivante a été passé à Paris entre les représentants des trois amirautés intéressés:

Art. l.er. — Les Flottes Allieés coopéreront ensem­ble avec le plus grand accord.

Art. 2. — Il sera constitué, sous le Commandant en Chef de l’Armée Navale italienne, une première Flotte Alliée qui sera composée indépendamment des imitée italiennes:

1) de douze contre-torpilleurs français;2) d’autant de torpilleurs, de sous-marins et de

navires spéciaux dragueurs de mines qu’il sera possi­ble au Commandant en Chef de l ’Armée Navale Fran­çaise de détacher;

3) si possible, d’une escadrille d’avions et d’un navire porte-avions français;

4) de quatre croiseurs légers anglais, qui rallie­ront la Première Flotte Alliée dés qu’il seront numé­

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riquement remplacés par quatre croiseurs français aux Dardanelles ;

5) d’une Division de quatre cuirassés anglais à la disposition du Commandant en Chef italienne.

Art. 3. — Le Commandant en Chef de l ’Armée Navale Italienne aura l ’initiative et la direction com­plète des opérations qui seront éxécutées dans l ’Adria­tique par la Flotte Alliée indiquée à l ’Article 2.

Art. 4. — En vue des éventualités qui imposeraient à la Flotte Alliée indiquée à l ’Article 2 de se porter dans le Nord de l ’Adriatique ou pour toute operation impor­tant dans l ’Adriatique paraissant nécessiter l ’interven­tion de l ’ensemble des forces navales Alliées, il sera constituée une Seconde Flotte Alliée composée des vaisseaux de combat français, des vaisseaux de combat italiens ou anglais de l ’Armée Navale italienne.

Cette Seconde Flotte Alliée, accompagnée de ses bâtiments de Flottille et placée sous le Comman- damént du Commandant en Chef de l ’Armée Navale française, sera prête à répondre à l ’ appel du Comman­dant en Chef de la Flotte italienne.

Art. 5. — Toutes les bases de la côte italienne seront mises à la disposition des Alliées.

Toutefois, lorsque la Prémière Flotte Alliée aura Brindisi comme base, la Seconde Flotte Alliés utilisera de preference les bases de Tarante, de Malte et de Bizerte.

Si la première Flotte Alliée remonte dans le Nord avec Venise comme base, la place de Brindisi ainsi que celle de Tarante seront à la disposition de la Se­conde Flotte Alliée.

Art. 6. — Tant qu’il y aura des forces navales ennemies dans l ’Adriatique, les Alliées s’engangent à

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assurer leur concours à l ’Armée Navale Italienne, de façon à maintenir, autant que possible, la puissance navale Alliée nettement supérieure à celle de l ’ennemi.

Art. 7. — En vue de combiner leur action, les deux Commandants en Chef se tiendront en rapports de tous les istants, se communiqueront leurs plans d’action, leurs positions, leurs risultats des opérations, les ren­seignements sur l ’ennemi, et touts documents utiles à l ’oeuvre commune.

Pour réaliser plus étroitement cette union, chaque Commandant en Chjef accréditera aupjrés de l ’autre un ou plusieurs officiers de son Etat-Major.

Il est entendu que la première disposition à pren­dre est la constitution d’un code de signaux secréts pour les communications des Flottes Alliées entre elles. Ge travail sera exécuté à Londres.

Fait à Paris, le 10 maj 1915.

Pour la Marine italienne: f.to M ario G rassi, capitano di vascello.

Pour la Marine française: f.to E. D e J onquières, vice amiral.

Pour la Marine britanique: f.to J ackson , admirai.

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Documento n. 28.

Codicille à la Convention Navale entre les représentantsdes puissances Alliées.

I. — Les 12 contre-torpilleurs français qui doivent être mis à la disposition du Commandant en Chef de l ’Armée Navale Italienne comprendront 6 bâtiments chauffant au charbon et 6 chauffant au pétrole.

Autant que possible les 6 contre-torpilleurs chauf­fants au pétrol auront un déplacement supérieur à 600 tonnes.

II. — Le nombre des sous-marins français qui doi­vent êti-e mis à la disposition du Commandant en Chef l ’Armée Navale Italienne sera de 6 au moins.

III. — Les contre-torpilleurs et sous-marins fran­çais indiqués aux paragraphe I et II ci dessus seront envoyés à la disposition du Commandant en Chef de l ’Armée Navale Italienne dés qu’ il les demandera au Commandant en Chef de l ’Armée Navale Française.

IV. — Le nombre dés croiseurs français aux Dar­danelles sera le plus tôt possible porté à 4.

V. — Dés que chaque croiseur français arrivera aux Dardanelles un croiseur léger anglais quittera les eaux des Dardanelles pour rejoindre le plus tôt possible l’Armeé navale italienne.

VI. — Le nombre des cuirassés françaises aux Dar­danelles sera le plus tôt possible porté à six.

VII. — Quatre cuirassés anglaises de l ’Escadre des Dardanelles, armées autant que possible de can­nons de 305 mm. seront mises le plut tôt possible à la disposition du Commandant en Chef de l ’Armée Na­vale Italienne.

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Ces cuirassés quitteront successivement les Darda­nelles à mesure qu’y arriveront les dernières six cui­rassés françaises.

VIII. — Une escadrille française de six hydroa­vions sera dirigée le plus tôt possible sur Modane et Venise.

Fait à Paris, le 10 maj 1915.

Pour la Marine italienne: fto. M ario G ra ss i, capitano di vascello.

Pour la Marine française: f.to E. D e J onquières, vice amiral.

Pour la Marine anglaise: fto. D ouglas A . G am ble , Admirai.

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A P P E N D I C E N. 2.

SITUAZIONE E COMPOSIZIONE DELL’ARMATA NAVALE NELL’AGOSTO 1914

Nave Ammiraglia del Co- /mandante in Capo del- \ R Marghemta (atg) C. y . Rombo - Ta-rArmata Vice Ammira- < ' 'glio S. A. R. Luigi di ISavoia. '

¡Cigno ( a ) .................C. C. Di Somma *

Taranto.

Calliope (a ) . . . T. V. Stabile - Ta­ranto.

Clio ( a ) ..................... » Pesce — Ta­ranto.

Cassiopea (a). . . . » Da Sacco Taranto.

Centauro (artd) . . aggregata - Spezia. Canopo (artd) . . . # - Spezia.

SQUADRA DA BATTAGLIA

I D. A lighieri (a) . . C. V. Biscaretti - TaI ranto.I G. Cesare (a) . . . » Marzolo - Ta-

Comandante della 1® Divi- 1 ranto.rione C. A. Corsi. \ L. Da V inci (a) . . » Morino - Ta-

! ranto.[ N. B ixio (a) . . . . C. F. Canciani - Ta-\ ranto.

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l a Squadriglia Cacciatorpe­diniere (aggregata alla l a Divisione).

2a Squadriglia Cacciatorpe­diniere (aggregata alla 1* Divisione).

Animoso (a)

Audace (a). .

Ardito(a) . .

Ardente (a) .

Impavido (a).

Intrepido (a).

Indomito (a).

Irrequieto (a)

I Impetuoso (a)

Insidioso (a) .

C. F. Todisco - Ta ranto.

C. C. Cantù - Ta ranto.

» Caccia - Ta ranto.

» Di Loreto Er- Taranto.

C. F. Orsini P.Taranto.

C. C. Grenet C. Taranto.

» Lodolo - Ta ranto.

» Moreno I.Taranto.

» Sirianni - Spe zia.

» Bucci U. T b ranto.

28 D ivisione

I V. Emanuele (a ) . . C. V. Ginocchio G.- Taranto.

L R oma ( a ) ................. » Paladini O. -1 Taranto.

Comandante della 2a Divi- ì Napoli (a)................ » Salazar - Ta-sione C. A. Cutinelli. \ ranto.

! R. E lena (a) . . . » Mortola - Ta- f ranto.

Quarto (a) . . . . C. F. Nicastro G. - \ Taranto.

Nembo (a) . . . . C. F. Acton A. - Taranto.

Borea ( a ) .................C. C. Pontremoli -Taranto.

Turbine (a) . . . . » Bianchi L. - Taranto.

Esperò (a ) ................ » Rua - TarantoAquilone (artd). . . T. V. De Benedetti -

(resp.) Spezia. Fulmine (artd) . . . aggregata.

5a Squadriglia Cacciatorpe­diniere (aggregata alla 2a Divisione).

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4a D iv is io n e

j P isa ( a ) ....................C. V. Notarbartolo -Taranto.

Comandante della 4a Divi­sione C. A. Cagni. 1S . G i o r g i o ( a )

A m a l f i (a). .

j S. M a r c o (a)

f M a r s a l a (a ) .

» Bollo - T a ­ranto.

» Riaudo - Ta­ranto.

» Mola - T a­ranto.

C. F. Marchini - Ta­ranto.

3a Squadriglia Cacciatorpe­diniere (aggregata alla 4a Divisione).

Artigliere (a)

Garibaldino (a)

Lanciere (a) .

Corazziere (a) .

Granatiere (a) .

Bersagliere (artd)

. C. F. Lubelli - Ta­ranto.

. C. C. De Grossi - Taranto.

» Del Greco C.- Taranto.

» Sciacca - Ta­ranto.

a Spano - Spe­zia.

» aggregata - Taranto.

DIVISIONI AGGREGATE

3 a D i v i s i o n e

Ì B. B rin (ats) . . . C. V. Fara F'orni - Taranto.

E. F iliberto (ats) . C. F. Fava - T a ­ranto.

sione C. A. Cito. i A. di S. B on (ats) . » Notarbartolo! G. - Taranto,f A gordat (a) . . . » Giustecchi - \ Valona.

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Euro (a)1 .................C. F. Gambardella -Tobruk.

I Strale (a)1 . . . . C. C. Marsilia - To-6a Squadriglia Cacciatorpe- I

diniere alla dipendenza ! Ostro (a) 2 . . . . . » Winspeare - della 3a Divisione (tem- J Tripoli,yoraneamente a disposi- / Lampo (a) 2 . . . . » Castigliom - zione del Ministero). ! Tripoli.

\ Dardo (a)3 . . . . » Bemotti - Va-\ Iona.

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5 a D i v i s i o n e

ÌV. P i s a n i (ats). . . C. V. Ruggiero R. -

Taranto.

V arese (a) . . . . » Salinardi - Ta­ranto.

F. F erruccio (a) . » Sommi Pice- nardi - Ta­ranto.

C. A lberto (ats) . . » Cavassa - Ta­ranto.

L i b i a ( a ) .................C. F. Conz - Ta­ranto.

/ Spica ( a ) .................C. C. De Datoj Messinai Sirio ( a ) .................T. V. Volpe - Ta-I ranto.J Saffo ( a ) .................1°T.V. Merega - Na-/ poli.] Scorpione (a) . . . » Guercia-Mes- J sina.! Sagittario (a) . . . » Valli G.-Mes­

sina.\ Serpente (a) . . . aggregata - Napoli.

( l) • Distaccata in Cirenaica.( a) - Distaccata in Tripolitania. (•) . Distaccata in Albania.

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S q u a d r ig l ie t o r p e d i n i e r e d i A . M . c h e s a r a n n o p o s t e a l l a

dipendenza d el Comando in Capo, quando ordinato :

2a Squadriglia torpediniere A. M. assegnata a Mad­dalena .

/ Airone ( a ) .................C. C. Grixoni-Madd alena.

Alcione (a)................ 1°T.V. Leone - Madd alena.

Arpia ( a ) .................T. V. GiordanoMaddalena.

Ardea (a) . .

1 Albatros (a) 1

Astore (a) 2

Gambardella Maddalena. Cappelli - Tri poli crociera Cerio - Ben gasi.

/ Calipso (a) . . . . C. C. Ferrerò G Taranto.

j Climene(a) . . . . T. V. Ricciardelli I Taranto.

5a Squadriglia torpediniere 1 Pegaso (a ) ................1°T.Y. Barbaro-TaA. M. a disposizione del J ranto. Comando in Capo del \ Perseo (a) . . . . . T. V. S. A. R. Ferdi Dipartimento di Taranto I nando di Sa'

! voia. Taranto, j Pallade (a)................ » Culiolo - T a ­

ranto.\ Procione (artd). . . aggregata - Spezia.

NAVI AFFONDAMINE

L ig u ria ( a ) .....................C. C. Aymerich - Taranto.Puglia (r is ).................... » Candeo - Spezia.M inerva ( a ) ..................... » Santangelo - Taranto.Partenope (aj Civalleri - Taranto.

Nave Officine

Trasporto

NAVI ONERARIE

Vulcano (a) . . . . C. F. Chelotti - T a ­ranto.

N a fta .................| Bronte (a> Ruggiero Ad. - Livorno.

(*) Distaccata in Cirenaica.(a) Distaccata in Tripolitania.

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ì Elidano (a) . . . . 1°T.V. Lovisetto G.-1 Taranto.Cisterne per acqua . . , rr , r, • • rnr ̂ ) I everc (a ) ................ » Guerrieri - I a-( ranto.

Trasporto maleriaU . . . | Veri.ano (a) . . . . C. C. Móntese - Na-f poh.

Rimorchiatore A. M. . . i Titano ( a ) ................ l°T .V . Nicastro U.-( Taranto.

* NAVIGLIO SILURANTE

' Carabiniere (a) . . . C. F. Bonaldi - Ve- j nezia.i Pontiere (a) . . . . C. C. Mancini - Ve-5 nezia.

4a Squadriglia Cacciatorpe- 1 Zefliro........................ » Ciano Art. -diniere a disposizione del / Venezia.Comando in Capo del Di- \ Fuciliere (a) . . . . » I.evi B. - Ve- partimento di Venezia. 1 nezia.

I Ascaro (artd) . . . » Baistrocehi - f Taranto.I Alpino (artd). . . . » Ruta - Ta- \ ranto.

/ Olimpia (ar) . . . . T. V. Gastaldi - Ta- l ranto.I Orfeo (a r )................ » La Rana

Ia Squadriglia torpediniere I Taranto.A.M. assegnata a Taranto \ Orsa (artd) . . . . » Cattaneo E .

I (resp.) Ta­ranto.

\ Orione (artd). . . . aggregata - Taranto

/ 19 O. S. (a). . . . C. C. Casano - Ta­ranto.

I 20 O. S. (a). . . . T. V. Cocorullo - Ta 6a Squadriglia torpediniere 1 ranto.

assegnata a Gaeta (a di- ) 21 0 . S. (a) . . . . » Oricchio - Ta- sposizione del Comando \ ranto.in Capo del Dipartimento I 22 0 . S. (a) . . . . » Ruggiero V. - di Taranto). I Taranto.

I 23 0 . S. (a ) . . . . » Comito - Ta­ranto.

\ 24 0 . S. (ardt). . . aggregata - Taranto.

— 446 —

Page 453: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

7a Squadriglia torpediniere assegnata alla Maddalena

25 A. S. (a ) .

26 A. S. (a ) .

| 27 A. S. (a) .

28 A. S. (artd'

| 29 A. S. (a) .

30 A. S. (a) .

- 447 —

/ 33 P. N. (a)

i 34 P. N. (a).8“ Squadriglia torpediniere ' r̂( p ^ /a\

assegnata a Spezia. j * '/ 36 P. N. (a).

9a Squadriglia torpediniere assegnata a Messina (a disposizione del Comando in Capo di Taranto).

37 P. N. (a).

/ 13 O. S. (a).

14 O. S. (a ) .

15 O. S. (a ) ,

16 O. S. (a)

17 O. S. (a ) .18 0 . S. (a)

. C. C. Fenzi - Mad­dalena.

1« T.V. Liebe - Mad­dalena.

, T. V. Cafiero - Mad­dalena.

aggregata - Madda­lena.

1°T.V. Scapin-Mad­dalena.

, T. V. Dalzio - Mad­dalena.

T. V. Spano M. - Spezia.

» Franceschi Spezia.

. C. C. Marzo - Spe­zia.

, 1°T.V. Castracane - Spezia.

. T. V. Zeni - Spezia.

C. C. Laureati - Brindisi.

1°T.V. Verna - Brin­disi.

» Dilda A. Brindisi.

» Savino - Du- razzo.

aggregata - Taranto.. T. V. Mazzola E. -

Brindisi.

1 P. N. (artd)2 P. N. (a) .

j 3 P. N. (a)10a Squadriglia torpediniere

(assegnata a Venezia). 1 4 P. N. (a

5 P. N. (artd)6 P. N. (a) . .

aggregata - Venezia. C. C. Cattellani

V enezia.T. V. Galibaldo

Venezia.» Nicolis di Ro-

bilant - Ve­nezia.

. aggregata - V enezia.

. T.V. Poggi-Venezia.

Page 454: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

— 448 _

7 P. N. (a)

8 P. N. (a) .l l a Squadriglia torpediniere 1 9 p /a\

(assegnata a Taranto a | ’ • w •disposizione del Comando , „ p ,in Capo del Dipartimento ' ‘ ' a' di Venezia).

‘ 11 P. N. (a)

12 P. N. (a)

1°T.V. Vannutelli G.Venezia.

T. V. Carnevale Venezia.

C. C. Menicanti Venezia.T. V. Caracciolo di

Forino - Ve­nezia.

» Aiello L. - Ve­nezia.

» Pini - Venezia

Nave appoggio sommergibili L ombardia (a) C.C. Slagkek- Maddalena.

l a Squadriglia torpediniere sommergibili (temp. alla diretta dipendenza del Ministero).

Jalea ( a ) ................ C. F. Giovannini E.- Messina.

Salpa ( a ) ................ C. C. Paolini - Mad­dalena.

I Zoea (a).................... 1° T.V. SenigalliaMessina.

Iantina (a) . . . . » Tarò Colombo- Maddalena

Medusa (a) . . . . C. C. Vaceaneo Spezia.

, Velella (a )................ 1°T.V . De Feo2a Squadriglia torpediniere / Spezia,

sommergibili. 1 Fisalia (a ).................T. V. BattagliaMaddalena.

Atropo (a) . . . . » Bonamico Maddalena.

Nereide (a) . . . . C. C. Gottardi Brindisi.

Nautilus (a) . . . .1 ° T.V. Colombo R. -

3a Squadriglia torpediniere J , ................ T . V. De“ Greco G.sommergibili. j . Spezia.

G. Pullino (a) . . . 1°T.V. Bottini - Spe' zia

G. Ferraris (allestimento) - Spezia.

Page 455: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

_ 449 —

/ Squalo (a) . . . . C. C. Mellana - Ve­nezia.

I Otaria ( a ) ................ T. V. AlhaiqueI Venezia.1 Delfino (a\ . . . . » Goi - Venezia

4a Squadriglia torpediniere ! Narvalo (a) . . . . » Siccoli - Ve- sommergibili assegnata a ( nezia.Venezia. 1 Glauco (a ) ................ » Farinati - Ve­

nezia.I Foca ( a ) ................ » Ponzio - Ve-f nezia.

Tricheco (a) . . . . » Torrigiani \ Venezia.

NAVI IN ALBANIA

D andolo (ats)................C. F. Magliano A. - Durazzo.Dardo ( a ) ................ C. G. Bernotti - Valona.Misurata ( a ) ................ 1°T.V. Ponza di San Martino - Brindisi

NAVI IN EGEO

Atlante ( a ) .............................1° T.V. Farina - Rodi.

NAVI IN TRIPOLITANIA

Ostro ( a ) ................. ... . C. G. Winspeare - Tripoli.Lampo ( a ) .......................... » Castiglioni - Tripoli.Astore (a) * ......................T. V. Cerio - Bengasi.Albatros ( a ) .......................... » Cappelli - Tripoli (crociera).Pagano ( a ) ..........................un sottufficiale - Tripoli.(*) Distaccata temporaneamente in Cirenaica in attesa deU’arrivo

dell’ O lim pia e O r f e o .

NAVI IN CIRENAICA

Euro ( a ) .....................................C. F. Gambardella F. - Tobruk.Strale ( a ) .....................................C. C. Marsilia - Tobruk.Brenta ( a ) .....................................un sottufficiale - Tobruk.

NAVI IN MAR ROSSO

Giuliana ( a ) .................1° T.V. Ornati - Massaua.Lido (ats) . . . . S. T. V. Brivonesi - Alula.Motobarca ME 4 ( a ) ................ un sottufficiale - Massaua.

29 — La marina italiana, ecc., Vol. I.

Page 456: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

— 450 —

NAVI ALL’ ESTERO

Nave Staz. Costantinopoli ) Archimede (a) . Io T.V. Cavagnari - Therapia.

Nave Staz. nei mari della \ Marco Polo (a ) . Cina e Giappone.

C. F. Bozzo - Shan-

Nave Staz. in Cina S. Caboto (a) . C. C. Denti - Shan­ghai.

Nave viaggio di rimpiazzo Calabria (a) C. F. Spagna - Las Palmas.

NAVI AMMIRAGLIE DIPARTIMENTALI

C S Palinuro (ris. t. disp.) T. V. Lauro-resp. -Nave Amm. a spezia . . j ' Spezia

tvt \ Guardiano (ris.) . . » Granafei - Na-i » » Napon . . i ' j.

v S Goito (ris.) . . . . C. C. Di Sambuy -1 » en zia . . j a£fon(jamjne Venezia.

Nave Amm. a Taranto. . j Tobruk (ar) . . . lo T.V. Leda - Ta-( ranto.

» Maddalena. J Ercole (a).................. 1 M T “Maddalena

NAVI DA TRASPORTO E DA RIMORCHIO

Garigliano ( a ) .........................C. C. Camperio - Spezia.Eritrea . . ( a ) ......................... » Cappellini - Spezia.Ciclope ( a ) ......................... 1° T .V . Bogetti - Taranto il 28.

Betta 5 ( a ) ......................... un sottufficiale - Taranto.Bengasi ( d i s p . ) .................un sottufficiale - Spezia.Sterope ( d i s p . ) .................un sottufficiale - Taranto.

Page 457: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

— 451 —

NAVI E SILURANTI DESTINATE A SERVIZI VARI

E NAVI IN DISPONIBILITÀ

C. d i Cavour (ris) . C. V. Solari Em. - Spezia. Sardegna (ris.t.s.) (*) » Roberti Vittory - Spezia. D uilio (ris) . . . . » Casanova - Spezia.A. Doria (ris) . . . » De Lorenzi - Spezia.

I A. Vespucci (ris.t.s.). C. F. Genta - Livorno.F. Gioia (ris.t.s.) . . C. C. Tonta Uff. 2° - Livorno.

, Miseno (ris) . . . . T. V. Bertonelli - Spezia.| Anteo ( a ) ................ » Lauro - Spezia.

Sicilia (disp.) . . . - Spezia.Città di Milano(disp-) - Spezia.Amm. Magnaghi(all.) * Genova.Luni (a ).................... - Genova.

Dipartimento

di Spezia

(*) Scuola mozzi apprendisti e specialisti.

Dipartimento di Napoli

Cam pan ia (allest.) Basilicata (allest) Verde (artd) . . .

- Napoli.- Napoli.un sottufficiale - Maddalena.

Tripoli (a) (*) . . . C. C. Maccaroni - Brindisi. Trinacria (disp.) . . - Taranto.Pellicano (disp.) . . - Taranto.C. Verri (disp.) . . - Taranto.Betta 3 (disp.) . . . - Taranto.G. Bausan (disp.) . - Taranto.Etru ria (disp.) . . - Taranto.Cunfida (r. a.) . . . 1° T.V. Alvigini - Taranto. Torp. 82 S. (arts). . un sottufficiale - Taranto. Torp. 68 S. (arts). . » » Taranto.Iride (disp.) . . . . - Taranto.Coatit (disp.) . . . - Taranto.

(*) Nave affondamine a Brindisi.

Dipartimento

di Taranto

Dipartimento

di Venezia

E tna ( a ) .................C. F. Dondero - Venezia.Piemonte (ris) . Gabbiano (a) . . Castore (ris) . . .

I Torp. 88 S. (artd).1 Margbera (a r) . . Brondolo (a r)

Resio L. - Venezia.T. V. Farina F. - Venezia.S. T. V. De Micheli - Venezia, aggregata.un sottufficiale - Venezia.

» » - Venezia.G. Garibaldi (disp.) . C. C. Giberti - Venezia.

Page 458: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

— 452 —

NAVIGLIO AEREO

Aeronave Città di Ferrara (ar) . . T. V. Castracane.Castr. - Ferrara.

Zona fari di

Torpediniere

di 2a classe

FARI E FINANZA

Livorno (torp. 114 S.) (a) personale borghese -Livorno.

Maddalena (Porto Torres) (a) personale borghese -da Cagliari il 28.

Taranto (Porto Empedocle) (a) personale borgh.Napoli.

Gruppo (Torp. 128 S. (ats) un sottufficiale -Maddalena.

Regia (Torp. 133 S. (ats) un sottufficiale -Trapani.

Finanza (Torp. 105 S. (ats) un sottufficiale -Messina.

Spezia NapoliA. Poerio (all. Genova) —

C. Rossarol (all. Genova) —

NAVI IN DISARMO

Venezia Montebello

Elba

TarantoG. Ferraris (all.)

Spezia (*).Torp. 102 S.Torp. 134 S.

(*) Assegnato alla 3.a squadriglia sommergibili.

Page 459: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

A P P E N D I C E N. 3

TABELLE DI CONFRONTO TRA LE CARATTERI­STICHE DELLE UNITÀ PIÙ RECENTI DELLE MARINE DA GUERRA ITALIANA ED AUSTRIACA

ALLO SCOPPIO DEL CONFLITTO EUROPEO

Page 460: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

ITALIA. - Navi di linea

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ED ANNO DEL VARO

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R o m a ..........................N a p o l i ..........................R e g in a E le n a . . . V it to r io E m a n u e le

B e n e d e tto B r in . . R e g in a M a rgh er ita

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1911 \ 1 9 1 lf 175 28 8,5 22.400 250 150 240 280 901911)1910 167 26 8 ,6 19.500 250 100 250 280 50

1907 \ 1905T 1904 i 1904)

144 22,4 8,3 12.800 250 150 200 250 40

1901J1901* 138 24 8 ,3 13.000 150 150 200 150 80

AUSTRIA. - Navi di linea

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S zen t Ist v a r . ..................... 1914»

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P rin z B u g e n .....................T e g e t t h o f f ..........................V ir ib u s U n it is . . . .

1912V191211911

151 27,3 8,2 20.000 280 180 280 280 48

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Z r i n y i ....................................R a d e t z k y ..........................E rz h e rz o g . F . F erd in a n d

191 0 ;1909J1908)

131 25 8,1 14.500 230 150 250 250 43

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E r z h e r z o g F . M a x . . E rz h e rz o g F r ied r ich . . E rz h e rz o g K a r l . . . .

1905119041903)

119 22 7,5 10.600 210 170 240 240 75

A4B a b e n b e r g ..........................A r p a d ....................................A b s b u r g ...............................

19021 190 1J 1900)

108 20 7,1 8.300 220 135 210 200 65

Page 461: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

varate dopo il 1900.

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M a 20.000 22 10002500 -

) 4 [3 0 5 /4 0 ] 4 [2 0 3 /4 5 ] 12 ( [1 5 2 /4 0 ] 20 [7 6 /4 0 ] 2 t Is.

M a 20.000 2010002000

varate dopo il 1900.

12 [3 0 5 /4 5 /s ] 12 [1 5 2 /5 0 ] 18 [7 5 /7 0 ] 2 [7 5 /1 5 ] 4 t Is.

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900 ‘ 2000

-

4 [3 0 5 /4 5 ] 8 [2 4 0 /4 5 ] 20 (1 0 0 /5 0 ] 6 [7 0 /4 5 ] 3 t Is.

M a 20.000 20750

1350 -

4 [2 4 0 /4 0 ] 12 [1 9 0 /4 2 ] 12 [7 0 /4 5 ] 2 t Is.

M a 18.000 20,5 5501300 -

3 [2 4 0 /4 0 ] 12 [1 5 2 /4 0 ] 10 [7 0 /4 5 ] 2 t ls.

M a 15.000 19500840 —

Page 462: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

ITALIA. - Navi di linea antiquate di scarso

N o m e

E D ANNO DEL VARO

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D is lo c a ­

m e n to

T o n n .

A r t i ­g l ie r ie

C ora zza in m m .

A m m . d i S a in t B o n . . 1897 E m a n n e le F il ib e r to . . 1897

106106

21 9.800 250 150 240 250 80

AUSTRIA. - Navi di linea antiquate di scarso

B u d a p e s t ..........................1896M o n a r c h ...............................1895W i e n .................................... 1895

93 17 6,4 5.600 270 80 250 250 60

Page 463: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

valore militare varate prima del 1900.

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4 [2 5 4 /4 0 ] 8 [1 5 2 /4 0 ] 6 [76/403 6 [47 ] 4 t ls .

M a 14.000 18 8201000

valore militare varate prima del 1900.

4 [2 4 0 /4 0 ] 5 [1 5 2 /4 0 ] 2 [7 0 /1 8 ] 12 [4 7 /4 4 ] 2 t l e .

M a .000 300500

Page 464: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

ITALIA. - IneroI

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ED ANNO DEL

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. . 1908

. . 1907

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7,8| 10.300 200 160 180 250 60

F e rru cc io . . . . G a r ib a ld i . . . .

! V a r e s e ..........................

. , 1902

. . 1899

. . 1899j,„ 18 7,3 7.300 150 150 150 150 40

AUSTRIA. - Inero

S t . G e o r g .......................... 1903 117 19 6 ,5 7.300 210 150 210 200 65

K a is e r K a r l V I . . . 1898 112 17,2 6 ,2 6.300 220 80 200 200 60

K . K . M a r ia T h e r e s ia . . 18 9 0 107 16 6 ,5 6.200 100 80 100 50 60

Page 465: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

datori corazzati.

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1 [2 5 4 /4 0 ] 2 [2 0 3 /4 0 ] 14 [1 5 2 /4 0 ] 10 [7 6 /4 0 ] 4 t .ls .

datori corazzati.

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20.00023.000

19.00019.000

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7001560

7001500

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U n ità a n t iq u a te d i m o d e s to v a lo r e m ilita re n e l 1914.

10002 [2 4 0 /4 0 ] 5 [1 9 0 /4 2 ] 4 M a 15.000 22 600 —

[1 5 2 /4 0 ] 9 [7 0 /4 5 ] 2 t .ls . 8002 [2 4 0 /4 0 ] 8 [1 5 2 /4 0 ] 16 M a 12.300 20 —

[4 7 /4 0 ] 2 t .ls . 5002 [1 9 0 /4 2 ] 8 [1 5 2 /3 5 ] 16 M a 9.000 19 740 —

[4 7 /4 4 ] 4 t .ls . 6ÖÖR im o d e r n a ta e r im essa in e ffic ie n za nel

1909.

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Page 466: Uff. Storico Regia Marina - La Marina italiana nella Grande Guerra. Vol.1 - Dalla pace di Losanna alla Guerra italo-austriaca (1935)

ITALIA. - IncrociatoricSS3N

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N in o B iz io . . . . M a r s a l a .....................

, 1911 . . 1912 140 13 4 3 .600 — — — — 40

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AUSTRIA. - Incrociatori

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I N D I C E

Capitolo I: Dalla pace di Losanna alla finede] 1913.................................................... Pagg.La marina italiana alla fine della guerra italo-

turca — Le squadre internazionali a Costanti­nopoli — Occupazione di Costantinopoli da parte delle forze internazionali — Il caos al­

banese — Il rinnovamento della Triplice Al­leanza — Il fosco orizzonte politico nel di­cembre 1912 — I « Giovani Turchi » e la se­

conda guèrra balcanica — Valona — La po­litica italiana in Adriatico — Le aspirazioni slave — I serbi a Durazzo — La situazione militare albanese nei primi mesi del 1913 —Le prime nubi italo-austriache per l’Albania— L ’assedio di Scutari — La flotta interna­zionale ad Antivari __ Il blocco del Mon­tenegro — La capitolazione di Scutari — Pre­parativi per l ’ occupazione di Valona — Mo­bilitazione parziale e dislocazione della flotta italiana — La politica austriaca in Albania— L’occupazione intemazionale di Scutari —La delimitazione dei confini dello Stato al­banese — L ’ orizzonte politico si rasserena —La flotta nelle basi — Periodo di raccogli­mento — Costituzione delle forze navali —La flotta francese in Levante.

9-63

30 — La marina italiana, ecc., Voi. I.

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C apitolo II: Le operazioni navali in Libiadopo la pace ita lo -tu rca .....................Pa-gg- 64-112

Le condizioni politico-militari della Libia dopo la cessazione delle ostilità con la Turchia —La guerriglia coloniale -— Le speranze tur­che — Il contrabbando costiero — I presidi sulla costa ed i loro collegamenti — Le for­ze navali dislocate in Libia — Prime azioni contro nuclei ribelli in Cirenaica — Azioni del Bausan e dell’Etruria — Bombardamento ed occupazione di Sirte — Imbarco dei re­golari turchi — Le azioni nei dintorni di Bengasi nel gennaio 1913 — Il trasporto dei regolari turchi a Beirut — La situazione in Cirenaica — I preparativi per l ’azione di Tolmetta — Operazioni delle torpediniere nei dintorni di Tobruk — Costituzione del corpo destinato ad occupare il Mérg — Di­slocazione della prima divisione della pri­ma squadra — Costituzione del convoglio —— L’ imbarco del corpo di spedizione — Il concentramento a Tobruk — Lo sbarco dei marinai — Le difficoltà dello sbarco — La crisi della testa di sbarco — La notte dal- l ’ i l al 12 aprile — Le operazioni dei giorni successivi — Le artiglierie delle navi in azione — Le operazioni interrotte dalla ma­reggiata — Fine dello sbarco — Avanzata e occupazione del Merg — Epilogo — Sbar­co ad Apollonia — La divisione navi scuola in Cirenaica — Azione della Sicilia — La mi­gliorata situazione militare alla fine del lu­glio 1913 — La partecipazione delle navi alle operazioni nel settore di Tobruk.

C apitolo DI . .......................................... » 113-154L'apparente calma nell’inverno 1913-1914 — La

irrequietezza dell’ Epiro — Il principe di

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— 467 —

Wied — La R. N. Quarto nel golfo di Trie­ste — L’ intervento della nostra forza da sbarco per la protezione del Sovrano alba­nese — La collaborazione navale italo-au- striaca — L’arresto di Essad Pascià — Gli1

intrighi austriaci alla corte del principe —L’ incidente Muriechio — L’attacco degli in­sorti a Duràzzo — Il telegramma dell’ eccidio di Serajevo — Il funerale nell’Amarissimo— Il Consiglio dei Ministri a Vienna e le di­rettive per la politica austriaca in Albania

— La partenza delle navi austriache dalle acque albanesi — Il presidio dei marinai italiani al palazzo reale — La partenza del principe sul Misurata — L’occupazione di Durazzo da parte degli insorti — La Dan­dolo in Albania.

C ap ito lo IV : Il conflitto europeo . . . Pagg. 155-207Le convenzioni navali e il conflitto nel Medi-

terraneo — L ’accordo italo-austriaco del 1900— La convenzione navale franco-britannica— La convenzione navale italo-austro-germa- nica del 1913 — La situazione militare ma­

rittima nel Mediterraneo allo scoppio del conflitto — Il trasporto delle truppe francesi— I ministri della guerra e della marina convocati dal Presidente del Consiglio — Le conseguenze della nostra neutralità — L’ in­comprensione austro-tedesca del fattore marit­timo italiano — La dislocazione della flotta nelle basi meridionali — I provvedimenti per la difesa costiera — I provvedimenti per per la sicurezza del naviglio mercantile —Il Goeben ed il Breslau a Messina -— I provvediménti per salvaguardare la neutra­lità italiana — I successivi spostamenti delle forze navali italiane.

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Costituzione dell’Armata navale — Dislocazio­ne a Taranto — Valona e il problema stra­tegico dell’Adriatico — Le condiizoni del­l ’Albania dopo lo scoppio del conflitto euro­peo — La necessità dell’intervento italiano in Albania — La minaccia greca in Epiro— La costituzione della divisione navale in Albania — Le trattative diplomatiche — Il

forzato consenso russo — Lo sbarco a Saseno— La missione sanitaria a Valona — Il mi­nistro Sonnino alla Consulta — I disordini a Valona — Lo sbarco dei marinai italiani— L’ occupazione delle alture intorno alla città — Le conseguenze militari negli ul­teriori avvenimenti della guerrai — Le mine austriache in Adriatico — La protezione del traffico nazionale dnrante la neutralità — Le conseguenze economiche della guerra in Adriatico — Il blocco austriaco del Mon­tenegro e il nostro intervento diplomatico— Il blocco inglese e le proteste italo- americane.

Capitolo VI: La flotta italiana e la flottaaustriaca nel 1914....................................» 256-296

L’ influenza della Triplice alleanza sullo svi­luppo delia flotta italiana — La minaccia ad Oriente — Il rinnovamento del naviglio dopo la guerra libica — Le navi di linea —Gli incrociatori — Il naviglio sottile — Lo sviluppo della flotta austro-ungarica dopo il 1900 — Le costruzioni austriache e quelle italiane nel decennio 1900-1910 — Le ca­ratteristiche delle navi di linea austro-un- gariche — Il programma del 1910 — Gli esploratori — I cacciatorpediniere — I som­mergibili e l ’aviazione.

C a p i t o l o V : L’Italia a Valona . . . . Pagg. 208-255

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■Capitolo VII: Il nostro problema strate­gico e i piani di guerra......................... Pagg.L ’Adriatico « nido di vespe » — La guerra na­

vale in Adriatico prima dell’intervento del­l ’ Italia — L’organizzazione difensiva del li­torale austriaco — La costa italiana — Le effettive condizioni delle nostre basi adria- tiche allo scoppio del conflitto europeo —Studio sul piano di guerra compilato dallo stato maggiore italiano nel 1914 — L’evolu­zione del piano di guerra — Il piano di guerra — II piano di guerra definitivo —I piani di collaborazione tra il R. Esercito e la R. Marina.

C apitolo VIII: La preparazione e i miglio­ramenti dei mezzi - Gli accordi con gli Alleati • • ......................................... »Tentativi per aumentare il naviglio — La pre­

parazione alla guerra di mine — Le torpe­dini —- I siluri — L’ aumento delle artiglie­rie — I servizi logistici — Gli uomini — I lavori per l’approntamento delle basi in Adriatico — La flottiglia del Garda — L ’ae­ronautica navale — L ’attività dell’Ufficio III dello stato maggiore — Il patto di Londra— La convenzione navale — La crisi di mag­gio — La mobilitazione e la dislocazione della flotta.

A ppendice I : D ocu m en ti........................... »A ppendice II : Situazione e composizione

delPArmata navale nell’agosto 1914 . . »A ppendice III: Tabella di confronto tra le

caratteristiche delle unità più recenti delle marine da guerra italiana ed au­striaca allo scoppio del conflitto europeo »

297-346

347-387

339-439

441-452

453-463

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