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La rassegna stampa di aprile 2011 O blique Silvia Truzzi, «Strega, l’incantesimo di Arbasino» il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011 3 Cristina Taglietti, «Alberto Arbasino dice no allo Strega: “Fuori posto tra i giovani”» Corriere della Sera, 2 aprile 2011 5 Paolo Di Stefano, «Classici in libreria» Corriere della Sera, 3 aprile 2011 7 Daniele Abbiati, «Lietta Manganelli: “Papà, partigiano in guerra contro sé stesso”» il Giornale, 4 aprile 2011 11 Stefania Vitulli, «Raul Montanari: “Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio”» il Giornale, 6 aprile 2011 13 Federica Fantozzi, «La donna che ci ha fatto leggere Stieg Larsson» l’Unità, 8 aprile 2011 15 Tommy Cappellini, «L’epoca dei romanzetti. Editor ignoranti? Mai quanto gli editori» il Giornale, 11 aprile 2011 16 Fiorella Iannucci, «Strega, hanno vinto gli editori romani» Il Messaggero, 16 aprile 2011 18 Antonelli, Desiati, Grazioli, Lagioia,Vasta, «Generazione TQ. Andare oltre la linea d’ombra» Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2011 20 Leonardo Jattarelli, «Cambiamo la narrativa, siamo la generazione TQ» Il Messaggero, 19 aprile 2011 22 Elisabetta Ambrosi, «L’Italia è lontana» il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011 24 Aurelio Picca, «Scrittori, torniamo alla responsabilità» Corriere della Sera, 23 aprile 2011 26 Mattia Feltri, «Desiati: con Mimì racconto il coraggio delle donne» La Stampa, 24 aprile 2011 27 «Più ero invisibile – mi dicevo – più sarei stato bravo» F abio Geda

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La rassegnastampa di

aprile 2011Oblique

– Silvia Truzzi, «Strega, l’incantesimo di Arbasino» il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011 3– Cristina Taglietti, «Alberto Arbasino dice no allo Strega: “Fuori posto tra i giovani”» Corriere della Sera, 2 aprile 2011 5– Paolo Di Stefano, «Classici in libreria» Corriere della Sera, 3 aprile 2011 7– Daniele Abbiati, «Lietta Manganelli: “Papà, partigiano in guerra contro sé stesso”» il Giornale, 4 aprile 2011 11– Stefania Vitulli, «Raul Montanari: “Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio”» il Giornale, 6 aprile 2011 13– Federica Fantozzi, «La donna che ci ha fatto leggere Stieg Larsson» l’Unità, 8 aprile 2011 15– Tommy Cappellini, «L’epoca dei romanzetti. Editor ignoranti? Mai quanto gli editori» il Giornale, 11 aprile 2011 16– Fiorella Iannucci, «Strega, hanno vinto gli editori romani» Il Messaggero, 16 aprile 2011 18– Antonelli, Desiati, Grazioli, Lagioia, Vasta, «Generazione TQ. Andare oltre la linea d’ombra» Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2011 20– Leonardo Jattarelli, «Cambiamo la narrativa, siamo la generazione TQ» Il Messaggero, 19 aprile 2011 22– Elisabetta Ambrosi, «L’Italia è lontana» il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011 24– Aurelio Picca, «Scrittori, torniamo alla responsabilità» Corriere della Sera, 23 aprile 2011 26– Mattia Feltri, «Desiati: con Mimì racconto il coraggio delle donne» La Stampa, 24 aprile 2011 27

«Più ero invisibile – mi dicevo – più sarei stato bravo»Fabio Geda

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Raccolta di articoli pubblicati da quotidiani e periodici nazionali tra il primo e il 30 aprile 2011. Impaginazione a cura di Oblique Studio.

– Cristina Taglietti, «Infanzia, memoria, violenza. Ecco la nuova narrativa russa» Corriere della Sera, 28 aprile 2011 29– Fiorella Iannucci, «Generazione Strega. La precarietà come risorsa» Il Messaggero, 28 aprile 2011 31– Alessandra Farkas, «E il corsivo divenne indecifrabile» Corriere della Sera, 29 aprile 2011 32– Alessio Odini, «Più ebook. Ma editori meno ricchi» ItaliaOggi, 30 aprile 2011 33

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Strega, l’incantesimo di Arbasino

Lo scrittore dovrebbe concorrere con Adelphi: ma ci sono dubbi sullalegittimità (il libro è una raccolta di vecchi articoli). Attorno manovre esoliti veleni

Lo sponsor, non a caso, è un li -quore. Utilissimo per digerire imolti bocconi amari che par -tecipanti e postulanti del pre miointitolato al distillato sono annual-mente costretti a dige rire. È loStrega, il riconosci mento dei maghidell’italica editoria che inaugura,come di consueto, la primavera let -teraria con i trucchi più dispa rati. Le candidature siposso no presentare fino all’8 aprile, per una inizialescrematura di 12: è il primo step (con l’ini ziale minu-scola: almeno Fede rico Moccia non è della parti ta).Ma manovre e veleni sono già nell’aere. Il tam tam di questi giorni illumina Alberto Arbasino,di cui Adelphi ha pubblicato America amore, impo-nente tomo di quasi 900 pagine che per scelta, c’è dascommetterci, non ha una virgola infilata tra le dueparole del titolo. Copertina scarlatta, su cui troneggiaLiz Taylor, versione Cleopatra (nella mestizia del lutto,fortunata scelta di marketing). Dentro, gli Stati Unitidai mitici Sessanta: protagonisti, istantanee, jazz erock, politica, skyline nitide, albe per nulla elegiache.Molta Italia nel melting pot di America amore. Me-morabile, tra i molti, il racconto dell’incontro conJack Kerouac, talmente stralunato che a un certo

punto Arbasino dubita che sia pro-prio lui. Basta un piccolo fram-mento: «Questi scrittori americanisono molto diversi da noi, e quellialcolici tutti uguali tra loro. Cercodi immaginare delle analogie men-tre racconta: per esempio io conSanguineti oppure Te stori che an-diamo a trovare Ot tieri oppure La

Capria e lì in vece di parlare del Gruppo 63 ci tiriamodei pugni per gioca re, e a un tratto giù i calzoni, e poifuori le bottiglie, e poi gio care a dadi fino all’alba conPa rise». Arbasino fu in concorso nel 1960, ma vinseCassola con La ragazza di Bube. È uno dei po chi a es-sersi conquistato un Meridiano in vita, di premi neha vinti molti, dal Piero Chiara al Flaiano (primo au-tore che nel ’47, tout se tient, vinse lo Strega).Molti però avanzano dubbi di natura regola mentare.Per parteci pare allo Strega il libro deve essere pubblica -to in Italia tra il primo mag gio dell’anno prece dente eil 30 aprile di quello in corso. Nulla quaestio, rispettoalla legittimità? Non pro prio: il volume non è un ro-manzo e la narra tiva è senza dubbio la cifra degli Amicidella domenica. Alessandro Dalai, che partecipa conFabio Geda (Nel mare ci sono i coccodrilli, presentato daValeria Parrella e Marino Sini baldi) spiega: «Arbasi no

Silvia Truzzi, il Fatto Quotidiano, primo aprile 2011

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di Strega dovrebbe vincerne due, ma non con una rac-colta di ar ticoli degli anni Sessanta». In queste ore però,perfino in Rcs ci sono dubbi: ieri Roberto Calasso, do-minus di Adelphi, ha incontrato Tul lio De Mauro, pre-sidente del direttivo dello Strega. Oggi l’editore do-vrebbe sciogliere le riserve. A Calasso lo Strega non fapro prio simpatia: fu in concorso nell’89 con Le nozzedi Cadmo e Armonia, il suo più grande successo (15 ri-stampe, ad oggi), ma vinse Giuseppe Pontiggia con Lagrande sera (Mondado ri). Calasso, uno dei pochi au-tentici bibliofili a capo di una casa editrice, come tuttigli in tellettuali non brilla per legge rezza, fatalismo e au-toironia. Se la legò al dito e da allora Adelphi restò, ot-tima narrativa ma puzza sotto il naso, lontano dalloStrega. La genesi della candidatura di America amorepare essere stata una lunga – ve rosimilmente e consue-tamen te affettuosa – telefonata di Pao lo Mieli (presi-dente di Rcs li bri, gruppo di cui Adelphi fa parte) adArbasino. «In linea di massima non ho niente in con -trario a partecipare, purché non sia una cosa troppo fa-tico sa» ha detto Arbasino al Corriere della Sera. La mac-china Rcs, assicurano i soliti molto bene in formati, siprecipiterà in aiuto degli 81 anni dello scrittore (e quila definizione non è usata per comodità o generosità:sa rà bene ricordare che nel 2008 fu premiato al Ninfeodi Villa Giu lia Paolo Giordano, La solitudi ne dei numeriprimi).Insomma Rcs quest’anno vuol vincere, dopo quattroanni di Mondadori pigliatutto, e si gioca una cartapesante: ma il jolly può entrare nel mazzo? Lo Stregaè anche un bel gioco, regole all’italiana, non si con -tano bluff e assi nella manica negli ultimi anni. DeMauro as sicura che si andrà a rileggere il regolamento,ma a occhio e croce non vede grossi ostacoli: «Co-munque valuteremo scru polosamente».E che succede a Segrate? Einau di Stile libero si tuffacon l’esor diente Mariapia Veladiano. Ma la candida-tura forte è quella di Mario Desiati (Ternitti, Monda -dori). L’autore è giovane (Mar tina Franca, 1977), ilromanzo impegnato. Puglia ancestrale, la «tragedia dellavoro che nu tre e uccide» (dalla quarta di copertina).Un «vendolismo» (anti-uolterveltronismo?) che è siastrizzata d’occhio alla si nistra, sia bandiera da agitare

contro le polemiche sulle cen sure (Marina B-Sa-viano), sia ri sposta alle non poche defezio ni (dall’edi-tor Turchetta, mi grato in Rizzoli, ad alcuni scrit toricome Augias, Vito Mancu so, Ammaniti, Buttafuoco).Non tutti hanno gradito la scel ta, specie Chiara Gam-berale, che dicono abbia fatto fuoco e fiamme e cheperciò dovrebbe essere dirottata sul Campiello (maperseverare non era diabolico?). È verosimile che que -st’anno Mondadori abbia deciso di ipotecare lo Strega2012 e che metta sin da ora in conto una sconfitta:preoccupata forse più dai lodi giudiziari che dalle lodiletterarie. Natural mente ci sono gli altri, e non sonocerto tutte piccole realtà. Da alcuni di loro Arbasinopuò temere la vittoria di un outsi der. Fazi presentaGiorgio Ni sini (La città di Adamo). Stefano Mauri,presidente del gruppo Gems, ha scelto Guanda, conBruno Arpaia (L’energia del vuo to). Carlo Feltrinellisi ritira (forse troppo impegnato a convincere RobertoSavia no?): così il più accreditato Troppa umana spe-ranza dell’e sordiente Alessandro Mari non andrà alloStrega. Minimum fax sembra in attesa di vedere lemosse definitive dei grandi gruppi. La scelta, in caso,

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sareb be Carlo D’Amicis, con La bat tuta perfetta. Ma,scrive Anto nio Prudenzano su Affaritalia ni.it, «la casaeditrice romana vuole prima essere certa di po ter am-bire alla cinquina…». Nottetempo ci sarà con Lucia -na Castellina, autrice de La sco perta del mondo (i dueAmici sono Rosetta Loy e Antonio De benedetti).L’editore Manni con Lorenzo Greco, Il confesso re diCavour (presentato da An tonio Tabucchi e GiovanniRusso), Newton Compton porta Franco Matteuccicon Lo show della farfalla, presentato da Piero Gelli eGiorgio Montefo schi.Poi c’è da segnalare il diver tente caso di Marsilio:Cesare De Michelis sembra non fosse molto con-vinto della Nina dei lupi di Alessandro Bertante. Mala pagina Facebook aperta per lanciare il romanzoverso Villa Giulia ha raccolto un buon suc cesso. Sarà

presentato da Anto nio Scurati e Sergio De Santis. Intotale gli editori che si stan no muovendo sono 22:verran no accettate 12 candidature. E poi? Quandosarà formalizzata la cinquina, sarà il solito ballettodi voti e pacchetti. Gli Amici della domenica, quat-trocento giurati, soliti noti nonostante il numeronon esiguo. Tutti co munque con una vita che (col-laborazioni con le case editri ci, consulenze, prefa-zioni da conquistare, rubriche sulle ri viste) ruota at-torno al mondo dell’editoria: molti buoni mo tivi perandare oltre la qualità letteraria delle opere in con -corso. Si è parlato, qualche tempo fa, di una rota-zione della giuria. Forse, l’unico modo sarebbe adot-tare l’anonimato dei giurati. Come al Campiello. Madelle bacchette magiche che fanno sortilegi aritme-tici e letterari, poi, si perderebbero le tracce.

Alberto Arbasino ha detto no. Gentilmente, affettuo-samente, con lo stile che lo caratte rizza, ma comunqueno. No alla competizione, alle presentazioni, all’attesadel giudizio degli Amici della domenica (di cui peraltro fa parte). Con una lettera indirizzata alla Fonda-zione Bel lonci l’autore di America amore (Adelphi) hastabilito i suoi confini: «In qualità di vegliardo, sareiovviamente onorato e incantato per un eventuale pre-mio alla mia lunga operosità lette raria. Ma mi parrebbefuori posto una eventuale gara con competitori chehanno la metà dei miei anni» ha scrit to, congedandosi«con un carissimo ricordo di Goffredo e Maria, ai beitempi». È nel salotto romano dei co niugi Goffredo eMaria Bellonci, infat ti, che, nel 1947, il premio venneistituito con il contributo di Guido Alberti, proprie-tario dell’omonima azienda di Benevento produttricedel liquore che ancora sponsorizza la manifesta zione.Insomma se lo Strega vuole premia re una lunga car-riera nelle patrie lette re con un riconoscimento ad

hoc, ben venga, ma la gara con giovani autori, alcunianche esordienti, lo scrittore, che nell’arena stregata èsceso 51 anni fa con L’anonimo Lombardo, non è di -sposto a farla. Una lettera che lascia un po’ spiazzatala Fondazione Bellon ci. «Il premio Strega fin dalla suana scita è un premio unico a cui hanno sempre con-corso scrittori di ogni età» ha commentato Stefano Pe-trocchi, coordinatore della Fondazione Bellon ci. «Ab-biamo parlato con Adelphi, come con molti altrieditori, per sondare la possibilità di una partecipazio -ne secondo le condizioni previste dal regolamento,che sono la presentazio ne da parte di due Amici delladome nica e il rispetto dei termini di pubbli cazionedel libro. Naturalmente nella valutazione del libro sitiene conto an che del percorso dell’autore. Lo statu -to non prevede un premio alla carrie ra, per istituirlobisognerebbe modifi carlo e non credo che sia possi-bile, sicuramente non per questa edizione. Dovrebbedeciderlo il comitato diretti vo». Comitato direttivo

Alberto Arbasino dice no allo Strega: «Fuori posto tra i giovani»

Cristina Taglietti, Corriere della Sera, 2 aprile 2011

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che si riunirà soltanto dopo l’11 aprile per seleziona -re i 12 candidati che verranno poi pre sentati a Bene-vento. Al comitato diret tivo toccherà anche definiremeglio i dettagli della prima edizione del premio spe-ciale Franco Alberti, timonie re dell’azienda di Bene-vento, che sarà dedicato a una personalità della cul-tu ra che rappresenti in qualche modo gli interessi diAlberti, legati sopratut to agli studi di meridionalistica.La conferma che Arbasino non sarà in gara dovrebbespingere gli editori ancora indecisi a sciogliere le ri-serve sui nomi, anche perché finora le can didature uf-ficialmente presentate sono pochissime, nell’ordinedelle due, tre. Oltre 20 editori, però, si stanno muo-vendo per essere tra i 12 elet ti (l’anno scorso erano19). La Rcs si è presa ancora il fine settimana per deci -dere il da farsi anche se la candidatura di Aurelio Piccaper Rizzoli sembra la più probabile. Così come il

gruppo di Segrate, che ha messo nella sua ba checa ditrionfi le ultime quattro edizioni, si avvia a correre condue marchi: Mario Desiati di Mondadori e Ma riapiaVeladiano di Einaudi Stile libe ro.Il gruppo Gems ci sarà con Bruno Arpaia di Guanda(che ieri ha annun ciato anche i presentatori: CristinaCo mencini e Giorgio Ficara), che avrà an che un rivalein casa: Giorgio Nisini di Fazi. La vera lotta sarà perentrare nel la cinquina, obiettivo minimo di mol ti pic-coli e medi editori, per i quali la partecipazione è unosforzo notevole. Molti di loro dovranno puntare acon quistarsi gli undici voti collettivi e i trenta lettoriforti indicati da librerie non appartenenti alle grandicatene che hanno sostituito il «tesoretto» con cui neglianni passati la presiden tessa della fondazione AnnaMaria Ri moaldi orientava le scelte e determina va ilvincitore.

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«In qualità di vegliardo, sarei ovviamente onorato e incantato

per un eventuale premio alla mia lunga operosità lette raria.

Ma mi parrebbe fuori posto una eventuale gara

con competitori che hanno la metà dei miei anni»

Alberto Arbasino

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Classici in libreria

Più Orwell che Manzoni. E trionfa il Novecento. Prima fu Le Monnier nel 1843 con la madre di tutte le collane. Proseguirono Carducci e Croce, in fine vennero Millenni e Meridiani.Oggi la filologia lascia il posto a volumi tascabili ben curati e accessibili.Ma a vincere sono soprattutto gli autori stranieri e quelli del secolo scorso

Tempo fa, il filologo Alberto Varva ro poneva una do-manda interes sante e maliziosa: quale sarebbe la famae la fortuna di Dostoevskij e Kafka se la scuola co-stringesse a leggerli? Volendo essere cattivi, si potrebbeanche insinuare che se i classici stranieri vengono lettipiù dei classici italiani è perché la scuola, almeno suquelli, per loro fortuna non ha potuto fare danni.Fatto sta che il dato inoppugnabile è proprio questo:mentre i lettori italiani mostrano sempre più di gra-dire la letteratura contempo ranea del proprio Paese(fenomeno alquanto recente), ciò non avviene per leopere del passato. Da che cosa è regolata, alla lunga,la borsa valori della letteratura? Bella domanda. Si puòdire, con una certa approssimazione, che il risultatodelle quotazioni letterarie, nel lungo perio do, è lasomma di due giudizi (pregiudizi) a volte conver genti,più spesso divergenti: quello della critica e quello deilettori. E in mezzo sta l’editoria, che nei casi migliorisi fa carico degli uni e degli altri. Ma qual è lo statodel l’editoria italiana nella proposta dei classici? È unado manda a cui si può rispondere in due modi. Da unaparte guardando i cataloghi, dall’altra gettando un’oc-chiata alle vendite. Sul primo aspetto, sarà utile unbreve excursus storico, almeno per valutare i cambia-menti più cospicui. E bisogna per forza cominciarecosì: c’era un tempo…

C’era un tempo in cui i classici erano la spina dorsaledel l’editoria, tant’è vero che sui monumenti del pas-sato si costruivano intere collane che avevano l’obiet-tivo più o meno esplicito di formare gli italiani chel’Unità non era riuscita a fare, secondo la famosa fraseattribuita al D’Aze glio.Cominciò Le Monnier nel 1843 con la madre di tuttele collane, la Biblioteca Italiana. Continuò Carduccinel 1885 con una Biblioteca scolastica Sansoni, pro-seguì Cro ce nel 1910 con l’impresa degli Scrittorid’Italia Laterza, che prevedeva ben 660 volumi e chesi sarebbe arrestata al numero 287. In epoca fascista,a rilanciare l’identità na zionale venne, nel ’35, Fran-cesco Flora, che per Mondado ri avviò la serie dei Clas-sici Italiani, poi lasciati in eredità a Dante Isella. Quat-tro anni dopo, Leone Ginzburg avrebbe affidato aSantorre Debenedetti il compito di costruire per l’Ei-naudi i Classici Italiani Annotati, presi poi in cura daContini e in seguito da Segre. Nel ’48 sarebbe toccatoalla coppia Neri-Fubini, per la Utet, avviare la famosase rie verde dove si trovano edizioni memorabili comeil Bembo curate da Dionisotti. Con la Ricciardi, rile-vata da Raffaele Mattioli, parte nel ’51 la collana piùprestigiosa, La letteratura italiana. Storia e testi. A que-ste si possono aggiungere altre iniziative illustri, dalParnaso Italiano di Muscetta alla Biblioteca Feltrinelli,

Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 3 aprile 2011

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dalla collana Giunti, alla Spiga Garzanti (dove è uscitoil tutto Gadda in cinque volumi), dalla Marzorati allaRizzoli, alla Pléiade-Einaudi.In una bibliografia della letteratura italiana datata1979, sotto la voce Classici e collezioni figuravano 14voci. Erano collane, destinate a un pubblico medio-alto (qual che volta specialistico), che avevano la pretesadi rinnova re la lettura dei testi sia sul piano filologicosia sul piano critico grazie ad accurati (spesso sovrab-bondanti) com menti, note, apparati, bibliografie. Ditutto ciò è soprav vissuto ben poco, quasi che l’esigenzadi proporre «matto ni» per la costruzione di quell’edi-ficio sempre provviso rio che è l’iden-tità culturale italiana si sia dissolta,diffici le dire se per distrazione, disin-teresse, rassegnazione o mancataconvenienza. Forse un po’ tutto in-sieme. Oggi comunque, di quel li-vello rimangono in vita i MeridianiMondadori diretti da Renata Co-lorni, le serie Adelphi di Roberto Ca-lasso (ultima colossale uscita le Noteazzurre, finalmente non censurate, diCarlo Dossi), e con tempi più dira-dati i Classici Annotati di Segre e gliScrittori Ita liani della FondazioneBembo, pubblicati da Guanda e di -retti oggi da Mengaldo e Stussi. Altreiniziative più specia listiche sonoquelle della Salerno (Novellieri Ita-liani e Documenti di Poesia), mentrela Fondazione Valla continua a centellinare i suoi Clas-sici latini e greci. Un capitolo a sé sono i Millenni in-ventati da Pavese nel ’47: un’impresa pro gram -maticamente spartiacque, che prefigurando il futuroha avuto la capacità di sopravvivere all’urto del mer-cato: il proposito era quello di affiancare gli italiani aglistranieri, europei e americani, e ai classici-classici i con-temporanei. Già la scelta dei primi autori è significa-tiva: Hemingway, Lee Master, Sofocle. L’America at-tuale e i miti greci, un pro getto dai caratteri fortementepavesiani. I classici italiani non abbondano (solo Boc-caccio e Ariosto escono vivente Pavese) e le esigenze

nazionali e neorisorgimentali cedono il passo aun’apertura visibilmente internazionale in linea con lospirito dei tempi. Punto e a capo.Nell’a-capo c’è la galassia delle edizioni economiche,per lo più generaliste e opportunamente concepite peril vasto pubblico. È chiaro che gli scopi sono ben di-versi da quelli delle collezioni scientifiche di cui si èdetto fin qui e con cui per decenni i tascabili avevanoconvissuto. Da anni, pe rò, il pubblico colto non è piùl’obiettivo privilegiato del l’editoria, l’anelito forma-tivo-identitario è andato sceman do, le esigenze delmercato si sono imposte in parallelo con l’allarga-

mento del pubblico. Si trattavadunque di adottare formule piùabbordabili per la lettura dei clas-sici in un peri odo in cui la narra-tiva contemporanea prendeva unagran fetta del mercato a scapitodella saggistica scientifica e, ap -punto, dei testi sacri della tradi-zione. Dunque, introduzioni agili,apparati smilzi, curatele affidatenon sempre a specia listi ma prefe-ribilmente a scrittori di nome ingrado di ren dere più dolce e piace-vole l’approccio al testo. E oggi itratti più evidenti sono due. Da unlato i classici italiani, nelle variecollane tascabili, sono nettamenteminoritari; dall’al tro il Novecentosbaraglia i secoli precedenti. È in-

negabile che la distanza linguistica dai nostri classici(contro cui si trova a battagliare anche la scuola) vengasempre più senti ta dal pubblico come un ostacolo perun approccio diretto alla lettura (viceversa le tradu-zioni semplificano e adatta no). Queste due tendenzesi riscontrano persino in una col lana «istituzionale»come i Meridiani, che ultimamente ha preso unastrada decisamente contemporaneista (con stra -ordinarie eccezioni, come il recente Dante minore acura di Marco Santagata), pubblicando sempre piùanche scrittori in vita, da Camilleri a Bevilacqua, daBonnefoy ad Arbasino. Del resto, nei giorni scorsi

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Oblique Studio | Rassegna stampa aprile 2011

Gallimard ha annunciato che Kundera entrerà prestonell’olimpo della Pléiade, come è successo finora a po-chissimi viventi.Vediamo, dunque. Intanto, chi si aspettava una strate-gia editoriale orientata alle celebrazioni del centocin-quantesi mo dell’Unità, magari con il rilancio di testi il-lustri del no stro passato, è rimasto deluso. La solainiziativa «organi ca» in tal senso è venuta dalla Bur coni dieci Romanzi d’Italia. A sentire Ottavio Di Brizzi,direttore dei tascabili Rizzoli, si tratta di un piccolo ca-none, una specie di biblioteca di base per le famiglie.Risultato delle riproposte nell’occasio ne celebrativa: nu-meri raddoppiati. Ma quali numeri?Pren diamo le Confessioni di un ita-liano: siamo passati da mille copieannuali alle duemila in un paio dimesi. Ovvio che il romanzo diNievo, come Pinocchio o Le mie pri-gioni, sono titoli il cui potenzialeeconomico non si esaurisce in pochesettimane come capita alla narrativa.«Spesso i risultati dei classici, nellungo periodo, sono migliori dimolte novità che durano un mese inlibreria». Il principe di Machiavelli èassestato saldamente attorno allecinquemila copie l’anno, più omeno come Il piacere di D’Annun-zio. Fatto sta che mentre negli anniSettanta e Ottanta i classici erano ilcuore dei cataloghi tascabili, oggirappresentano, se va bene, un quarto del totale. Delle200 novità annuali Bur, una cinquantina sono i classici(in prevalenza stranieri), e il dato inedito che colpisce èl’incremento del 25 per cento regi strato nel fatturato2010 rispetto all’anno precedente. Con una indubbianota di merito: che la Bur continua tenace mente a nonrisparmiarsi sui minori (dal Della Casa al Me tastasio).Un po’ come i benemeriti Grandi Libri Garzanti, chenell’anno in corso hanno già sfornato, tra il molto al -tro, un Boito e un Lorenzo de’ Medici.Insomma, vuoi vedere che i classici ricominciano apren dere fiato? Per Vittorio Avanzini, il fondatore

della Newton Compton, non bisogna stupirsene. Èlui che ha inventato vent’anni fa i Mammut, fortu-nata collana di tascabili sui generis che possono sfio-rare anche le tremila pagine in un solo volume (dallalegatura olandese, dicono gli esperti), come quelloche raccoglie tutta la Recherche di Proust. «Si parteda una tiratura di cinquemila copie, con ristampe didue-tremila». Prezzi ridotti all’osso: «Cominciammocon tutto Svevo, con le Mille e una notte e con le Vitedi Vasa ri». In genere il concetto è: opera omnia. Chesia Pascoli, Leopardi o Aristofane. Un altro concettoè: il meglio possi bile nelle curatele, dal vecchio Pa-

ratore per i latini a Mar zullo per igreci. «Il mercato ci dà ragione». Ilong seller non si contano: non soloConan Doyle, ma Platone, Dante,Leopardi, Shakespeare, Verga, Pi-randello, Poe, Freud, Marx perampie tasche capaci di accoglierecospicui matto ni ma disposte asborsare ben poco. Ma anche Gian-luca Foglia, direttore editoriale Fel-trinelli, è pronto a scommet tere suiclassici, al punto che dai dodici del-l’anno scorso, quest’anno si passeràa una ventina di titoli (finora traBul gakov, Fitzgerald e VirginiaWoolf, c’è anche Fogazzaro). Al-l’inizio degli anni Novanta, la casaeditrice di via Andegari ave va pro-vato un rilancio in grande stile

della Universale Eco nomica: chi non ricorda, peresempio, il Bartleby tradotto da Gianni Celati, ilConrad curato da Starnone e Senilità con introdu-zione di Del Giudice? Oggi, però, si preferisco no cu-ratele più specifiche. «Investire sui classici» dice Fo-glia «è investire sulla durata, ma a dispetto del fattoche molti titoli si possono trovare gratuitamente on-line, il pubblico chiede proposte di qualità, ben tra-dotte, accessi bili e accurate, anche se non sono di li-vello accademico». A queste condizioni (a cui siaggiunge il prezzo basso) i risultati arrivano. NellaUE continuano a vendere attorno alle dieci mila

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copie l’anno soprattutto gli stranieri: Il ritratto diDorian Gray, Il Candido di Voltaire, La metamorfosidi Kafka e Alice di Carroll. Su questi livelli, tra gliitaliani, c’è solo La coscienza di Zeno. E se si eccettuail Voltaire, restia mo, come si vede, nei dintorni delsecolo scorso. Tutto ciò che si allontana dal Nove-cento viene percepito come trop po remoto e dunqueinaccessibile. «Gli antichi che soprav vivono» diceMauro Bersani, editor dei classici di Einau di «sonoquelli di uso scolastico e se vendono mille copiel’anno è un risultato accettabile: il secolo scorso è ri-ma sto quasi l’unico passato che il pubblico riesce aconcepi re». Sarà per questo che le oltre mille copievendute del Port-Royal di Sainte-Beuve, appenauscito nei Millenni (a 150 euro!), sono un successo.Resta, macroscopico, il vulnus (genetico quasi) ita-liano. Nessun classico nostro (neanche Pinocchio!) ar-riverà mai a raggiungere le 250 mila copie annue delPiccolo principe, di cui la Bompiani va giustamentefiera. Ma se guardiamo più sotto, nelle classifiche(Arianna) dei classici 2010 trovia mo 1984 di Orwell,che precede Primo Levi, L’amico ritro vato di Uhlman,

La fattoria dello stesso Orwell e Anna Frank. Segueuna sfilza di Calvino, ma per trovare un classico-clas-sico italiano, molto dopo Sun Tzu, Jane Austen, OscarWilde, Lewis Carroll, Shakespeare, troviamo attornoal quarantesimo posto Svevo, D’Annunzio, Vamba. Ebiso gna scendere di molto per incontrare Pirandelloe Verga, per non dire di Goldoni. Tutto qua: in com-penso non man cano Tomasi, Morante, Pavese, Scia-scia, Buzzati, Moravia. Insomma, il passato non esiste.Dante e Manzoni superano di poco le dieci mila copiel’anno, implacabilmente sotto sono gli altri giganti,Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Ariosto, Tasso.«L’obiettivo per le collane economiche» dice Anto nioRiccardi, poeta, dirigente Mondadori, direttore delloSpecchio «è tener fede alla propria tradizione edito-riale, cercando però sempre di adeguarsi alle nuoveesigenze di lettura che per i classici non sono fissateuna volta per tut te. Ma che emerga una pietra nuovadal passato succede poche volte». La memoria non èil nostro forte, si sa. E non si può chiedere solo all’edi-toria di combattere contro i mu lini a vento dell’esilesensibilità civile di un Paese.

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Lietta Manganelli: «Papà, partigiano in guerra con sé stesso»

La figlia di Giorgio, l’autore di «Hilarotragoedia», racconta la lunga lotta del padre contro i propri incubi. Più dura di quella che lo opposeai tedeschi. La sua amara ironia e l’attrazione per il disagio psichico

Daniele Abbiati, il Giornale, 4 aprile 2011

«A proposito, mi viene in menteuna cosa… Una volta mi si av-vicina, mi cinge leggermente lespalle con un braccio (era sem -pre restio al contatto fisico) e midice: “Lo sai che sei fra i miglioripersonaggi di Dostoevskij?”».Com’era spuntato, nella chiac -chierata con Lietta, il nome delloscrittore russo? Ah sì, a propo sitodella scampata fucilazione. Perché anche il papà diLietta Manganelli, Giorgio, scrittore di incubi e tor-menti, come il grande Fëdor Michajlovic, rischiò di ca-dere sotto i colpi di un plotone d’esecuzione.

Come andò, signora?Beh, pochi lo sanno, ma papà era stato partigiano. Omeglio, «patriota infiltrato». Il tedesco lo conoscevabene… Insomma era lì a Roccabianca, provincia diParma, il paese d’origine del nonno. La Linea Goticastava ce dendo, e la gente stava costruen do un ponte sulPo. Dunque lo prendono e, dopo un’abbondan te razionedi botte e qualche gior no al fresco, decidono di farlofuori. Ma poi per fortuna qualcu no di loro si accorge chesarebbe stata la seconda rappresaglia. Troppo. La gentesarebbe insor ta e addio ponte… Così la scampò.

Il partigiano Giorgio…Sì, il partigiano che poi a guer rafinita, nel ’46, sposò una fasci sta(la poetessa Fausta Chiarutti ni,mamma di Lietta, ndr).

Nel fresco di stampa Ti uccide -rò, mia capitale (Adelphi, pagg.372, euro 25, a cura di Salva-tore Silvano Nigro) sono riu-

niti molti scritti di Manganelli inediti e co munquemai raccolti in volume. E il dato che emerge sututto è il baratro stilistico (e quindi conte nutistico,trattandosi del più ba rocco e cesellante autore delno stro Novecento) che separa il pre dal post ErnstBernhard. Manga nelli entrò infatti in analisi dal se -guace di Carl Gustav Jung, a Ro ma, prima deitrent’anni.

Quando, precisamente?Tra la fine del ’59 e l’inizio del ’60.

E fu un’altra guerra. Questa volta con sé stesso…I tentativi precedenti con l’analisi freudiana erano fal-liti del tutto. Papà aveva avuto una vita familiare paz-zesca, con liti folli fra suo padre e sua madre, vittima

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di una nevrosi a caratte re religioso: si rotolava a terraco me un’ossessa. Era la classica yiddish mame, del tipo«mangia, se non mangi la mamma sta male»… Inpapà sorsero allora i sen si di colpa cosmici che nonl’ab bandoneranno mai e che gli fa ranno desiderare lamorte. Anco ra adesso mi chiedo come mai non si siasuicidato.

Ma con Bernhard le cose miglio rarono un po’.Fu Cristina Campo a presen targlielo. Apriva le sedutecon un lancio di dadi e leggeva i ta rocchi. Mio padreera fortemen te attratto dall’esoterismo, quel le furonole chiavi che aprirono la sua anima. Ci andava trevolte la settimana. Quando iniziò era messo malis-simo. Pensi che ave va avuto persino un episodio di ce-cità durato dieci giorni, e due settimane di paralisi ditutta la parte sinistra del corpo. Ma len tamente si ac-cese una piccola lu ce…

E si aprì anche una valvola per li berare sulla pagina leangosce dello scrittore.Esatto. È vero che nei testi de gli anni Quaranta e Cin-quanta di Ti ucciderò, mia capitale (quelli delle primequattro sezioni del volume, ndr) sembra, a chi conosceil Manga nelli da Hilarotragoedia in poi, di leggere unaltro autore. Una prosa normale. O quasi.

Possiamo dire, allora, che alla scrittura narrativa degliinizi cor risponde un uomo tormentatissi mo che reprimele paure e che, al contrario, alla ben nota scrittura vul-canica e lacerante corrispon de un uomo ancora irrisolto,ma almeno libero e consapevole di esserlo?Senza dubbio. Ma tenga conto che mio padre aveva…un debole per le persone con disagi psichici. Parlo dimia madre, ov viamente. Parlo di Alda Merini. E avevapaura della pazzia, la propria e l’altrui. Nel ’63 o ’64,quando Antonio Lo Cascio su bentrò a Bernhardcome suo ana lista, mi portò da lui e gli disse: «Dalleun’occhiata». Come fossi un’auto da revisionare.

In tema di revisioni e controlli… Immagino che la cacciaai testi di quest’ultimo volume adelphiano sia stata lungae difficile.Eccome. Lui non solo era di sordinatissimo. Aveva anchel’abitudine a celare le cose. Co me se pensasse «io lometto qui e non lo faccio vedere a nessuno, se poi qual-cuno lo troverà…». Sto lavorando da cinque anni allabiografia di papà. Spero di chiudere entro quest’anno.Ho deciso di non rimuovere la sua versione dei fatti neicasi, e non sono pochi, in cui è ben diversa dalla verità.Glielo devo. Perché per lui l’ufficio della scrittura è rias-sumibile in questa sua frase: «Chi dice la verità ha unavita sola, chi mente ne ha quante ne vuole».

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«Una volta mi si avvicina, mi cinge leggermente le spalle con un braccio (era sem pre restio al contatto fisico) e mi dice:

“Lo sai che sei fra i migliori personaggi di Dostoevskij?”»

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Raul Montanari: «Lo Strega? Troppi esordienti allo sbaraglio»

Montanari ha vinto nel 2010 il riconoscimento assegnato dagli studenti. Ora ha scritto un romanzo satirico a tema: «I grandi nomi latitano. Si cerca il nome da lanciare. E nelle scuderie editoriali si scatena la rivalità»

Stefania Vitulli, il Giornale, 6 aprile 2011

«Giallista disilluso si innamora diun’esordiente della sua scuola discrittura che però non stima comeautrice e si mette pure in mente divincere un premio letterario cosìnon lo considerano più un giallista.Uno dice: uh, sai che tramone. Einvece poi». E invece poi il lettoresi diverte. S’appassiona. Sorride. Atratti ride, perfino. Forse perchél’ultimo romanzo di Raul Montanari, L’esordiente (Dalai,pagg. 318, euro 18), è stato scritto toccando legno perla sua carriera di scrittore e della sua scuola di scrittura:l’ambiente editoriale viene sputtanato una riga sì e unariga no e l’ambiente editoriale non perdona.Prendi lo Strega, ad esempio. Fulvio, protagonista delromanzo, ci si prepara come ai cento metri piani:«Chiamalo come vuoi, il Toblerone, il Vicariato, laPotta d’Oro. Oppure fa’ come noi e chiamalo sempli-cemente il Premio. Il Premio con la p maiuscola.Anche perché lo è». «È l’unico che può cambiare ildestino di un libro e del suo autore», dico io. «Ho ilsoggetto e il titolo. Ma lo sai che non ne parlo mai,prima». «Fa’ un’eccezione, stavolta. Stiamo parlandodel libro che deve vincere il Premio nel 2010. Devevincerlo, capisci?».

Montanari, ma voi scrittori ci te-nete così tanto allo Strega?Gli scrittori tengono molto aipremi. Per un motivo banale eche le sembrerà pure volgare, manon lo è per niente: sono soldi inpiù. Si guadagna con i diritti al-l’estero, con quelli cinematogra-fici e con i premi.

Per denaro, dunque?Anche perché il Premio sta a metà strada tra il con-senso di pubblico e di critica, i due poli in cui si cercala legittimazione. All’editore, che vuole che tu venda,non frega nulla che ci siano cinque critici che ti con-siderano il più grande scrittore italiano vivente.

Allora è per questo che Aurelio Picca se l’è presa tanto conRizzoli per l’esclusione.Se è per questo Rizzoli ha toccato il fondo l’annoscorso: esclusione di Matteucci a favore di Avallone,che evidentemente aveva migliori rapporti con ladirigenza.

A questo son ridotti gli editori? Ma Picca dice che glieloavevano promesso…

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Nelle scuderie degli editori si scatena sempre la ba-garre su chi partecipa a quale premio. Uno degliaspetti più sporchi del rapporto tra editore e autore èche spessissimo promettono. Tu, autore, per smuoverela situazione, dovesti farti avanti di continuo. O fareil leccaculo. O ricattare: «Garzanti ha promesso chemi manderebbero…». Se dici solo: «Scusate, mi pia-cerebbe partecipare al Viareggio», ti rispondono:«Pensiamo che non sia adatto a te». Perché lo hannogià promesso a qualcun altro.

Una consacrazione falsa, allora.Una consacrazione di vendite, quindi una consacra-zione vera. Prenda Scarpa: lo Strega per lui è stato unsigillo che gli ha dato una tranquillità inimmagina-bile. E duratura: quando lo vinse, negli ipermercatistava accanto a Giordano, che ancora portava la fa-scetta dell’anno prima. Lo Strega dovrebbe tornarealle origini.

Cioè?Dentro Eco e Arbasino, fuori gli esordienti. L’ammi-raglia dei premi, come era con la Bellonci. Non comeoggi, che uno imbrocca il terno al lotto.

Ma proprio lei, che nel romanzo non parla che di esordienti!Ma oggi non si cercano esordienti per farli crescere.Si cercano casi letterari, roba preconfezionata in cuici sia la ragazza carina che si è vista (Avallone) e il

belloccio (Giordano) con cui cerchi di piazzare labotta.

Anche lei contro il marketing?La competenza specifica nelle case editrici si è abbas-sata dopo l’ingresso di uomini di marketing. Ma èanche vero che a fare troppo i letterati, come facevaEinaudi, si rischiava ogni anno il fallimento. La veritàè che ci sono editor che fanno accapponare la pelle, espesso sono proprio i giovani rampanti di cui moltosi parla. Ignoranti che investono sulla narrativa di ge-nere o sul campione straniero come nel calciomercato.

Fatto sta che lei e Faletti scrivete thriller per lo stesso edi-tore. Faletti stravende e lei no. Qual è la differenza?Ho difficoltà a dire: non è giusto. So che tipo di discorsoletterario faccio io e che tipo di discorso fa Faletti: lascacchiera è la stessa, ma c’è chi gioca a scacchi e chi adama. Un editore tedesco mi disse: «Una volta si facevaun libro buono e si sperava che vendesse. Ora si pub-blica un libro che vende e si spera che sia un librobuono». E sa invece che mi disse una volta Aldo Busi,uno dei miei maestri?

A proposito di Faletti?No, di De Carlo. «Fa librini per ragazze e incula ilpubblico, quindi lo ammiro» mi disse. «Mentre nonc’è essere umano che disprezzi di più di uno che ci haprovato e non è riuscito».

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«La verità è che ci sono editor che fanno accapponare la pelle, e spesso sono proprio i giovani rampanti di cui molto si parla.

Ignoranti che investono sulla narrativa di genere o sul campione straniero come nel calciomercato»

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La donna che ci ha fatto leggere Stieg Larsson

Intervista a Francesca Varotto, l’editor della Marsilio che nel 2005 ha«bruciato» la concorrenza. Pagato 33 mila euro, Millennium ne ha reso40 milioni. Legge quindici manoscritti al mese e coltiva l’orto

«Alla manifestazione delle don ne per le dimissioni diBerlu sconi era spuntato un cartello: LISBETH PENSACI

TU. In quel momento ho capito. Non era più un libro.Era diventato un fe nomeno». Dietro il successo diStieg Larsson c’è una donna: Lisbeth Salander, l’hac -ker filiforme che spezza colli come grissi ni, vera pro-tagonista della trilogia Millen nium. Anche dietro losbarco dell’autore in Italia, terzo Paese dopo Germaniae Francia a pubblicarlo, c’è una donna.Francesca Varotto, 42 anni, editor inter nazionale dellaMarsilio, talent scout di scrittori nordeuropei. Il suotriangolo delle Bermude si colloca tra Venezia, sede dellacasa editrice guidata da Cesare De Michelis; Monaco diBaviera, dove abita con marito e due figlie; Francoforte,Fiera del libro, dove è avvenuto il colpaccio.È il fiuto di questa esile pignola donna ad aver reso pos-sibile una sorprendente storia di successo italiano: pa-gato 33 mila euro («Per i nostri standard una fortu na!»)ha reso una quarantina di milioni. Abbastanza per rim-pinguare le casse della Marsilio e oltre: «Abbiamo com-prato la Sonzogno» ride. «Ora facciamo chick lit, Liala,principi e fanciulle in difficoltà, quelle cose lì».Per lei l’effetto Larsson ha significato un passaggio distatus – da consulente a dipendente – e un aumentodi stipendio «da ridicolo» a «dignitoso». E molte emo -zioni: «Quando ho capito che stava succe dendo qual-cosa? Quando, ovunque mi gi rassi, sul treno o inspiaggia, ai giardini e nei caffè, vedevo persone con illibro in mano. Non era mai successo. Stare in clas -sifica con tre titoli. Conquistare una fetta di mercato.È stato un momento di eufo ria. Poi passa, e ti rim-bocchi le maniche».Il primo battito a ottobre 2004: «Alla Fiera lo compra-rono i tedeschi. In Italia fu proposto a Iperborea, che

alla fine rifiu tò». Meno di un mese dopo il giornalistadi Stoccolma, obeso, fumatore incallito, consulente diScotland Yard, minacciato dai neonazisti, muore sa-lendo le scale che portano al suo ufficio. L’anno dopola Marsilio rompe gli indugi: «La segnalazio ne dellaNorstedts (l’editore svedese, ndr). Il tam tam tra editor.Pezzi di tradu zioni. Tracce sempre più definite. La no -stra traduttrice estasiata. Mi decido. Fac ciamo l’offerta».E? «Nessuno, neanche gli svedesi, si aspettava un suc-cesso così travolgente. Partito piano, poi esploso».Varotto vive a Monaco. In una casa di legno, pannellisolari e riciclo dell’acqua piovana, gelsomini e patatein giardino. Ha smesso di suonare il flauto traverso macorre nel bosco. Pendola con l’appartamento venezianoarrampicato dietro i giardini della Biennale. Suo ma-rito Davi de lavora per la Fiera di Milano. Si alterna nocon le bambine: Adele, 9 anni, e Emi lia, 8. Pensano auna base italiana ma fini scono a chiedersi «dove» e «diquesti tem pi», e a fronteggiare la resistenza delle figlie«inspiegabilmente» affezionate all’ or dinata Germania.Legge quindici manoscritti al mese per pub blicarnetredici all’anno. Il mondo editoriale le ha offerto pontid’oro? «Allusioni, avan ces, una corte discreta» ride dinuovo. «Ma mi piace lavorare con Cesare. È un uomoumanamente generoso. La Marsilio è una grande fa-miglia». Di famiglia la saga letteraria ne ha prodottaun’altra: «Il gruppo di editor è rimasto in contatto. Citrovia mo due volte l’anno a Stoccolma». Legge remomai il quarto volume? Sapremo se Lisbeth, in fondo alcuore, ha perdonato Mikael? Incontreremo Camilla,la gemella cattiva? Sospiro: «Ho conosciuto Eva, lacompagna di Stieg che ha il manoscritto nel computer.Ho conosciuto i familiari che detengono i diritti. De-vono trovare un accordo. Che non mi pare vicino».

Federica Fantozzi, l’Unità, 8 aprile 2011

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L’epoca dei romanzetti.Editor ignoranti? Mai quanto gli editori

Alcuni tra i più noti redattori rispondono (con ironia) allo scrittore Montanari che li accusa di «far accapponare la pelle»: suppliamo alle molte assenze ingiustificate della nostra industria

Qualche giorno fa su queste pagine – è vero che stavaparlando del Premio Strega, che sempre aizza gli animipiù del dovuto – Raul Montanari ha lasciato cadere im-pietosi giudizi sulla figura dell’editor. «La competenzaspecifica nelle case editrici» ha detto «si è abbassata dopol’in gresso di uomini di marketing. La verità è che ci sonoeditor che fanno accapponare la pelle e spesso sono igiovani ram panti di cui molto si parla». Montanari hadetto proprio «accapponare la pelle», e ha ag giunto: «Sitratta di ignoranti che investono sulla narrativa di genereo sul campione stra niero come nel calciomerca to». Infin dei conti, ne possia mo dedurre, è colpa loro se oggiè ancora più vera l’osserva zione di un editore tedesco ri -portata da Montanari: «Una volta si faceva un librobuono e si sperava che vendesse. Ora si pubblica unlibro che vende e si spera che sia un libro buono».Non è la prima volta che la fi gura dell’editor un po’mercante-cialtrone e un po’ intellettua le pavido vienemessa in stato d’accusa (basterebbe ricordare Lettere anessuno di Antonio Moresco). Ma i diretti interes satiche ne pensano? «Non capi sco bene» ci dice MatteoCodi gnola di Adelphi «se Montana ri protesti perchégli editor fanno troppo o perché fanno trop po poco.Il bello è che avrebbe ragione in entrambi i casi. Inre altà gli editor più che altro suppliscono a un’assenzaingiusti ficata, quella dell’editore, e si arrangiano come

possono. Te mo però che questa situazione non sia unacontingenza, ma un segnale fra i tanti della dire zionein cui sta andando l’edito ria. Che può certamente nonpiacere, ma che non vedo co me possa essere corretta,o da chi. Quanto al ruolo degli edi tor, proprio perchéapparten go alla categoria concordo con quella carognadi Nabokov. Co sa pensa degli editor, gli chiese ro unavolta. “Editor?” fu la risposta. “Intende i correttori dibozze?”. Più che un anatema, mi sembra la promessadi un fu turo migliore».Anche Antonio Franchini, Mondadori, la mette unpo’ sul l’ironia: «Mah, ognuno di noi parla di ciò cheha vissuto, delle persone che ha incontrato, pureMontanari. La formula che oggi si fa un libro chevende sperando che sia buono è ef ficace dal punto divista retori co, ma non è detto che sia an che vera. Que-sta sensibilità cri tica nei confronti degli editor appar-tiene agli ultimi anni: prima i giornali non facevanocosì tante inchieste sul mondo della mediazione edi-toriale. Evi dentemente oggi si percepisce l’editoriacome più invasiva ri spetto al passato. Oltre che da unmarketing più sofisticato, questo dipende dal fatto cheil ruolo della critica è meno deter minante: pure chidovrebbe parlare di libri dal punto di vi sta critico tal-volta ne parla co me prodotto, gli scrittori intan tosono molti di più ed è diffici le tenersi informati. Il

Tommy Cappellini, il Giornale, 11 aprile 2011

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mercato è diventato più radicale e c’è più distacco tragli autori che vendono tanto e quelli che vendonopoco. Negli anni Sessan ta, in media, il bestselleristavendeva centomila copie, lo scrit tore che vendevapoco diecimila. Adesso si è allargata la forbice tra l’au-tore da 300 mila e quello da cinquemila. La tensionenervosa contro gli editor è comprensibile».Più tranquilla la situazione presso le piccole case edi-trici: «Parto dal voler fare un libro buono» ci dice Lo-retta Santini della romana Elliot «e poi spe ro chevenda, anche se so già che ci sono libri buoni che nonvenderanno. È una libertà che ci permettiamo a caroprezzo. Chiaro che in una grande casa editrice difficil-mente ci si met terà a coltivare un autore da tremilacopie, sempre che qualcu no dia carta bianca al pro-getto. Alcuni autori iniziano con noi, passano ai grandie poi, per questa ragione, ritornano. Sen za fare l’idea-lista, l’editor ha più possibilità di azione in una realtàpiccola: e comunque, se le cose vanno male, la colpa èsua. A chi altro vogliamo darla? Le critiche da partedegli autori alla figura dell’editor sono criti che ombe-licali. È vero, però, che la colpa di parecchi editor èquella di accontentarsi di li bri assemblati in traduttese,an ziché cercare una storia e uno stile che sorprendano».«Gli editor» ci dice Vincenzo Ostuni di Ponte alleGrazie «sono inseriti in un contesto che tende al pro-fitto molto più di quanto si facesse in passato e si adat-tano alle richieste: io non mi sento la coda di paglia,an che se il sistema di oggi non po trebbe tirare fuoriun altro caso editoriale come Horcynus Orca di Ste-fano D’Arrigo. Difficile che gli editori, e quindi gliedi tor, puntino su un libro appena più impervio dellasemplicità. Paolo Giordano e Margaret Mazzantini sileggono facil mente, si vendono, quindi ven gono pro-mossi. Le critiche da parte degli autori? Accadono per-ché l’editor è percepito co me il Gordon Lish della si-tua zione, un’istanza normalizzan te rispetto alleeccentricità stili stiche dell’autore. E perché so vente glieditor sostituiscono l’editore nella sua funzione. Aloro, dunque, toccano gli strali che vent’anni fa veni-vano indi rizzati a quell’editore che nel frattempo, conimportanti ec cezioni, è scomparso per esser si troppoconcentrato sul lato industriale del mestiere».

Agenti letterari: la (ir)resistibile ascesa di chi

coccola e alleva i bestselleristi

Fanno da cerniera tra autore e edi tore, si occupanodi copyright o della promozione del libri all’estero.Sono le agenzie letterarie, arrivate in Italia grazie aErich Linder, che rilevò l’Agenzia Letteraria Interna-zionale, fondata nel 1898 e rimasta per molti anni inposizione di so stanziale monopolio. «Negli anni Ot-tanta ne sono nate molte altre» spie ga Luigi Bernabò,fondatore del l’omonima agenzia, che con Lin der halavorato. «Linder rappresentò autori del calibro diEzra Pound, Thomas Mann, James Joyce, FranzKafka, Philip Roth e molti altri». Da allora la situa-zione è cambiata. «Ormai quasi tutti gli scrittori, siaesordienti sia affermati, si rivolgo no alle agenzie» af-ferma Bernabò. Quali le funzioni dell’agente?«L’agenzia svolge moltissime fun zioni, parte dal se-guire il lavoro dalla fase di elaborazione e arriva finoalla tutela dello scrittore dal punto di vista contrat-tuale», aggiunge Bernabò che tra i clienti annoveraKen Follet e Dan Brown. Spiega Silvia Donzelli, as-sociata dell’agenzia Pnla (Piergiorgio NicolazziniLite rary Agency) che rappresenta tra gli altri GiorgioFaletti: «In Italia sono dieci, sostanzialmente, le agen -zie che hanno una struttura e vivono di questo me-stiere». L’agenzia può svolgere un servizio di lettura apagamento dei manoscritti che arrivano senza esserestati solleci tati e garantire all’autore una detta gliatascheda di valutazione e di analisi del testo; altre voltesvolge un lavoro di scouting alla maniera anglossas-sone, più attivo e non a pagamento. «L’agente» sot-tolinea Donzelli «guadagna solo quando guadagna loscrittore, in genere il 10 per cento sui ricavi. Se invecesi vendo no i diritti all’estero di un autore ita liano, siarriva anche al 20 per cento. Il 10 per cento è inveceil guadagno della vendita di autori stranieri in Italia.Il con tratto base con l’autore ha in genere una duratadi due anni perché va tenuto conto che dal mano-scritto alla pubblicazione a volte passa an che unanno».

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Strega, hanno già vinto gli editori romani

Selezionati i romanzi che concorreranno al Premio. Tra conferme e delusioni.La vera novità è la forte presenza dei marchi indipendenti della Capitale

Comunque vada a finire, sarà lo Strega dei piccoli.Ov vero, di quegli editori indipen denti che si osti-nano a sfornare libri di qualità, idee, nuovi auto ri conl’orgoglio di chi non si piega alla ferrea legge deigrandi gruppi. Basta scorrere la lista dei dodici can-didati al Premio letterario più ambito d’Italia, uscitanel tardo pomeriggio di ieri dalla riunione del comi-tato direttivo presieduto da Tullio De Mauro, perrendersi conto di questa magnifica anomalia. I libriselezionati sono: L’ener gia del vuoto di Bruno Arpaia(Guanda), Malabar di Gino Battaglia (Guida), Ninadei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio), La scopertamondo di Luciana Castellina (Nottetempo), Ternittidi Ma rio Desiati (Mondadori), Set tanta acrilico trentalana di Viola Di Grado (e/o), Nel ma re ci sono i coc-codrilli di Fabio Geda (Baldini Castoldi Dalai), Il con-fessore di Cavour di Lorenzo Greco (Manni), Sto riadella mia gente di Edoardo Nesi (Bompiani), La cittàdi Adamo di Giorgio Nisini (Fa zi), A cosa servono gliamori infelici di Gilberto Severini (Playground), Lavita accan to di Mariapia Veladiano (Ei naudi). Una se-lezione che è sta ta anche «un lavoro appassio nanteper il livello delle opere presentate», dice Tullio DeMauro, riconfermato in questi giorni nella carica didirettore della Fondazione Bellonci per il prossi motriennio.

Ed eccola la novità: la metà dei titoli selezionati ap -partiene al mondo, varie gato e vitalissi mo, dei picco limarchi. Sor presa nella sor presa, sono le case editriciromane indipen denti a fare la parte del leone: Notte-tempo, e/o, Fazi e Play ground, che ora possono davve -ro sognare la cinquina, sono la punta dell’icerberg diuna galas sia, tutta romana, presentata l’8 aprile scorsodagli Amici della domenica. È vero, restano fuo ri, enon senza rammarico, Mia madre è un fiume di Do-natella Di Pietrantonio (El liot), Lo show della farfalladi Franco Matteucci (Newton Compton), Aspetta pri-mave ra, Lucky di Flavio Santi, della piccolissima So-crates, ed Emi ly e le altre di Gabriella Sica (Cooper):ma la presenza delle editrici indipendenti romane nonè affatto scalfita.I cinici e i malevoli diranno che i piccoli hanno solooccupa to il posto lasciato dai grandi, Rizzoli e Feltri-nelli, che non partecipano alla gara letteraria. Facile ri-battere che persino i due superfavoriti, Mario Desia ti,scelto dalla Mondadori, e Edoardo Nesi per la Bom-piani, appartengono essi stessi al mon do delle piccoleromane (il primo è direttore editoriale e il secondo èuno dei soci della Fandango Libri). La verità è un’altra:lo spazio dello Strega, gli editori indipendenti se losono conquistato con la forza dei loro cataloghi, conla serietà e la passione che li contraddistinguono.

Fiorella Iannucci, Il Messaggero, 16 aprile 2011

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«Quando nel 2007 en trammo in cinquina con il ro -manzo di Milena Angus, Mal di pietra, sembrò a tuttiun miracolo. Mi fa solo piacere che ora ci sia una rap-presentanza così con sistente di indipendenti», dice Gi-nevra Bompiani, raggiante per l’esito di La scoperta delmondo di Luciana Castellina. Scrittrice e saggista, nel2002, insieme a Roberta Einaudi (ni pote di Giulio Ei-naudi) ha fon dato la casa Nottetempo. «Un vizio difamiglia», ride l’edito re. Spiega: «Ho lavorato alcunianni con mio padre, Valentino Bompiani. Con Ro-berta abbia mo cercato di ricreare, in picco lo, quella fu-cina di idee e di passione che erano le case editri ci cheavevamo conosciuto. L’attenzione al libro come pro -dotto artigianale e il rapporto con gli autori per noisono una regola».I gruppi editoriali sono «sempre più potenti», è vero,ma «noi indipendenti possia mo contare sul numero.Siamo tanti, soprattutto a Roma, e c’è un tessuto ami-chevole, con alle anze possibili e desiderate», di ceBompiani. Soprattutto si punta sul progetto edito-riale, non solo sul mercato. E la quali tà paga. «È fati-coso, ma alla fine la scelta rigorosa che abbia mo fattopuò forse procurare problemi, di visibilità per esem -pio, ma ti solleva da altri», dice con l’orgoglio dellaprima volta allo Strega Andrea Bergamini, editore diPlayground, na ta nel 2004 co me casa editri ce a temaomosessuale, con due sole colla ne, esclusiva mente di

nar rativa. «Pun tiamo soprat tutto sul grande autore.Le tematiche gay sono più che altro un metodo.Spesso nei nostri romanzi non c’è neanche un prota-goni sta omosessuale, ma magari l’autore», dice Ber-gamini che ha portato in Italia scrittori co me EdmundWhite e Rachid O.Ed ora punta su Gilberto Severini. «Un orgoglio e unonore per noi. Abbiamo costruito insieme A cosa servonogli amori infelici, nel senso che il romanzo ha preso vitaproprio dalle nostre conversazioni. La storia dello Stregareclama da ciascun editore il miglior libro. Quello diSeverini è all’altezza del Premio». Sono la vocazione allaricerca, la cura nella scelta dei testi, la scommessa su unesordiente di talento i punti di orgoglio degli indipen-denti. «Di fronte a una partecipazione così ampia nonci sentivamo in tasca la certezza di entrare nei 12» diceClaudio Ceciarelli, editor per la narrativa italiana di e/o.«Però, ci contavo. Set tanta acrilico trenta lana di ViolaDi Grado è un esordio di livello. Nonostante i 23 annidell’autrice, il romanzo ha una sua grande maturità cheha su scitato l’interesse di lettori e recensori. So bene cheè difficile vincere. Sarà quel che sarà». Dopo la presen-tazione ufficiale dei candidati, il 27 aprile al Teatro SanMarco di Beneven to, non resta che aspettare la cinquina(il 15 giugno, a Casa Bellonci) e la notte del Ninfeo diVilla Giulia (il 7 luglio). Ma intanto un vincitore c’ègià: l’editoria indipendente roma na.

«La metà dei titoli selezionati ap partiene al mondo, varie gato e vitalissi mo, dei picco li marchi.

Sor presa nella sor presa, sono le case editrici romane indipen denti a fare la parte del leone»

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Generazione TQ.Andare oltre la linea d’ombra

Il 29 aprile editori, scrittori e critici trenta-quarantenni a confronto sul ruolo degli intellettuali:

ecco la loro proposta

Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso. Se lapren dono con la cultura di massa, con lo strapoteredella televi sione, con i bestseller facili che dominanole classifiche di vendita. Gli intellettuali delle ultimegenerazioni, poi, sono anche peggio: se la prendo nocon tutte queste cose e – in più – con gli intellettualidelle generazioni precedenti, che non si decidono acedere il passo. Questo non è un Paese per giovani –è vero – e tantomeno è un Paese per intellettuali. Maforse il modo migliore per reagire a questa emargina-zione non è continuare a denunciarla come uno scan-dalo – il fatto è sotto gli occhi di tutti, e a scandaliz-zarsi siamo sempre gli stessi – quan to piuttosto cercaredi uscire dall’angolo.Tanto più che, per chi è nato dagli anni Sessanta inpoi, non c’è un tempo andato da rimpiangere. Il si-lenzioso ma incessante mo vimento tellurico che ha se-gnato la fine della società letteraria come l’avevano co-no sciuta i nostri padri e ha cambiato radical mente irapporti tra chi produce cultura e chi la promuove, laveicola, la vende, la consu ma è per noi un dato difatto. È il rumore di fondo che ha accompagnato lanostra cresci ta e la nostra formazione.Ma appunto come un rumore abbiamo cer cato sempredi allontanarlo, aggrappandoci alle nostre letture e aun’identità ereditaria. Ciò fa di noi una generazione di

intellettuali che forse Pasolini avrebbe definito «mu-tati» o «mutanti». Coloro che, vale a dire, hanno elettoidealmente a propri maestri molti grandi del Nove-cento, ma hanno avuto per mae stra di vita un’epocagià completamente diversa. Una parte di ognuno dinoi vive insom ma da tempo al di là del guado. Siamosicuri che sia la parte peggiore?Forse è proprio questa natura anfibia che – grazie auno sguardo al tempo stesso interno ed esterno – po-trebbe consentirci di decifrare meglio il mondo checi circonda. Forse è pro prio da questa natura che sipotrebbe riparti re per rimettere a fuoco la figura del-l’intellettuale e il suo ruolo in una società così diversa.Forse – dopo che per anni ci siamo letti l’un l’altro eaffrontati (e scontrati) a distanza – i tempi sono ma-turi per parlarne tutti insieme. Sui palchi dei festivale delle presentazioni let terarie, sulle pagine e tra icommenti dei blog, oppure nel privato di incontrifaccia a faccia o attraverso intensi scambi di mail, neabbia mo già discusso molto, con la crescente consa -pevolezza che proprio intorno a questi punti si gio-casse una partita fondamentale. Forse adesso è il mo-mento giusto, al di là dei singoli libri e delle poetichedi ognuno, per affronta re questi temi in manierameno occasionale e aprire tra di noi un confronto chearrivi a produrre idee, proposte, progetti nuovi.

Giuseppe Antonelli, Mario Desiati, Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2011

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Smette re di piangere sulle macerie di un’epoca pas -sata e provare insieme a ricostruire un oriz zonte co-mune: frastagliato, contraddittorio, conflittuale, madinamico, vitale, in contatto con la realtà. Per questoabbiamo deciso di organizzare una serata di dibattitoin cui appro fondire argomenti che – immaginiamo– ci terranno molto impegnati negli anni a veni re:Generazione TQ, un seminario che si terrà il prossimo29 aprile nella sede romana della Laterza e coinvol-gerà oltre un centinaio di scrittori, critici, editoritrenta-quarantenni.L’iniziativa nasce, più che da un desiderio, da qualcosache somiglia a un bisogno. Il bi sogno di alzare la testadal lavoro di tutti i giorni e provare a discutere insiemedi alcu ne questioni generali, indispensabili per da reun senso a quello che facciamo. Un mo mento discambio che intende far tesoro della pluralità di per-corsi ed esperienze per indi viduare un orizzonte co-mune: un nucleo di idee dalle quali ripartire. Nessunaintenzio ne di formare scuole movimenti correnti o si-mili: solo la volontà di superare la linea d’ombra chefinora ci ha protetti e uscire fi nalmente allo scoperto.

Trenta quaranta Siamo cresciuti in ordi ne sparso, senza un’ideologiacomune. Senza metodi, strumenti, terminologie con-divise: e questo forse è stato un bene. Ma l’individuali -smo al quale siamo stati addestrati rischia ora di ren-derci afasici: ognuno chiuso nel suo recinto, qualeimpatto abbiamo sulla realtà? Siamo intellettuali mutio mutanti? E soprat tutto: ha ancora un senso parlaredi intellet tuali? (oggi va più di moda esperti).

Tale e quale Manchiamo di un’identità collettiva che ci contrap-ponga alle genera zioni precedenti. Quasi che tra noie loro ci fosse una fluida continuità: quali i padri,tali i fi gli. Ma – appunto – quali sono i nostri padri?Alle nostre spalle, in fondo, non c’è nulla di così so-lido e monumentale; semmai un tem po poroso, per-meabile e proteiforme: e forse questo non è unmale. Ma di qui nasce l’assenza di contrapposizione;

di qui la diffi coltà di (auto)definizione. Può esserciun im pegno senza conflitto? E soprattutto: ha an-cora un senso parlare di impegno? (oggi va più dimoda etica).

Tanto quantoAbbiamo in comune un im maginario nato daglistessi film e telefilm, fu metti e cartoni animati, daglistessi comici e gruppi rock, ma spesso non condivi-diamo le stesse letture. Siamo abituati a mescolarecultura alta e bassa, su blime e triviale: e forse anchequesto non è un male. Ma poi, nel mo mento di giu-dicare un prodotto culturale, di ventiamo spesso esi -genti e aristocratici. A quale idea di cultura pensiamoquando produciamo qualcosa? E soprattutto: ha an-cora un senso produrre cul tura? (oggi va più di modacomunicazione).

Tarantino QuentinL’ultimo movimento letterario percepito dai massmedia è stato quello del pulp e dei cannibali. Perchépre ventivamente confezionato come operazio ne edi-toriale; perché supportato dal riferi mento comune aun film di grande successo come Pulp fiction; perchéi media hanno ca valcato l’immagine «giovane» degliscrittori coinvolti. È questo che devono fare la lette-ratura, la critica, l’editoria per sopravvivere in un con-testo dominato da logiche spettacola ri? Ovvero: comesi fa a incidere sulla realtà se non si risveglia l’interessedei media e dun que del pubblico? E soprattutto: esisteanco ra un pubblico della letteratura? (oggi va più dimoda dire mercato).

Tutto questo Tutto questo e molto altro secondo noi andrebbe di-scusso insieme, alla ricerca di qualche proposta – nonsnobisti ca, non autoreferenziale, non elitaria o vellei -taria – da lanciare nello spazio sfinito del nostro di-battito culturale. Per provare a fare qualche passoavanti e a proiettarci final mente oltre la linea d’ombra(oggi va più di moda parlare di futuro).

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Cambiamo la narrativa, siamo la generazione TQ

Quello che li accomuna è il dato anagrafico. Sono figli degli anni Sessanta e chiedono spazio. Ruolo degli intellettuali, mercato, strategie: il 29 un incontro allargato con editor e critici

Loro non lo definiscono un manifesto, né hanno in-tenzione «di formare scuole, movimenti, correnti o cosesimili: solo la volontà di superare la linea d’ombra chefinora ci ha protetti, e uscire finalmente allo scoperto».Loro sono scrittori, editor, linguisti, critici, accomunatida una appartenenza generazionale, quella dei nati at-torno agli anni Sessanta, intenzionati a cambiare le cosein letteratura ma più in generale a interrogarsi sul modoin cui la scrittura può rapportarsi al presente sen za can-cellare il passato pur sentendosene in qualche modo or-fana. Loro sono Giuseppe Antonelli, Mario Desiati,Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, fir-matari di un interessante vademecum del nuovo inter-prete della scrittura («Ha ancora un senso parlare di in-tellettuali? Oggi va più di moda esperti») che diventeràconfronto aperto e dibattito costruttivo in un incontrofissato per il 29 aprile nella sede romana di Laterza. Sa-ranno coinvolti centinaia di scrittori, critici e non solo,tutti appartenenti a quella che i firmatari definisconocome generazione TQ, che sta per Tarantino Quentinovvero il regista pulp per antonomasia: «L’ultimo mo-vimento letterario percepito dai mass media» scrivonoi TQ «è stato quello pulp e dei cannibali, confezionatocome operazione editoriale».C’è baruffa nell’aria della nuova letteratura ed era orache qualcuno si prendesse la briga di scoperchiare la

pentola dove ribollono da anni frustrazioni e ricercadi identità, idee giovani e fertile terreno creativo. «Ab-biamo costruito una cornice» spiega Giorgio Vasta,candidato allo Strega nel 2009 con Il tempo materialeedito da minimum fax, «e il contenuto lo si conoscerànell’incontro del 29. Nessuna intenzione di creare unmovimento di neoavanguardia che abbia un signifi-cato di rottura». E il ruolo del nuovo intellettuale?«Linguisticamente si tratta di una figura plausibile inaltri tempi» continua Vasta «ma non vuol dire che siadismesso. Oggi possiede un Dna diverso, ibrido, me-scolato, duttile». Fuori dal coro, lo scrittore AndreaDi Consoli che precisa: «Non mi è mai piaciuta nes-suna piattaforma ideologica o generazionale perchénon la reputo conoscitivamente utile. Credo che ognilibro sia un tassello che ognuno mette per comporreun quadro comune ma l’opera è individuale. Si puòstare insieme per una causa, per uno scopo, non perdefinire cosa significa cultura o per stabilire cos’e l’im-pegno. Io credo semplicemente» conclude Di Consoli«che si tratti di dare un contributo singolo ad una ci-viltà».E allora, cosa potrà nascere dall’incontro del 29 aprile?«Ciò che verrà fuori non possiamo saperlo» rispondelo scrittore Nicola Lagioia, curatore di una collana perminumun fax «ma è sicuro che si ragionerà su strategie,

Leonardo Jattarelli, Il Messaggero, 19 aprile 2011

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idee, rapporto con i media, vecchia e nuova editoria,sul ruolo dell’intellettuale in una generazione che sipuò definire post-ideologica». Il dato più significativo«è che questo incontrarci non è gestito da alcun edi-tore e coinvolge persone le più diverse tra loro e scrit-tori uniti da un background generazionale che vedràla presenza anche di giovani esponenti di case editrici,da Marsilio a Einaudi fino ai cosiddetti marchi medi.D’altronde» continua Lagioia «quando si diede vita alGruppo 63 Bassani non fu invitato. Speriamo di es-sere all’altezza della sfida. Vogliamo accendere unamiccia e puntare l’attenzione sulla funzionalità di unnuovo meccanismo che conta più di chi lo mette inatto».Tutto questo vuol dire fare carta straccia del passato?«Al contrario. È proprio dalle radici di una letteraturache in qualche modo ci ha cresciuti, da Fenoglio a Vit-torini, che si riprende il discorso» sottolinea ancoraLagioia «anche se, oggettivamente, il Novecento nonesiste più. Oggi tutto è diverso e questo ha creato nellanostra generazione un effetto di spiazzamento che variconsiderato e studiato».E se il web ha in qualche modo riempito il vuoto la-sciato dalle celebri riviste letterarie creando anche lanuova figura di scrittore-blogger, internet ha contri-buito a irrobustire la rivoluzionaria fruizione della cri-tica attraverso portali come Carmilla, Nazione In-diana, Vibrisselibri. Tutti avranno voce in capitoloall’appuntamento romano del 29 aprile, compresi itemerari della letteratura del Duemila, quelli chehanno deciso di risorgere dalle ceneri di esperienze

editoriali ancora vittime del vecchio sistema, anchedistributivo. Ne sa qualcosa Paolo Pedrazzi, fondatoree direttore nel 2003 della Eumeswil e ora factotumdel nuovo marchio Sottovoce insieme a FrancescoForlani. «È stata una scelta coraggiosa» spiega Pedrazzi«che rema contro quell’industria culturale che sembracedere al gusto del lettore proponendo una letteraturadel consenso, dotata di ogni confort e travestita di or-dinaria semplicità». Per Sottovoce, i suoi creatori sisono chiesti prima di tutto se aveva ancora un sensofondare una casa editrice: «Se vale la pena rimettersiin gioco nell’Italia dei giovani bamboccioni, deiGrandi Fratelli e delle Grandi Sorelle veline, deglistrilloni di turno, dei talent show che aboliscono lascrittura come arte e propongono una società idealiz-zata di meteorine da spremere per un anno o due perpoi rigettarle nell’anonimato». E si sono risposti, ap-punto, con una scelta compiuta sottovoce ma che urlaconcretezza e titoli di grande spessore.La TQ Generation si interroga, tra l’altro: «Abbiamoin comune un immaginario nato dagli stessi film e te-lefilm, fumetti e cartoni animati, dagli stessi comici egruppi rock ma spesso non condividiamo le stesse let-ture… A quale idea di cultura pensiamo quando pro-duciamo qualcosa?». Chiediamo a Lagioia se per casoi giovani scrittori di oggi prendano a modello i narra-tori di altri Paesi: «Non credo ce ne sia bisogno. Lamoderna letteratura francese, ad esempio, non è piùinteressante di quella italiana. Da noi negli ultimi annisono usciti libri molto importanti. II terreno è vivo eva reso ancora più fertile».

«C’è baruffa nell’aria della nuova letteratura ed era ora che qualcuno si prendesse la briga di scoperchiare

la pentola dove ribollono da anni frustrazioni e ricerca di identità, idee giovani e fertile terreno creativo»

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L’Italia è lontana

In un libro l’invasione dei cinesi a Prato. Intervista a Edoardo Nesi

Elisabetta Ambrosi, il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011

Undici settembre 2001: all’in-terno di una delle Torri gemellein fiamme, una voce diffusa daimicrofoni suggerisce di non farsiprendere dal panico e di restarefermi, aspettando i soccorsi. Al-cune persone non seguono le in-dicazioni, altre sì: queste ultimemuoiono tutte. Secondo Edo-ardo Nesi, autore di Storia della mia gente (Bompiani)finalista al prossimo Premio Strega, non c’è immaginemigliore per raccontare lo stato d’animo di imprendi-tori e lavoratori nell’Italia degli ultimi anni. Uno statod’animo vissuto in prima persona, da imprenditore pra-tese costretto a chiudere l’azienda di famiglia a causadella concorrenza cinese. E protagonista, come il pro-tagonista del libro, di un’emergenza economica e socialedi fronte alla quale la classe dirigente ha saputo rispon-dere solo proponendo meno protezioni e più concor-renza. Salvo poi decidere di far saltare queste regole inalcune nicchie, magari quelle delle grandi aziende.Tanto che – spiega l’autore – «siamo in un Paese as-surdo, dove è impossibile comprare un’auto cinese,mentre tutto l’abbigliamento è in mano ai cinesi».Storia della mia gente è una storia di famiglia atipica,allergica all’intimismo ombelicale. La vicenda della

chiusura del Lanificio T.O. Nesi& Figli mette in scena una vi-cenda collettiva, il fallimento diun Paese. Quasi che, di frontealle lacerazioni sociali, di fronteal collasso delle politiche pubbli-che, la letteratura non abbia il di-ritto di smarrirsi nel privato. Perquanto profondo, per quanto so-

fisticato. Per questo, confida, «sono onorato di esserefinalista allo Strega, perché il libro parla di un disagioforte, reale».È il disagio di fronte a contrasti immorali, ma ancheproduttivamente folli, capaci di mettere in ginocchioun sistema imprenditoriale. Da un lato, quartieri ge-nerali degli stilisti, «monumenti diacci e sterili d’ac-ciaio e cemento e vetro»; dall’altro, capannoni dove icapi griffati sono prodotti da disperati che non hannoneanche i soldi per comprare una delle riviste su cuisono pubblicizzati.

Il suo libro è un urlo contro una globalizzazione che hacancellato una storia. La sua come la nostra.Non credo che si potesse invertire il corso della globa-lizzazione, ma il problema è stato quello di averla scam-biata per una panacea, un’età dell’oro da abbracciare

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acriticamente, come hanno fatto i nostri economisti.Bisognava almeno avere il coraggio di dire che le con-seguenze sul nostro sistema economico sarebbero statedisastrose.

Nel racconto del fallimento, sembra suggerire che mecca-nismi di protezione avrebbero salvato la sua e altreaziende. Sembra quasi un romanzo… leghista.Chiunque abbia in mente la scena del doganiere chechiede un fiorino in Non ci resta che piangere sa quantosia stupido il sistema di protezioni e dazi voluto dallaLega. Ma se non si può penalizzare un prodotto, sipossono chiedere standard di qualità e di diritti. Per-ché nessuno si scandalizzava quando una fabbrica discarpe da calcio italiana doveva concorrere con unafabbrica cinese in cui lavoravano bambini in condi-zione disumane? In altri Paese europei c’è stata un’at-tenzione maggiore per le aziende: si è cercato di starein Europa, proteggendo al tempo stesso i propri si-stemi produttivi.

Al centro del libro c’è anche la paura dell’invasione, tantoche il protagonista ha un incubo ricorrente, il pestaggiodi un giovane cinese dal benzinaio.Qui a Prato ci sono 40 mila cinesi su 180 mila per-sone. Trovare l’equilibrio tra difesa del sistema pro-duttivo italiano e tolleranza è difficile, specie in unmomento di crisi. Eppure questa è l’unica strada cheabbiamo, e lo dobbiamo fare in maniera alternativa achi fa leva sulla paura.

Raccontando la solitudine delle imprese, lei chiama conforza in causa anche l’incapacità della sinistra di com-prendere il mondo delle piccole aziende.La sinistra, e insieme un certo cinema e una certa let-teratura, ha troppo spesso dimenticato che padroni elavoratori sono quasi sempre accomunati dalla stessasorte. E che il capitalismo italiano ha prodotto benes-sere in maniera, in qualche modo, democratica.

Nel libro lei è spesso accompagnato da sua figlia Angelica,uniti da un destino comune. Nessun conflitto tra gene-razioni?Quello della guerra tra padri e figli è un grande in-ganno ideologico. Il punto non è come spartirsi latorta, ma come crearne una più grande. Purtroppol’Italia è governata da ragionieri, che al massimo pos-sono tenere i conti a posto, ma non hanno alcuna ideasu come creare sviluppo.

Ha raccontato il dolore per un mondo che non c’è più.Come sarà il nuovo libro? Avrà a che fare proprio con questo tema. La grande in-dustria non è la risposta. Userei invece l’immagine dellebotteghe rinascimentali. Il futuro è la rinascita di un ar-tigianato, manuale e del pensiero, di altissimo livello.Come scrivo nel libro, sarebbe bellissimo se potesse esserela cultura a salvare l’Italia. Se «i romanzi e i film e i quadrie le poesie e le opere e le canzoni e persino la moda po-tessero aiutare tutti a non perdere il lavoro e a non sci-volare prima nella depressione e poi nella povertà».

«Non credo che si potesse invertire il corso della globalizzazione, ma il problema è stato quello di averla scambiata per una panacea,

un’età dell’oro da abbracciare acriticamente, come hanno fatto i nostrieconomisti. Bisognava almeno avere il coraggio di dire che le conse-

guenze sul nostro sistema economico sarebbero state disastrose»

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Scrittori, torniamo alla responsabilità

Lingua, religione, patria, società: decalogo per richiamare gli intellettuali al bene comune

Sarà perché sono stato educato alla bontà del lavoro enon al facile guadagno; sarà perché, da bambino, hovisto nelle botteghe gli artigiani spinti alla pialla dallapassione, le pantalonaie mute e pazientissime sugli orlie le asole, i posatori di pavimenti soddisfatti solo dopoavere usato il filo con il piombo che, in caduta verti-cale e perfetta, tracciava il corso delle dodici ore lavo-rative. Forse sarà stato anche per quel ritratto di Giu-seppe Mazzini nero come un padre somasco e minutoquanto un piccolo santo del peso giusto di una can-dela, che non ho mai applaudito i «diritti» ma ho cer-cato di crescere e migliorare tra i «doveri».Non a caso Mazzini ha scritto Dei doveri dell’uomo e lasua «religione del dovere» da subito si è confrontata conla miccia rivoluzionaria di Carl Marx che proclamava,in nome dei diritti del proletariato: «Non avete da per-dere che le vostre catene». Ma già in epoca moderna,anzi, contemporanea, la Rivoluzione francese aveva ten-tato di cambiare il mondo in nome delle libertà borghesie si era spinta, con il Comitato di salute pubblica, tal-mente avanti che La Vedova aveva preso a tagliare testein una catena di montaggio da serial killer per cessare dicolpire dopo l’ultimo e più illustre scalpo, quello del-l’Incorruttibile Robespierre. Da allora, e prima della Re-staurazione (l’altra grande arriverà dopo il ’48), nasceràil philosophe, il maître-à-penser, dunque l’intellettuale.

Anche nella Rivoluzione bolscevica i «diritti» sarannosugli scudi e gli intellettuali occidentali, a cavallo delledue guerre e successivamente, ingrosseranno le fila co-niando slogan sempre sui diritti e i diritti. A naso citola rottura «esistenzialista» in Francia tra Sartre eCamus: dove il primo è paladino di ogni diritto con-tro la società borghese, mentre Camus incomincia ameditare su come la vita stessa sia una sequela di do-veri più o meno realizzati e realizzabili.Poco prima, sempre in Francia, Drieu La Rochelle af-fermando che i chierici, gli artisti e gli intellettuali«hanno doveri e diritti superiori a quelli degli altri»,in qualche modo aveva forzato la lancetta dell’orolo-gio degli intellettuali verso i «doveri». Quei famosi do-veri che lo condurranno al suicidio. Pure un eroe delnostro Risorgimento, Carlo Pisacane, il più estremistae socialista, quello che appunto coniò il motto «im-porre il dovere con le armi», alla fine fu costretto alsuicidio.Ora comunque è bene passare ai fatti dell’Italia, cioèai fatti nostri. Giuseppe Parini fu fedele solo ai Do-veri; Alessandro Manzoni della lingua italiana e dellanostra cultura fece una chiesa; Scipio Slataper, con IImio Carso, trasformò il dovere in preghiera; EnricoToti si immolò nella battaglia per Gorizia. E che diredi tutti quei giovani intellettuali che persero la vita

Aurelio Picca, Corriere della Sera, 23 aprile 2011

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nelle dodici battaglie dell’Isonzo, quando Gabrieled’Annunzio li esortava a dare di più per la Patria, dipiù, perché la morte da sola non basta?Da allora a oggi sembra passato un mondo intero.Siamo su un’altra galassia. C’e un gridare e un pun-tare i piedi in nome dei diritti. Tra intellettuali chenon si capisce più che cosa sono o cosa vogliono, enelle assemblee di condominio, si e spezzato perfinoil dialogo fatto di «buongiorno» e «buonasera». Infattio si strepita o non ci si riconosce. A esempio, gli in-vitati nei pollai televisivi, ai quali accennava propriosu queste pagine Raffaele La Capria, sono intellet-tuali? E gli scrittori italiani che cosa sono? Molti diloro, giallisti, pulpisti, addizionatori di pagine fiction,quale progetto culturale hanno per il Paese, michiedo.I loro elenchi, scritti in un solo e neutrale idioma, daquale necessità sono sostenuti? I loro libri stanno sol-tanto alle ambizioni sociali che un tempo erano degliavvocati, dei medici, oppure poggiano sulla fede nello«scandalo» che pone sempre l’uomo, prima dell’arti-sta, di fronte a una responsabilità prossima a gettarenella mischia la propria vita? E diciamolo, RobertoSaviano, dove lo possiamo collocare. E un politico? Èuno scrittore? È un giornalista? È un volto televisivo?Sì, è anche quel ragazzo che ha rilanciato al grandepubblico le metastasi della mafia, della camorra, certo,bravo, ma quale è il suo progetto per l’Italia? È prontoa lavorare per il bene comune? Ha nelle vene la forzaper scrivere un grande romanzo che sappia spingereper lingua, espressione, passione, progetto comune lanostra società in avanti, aprendo spazi «vivi» nell’an-fiteatro di una nuova polis? È dunque da questo in-sopportabile e globalizzante conformismo che trovogiusto e sacrosanto uscire dal recinto e redigere unaCarta dei doveri. Senza diritti. Solo Doveri. Un De-calogo i cui principi, dieci, come i Dieci comanda-menti, possano essere discussi e sostituiti dai volente-rosi affinché l’ignavia, l’irresponsabilità, lo spregio dellavoro vengano cancellati dal ricordo di chi, in epochee momenti storici diversi, ha combattuto e si è sacri-ficato per il Dovere: il dovere intellettuale di darsi almondo.

Mario Desiati scrive di donne di cui si innamora. Si è innamorato anche di Mimì Orlando, la prota-gonista di Ternitti (Mondadori, pp 258, euro18,50), il romanzo per il quale è tra i favoriti al Premio Strega. «Ce ne sono almeno quattro più favoriti di me», dice per scansare il ruolo di papabileo anche soltanto in uno scatto di pudicizia. In ognicaso, per tornare a Mimì Orlando, Desiati dice diappartenere «a quella pletora di ominicchi che lestanno attorno, sono un innamorato non corrispo-sto» (è il modo migliore per non tradire le inten-zioni narrative). E questo non impedisce al libro di essere «una storia di amore e di riscatto».

Non lo si direbbe dal titolo, Ternitti…Ternitti è un parola in dialetto sa lentino. SignificaEternit. Negli An ni Sessanta e Settanta era diventatosinonimo di fabbrica: «Andiamo a lavorare al ter-nitti», dicevano gli operai. Tutti ragazzi e uominiche per l’amianto si sarebbero ammalati e che di

Desiati: con Mimì raccontoil coraggio delle donne

«La protagonista del mio Ternittimostra la loro capacità di superarele tragedie». Parla lo scrittore fa-vorito allo Strega

Mattia Feltri, La Stampa, 24 aprile 2011

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amianto sarebbero morti. Poi ternitti divenne anchesinonimo di tetto perché, special mente al Sud, i tettisi facevano spesso col cemento amianto. La mia èuna storia che parte dalla fabbrica mortifera e siconclude, col riscatto, su di un tetto.

Se si conclude col riscatto è meri to delle donne, del co-raggio di cui gli uomini del libro sembrano privi. ÈMimì, con la madre e con la figlia, che ricomincia a fargira re il mondo…Sì, è vero, qui sono le donne che si risollevano, cherialzano la te sta, che superano la tragedia affidandosiall’amore per le persone rimaste con le quali inten-dono ri costruire qualcosa. Gli uomini no, gli uo-mini del romanzo hanno pau ra di amare, e più ingenerale han no paura di vivere.

Da che cosa deriva una visione co sì vile dei maschi?Ogni Paese ha il suo conflitto. Io credo che in Italiaci sia un conflitto di genere e basta seguire la cro-naca quotidiana o anche la produzio ne letteraria che sulla questione femminile è particolarmenteprolifica, per comprenderlo. Qual è lo sguardo degliitaliani oggi sulla don na? Ecco, da lì sono partito e da una constatazione: il nostro periodo mi gliore, il secondo dopoguerra, è arri vato quando le donne –poiché gli uo mini erano morti in guerra o ne eranousciti con mutilazioni – avevano preso in mano lefamiglie e dunque il Paese. Anche quello è il corag-gio femminile che ho voluto restituire nel libro.

E però raccontare tutto questo partendo dall’Eternit sadi de nuncia sociale. Ce n’è?No. Spesso si scrive per rabbia o per odio. Io hoscritto per amore. Ternitti è un libro che portaamore per la mia terra. Io sono pugliese, buonaparte del romanzo è ambientata in Puglia. Dove c’è molto amianto ma ci sono anche le pietre di cui sono fatti i trulli e i muri a secco che sanno dieterno ben più dell’Eternit.

Lei ha una prosa ricca, colma di ag gettivi e metafore.Credo dipenda dal fatto che sono meridionale e

quindi appartengo a una tradizione barocca, per la quale una parola in più è utile a una de finizionemigliore di quello che si vuole raccontare. Al Nordsono scarni, ed è una di varicazione che si apprezzasoprat tutto nella poesia del Novecento. Il Nord haLuciano Erba, che in po che frasi esaurisce la GrandeJean ne, mentre il Sud ha Lorenzo Calo gero, pienodi figure retoriche, an che molto insistite.

C’è uno scrittore da cui trae ispira zione? È uno a lei lon-tano, ma am mirato?Io ho speso parte della mia vita sui libri di VittorioBodini, un poeta che amo sommamente e al qualemi sono ispirato più di un po’. Un autore a me lon-tano, ma che mi entusiasma, è Raymond Carver. Il suo minimalismo – anche se poi si è sco perto cheera soprat tutto il minimalismo del suo editor – è unesempio inarrivabi le per la limpidezza della scritturae per la fulmineità dell’im magine.

Desiati, lei non ha nemmeno 34 an ni. Ha scritto die cilibri in prosa e quattro di poe sia. Si dice che l’Italia è unPaese gerontocratico ma forse la lette ratura è un cam poin cui per i gio vani c’è sempre stato spazio.La letteratura è l’unico campo in cui la giovinezzanon è un valore. In un Paese civile ci dovrebbero essere politici giovani e vecchi scrittori. Invece abbiamo scrittori giovani e vecchi politici. Un bellacontraddizione da cui partire per raccontare il nostrotempo.

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Infanzia, memoria, violenza.Ecco la nuova narrativa russa

Dai «classici» Sokolov e Uliskaya ai giovani Prilepin e Sanaev

Cristina Taglietti, Corriere della Sera, 28 aprile 2011

Storie legate all’attualità, ai conflitti seguiti al crollodell’impero sovietico, atti di accusa al potere, alla bu-rocrazia, alla corruzione, ma anche romanzi di forma-zione e trame fantastiche. Ci sono la rottura e la tradi-zione, i rappresentanti ufficiali e le voci dissonanti nellarassegna della letteratura russa contemporanea al Sa-lone del libro che si svolge a Torino dal 12 al 16 mag-gio. Se la star non può che essere Viktor Erofeev, forseil più noto dei contemporanei, autore di molti romanzidi successo e anche, con Limonov e Sorokin, di un’an-tologia intitolata, non a caso, Russian Attack (Salani),manifesto di una letteratura che attacca il sistema deivalori culturali tradizionali strizzando l’occhio al suc-cesso commerciale, la rassegna torinese propone grandinomi, riconosciuti a livello internazionale, come Lud-mila Ulitskaya, autrice che si batte per la democraziae la libertà, premio Simone De Beauvoir 2011 (i suoilibri sono stati tradotti in Italia da Frassinelli, l’ultimo,Daniel Stein, traduttore, da Bompiani), anche autoripoco noti in Italia che in patria sono diventati dei casiletterari.La guerra in Cecenia, e in generale il caos del Caucaso,è, ovviamente, uno degli scenari più affrontati, dapunti di vista diversi, non soltanto da Yulia Latynina,ma anche da Aleksandr Sokurov, forse il più impor-tante regista contemporaneo, autore di Nel centro

dell’oceano (uscito lo scorso anno da Bompiani), ca-pace di cogliere la solitudine della violenza. Ne scriveanche, con tutt’altro approccio, Zachar Prilepin, exmembro dei corpi speciali dell’esercito russo con iquali ha preso parte ad azioni antiterroristiche in Ce-cenia, autore di Patologie (in uscita da Voland), scrittocon uno stile diretto, scabro, ritmato. La Russia con-temporanea, e soprattutto i suoi oppositori, sono iprotagonisti di un libro dal titolo eloquente 12 chehanno detto no (e/o) del giornalista Valerij Panjuskin:uomini e donne accomunati da una critica feroce algoverno e al regime poliziesco e corrotto che avvelenala vita pubblica. La Russia di Putin si incrocia con ciòche resta dello stalinismo ne Il ponte di pietra di Alek-sandr Terechov, a metà tra un reportage narrativo no-stalgico e un monologo letterario che in patria è statoal centro di numerose polemiche.Il passato sovietico è uno degli altri grandi scenari bat-tuti dagli scrittori. A Torino ci sarà anche MarinaPalej, lesbica, femminista (da molti anni vive inOlanda), con il suo romanzo Kiemens (Voland), dovela nostalgia per il passato imperiale è contrapposta allarealtà sovietica in cui sono immersi i suoi protagonisti.Sono gli albori della perestroika i fili temporali chetengono Il bibliotecario (Atmosphere Libri) di MikallElizarov, mentre Elena Cizova con Il tempo delle donne

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(in uscita da Mondadori) mette in scena tre genera-zioni femminili per compiere un vero e proprio viag-gio della memoria che dall’assedio di Leningrado ar-riva fino ai gulag.La memoria (personale) e l’infanzia sono il centro nar-rativo di Seppellitemi dietro il battiscopa (in uscita daNottetempo), opera prima di Pavel Sanaev, promet-tente regista e sceneggiatore (classe 1969), un rac-conto pubblicato nel 1996 sulla rivista Oktjabr com-parso, nel 2003, per la prima volta in un’edizioneindipendente e presto diventato un libro di culto,molto amato dal bambini nati con l’Unione Sovieticae cresciuti senza. A tutt’oggi il libro ha venduto oltre500 mila copie in Russia e continua a occupare i primiposti nelle classifiche di vendita. Quello di Sanaev èun romanzo dal felice tocco tragicomico, basato sullabiografia dell’autore, figlio adottivo di un famoso at-tore sovietico dove il protagonista di otto anni si scon-tra con il muro di divieti che gli vengono imposti dallanonna iperprotettiva con cui vive (la madre se n’è an-data con un pittore anticonformista).Il mondo dell’infanzia, d’altro canto, è un tema moltoamato dagli scrittori russi, non solo i più giovani. Bastipensare a Sasha Sokolov, vero e proprio «classico vi-vente», nato nel 1943 in Canada dove il padre era at-taché militare dell’ambasciata sovietica (ma lo scrittoreha studiato e vissuto a lungo a Mosca), autore di unromanzo, La scuola degli sciocchi (Salani), pubblicatonegli Stati Uniti nel 1975 su impulso di Vladimir Na-bokov, inno poetico e visionario, («dall’umorismo in-cantatore», l’ha definito Nina Berberova), che raccontala sfida alla tirannia del sistema e della burocrazia daparte di un alunno di una scuola differenziale, la«scuola degli sciocchi» del titolo appunto. Spingemolto più sul registro fantastico La casa del tempo so-speso, un volumone di oltre 800 pagine dell’armena

Mariam Petrosjan. La genesi ricalca quella di molticasi letterati contemporanei: nato in Rete, cresciutograzie al passaparola, scelto dai blogger. L’editore ita-liano, Salani, lo consiglia a chi è cresciuto con HarryPotter, ma il successo del libro è forse data propriodallo spunto realistico che ricorda da vicino RubenGallego, lo scrittore nato alla fine degli anni Sessantacon una paralisi cerebrale e rinchiuso in un orfanatro-fio speciale da cui è riuscito a uscire alla fine degli anniNovanta (Gallego ha raccontato la sua storia in Biancosu nero, Adelphi). La casa di Mariam Petrosjan è ap-punto un istituto per disabili, dove vivono ragazzi conhandicap fisici e psichici, ma è anche un universo pa-rallelo (il mondo fuori viene chiamato Esteriorità) incui i ragazzi (che hanno poteri magici e nomi comeAvvoltoio, Nero, Fumatore e sono distinti in branchichiamati i Fagiani, i Ratti, i Cani e via dicendo) vivonoavventure di ogni genere, battaglie epiche e prove ini-ziatiche. A Torino, dice Elena Kostioukovich, agenteletterario di molti autori, grande conoscitrice di tuttociò che riguarda la letteratura russa, ci sarà, anche senon invitato ufficialmente, una grande aurora di libriper ragazzi come Grigorij Oster (Salani ha pubblicatoil delizioso Una favola tutta intera con una serie di det-tagli), mentre bisogna ricordare, tra i protagonistirussi, anche la poetessa e saggista Olga Sedakova, ungrande traduttore della poesia italiana come EvgenijSolonovich e naturalmente la stessa Kostioukovitch(traduttrice di molti nostri scrittori, tra cui UmbertoEco).Infine tra i rappresentanti russi si può annoverareanche Arkady Renko, alla sua settima indagine aGorky Park e dintorni (Le tre stazioni, Mondadori).Certo, il suo creatore, Martin Cruz Smith, è ameri-cano, ma la sua Russia, per anni, è stata l’unica chemolti lettori abbiano conosciuto.

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«Storie legate all’attualità, ai conflitti seguiti al crollo dell’impero sovietico, atti di accusa al potere, alla burocrazia, alla corruzione,

ma anche romanzi di formazione e trame fantastiche»

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Generazione Strega. La precarietà come risorsaA Benevento la presentazione dei dodici candidati al Premio Strega che parlano del loro essere scrittori dai tanti mestieri

Arrivano alla spicciolata, e da ogni parte d’Italia, i ma-gnifici dodici dello Strega. Per quella che è la loro primaserata ufficiale. Al Teatro San Marco, a Benevento, pa-tria del liquore che ha dato il nome al premio letterariopiù prestigioso d’Italia, si sottopongono volentieri alledomande di Paolo Gambescia, ascoltano gli incipit deiloro romanzi letti da Margherita Buy davanti a una pla-tea attentissima. Ci sono tutti: compreso Gino Batta-glia, della comunità di Sant’Egidio, primo prete-can-didato (con Malabar, Guida) nei 66 anni di storia delPremio. È tornato appositamente dall’Uganda dove erain missione. Ed è dei loro romanzi che si parla. Poco sidice invece del loro essere scrittori in un Paese frantu-mato e precario, eppure pieno di stimoli e di talenti. Ese l’impegno non è il tema forte nella rosa dei romanzicandidati, di sicuro ad essere superimpegnati sono pro-prio loro, gli autori, che affiancano alla scrittura altrimille lavori e interessi.Eccola la generazione Strega: scrittori mobili e iperattivi,continuamente collegati con il mondo, che si trovano,per scelta o per necessità, ad essere consulenti editoriali,collaboratori di giornali e riviste, critici letterari, docentiuniversitari, sia pure a contratto, organizzatori di eventiculturali, instancabili animatori di dibattiti sulla narra-tiva e molto altro ancora. «Tutte le volte che mi chie-dono cosa fai oltre a scrivere, ho difficoltà a rispondere.

Ho un’azienda agricola, lavoro con una piccola casa edi-trice, sono docente a contratto alla Sapienza», ride Gior-gio Nisini, classe 1974, che vive in provincia di Viterbo.Dice: «L’eclettismo professionale per me è una scelta.Se mi offrissero un posto fisso, allora sì che avrei l’ansia.Con questo non voglio fare l’elogio del precariato. Co-nosco fin troppo bene le difficoltà della mia generazionea trovare un lavoro. Abbiamo quasi quarant’anni, e i no-stri mestieri sono ancora insicuri, indeterminati. Nontutti lo accettano. Alla precarietà cerco di reagire nonlamentandomi, facendo cose differenti e usando tuttele esperienze possibili». Non a caso La città di Adamo(Fazi) ha per protagonista un imprenditore agricolo disuccesso, pronto a scavare nel passato e nel presente diun benesse re pieno di ombre.Si è occupato per dodici anni di disagio minorile,Fabio Geda, autore di Nel mare ci sono i coccodrilli(B.C. Dalai), che presto diventerà un film di Fran-cesca Archibugi («Si comincerà a girare a settembre,in Turchia», rivela lo scrittore). «In tutti questi anniho fatto l’educatore di strada a San Salvario, il quar-tiere multietnico di Torino. Ho lavorato nelle comu-nità alloggio, sempre a stretto contatto con ragazzidisagiati. E proprio da questa esperienza sono nati imiei primi due romanzi (Per il resto del viaggio ho spa-rato agli indiani e L’esatta sequenza dei gesti, ndr). Poi

Fiorella Iannucci, Il Messaggero, 28 aprile 2011

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ho incontrato Enaiatollah Akbari e la sua straordina-ria storia…». Che è diventata il libro candidato alloStrega. Dice Geda: «La difficoltà vera per me era spa-rire come scrittore. Volevo solo farmi tramite dellastoria di questo ragazzo afghano e della sua odisseafino all’arrivo in Italia. Più ero invisibile – mi dicevo– più sarei stato bravo». Eccolo un altro modo di es-sere scrittore oggi: mettersi al servizio dell’Altro, ocome ha fatto il trentanovenne autore torinese, «tro-vare una lingua letteraria che equivalesse alla linguaorale del mio narratore». Fino in fondo educatore,Geda. Che ora insegna al master della Scuola Hol-den, collabora con il Circolo dei lettori di Torino,scrive su riviste e quotidiani. «Ma i miei sforzi sa-ranno sempre rivolti al margine».Di diverso parere Mario Desiati, nella rosa con Ternitti(Mondadori), 34 anni e già dieci libri in prosa e quat-tro di poesia alle spalle. «Lavorare nell’ambito dell’edi-toria è assolutamente naturale per uno scrittore. Fareil direttore di Fandango Libri, occuparmi di giovaniesordienti, vedere crescere un autore è per me unagrande gioia», dice Desiati, che proprio oggi si con-fronterà a Roma con e sulla «generazione TQ». La pre-carietà come risorsa: eccola la parola chiave di tantiprotagonisti dello Strega. «Lo scrittore più di tutti devesentirsi precario», dice Edoardo Nesi, in concorso conStoria della mia gente (Bompiani). Lui, che nel libroracconta la rabbia e l’amore della sua vita da industrialedi provincia, la sua fabbrica tessile a Prato, alla fine,l’ha venduta, per dedicarsi ad altro, la letteratura e ilcinema. Ma ci vuole coraggio. Che non manca certo aBruno Arpaia, che ha lasciato anni fa il lavoro da re-dattore in un grande giornale per fare «il consulenteeditoriale, il traduttore e altre tre o quattro cose. Nonsi vive di soli libri. Ma era il solo modo per dedicarmidavvero alla scrittura», dice. Di precari è pieno ancheil suo romanzo candidato allo Strega (L’energia delvuoto, Guanda): giovani fisici e ricercatori del Cern diGinevra che aspirano a un contratto, «esattamentecome accade nella realtà». Ed è l’unico convinto che ilprecariato non fa bene nemmeno alla letteratura. Ride:«Flessibilità sì, ma fino a un certo punto».

La Dichiarazio ne di Indipendenza americana, redattanel 1776 dalla Commissio ne dei Cinque, compostada Tho mas Jefferson, John Adams, Benjamin Fran-klin, Robert Livin gston e Roger Sherman, vennescritta, dall’inizio alla fine, in cor sivo. Ma in un futuroforse non lontano nascerà una generazione di allieviamericani che non sa ranno più in grado di leggerla,tanto meno di ricopiarla a mano.A lanciare l’allarme è il New York Times, in un lungoartico lo dedicato al tramonto del corsi vo, chiamatoItalic dagli an glosassoni poiché fu introdotto per laprima volta in Italia nel 1501 dal principe degli stam-pa tori, Aldo Manuzio, che lo usò per poche parole(Iesu dolce Ie su amore) in una xilografia dalle epistoledi Santa Caterina; quindi, per esteso, nel famo so Vir-gilio «in ottavo», capo stipite dei suoi libelli portati les,i primi tascabili della moder na editoria.«Per secoli la scrittura corsiva è stata un’arte», scrivel’autorevo le quotidiano, «ma per un cre scente numerodi giovani, oggi, è ormai un mistero». I suoi caratte risinuosi ed eleganti, con legge ra inclinazione a destra,

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E il corsivo divenne indecifrabile

Le generazioni digitali non sannopiù leggere diari e lettere

Alessandra Farkas, Corriere della Sera, 29 aprile 2011

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sono sta ti immortalati in innumerevoli lingue per tra-mandare ai posteri documenti storici, manoscrittid’autore e lettere d’ogni genere, dando vita, in Italia,ad una delle forme giornalistiche più alte. Proprio perquesto è doloroso pensa re che anche quest’ennesimote soro della memoria umana sia de stinato al museodegli oggetti an tichi, come la penna e l’inchio stro ola macchina per scrivere.La colpa è di smartphone e computer, sulla cui tastieraoggi si tende a scrivere tutto, dalla li sta della spesa aicompiti in clas se, dai romanzi ai documenti le gali. Maresponsabile è anche e soprattutto una scuola che nonesige più l’uso del corsivo, chie dendo agli alunni, findalle ele mentari, di usare lo stampatello, anchequando scrivono a mano anziché al computer.Una ricerca svolta dall’Universi tà di Portland già nel2006 punta va i riflettori sull’inarrestabile trend. Lostudio americano ana lizzava la scrittura di un milionee mezzo di studenti di 16-17 anni attraverso temi, teste altri compi ti in classe: soltanto il 15 per cen to eranoscritti in corsivo. Quella che era nata come una sfidaeste tica e tecnica ai canoni del tem po, evolvendo poiin un modello di eleganza e stile, è diventata in sommala Cenerentola dell’alfabe tizzazione.Jimmy Bryant, direttore degli Archivi e collezioni spe-ciali pres so la Central Arkansas University, è convintoche in un futuro non lontano milioni di documenti

po trebbero essere off-limits. Quando, durante una le-zione, il profes sor Bryant ha chiesto quanti dei suoistudenti scrivessero in corsi vo, nessuno di loro ha al-zato la mano. Uno di loro, il ventiduen ne Alex Heck,ha raccontato al New York Times la propria fru -strazione per non essere riuscito a decifrare il diariodella nonna defunta, rinvenuto in solaio. «Era comeleggere dei geroglifi ci», ha spiegato, «un linguaggio incodice imperscrutabile».Oltre a deplorare la morte di una forma d’arte colti-vata per se coli da esperti calligrafi, gli psico logici e glieducatori puntano il dito sui risvolti negativi del feno -meno per le capacità di apprendi mento, di studio edi sviluppo delle nuove generazioni. «Il corsi vo aiutagli studenti a perfeziona re le proprie capacità moto-rie», spiegano gli esperti, secondo i quali lo stampa-tello è anche mol to più facile da falsificare.Ma non tutti piangono la mor te di questo tipo discrittura. «A me il corsivo non è mai piaciu to», rac-conta al Corriere Jona than Franzen. «L’ho sempre tro -vato visivamente ostico ed ecces sivamente solenne e adiciotto an ni, quando sono arrivato al colle ge, hosmesso completamente di usarlo». Perché quest’avver-sio ne? «Mia madre lo usava esageratamente», replical’autore di Free dom, «e ciò mi irritava, in quanto sim-bolo di quella formalità ma nieristica che ho semprecercato di evitare».

«La colpa è di smartphone e computer, sulla cui tastiera oggi si tende a scrivere tutto, dalla li sta della spesa ai compiti in clas se, dai romanzi ai documenti le gali.

Ma responsabile è anche e soprattutto una scuola che non esige più l’uso del corsivo, chie dendo agli alunni,

fin dalle ele mentari, di usare lo stampatello, anche quando scrivono a mano anziché al computer»

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Libri su carta meno 5 per cento. Il digitale (più 40 per cento) impoverirà il settore

L’ebook continua a rosicchiare le pagine di carta deilibri tradizionali, ma il rischio è che tutto il settore del-l’editoria libraria statunitense si ritrovi meno ricco dioggi. E a catena, quello di tutto il mondo. Lo rivela unostudio della società di ricerca IHS iSuppli, che prendein esame i dati economici del settore. Secondo le pre-visioni, i ricavi degli editori derivanti dalle vendite dilibri tradizionali ed ebook scenderanno in media del 3per cento fra il 2010 e il 2014, secondo un trend op-posto a quello registrato nel periodo 2005-2010. In concreto, i ricavi complessivi delle vendite scende-ranno a 22,7 miliardi di dollari (15,3 miliardi di euro)nel 2014, rispetto ai 25 miliardi (16,8 miliardi dieuro) del 2010. La flessione, in particolare, sarà da at-tribuire alle vendite di libri cartacei, date in calo del 5per cento medio annuo fino al 2014. Contempora-neamente, le vendite di ebook cresceranno del 40 percento, spinte dai costi più accessibili, mediamente in-feriori del 40 per cento. Tutta via, un simile tasso dicre scita non sarà sufficiente a controbilanciare il de-clino del mercato librario tradi zionale, che si troveràcon meno libri venduti in libre ria e soprattutto aprezzi inferiori, per cercare di contrastare le venditedi ebook. Nel 2014, i libri digitali gene reranno il 13per cento dei ricavi dell’edito ria libraria a stelle e stri -sce, ben sette punti in più di quest’an no (6 per cento)e dieci rispetto al 2010 (3 per cento). Tuttavia, comesi è detto sopra, il prezzo medio degli ebo ok è desti-nato a ridimensionare i ricavi.

Dopo musica e film, dunque, anche i libri rischianodi vedere trasformati in pochi anni meccanismi diproduzione e vendita che li hanno contraddistinti finqui. In questo pro cesso globale influiranno anche levendite di let tori, gli ereader, in netta crescita. Lo sce-nario at teso dagli analisti di IHS iSuppli prevede in-fatti che le vendite di dispo sitivi per la lettura di testidigitali saranno più che triplicate in cinque anni, pas-sando dai 9,7 milioni del 2010 agli oltre 30 mi lionidel 2014, mentre la previsione più ottimi stica parladi 43,4 milioni di lettori ven duti.Sulla ci fra definitiva dei pezzi ven duti influiran nonon pochi fattori, fra cui il prezzo dei dispositivi,destinato a scendere in virtù della concorrenza fra iprodut tori, anche se non potrà ridursi eccessiva-mente, per evitare di avere margini di profitto pros -simi allo zero. Ma il discorso dallo scorso anno si ècomplica to ulteriormente, con l’avvento dei tabletpc e principalmente dell’iPad, che permette, fra lealtre cose, di leggere ebook. Tra 2007 e 2009, in-fatti, le vendite di dispositivi per la lettura di testidigitali hanno generato margini di profitto medi del35 per cento, crollati in concomitanza con l’avventodel tablet di Ste ve Jobs. Per correre ai ripari, i pro-duttori di ereader dovranno quindi offrire ulterioriservizi ai propri clienti, compresa la lettura dei ma-gazine, l’acces so ai giochi e la possibilità di sotto-scrivere abbonamenti a quotidiani d’informazionedi gitali.

Più ebook. Ma editori meno ricchi

Alessio Odini, ItaliaOggi, 30 aprile 2011

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