La realizzazione e l'evoluzione dell'Orto Botanico di Napoli · Padova, i cui Orti Botanici furono...

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A partire dal XVI secolo, sull’onda della “rivoluzione scientifica” che a quel tempo investì l’Europa intera e che intendeva sovver- tire nel suo complesso tutti i capisaldi del pen- siero e della cultura rinascimentali, nacquero i primi Orti Botanici, giardini della scienza in cui studiare e classificare le varie specie vege- tali. Lontani modelli di tali Orti erano i giardini dei “Semplici” dei monasteri medievali, ove venivano coltivate le piante officinali utilizza- te a scopi terapeutici. Inizialmente anche gli Orti Botanici avevano l’esclusiva funzione di raccolta di piante medicinali e avevano dimen- sioni ridotte essendo di proprietà di singoli medici o farmacisti. Solo in un secondo momento essi furono impiegati anche a scopo didattico come supporto pratico all’insegna- mento medico, non essendo ancora avvenuto l’affrancamento disciplinare della Botanica dalla Medicina. Ancora più tardo fu infine il loro utilizzo in rapporto alle scienze agrarie e più in generale alle scienze naturali. Le città sedi delle Università furono dunque le prime a veder sorgere questi particolari isti- tuti. Il primato assoluto spetta a Pisa e a Padova, i cui Orti Botanici furono istituiti già nel 1545, ma ben presto molte altre città, sia in Italia sia nel resto d’Europa, ne seguirono l’e- sempio (V ANNUCCHI 2003). Napoli, sede di una delle più prestigiose Università e capitale di un viceregno, non fece eccezione e nel 1616, in occasione di un pro- getto di riforma universitaria dell’allora vicerè il Conte di Lemos, si pensò di fornire la città del suo Orto Botanico; purtroppo la suddetta riforma non fu mai attuata e con essa venne meno anche la creazione dell’Orto. L’esigenza di questa nuova struttura restò tuttavia invaria- ta e anzi si fece sempre più viva. Una prima risposta concreta a tale necessi- tà si ebbe nel 1682, quando vide la luce il cosiddetto Orto della Montagnola. Voluto dal Governatore dell’Ospedale della SS. Annun- ziata e annesso all’Ospedale dei Convalescen- ti, questo giardino, curato da Tommaso Don- zelli, risultava però ancora molto lontano dal poter essere considerato una struttura dedita allo studio scientifico delle piante. Intanto, l’atmosfera culturale napoletana subiva note- voli trasformazioni: nel 1735 la riforma uni- versitaria di Celestino Galiani favoriva lo svi- luppo di nuove materie, tra cui la Botanica, mentre una ulteriore spinta ad un ancora più significativo slancio culturale della città veni- va offerta dall’ascesa al trono di Carlo di Borbone, che chiudeva il lunghissimo periodo di viceregno e di dominazione austriaca. La realizzazione e l'evoluzione dell'Orto Botanico di Napoli F. ZECCHINO Facoltà di Lettere, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, Convento di Santa Caterina da Siena, via Santa Caterina da Siena 37, 80135 Napoli, Italia [email protected] Riassunto. Viene presentata la storia della realiz- zazione dell'Orto Botanico di Napoli inquadrando- la nel contesto della tradizione dei giardini botanici della città a partire dal XVI sec. Viene quindi illu- strata l'evoluzione dell'Orto Botanico, descrivendo gli interventi dei direttori che si sono succeduti alla sua guida fino ai giorni nostri. Abstract. The History of realization of the Botanical Garden of Naples is presented, in the light of the tradition of botanical gardens in the city dating back to XVI century. The evolution of the Botanical Garden of Naples, throughout the description of the activities of its various directors, is also illustrated. Key words: Borbone, Botanical Garden of Naples, Giuseppe Bonaparte, Michele Tenore Delpinoa 47: 5-18. 2005

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A partire dal XVI secolo, sull’onda della“rivoluzione scientifica” che a quel tempoinvestì l’Europa intera e che intendeva sovver-tire nel suo complesso tutti i capisaldi del pen-siero e della cultura rinascimentali, nacquero iprimi Orti Botanici, giardini della scienza incui studiare e classificare le varie specie vege-tali.

Lontani modelli di tali Orti erano i giardinidei “Semplici” dei monasteri medievali, ovevenivano coltivate le piante officinali utilizza-te a scopi terapeutici. Inizialmente anche gliOrti Botanici avevano l’esclusiva funzione diraccolta di piante medicinali e avevano dimen-sioni ridotte essendo di proprietà di singolimedici o farmacisti. Solo in un secondomomento essi furono impiegati anche a scopodidattico come supporto pratico all’insegna-mento medico, non essendo ancora avvenutol ’ a ffrancamento disciplinare della Botanicadalla Medicina. Ancora più tardo fu infine illoro utilizzo in rapporto alle scienze agrarie epiù in generale alle scienze naturali.

Le città sedi delle Università furono dunquele prime a veder sorgere questi particolari isti-tuti. Il primato assoluto spetta a Pisa e aPadova, i cui Orti Botanici furono istituiti giànel 1545, ma ben presto molte altre città, sia inItalia sia nel resto d’Europa, ne seguirono l’e-

sempio (VANNUCCHI 2003). Napoli, sede di una delle più prestigiose

Università e capitale di un viceregno, non feceeccezione e nel 1616, in occasione di un pro-getto di riforma universitaria dell’allora vicerèil Conte di Lemos, si pensò di fornire la cittàdel suo Orto Botanico; purtroppo la suddettariforma non fu mai attuata e con essa vennemeno anche la creazione dell’Orto. L’esigenzadi questa nuova struttura restò tuttavia invaria-ta e anzi si fece sempre più viva.

Una prima risposta concreta a tale necessi-tà si ebbe nel 1682, quando vide la luce ilcosiddetto Orto della Montagnola. Voluto dalGovernatore dell’Ospedale della SS. Annun-ziata e annesso all’Ospedale dei Convalescen-ti, questo giardino, curato da Tommaso Don-zelli, risultava però ancora molto lontano dalpoter essere considerato una struttura deditaallo studio scientifico delle piante. Intanto,l’atmosfera culturale napoletana subiva note-voli trasformazioni: nel 1735 la riforma uni-versitaria di Celestino Galiani favoriva lo svi-luppo di nuove materie, tra cui la Botanica,mentre una ulteriore spinta ad un ancora piùsignificativo slancio culturale della città veni-va offerta dall’ascesa al trono di Carlo diBorbone, che chiudeva il lunghissimo periododi viceregno e di dominazione austriaca.

La realizzazione e l'evoluzione dell'Orto Botanico di Napoli

F. ZECCHINO

Facoltà di Lettere, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, Convento di Santa Caterinada Siena, via Santa Caterina da Siena 37, 80135 Napoli, [email protected]

Riassunto. Viene presentata la storia della realiz-zazione dell'Orto Botanico di Napoli inquadrando-la nel contesto della tradizione dei giardini botanicidella città a partire dal XVI sec. Viene quindi illu-strata l'evoluzione dell'Orto Botanico, descrivendogli interventi dei direttori che si sono succeduti allasua guida fino ai giorni nostri.

A b s t r a c t. The History of realization of theBotanical Garden of Naples is presented, in thelight of the tradition of botanical gardens in the citydating back to XVI century. The evolution of theBotanical Garden of Naples, throughout thedescription of the activities of its various directors,is also illustrated.

Key words: Borbone, Botanical Garden of Naples, Giuseppe Bonaparte, Michele Tenore

Delpinoa 47: 5-18. 2005

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Nonostante queste ottime premesse, tutta-via, a causa di varie circostanze, nulla in effet-ti cambiò e la tanto agognata creazione di unOrto Botanico non decollava. Ancora nel 1796,quando tutto sembrava ad un passo dal realiz-zarsi, essendo stato presentato a Ferdinando IVun progetto finale in cui il cavalier Pianelli el’architetto Francesco Maresca indicavanofinanche la zona in via Foria di fiancoall’Albergo dei Poveri come luogo presceltoper accogliere la nuova struttura, lo spettro diquanto accadeva in Europa con l’avvento diNapoleone e le avvisaglie della RivoluzioneNapoletana del 1799 influirono sul rinvio diogni decisione.

Qualcosa però accadde nel 1804, quandoVincenzo Petagna, da cinque anni titolare dellacattedra universitaria di Botanica, riuscì a darevita nel chiostro della nuova sede universitariadi Monteoliveto ad un giardino destinato alladidattica. A ffiancato dal giovane MicheleTenore, il Petagna si prodigò nell’allestire almeglio tale Orto, sia ricercando specie partico-lari nell’intero territorio del regno sia, e anzisoprattutto, attingendo dai numerosissimi giar-dini privati con spiccata vocazione scientificapresenti a Napoli e dintorni. Nella città parte-nopea, infatti, fin dal 1558 erano stati frequen-temente realizzati giardini nelle dimore privatedi facoltosi studiosi o semplici mecenati(MENALE & BARONE LUMAGA 2000a). Risaleall’epoca su citata quello di Gian VincenzoPinelli, mentre poco successivi furono quelli diFerrante Imperato e Gian Battista della Porta;del XVIII secolo furono invece i giardini diNiccolò Cirillo (nonno del celebre Domenico,insigne medico e botanico), del Marchese diGravina a Bellavista, del Cavalier Poli a Tarsiae dei Sanseverino di Bisignano a Barra.Quest’ultimo giardino, che si distinse fra tuttiper la magnificenza delle sue collezioni arric-chite dal proprietario con numerose specie eso-tiche, acquisì un ulteriore risalto quando nediventarono curatori scientifici prima ilPetagna e poi il Tenore (ZECCHINO 2005).

Il panorama politico intanto continuava amodificarsi e nel 1806 Giuseppe Bonaparte,fratello di Napoleone, salì sul trono di Napoli.Come da consuetudine, in questi casi il nuovosovrano volle da subito dare prova delle

migliorie che il suo nuovo governo sarebbestato in grado di apportare promuovendo mol-teplici riforme, tra cui anche quella della pub-blica istruzione. Questo spirito innovatore e lanecessità di trasformare l’area in cui sorgeval’Orto di Monteoliveto in mercato di comme-stibili fecero prendere la decisione di istituireun nuovo Orto Botanico. La consulenza delTenore, richiesta dai Francesi che, visti gliinnegabili suoi meriti, non tardarono a consi-derarlo persona più che mai adatta a tale scopo,fece sì che il luogo prescelto fosse quello giàindicato nel 1796 all’allora re Ferdinando IV.

Finalmente, il 28 dicembre 1807, GiuseppeNapoleone firmò il decreto con cui si sancì lanascita del Real Orto Botanico (DE LUCA et al.1999; FR AT I C E L L I 1993; GI A C O M I N I 1 9 6 5 ;MENALE et al. 2000; RUSSO 1992). Nel detta-glio, tale decreto indicava il terreno che l’Ortoavrebbe occupato, imponeva ai proprietari didetto terreno la cessione dello stesso previoequo compenso, annunciava le finalità scienti-fiche della nascente struttura e infine dispone-va il trasferimento in essa delle piante presentinel giardino di Monteoliveto. L’area destinataall’Orto, che si sviluppava per una superficiecomplessiva di circa 13 ettari, era quella “tral’Albergo dei Poveri e la Piazza di S. Mariadegli Angioli alle Croci, appartenente in parteall’Ospedale della Cava ed in parte ai P.Religiosi della Pace” (LONGO 1943; CATALANO1958). Il limite occidentale era dunque inizial-mente rappresentato dalla strada in cui sorgevail Convento di Santa Maria degli Angeli, dettoanche “alle Croci” per la presenza nella zona dinumerosi croci di legno. Solo in un secondomomento questo limite si spostò ulteriormentead ovest inglobando l’intera area in cui sorge-vano quelle croci che davano il nome alConvento (Fig. 1a). Il Catalano, riportando lanotizia del ritrovamento di un sepolcro daparte del Tenore durante le operazioni di ridu-zione a coltura del terreno in quella zona, ipo-tizza che le preesistenti croci indicassero ilcimitero dei religiosi (CATALANO 1958); inrealtà pare più convincente la versione delParrino: “avanti la Chiesa v’è uno stradone,che vagheggia tutto il Borgo, e la marina, e sidiscende a S. Antonio Abbate, ove il Padre Fr.Ignazio Savino dell’Osservanza, detto Padre

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Cavallino per essere stato scolaro del PadreFr. Bonaventura Cavallo Vescovo di Caserta,mentre predicò nell’arcivescovato la secondavolta con gran grido, essendo Arcivescovo il

Cardinal Caracciolo, fece porre molte Crocicon Iscrizioni per meditarvi da parte in partela Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”(PARRINO 1725).

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Fig. 1 - a: Il Convento di Santa Maria degli Angeli, detto anche “alle Croci”, in una pianta del 1690 di P.Petrini (Biblioteca dell'Orto Botanico di Napoli); b: Riproduzione del quadro del pittore napole-tano Salvatore Fergola, rappresentante l'ingresso a Napoli di Ferdinando I Re delle Due Sicilie nel1815, in cui è osservabile la facciata con la scala a doppia rampa (Biblioteca dell'Orto Botanico diNapoli).

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Date queste ultime modifiche ed essendodunque definito il perimetro dell’Orto, che acausa di un lembo di terra nell’angolo di nord-est, a settentrione cioè dell’Albergo dei Poveri,assumeva una forma complessiva irregolare, siprovvide a tracciarne l’impianto. Tale incaricofu affidato all’architetto Giuliano de Fazio.Egli stabilì l’ingresso principale su via Foria e,per risolvere il problema rappresentato dal di-slivello di circa sette metri tra il giardino e que-

sta sottostante strada, progettò una facciatamonumentale con scala a doppia rampa tra-sversale (Fig. 1b). Un secondo ingresso, desti-nato all’accesso dei veicoli, fu invece colloca-to lungo la salita di Santa Maria degli Angeli.In corrispondenza dell’ingresso principale, ilde Fazio tracciò un viale longitudinale che cor-reva fino al lato opposto dell’Orto ove collocòla “stufa temperata” (Fig. 2a) (BA R O N ELUMAGA & MENALE 2000). Si trattava di una

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Fig. 2 - a: La “stufa temperata”, oggi Serra Merola; b: Metope della Serra Merola (dettaglio della Fig. 2a).

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splendida serra dalla forma rettangolare ispira-ta alle Orangeries settecentesche con colonna-to dorico, decorata con trenta metope raffigu-ranti motivi vegetali (Fig. 2b) e munita di uninnovativo sistema di vetrate su infissi ligneiruotanti su perno centrale che permetteva l’ac-cesso anche ad esemplari arborei di notevolidimensioni (Fig. 3a). Nella zona mediana delviale principale fu tracciato un viale ad essoperpendicolare che tagliava il giardino da estad ovest suddividendolo in una zona alta (Fig.3b) ed una bassa.

Tra i progetti elaborati dal de Fazio ci fuanche quello di costruire un edificio che fun-gesse da sede dell’istituto nelle immediatevicinanze dell’ingresso principale; questo pro-getto tuttavia non fu mai realizzato. La zonadell’ingresso fu infatti adibita a terrazza pano-ramica che peraltro nel 1812, essendo succe-duto Gioacchino Murat a Giuseppe Napoleo-ne, fu dedicata alla consorte del nuovo sovra-no, prendendo il nome di “Terrazza Carolina”(VALLARIELLO 2000), mentre l’intero Orto fuchiamato “Real Giardino delle Piante Gioac-chino” (CATALANO 1958; CIARALLO 1983).

Tra i primi lavori eseguiti nell’OrtoBotanico ci furono quelli volti a rifornirlo diuna sufficiente quantità d’acqua. A tale scopofu creata una deviazione al vicino acquedottoCarmignano, che correva a nord dell’Orto, dacui veniva estratta l’acqua tramite un conge-gno situato in un apposito locale nei pressidella stufa temperata.

Per quanto riguarda l’organizzazione scien-tifica del giardino, fu lo stesso Tenore, nomi-nato nel 1810 da Murat direttore dell’Orto, adoccuparsene (TENORE 1807, 1815, 1845). I dueriquadri del piano inferiore dell’Orto ricavatidall’incrocio dei suoi viali furono utilizzati perospitare le famiglie naturali di piante erbacee edi piante arboree, rispettivamente a sinistra e adestra; l’area antistante la stufa temperatavenne invece organizzata secondo il metodolinneano. Lungo la Terrazza Carolina fu pian-tato un filare di platani, mentre nella zona del-l’ingresso secondario trovarono spazio nume-rose varietà di camelie. Nell’angolo nord-occi-dentale fu allestito un vigneto che prese ilnome di “Labirinto di Bacco” e immediata-mente al di sopra del viale trasversale

dell’Orto, nel suo angolo più ad est, un frutte-to; lo spazio a levante della stufa temperatavide infine prosperare un agrumeto.

Grazie alla prestigiosa direzione delTenore, la cui rilevanza scientifica era ben notaed apprezzata in campo nazionale ed interna-zionale, l’Orto napoletano non tardò a divenireuno tra i più importanti istituti botanici distin-guendosi per le molteplici attività svolte. Allaricerca scientifica, infatti, si affiancavano laraccolta, moltiplicazione e diffusione di pianteesotiche (DE LUCA & MENALE 1997; MENALEet al. 2000), la coltivazione di piante di inte-resse etnobotanico e la didattica. Fu inoltre di-sposto che l’Orto fosse aperto al pubblico, cosìda risultare una splendida passeggiata panora-mica. Come sede dell’istituto fu scelto, fin daiprimi anni della sua fondazione, l’unico fab-bricato già presente nell’area dell’OrtoBotanico e cioè una struttura, fino ad allora uti-lizzata come casolare per coloni e probabil-mente risalente al XVI secolo, che si trovavanella zona di nord-est. Denominato “Castello”,era un edificio quadrangolare con cortile inter-no, di circa 32 metri di lato, munito di torriangolari merlate, dotate di feritoie e ospitantiscale a chiocciola in muratura (Fig. 4a). Neisuoi locali furono allestiti un erbario, unabiblioteca, un laboratorio e nel 1818 il Tenorevi inaugurò una vasta aula per le lezioni(TENORE 1818). Michele Tenore ricoprì la cari-ca di direttore fino al 1860 e alla sua mortelasciò in eredità all’Orto la sua biblioteca ed ilsuo erbario.

Successore del Tenore, dopo un breveperiodo di direzione del nipote Vincenzo, fuGuglielmo Gasparrini. Quest’ultimo provvidea far risistemare alcune zone dell’Orto un po’trascurate nell’ultimo periodo di direzionetenoreana e si rese promotore di nuovi lavoricome la creazione di un’area in cui coltivarepiante alpine. Tale area, rappresentata da unacollinetta con relativa depressione sottostante,prese il nome di “Valletta”. Il nuovo direttore,inoltre, si attivò per fornire l’Orto di una serrariscaldata che risultasse più idonea ed efficacedi quella realizzata dal de Fazio. In realtà l’esi-genza di una serra più moderna si era palesatagià durante la direzione di Michele Tenore ilquale, nel 1818, diede il via alla costruzione

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della struttura che tuttavia, una volta ultimata,risultò difettosa. Durante gli anni della suadirezione, il Gasparrini si trovò a fronteggiareanche un altro problema che già aveva impe-gnato qualche anno prima il suo predecessore:il pubblico passeggio nell’Orto Botanico. Lanecessità di controllo e sorveglianza dai possi-bili abusi ai danni del giardino si faceva infat-ti sempre più pressante e Gasparrini decise dicreare delle zone riservate in cui il pubbliconon potesse accedere; ottenne inoltre l’asse-gnazione da parte dell’autorità municipale diun gruppo di agenti espressamente addetti alservizio di vigilanza dell’Orto Botanico.

Alla morte di Gasparrini gli successe, nel1868, Vincenzo Cesati. Tra le maggiori novitàapportate all’Orto in questo periodo va ricor-data finalmente la realizzazione di una serra ariscaldamento artificiale. A quegli anni risalgo-no anche i primi studi, che però non videro unaimmediata realizzazione, su come modernizza-re la stufa temperata del de Fazio allo scopo diutilizzarla in modo più efficace e consono allenecessità dell’istituto. Anche il Cesati si trovòa dover fronteggiare le ormai consuete compli-cazioni gestionali derivanti dall’utilizzo deiviali dell’Orto come passeggio pubblico e sulleorme dei suoi predecessori tentò la via dellamodifica del calendario d’apertura al pubblicoriducendolo ai soli giorni non festivi, novitàquesta che portò a vibranti proteste dell’opi-nione pubblica.

Nel 1883 assunse la direzione dell’OrtoBotanico Giuseppe Antonio Pasquale, che inrealtà aveva già ricoperto questa carica, se purein modo temporaneo, per un breve periodointercorso tra la direzione del Gasparrini equella del Cesati. Con Pasquale prese corpol’idea di una nuova sede per l’istituto da affian-care al Castello e fu ipotizzata la costruzione diun tale edificio nella zona occupata dallavigna, nell’angolo nord-ovest dell’Orto(PASQUALE 1867). Durante il suo mandato, fumemorabile la strenua battaglia, fortunatamen-te vinta, che egli dovette ingaggiare contro lasorprendente proposta di privare l’Orto dellasua zona a ridosso di via Foria, quella cioècomprendente la scuola delle famiglie naturali,l’arboreto e l’area confinante con l’Albergodei Poveri, per edificarvi nuovi istituti univer-

sitari. Dal 1894 fino al 1905 fu direttore dell’Orto

Botanico Federico Delpino. Si trattò purtroppodi un periodo che per ragioni di natura econo-mica ed amministrativa portò l’Orto ad un ine-sorabile declino. È di quegli anni il dibattito,già avviato nel 1890, sulla necessità di restau-ro del muro di contenimento su via Foria, chetroverà una soluzione solo nel 1903, dopo oltreun decennio di rimbalzi di responsabilità tra glienti competenti.

Lungaggini burocratiche e difficoltà gestio-nali costituirono una piaga anche per il succes-sivo direttore Fridiano Cavara, subentrato alDelpino nel 1906, tanto da impedirgli di assi-stere alla realizzazione del progetto che più glifu caro e per il quale si battè durante i suoi 23anni di direzione: la creazione della tanto atte-sa nuova sede dell’istituto. L’obiettivo da luiinseguito tra mille difficoltà e per il qualeaveva ideato una nuova collocazione rispetto aquella proposta qualche anno prima dalPasquale, ovvero parte dello spazio occupatodalla scuola delle famiglie naturali nell’area inprossimità dell’ingresso principale, fu infattiraggiunto solo dopo la sua morte. Oltre allasuddetta, comunque, molteplici furono le novi-tà apportate dal Cavara all’impianto dell’OrtoBotanico. Il vigneto occupante l’angolo nord-ovest fu sostituito da collezioni di xerofite esucculente; fu restaurata la stufa temperata e laserra riscaldata fu dotata di un più modernoimpianto di riscaldamento; a metà del vialeprincipale furono realizzate due vasche, per lepiante lacustri, collocate una sul lato destro euna su quello sinistro; fu creato un viale dalpercorso a serpentina che tagliava diagonal-mente la zona in cui sorgeva l’arboreto, colle-gando così in maniera più diretta l’ingresso divia Foria e il Castello, e alla destra del vialetrovò posto un laghetto artificiale attraversatoda un ponticello. Per quanto riguarda l’accessoal pubblico nell’Orto, nel 1915 fu stipulata unaconvenzione con il Comune che dispose lostanziamento di un fondo annuo per garantireun più adeguato servizio di sorveglianza.Purtroppo anche questo ennesimo tentativonon portò ai risultati sperati e dopo soli tre annila convenzione venne annullata. Sotto la dire-zione del Cavara, infine, una grande novità

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Fig. 3 - a: Il particolare sistema di apertura delle vetrate della Serra Merola; b: La “stufa temperata” (SerraMerola) e il livello superiore dell'Orto Botanico. (Incisione su rame, attribuita a Giacinto Gigante,tratta dalla “Corografia Fisica, Storica, Statistica dell'Italia (1835-45)” di Attilio ZuccagniOrlandini).

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riguardò l’aspetto più squisitamente scientificodell’istituto partenopeo. Va qui però fatta unapremessa: poco dopo la fondazione dell’OrtoBotanico, il Tenore chiese e ottenne un amplia-mento dei possedimenti ad esso attribuiti daldecreto del 1807; tali ulteriori terreni si svilup-pavano per circa 7 ettari a nord-est dell’areaoccupata dal Castello e fin dai tempi della loroacquisizione furono affittati a coloni per incre-mentare le entrate dell’istituto prendendo ilnome di “Fondi Rustici”. Quando, per fronteg-giare l’improvvisa necessità di piante medici-

nali generata dallo scoppio della prima guerramondiale, il Ministero dell’Agricoltura e quel-lo dell’Interno furono disposti ad elargire fondispeciali, il Cavara, da sempre intenzionato adaccrescere le finalità scientifiche dell’OrtoBotanico, non si lasciò scappare l’occasione eistituì la “Stazione Sperimentale per le PianteOfficinali” (Fig. 4b). Al nuovo istituto, sortocome Ente consorziale i cui contribuenti eranoMinistero dell’Economia Nazionale, Provin-cia, Comune, Camera di Commercio e Univer-sità di Napoli, ma operante sotto la guida diret-

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Fig 4 - a: Il “Castello”; b: La Stazione Sperimentale per le Piante Officinali; c: L'area con le piante suc-culente (“Deserto”).

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ta dell’Orto Botanico, fu assegnato proprio ilterreno dei fondi rustici che, nel corso deglianni, a causa di riduzioni e cessioni, si eraridotto a poco più di 3 ettari.

Anche nel caso della Stazione Sperimenta-le, tuttavia, il Cavara si trovò solo a dare il viaad un progetto che si sarebbe realmente con-cretizzato dopo la sua morte. Fu infatti con ilsuo successore Biagio Longo (1930) che, nel1932, dalla ristrutturazione e l’ingrandimentodi un vecchio semenzaio, fu ricavata una deco-rosa sede su due piani per il nuovo istitutoscientifico. Alla cosiddetta “Palazzina” feceroseguito una piccola serra, un nuovo semenzaioe un magazzino; si provvide inoltre all’acqui-sto del necessario materiale scientifico e diarredo. Prese così effettivamente il via l’attivi-tà della Stazione Sperimentale finalizzata allaconoscenza e alla diffusione delle piante offi-cinali. Pochi anni più tardi, nel 1936, furonoinvece finalmente ultimati i decennali lavori dicostruzione della nuova sede dell’istituto bota-nico che fu poi dotata di più adeguate e moder-ne attrezzature grazie allo stanziamento difondi di varia provenienza.

Grazie a tutte queste innovazioni l’OrtoBotanico di Napoli visse probabilmente unodei più fulgidi momenti della sua storia rag-giungendo il culmine nel 1940, quando si pre-giò di ospitare una riunione straordinaria dellaSocietà Botanica Italiana. Purtroppo a talemagnifico periodo fece seguito quello cheinvece senza dubbio è annoverabile come ilpiù buio e sventurato non solo dell’OrtoBotanico ma dell’intera umanità, quello cioècoincidente con la Seconda Guerra Mondiale.Lo scoppio del conflitto comportò l’arrestodell’attività lavorativa dell’Orto. I suoi terrenie quelli della Stazione Sperimentale furonoadibiti alla coltivazione di patate, legumi egrano, le cosiddette “colture di guerra” volte asopperire alla scarsezza di viveri. Elementimetallici, come la balaustra della TerrazzaCarolina, furono divelti ed utilizzati dall’indu-stria bellica. I frequenti bombardamenti crea-rono numerosi crateri e il Genio Civile rinfor-zò un sotterraneo del Castello trasformandoloin rifugio antiaereo. Con l’ingresso in cittàdegli alleati l’Orto divenne il loro quartiergenerale e l’intero edificio dell’istituto e parte

del Castello furono utilizzati come caserma.Molti terreni, già devastati dal continuo pas-saggio di mezzi corazzati, furono completa-mente asfaltati e adibiti a campi da tennis ocalcio mentre le piante acquatiche furonodistrutte così da utilizzare i bacini che le ospi-tavano come vasche da bagno (il laghetto arti-ficiale voluto dal Cavara nell’antico arboretoera stato invece già eliminato dal Longo primadella guerra per motivi gestionali). I nefastieffetti del conflitto continuarono a riversarsisull’Orto ancora per diversi anni dopo la suaconclusione. La sterilizzazione con agenti chi-mici che i soldati alleati effettuarono in moltezone verdi e la presenza di numerose munizio-ni o bombe nel terreno richiesero infatti lunghee faticose operazioni di bonifica che si protras-sero ben oltre la fine delle ostilità.

Le condizioni complessive della strutturarisultavano pessime ancora nel 1947, all’inse-diamento del nuovo direttore GiuseppeCatalano: sia il nuovo edificio presso l’ingres-so sia il Castello versavano in condizioni diquasi totale inagibilità. Fortunatamente l’attivaopera del Catalano, supportata da indispensa-bili aiuti esterni, diedero in breve il via adu n ’ e fficace e generale rinascita dell’Orto.Grazie all’intervento dell’amministrazioneuniversitaria fu possibile disporre di nuovodella totalità dei locali della nuova sede, la cuifunzionalità nell’immediato dopoguerra eraridotta ad una sola sala, mentre al Genio Civilesi deve il recupero del Castello, previo ricon-solidamento delle mura gravemente lesionate eriparazione dei tetti e della terrazza, il restaurodella danneggiata fogna, l’edificazione di unmuro di sostegno per la scarpata che segnava ilconfine con l’Albergo dei Poveri, l’asfaltaturadi quasi tutti i viali e i piazzali e perfino lacostruzione di una nuova serra riscaldata, pro-prio davanti a quella preesistente, dotata di unavasca per le piante acquatiche. L’elargizione difondi straordinari consentì poi al Catalano diprocedere alla ricostruzione dell’Orto Botani-co e di approfittarne anche per apportare qual-che modifica al suo impianto. Fu ripristinata labalaustra in ferro della terrazza su via Foriadivelta durante la guerra, furono riparati i can-celli di entrambi gli ingressi e restaurate sia laserra temperata sia quella riscaldata, ambedue

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gravemente danneggiate. In termini di novità,il Catalano abbellì la zona antistante il nuovoedificio impiantandovi due aiuole simmetrichee creò un boschetto di pini nell’area a destradello stesso. Trasformò inoltre la valletta dellepiante alpine in “Filicetum” e dedicò i vialidell’Orto alla memoria dei direttori che lo ave-vano preceduto.

Nel 1959 la direzione dell’Orto Botanicopassò a Valerio Giacomini. Professore ordina-rio di Botanica, già direttore dell’Orto Botani-co di Catania e futuro direttore di quello diRoma, il Giacomini si distinse per i suoi studivolti ad analizzare il rapporto dell’uomo con lanatura e la conservazione dell’ambiente edurante il suo periodo di direzione dell’Ortopartenopeo si limitò a mantenerne invariata lacondizione lasciata dal Catalano.

Con il successivo direttore, Aldo Merola,l’Orto Botanico di Napoli ottenne quello slan-cio che gli consentì di portare brillantemente atermine la sua rinascita. In carica dal 1963,Merola seppe trarre profitto dall’autonomiaamministrativa e finanziaria che l’Orto conqui-stò nel 1967, quando si trasformò in IstitutoUniversitario. Tale nuova condizione consentìtra l’altro di disporre di finanziamenti straordi-nari che furono prontamente utilizzati perpotenziare le strutture esistenti e crearne dinuove. Fu così dotata la monumentale serra delde Fazio di un sistema di riscaldamento, fucreata una rete di distribuzione idrica checopriva quasi l’intera area dell’Orto, risolven-do gli inconvenienti del sistema fino ad allorautilizzato che prevedeva la raccolta manualedell’acqua da alcune vasche in cui veniva con-vogliata una volta estratta, e soprattutto fucostruito un complesso di modernissime serreper una superficie totale di cinquemila metriquadrati. Merola profuse tutto il suo impegnoper arricchire le collezioni botaniche dell’isti-tuto con acquisti e la raccolta in natura di pian-te durante frequenti viaggi mirati e riallacciò irapporti con gli altri Orti Botanici italiani estranieri così da favorire l’interscambio siaculturale sia di materiale scientifico. Disposeinoltre la realizzazione di una etichettatura ditutti gli esemplari vegetali presenti nell’Ortoriportante i dati tassonomici e di distribuzionedelle singole specie e organizzò il giardino in

zone espositive dai diversi criteri interpretati-vi: sistematico, ecologico o tassonomico. Inaltri casi sistemò vegetali e terreno circostantein modo da riprodurre il più fedelmente possi-bile il vero ambiente naturale in cui tali specievivevano, creando così il “Deserto” (Fig. 4c),la “Torbiera”, la “Roccaglia” e la “Spiaggia”.Nei primi anni settanta la Stazione Sperimen-tale per le Piante officinali, che con la guerraaveva subito una riduzione dei suoi terreni,smise di esistere come Ente autonomo e fuassorbita dall’Orto Botanico. Merola infine,nel 1975, ebbe il merito di sventare il tentativodi trasformazione dell’Orto in parco di quartie-re.

Cinque anni dopo, Aldo Merola moriva egli subentrava Giuseppe Caputo. Quest’ultimo,se pure rimase in carica solo per un breveperiodo, si trovò a fronteggiare le disastroseconseguenze del tremendo terremoto che nel1980 ebbe come epicentro l’Irpinia ma checolpì anche la città di Napoli. Per quantoriguarda l’Orto Botanico, ai notevoli dannistrutturali subiti dal Castello, si aggiunseroquelli arrecati al giardino dalla cittadinanzache lo invase in massa nel tentativo di trovareun rifugio sicuro e dal transito nei suoi viali dialcuni mezzi corazzati impiegati per interventidi emergenza all’Albergo dei Poveri. Persgombrare l’Orto dall’occupazione popolare funecessario ricorrere alla forza pubblica e unservizio di sorveglianza armata fu incaricato dipresidiarne l’intera area.

La riparazione dei danni causati del terre-moto fu il primo compito che Paolo De Luca,nominato direttore nel 1981 e tuttora in carica,fu chiamato a svolgere (DE LU C A 1 9 9 2 ) .Grazie a fondi straordinari De Luca ha potutoprovvedere ad un totale restauro del Castello,rendendolo di nuovo pienamente funzionante(sotto la direzione di Merola, quando ilCastello fu scelto come sede degli uff i c idell’Orto e il nuovo edificio come sede dell’i-stituto di Botanica, erano agibili solo tre loca-li). Nella storica struttura turrita sono statisistemati, al pian terreno, magazzini, un’offici-na per le macchine agricole operanti nell’Ortoe un’aula per la didattica; al primo piano, uffi-ci, la foresteria, la biblioteca e un locale attrez-zato informaticamente per l’etichettatura delle

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informazioni scientifiche sulle piante; alsecondo piano, il Museo di Paleobotanica edEtnobotanica, l’erbario e il laboratorio. Sonostate inoltre restaurate la facciata monumenta-le di via Foria e la serra temperata, che è statadedicata a Merola, mentre le serre create qual-che anno prima proprio da quest’ultimo e dalui già dedicate all’illustre botanofilo LuigiCalifano, sono state dotate di sofisticate attrez-zature computerizzate per regolare umidità,

temperatura, ombreggiamento ed aerazione(Fig. 5a, b, c, d); ad esse ne sono state poiaggiunte altre completamente nuove e destina-te a vari impieghi. Una prima serra utilizzataper la moltiplicazione vegetativa si trova neipressi dell’area dedicata agli ordini di piante afiore mentre un’altra, se pure collocata vicinoall’agrumeto, è utilizzata per la coltivazione ela riproduzione di felci e piante affini; la serraadiacente al vivaio ospita invece esemplari

Fig. 5 - La Serra Califano (a: veduta dell'ingresso; b, c, d: aree espositive interne) e le Serre della StazioneSperimentale per le Piante Officinali (e: serra caldo-umida; f: serra caldo-secca).

a b

c d

e f

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giovani delle specie già presenti nelle zoneespositive dell’Orto e pronti ad essere utilizza-ti come “riserve” in caso di necessità. Altre dueserre sono state realizzate nell’area dellaStazione Sperimentale. A differenza delle altre,queste ultime assolvono ad una semplice fun-zione espositiva di varie specie di piante utiliimpossibilitate a sopravvivere naturalmente alnostro clima: una garantisce al suo interno unambiente caldo e umido (Fig. 5e) mentre l’al-tra un ambiente caldo e secco (Fig. 5f).Recentemente si sono infine conclusi i lavoriper la realizzazione di una ulteriore serra cheha trovato posto di fianco alla storica SerraMerola. Questa nuova struttura, realizzata gra-zie ad un finanziamento appositamente elargi-to nel 2000 dal Ministero dell’Università edella Ricerca Scientifica, è stata progettata dal-l’architetto Aldo Pinto dell’UniversitàFederico II di Napoli e la direzione dei lavori èstata affidata all’architetto Tommaso Russo perconto della Soprintendenza per i BeniAmbientali e Architettonici di Napoli.

Caratterizzata da un design moderno, che peròben si rapporta alla classicità della sua storicavicina, la nuova serra, che presenta al centroun’ampia vasca, ospiterà al suo interno specievegetali di origine tropicale (Fig. 6).

Molteplici sono stati poi gli altri interventidi varia natura apportati in questi ultimi anniall’Orto Botanico dal suo nuovo direttore.Sono state recuperate per la coltivazione moltezone in stato d’abbandono (tra cui una dell’exStazione Sperimentale), è stata completata laramificazione della rete idrica rendendo irriguitutti i terreni dell’Orto, è stata incentivata lameccanizzazione del lavoro acquistando nuovimezzi agricoli, sono stati creati nuovi confor-tevoli locali di servizio per i giardinieri e sonostati pavimentati tutti i viali e i vialetti con unospeciale composto di tegole e pietre laviche tri-tate ed impastate con cemento che ne hamigliorato la condizione di agibilità senzadeturparne l’aspetto. Per quanto riguarda l’ar-ricchimento delle collezioni botaniche, DeLuca ha provveduto all’acquisto ed alla raccol-

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Fig. 6 - La nuova serra tropicale dell'Orto Botanico.

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ta in natura di molti nuovi esemplari, haaggiunto la “Macchia Mediterranea” alle areea carattere ecologico e ha dato nuovo lustro alvecchio agrumeto tenoreano impiantandovinuove specie del genere Citrus e affini. Hainoltre creato aree espositive dedicate a piantedi interesse etnobotanico, come ad esempio letessili, le tintorie e da essenza. Nel 1994, inoccasione del Convegno del G7, l’incontro trai Capi di governo di Canada, Francia,Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Unitid’America e Italia, tenutosi quell’anno aNapoli dall’8 al 10 luglio, l’Orto Botanico curòl’allestimento del verde nelle sale e negli atridi Castel dell’Ovo, teatro della straordinariariunione. Oltre ai migliori esemplari diCycadales, felci e Bromeliaceae, furono espo-ste piante della macchia mediterranea comerappresentanza della flora dell’Italia meridio-nale e, in originale e specifico omaggio adognuno dei Capi di governo, fu proposta unapianta, corredata da didascalia bilingue, checostituisse un legame tra il Paese dell’Ospite el’Italia. Il 10 luglio, per la prima volta nella suastoria, l’Orto fu oggetto della visita del Capo

del Governo Italiano; l’allora Presidente delConsiglio Silvio Berlusconi ebbe così modo diesprimere ufficialmente i meritati apprezza-menti per l’ottimo lavoro svolto da tutto il per-sonale (DE LUCA 1996).

Recentemente De Luca ha ideato e fattoallestire una particolare area destinata ai nonvedenti, caratterizzata da piante profumate ocon particolari proprietà tattili ( MU O I O &MENALE 2004). Ha istituito, inoltre, la SezioneDidattica, costituita da personale laureato alta-mente specializzato che accompagna i circa30.000 studenti, di ogni ordine e grado dellescuole della Campania e del resto di Italia, chevisitano annualmente l'Orto Botanico.

Con la direzione di Paolo De Luca, l’OrtoBotanico di Napoli è definitivamente assurtotra le grandi istituzioni scientifiche nazionalipotendo contare su collezioni tra le più impor-tanti per qualità e quantità (nei suoi circa dodi-ci ettari di estensione attuale sono coltivate piùdi diecimila specie vegetali per un totale dicirca venticinquemila esemplari) e su intensiprogrammi di ricerca scientifica, di attivitàdidattiche e di divulgazione.

LETTERATURA CITATA

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2007