La rassegna stampa di Oblique, settembre 2011

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«Quel che temo di più è la filosofia per cui tutto ciò che è nuovo ha il diritto di sopraffare ciò che è vecchio» | Alberto Asor Rosa Mario Baudino, «Morto chi legge» La Stampa, primo settembre 2011 3 Maurizio Bono, «Eco: così ho corretto Il nome della rosa» la Repubblica, 5 settembre 2011 5 Antonio Prudenzano, «Chiarelettere: “La collana Istant Book aprirà alla narrativa”» Affari italiani, 6 settembre 2011 8 Raffaella De Santis, «“Il limite agli sconti uccide le biblioteche”» la Repubblica, 7 settembre 2011 10 Paolo Di Stefano, «Asor Rosa stronca i “giovani titani”» Corriere della Sera, 8 settembre 2011 11 Maurizio Bono, «Il nuovo corso Mondadori: “Cambio nella politica editoriale”» la Repubblica, 8 settembre 2011 13 Maurizio Bono, «Via l’editor, Bondi consulente. Ecco le risposte di Mondadori» la Repubblica, 9 settembre 2011 15 Daniele Giglioli, «È la lingua che non ha più fascino» Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2011 17 Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, «“Asor Rosa, quanti errori nelle tue accuse”» Corriere della Sera, 12 settembre 2011 21 Romano Montroni, «Di libri e di librai» la Repubblica, 13 settembre 2011 23 Simonetta Fiori, «Separati in casa editrice» la Repubblica, 15 settembre 2011 24 Ernesto Franco, «Duello all’Einaudi» la Repubblica, 16 settembre 2011 27 Antonella Fiori, «Viaggio nell’industria della lettura» l’Espresso, 19 settembre 2011 29 Anna Bandettini, «Quando l’editore punta sul teatro» la Repubblica, 19 settembre 2011 31 Alessandro Zaltron, «La passione del libro è in fabbrica» Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2011 32 La rassegna stampa di settembre 2011 O blique

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La rassegna stampa di Oblique, settembre 2011 «Quel che temo di più è la filosofia per cui tutto ciò che è nuovoha il diritto di sopraffare ciò che è vecchio» Alberto Asor Rosa

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«Quel che temo di più è la filosofia per cui tutto ciò che è nuovo ha il diritto di sopraffare ciò che è vecchio» | Alberto Asor Rosa

– Mario Baudino, «Morto chi legge» La Stampa, primo settembre 2011 3– Maurizio Bono, «Eco: così ho corretto Il nome della rosa» la Repubblica, 5 settembre 2011 5– Antonio Prudenzano, «Chiarelettere: “La collana Istant Book aprirà alla narrativa”» Affari italiani, 6 settembre 2011 8– Raffaella De Santis, «“Il limite agli sconti uccide le biblioteche”» la Repubblica, 7 settembre 2011 10– Paolo Di Stefano, «Asor Rosa stronca i “giovani titani”» Corriere della Sera, 8 settembre 2011 11– Maurizio Bono, «Il nuovo corso Mondadori: “Cambio nella politica editoriale”» la Repubblica, 8 settembre 2011 13– Maurizio Bono, «Via l’editor, Bondi consulente. Ecco le risposte di Mondadori» la Repubblica, 9 settembre 2011 15– Daniele Giglioli, «È la lingua che non ha più fascino» Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2011 17– Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, «“Asor Rosa, quanti errori nelle tue accuse”» Corriere della Sera, 12 settembre 2011 21– Romano Montroni, «Di libri e di librai» la Repubblica, 13 settembre 2011 23– Simonetta Fiori, «Separati in casa editrice» la Repubblica, 15 settembre 2011 24– Ernesto Franco, «Duello all’Einaudi» la Repubblica, 16 settembre 2011 27– Antonella Fiori, «Viaggio nell’industria della lettura» l’Espresso, 19 settembre 2011 29– Anna Bandettini, «Quando l’editore punta sul teatro» la Repubblica, 19 settembre 2011 31– Alessandro Zaltron, «La passione del libro è in fabbrica» Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2011 32

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settembre 2011

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Raccolta di articoli pubblicati da quotidiani e periodici nazionali tra il primo e il 30 settembre 2011. Impaginazione a cura di Oblique Studio.

– Vittorio Bo, «I libri cambiano» Prima comunicazione, 24 settembre 2011 34– Giuseppe Lisbona, «Sorrisi, applausi e digrignar di denti» Prima comunicazione, 24 settembre 2011 36– Domenico Scarpa, «Le favole politiche di Sciascia» Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2011 40– Antonio Carioti, «Elèuthera, il gusto di esagerare del pensiero libertario» Corriere della Sera, 25 settembre 2011 43– Luigi Mascheroni «Ecco il Gadda ducesco che non avete mai letto» il Giornale, 26 settembre 2011 44– Mario Baudino, «Il bestseller venuto dal passaparola» La Stampa, 28 settembre 2011 46– Maria Laura Rodotà, «L’ansia da tablet. Da un titolo all’altro senza finire i libri» Corriere della Sera, 28 settembre 2011 48– Luca Serianni, «L’italiano? È in salute, grazie» Avvenire, 29 settembre 2011 50– Matteo Persivale, «1Q84. Svelato il romanzo di Murakami» Corriere della Sera, 30 settembre 2011 52

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Morto chi legge

Nelle «Mille e una notte» come in Dumas e Lovecraft, nel «Nome della rosa»come in Martin Amis, il fascino irresistibile e la fortunata carriera letteraria diuna particolare arma letale: il libro che uccide

Nelle Mille e una notte c’è una storia che Sharaza dedice provenire dall’an tica Persia, e racconta di un sa-piente che «aveva letto libri greci, persiani, turchi, ara -bi, bizantini, quelli siriaci e quelli ebraici, e da tali libriaveva appreso la scienza». È il saggio Duban, che rie-sce a guarire il re Yunan da una lebbra in apparenzaincurabile, con quistando così un posto di grande au -torevolezza a corte. Col tempo però, come accadenelle favole – e anche nella realtà – Duban cade in di-sgra zia, al punto che viene condannato a morte dal-l’ingrato sovrano. Come Socrate accetta la sua sorte.Ma, a diffe renza di Socrate, si vendica.È questo il momento in cui entra in scena, in un pe-riodo storico piutto sto incerto, date la difficoltà didatare le Mille e una notte, un libro terribi le, che giàdal titolo annuncia la sua unicità: Il segreto dei segreti.Ed è noto che arrivare al cuore dei segreti è molto pe-ricoloso. «Quando mi avrai tagliato la testa», spiegail sapiente al sovrano, «se aprirai la sesta pagi na dellibro, leggerai la terza riga a si nistra e mi rivolgerai laparola, la mia testa ti parlerà e risponderà a quelloche chiedi».L’offerta è bizzarra. Siamo di fronte a un enigma, cheil potente non coglie né tanto meno compren de. Or-dina senza indugio l’esecuzio ne, dopodiché esegue leistruzioni del defunto. Il capo reciso di Duban, comeprevisto, comincia a parlare: apri il libro, gli dice. Luici prova, ma non ci riesce, perché le pagine sono ap-piccicate l’una all’altra. Così si por ta il dito alla bocca,lo inumidisce con la saliva, e comincia a sfogliare. Latesta parlante gli ingiunge ogni volta di continuare,

ma non ce ne sarebbe nemmeno bisogno perché il reè prigioniero del gioco.Non arriverà vivo alla fine. La car ta è intrisa di veleno,e il sovrano, con tinuando a inumidirsi il dito, neassor be abbastanza per morire. Mentre si agita e sicontorce nell’agonia, la te sta mozza canta: «A lungonell’arbi trio essi han governato / ma il loro po tere nonverrà ricordato». È questo il vero segreto dei segreti,così eviden te che nessuno, se non nei momenti cru-ciali della vita e della morte, rie sce a vedere. E il primolibro che ucci de si staglia nella letteratura come un so-lenne – e misterioso – simbolo di giustizia. Da alloranon è facile dire quante volte si sia manifestato nellaletteratura di tutto il mondo.Come ha scoperto Umberto Eco, ma solo dopo averescritto Il nome della rosa, ha per esempio un ruolomolto importante, anzi cruciale, in un romanzo diAlexandre Dumas, La regina Margot, che fa parte delciclo dedicato al Cinquecento francese.Narra degli intrighi che portarono alla strage degliUgonotti, la notte di San Bartolomeo, tra il 23 e il 24agosto 1572, e di come Enrico di Navarra, capo delpartito protestante e futuro re di Francia, si salvò gra-zie a una serie di circostanze fortunose, a imprevedibilialleati e a una beffa della sorte che tenne lontano dalui proprio il libro destinato a ucciderlo. Al centro delmagnifico feuilleton si stagliano le figure della perfidaCaterina de’ Medi ci, indomabile avvelenatrice, e deisuoi non raccomandabili figli, in pri mo luogo il so-vrano Carlo IX, mala ticcio, ambiguamente feroce, ap-pas sionato della caccia col falcone.

Mario Baudino, La Stampa, primo settembre 2011

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Caterina ha letto nel futuro, com piendo oscuri sacri-fici di polli e con sultandone il fegato, che le sue crea -ture non conserveranno il trono, e sa che il pericolo èrappresentato pro prio da Enrico di Navarra. Così,visto che la notte di San Bartolomeo è sta to rispar-miato da spade e archibugi, si dà da fare per eliminarlocon i mez zi a lei più familiari. Dopo un primo tenta-tivo fallito si rivolge allora a un «libro preziosissimo»che trova per caso da un profumiere di fiducia, cultoredi pratiche magiche e fornitore di pozioni letali. È untrattato di cac cia, Del modo di allevare e di nutrire iterzuoli, i falconi e i girifalchi perché si ano coraggiosi,validi e sempre pronti al volo, «scritto da un espertolucche se per il famoso Castruccio Castraca ni», sen-z’altro molto raro. «Ne esisto no soltanto tre esemplarial mondo», dice il profumiere alla regina.Il titolo è innocente, ma le pagine, debitamente avve-lenate, lo saranno molto meno. E il risultato sarà unabeffa atroce. La perfida Caterina invia infatti il libro aEnrico di Navarra prima di una caccia, ma il re lo notamentre il rivale è assente, se ne im possessa e cominciaa sfogliarlo feb brilmente, inumidendosi il dito per chéle pagine «si sono attaccate l’una all’altra». È, la sua,una inconsapevo le bulimia di morte: «Ne ho già lettecinquanta pagine, cioè le divoro», di ce di lì a poco alfratello, mentre si rimpinza di veleno. Le esigenze nar -rative di Dumas sono molto diverse da quelle delleMille e una notte, ma la morale è sempre quella.Il libro che uccide continua la sua strada nella lette-ratura scegliendo percorsi del tutto autonomi,indiffe rente ai personaggi che incontra di volta involta. Si trova a proprio agio nell’immensa bibliotecadel Nome della rosa, e anzi l’abbazia inventata da Um-berto Eco gli dà modo di scate narsi. Le sue paginetossiche provo cano una strage, ma questa volta loscopo è quello di custodire il segreto, non di rivelarlo.Nessuno deve legge re, e non ci riuscirà nemmenoGu glielmo da Baskerville, che pure sem bra aver lettotutti i libri. Il veleno è stato infiltrato nel volume ari-stoteli co della Poetica dedicato al riso, un libro per-duto, che non è giunto fino a noi. Il suo ultimo ba-gliore è nel rogo che avvolge biblioteca e abbazia, allafine del romanzo.

Il libro che uccide è una meravi gliosa arma letale. Alsuo fascino non si resiste. E ha tanti volti: per esem -pio quello del Necronomicon inventato da Lovecraft,oppure quello del ro manzo dal beffardo e autodistrut-tivo titolo Senza titolo, emblema di tutte le avanguar-die e di tutti i testi troppo cerebrali, che nessuno riescea legge re senza provare malori d’ogni genere dopo leprime pagine. Compare nell’Informazione di MartinAmis, e ha una sua grandezza irresistibile e beffarda,come tema portante nella vicenda dei due scrittori di-visi dal successo noncurante dell’uno, e dal fallimentoinvidioso dell’altro.L’idea sembra proprio rimanda re, non senza intentiparodistici, alla leggenda tutta letteraria creata alla finedegli anni Venti del secolo scor so dallo scrittore ame-ricano padre del gotico fantastico, e col tempo di -ventato oggetto di culto fra gli amanti del genere.Molti si sono convinti che il Necronomicon (ovvero illibro dei nomi dei morti) esista davvero, e qualcunoha ovviamente provato a scriverlo e pubblicarlo. Se-condo Lo vecraft l’autore sarebbe però un cer to AbdulAlhazred, poeta folle di Sa na’a, capitale dello Yemen,vissuto nell’VIII secolo. Lovecraft prese spunto daun’opera di Robert Wil liam Chambers, scrittore ne-wyorke se morto nel 1933, che si intitolava Il re ingiallo. È un’antologia di racconti brevi che gravitanointorno a un libro terribile, in grado di condurre allapazzia chi lo legge.Messa in questi termini la faccen da sembra davvero spa-ventosa: ma se ci allontaniamo un poco dalle fiam meinfernali o dall’odore di arsenico, dobbiamo ammettereche sono innu merevoli i libri in grado di portare i let-tori, se non alla pazzia e alla morte, a un notevole gradodi esasperazio ne. Come sa bene Martin Amis.

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Eco: così ho corretto Il nome della rosa

L’autore racconta come sarà la nuova edizione del suo bestseller smentendo levoci su una versione «facilitata». «Ho corretto solo alcune inesattezze e ripeti-zioni per far piacere a me, cosa di poche righe. Rimane come prima»

Maurizio Bono, la Repubblica, 5 settembre 2011

Ma allora, Umberto Eco, è vero quanto si dice, cheha riscritto Il nome della rosa per adattarlo a un nuovopubblico? Macché: «Boatos estivi» ri sponde lo scrit-tore. «Ma le pare che uno che ha scritto un libro cheha avuto e continua ad avere una no tevole fortunavada a riscriverlo?». Da qualche settimana ne stannoparlando non solo vari giornali ita liani ma anchequelli stranieri.Su Le Monde Pierre Assouline ha scritto «Eco réin-vente son Nom de la rose pour les nuls», vale a dire chelo ri scrive per i minus habens, per i poveretti. Teleramaha scritto che tutto è nato da una discussione conl’editore americano che aveva chiesto a Eco di adattareil suo sti le ai giovani lettori. El Pais dice che ha ri-scritto per la generazione di internet. Qui l’autoresgombra il campo dagli equivoci.

Per essere una bufala, professore, quella della «riscrittura»è circolata parecchio…E che cosa le debbo dire, siamo in estate, i giornalidevono pur scrivere qualcosa, anche per non fare sem-pre pensare i lettori alla crisi economica… Ai giovanilettori il libro deve piacere così com’era e come resta,altrimenti si grattano: come diceva Croce, il primodovere dei giovani è di diventare vecchi.

Parafrasando Guglielmo da Baskerville, si apprende co-mun que anche dagli errori e dalle falsità: questo spaventoper un pos sibile «adattamento ai tempi» del Nome dellarosa sembra espri mere le preoccupazioni di chi si sente os-sessionato dallo «stile Facebook» e dalla civiltà degli sms…

Credo che siano quelli che poi scrivono articolesse perdire che i giovani non leggono più – il che è falso.Non leggono più quelli, adulti compresi, che non leg-gevano neppure prima.

Vengono in mente i suoi medievali che piangevano sullasven tura di un «mondo che incanutisce» in cui «la gio-ventù non vuo le apprendere più nulla…». Però anche ilcomunicato stampa della casa editrice diceva che leiaveva sentito il bisogno di rive dere il testo «per renderloaccessibile a nuovi lettori».È un’espressione curiosa che forse voleva suggerire aili brai che una nuova edizione avrebbe attirato l’atten-zione di nuovi lettori (criterio commer ciale che peròvale per qualsiasi libro), ma certamente (almeno perquelli che credono che Omo lavi davvero più bianco)ha sti molato l’interpretazione che io abbia fatto unaedizione a uso del Delfino. No, è sempre a uso dellebalene. Anche perché, se ben ricordo, il comunicatocor rettamente diceva «non lo ha ri scritto, come hannofatto altri autori», e mi pare dicesse anche che il librocontava 550 pagine. Bastava fare come ha fatto Gra-mellini sulla Stampa, andare a controllare che la pre-cedente edizione ne contava diciotto di meno, peravanzare il sospetto che non si trattasse affatto di unaedizione abbreviata per de ficienti. Volendo sofisticaresi dovrebbe concludere che è al lungata (ma penso chela diffe renza sia dovuta a margini un poco più ampi,e ne sentivo il bi sogno). Però la faccenda peno sa, al-meno in termini di etica giornalistica, è che sulla basedi una mezza frase del comunica to stampa sono stati

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E si è deciso a questa pulizia solo trent’anni dopo?Cosa vuole, in questi trent’anni ho scritto altri cin -que romanzi e intanto Il nome della rosa filava traristampe e traduzioni quasi per conto suo e non riu-scivo a tenergli dietro. E poi c’è una faccenda. I mieiromanzi successivi riportano correzioni a ogni ri-stampa. È perché iniziavano le traduzio ni appena illibro era uscito in italiano. Ora non c’è lettore piùsevero e pignolo di un tradutto re, che deve soppe-sare parola per parola. E i vari traduttori si accor-gono che là c’è una con traddizione, che qui haiscritto nord invece di sud, che una fra se si presta auna duplice inter pretazione perché magari mancauna virgola, e così via. Quando questi rilievi ti arri-vano quasi tutti insieme, alla prima o seconda ri-stampa ita liana fai le dovute correzioni. Col Nomedella rosa invece le traduzioni sono arrivate lenta -mente, a distanza di anni l’una dall’altra, mentre leristampe italiane si succedevano a gran velocità.Inoltre c’è il problema delle ripetizioni, che dannosempre noia all’autore quando si rilegge; oggi bastaschiaccia re un tasto sul computer e si sa quante volteuno stesso agget tivo è stato ripetuto in un testo dicinquecento e più pagine, mentre ai tempi del Nomedella rosa si batteva ancora a macchina, e quindi solomolto tardi ho avuto a disposizione un testo digita-lizzato sul quale fare controlli del genere.

Quindi se sfoglieranno que sta edizione i vecchi lettori delNome della rosa potrebbero addirittura non accorgersidelle differenze?A meno che non siano se guaci di Contini e della «cri-tica degli scartafacci». Chi volesse fare una tesi di lau-rea confron tando le due edizioni parola per parola,scoprirebbe che i casi più rilevanti riguardano alcunecitazioni latine. Il latino era e rimane fondamentaleper conferire alla vicenda il suo sa pore conventuale etestificare come attendibili e autentici certi rimandia idee dell’epoca – e d’altra parte volevo e voglio an-cora sottoporre il mio letto re a una qualche disciplinape nitenziale. Ma mi aveva distur bato che certi lettorimi avesse ro detto che per certe citazioni si sentivanoobbligati a consultare un dizionario di latino. A me

scritti arti coli eccitati o sdegnati, senza avere tra lemani questa nuova edizione che, ancora mentrestiamo parlando, non esiste. Ogni articolo nasceva daun ar ticolo precedente e tutti hanno commesso la leg-gerezza di par lare di un libro che non avevano né lettoné avuto tra le mani. Co me diceva quel tale, è peggioche un crimine, è un errore. L’u nico che, a inferire dalsuo arti colo, deve aver fatto una telefo nata in casa edi-trice o essersi fatto mostrare le bozze, in mo do da ca-pire che non si trattava di riscrittura ma di normalecor rezione di errori e imprecisioni lessicali, è statoPaolo Di Stefa no sul Corriere. Al giorno d’oggi ungiornalista che risale alle fonti è da Pulitzer.

Ma come sarà presentata questa nuova edizione?Ci sarà scritto nel colophon (quella pagina in caratteripic coli dove c’è il copyright) «edi zione riveduta e cor-retta», co me accade per molti libri quan do dopo tantianni si fa una se conda edizione. Sono intervenuto an-zitutto su alcune inesat tezze, a eliminare ripetizioni diuno stesso termine a poche pa gine di distanza, spessomi sono preoccupato del ritmo, perché basta rimuovereun aggettivo o togliere un inciso per rendere più aereoun intero periodo. Ho fatto come un dentista quando,una volta messa una protesi, il paziente sente in boccacome un masso, e lui con un lievissi mo passaggio ditrapano fa sì che i denti s’incastrino alla per fezione.Forse l’unica variazio ne di sostanza è nella descrizio nedella faccia del bibliotecario, perché volevo togliere unfastidioso riferimento neogotico. Cosa di poche righe.

C’erano errori da corregge re?Pochi, ma c’erano. Da trent’anni continuavo a vergo -gnarmi del fatto che avevo tro vato menzionata su unerbario dell’epoca la cicerbita (che è una specie di ci-coria) e l’avevo intesa come cucurbita, facen dola di-ventare una zucca – mentre la zucca ci è pervenutadalle Americhe. E così dicasi con una menzione deipepero ni. Poi parlavo di un violino mentre all’epocaera una viella, e cioè una specie di viola. In un altropunto Adso dice che ha fatto qualcosa in pochi se-condi mentre nel Medioevo la misu ra temporale delsecondo non esisteva.

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«Sono per lo più correzioni fatte per far piacere a me, per farmi sentire stilisti camente più a mio agio in cer ti punti,per sentire il discorso scorrere meglio, per perfezio nare un certo ritmo, non per facilitare la lettura ai lettori de pressi.Il libro rimane come prima, pronto a deprimere i futuri lettori»

una scienza cristia na dovrà reimpossessarsi, e ri -prenderla ai pagani e agli infedeli tamquam ab iniustispos sessoribus, come se non essi ma solo noi avessimodiritto a questi tesori di verità».

Nessuna riscrittura stile sms per facilitare la lettura dellibro a lettori depressi, dun que.Non dica così che mi fa ma le quando rido. Sono perlo più correzioni fatte per far piacere a me, per farmisentire stilisti camente più a mio agio in cer ti punti,per sentire il discorso scorrere meglio, per perfezio -nare un certo ritmo, non per facilitare la lettura ai let-tori de pressi. Il libro rimane come prima, pronto a de-primere i futuri lettori. Piuttosto, l’espe rienza (dirileggermi a distan za di tempo e dare delle spun tatinequa e là, come un bar biere dopo che ti ha già messolo specchio dietro la nuca) mi è piaciuta. Ora, a futuramemo ria, nel tempo libero farò edi zioni rivedute ecorrette anche degli altri miei romanzi.

Si è letto da qualche parte che gli editori stranieri do -vrebbero ritradurre il libro…Ci mancherebbe altro. In tanto in certe traduzionimetà degli inconvenienti che ho eliminato nel testoitaliano po trebbero già essere scomparsi. Per il restoinvierò ai vecchi tra duttori la nuova versione in cuisono evidenziate in rosso le pa role o le righe modifi-cate. In vi sta della prossima ristampa, in mezza gior-nata di lavoro po tranno rimettere a posto il te sto, na-turalmente quando lo ritengano rilevante per la loroversione.

non importava e non im porta che le citazioni latinesia no comprese, specie quando sono semplici titolidi libri, ser vono a dare l’impressione di lontananzastorica. Ma mi ero accorto che in qualche caso se nonsi capiva la citazione non si comprendeva bene checosa raccontavo. L’editore tedesco (e dire che i lettoritedeschi sono colti) si era sentito in dovere di metterein appendice un dizionarietto con la traduzio ne dellefrasi latine, ciò che mi aveva dato molta noia. La miaeditrice americana Helen Wolff mi aveva fatto notareche un lettore europeo, anche se non aveva studiatolatino a scuola, aveva in testa tante iscrizioni lettesulle facciate di palazzi o di chiese, e aveva udi to tanteespressioni vuoi filo sofiche, vuoi giuridiche, vuoi re-ligiose, per cui non rimaneva terrorizzato da parole(che so) come dominus o legitur. Un lettore ameri-cano, invece, avrebbe avuto difficoltà molto più serie– come se da noi ap parisse un romanzo con co piosecitazioni in ungherese. Allora (e sto parlando ditrent’anni fa) col mio tradutto re Bill Weaver ci si eramessi ad alleggerire alcuni brani latini, inserendo ta-lora una parafrasi della parte più rilevante – e co sì fa-cendo avevo in mente gli usi delle mie parti, là dove,mentre si parla dialetto, si sot tolineano le afferma-zioni importanti ripetendole in ita liano. Ho adottatolo stesso cri terio per questa edizione ita liana. Faccioun esempio, a un certo punto Guglielmo cita Ba conee dice: «E di tutte queste conoscenze una scienza cri -stiana dovrà reimpossessarsi, e riprenderla ai paganie agli in fedeli tamquam ab iniustis possessoribus». Lanuova edi zione dice: «E di tutte queste co noscenze

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ferenti di Gramsci è da ventiduesettimane in classica. E le venditedegli altri titoli della collana comeprocedono? Per quanto riguarda Gramscisiamo arrivati ormai alle cinquan-tamila copie mentre gli altri titoli– don Milani, A che serve avere lemani pulite se si tengono in tasca e

De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria – con-tinuano a essere nei primi trenta libri di saggisticapiù venduti, siamo intorno alle ventimila copie.Tutti e tre saranno commentati e letti da Don Gallodomani pomeriggio al Festival della Letteratura diMantova. Don Gallo ha voluto intitolare l’incontro«Responsabili di tutto. Ritrovare la via dell’impe-gno» e si soffermerà sul concetto di disobbedienzacivile. Il titolo dell’incontro cita una frase di don Mi-lani quando diceva «io insegno come un cittadinoreagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola estampa. Come il cristiano reagisce perfino al vescovoche erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile ditutto». Insieme a Michela Murgia presenteremo gliInstant Book anche a Cuneo in occasione di Scrit-torincittà (il 17 novembre, ndr) davanti a un pub-blico di giovanissimi.

Lorenzo Fazio, fondatore di Chia-relettere, con affaritaliani.it parladel successo della nuova collana In-stant Book (protagonista anche alFestivaletteratuta di Mantova):«Gramsci è da ventidue settimanein classifica, siamo a cinquantamilacopie. Anche don Milani e De LaBoétie sono in classifica, e in arrivoc’è un inedito di George Bernard Shaw». Poi annun-cia: «Nel 2012 amplieremo gli Instant e ospiteremoanche libri di narrativa (nella forma del raccontobreve) sempre con forte riferimento all’attualità…».E sull’atteso (e misterioso) libro della discusso coppiaGrillo-Casaleggio rivela: «Uscirà entro ottobre e avràcome titolo Siamo in guerra. Sarà un libro politicovisto che Grillo e Casaleggio hanno visto in anticipoil disastro in cui siamo immersi. Un libro di lotta e dianalisi insieme». Ma Fazio parla anche delle prossimeuscite Chiarelettere (tra cui «il libro sconvolgente diBarbacetto e Milosa, Le mani sulla città, sull’invasionedella ’ndrangheta a Milano e in Lombardia e l’inqui-namento della politica)».

Lorenzo Fazio (fondatore chi Chiarelettere), la nuovacollana Instant Book è partita bene: Odio gli indif-

Antonio Prudenzano, Affari italiani, 6 settembre 2011

Chiarelettere: «La collana Istant Book aprirà alla narrativa»

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visto in anticipo il disastro in cui siamo immersi. Unlibro di lotta e di analisi insieme. Ma ci sarà anche unnuovo libro di Don Gallo, un saggio importante sullamassoneria e già a settembre novità importanti: Fasa-nella e Cereghino, Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro,le prove segrete della guerra segreta avviata dalla GranBretagna contro il nostro paese; il libro sconvolgentedi Barbacetto e Milosa, Le mani sulla città, già annun-ciato a luglio, sull’invasione della ’ndrangheta a Milanoe in Lombardia e l’inquinamento della politica. E l’in-chiesta Mani bucate di Cobianchi sul fiume di denaroche ricevono le industrie private. Uno scandalo. Infinel’ultimo del mese Senza pensioni, tutto quello che dovetesapere sul vostro futuro e nessuno osa raccontarvi di Igna-zio Marino e Walter Passerini.

E per il ritorno in libreria del trio Travaglio-Gomez-Lillo quando si dovrà attendere ancora?Aspettiamo e vedremo. Spero presto, per ora nonposso dire di più.

Quali saranno le prossime uscite della collana InstantBook?Entro settembre uscirà una novità assoluta per il mer-cato italiano, George Bernard Shaw, Sia fatta la suavolontà, con la prefazione di Luigi Zoja. Un originaledel premio Nobel irlandese che mette al centro dellapolitica la vita e il messaggio rivoluzionario di Gesù.Spiazzante per gli stessi cristiani. E poi Luigi Einaudi,La tassa patrimoniale, con una premessa di FrancescoGiavazzi. Saggio più che mai attuale scritto nel 1946,mai più proposto, che va in libreria anche in occasionedel cinquantesimo anniversario della morte di Einaudi.

Mentre negli Usa, a quanto pare, il successo degli ebookha danneggiato il mercato dei tascabili, in Italia (doveper ora il boom dei libri digitali si fa attendere…) i ta-scabili – soprattutto in questi tempi di crisi economicagenerale – sono molto apprezzati dai lettori (e gli editorisi muovono di conseguenza). È anche questo uno dei mo-tivi del successo della nuova collana Chiarelettere?I tascabili sono sempre stati un punto di riferimentoper i lettori forti, soprattutto quando ci sono congiun-ture economiche difficili. Ma è chiaro che siamo allavigilia di forti cambiamenti nel mercato del libro e ingenerale della comunicazione. In questo momento ilibri piccoli a prezzo basso vanno bene anche perchéil tempo per leggere sembra ridursi sempre più.

State pensando a nuove collane da proporre in futuro,magari di narrativa?Il prossimo anno amplieremo gli Instant e ospiteremoanche libri di narrativa (nella forma del raccontobreve) sempre con forte riferimento all’attualità. Gliautori non mancano. È così gratificante recuperaretesti dimenticati e farli rivivere, dandogli nuova vitae nuovi lettori.

In questo 2011 a Chiarelettere manca ancora il bestsel-ler: puntate molto sull’atteso libro della discussa accop-piata Grillo-Casaleggio? Di cosa parlerà e quandouscirà?Entro ottobre e avrà come titolo Siamo in guerra. Saràun libro politico visto che Grillo e Casaleggio hanno

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«Il limite agli sconti uccide le biblioteche»

Raffaella De Santis, la Repubblica, 7 settembre 2011

Fatta la legge trovato l’inganno. La legge Levi, che fissaal 15 per cento il tetto massimo degli sconti che i ven-ditori possono applicare sul prezzo di copertina, è en-trata in vigore, ma non a tutti piace. Protestano i con-sumatori sui blog, Amazon s’inventa modi perarginarla mettendo in vendita libri usati al 50 per centodi sconto e le biblioteche si lamentano. In Italia ci sonocirca seimila biblioteche pubbliche e sono a corto difondi. Per Stefano Parise, presidente dell’Associazioneitaliana biblioteche, gli sconti fissati per le bibliotechealla soglia leggermente più larga del 20 per cento nonaiutano. Se prima infatti riuscivano ad acquistare aprezzi ben più vantaggiosi, ora si vedranno costrette aridurre gli acquisti di libri. Per questo l’Aib ha anchescritto una lettera al presidente della Repubblica e almomento sta aspettando risposta. Ma intanto denun-cia pubblicamente i problemi che crea: «La legge èstata fatta per proteggere le librerie indipendenti dallaconcorrenza delle grandi catene e di Amazon. Ma lebiblioteche che c’entrano? Noi non siamo concorrentidelle librerie indipendenti. Siamo anche noi mediatoridella conoscenza. Per questo penso che dovremmo es-sere esentati dalle nuove normative». La legge infattiadesso prevede per le biblioteche un tetto di sconto al20 per cento. Prima invece era diverso: «Le bibliotechein genere acquistavano libri con sconti che andavanodal 25 fino a soglie del 35 per cento. Di fatto le nuoveregole ci penalizzano molto, facendoci pagare per i no-stri acquisti dal 5 al 15 per cento in più». Eppurespesso si fa l’esempio della Francia, che ha una leggesimile. Perché non provare anche in Italia? «Si ometteperò di far notare che in Francia, dove trent’anni fa èstata promulgata la prima legge di questo tipo, anzicon tetti di sconto molto più rigidi al 5 per cento, ilsistema delle biblioteche è stato poi rifinanziato dalloStato». Ed è proprio qui il problema, perché nel casoitaliano invece mancano politiche analoghe di sostegno

pubblico: «Appunto. Le nostre biblioteche subisconochiaramente gli effetti delle manovre del governo. Itagli ci hanno fortemente penalizzato. E a questa si-tuazione già pesante si aggiunge una legge che di fattoha l’ effetto di un’ altra manovra finanziaria». E chediminuisce un potere di acquisto, spiega il presidentedell’Aib, già fortemente ridotto. «Negli ultimi anni siè registrato un calo del 40 per cento negli acquisti, seprima le biblioteche rappresentavano il 5 per cento delfatturato adesso siamo scesi al 3 per cento. Le facciol’esempio della Fondazione per Leggere, la rete di bi-blioteche comunali del sud ovest di Milano che io di-rigo. Le nostre cinquantotto biblioteche nel 2010hanno speso 477 mila euro all’anno (quasi un euro perabitante) e acquistato circa 42 mila volumi, con unosconto medio del 30 per cento, ma abbiamo stimatoche l’anno prossimo avremo una riduzione del potered’acquisto di 45 mila euro, il che vuol dire 3.500 vo-lumi in meno. Analogamente, le biblioteche padovaneassociate dovranno rinunciare a 3.450 libri e i nostricugini del nord ovest Milano a 3000». A rimetterci se-condo molte previsioni saranno proprio le bibliotechepiù importanti per il territorio. Quelle comunali. Eccoperché: «Perché acquistano soprattutto libri di lettura.Le biblioteche statali invece hanno molte pubblica-zioni scientifiche e accademiche, le quali non hannomai goduto di grossi sconti, dunque il passaggio saràmeno doloroso». Ora si cercano strategie per il futuro.«Stiamo lavorando a una proposta di legge di iniziativapopolare sulla promozione della lettura. Le librerie in-dipendenti non sono schiacciate solo dagli sconti. Ilproblema vero è che gli italiani non leggono. Dovreb-bero esserci biblioteche di base distribuite in modoomogeneo in tutta l’Italia. Di queste cose discuteremoa Matera il 21 ottobre, in occasione del Forum delLibro e della Lettura. Saper leggere significa essere cit-tadini del mondo».

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Asor Rosa stronca i «giovani titani»

«L’Atlante letterario di Luzzatto e Pedullà è caotico e pretenzioso». Un conflitto interno all’Einaudi

Dopo tanti consensi, anche molto autore voli, il primovolume dell’Atlante della letteratura italiana (Einaudi),a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, rice ve unastroncatura sonora. E non firmata da un critico qua-lunque, ma da Alberto Asor Rosa, il quale consegna ilsuo articolo (che per lunghezza e argomentazioni do-vrebbe meglio definirsi un saggio) a un semestrale ac-cademico di cui è diret tore, il Bollettino di italianistica(pubblicato in coedizione da Carocci e dalla Sapienzadi Roma). Firma autorevole in sede autorevole, proprionel l’imminenza dell’uscita del secondo volume (previ-sta per metà mese), che tratterà il periodo dalla Con-troriforma al Romanticismo, mentre il terzo ci porteràdal Risorgimento ai nostri giorni.Salutato come una novità nel panorama degli studistorico-critici, l’Atlante affronta la letteratu ra italianasecondo una prospettiva finora pochis simo praticata:focalizzandone cioè gli aspetti spa zio-temporali, riva-lutandone le coordinate geo grafiche, incrociando glieventi (anche minimi, compresi quelli aneddotici)della storia letteraria con i luoghi e mettendo incampo una gran mole di saggi accompagnata da unenor me materiale grafico: mappe, diagram mi, cartine,tabelle che visualizzano temi, generi, scuole, categorie,movimenti e feno meni nella loro distribuzione sul ter-ritorio. I precursori di questo approccio sono noti. Dauna parte il grande Carlo Dionisotti, che volle supe-rare la lettura unitaria di De San tis, valorizzando ilpolicentrismo italiano, la frammentazione regionalelinguistica e cultu rale dell’Italia pre-risorgimentale,particolar mente in un celebre saggio (edito nel ’51)

che già nel titolo anteponeva il termine «geogafia» aquello di «storia». Dall’altra parte, ci sono gli studipiù recenti di Franco Moretti sulle mappe letterarieinterne ai testi: studi critici messi a frut to per esempioin un volume dal titolo già in sé significativo, Atlantedel romanzo europeo 1880-1900 (anche questo Ei-naudi), che si concen trava sui luoghi frequentati daiprotagonisti di Balzac, Zola, Dickens…Ma l’Atlante di Luzzatto e Pedullà si spinge ol tre, poi-ché non si limita a singoli accertamenti su autori, sugruppi di opere o su brevi segmenti temporali, maambisce a rileggere in questa otti ca, e con ampie car-tografie, una intera storia lette raria già ampiamentecodificata. Tutto ciò è stato riconosciuto in recensionilusinghiere, come quelle di Giulio Ferroni, SalvatoreSettis, Andrea Cortellessa, Stefano Bartezzaghi, Wal-ter Meliga, anche quando, qua e là, venivano opposteobie zioni su punti specifici (non tutti, per esempio,concordano sulla centralità di Padova come pri ma ca-pitale della nostra letteratura). Lo stesso Franco Mo-retti da Stanford, dove insegna, non na sconde il suoapprezzamento per il coraggio del l’impresa: «A mel’Atlante piace. In genere non sono d’accordo al centoper cento neanche con me stesso, figuriamoci con Pe-dullà e Luzzatto. Ma non vedo l’ora di parlarne inpubblico, in Ita lia, a opera finita, perché in una disci-plina or mai moribonda come è la storia letteraria, cor-re re dei rischi battendo strade nuove è l’unica cosa chesi possa fare».La stroncatura di Asor Rosa non ammette nean che ibuoni propositi dell’impresa. Anzi ritiene del tutto

Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 8 settembre 2011

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altre lacune ed errori di prospettiva nella definizionedegli hubs (termine mutuato dall’informatica) e cioèdelle città-fulcro nelle diverse epoche (tra cui manche-rebbe, per esempio, Ferrara).Non è finita. Dalla disamina di Asor Rosa non si salvanemmeno il gigantesco materiale carto grafico, chequa e là «fa (addirittura!) ridere», al punto da risultaresuperfluo. Dal «caos originario» si salvano invece, perfortuna, alcuni saggi. A un certo punto, parlando delcontributo cruciale di Dionisotti, Asor Rosa accennaancora all’Einau di, già citata ampiamente come la casaeditrice rivoluzionaria della Storia d’Italia. «Che sitratti di un affare di famiglia?», si chiede. A propositodella «famiglia» einaudiana, non viene ricordata senon marginalmente in nota (per pudore o per con-flitto di interessi?), l’ultima grande opera pro dottadallo Struzzo in ambito letterario: si tratta della mo-numentale e benemerita Letteratura ita liana in 17 vo-lumi (compresi indici e dizionari), avviata nel 1982 econclusa nel 2000 sotto la dire zione dello stesso AsorRosa. Ma qui, in conclusio ne, non si può non citarequesto macroscopico precedente. Luzzatto e Pedullàsono oggi giovani consulenti di via Biancamano, comeun tempo lo fu Asor Rosa: non è escluso che il pas-saggio gene razionale, in Casa Einaudi, abbia pro-dotto, come in tutte le buone «famiglie», oltre che uncambio di prospettive mal sopportato dai padri e dainon ni, anche qualche risentimento per l’imprudenzasfrontata e l’ingratitudine dei figli.

inadeguate le intenzioni innovative ri spetto ai risul-tati: «Che “senso” può avere un’in novazione icono-clastica che non ne abbia alcu no?». E usa volentieri lafigura retorica dell’ironia: «Non è semplice per gentesemplice interve nire» sui «massimi sistemi» che ven-gono chiama ti in causa dai curatori; ne è facile «peruno stu dioso vecchio stampo come me, addentrarsinel l’analisi e nella valutazione di tale novissima posi -zione». Quale posizione? L’esigenza conclamata di«superare», all’alba del Duemila, «la dialettica hege-liana e crocio-desanctis-gramsciana». Una questioneche Asor Rosa ritiene invece, al netto dell’ironia, am-piamente datata dopo aver visto passare sotto i pontidella critica la diffusione delle scienze sociali, le nuovestoriografie di stampo francese, lo strutturalismo, lalinguistica, gli ap procci psicoanalitici eccetera. Per unaevidente svista, viene attribuita poi a Luzzatto e Pe-dullà una matrice benjaminiana, quando invece icura tori citano in chiave polemica il «feticismo delframmento» di Benjamin che «contraddistingue tantaparte della cultura di oggi».Asor Rosa non usa mezzi termini nell’attribui re a un«raptus di titanismo intellettuale» certi toni della se-zione introduttiva, concludendo che «il nuovo metodoconsiste nel non averne alcu no, il non averne alcunoviene proclamato con grandi clamori e scoppi di mor-taretti come il nuo vo metodo». Anche il riferimento aDionisotti non convince l’autore di Scrittori e popolo:l’idea sacrosanta del policentrismo italiano verrebbesemplificata e la letteratura finirebbe per diventa re,nell’Atlante, una sorta di «protesi» innestata a forza inuno schema precostituito di «storia» e «geografia».Mentre si approfondiscono temi di «contesto», il si-stema letterario, la testualità, gli argomenti stilistici, latradizione resterebbero in secondo piano rispetto a tesiaprioristiche prive di un «criterio ordinatore». La «de-bolezza della visione d’insieme» produrrebbe, secondoAsor Rosa, parecchie «bizzarrie», tra cui il già citato pri-mato originario di Padova su Palermo, la mes sa inombra della letteratura dell’Italia mediana (tra cui SanFrancesco e Jacopone), la sottovaluta zione («prodi-giosa») dei fenomeni letterari a sud di Napoli, la super-ficialità sulle grandi opere della tradizione e numerose

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Maurizio Bono, la Repubblica, 8 settembre 2011

concluso la scorsa primavera con la pubblicazione perFeltrinelli dei monologhi di Vieni via con me e alle ma-nifestazioni di solida rietà verso Saviano di molti scrit -tori del gruppo, Einaudi compre sa. Così l’ultima pun-tata di oggi sembra ripartire proprio da lì: do po l’uscitadi Saviano molti auto ri avevano identificato negli edi -tor della Mondadori una ragione per «resistere», ora èl’estromis sione di un nome di riferimento, nell’ambitodi un riassetto ge stionale, a preoccuparli. Ed è ciò chetrasforma un episodio interno alle dinamiche aziendalidi Segrate in un motivo di allarme. Andrea Cane, an-glista di for mazione e rappresentante colto del me-stiere, è stato editor alla Mondadori dal 1984 al 1994,tra 1998 e il 2000 alla Rizzoli, poi di nuovo a Segrateresponsabile della saggistica dal 2002. Qualche mesefa, dopo l’uscita da Segrate del numero uno della divi-sione libri Gian Arturo Ferrari, l’arrivo alla direzionegenerale di Ricky Cavallero e il trasloco alla Rizzoli diMassimo Turchetta, la responsa bilità della saggisticaera passata a Fancesco Anzelmo (editor tra gli altri dellibri di Mario Calabre si, Concita De Gregorio eFederi co Rampini). Ma i rapporti di Ca ne conl’azienda, raccontano in diversi, si erano andatideterio rando, fino all’allontanamento, venerdì scorso.Contribuendo ai dubbi per un mutamento di indirizzoche una battuta sarcastica (di corridoio) riassume con«da Saviano a Alfano». A margine, tra le mutazioni incorso va regi strata anche la recente offerta da parte diMondadori di 350 milio ni all’Amministrazione auto-no ma dei monopoli di Stato per la li cenza di eserciziodei giochi d’ az zardo sulle piattaforme di libri online.

Nuovo strappo a Segrate tra autori im portanti e dire-zione della Mondadori. Stavolta per l’allontanamentodi Andrea Cane, uno degli editor di più lunga carriera,per anni responsabile del settore della saggistica, dovefinora l’am plissimo e autorevole catalogo è riuscito afar convivere studi di valore internazionale e bestsel -ler, ma soprattutto nomi politica mente e cultural-mente variegati. Così, mentre tra i saggi in corso dipubblicazione nei prossimi mesi la casa editrice guidatada Marina Berlusconi annuncia titoli come La mafiauccide d’estate di Ange lino Alfano (a novembre) e Checi faccio qui del vicepresidente della Camera pdl Mau-rizio Lupi (ot tobre) a fianco a quelli di Jeremy Rifkine Pietro Ichino, l’allonta namento di Andrea Cane, ma-tu rato nel corso di una ristrutturazione degli organiciin atto da me si, provoca la protesta di quattor dici au-tori, con la lettera pubbli cata in questa pagina. Alcunitut tora capisaldi della saggistica di Segrate, da CarloFruttero a Pie tro Citati, altri già decisi a cam biare edi-tore come Augias (a gen naio il suo nuovo libro usciràda Rizzoli), lo stesso Mancuso e Zuc coni, che paven-tano l’offerta di una consulenza proprio per il settoredella saggistica all’autore di casa ed ex ministro deiBeni cul turali Sandro Bondi. Così vanno dritti alpunto: «Non vorremmo leggere nella combinazione diquesti eventi i sintomi di una de riva che non sarebbeall’altezza delle tradizioni (e della storia) di Monda-dori». Questo episodio si aggiunge all’abbandono dellacasa editrice nell’agosto 2010 da parte di Vito Man-cuso dopo la legge «ad azienda», al successivo scontrotra il presidente Marina Berlusconi e Roberto Saviano

La scelta di allontanare Andrea Cane, da anni editor della saggistica, mobilitascrittori e studiosi. Per le firme del gruppo guidato da Marina Belrusconi il rischio è quello di perdere l’identità

Il nuovo corso Mondadori: «Cambio nella politica editoriale». La lettera di denuncia degli autori

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«Non vorremmo leggere nella combinazione di questi eventi i sintomi di una de riva che non sarebbe all’altezza delle tradizioni (e della storia) di Mondadori»

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pubblicato i più importanti divulgatori storici (AntonioSpinosa, Arrigo Petacco, Giordano Bruno Guerri,Mimmo Franzinelli, Gianni Oliva) e autori (citiamoancora alla rinfusa) come: Piergiorgio Odifreddi, Mas-simo Franco, Aldo Cazzullo, Umberto Veronesi, FlavioCaroli, Mario Giordano, Cinzia Tani, Marcello Vene-ziani, Luca Ricolfi. Con una breve e fortunata incursionenella narrativa, qualche anno fa Cane ha portato inMondadori l’ancora sconosciuto Niccolò Ammaniti, il giàaffermato Andrea Camilleri, e l’esordiente AlessandroBarbero, vincitore del premio Strega 1996. È per noi mo-tivo di grande stupore che la Mondadori abbia pensatodi fare a meno della sua collaborazione. Stupore che sitinge di profonda inquietudine, alla notizia che la casaeditrice avrebbe di recente arruolato come consulente perla saggistica l’ex ministro Sandro Bondi. Senza dare va-lutazioni sulla persona, non vorremmo leggere nella com-binazione di questi eventi i sintomi di una deriva chenon sarebbe certo all’altezza delle tradizioni di una casaeditrice della rilevanza (e della storia) di Mondadori.

Corrado Augias, Stefano Bartezzaghi, PasqualeChessa, Pietro Citati, Roberto Cotroneo, Lorenza Fo-schini, Carlo Fruttero, Vito Mancuso, Michela Mar-zano, Mario Pirani, Giovanni Sartori, Tiziano Sclavi,Marco Vigevani, Vittorio Zucconi.

Caro Direttore, apprendiamo con molto dispiacere esconcerto della brusca estromissione di Andrea Canedalla casa editrice Mondadori. Tutti noi conosciamoCane da anni e ne apprezziamo le qualità professionali,intellettuali e umane. In un venticinquennio di lavorointelligente e appassionato, egli ha dato un contributoessenziale alla formazione del più vasto e ricco catalogoeditoriale italiano curando i singoli volumi in unoscambio fruttuoso con gli autori come solo cultura, espe-rienza e gusto consentono. Il suo nome è legato soprat-tutto al settore della saggistica. Dalla fine degli anni Ot-tanta, Cane ha acquisito e pubblicato con successo moltitra i più grandi autori internazionali. Storici come (ci-tiamo tra i tanti) Simon Schama, Francois Furet, Ri-chard Davis Hanson, Elaine Pagels, Hugh Thomas,Niall Ferguson, Walter Isaacson (esperto di Einstein, dicui uscirà in novembre la biografia autorizzata di SteveJobs). Giornalisti e commentatori come Thomas Fried-man. Scienziati come Stephen Hawking, Richard Daw-kins, Steven Pinker, V.S. Ramachandran. Grazie allasua lunga esperienza all’estero (ha insegnato per cinqueanni all’università di Cambridge), Cane si è guada-gnato l’amicizia personale di molti suoi autori come ilsociologo Jeremy Rifkin, il matematico John Barrow e ilpremio Nobel per l’economia Amartya Sen. Tra gli ita-liani, oltre a noi che firmiamo questa lettera, Cane ha

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Ma il nostro gruppo non cambierà lineaRiccardo Cavallero, direttore generale Libri Trade Gruppo Mondadori

Caro Direttore, poiché una mia deci sione è all’originedi quello che è sta to definito un allarmante «nuovocorso» di Mondadori, sento l’obbli go di dire con chia-rezza come stanno davve ro le cose. Lo faccio con gran-dissimo rispetto e comprensione per la sensibilità di al-cuni autori, ma anche, lo confesso, con il disagio cheda sempre provo verso strumentalismi, dietrologie cap-ziose e politicismi che forza no e deformano la realtà.E il primo dato di realtà è che nulla, proprio nulla,assolutamente nulla è cambiato e cambierà nelle scelteeditoriali di Mondado ri, nella collaborazione intensa,attiva e ri spettosa con gli autori, nel dar voce a ognita lento e a ogni intelligenza. Con il pluralismo polifo-nico di sempre, con il culto e la cultura della libertàdi pensiero che da più di cento an ni esiste nella nostracasa editrice. E anche con lo stile di sempre.La risorsa principale di un editore sono gli autori egli uomini che con loro e per loro la vorano, ma leaziende editoriali hanno una loro storia, una loroidentità che va oltre i sin goli, manager editoriali in-clusi. Ed ecco il secondo dato di realtà: in Mondadoric’è forte consapevolezza che il mestiere dell’editore stacambiando, che vanno affrontate sfide nuove e impo-nenti, perché si modificano i bisogni dei lettori, i lin-guaggi, la stessa forma-libro che siamo sempre statiabituati a con cepire.

Il giorno dopo la lettera di quattordici autori, firmatatra gli altri da Augias, Citati, Fruttero, Marzano, «di-spiaciuti e sconcertati della brusca estromissione dallaMondadori» dell’editor della saggistica Andrea Canee dalla consulenza che ha con la casa editrice l’ex mi-nistro pdl Sandro Bondi, arriva la risposta che il di-rettore generale Libri Trade Riccardo Cavalleromanda a Repubblica. Su Bondi, comunque, se Caval-lero spiega che mai nell’azienda «figure con ruoloesplicitamente e attivamente politico e militante»avranno «responsabilità editoriali e manage riali», daSegrate arriva la conferma che la consulenza all’ex mi-nistro del governo Berlusconi c’è. E Bondi spiega:«Una mia eventuale collaborazione con Mondadorinon avrebbe comunque al cuna relazione con la vi-cenda del dottor Cane di cui non so nulla». Intantola discussione si allar ga. Inge Feltrinelli: «A contaresono comunque i libri che escono, più delle persone.Ma dispiace che persone creative lascino una casa edi-trice». E Antonio Pennacchi, premio Strega lo scorsoanno per Mondadori e ora in libreria per Dalai conla riedizione di Palude: «Se avessero cacciato dallaMondadori Antonio Franchini, che ha seguito i mieilibri, me ne sarei andato anch’io. Certo, su Bondi miviene un po’ da ridere… mi ci vedo proprio a discu-tere di un libro con lui. Ma stessi in Rizzoli mi da-rebbe molto fastidio che la mia casa editrice faccia isoldi coi libri della Fallaci…».

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Maurizio Bono, la Repubblica, 9 settembre 2011

Via l’editor, Bondi consulente. Ecco le risposte di Mondadori

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Andrea Cane

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trice è francamente sor prendente. Rispetto con convin-zione i dub bi di alcuni tra le centinaia di autori diMon dadori: l’attenzione che pongono alla tutela delpluralismo di un grande editore va apprezzata e soste-nuta. Ma non quando non ha fondamento alcuno,come in questo caso.Ed ecco il terzo dato di realtà: mai e poi mai è successoe succederà in Mondadori che fi gure con ruolo esplici-tamente e attivamente politico e militante possano as-sumere re sponsabilità editoriali e manageriali. E ciònon perché non consideriamo rispettabile e nobile l’im-pegno politico, al contrario, ma semplicemente perchési tratta di mestieri con missioni completamente di-verse. Chi è portatore di pensiero e convinzioni politi -che, chi ricerca, pensa e scrive in modo in tenso e origi-nale a partire dalla militanza in un partito è per uneditore un interlocutore cui prestare attenzione al paridi altri.Nulla di più. Dubbi, illazioni, supposizio ni di ogni na-tura non hanno dunque fondamento alcuno. Il nostrocatalogo intero e i no stri piani editoriali futuri sono lì adimostrar lo.

Dunque è necessario cambiare. Come pe raltro accadenormalmente e senza polemi che in qualunque casa edi-trice in altri paesi.L’industria del libro e della produzione culturale è certonon assimilabile in toto a quella che produce beni di con-sumo ma, co me tutte le realtà industriali, deve adeguarsial nuovo, deve modificare le sue strutture or ganizzative,i suoi processi decisionali, le aree di responsabilità. È ciòche Mondadori sta facendo in questi mesi con vasti cam-biamenti, molti nuovi inserimenti, numerosi adegua-menti nelle responsabilità.Le decisioni che hanno riguardato Andrea Cane, le cuicompetenze e la cui storia sono fuori discussione, sonounicamente collega te a questo intenso processo in corsodi at tuazione. D’altra parte accade da sempre nel ma-nagement editoriale di valore quel che succede in ogniimpresa di rilevanti dimen sioni: ci sono passaggi, ancheripetuti, da azienda ad azienda, ci sono cambiamenti diruolo e funzione, ci sono accelerazioni di car riera e pe-riodi più stabili.Tutto qui. Pensare che un cambiamento organizzativometta in discussione la natura stessa di una casa edi-

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Daniele Giglioli, Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2011

impoverito, ovvero non è più ritenuto un luogo incui avvengono esperienze signifi cative sotto il profilosia della conoscenza che dell’emozione. La lingua haperso cari sma, non è più oggetto di amore, non è piùpalestra di lavoro né di gioco, non veicola più nésacro né eros. Passioni, interessi e pensieri, indivi-duali e collettivi, vengono simbolizzati altrove: nellavasta galassia del visivo (cinema prima, poi televi-sione e nuovi media, videogame compresi); e più an-cora in quella capillare estetizzazione dell’esperienzaquotidiana che è tipica di una società dominata dalmarketing.Certo non è un fenomeno recente. La sto ria letterariadel Novecento sta tutta sotto la sua costellazione; egià Gautier, Baudelaire e Mallarmé sapevano quantola vera Medu sa che pietrificava la loro scrittura fosseciò che chiamavano La Moda. Non si spiega al -trimenti l’ermetismo della letteratura mo dernista, ilsabotaggio della comunicazione praticato dalle avan-guardie, la scelta opera ta da molti, per competere conla concorren za spietata di questo diverso e ostile uni-ver so simbolico, di incrementare lo spessore dei pro-pri procedimenti, di esasperarne gli effetti, di estrarrela quintessenza del pro prio medium, da Proust (i cuipersonaggi erano consumatori compulsivi), a Joyce(il cui Leopold Bloom era un pubblicitario), fi no alborborigmo dei personaggi di Beckett o all’isteria in-teriettiva dell’ultimo Céline. Solo che, come dire,non ha funzionato. La battaglia è stata persa, e biso-gna dirselo: il grande stile modernista è rimasto unfeno meno di élite, o di studio accademico, così come

Sul Domenicale del 28 agosto Gabriele Pedullà ha la-mentato la caduta verticale dell’interes se per lo stileda parte dei criti ci e degli scrittori italiani: se non tutti,almeno la maggio ranza. L’articolo è pieno di osserva-zioni acu te, tra tutte la possibilità dell’avvento, an chein campo letterario, di un fenomeno che ha investitoormai da molto tempo (di ciamo da Marcel Duchamp,e poi dalla pop art, dal concettuale, da Fluxus…) learti visi ve: non più opere ma «concetti» o perfor manceche si esauriscono in sé stesse e nella reazione che su-scitano senza passare per la mediazione del lavoro sultesto.Ma manca, a mio avviso, la radice del problema, delquale non a caso non addita in alcun luogo le cause,se non, parrebbe, l’ignavia degli scrittori, il cinismodel mer cato e la malafede dei critici che non fanno illoro dovere.Ma il primo dovere dei critici davanti a una trasfor-mazione radicale (appunto) è quello di capire, e conciò delimitare il peri metro in cui potranno poi misu-rarsi le ope re e i giudizi. Diciamo allora che ci tro-viamo di fronte a un fenomeno di proporzioni benpiù vaste, di cui gli scrittori sono una componenteimportante ma non unica né maggio ritaria. Quelloche accade non è solo e non è tanto che gli scrittoriscrivono «male» (molti sì; ma è stato così in tutte leepoche; solo i puristi ottocenteschi credevano che nelbe nedetto Trecento tutti scrivessero bene, compresigli autori di partite doppie o di lettere commerciali;è piuttosto il fatto che la lingua comune, il linguaggioverbale, l’idioma nazionale, si è drammaticamente

Gabriele Pedullà ha lanciato una provocazione acuta: qui sono in gioco il destino e il ruolo stesso della letteratura

È la lingua che non ha più fascino

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quelli che si proclamano rivoluziona ri si incontranoormai solo nelle università. Il postmoderno è solo unnome, uno tra i tanti, della sconfitta subita.Riconoscere questo stato di cose non si gnifica appro-varlo. Che la letteratura (e la società) risultante siapeggiore di quella del passato non può e non deve es-sere ta ciuto. Ma per reagire si deve disporre di unamappa accurata. Piuttosto che accusa re gli scrittori discrivere male, si deve capi re il perché della loro subal-ternità (e con essa, di tutte le subalternità): il fatto peresempio, paradossale se ci si pensa, che per molti ildoversi esprimere attraverso il linguaggio verbale sem-bra più una condan na che un’opportunità. Potessero,si ha l’impressione ne farebbero a meno, comu -nicando direttamente con le immagini, un po’ comegli adolescenti che postano brani e sequenze su You-Tube o su Facebook. Non competono più, si sotto-mettono. E non a un diverso linguaggio, ma a chi at-tra verso di questo detiene il potere.Purtroppo, o meglio per fortuna, non si può. La let-teratura si fa con le parole. E tan te altre cose si con-tinuano e si continue ranno a fare con esse: la poli-tica, l’amore, praticamente tutto ciò che ci rendeesseri umani. Un popolo senza lingua è un popo losenza polis, e dovrebbero riflettere gli atenei che oggierogano corsi direttamen te in inglese, retrocedendocosì l’italiano a un dialetto, una lingua domesticaincapa ce di parlare di cose serie come la scienza el’economia. Una letteratura che si limiti a rispec-chiare questa situazione non può che avere un va-lore sintomatico. Ma non bisogna sottovalutare ilvalore del sinto mo: in forma straniata e dolorosa (ofalsa mente euforica, che ne è il rovescio specu lare)esso è sempre l’espressione di una ve rità nascosta,occultata, cancellata. E la ve rità da portare in luce èproprio quella con dizione di subalternità in cui sidibattono non solo gli scrittori ma tutti. Per uscirnenon serve a nulla ammantarsi delle glorie del pas-sato. Riconoscersi subalterni è il primo passo pernon esserlo più.

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Attenzione, scriviamo sul TitanicAndrea Molesini

Quando frugo fra gli scaffali di una libreria per acqui-stare un roman zo, leggo tre paragrafi scelti a caso, di-stanti fra loro. Ci deve esse re qualcosa, in quelle trefrasi compiute ma non contigue, che mi dice, e conforza, che appartengono allo stesso libro. Quel qual -cosa è lo stile, ciò che unifica. Lo stile è la ricerca del-l’uno attraverso il molteplice.James Joyce aveva l’abitudine di appog giare l’orecchioal pavimento per ascoltare le voci dei contadini cheabitavano al piano di sotto: conversano – diceva – inun idio ma così inconsapevolmente ricco di storia e difascino da costringermi all’ascolto. Ma allora si andavaa sentire l’Amleto,oggi lo si va a vedere. Tutto – spet-tacoli, tv, cinema – sembra congiurare contro l’orec-chio, che vive nel rumore, frastornato dalla mancan -za di silenzio e dunque di musica e poesia.Nell’èra del rumore e dell’immagine in movimentospetterebbe agli scrittori orga nizzare una Resistenzaper opporsi alla sor dità. E invece no: la letteraturadell’oggi, con poche, magnifiche eccezioni, si accon-tenta di sembrare tradotta. Non solo quella italiana,ma la nostra più di altre.Questa catastrofe culturale ha origini di verse: una diqueste è il disprezzo che la scuola, fin dalle elementari,coltiva verso l’imparare a memoria. La parola è unsuo no che simboleggia ciò che nomina. Senza questisuoni potenti che ridefiniscono il mondo, ben pococi distinguerebbe dal gatto a cui «manca solo la pa-rola». Ma un sistema di suoni simbolici, per essere de-ci frato, ha bisogno della vigilanza della me moria. Unastoria ha un senso se viene ri cordata dall’inizio allafine, cioè nella sua unità. E noi siamo quel che ricor-diamo, co me individui, popolo, civiltà. Non c’è iatofra essere e ricordare.Un popolo senza memoria è un popolo senza lettera-tura, o con una letteratura po sticcia, quindi senza fie-rezza, con un sen so di sé labile e pavido. E quando ipredoni verranno – perché sono sempre venuti, perchéhanno sempre fiutato la debolezza delle culture deca-denti – quel popolo sarà colonizzato, e la sua lingua,

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cioè la sede di ogni libertà individuale e collettiva, saràridotta al ruolo di dialetto. La tradizione letteraria nonè solo una fonte a cui abbe verarsi, è la nostra vita,siamo noi la tradi zione, ma bisogna dirlo ai ragazzi cheogni nostro pensiero prende corpo al co spetto di chi èvenuto prima di noi, così come il nostro pensare do-vrebbe rivivere nell’agire della posterità.Quando il Titanic affondò, Conrad scris se che biso-gnava aspettarselo da una nave con più camerieri chemarinai. Se il nostro Occidente, e l’Italia che amo,oggi assomi gliano tanto a quella nave maledetta, è an -che per una questione di mancanza di sti le, perché lostile è soprattutto voglia di ve rità: «Benedette siano leleggi metriche» dice Auden «che vietano le risposteimme diate/ Costringono al ripensamento, libe ranodalle vaghezze dell’Io».

*Un sintomo dello stato dell’operaGilda Policastro

Gabriele Pedullà ha lanciato da queste pagine il temadella lati tanza dello «stile» dalla narrati va italiana con-temporanea, pro vando a localizzarne l’origine o l’ef-fetto in un doppio deficit di consapevolezza esteti cada parte tanto degli scrittori (o scriventi, per recupe-rare una efficace distinzione di Luigi Malerba) quantodei critici, nella loro quasi totalità maggiormente pro-pensi a considerazioni di volta in volta sociologi che,storiche, ideologiche, politiche eccete ra (Daniele Gi-glioli parla di «sintomi», nel suo recente Senza trauma,contrapponen doli, via Žižek, ai «feticci», ovverosiaalla persistenza e valutazione delle opere in un sensomonumentale).Lo stile, a dirla con l’uso tradizionale della categoria,è una misura di coerenza pro pria o rispetto al genereprescelto (comico, tragico, elegiaco, nella classica se-parazio ne) ma se si vuole provare ad aggiornarla, talecategoria, si dovrà ripartire da quegli au tori del No-vecento (non solo italiano) che dell’assenza di stile(ma già, teste Auerbach, della mescidanza) hanno

fatto, significati vamente, programma di poetica, daBeckett a Sanguineti: quest’ultimo chiudeva una poe-sia di Postkarten col dichiarato impulso a violare con-tinuamente una propria ineludi bile maniera e, in-sieme, quella sorta di luo go comune mondano che èlo scrivere o il comportarsi bene: «Oggi il mio stile ènon avere stile». Viceversa i romanzi contempo ranei,così poco debitori alle avanguardie e in generale a unuso spregiudicato e «sabota tore» della lingua, unostile, effettivamente, ce l’hanno, sia pur piatto e mo-nocorde: è nel la gran parte dei casi lo stile precottodella fiction o dell’autofiction, del romanzo apocalit-tico o post-apocalittico, del noir, del poliziesco. Unodei «casi» letterari della passa ta stagione, Elisabeth, diPaolo Sortino, ha uno stile «da thriller» e dunque hauno stile, e ne ha un altro, quello dell’entertainmentdelle serie televisive, il recente e non riusci tissimo Li-bertà del pure altrove (ne Le correzioni, ad esempio)magistrale Franzen.Ciò che manca ai romanzi nostrani è, allo ra, più pro-priamente la lingua, che è dallo stile differente, purese a esso inevitabilmen te connessa: non si ripeterannonozioni abituali per teorici della letteratura, linguistie post-strutturalisti, andando a distinguere codiceconvenzionale di espressione dalle sue varianti diafa-siche o dal suo inveramento individuale. La differenzatra la lingua che si parla al bar e quella che parla la let-tera tura è, per dirla in modo semplice, una diffe renzadi natura prevalentemente funziona le: la lingua nonserve, avrebbe detto Lacan, solo a trasferire informa-zioni, ma a godere delle cose, o a soffrirne, a illumi-narle, o velarle, smontarle, interrogarle, corromperle,in fettarle. La lingua è allora il vero «sintomo» del-l’opera, nella misura in cui essa è palpabi le: come ilmedico tocca il polso del paziente e diagnostica ilmale, se non la cura, apria mo un libro e ne sentiamola lingua, prima di apprezzarne la tenuta narrativa ola co struzione dei personaggi e della trama. La materiaprima, e insieme l’aura mai perdu ta, della vera operad’arte, a dispetto e contro ogni serialità e riproduci-bilità dominante.

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«La lingua non serve, avrebbe detto Lacan, solo a trasferire in-formazioni, ma a godere delle cose, o a soffrirne, a illuminarle,o velarle, smontarle, interrogarle, corromperle, in fettarle»

«Non può esistere uno scrittore vero che non abbia uno stile,perché lo stile è in primo luogo una posizione etica nei confronti dell’opera che si scrive, la consapevolezza che scrivendo un’opera ci si inoltra in un mondo di forme, e chenon ci può essere un’opera senza una responsabilità formale»

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Se invece ciò che conta è solo la trama, l’arguzia del-l’intreccio, il glamour luccicante o sporco dei perso-naggi, perfino il famigerato messaggio (a me arrivanoin continuazione storie con personaggi femminili cheaffrontano traversie di tutti tipi ma alla fine, grazieallo stereotipo edificante del co raggio delle donne, su-perano tutto e riac quistano fiducia nella vita) nonsiamo da vanti a un libro ma alla rilegatura di un cer -to numero di pagine stampate.In questo senso ha ragione Gabriele Pe dullà. Barthesin un seminario che tenne alla fine della sua vita, dopotanti struttura lismi, disse che amare la letteratura si-gnifi ca credere che i personaggi del libro che stai leg-gendo sono vivi e parlanti vicino a te, col loro mondoe i loro problemi. A me certe volte sembra invece chei personaggi di certi libri che mi capita di leggere,spes so i più da noi acclamati, stiano invece come certemaschere delle fiction televisi ve di serie B, a recitarele loro battute come se pensassero ad altro, al pros-simo ingag gio o alla prossima raccomandazione. Equesto è un problema di mancanza di stile, allo stessomodo in cui lo si dice per una persona maleducata.

Personaggi come maschereElisabetta Rasy

Nella letteratura italiana circola un’idea accademicadi stile: quando si parla di stile si pensa soprattutto aGadda o Landolfi o oggi a Arbasino, e non per esem-pio a quello di due maestri assoluti di stile comeSoldati e Bassani. Lo stile cioè viene confuso con unapoetica, una maniera, o, peggio, dalla neoavanguardia,con una ideologia della lingua dolorosamente autore-ferenziale. Non può esistere uno scrittore vero chenon abbia uno stile, perché lo stile è in primo luogouna posizione etica nei confronti dell’opera che siscrive, la consapevolezza che scrivendo un’opera ci siinoltra in un mondo di forme, e che non ci può essereun’opera senza una responsabilità formale.Inoltre: lo stile è il modo in cui uno scrittore abita lospazio letterario, la sua prossemica nel testo, la posi-zione che prende verso il lettore. Il che non ha nullaa che vedere col «letterariese», procedimento moltodiffuso per nobilitare una storia, che è una specie diarredamento posticcio di una stanza vuota.

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Sergio Luzzato e Gabriele Pedullà, Corriere della Sera, 12 settembre 2011

lettuali-funzionari orfani del Pci come lui il rapportofra letteratura e storia si è sempre posto nei termini diun rispecchiamento immediato fra struttura econo-mica e sovrastruttura intellettuale. Compito dello sto-rico era individuare la direzione di marcia; una voltastabilito da quale parte stava il progresso e da quale lareazione, si procedeva con le promozioni e le boccia-ture. In tal modo la politica finiva per avere inevita-bilmente la meglio sulla letteratura: a volte nella formadegradata della propaganda politica, come quando –negli anni Settanta – Asor Rosa avanzò una fantasiosarilettura del Barocco italiano fondata su una rivaluta-zione dei gesuiti (la Chiesa buona) quali antenati deidemocristiani che appoggiavano il «compromesso sto-rico» con i comunisti! Anche quando – come tanti –Asor Rosa è stato folgorato sulla via di Damasco dallacoppia «storia & geografia» promossa da Carlo Dio-nisotti, il suo atteggiamento non è cambiato granché.I quattro tomi di impostazione geografica della Lette-ratura italiana Einaudi diretta da Asor Rosa (a più ri-prese vivacemente criticati dallo stesso Dionisotti) ri-mangono prigionieri dell’antico vizio che fa dellaletteratura un’ancella del potere. Pure qui sono infattile formazioni politiche degli antichi Stati italiani a de-terminare la scansione dei capitoli, come se la produ-zione letteraria non potesse che riprodurre automati-camente i confini territoriali. Con il risultato che lageografia compare, di fatto, soltanto nel titolo. Ri-spetto a questo riduzionismo, l’Atlante propone duevie d’uscita per rilanciare il dialogo tra storici, letteratie geografi dopo il «grande gelo» della stagione dello

Dispiace, ma non sorprende, l’anatema che AlbertoAsor Rosa ha scagliato dal suo Bollettino di italianisticacontro il primo volume del nostro Atlante della lette-ratura italiana , e di cui Paolo Di Stefano ha riferitoin anteprima sul Corriere di giovedì scorso. È unastroncatura impregnata del livore che Asor Rosa abi-tualmente riserva a quanti sembrano non riconoscerela sua auctoritas, e minata dalla fretta di una letturavisibilmente approssimativa, irosa, caricaturale, del-l’opera cui stiamo lavorando da anni con il contributodi quasi duecento specialisti italiani e stranieri. Ognisingola pagina della «recensione» trasuda – più che loscrupolo di un’analisi accurata, o la volontà di aprirsia un confronto culturale – la rabbia impotente del-l’animale ferito. Dimmi come stronchi e ti dirò chisei. Sostiene Asor Rosa che l’Atlante è nato da un «rap-tus di titanismo intellettuale», e che i due curatori –pretendendo di innovare rispetto alla vecchia triadeCroce-De Sanctis-Gramsci – non si sono neppure ac-corti di quanta acqua sia passata nel frattempo sotto iponti della critica letteraria. In realtà, ce ne siamo ac-corti eccome: non foss’altro, leggendo le opere scritteo dirette da Asor Rosa. Il quale, nell’ultimo mezzo se-colo, le tendenze (o le mode) della critica letteraria leha cavalcate proprio tutte, dal marxismo degli anniSessanta alla neo-canonistica degli anni Novanta pas-sando attraverso le scienze umane spruzzate di strut-turalismo e semiotica degli anni Settanta e Ottanta,o quant’altro. All’ingrosso, un «metodo» per decen-nio. Come stupirsi che a Asor Rosa l’Atlante non piac-cia? La lingua batte dove il dente duole. Per gli intel-

I due autori dell’«Atlante» letterario replicano al critico: «Una lettura approssimativa, una stroncatura livorosa»

«Asor Rosa, quanti errori nelle tue accuse»

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«È una stroncatura impregnata del livore che Asor Rosa abitualmente riserva a quanti sembrano non riconoscere la sua auctoritas, e minata dalla fretta di una lettura visibil-mente approssimativa, irosa, caricaturale, dell’opera cuistiamo lavorando da anni con il contributo di quasi duecentospecialisti italiani e stranieri»

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censimento sui poemi in ottava rima tra Quattro eSettecento, un’analisi quantitativa del difficile decollodella forma-romanzo, una ricognizione sul diffondersidell’edificio teatrale moderno a partire dall’Olimpicodi Vicenza, un’altra sulla penetrazione delle logge mas-soniche tra illuminismo ed età napoleonica… Centi-naia e centinaia di carte originali per ogni volume,dove a venir meno è proprio l’idea che la geografiadelle istituzioni culturali o della circolazione dei librisia vincolata ai confini politici. Ma Asor Rosa ha pen-sato bene di «recensire» così: «C’è una evidente spro-porzione: dei ben centoundici saggi presentati sol-tanto pochi – necessariamente – sono traducibili, e difatto tradotti, in carte o cartine». Peccato che le bugieabbiano le gambe corte: i saggi grafici del primo vo-lume sono quarantatré. Il che (per noi amanti del-l’esattezza) fa il 39 per cento. Resta da sottolineare uncarattere dell’Atlante che difficilmente avrebbe potutoincontrare le grazie del professor Asor Rosa: il fatto dimuovere da una precisa scommessa generazionale.Ecco una «Grande Opera» Einaudi curata da un quasicinquantenne e da un quasi quarantenne (due «gio-vani» soltanto secondo gli standard della gerontocraziaitaliana), ma scritta – oltreché da alcuni venerati mae-stri – da una vera e propria leva di studiosi di età com-presa fra i venticinque e i trentacinque anni. È questala generazione più produttiva e più vitale della criticastorico-letteraria in Italia. Ed è quella stessa genera-zione che le nostre Università, dominate per decennida «baroni» alla Asor Rosa, stanno condannando al-l’emigrazione forzata, o a una bella carriera nei callcenter.

strutturalismo e della semiotica. Innanzitutto sostitui-sce la tradizionale scansione per autori, opere, movi-menti, secoli o generi letterari, con una serie di saggi-evento centrati attorno ad alcune date-chiave dellaletteratura italiana: piccoli o grandi avvenimenti, main grado comunque di sollevare questioni decisive.All’inizio troviamo sempre un fatto storicamente con-creto e geograficamente collocato – poniamo: l’auto-denuncia di Torquato Tasso al tribunale dell’Inquisi-zione, o l’affiliazione di Giambattista Marino aun’accademia napoletana – ma poco a poco dal det-taglio biografico o situazionale il lettore viene portatoa confrontarsi con problemi fondamentali, come ildominio delle coscienze durante la Controriforma ole forme della socialità di Antico Regime. Soprattutto,abbiamo provato a realizzare un vecchio sogno di Dio-nisotti mettendo in piedi un vero e proprio atlantedella letteratura, con centinaia di mappe, diagrammi,istogrammi, grafici e schemi grazie ai quali far emer-gere l’altra temporalità della storia: dopo lo scatto bru-ciante dell’evento decisivo, la maratona della lunga edella lunghissima durata. A opera finita, nei tre vo-lumi Einaudi se ne conteranno quasi duemila. Nulladi simile è stato mai tentato per nessuna altra civiltàletteraria, ed è anche per questo che l’opera ha riscossoda subito ampi consensi a livello internazionale. Unlavoro estremamente impegnativo, perché tali mappe– costruite nella stragrande maggioranza dei casi sudati di prima mano – hanno richiesto apposite ricer-che specialistiche nei più diversi archivi italiani. Peresempio, i lettori del secondo volume dell’Atlante (chesarà in libreria la settimana prossima) troveranno un

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Romano Montroni, la Repubblica, 13 settembre 2011

nelle vendite: non basta abbassare i prezzi per aumen-tare numero dei lettori e consumo di libri. L’Italia èda anni al terzultimo posto in Europa come indice dilettura: è dunque ragionevole pensare che il problemanon sia il prezzo.Girando per l´Europa ho incontrato quasi sempre li-brai eccellenti. È proprio questo, credo, il punto. Per-ché i librai (quelli bravi) contribuiscono attivamentea suscitare interesse intorno ai libri: curando l´assor-timento, manipolando lo scaffale, prestando atten-zione ai particolari, offrendo un servizio di qualità.Non credo sia un caso se la lamentela che sento piùspesso è che negli ultimi tempi la qualità del personaleè scaduta: chi cerca un libro o domanda informazioniriceve risposte insoddisfacenti e vaghe. A volte, per-sino sgarbate. È inammissibile. Chiedete a un lettoredi dirvi quali requisiti dovrebbe possedere la libreriaideale e nove volte su dieci vi risponderà per primacosa: un libraio competente.Ecco perché chi ama i libri dovrebbe lamentarsi, in-vece che della regolamentazione degli sconti, delloscarso investimento sulla formazione dei librai. Bastivedere cosa è successo in Inghilterra, dove abolire ilprezzo di copertina liberalizzando quello di venditaha provocato la chiusura di moltissime librerie piccolee medie che non potevano offrire gli stessi prezzi«stracciati» delle grandi. Il mio auspicio è dunque cheil margine adesso sia usato per formare i librai, peresempio attraverso la Scuola per Librai Umberto e Eli-sabetta Mauri (per chi è già del mestiere) o la Scuolaper Librai di Orvieto (per i “debuttanti”).Per conquistare nuovi lettori le librerie non devonoessere – per dirla con Marc Augé – non luoghi (ano-nimi, di passaggio, frequentati da persone che non en-trano mai o quasi mai in relazione le une con le altre),bensì centri di circolazione e scambio di idee, am-bienti in cui intrattenersi e soddisfare le proprie cu-riosità ricevendo al contempo nuovi stimoli. Questogenere di librerie richiede veri librai. Invito dunquechi ama i libri a considerare la nuova legge sullosconto non una penalizzazione ma un’opportunità peril mercato italiano.

Caro Direttore, mi inserisco nel dibattito sulla leggeche limita al 15 per cento lo sconto sui libri per direche a mio avviso il prezzo non è uno dei fattori chedeterminano lo scarso interesse degli italiani per la let-tura. Il libro è ancora, senza dubbio, lo svago più eco-nomico. Detto questo, se confrontiamo il provvedi-mento entrato in vigore in Italia con quelli che datempo regolamentano la vendita dei libri in altri statieuropei, il nostro risulta di gran lunga il più «mor-bido»: nei paesi economicamente forti e dove si leggemolto, da anni la legge è ben più rigorosa. In Franciae Spagna lo sconto massimo consentito è il 5 percento. In Germania lo sconto non soltanto non è pre-visto, è vietato. È la dimostrazione che non è da quiche passano il rinnovamento e lo sviluppo del mercatodel libro. Dar valore al mestiere del libraio è invece amio parere la strada da percorrere, ed ecco perché gliimprenditori (grandi, medi e piccoli) dovrebbero in-vestire sulle risorse umane e sulla loro formazione.In Italia, finora si è andati nella direzione opposta.Nelle nostre librerie, soprattutto di catena, si registrauna standardizzazione preoccupante. Il mestiere di li-braio non è tenuto in considerazione: i giovani nonricevono una formazione adeguata e la professionalità,quando c´è, è mortificata. Il personale è in tutti i sensiinsufficiente, e pertanto incapace di relazionarsi conil cliente. Una delle ragioni, se non la principale, è cheil margine commerciale che le librerie ottengono daglieditori – l´indicatore primario per l´equilibrio econo-mico e finanziario dell´azienda – era in gran parteusato, anziché per la formazione, per concederesconti. Di recente ho sentito il manager di una catenavantarsi di aver dimezzato i librai in una prestigiosalibreria proprio a questo scopo; inutile dire che, allaluce dei consuntivi, non si è registrato alcuno sviluppo

Di libri e di librai

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Separati in casa editrice

Asor Rosa: l’Atlante letterario è stato uno shock. Intollerabile convivere in Einaudi con quegli autori

Clangore di sciabole nella quie te un po’ noiosa deldibattito culturale. Oggetto della polemica, l’Atlantedella letteratu ra italiana curato per Einaudi da Ser-gio Luzzatto e Gabriele Pedullà (tra pochi giorniesce il secondo di tre volu mi). La stroncatura arrivada un maestro degli studi letterari, Alberto AsorRosa, artefice di importanti opere proprio per lacasa editrice che ora pubblica l’Atlante. I rilievi delprofessore, ospitati nella rivista Bollettino di italia-nistica (Carocci), non mancano di durezza, talvoltavenata di sarcasmo. «Impudenza». «Superficia lità».«Disinvoltura citazionistica». «Titanismo intellet-tuale». «Novismo incon cludente». Violenta la rea-zione dei due curatori, che sul Corriere della Sera ri -nunciano a discutere le idee per attacca re personal-mente lo studioso, accusato di «livore», «risenti-mento», «rabbia impotente dell’animale ferito». Inmezzo, per ora silente, la casa editrice di via Bian -camano, bersaglio non secondario delle «botte» cri-tiche di Asor.

Professore, che succede?Se vuole, cominciamo dal principio. Qualche tempofa ho preso in mano l’A tlante, naturalmente già stam-pato. Forse era giusto che così fosse.

Ma non è rimasto male perché in casa editrice nessunogliene aveva accenna to?No. Mi sono sprofondato nella lettura dell’introdu-zione con enorme curiosità. Quello di un «Atlante let-terario» era un progetto che avevo annunciato

trent’an ni fa all’uscita del primo volume della Lette-ratura italiana. Poi non se n’è fatto niente. S’imma-gini la mia sorpresa di fronte al nuovo lavoro.

Dunque lei sprofonda nella lettura dell’Atlante e, unavolta emerso, erige una lapide tombale: non c’è la lette-ratu ra, non c’è un’interpretazione solida, soltanto ungrande caos.Lo shock è stato provocato dalle pri me righe dell’in-troduzione, là dove si af ferma che l’Atlante sarebbeniente meno che lo strumento per superare in Italiala dimensione ideologica hegeliana della fi losofia dellastoria alla quale sarebbero ispirate tutte le storie lette-rarie. Una balla. Una panzana sul piano scientifico.In termini volgari, una bufala.

Vi si legge che per un secolo e mezzo lo storicismo – de-sanctisiano, crociano, gramsciano – ha orientato gli studilette rari in Italia.Sì, è ridicolo. Stavamo nel pantano e non ce n’era-vamo accorti. Meno male che sono arrivati loro asvegliarci.

Lei ironizza perché quasi mezzo seco lo fa ha pubblicatoScrittori e popolo, un libro programmaticamente anti-storici sta.Ma se ne parla da cinquant’anni! È da allora che co-mincia la rottura di quella egemonia. Penso alle scuoledi critica e storiografia letteraria che in questi annihanno proceduto fuori dagli schemi del «desanctis-gramscianesimo». Corti e Se gre. Umberto Eco. De

Simonetta Fiori, la Repubblica, 15 settembre 2011

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Mauro con la sua storia linguistica dell’Italia unita.La scuola bolognese di Ezio Raimondi. Stu diosi digrande originalità come Lavaget to e Orlando. Maanche la recente storia letteraria di Marco Santagata.Come si fa a iscrivere tutto questo nel vecchio sche -ma hegeliano?

Lei nel saggio polemico omette di par lare della Lettera-tura italiana, da lei curata proprio per Einaudi.Certo, ho rinunciato a tirare in ballo quella mia im-presa, il cui primo volume si dichiarava ispirato al su-peramento del «diagramma De Santis». E ho rinun-ciato a ricordare che nella Letteratura italia na ci sonoquattro volumi che si defini scono di «Storia e geogra-fia della lettera tura italiana» proprio perché recepisco -no il nuovo rapporto tra spazio e tempo innescato daCarlo Dionisotti. La pietra angolare scelta dai curatoridell’Atlante mi è sembrata una turlupinatura bella ebuona.

Però non rinuncia a prendere a schiaf fi l’Einaudi. Inpiù di un passaggio della stroncatura, rimprovera allacasa editri ce di ignorare la sua storia. Un addebito nonda poco.È evidente che esiste questo problema. La responsa-bilità di una grande im presa è cumulativamente degliautori e dell’editore.

Mettiamola così: non l’hanno avvertita di questanuova opera e per giunta hanno ignorato il suo lavoroprecedente.Guardi, ho un rapporto profondissimo verso quellache considero la mia ca sa editrice, ma non sono l’Ei-naudi. Tendo a essere molto discreto. Non mi sonomai sognato di chiedere «che diavolo state fa cendo?».Ma la discrezione non è confon dibile con la sospen-sione del giudizio. Anche gli strumenti proposti dal-l’Atlante per dare una sistemazione alla materia lette-raria mi paiono campati per aria. L’i dea che laletteratura nasca tra Padova e Bressanone e non traPalermo e Firenze e Assisi non sta né in cielo né interra. Avrei potuto far finta di niente. Ho preferitodir la mia.

Come hanno reagito in via Biancama no?Ho ricevuto solo telefonate di apprez zamento per ilmio intervento critico e di solidarietà per l’attacco ri-cevuto. Una reazione unanime.

Con chi ha parlato?Ho usato l’aggettivo «unanime». Può bastare?

I due curatori l’hanno accusata di nu trire della lettera-tura una visione ancil lare rispetto alla politica.Una risposta sul Corriere l’ha già data Pierluigi Batti-sta, che conosce bene la storia culturale. La mia rea-zione è stata quella che – quand’ero bambino – miamadre mi rimproverava. Non sapevo se ridere o pian-gere. Mi viene da ridere quando vengo collocato nellacasta degli «intellettuali funzionari» orfani del Pci. Sequalcosa mi ha contraddistinto, è non esserlo stato. Ildato fondamentale è che alle obiezioni del mio saggionon c’è una sola risposta. Una rinuncia totale a entra -re nel merito.

Colpisce in Luzzatto e Pedullà l’insistenza sul dato ge-nerazionale. Lei li avrebbe stroncati perché loro sono«gio vani» (in accezione molto larga…). A di re il vero lasua vita da stroncatore è co minciata quando aveva pocopiù di trent’anni. Una questione di carattere più che dianagrafe.Sì, un po’ è così. La combinazione for tuita delle storievuole che sempre da Ei naudi stia per uscire un miolibro che rac coglie i saggi scritti proprio in queglianni, prima e dopo Scrittori e Popolo. Si intito la Learmi della critica, e meno botte da or bi sia a destra chea sinistra.

I bersagli erano mostri sacri come Pa solini, Vittorini,Pratolini.Ma l’intelligenza progressista di allo ra reagiva inmodo molto diverso.

Pasolini disse: «Asor, l’uomo che più mi ha fatto malenella mia vita».Con Pasolini il rapporto non fu facile, ma general-mente lo scambio polemico non incideva nei rapporti

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«Guardi, se dall’enorme sfasciume che deriva dal crollo delle vecchie culture io dovessi augurarmi che sopravvivaqual cosa, questo qualcosa è la filologia: la scienza dell’ac-certamento della fonda tezza dei dati. Mi appare sempre piùtra volta dalla ricerca di scoperte sensazio nali»

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sopravviva qual cosa, questo qualcosa è la filologia:la scienza dell’accertamento della fonda tezza dei dati.Mi appare sempre più tra volta dalla ricerca di sco-perte sensazio nali.

Questa vicenda ha inciso nei suoi rap porti con l’Einaudi?Credo di essere tra gli autori che ci la vora da piùtempo. Ho sempre pensato che fosse non solo belloma anche utile e necessario restare dentro la casa edi-trice. E recentemente, insieme a personalità carisma-tiche come Eugenio Scalfari, ho sostenuto che fossenecessario restare indipendentemente dalle vicendeproprie tarie, finché non ne fossimo cacciati. Questoperò non significa accettare tutte le condizioni.

Cosa vuol dire?Si potrebbe esserne cacciati in vari modi, anche su-bendo una convivenza in tollerabile. E la convivenzacon forme di ricerca e di polemica culturale di cui icu ratori dell’Atlante sono una testimonian za è per meintollerabile.

personali. Cer to non ce le mandavamo a dire. Sali-nari scrisse un articolo motto duro sull’Unità. Mac’era rispetto. Nessuno avrebbe detto che pubblicavoScrittori e popolo perché avevo «la rabbia impotente»di chi voleva salire a tutti i costi. Così non ho maipen sato che i miei interlocutori critici fossero mossida risentimento perché minaccia ti nei loro posti dicomando. E poi nessuno di noi era affetto da novi-smo giovani lista.

Cosa intende?Quel che temo di più è la filosofia per cui tutto ciòche è nuovo ha il diritto di so praffare ciò che è vec-chio. E questo indi pendentemente dalla qualità intel-lettua le. Una sorta di rottamazione della cultu ra a cuinon mi sembrano estranei i due curatori dell’Atlante.

Eppure Luzzatto e Pedullà sono tra gli studiosi italianipiù brillanti.Guardi, se dall’enorme sfasciume che deriva dalcrollo delle vecchie culture io dovessi augurarmi che

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Duello all’EinaudiFranco: imprescindibili le critiche di Asor Rosa. Adesso basta con insulti e botte

Ernesto Franco, la Repubblica, 16 settembre 2011

solo per i duellanti. Ne va della (qualità della) vita.Tanto che, proprio loro che potrebbero fare gli arbitri o itestimoni, decidono di mettersi in gioco in prima per -sona. Rinunciano ai passivi privi legi dello spettatore e siassumono l’onere di diventare attori, di scegliere unaparte, accettando quindi una porzione del torto e il li-mite di un punto di vista.Chi segue il duello può parteg giare per l’uno o per l’altrocon tendente, ma prima ancora viene colpito dall’impor-tanza di ciò che è in ballo e che altrimenti avrebbe potutosfuggirgli. Chi se gue il duello allarga, attraverso i duel-lanti, la propria esperienza del mondo ed è in qualchemodo loro grato per il dispendio di ge nerosità umana eintellettuale.Se si pensa a qualche famoso duello della nostra storiacultura le si vedrà che le cose stanno co sì. Attraverso lastroncatura che Delio Cantimori, consulente del -l’Einaudi, fece del libro Einaudi Civiltà e imperi delMediterraneo nell’età di Filippo II di Fernand Braudel(non fu leggera: lo definì fra l’altro come una specie diVia col vento della storiografia) si ca pisce meglio l’evo-luzione del di battito storiografico italiano. Attraverso lepolemiche «conser vatrici» di Pasolini su questioni comeaborto o movimenti giova nili, si capisce meglio la storiadel cammino della nazione verso il suo travagliato tipodi moder nità. Attraverso l’irrisione di Edoardo Sangui-neti nei confron ti di ogni tipo di lirismo narrativo, si ca-pisce meglio l’evoluzione del romanzo italiano novecen-tesco.La storia dell’Einaudi, poi, è quella di una fucina discontri. Ci si scontrò, all’interno e all’ester no, su Adorno

La discussione comincia da una stroncatura che Al-berto Asor Rosa scrive sul Bollettino di italianistica aproposito dell’Atlante della letteratura italiana cu ratoper Einaudi da Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà. Lostudioso – autore storico della casa editrice torinese –demolisce la premessa da cui partono i curatori e i cri-teri ordinatori dell’opera. Il giudizio è duro: non c’èla letteratura, non c’è un’interpretazione solida, sol-tanto caos. I rilievi si estendono alla Einaudi, accu satadi dimenticare la sua storia. Sul Corriere della Sera del12 settembre la replica di Luzzatto e Pedullà, che at-taccano pesantemente la persona di Asor Rosa rinun-cian do a discuterne i rilievi critici. Lo fa notare ilgiorno dopo sullo stesso giornale Pierlui gi Battista(«stroncate lo stroncatore e non il merito della stron-catura»). Ieri su queste pagine Asor Rosa confessa ilproprio disagio a convivere dentro la Einaudi «conforme di ricerca e di polemica culturale di cui i cura-tori dell’Atlante sono una testimonian za». Oggi l’in-tervento di Ernesto Franco, direttore generale edito-riale della Einaudi.

Caro Direttore, i duelli piacciono molto. E magari provoa dire per ché. Non perché si goda delle fe rite dell’uno odell’altro duellan te, ma perché è intelligente la schermain sé. Il duello sottolinea in maniera drammatica innan-zitutto l’importanza delle cose per cui ci si batte. Nel tea-tro del duello, i contendenti dicono sempre cose opposte,ma su una concor dano: ciò per cui si combatte va le lapena, non è superfluo, pre scindibile, ornamentale. E non

Il direttore editoriale dello Struzzo replica allo studioso che aveva dichiarato lasua incompatibilità con gli autori dell’«Atlante»

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«Quello dell’Atlante della lette ratura italiana a cura di Sergio Luzzatto e di Gabriele Pedullà e della “stroncatura” di Alberto Asor Rosa è un duello. La materia del contendereche ne viene esal tata è l’interpretazione della let teratura italiana. Capiamo così che il tema è capitale per la com prensione più vasta di ciò che è identità italiana»

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per la com prensione più vasta di ciò che è identità ita-liana. Che proprio quest’anno e in un momento co sìgrave per l’Italia e per il destino della sua cultura e delsuo siste ma di istruzione il duello abbia una così forteragion d’essere, mostra come dentro al tema si trovi unaparte importante della verità.A me, ovviamente, l’Atlante piace. Anche solo perché ècriti cabile. Perché si offre, cioè, programmaticamentealla critica e alla riflessione. Perché è, in senso lato, par-ziale e provocatorio. Perché apre. Non vado oltre perchéspero lo facciano altri e perché da parte mia sarebbetroppo sospetto.Come sarebbe sospetto, da parte mia e in questa occa-sione, tessere l’elogio della centralità per l’editore dellaLetteratura ita liana diretta da Asor Rosa e dei volumida essa dedicati a «Storia e geografia». Sono ovvia-mente pietre miliari del catalogo Einau di. Mi sembrainvece di poter di re che le critiche di Asor Rosa fat tesul Bollettino di italianistica all’Atlante tocchino, dapar suo, punti centrali, importanti e imprescindibili.E che per questo vadano discusse soprattutto da chi nonle condivida.Credo che questo serva alla cul tura. Il resto no: botte einsulti te niamoli fuori. Il resto non può che apparire unaquestione per sonale. Ripete ruoli che i duellan ti non me-ritano e che fanno loro torto.

e poi su Benjamin, su Nietzsche e poi, ieri, su Bret EastonEllis o sui narratori «can nibali». Lo si fece con convinzio -ne, con coerenza editoriale.Il compito di una casa editrice di cultura consiste, infattie in po che parole, nell’ambito della produzione di novitàpiù o meno durevoli, nel prendersi cura del catalogo e delnuovo, che sono i valori che superano il tempo. Non unasola cosa, ma entrambe, catalogo e nuovo, comportanodei rischi.So bene che la definizione «ca sa editrice di cultura» puòsem brare inattuale, ma è vero il con trario. Più la reteevolve più essa torna a essere esatta e necessa ria, quandosi intenda per cultu ra la necessità di alimentare o addi-rittura reinventare lo spirito critico.Per questo i duelli piacciono a me e in genere piaccionomolto. Sono assai meno interessanti e decisamente inu-tili quando in vece della scherma si vedono di volta involta solo le schiene dei contendenti che menano botteda orbi. Noi, che non siamo inte ressati né a prenderlené a darle, non vediamo, appunto, più niente, e ce neandiamo altrove.Quello dell’Atlante della lette ratura italiana a cura diSergio Luzzatto e di Gabriele Pedullà e della «stronca-tura» di Alberto Asor Rosa è un duello. La materia delcontendere che ne viene esal tata è l’interpretazione dellalet teratura italiana. Capiamo così che il tema è capitale

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Centosettanta libri nuovi al giorno. Cari. E che restano in libreria poco tempo. È questo il mondo dell’editoria, tra promozioni spinte, concorrenza online e acquisto di spazi in vetrina

Antonella Fiori, l’Espresso, 19 settembre 2011

Viaggio nell’industria della lettura

che non era stato possibile in anni di discussioni si è ma-terializzato in poche settimane: una legge fatta più perdifendersi dal colosso americano che per regolamentareil settore. «Se è vero che fissa un tetto cercando di tute-lare le piccole librerie e i piccoli editori che non pote-vano concedere sconti sopra una determinata soglia, èanche aggirabile», dice un esperto come Giuliano Vi-gini: «Basterà non far pagare le spese di spedizione perle librerie in internet o far uscire dal catalogo più velo-cemente certi titoli che non vanno e quindi vendere al50 per cento nei remainders».Il ciclo del libro. In realtà dietro al limite allo sconto, altema delle piccole librerie afflitte dalla concorrenzadella grande distribuzione c’è un circolo vizioso difficileda spezzare. E non scalfito da questa legge. Ogni giornoarrivano sul mercato circa centosettanta titoli. Un li-braio in media ne riceve trenta. E ne può gestire e pro-muovere solo alcuni. Quali? Quelli che danno garanziedi essere venduti e hanno una buona promozione. Piùdella metà del costo del libro serve a pagare distribu-zione, vendita al dettaglio, ma anche il libraio per otte-nere un posto in prima fila sui banchi o in vetrina (se-condo gli addetti ai lavori la vetrina costa diecimila euroa settimana, mentre 6-7 mila si sborsano per una pilaaccanto alle casse). Dato che in Italia la parte del leone la fanno cinquegruppi (Mondadori, Rcs, Gems, Giunti, Feltrinelli) chenel 2010 hanno coperto il 62,7 per cento del mercato,i conti sono presto fatti. Una libreria come la Feltrinelliche ha un grosso giro d’affari e ha dall’editore il 42 percento di sconto può arrivare anche a praticare il 20 per

Vetrine monotitolo. Poster cartonati con volti e fisici daphotoshop, che si tratti di autori di thriller, filosofia odiete. E pile di volumi davanti alle casse, dritte comecolonne strutturate per sbatterci contro appena attra-versi l’ingresso. Lo spazio che vale di più? La vetrinadella libreria alla stazione Termini di Roma. Per il pas-saggio di gente, ovviamente. Si paga in tanti modi lapresenza in libreria. Io ti do cento copie di Giorgio Fa-letti, Benedetta Parodi o del nuovo santone del dima-grimento Pierre Dukan e tu me le tieni a certe condi-zioni particolari. Condizioni che solo i grandi editori riescono a fare. Èl’editoria, bellezza. Che si è presentata col suo volto piùaggressivo in questi ultimi giorni: gli ultimi in cui eraancora possibile fare campagne a prezzi stracciati primache entrasse in vigore la legge che regolamenta in Italialo sconto sui libri. Presi come eravamo da manovre eco-nomiche per non finire come la Grecia, in questi mesinon avevamo capito che nel mondo dell’editoria il ri-schio catastrofe aveva il nome di un altro paese: GranBretagna. Una nazione dove tra fine anni Novanta e ini-zio 2000 il prezzo del libro è diventato libero e selvaggio.Prima conseguenza, sono sparite le librerie indipendentimangiate dalle grosse catene. Poi quando i grandi storehanno iniziato a vendere Harry Potter a quattro sterline,sono andate in crisi anche queste. Terremoti da cui le nostre catene – da Feltrinelli a Mon-dadori – sono lontane: ma lo spettro inglese ha dato ibrividi a molti quando Amazon, il sito di libri onlinepiù grande al mondo, ha cominciato a vendere in Italiale novità a prezzi scontati del 40 per cento. Così quello

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cento di riduzione al cliente perché le resta ancora il 22per cento di guadagno. Un libraio «normale» che ha il30 per cento di sconto e fa il 20 per cento per essereconcorrenziale ha solo un margine di guadagno del 10per cento. Spiega Francesco Cataluccio, autore di Chefine faranno i libri (Nottetempo): «Amazon ha applicatosconti pazzeschi perché doveva conquistarsi un mercato.Ma non avrebbe fatto il 40 per cento a vita. Diverso ilcaso di catene come Feltrinelli: ha creato una società dipromozione libri e ha un rapporto diretto con l’editore,risparmiando sulla promozione. Idem per Mondadori,Rcs e Gems. Ma il piccolo editore se deve passare tra lemaglie di questa produzione resta strozzato».Altro dato: il giro d’affari italiano dei libri è di circa tremiliardi di euro. Ma da noi le persone che leggono piùdi un libro all’anno sono solo il 15 per cento della po-polazione. Di più: il nostro 46,8 per cento di chi leggeun solo libro ogni dodici mesi, in Francia arriva al 70,in Svezia all’80 per cento. Gli italiani leggono poco,dunque. E su cosa si punta per allargare il mercato? An-cora una volta, maggiori promozioni (pubblicitarie) chepossono mettere in atto solo i grandi gruppi. Spiega unlibraio: «Se esce un libro di un editore piccolo che nonha pubblicità io lo tengo una settimana». Per quel che riguarda la grande distribuzione il mecca-nismo è ancora più perverso: le grandi catene hanno unalgoritmo che controlla i movimenti. Dopo quindicigiorni, nel caso il libro non venda, la fine nello scatolonedelle rese è certa. Risultato: se vent’anni fa un titolo re-stava in libreria almeno quattro mesi, oggi al massimoil ciclo è di quaranta giorni. E si rischia di non trovarela Repubblica di Platone se nell’algoritmo della movi-mentazione quel testo non ha venduto. La bibliodiversità. L’altra strada intrapresa dall’editorianegli ultimi quindici anni per reggere il peso della con-correnza è stata la sovrapproduzione. Fino a inventarsicollane economiche che danno l’idea di qualcosa dinuovo ma senza puntare alla qualità. «Capita semprepiù spesso che le grandi case editrici ritirino intere tira-ture perché ci sono volumi che escono con pagine bian-che, errori in copertina», dice Andrea Spazzali dellaCentofiori di piazzale Dateo a Milano. Tra le vie alter-native all’occupazione di spazi, la funzione salvifica di

alcuni premi. Il premio Tropea ha ripescato Mia madreè un fiume (Elliot) di Donatella di Petrantonio che dopoquesto riconoscimento ha fatto cinque edizioni.La decrescita. Se la comunicazione del grande editorepunta ad avere risultati massimi su titoli di grande ri-chiamo a scapito di altri, c’è chi invita a produrre menoin una specie di slow food del libro dove non solo l’edi-tore, ma anche il libraio, abbia più tempo per gestire ilsuo assortimento. Così Marco Zapparoli, coeditore dimarcos y marcos, ha lanciato un piano di decrescita:«Facevamo diciotto novità di narrativa all’anno, siamocalati a tredici. I soldi che mettevamo nel produrre liimpieghiamo per dare condizioni più agevolate ai libraiindipendenti». Zapparoli spera nell’effetto contagio confortato dal fattoche in America, dopo la crescita di Amazon e la crisidelle grandi catene, si è creato spazio per una nuova ge-nerazione di piccoli librai creativi. Ovviamente tuttoquesto sconquasso capita nell’èra dell’ebook (non toc-cato finora dalla nuova legge). «Se si pensa a regolamen-tare anche il prezzo del libro digitale si deve partire dalfatto che sono i lettori a fare la promozione sui socialnetwork», dice Marco Ferrario, dello store digitale BookRepublic. «Se il lettore di ebook pensa che un libro costitroppo, finisce per cedere alla tentazione di scaricarlo il-legalmente». La via per il prezzo giusto senza affossare l’editoria e stareal passo coi tempi è ardua. Chi se la sta cavando in que-sta bufera è Newton Compton, più 20 per cento di fat-turato, che va benissimo con gli ebook e due bestsellerin classifica cartacea: Regalo da Tiffany di Melissa Hill eIl libro segreto di Dante di Francesco Fioretti. «Una leggeci voleva», dice Raffaello Avanzini di Newton: «Ma peri piccoli può essere un boomerang: se un libro non sivendeva prima non si vende neanche adesso». La ricetta?«Qualità a un prezzo accessibile: non superando gli 11euro in copertina, puntiamo sul rapporto col libraio esul passaparola. La follia è che in Italia il prezzo mediodi un bestseller è di 18 euro. E questo perché ogni voltache c’è un libro che va forte in Usa e in Gran Bretagnafacciamo offerte stratosferiche. Siamo il primo paese peranticipi pagati. E chi lo paga alla fine questo sul prezzodi copertina? Ancora una volta il lettore».

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Quando l’editore punta sul teatro

Anna Bandettini, la Repubblica, 19 settembre 2011

Da un bel po’ di tempo l’editoria teatrale non è più ilsettore isolato e negletto di una volta, grazie al lavoroprezioso di nuovi autori ma anche delle case editrici(Titivillus, Ubulibri, Casa Usher, Bulzoni) diventatepiù curiose, attente. Nessuno però aveva mai scom-messo sull’incrocio tra il lavoro dell’editoria e quellodel teatro che si fa e si vede, per restituire un’imma-gine più autentica di quello che accade in scena.Ci ha pensato Editori Internazionali Riuniti che avviauna nuova collana, Parole in scena, strettamente con-nessa al lavoro di un teatro, il Belli di Roma, al registaCarlo Emilio Lerici e a Massimo Vincenzi, dramma-turgo e giornalista di Repubblica. «La loro collabora-zione è stata essenziale per le nostre pubblicazioni»spiega Cristina Guarnieri, direttrice editoriale degliEditori Internazionali Riuniti «perché, certo, il teatroè i grandi classici, Shakespeare e Pirandello, ma quelloche noi vogliamo promuovere è soprattutto il teatrocontemporaneo, testi che si contaminano con lascena». Ed è evidente come questo sia anche il segnodi una ritrovata centralità del palcoscenico. Non soloclassici appunto, ma lavori di oggi, visto che tantagente oggi li segue e tanti oggi ci lavorano, con unavitalità nuova.La scelta degli Editori Internazionali Riuniti ha il suobattesimo con Gli occhi al cielo (pagg. 43, euro 7,90)di Massimo Vincenzi. Scritto a due voci, andato inscena proprio al Teatro Belli con l’attrice FrancescaBianco, contrappone la normalità del privato di duedonne a due tragedie mondiali che di lì a poco, conesiti diversi, cambierà le loro vite: la donna di Kokura,la città giapponese che il 9 agosto del ’45 fu risparmiatadall’atomica per una casualità (le nuvole in cielo cheoscurava la città all’aereo) e la donna di Manhattan che

l’11 settembre 2001 esce di casa per andare a lavorarein una delle Torri Gemelle. Il lettore-spettatore vienecondotto a scoprire le tragedie con la stessa emozionedelle due donne che raccontano di sé, dei figli, del-l’amore, del lavoro, della vita, in un mosaico di senti-menti, pudico e semplice, che diventa bruciantequando alla fine una delle due perderà via via il con-tatto con la realtà. «È questo genere di testi che vo-gliamo pubblicare: storie contemporanee capaci di rac-contare il quotidiano, il mondo, ma non con illinguaggio della cronaca, bensì in una forma epica,poetica», spiega Cristina Guarnieri.Su questa linea, Parole in scena ha molti progetti: testiinediti per l’Italia, testi che hanno già avuto vita inscena, testi popolari ma persi nel tempo come A megli occhi please che sarà la prossima uscita. Lo scrisseRoberto Lerici nel ’76, diventando il cavallo di batta-glia di Gigi Proietti che poi negli anni e nelle sempreaffollate repliche, da mattatore e guitto, ci mise moltodi suo: il testo originale è dunque un documento d’an-tan e una istruttiva testimonianza sulla relazione tralavoro d’attore e testo.Sempre di Vincenzi si pubblicherà anche Alan Turinge la metà avvelenata, un dolcissimo monologo (già an-dato in scena con Gianni de Feo e la regia di CarloEmilio Lerici al Teatro Belli) sul matematico inglesemorto suicida, inventore della macchina che decifravail codice Enigma dei tedeschi: un genio malinconicoche il governo inglese processò per atti osceni, perchéera omosessuale.Ma un’altra presenza importante della collana sarannogli autori dell’est Europa, voci soffocate nel loro paese,mai conosciute in Italia. Un prezioso segno che il tea-tro rompe il muro del silenzio.

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La passione del libro è in fabbrica

Il successo di Grafica Veneta, stamperia dei record. Ogni ora quindicimila copie. Ecologica. Un impianto a biomasse ricicla i rifiuti

Alessandro Zaltron, Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2011

«La persona che più mi ha col-pito? J.K. Rowling, l’autrice diHarry Potter, nonché maggiorecontribuente del Regno Unito.L’ho incontrata a Londra primadella pubblicazione dei suoi libriin Italia, curata da noi di GraficaVeneta: una grande professioni-sta, decide tutto, non lascia nullaal caso. Del resto, vendere mi-lioni di copie in tutto il mondo,il 95 per cento delle quali in otto giorni dall’uscita, nonè un risultato che accade da solo, spontaneamente.Quando sistemi i dettagli, arriva il successo».A Trebaseleghe non se lo scorderanno rapidamente,Harry Potter. C’erano ventitré persone di un’agenziaspecializzata, a guardia, dentro e attorno allo stabili-mento di stampa, perché se solo l’immagine di coper-tina dell’ultimo capitolo della serie del maghetto fosseuscita anzitempo, Grafica Veneta avrebbe dovuto pa-gare una penale di cinque milioni di euro. Ma, al dilà dei guadagni – più d’immagine che economici –rapportarsi con simili fenomeni aiuta a crescere pro-fessionalmente.Fabio Franceschi lo sa bene che nessuno ti regalaniente; e sa pure che, se lavori tanto e con cura, qual-cosa di buono viene fuo ri. Lo testimonia Grafica Ve-neta, la tipografia – anche se il termine è forse riduttivo– di cui è titolare. Il padre di Franceschi conduceva

una micro azienda, attiva fin daipri mi anni Sessanta: stampavamoduli per la pubblica ammini-strazione, dava lavoro a settepersone e opera va a Loreggia,sempre nel Padovano. Quandoil papà viene a manca re, Fabioha appena 18 anni: sta iniziandoa muoversi nel settore im -mobiliare, però entra ugual-mente nell’azienda di famiglia e

nel 2000 la rileva in toto. Decide allora di buttarsi suilibri, a partire dagli allegati dei quotidiani.«Perché i libri? Perché mi sem brava un’area di poten-ziale espan sione. E poi il libro ha una sua ani ma»commenta l’imprenditore «difficile che venga buttatonel ce stino; lo consideravo un prodotto bello e un fu-turo possibile. Il pri mo volume che stampammo, melo ricordo ancora, fu Donna Lakota, nel 2001».Sono passati dieci anni netti e di tomi ne hanno sfor-nati parecchi le rotative di Grafica Veneta. Romanzi,enciclopedie, testi scolastici. Un piccolo miracolo, inforte contro tendenza, generale e di settore. «L’editoriaè in crisi; gli italiani non leggono; si pubblicano an-nualmen te più titoli di quante non siano le copie ven-dute». Sono affermazioni inquietanti e probabilmentefonda te. Per tutti tranne che per il presi dente Fran-ceschi, oggi quarantaduenne. Che si lamenta, sì, maperché la sua crea tura sta crescendo «solo» del 20 per

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Oblique Studio | Rassegna stampa settembre 2011

cento nel 2011 sull’anno scorso. Dopo che il 2010aveva chiuso a quota 149 mi lioni di copie distribuitenell’intero pianeta, con un incremento del 15 percento nella tiratura e un aumento di fatturato del 30per cento. Del resto, il 55 per cento dei libri che sitrovano in vendita in Italia portano nei crediti il nomedi Grafica Veneta.L’ultimo bilancio aziendale si at testava a 127,5 milionidi euro, i di pendenti che lo producono sono 230: etàmedia 35 anni, con apertura ad alcuni «over» che lacrisi ha reso disoccupati. Ai giovani l’azienda riservala possibilità di ottenere un fi do fino a ventimila europer l’acquisto o la ristrutturazione della casa.Quel che stupisce è come, in ap pena un decennio,una new entry sia riuscita ad accaparrarsi un mer catomaturo conquistando il primo posto in Italia e il terzoin Europa per quantità di copie stampate. «Nel 2001consegnavamo in tre set timane, oggi in un giorno ilcliente ha il libro. Lavoriamo 24 ore su 24, sette giornisu sette» risponde il pa(t)ron. «È questo il modonuovo di fare impresa da noi introdotto. Una voltal’editore doveva occupar si di molte faccende, oggi hasolo il problema di vendere, al resto pen siamo noi.Servizio flessibile e qua lità: un decennio fa pochi a li-vello europeo lavoravano così, il nostro è stato un ap-proccio culturale diverso al mercato».La divisione H24 Instant Book resta infatti un fioreall’occhiello: un gruppo di lavoro specializzato, ingrado di stampare, confeziona re e consegnare, ancheoltre ocea no, volumi con tiratura fino a diecimi lacopie nello spazio di un giorno e una notte.Grafica Veneta serve sessanta gruppi editoriali, dalBrasile alla Romania, ed è il primo produttore di libriin paesi come la Russia. Per conquistarla, a Trebasele-ghe si sono in ventati perfino i libri profumati: nonsemplicemente odorando l’in chiostro, tecnica giànota, bensì stendendo un velo di profumo so pra lacarta. Un sistema brevettato, a base di essenze naturalie comple tamente senza chimica. Niente da dire: ri-sulta più avvolgente l’imme desimazione ne Il richiamodella foresta di Jack London avendo la reali stica per-cezione olfattiva del bosco grazie agli olii essenziali dipino che si sprigionano dalle pagine.

Poi, soprattutto per accaparrarsi il Nord Europa(Svezia in primis), assai attento all’ambiente, GraficaVeneta si è votata all’ecosostenibili tà. Utilizza cartacertificata Fsc, colle ad acqua, inchiostri ecologici,co pertine in plastica biodegradabile. Ha ricoperto iltetto della fabbrica di pannelli fotovoltaici, l’equiva-len te di dieci campi di calcio. Un im pianto da tre-mila kWp.«Siamo l’uni ca realtà carbon free in Eu-ropa» di ce soddisfatto Franceschi. «Me diante 13.360pannelli solari rispar miamo l’immissione in atmo-sfera di oltre duemila tonnellate di CO2 all’anno. Indodici mesi produciamo venti milioni di kWh. Unaquantità suffi ciente non solo a renderci autosuffi -cienti dal punto di vista energetico per le esigenzeindustriali, ma an che potenzialmente in grado disod disfare tutte le famiglie di Trebase leghe, checonta didicimila abitanti».La green economy però non fini sce qui. «Ci accin-giamo ad azzera re i nostri rifiuti: i rifili della carta(abbiamo un 7-8 per cento di scarto), li uti lizzeremoanch’essi per generare energia all’interno di un im-pianto a biomassa in fase di realizzazione. Dagli sta-bilimenti usciranno sol tanto libri. Vogliamo che lanostra realtà sia totalmente verde». L’ultima fron-tiera di Grafica Veneta è la nascita della Città dellibro, previ sta entro il 2012, «una piccola citta dellain mezzo al paese. Vorremmo» auspica Franceschi«che il nostro spazio attrezzato fosse vivibile e ac -cessibile a tutti, con oasi della lettu ra, osservatoriimprenditoriali e percorsi didattici per i più giovani.Passeremo da cinquanta a centomila metri quadratidi superficie produttiva, per un investimento com-plessivo di circa cinquanta milioni. A chi ci obiettache siamo pazzi a puntare così tanto sul libro carta-ceo, ribatto che in base ai nostri studi l’ebook nonarri verà mai a superare il 15-18 per cento comequota di mercato».A riconferma, da via Malcanton continuano a partireventicinque autorimor chi di libri al giorno, meritodelle quindicimila copie sfornate ogni ora. La stampe-ria dei bestseller prosegue a pieno ritmo. Dopo StiegLarsson, la saga di Twilight, Faletti e Harry Potter,sotto a chi tocca.

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Il mercato editoriale, a livello mondiale, è un mercatomaturo nel quale sono avvenuti importanti cambia-menti negli ultimi venti anni, soprattutto nell’ambitodella vendita: le grandi catene hanno avvicinato allibro milioni di lettori e non lettori e lo hanno resopiù familiare, personale, «normale». Non più un og-getto di cultura alta ma comune, di tutti i gior ni. Lelibrerie sono diventate luoghi di socializzazione, dipartecipazione (anche se silente) e di ristoro.Le grandi catene, come a suo tempo il fenomeno deitasca bili e poi il mass market, hanno allargato la basedei lettori. Ciò non significa per forza un migliora-mento, perche la quantità e l’efficienza sui servizi(stock leggeri, turnazione sempre più veloce, eccetera)può andare sicuramente a di scapito della scelta di unlibro, che è per sua natura slow, ha bisogno di tempoper essere scelto e letto.Ebbene, già qualche anno fa, prima ancora del pre-potente avvento degli ebook, catene come Barnes &Noble o Bor ders cominciavano a dare segnali di sof-ferenza e di tenuta finanziaria, e oggi sono sul filodella bancarotta.Amazon è stato il killer delle librerie «umane», doveil li braio poteva consigliare meglio per il singolo let-tore? Cer tamente no. Anzi, al contrario Amazon haconsentito a mi lioni di lettori nel mondo di trovarelibri ormai sperduti nei magazzini. Come scriveChris Anderson nella Coda lunga, il 35 per centodel fatturato libri di Amazon è prodotto da libri«clande stini», fuori dalla normale reperibilità. MaAmazon non ha fatto solo questo: ha anche creato

La nostra abitudine di lettori ci ha trasmesso per se-coli, da Gutenberg in poi, l’idea che vi fosse sempreun luogo dove «riparare» i libri, un posto dove riporliper leggerli, toccarli, conservarli, ammirarli. Questiluoghi erano, e sono tuttora, le biblioteche pubblicheo scolastiche, ancor più la nostra biblioteca «privata»dove – co me lembi di terra che nel tempo stratificanola nostra curio sità e memoria – abbiamo protetto unaparte di noi stessi, ciò che abbiamo letto e che è di-ventato, poco o tanto, un pez zo importante del nostroessere.La Yourcenar in Memorie di Adriano parlava delle bi-blio teche come granai per proteggerci dal gelo dell’in-verno della cultura e Elias Canetti nella Provinciadell’uomo scrive di quanto il semplice gesto fisico dicatturare un libro, silente da anni, dalla propria bi-blioteca ci possa aprire un mondo, o addirittura ilMondo.Ma oggi tutto sembra cambiare, veloce mente, molto ve-locemente. I libri digitali, gli ebook, dopo anni di «as-saggi» stanno pren dendo piede in tutto il mondo: negliUsa do po quattro anni di diffusione rappresentanoormai più del 12 per cento del mercato, e crescono aritmo esponenziale, lasciando sul campo feriti e dispersi.In Europa, e anche in Italia, rap presentano ancora unmercato marginale, ma che prospetta un avvenire ra-dioso, con tendenze di crescita pari a quelle americane.Tutto ciò rappresenta davvero un pericolo? Sarà tuttopiù algido per i lettori, senza il profumo, il tatto, ilcolore del libro stampato? Proviamo ad andare conordine.

Vittorio Bo (editore di Codice edizioni), Prima comunicazione, 24 settembre 2011

I libri cambiano

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«Amazon è stato il killer delle librerie “umane”, dove il li braio poteva consigliare meglio per il singolo lettore? Cer tamente no. Anzi, al contrario Amazon ha consentito a mi lioni di lettori nel mondo di trovare libri ormai sperdutinei magazzini»

duzione e il compatta mento da carta a impulsi, daprint a bit, con tutti i benefici e i rischi di cui si è soloin parte accennato, ma anche e soprattutto un nuovomodo di produrre contenuti, che saranno dei libri in-telligenti, costruiti sulla base di dati, teorie, narrazionisempre più ricche.Pensiamo alla ricchezza e alla novità di prodotti comeOur Choice di Al Gore o The Elements di C. Gray(ebook, libri, applicazioni?): non siamo di fronte afurbi giochini per attrar re più ruffianamente il lettore,ma a nuovi processi di elabo razione e visualizzazionedei contenuti. E pensando a casa nostra scorriamo lasplendida edizione digitale del catalogo della Biennaledi Venezia, una vera mostra nella mostra.Insomma: io credo che la rivoluzione sia appena co-mincia ta, che il panorama dei soggetti che operano inquesto mer cato muterà profondamente e sono con-vinto che in futuro sarà anche più grande. Agenti chesi mettono a fare gli editori co me Wylie o Ed Victor(non solo per fare business, ma anche per difendere icataloghi dei loro autori), strutture indipen denti cheper prime si lanciano su questo mercato come Boo-kRepublic, con successo e grande capacità, mobilità econtinua innovazione.Quello che mi auguro – ma sono sicuro sarà così – èche i libri non perdano mai quello che definisco illoro «colore specifico»: autenticità, interesse, sorpresa,curiosità.

un intelligente database di lettura, personalizzato,in grado di consigliarci libri profilati sui nostri in-teressi: «Se tu compri questo libro, questi sono i no-stri suggerimenti, questi sono i libri che altri comete han no comprato». Amazon ci conosce, e bene,molto bene. È un male? È un Grande Fratello checi impone scelte obbligate? Non credo.Poi è arrivato il Kindle, e gli argini sono saltati, deltutto, prepotentemente. Ciò che prima era solo carta,ora è anche bit. Una libreria sterminata, che tenderàsempre più a cre scere, in diverse lingue, che rendel’esperienza d’acquisto fa cile, immediata, diretta.Tutto sembrerebbe segnare il destino dei vecchi ope-ratori del mercato, in particolare distributori e librai,ma anche editori. Eppu re io credo non sia e non saràcosì, a patto di cogliere la sfida, di reinventarsi un po’il me stiere. Negli Usa sta crescendo in maniera si -gnificativa il numero delle librerie indipen denti: vuoldire che quei venditori sono tor nati a fare un mestiereprezioso, di supporto e accompagnamento ai lettori. Isupporti di gitali, da Kindle a Sony, stanno crescendoed evolvendo rapidissimamente, ma soprattutto stannoentrando nelle abitudini di lettori e non lettori.La grande biblioteca di Google o di Ama zon fa paura?Solo se la si guarda come una minaccia per sottrazionee non come uno sti molo per differenza e aggiunta. La trasformazione che stiamo vivendo non rappresen-terà solamente ciò che oggi è già evidente, e cioè la ri-

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Sorrisi, applausi e digrignar di denti

C’è chi plaude e chi protesta, chi sorride soddisfatto e chi digrigna i denti. La leg ge Levi (dal nome del primo firmatario Ri cardo Franco Levi, parlamentarepd), ap provata in via definitiva il 20 luglio e in vigore dal primo di settembre,segna un limite agli sconti e soprattutto ai su persconti che si possono applicaresul prezzo di copertina dei libri. Il tetto massimo fissato al 15 per cento coincide(e molti dicono: non a caso) con lo sbarco in Italia di Amazon che ha desta to moltepreoccupazioni tra i li brai old style ma anche per i negozi online come Ibs. La nuova legge prevede che gli stessi editori abbiano limiti di sconto che non possono andare oltre 25 per cento e solo nell’ambito di promozioni non superiori al mese, da non tenersi a dicem bre. Il dibattito si è fatto infuocato tra chi, in sostanza, saluta con favore questo provvedimento che andrebbe nella direzione di tutelare so prattutto piccoli editori e li brai indipendenti, e chi, sul fronte opposto, lo considera distorsivo del mercato, pena lizzante per i consumatori e fatto apposta per frenare i grandi store online come Amazon. Qui di seguito le po sizioni di chi è a favore e chi contro la legge Levi

Librai molto favorevoli«È un passo importante che permet terà alle librerieindipendenti di compe tere in un mercato più equili-brato. È una normativa che corregge l’anomalia del-l’Italia, paese in cui i grandi editori sono anche ven-ditori con inevitabili squili bri sui prezzi». Lo ha dettoPaolo Pisanti, presidente dell’Ali, l’Associazione libraiitaliani aderente a Confcommercio. Secondo i libraiquesta legge, che «rappre senta una tappa cruciale pertutelare e rafforzare il ruolo delle librerie», regola -menta in maniera chiara le promozioni, le vendite aldettaglio, online, alle biblio teche, ad archivi e museipubblici, po nendo fine alla totale deregulation che,soprattutto negli ultimi anni, «ha costret to alla chiu-sura molte librerie indipen denti».

Bibliotecari nettamente contrariL’allarme è secco: non riusciremo più ad acquistare ivolumi. La legge Levi prevede una deroga per le bi-blioteche, gli archivi, le università e i musei pubblici.Stabilisce che in questi casi lo sconto massimo sia del

20 per cento. Ma anche così le prospettive sono nere,denuncia Stefano Parise, presidente dell’Aib, l’Asso-ciazione italiana biblioteche, in una lettera aperta in-viata in agosto al presidente della Repubblica e ai pre-sidenti di Camera e Senato: «Le biblioteche hannogoduto sino a questo momento di percen tuali disconto più elevate grazie alle politi che di vendita ef-fettuate a loro favore di rettamente dagli editori o dagliinterme diari specializzati che competono sul mer catodegli appalti pubblici di fornitura. Questa situazione,determinata da dinami che di libera competizionecommerciale, ha compensato, almeno parzialmente,la significativa riduzione di risorse economi che a di-sposizione a seguito degli interven ti di contenimentodella spesa pubblica. Da settembre, con l’entrata invigore del ddl Levi, sarà come se sulle biblioteched’Italia si abbattesse un’altra manovra fi nanziaria».L’Aib aveva chiesto la piena esenzione per le bibliote-che dalle norme previste dalla nuova legge, ma non èstata accon tentata.

Giuseppe Lisbona, Prima comunicazione, 24 settembre 2011

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Grandi editori molto favorevoliMarco Polillo, presidente dell’Aie, l’As sociazione ita-liana editori, è molto sod disfatto «per l’approvazionedella legge che regolamenta finalmente gli sconti sullavendita dei libri e migliora sostanzialmente la situa-zione attuale, di fatto senza controllo, attraverso unaregola mentazione del mercato». Secondo Po lillo «si ècercato di garantire in maniera sostanziale le librerieche si rivelano risorsa fondamentale per la diffusionedella cultura nel nostro paese anche in un periodo digrande sofferenza econo mica». Parole simili a quelleusate dallo stesso Levi per giustificare la legge di frontealle critiche di bibliotecari, con sumatori e lettori: «Nelmercato del li bro così come è oggi organizzato, nonesistono, di fatto, limiti agli sconti prati cabili e si as-siste, come logica conse guenza, a una vera e propria esempre più aspra “guerra degli sconti”. Questo, da unlato, porta alla progressiva espul sione dal mercato deisoggetti più debo li, a partire dai librai indipendenti edai piccoli editori, e quindi a un grave im poverimentodell’offerta culturale e dello stesso pluralismo dell’in-formazione; dall’altro lato, crea le condizioni per untendenziale aumento dei prezzi di co pertina, poiché,a fronte di sconti sem pre più alti, gli editori logica-mente ri spondono con incrementi dei prezzi tali daricostruire i margini di profitto».

Piccoli editori indipendenti insoddisfattiAl gruppo I mulini a vento che riunisce sette editoriindipendenti (Donzelli, Instar libri, Iperborea, LaNuova Frontiera, mini mum fax, nottetempo, Vo-land) questa leg ge non piace un granché. Apprezza ilten tativo di «mettere ordine» nel settore ma avrebbevoluto norme più stringenti. Spiega Pietro Biancardi, di Iperborea: «Se si pensa,come noi, che le librerie indi pendenti su tutto il ter-ritorio e un maggior numero di titoli disponibili sulmercato siano una fondamentale risorsa culturale perun paese, allora la cosa più saggia era dotarsi di unalegge sul prezzo fisso. Da anni I mulini a vento si bat-tono per una legge sul modello tedesco o francese, ov-ve ro con il prezzo imposto univocamente dall’editore,e non scontabile se non dopo diciotto o ventiquattro

mesi dalla pubblicazione. Tra tutti i paesi che si sonodotati di una legge sul libro, solo l’Italia ha permessoun così alto grado di elasticità: sconto massimo del 15per cento, ma con deroghe. Eppure il 15 per cento èuno sconto che una libreria indipendente diffi -cilmente riesce a permettersi. E allora per ché il 15 percento? Perché il 15 per cento è uno sconto che è so-stenibile per le catene e per le itali che librerie online,che in questo modo riescono da un lato a rimanerepiù appeti bili di una libreria indipendente, e dall’al -tro a essere concorrenziali rispetto a pesci più grandidi loro: supermercati o agguer riti competitor ameri-cani. E allora chi va davvero a proteggere questa legge?Noi dobbiamo essere contenti? No, questa leg ge nonsoddisfa neanche noi. Ma si tratta di un primo passo– maldestro – nella dire zione giusta».

Lettori nettamente contrariIl tetto agli sconti non piace per nulla a chi i libri liacquista e che d’ora in avanti risparmierà meno. Nellescorse settimane si è accesa la protesta sui blog. Il gior-nale online Il Post di Luca Sofri è stato subissa to dicommenti negativi sulla legge, men tre ha avuto unsorprendente successo (con migliaia di firme raccoltein pochi giorni) la petizione online promossa dall’Isti-tuto Bruno Leoni. Secondo questo istituto, che pro-muove «idee per il libero mercato», è insensato che «lalegge inter venga in un settore commerciale che nonpresenta peculiarità tali da far ritenere le gittimo unintervento legislativo per finalità sociali». Oppure,considerando che la diffusione della lettura sia un finesociale e che si voglia promuovere la cultura, «non sivede come un divieto di fare sconti e promozionipossa agevolare il lettore ad acquistare più libri e ac-crescere il proprio livello culturale. Come può la li-mitazione pianificata di sconti e strategie promozio -nali contribuire alla diffusione della cultu ra e dellalettura?».

Associazioni dei consumatori nettamente contrariLa stretta sulle promozioni danneggia le famiglie emette a rischio il 30 per cento delle vendite, secondoCasper (comitato che riunisce Adoc, Codacons,

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Store online degli editori, critiche più sfumatePiù sfumata la posizione di due dei più grandi storeonline di libri, Bol e Ibs, controllati da grandi gruppieditoriali co me Mondadori e Giunti-Messaggerie. In -ternet Bookshoop si è limitata a lanciare nelle scorsesettimane un’offerta quasi da liquidazione (un Fuoritutto su 150 mila prodotti con sconti fino al 75 percento), «valida fi no al 31 agosto». Senza che in homepage venisse spiegato perché il termine del maxisconto era proprio il 31 agosto. Si mile la posizione diBol, che è arrivata al 31 agosto con sconti del 40 percento, per poi scendere al 15 per cento dal primo set-tembre senza fare rumore.Vittorio Veltroni, direttore generale del settore Digitaldi Mondadori, non si sbi lancia sui possibili riflessidella legge su Bol.it: «È ancora troppo presto per ca-pire quali saranno gli effetti della legge Levi. Alla finedi agosto abbiamo visto un picco di consumi per ap-profittare dei forti sconti prima dell’entrata in vigoredella legge e un conseguente rallentamento a iniziosettembre. Non siamo quindi anco ra in grado di com-prendere quale sarà la reazione dei consumatori a que-sto nuovo scenario».Non nega, Veltroni, che le cose per l’in dustria cultu-rale italiana non siano messe affatto bene. E che il set-tore degli store online è anche penalizzato, per quantoriguarda gli ebook, da un’Iva che pesa per il 20 percento contro il 4 per cento dell’imposta sui volumicartacei: «Certo è che nell’interes se del consumo cul-turale, soprattutto in un momento economicamentedifficile come questo», spiega Veltroni, «sarebbe ne-cessario accompagnare questa legge con un decre-mento dell’Iva sugli ebook per portarla ai livelli dellibro cartaceo».Interlocutoria anche la posizione di Mauro Zerbini,amministratore delegato di Ibs, che però non disdegnaun paio di sciabolate sulla nuova legge: «Condividole ragioni della norma, fatta a tutela dei pic coli ope-ratori. Lo stesso motivo per cui è stata fatta una leggesimile in Francia e in Germania. Solo che lo scontomassimo in Francia è il 5 per cento e in Germaniazero. Ecco, io avrei preferito una soluzione più vicinaa quella di questi paesi, piuttosto che la nostra: avrei

Movimento di fesa del cittadino e Unione nazionaleconsumatori). I prezzi dei prodotti edito riali sonogià superiori alla media euro pea dell’8 per cento(con 16,10 euro per un bestseller) e del 46,1 percento rispetto agli Stati Uni ti. Per contrastare «unalegge assurda», le associazioni mettono i loro sitiweb a di sposizione delle imprese che vogliono ven-dere libri in promozione. Le nuove norme non val-gono, infatti, per i «libri aziendali», testi che, comefunziona per le auto, sono stati già utilizzati dall’im -presa e possono quindi essere venduti con sconti su-periori al 15 per cento.

Store online indipendenti nettamente contrari«Caro cliente, a breve ti offriremo la pos sibilità discegliere tra un catalogo di centi naia di migliaia dilibri usati. Ora, invece, ti diamo un’ultima possibi-lità di acquistare fino al prossimo 31 agosto i tuoilibri preferiti a prezzi mai più ripetibili. Scopri, perle prossime settimane, gli oltre 235 mila li bri in ita-liano che ti offriamo con uno sconto di almeno il 40per cento sul prezzo di co pertina». Così si poteva leg-gere fino ad agosto sul sito di Amazon.it. Che a set-tem bre, come promesso, ha fatto partire un serviziodi marketplace per i libri usati (che non rientranonella disciplina della nuova legge), con sconti liberi.Anche altri negozi online hanno reagito. Chi sfi-dando la legge, come il piccolo editore LeonardoFacco, sul fronte liberista, che propone uno scontodel 60 per cento «fuorilegge»; chi, come il sito di Li-beriLibri, che si presenta con messaggi più ammic-canti: «Gentili clienti, dal primo settembre è in vi-gore la legge sul prezzo dei libri, che impone un tettomas simo di sconto e una limitazione alle campagnepromozionali. Le nuove regola, for temente e pub-blicamente contrastate dalla LiberiLibri anche nellediverse sedi istitu zionali, ci costringono a ridurre glisconti finora praticati nelle vendite dirette onli ne.Di questo la LiberiLibri si rammarica, ma ha indivi-duato modalità alternative che si augura consentanodi mantenere inalterate le condizioni preesistenti difidu cia e amicizia con i lettori, nel rispetto dei nuovivincoli legislativi».

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con sconti al 25 per cento, che ora possono essere fattesolo dall’editore, una volta all’anno, non nel mese didicembre: «Da questo punto di vi sta la legge ha suo-nato le campane a mor to per il marketing editoriale.D’ora in avanti nessuna libreria potrà scontare un edi-tore quando e come vuole lei: lo sconto sarà ugualeper tutti e dovrà essere fatto nello stesso periodo datutti. Speriamo che qualcosa di questa legge si possacambiare».Asettica, infine, la posizione di un altro grande editoreche online vende diretta mente con il proprio nome.Si poteva leg gere sul sito Feltrinelli.it: «Vi avvisiamoche dal primo settembre 2011 entrerà in vigore lalegge sul libro – legge Levi. Questa legge prevede chenon possano essere applicati sconti superiori al 15 percento sul prezzo di coper tina (massimo 25 per centoper le campagne stabi lite dagli editori stessi). In pre-visione di tale normativa, solo fino a mercoledì 31agosto, ti proponiamo tutto il catalogo Libri con unosconto minimo del 30 per cento».

evitato di fare finta di fissare un prezzo a cento chepoi in realtà significa 85 con lo sconto».E i riflessi sulle librerie online, abituate a fare scontidel 20, 25 e anche 30 per cento? «Dob biamo vederenelle prossime settimane quale sarà la risposta delpubblico. Devo dire, però, che noi usavamo la levadello sconto per operazioni editoriali e di marketingtemporanee. Il grosso dei nostri asset stava anche e so-prattutto nella qualità del servizio, fattore che d’orain avanti sarà ancora più centrale nelle nostre politi -che commerciali. Diverso era il discorso per altri storeonline, soprattutto stranieri, e mi riferisco ad Amazonche praticava una politica di sconti feroce. Una cosanon impossibile per il gruppo americano che fatturaa livello globale 20-30 volte quello che è il fatturatodell’intera industria libra ria italiana».Oltre all’Iva al 20 per cento sugli ebook («il digi tal diIbs vale il 10 per cento delle vendite giornaliere, macosì non viene di certo incentiva to») per Zerbini l’altropunto dolente della legge è quello sulle promozioni

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Domenico Scarpa, Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2011

Chi invece compose apologhiantifascisti mentre Mussolini eratuttora al comando fu Italo Cal-vino che aveva due anni meno diSciascia (classe 1923) e che a par-tire dal marzo 1943 produsseuna ventina di brevi racconti.Subito dopo la guerra meditò diraccoglierli: «L’apologo nasce intempi d’oppressio ne. Quandol’uomo non può più dare chiaraforma al suo pensiero, lo esprimeper mezzo di favole. Que sti rac-contini corrispondono a una

serie d’esperien ze politiche o sociali d’un giovane du-rante l’agonia del fascismo». Alla fine non si decise apubblicare, ma se lo avesse fatto avrebbe accompa-gnato i testi con le date di stesura: «Si deve guardare aqueste date, e per giustificare certi apologhi che ogginon avrebbero senso, e per seguire l’evolversi della con -cezione dello scrittore, come egli dallo scetticismo piùpessimista riesce a poco a poco a trovare qual che puntofermo, l’avvio per una fede positiva».A differenza di Calvino, Sciascia non dà informa zionisulla cronologia dei testi. Fa bene, perché le sue favolenon perdono significato col mutare del quadro politico

Nel primo libro di LeonardoScia scia, Favole della dittatura, lefavole sono ventisette, tutte bre-vissime. La quinta si risolve indue frasi – «Il cane abbaiava allaluna. Ma l’usignuolo per tutta lanotte tacque di paura» – suffi-cienti per mettere in moto unacausalità trasversale: la pauranasce da un malinteso consen-tito a sua volta da un contestoche il testo ci tace.I topi, le talpe e le faine – tutti glianimali che rosic chiavano ai mar-gini di quella che costituiva la legalità di una fattoria –progettavano una rivoluzione. I topi erano accesissimi. Mafu una talpa a preoccuparsi della data. «In inverno», disse«ci sono state cose favorevoli, in inverno«. E qui diventòeloquente e precisa; fu accla mata. Nessuno dei topi pensòche, d’inverno, le talpe profondamente dormono.Questa aspra barzelletta era la numero undici: nellefavole di Sciascia si avverte la presenza di un retropen-siero: chi agisce nel testo la sa più lunga di chi legge echi scrive la sa più lunga di tutti. Non sappiamoquando siano state scritte (il libro esce nel 1950), macerto dopo la fine della guerra.

Il primo testo dello scrittore siciliano è dedicato al genere reso celebre da Esopo. Animali, piccoli fatti, morali chiare. Ma per chi scrive Sciascia? Un minimo spostamento nel titolo getta nuova luce sulla vicenda

Le favole politiche di Sciascia

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con sei delle favole di Sciascia. Il titolo di questa prima– e unica – anticipazione del suo esor dio è Favole peril dittatore: «per il dittatore», non «della dittatura». Laprospettiva cambia: nel 1950, Favole della dittaturaallude al ventennio fascista sen za margini di equivoco;«la dittatura» è un’antono masia, è Benito Mussoliniin persona. Succede l’in verso con il destinatario inno-minato di favole conce pite «per il dittatore» quandoormai quel dittatore non c’è; adesso – nel settembre1948, cioè poco dopo le elezioni politiche stravintedalla Democra zia cristiana e in piena guerra fredda –il dittatore, benché preceduto dall’articolo determi-nativo, è un personaggio in cerca di un nome.Sottigliezze? Non proprio: il quotidiano Sicilia del Po-polo che ospita in terza pagina Favole per il dittatore èl’edizione palermitana dell’organo demo cristiano IlPopolo. Sciascia, che democristiano non è, cominciaproprio con le Favole una saltuaria collaborazione allatestata. Sul giornale del partito cattolico e in quellastagione civile, «il dittatore» si svincola dalla figura diMussolini e persino dall’arti colo determinativo: il dit-tatore rinvia al passato prossimo dell’Italia, certo, mapiù ancora al presen te e all’avvenire del mondo; è untiranno vivente che incombe da un paese misterioso,e sono le sei brevi prose di Sciascia a delinearne il pro-filo. Tutto sup pergiù ragionevole: eppure l’allusionea Stalin, o ad altro tiranno attivo nel ’48, è un fattocontingente: stiamo leggendo uno scrittore e non ri-scrivendo la politica italiana del dopoguerra. Ora, loscrittore è Sciascia e le sue favole sono «per il ditta-tore»: cioè, è il dittatore ad averle ispirate, ma soprat-tutto è con lui che parlano; gli si rivolgono instau-rando un lega me diretto. Ecco le prime due che sileggono in Sici lia del Popolo:Da anni il cane, quando si acculava pieno di noia ai piedidel padrone, amava la fresca sensazione dell’odo re di tre-mentina che le scarpe gli davano: il padrone usando sem-pre una buona vernice alla trementina. Co sì, lentamente,il pensiero dei calci ricevuti e da riceve re si fuse in quel-l’odore gradevole, acquistò una certa voluttà. La pedatafu soltanto un odore. Ma un giorno il padrone usò altravernice, di un odore più torbido, co me di petrolio e di sego.Da allora le pedate riempirono il cane di disgusto.

e perché non rispondono a una condizione di «scetti-cismo pessimista» da superare. So no, semmai, unaddio alla propria giovinezza e un rito di fondazionedella propria scrittura.Superior stabat lupus: e l’agnello lo vide nello spec chiotorbo dell’acqua. Lasciò di bere, e stette a fissare tremantequella terribile immagine specchiata. «Que sta volta nonho tempo da perdere», disse il lupo. «Ed ho contro di teun argomento ben più valido dell’antico: so quel chepensi di me, e non provarti a negarlo». E d’un balzo glifu sopra a lacerarlo.In questa favola, la numero uno, il senso è chiaro, lamorale è inalterabile, l’acqua torbida resterà tor bida.Sciascia non patì restrizioni espressive a cau sa del fa-scismo: scrisse dopo, e scelse liberamente la propriareticenza. Favole della dittatura ha due epigrafi: laprima è tratta da Animal Farm di Orwell, la secondaviene da un altro libro con titolo animali stico, Par-liamo dell’elefante di Leo Longanesi: «Gli storici futurileggeranno giornali, libri, consulte ranno documentidi ogni sorta ma nessuno saprà capire quel che ci è ac-caduto. Come tramandare ai posteri la faccia di F.quando è in divisa di gerarca e scende dall’automo-bile?». A Sciascia non sta a cuo re la dialettica storicama la restituzione di un clima, secondo la lezione delprimo maestro che poté osser vare da vicino, VitalianoBrancati, che insegnò a Caltanissetta nell’istituto ma-gistrale da lui frequentato come studente. Il primo deimolti interventi che Scia scia dedicherà a Brancati s’in-titola Brancati e la ditta tura ed esce il 22 dicembre1948 sul quotidiano Sici lia del Popolo. Brancati e ladittatura, non «Brancati e il fascismo»: è questo ilpunto decisivo. Il giovane Sciascia ammira in Brancatila lontananza da ogni ipoteca totalitaria: nei suoiscritti del dopoguerra il fascismo, il nazismo e il co-munismo sovietico sono sullo stesso piano. Ecco per-ché sceglierà per il suo primo libro un titolo come Fa-vole della dittatura, uni co elemento dell’opera checonceda al lettore una chiave interpretativa, dato chela parola «dittatura» non compare in nessuno dei testi.Ed ecco anche la sorpresa che riserva uno spoglio diSicilia del Popolo, dove tre mesi prima di Bran cati e ladittatura, il 21 settembre, comparve una co lonnina

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«Sciascia non dà informa zioni sulla cronologia dei testi. Fa bene, perché le sue favole non perdono significato col mutare del quadro politico e perché non rispondono a una condizione di “scetticismo pessimista” da superare.So no, semmai, un addio alla propria giovinezza e un rito difondazione della propria scrittura»

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Favole per il dittatore: sappiamo da tempo che Il giornodella civetta è una storia che parla ai mafiosi così comeparla dei mafiosi, che Il contesto e Todo modo sono dueparabole che parlano rispettivamen te ai comunisti e aidemocristiani nello stesso tem po che parlano dei comu-nisti e dei democristiani; inchiodandoli alle loro imma-gini. Sciascia ha prati cato per tutta la vita questo anta-gonismo connivente, la cui contropartita consisterà nelfatto che la sua mente è indotta a conformarsi su quelladell’avversario di turno: da cui, nel Giorno della civetta,la stima per il capomafia don Mariano Arena che tantospesso gli è stata rimproverata e che è il suo limi te fatale.Ma Sciascia sa tutto fin dal principio, e per di più sa disaperlo. La prima epigrafe di Favole della dittatura,quella di Orwell, è chiarissima nel segna lare l’inciampocontro cui rischierà di urtare, dal 1950 in poi, ogni suopensiero, ogni sua azione, ogni sua favola: «Non c’erada chiedersi ora che co sa fosse successo al viso dei maiali.Le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo,dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, magià era lo ro impossibile distinguere fra i due».

E poi: L’asino aveva una sensibilissima anima, trovavapersino dei versi. Ma quando il padrone morì, confi-dava: gli volevo bene, ogni sua bastonata mi crea va unarima.Non è satira, questa: è ritorsione, è minaccia vela ta.Sciascia è un giovane uomo pubblico che cono sce imeccanismi dell’obbedienza. «So che cosa pensi dime» dice il lupo all’agnello; e queste fiabe dicono aldittatore «Sappi che io so che tu sai: quindi io ne sodi più». Per un attimo, giusto al principio del suo per-corso, Leonardo Sciascia scopre le sue carte: in questeventisette favole è un attore che finge di essere un te-stimone. È per questo che le Favole della dittatura, oFavole per il dittatore, sono l’addio alla giovinezza e ilrito di fondazione di un nuovo scrittore. A differenzadi Calvino, Sciascia non ha bisogno di superare loscetticismo, che al contrario è la forma della sua pas-sione e sarà la bussola di ogni sua indagine. Sciasciadeve e vuole tenersi sulla linea sempre malcerta checorre fra intransigenza e complicità: con ogni interlo-cutore, buono o cattivo che sia.

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«nasce ne gli anni Settanta dall’incontro di due gene-razioni intorno alle Edizio ni Antistato: c’erano anzianicom battenti antifascisti come Pio Tur roni e giovaniche erano approdati su sponde libertarie con il Sessan -totto. All’epoca si faceva un’edito ria a circolazione li-mitata nel circui to anarchico. Poi tutto cambia».Infatti nel 1986 la creazione di Elèu thera (che in grecosignifica «li bera») segna una svolta, evidente anche nellogo. Mentre le Edizioni Antistato esibivano la tradi-zionale A cerchiata dell’anarchia, il nuovo marchio,opera del pittore Carlo Montesi, evoca uno scenariocarai bico, con le palme e un vulcano che sorge dalmare. « Elèu thera» spiega Rossella Di Leo «è un’isoladelle Bahamas, che nel Seicento fu colonizzata da ere-tici inglesi di ten denza libertaria, gli eleutheriani, infuga dalle persecuzioni religiose. Un’esperienza brevema significati va, cui abbiamo voluto ispirarci, senzacontare che i Caraibi sono zona di filibustieri e noi cisentiamo ribelli come loro». Pirati e sodomia di BarryR. Burg è infatti un al tro testo del catalogo. La scommessa di Elèu thera – di spiegata in ben 215titoli, con auto ri del calibro di Noam Chomsky, KurtVonnegut, Marc Augé, ma an che Simone Well e Al-bert Camus – è «ibridare l’anarchismo classi co con unpensiero libertario mo derno, specie di matrice anglo-sas sone (si pensi a Colin Ward), che mette in discus-sione le idee domi nanti non solo in campo politico efilosofico, ma anche in fatto di antropologia, pedago-gia, economia, ecologia, scienza, psichiatria, urba -nistica, in tutti gli ambiti del sapere. Vogliamo pro-porre un paradig ma nuovo, che punti sulla parteci -pazione diretta e sulla dimensione comunitaria, esplo-rando nuovi am biti di sperimentazione sociale. Sitratta non solo di destrutturare lo Stato, ma di ridi-scutere per intero l’attuale modo di vivere».

Non solo contro la crescita capitalista, ma Contro illavoro, titolo di un saggio in usci ta di Philippe Go-dard. Ostili alla re ligione, ma anche allo scientismo,secondo la formula Né Dio né geno ma di Jean-JacquesKupiec e Pierre Sonigo. Favorevoli all’eutanasia, conLiberi di morire di Derek Hum phry, anzi un passooltre con i Pen sieri sul suicidio di Giorgio Anto nucci.Fino a contestare l’intera concezione occidentale dellanatu ra umana (da Tucidide a Mandevil le e a Freud),definita Un grosso sbaglio da Marshall Sahlins. Non acaso il video prodotto per i venticinque anni dell’edi-trice Elèuthera, che sarà pre sentato a Milano il primoottobre (ore 18-20) alla Libreria Utopia di via Mo -scova 52, s’intitola Un’idea esagerata di libertà, perchéle proposte del suo catalogo sono davvero radicali.La matrice culturale originaria dell’editore è anarchicae richiama re l’attenzione sui protagonisti di quel fi-lone rivoluzionario è uno de gli obiettivi primari. Unesempio è Nestor Machno, giovane leader che dal1918 al 1921, durante la guerra ci vile seguita alla ri-voluzione russa, guidò in Ucraina un movimento con-tadino armato, d’ispirazione li bertaria, che prima sialleò con i bolscevichi contro i generali «bian chi» epoi subì la repressione del potere sovietico. In novem-bre Elèu thera pubblicherà il libro Bandiera nera sul-l’Ucraina dello storico russo Aleksandr Shubin, cheha studia to l’epopea di Machno sui docu menti origi-nali resi accessibili dal l’apertura degli archivi diMosca, in sieme a un filmato della regista francese Hé-lène Chatelain Nestor Machno. Il cosacco dell’anarchia,con molte immagini inedite (libro più dvd, pp. 200,15 euro).Sarebbe però un errore credere di avere a che fare conil tipico edi tore militante. «La nostra vicenda» rac-conta la responsabile di Elèu thera, Rossella Di Leo

Antonio Carioti, Corriere della Sera, 25 settembre 2011

Elèuthera, il gusto di esagerare del pensiero libertario

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Luigi Mascheroni, il Giornale, 26 settembre 2011

Spazzando via capziosi e sterili di stinguo, Lucchinispiega molto bene i rapporti dello scrittore milanese conil regime di Mussolini e la sua idea di fascismo. Pochepagine, chiarissi me, che dovrebbero essere lette e recen-site da co loro che preferiscono glissare sugli articoli delgiovane Ingegnere in appoggio alla politica e alle istitu-zioni del Regime così co me sui primi romanzi dellosperi mentale scrittore grondanti apprez zamenti per l’au-dacia del Fascismo, sia movimento sia regime.«L’antisocialismo e il fascismo del giovane Gadda»scrive Lucchini «sono dati irrefutabili, ormailargamen te noti… Iscritto antemarcia al Pnf, nel1921, Gadda, già nazionalista e fe rocemente antigio-littiano, condivise del movimento senz’altro il cultodella nazione e il militarismo, tipici dell’uomo d’or-dine». Soprattutto, dopo aver ricordato un’antipaticis-sima pagina antisemita del ’25 tratta dal Racconto ita-liano e dato conto dell’«impressionante» celebrazionedi Mussolini contenuta negli scritti propagandisticidegli anni Trenta («Mai, forse, nella storia del mondo,si è verificata una figliazione tecnica così celere, diret -ta, e completa, come quella che il Duce prepara dal-l’Italia all’Etiopia» scrive Gadda su L’Ambrosiano nelgiugno 1936), Lucchini mette un punto fermo nellaprolissa e confusa discussione sul Gadda (anti)fasci sta.Per nulla vissuto passivamente o «narcisistica mente»,e tanto meno elemento «accidentale» della sua vita edella sua opera, il fascismo di Gadda – conser vatore einterventista – è al di sopra di ogni giustificazio ne: «Ildisgusto per la dittatura» scrive Lucchini «è mol to tar-divo e comunque si limita all’invettiva contro i lati piùgrotteschi e beceri del regime e del suo fondato re, nonne critica mai gli aspetti sostanziali». Sciogliendo così,speriamo una volta per tutte, e i grovigli&gliuommeridell’Ingegner fascista.

Tra i più intricati grovigli&gliuommeri della bio-bi-bliografia gaddiana, la «fascistità» dell’Ingegnere è datempo oggetto di appassionate discussioni giornalisti-che e sottili di squisizioni filologiche: fu un fascista en-tusiasta poi pentitosi. No, fu un fascista opportunistae poi antifa scista arrabbiato. No, fu un fascista anticon-formista e poi antifascista per convenienza… Assodatoche Car lo Emilio Gadda (1893-1973) fu tesserato fa-scista della primissima ora e che dopo la caduta del Re-gime scrisse le pagine più divertenti e dissacranti sul«duci smo» di cui possa vantarsi la letteratura italiana,rima ne ancora un bel pasticciaccio distinguere con esat-tez za quando e quanto fu egli fascista: da una parte c’èil giornalista che firmò fra il ’32 e il ’41 i pezzi inneg-gianti ai Litoriali e che ottenne sussidi dal Regime finoal ’42; e dall’altra c’è lo scrittore che ci ha lasciato il mi-rabilis simo e antifascistissimo Eros e Priapo, iniziato nel’45 e dato alle stampe nel 1967, un anno prima dellacele bre intervista-confessione rilasciata a Dacia Maraini:«Solo nel ’34, con la guerra etiopica, ho capito vera -mente cos’era il fascismo e come mi ripugnasse».Ora, sulla cognizione del fascismo gaddiano – que stionespigolosissima ritenuta ancor oggi fastidiosa da certastampa e dalle intelligenze progressiste – in terviene abraccio teso il nuovo numero della rivista I Quadernidell’Ingegnere. Che, anche questa volta, offre ai golosidell’opera gaddia na un ricco menu: aggiornamenti bi-bliogra fici, documenti rari e scritti inediti. Tra i qua lidue testi «apologetici» tratti da Il Quader no di BuenosAires, steso da Gadda tra il ’23 e il ’24, durante il suosoggiorno argentino: Il Fascismo in America e Il Fascismosenza dot trina. Due scritti che dicono molto su Gadda,poche volte così esplicitamente fascista. E anco ra piùimportante, per lucidità e profondità criti ca, e il saggiodi Guido Lucchini che fa da commen to al Quaderno.

Due testi perduti degli anni Venti confermano l’appoggio convinto al Regime dello scrittore milanese

Ecco il Gadda ducesco che non avete mai letto

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Qui in Sudamerica non capiscono la necessità della rivoluzione fascista

Dal nuovo numero della rivista I Quaderni dell’ingegnere, pubblichiamo alcuni stralci dell’articolo (mai pubblicato) «Il Fascismo in America», scritto da Carlo Emilio Gadda tra il 1923 e il 1924

e contro le sue cause ideolo giche. La ribellione prese ilnome di fa scismo ma la sua «necessità» è attenua tadalla distanza; non si sa bene perché ci sia, che cosavoglia, se la sua forza sa rà duratura. I simboli e le cate-gorie poli tiche dello scorso ventennio sussisto no tut-tavia nelle menti come espressio ni della realtà odiernache viceversa s’è trasformata: lo stato, il liberalismo, leistituzioni patrie, la democrazia, il laici smo, il liberopensiero. Me lo salutate voi lo statuto quando agli uf-ficiali dell’esercito italiano si dava la caccia nelle vie diMilano? Quando il Comando del Corpo d’Armata diMilano era costret to a consegnare gli ufficiali reducinelle caserme in occasione degli scioperi, perché la loropresenza «non provocas se» i bolscevichi?[…] Il fascismo chiede alla società civile di rivalutareserenamente, direi scienti ficamente, le questioni so-ciali poste sul tappeto da un settantennio di storia eu-ropea, e di cui le dottrine socialiste si erano fatto unmonopolio di disserta zione con caratteri prevalente-mente emotivi. Nato coi caratteri di un moto religiosoe politico, con la forma di una rivoluzione sentimen-tale, pare avviar si ad una profonda riesamina di tuttii fatti e di tutte le attività sociali per addi venire a con-clusioni attivistiche circa la vita delle collettività na-zionali e di queste nella collettività universale. Se lesue energie non si esauriranno nelle diatribe di pro-vincia, nei malumori in dividuali, nei piccoli fatti enelle picco le quistioni paesane, esso è certamente de-stinato a recare un profondo rivolgi mento nella vitadel mondo. […] Mi pia ce di notare per ora che, aparte la deni grazione fattane dalla stampa politica diparte contraria, il fascismo ha desta to nell’opinionepubblica argentina e [nei] maggiori quotidiani argen-tini un interessamento che va al di là del sem plice do-vere professionale.

Non si può dire che il fascismo abbia una buonastampa presso i quotidiani di Buenos Aires che esconoin lingua italiana. Uno di questi, che rinuncio a nomi-nare, rappresenta la costituzione morale e mentale deibolscevichi locali, e compie a perfezione il suo doveredi rappresentante di essi. Il latrato e la contumelia sonoespressioni nobilissime del sentire umano, qualora ven-gano comparate con la calunnia, la menzogna e ladiffa mazione. Ben volentieri quindi regi streremmo, selo potessimo, che l’ac cennato quotidiano si limita a la-trare contro coloro che la pensano diversa mente da lui.Gli altri due e cioè Il Giornale d’Italia e La Patria degliita liani, hanno tenuto, dall’inizio del go verno fascista,un diverso contegno. […] Riteniamo in generale che la Pa tria rispecchi lostato d’animo della gran parte de’ suoi lettori, per cuila rivo luzione fascista non sembra rivestire quel carat-tere di «necessità» che ebbe per quanti di noi, reducidalla guerra, abbiamo vissuto il triennio ’19-’22 in Ita-lia. Diciassettemila chilometri sono pure qualche cosaanche se percorsi dagli All America Cables. Molti ita-liani di qui vedono nel fascismo un’imposizione au-dace di pochi: una costruzione politica di carattere ef-fimero, che oggi domina la vita italiana con la novitàe la potenza del suo atteggiamento, che domani rien -trerà nel magazzino dei giochi pittore schi e bizzarricon cui ha giocato la sto ria degli uomini.A questa gente è conosciuta solo dalla lettura la tragicaumiliazione dei re duci del ’18, la gazzarra parolaia deido minatori del ’19 e del ’20 che freschi d’im pudentienergie, si accanirono contro le classi della volontà edel sacrificio, dello studio, dell’organizzazione, esau stedalle ferite morali e materiali incon trate nella guerra:è propriamente sco nosciuta perciò la ribellione dispe-rata e «necessaria» di queste classi contro ta le dominio

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Mario Baudino, La Stampa, 28 settembre 2011

libro segreto di Dante, di Francesco Fioretti. Spiegal’editore, Raffaello Avanzini: «Abbiamo deciso di pun-tare sui librai, e soprattutto su quelli indipendenti.Già a luglio si è preparata un’edizione speciale perloro. Insieme a un piccolo sito web, con i primi duecapitoli. Abbiamo lavorato tanto». Una pioggia digadget si è abbattuta su librerie piccole, medie, grandie di catena. Il resto lo ha fatto l’ormai mitico «passa-parola», formula magica per spiegare i successi ina-spettati, ma è stato un passaparola assai elettronico.Il mercante di libri maledetti è rimbalzato sui siti spe-cializzati in romanzi storici, fantasy, thriller, gotico,horror. «Su uno dei più seguiti, Thriller Magazine, hoavuto una recensione che mi ha inserito in un discorsodi genere di cui non conoscevo l’esistenza, gli “pseu-dobiblia”» racconta l’autore. E deve avergli giovatoquanto un passaggio televisivo. Che si tratti di ro-manzo di genere non c’è dubbio. Ma non verrebbepiù immediato accostarla all’Umberto Eco del Nomedella rosa? «Non saprei. Intanto il mio è un thriller,non un giallo, e poi non ci sono digressioni saggisti-che. In Eco le vittime sono già bell’e morte, a me in-vece piace ammazzarle in diretta» scherza Simoni. Seproprio deve pensare ad autori che lo hanno influen-zato, parla di Salgari e Jack London. Gli piace l’av-ventura, senza preoccupazioni linguistiche. Progettoletterario? «Scrivere qualcosa che piaccia alla gente». Il simpatico archeologo di Comacchio incarna inqualche modo un nuovo modello, che si sta impo-nendo con rapidità. Non è solo il successo del ro-manzo storico di ambiente medievale: è quello di libri

In dieci giorni è già secondo nella classifica dei piùvenduti, senza che i grandi media se ne siano interes-sati, senza pubblicità, senza televisione. Il mercante dilibri maledetti, thriller medievale di Marcello Simoni(Newton Compton), sembra arrivato in totale silen-zio, quatto quatto come dal nulla. In realtà non è pro-prio cosi. Intanto è arrivato dalla Spagna, perché l’au-tore, bibliotecario a Comacchio, ha scelto uncammino abbastanza tortuoso verso la notorietà.L’inedita triangolazione, ci racconta, è nata dal caso.Lui, 36 anni, medievista e archeologo, una solida re-putazione per gli studi sull’abbazia di Pomposa,quando si trovò ad aver scritto un romanzo nato dallesue frequentazioni storiche, come tutti gli esordientisi chiese che fare.«Dall’Italia non arrivavano risposte, così spedii unaserie di email a case editrici spagnole. In fondo il mioprotagonista si chiama Ignazio da Toledo», spiega. Enon solo. Ignazio è anche un mercante di libri e reli-quie, di origine mozaraba e dal passato oscuro, che siaggira nell’Europa del Trecento per ritrovare un anticotomo che consente di evocare gli angeli, rubato anniprima a un monaco in fuga precipitato in un burrone.Una buona storia per gli spagnoli, in attesa degli ita-liani? Pare proprio di sì: molti non gli rispondono, mauna editor lo invita a inviare il testo. Il libro piace,esce col titolo El secretos de los quatros angeles per Bo-veda, e vende benino. A questo punto Simoni si trovaun agente, e il gioco è fatto.Alla Newton Compton ci credono, anche perché sonoreduci dal buon successo di un romanzo consimile, Il

Esordienti alla carica: Marcello Simoni è l’esempio più recente di una innovativa forma di promozione che conquista le classifiche

Il bestseller venuto dal passaparola

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Il titolo suggestivo deve avere parecchio aiutato que-sta storia di una ragazza difficile che, come spiega ilsuo dossier nel sito a lei dedicato, «ha l’abitudine dipreparare mazzi di fiori di cui solo lei conosce il si-gnificato». Ancora una volta, un sito piuttosto riccoe articolato torna al centro della macchina promozio-nale. Non è indispensabile: per esempio, non ci ri-sulta che la Marsilio ne abbia uno dedicato a RobertoCostantini, ingegnere e dirigente della Luiss diRoma, romanziere esordiente a 58 anni, che appenauscito con un monumentale thriller (Tu sei il male)ha cominciato subito a scalare le classifiche. I suoivideo e le segnalazioni in Rete sono già numerosis-sime ed entusiaste.Il romanzo, 669 pagine, mette in scena un commis-sario dal passato ingombrante nella destra extraparla-mentare alle prese con un delitto romano (una ragazzail cui cadavere galleggia nel Tevere), in una vicendache si snoda tra il 1982 e il 2006: due celebri partiteai Mondiali di calcio e tanti misteri italiani. È il primotomo di una trilogia, il che fa pensar subito a StiegLarsson, e come il giallista svedese non mostra la mi-nima preoccupazione linguistica. È tutto trama, unastoria senza linguaggio che sta conquistando lettori.Nessun bestseller viene dal nulla, ma non è detto chel’era del passaparola – elettronico o meno – sia dav-vero la terra promessa di una nuova «democrazia»della lettura.

che si affacciano al mercato in modo diverso da prima.In America è ormai frequente il caso di autori auto-pubblicati che ottengono un buon riscontro e ven-gono successivamente rilanciati dalla grande editoria:Figlia del silenzio, di Kim Edwards, ora tradotto daGarzanti, è uno di questi, storia un po’ strappalacrimedi due gemelli separati dalla nascita, uno dei quali,una bambina, ha la sindrome di Down. E proprio incasa Garzanti quest’anno si sono raccolti frutti assaigenerosi da titoli che del passaparola hanno fatto laloro forza: da Il profumo delle foglie di limone di ClaraSanchez a Il linguaggio segreto dei fiori di Vanessa Dif-fenbaugh e infine Avevano spento anche la luna di RutaSepetys.«Forse abbiamo aperto un filone» dice il direttore edi-toriale Oliviero Ponte di Pino. Come lo definirebbe?«Romanzi di formazione su tematiche importanti,storie interessanti ben raccontate». E almeno a primavista, niente affatto consolatorie: la Sanchez parla dinazisti, la Sepetys di Gulag staliniani. Anche in questicasi, trattandosi di autori sconosciuti in Italia, benprima dell’uscita sono state inviate le bozze ai librai,e si è lavorato sui blog molti dei quali ormai ricevonodagli editori un’attenzione pari a quella degli altrimedia. Il linguaggio segreto dei fiori è un caso a sé: ven-duto nel 2010 alla Fiera di Londra un po’ in tutto ilmondo a cifre da bestseller, era fin dall’inizio un ro-manzo su cui si appuntavano grandi attese.

Oblique Studio | Rassegna stampa settembre 2011

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Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera, 28 settembre 2011

tabeccare da un libro all’altro». Quando si deprimecon un saggio sulla fame nella Cina di Mao, Prosperopassa a una saga fantasy. Quando il fantasy diventatroppo scemo («per via di tutte quelle dinastie e deimostri») attacca un pamphlet sul ruolo dell’Occi-dente. E quando avrebbe voglia di continuarlo, ma-gari non ha dietro il Kindle: che costa pur sempre«110 sterline, e sono riluttante a portarlo sulla metrodove potrebbe venire rubato o cadere; il che significache lo uso quasi solo a casa e in aereo». E così si perdeil filo, poi, a volte.Morale, Prospero e molti di noi portatori o meno sanidi e-reader, che prima leggevamo due-tre libri con-temporaneamente, ora ne leggiamo sei o sette; «e ilsenso di colpa sale: riuscirò mai a finirne almenouno?». Due su sette, è la stima ottimistica del miocampione di lettori digitali. E con meno ansie di Pro-spero, in media.E poi – una volta che si impara a usare gli ebook –con nuovo profitto. I libri elettronici si possono sot-tolineare, si possono rivedere le citazioni che ci inte-ressano tutte insieme; il che rende felici sia gli ossessiviche trattano i libri di carta come oggetti sacri sia i pa-sticcioni che li distruggono a furia di orecchie e trattidi pennarello. E poi l’ebook va bene per gli studiosicome per i lettori intuitivi e vaghi (e poi, vedere sullaschermata le microcopertine dei volumi già letti dàsoddisfazione; pian piano impariamo ad andarne fieri,come delle nostre librerie).

Mettiamola così. Se siete «lettori forti» (in Italia civuole poco, sei o più libri l’anno; lo fa solo il 5-6 percento della popolazione, che però legge circa l’80 percento dei libri venduti), l’iPad o il Kindle può trasfor-marvi in ardenti liceali. Di nuovo curiosi, improvvi-samente avidi di cultura, tendenti alle letture disordi-nate. Di vari libri comprati e scaricati d’impulso: ingenere quello che si cercava, un altro in supersaldo,un terzo perché è capitato tra i consigli mirati, ci si èesaltati ed è partito il clic. Di vari libri contempora-neamente, soprattutto. Come adolescenti con velleitàintellettuali, e non è detto che sia un male.Perlomeno se, oltre alle velleità, si possiede un mi-nimo di onestà intellettuale. La maggior parte dei let-tori forti finisce una metà scarsa dei libri che compra(di più, se si tratta di saggi; ma anche molti romanzibarocchi e/o ombelicali vengono abbandonati dopoqualche capitolo). Anche i libri di carta. Che però, setrascurati, tendono a sparire nel mare magnum dellecase dei bibliofili. Mentre l’ebook è sempre lì, la suaiconcina appare ogni volta che si apre l’applicazionesulla tavoletta preposta. Lo si prende, lo si lascia, losi rivede e ci si sente carenti. E la lettura può generareansie da multitasking. Come quella autodenunciatain questi giorni da Prospero, blogger culturale del-l’Economist. Che racconta: «Ordinare libri sul mio e-reader è talmente facile che sono tentato di com-prarne sempre di più. Però ho molte più difficoltà afinirli, perché l’apparecchietto rende facilissimo sal-

Se ne iniziano troppi tutti insieme. Ecco come iPad e Kindle stanno cambiando il nostro modo di leggere

L’ansia da tablet. Da un titolo all’altro senza finire i libri

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L’ebook non c’entra. Se si abbandona è colpa dell’autore

Edoardo Segantini, Corriere della Sera, 28 settembre 2011

«Secondo alcuni il tablet favorisce comportamenti di lettura indisciplinati e incostanti. Io non credo. […] Penso che troverei meravigliosi I promessi sposi e La montagna incantata su qualsiasi strumento, anche su un’incisione rupestre, se mai avessi le diottrie sufficienti»

un’incisione rupestre, se mai avessi le diottrie suffi-cienti. Così come non abbandono mai a metà un Fol-lett, un Mankell o un Lehane.Per chi ha problemi di vista poi il tablet è perfetto per-ché permette di ingrandire a dismisura i corpi tipo-grafici. Si realizza il sogno del presbite che è leggeresenza inforcare gli «occhiali da vicino». Il Kindle, poi,grazie al suo dizionario incorporato, regala un altropiacere a chi vuole tenersi in esercizio leggendo in lin-gua originale. Chi ama gli audiolibri infine può ascol-tare il testo letto a scelta da una voce maschile o fem-minile, a velocità regolabile. Certo, ognuno poiconserva le proprie irrinunciabili abitudini cartacee:fare le «orecchie» in alto o in basso, secondo codicimisteriosi, sottolineare le frasi, o, come ho visto farein metro, disegnando piccolissimi teschi a bordo pa-gina. Ed è anche vero che il libro di carta non richiedealcun software ma, come ha scritto Michele Serra inuno dei suoi pezzi deliziosi, usa come software i nostriocchi, che sono una tecnologia tuttora insuperata.Ma chi ha detto che libro elettronico e libro di cartasiano alternativi? Io li vedo piuttosto come attrezzicomplementari. Che contribuiscono, se non proprioa darci la felicità, almeno a farci addormentare più se-renamente, a letto ma anche in treno, evitando di sen-tire la voce sgarbata del manager che chiede alla se-gretaria se lo ha cercato qualcuno. Vi pare poco?

Una recente esperienza ferroviaria ha modificato lemie convinzioni sugli strumenti di lettura in relazioneall’età. Pensavo che i tablet piacessero soprattutto aigiovani e ai semigiovani, ma ho dovuto ricredermi. Suun treno per Trieste il mio Kindle ha suscitato la cu-riosità di un’anziana signora elegante e simpatica, ac-compagnata dalla giovane e bella pronipote. Rispettoal mio pregiudizio, le parti si sono rovesciate quasi su-bito: con la signora attratta dalla possibilità di stivaremillecinquecento volumi in un «quaderno di plastica»e la ragazza che al contrario trova «irrinunciabile» ilfascino della carta.Il lettore elettronico in realtà è comodissimo. In viag-gio evito di portarmi appresso, come il paguro ber-nardo la sua conchiglia, il peso dei molti libri che inizioa leggere e spesso non finisco. A casa invece alterno latavoletta digitale ai volumi di carta che accumulo sulcomodino fino a formare una piccola torre asimme-trica che prima vacilla e infine inevitabilmente crolla.Secondo alcuni il tablet favorisce comportamenti dilettura indisciplinati e incostanti. Io non credo. È unamateria che conosco abbastanza bene perché indisci-plinato e incostante lo sono anch’io, da sempre. Ma ècolpa dei miei limiti, in primo luogo, e poi, magari,anche dei libri. Non certo del supporto che utilizzo.Penso che troverei meravigliosi I promessi sposi e Lamontagna incantata su qualsiasi strumento, anche su

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Luca Serianni, Avvenire, 29 settembre 2011

che raggiunge l’unità politica addirittura più tardidell’Italia, nel 1871 – l’affermazione del tedesco mo-derno si deve alla riforma di Lutero che, traducendola Bibbia e favorendone la capillare diffusione pressoi fedeli, promosse una particolare varietà linguistica alingua della società civile. Fuo ri d’Europa, un altro, ecerto più cla moroso, caso di lingua nazionale af -fermatasi sul fondamento di una for te motivazione re-ligiosa è quello del l’ebraico: mantenutosi nei secoli so -lo come lingua sacra, esso fu pro mosso a lingua del-l’uso solo alla fi ne dell’Ottocento, non senza vivaci re-sistenze all’interno dell’ebraismo. Dopo la Secondaguerra mondiale e la tragedia della Shoah riuscì a di -ventare la lingua ufficiale dello Stato d’Israele, resti-tuendo agli ebrei provenienti da diverse parti d’Euro -pa (e poi da altre parti del mondo) il senso di un’ap-partenenza comuni taria non solo religiosa ma ancheprosaica e quotidiana.Nulla del genere per l’Italia. La lingua che oggi ado-periamo in ufficio, in autobus, nei negozi, nelle con-feren ze è il dialetto fiorentino trecente sco, con le ine-vitabili modificazioni (massime nel lessico, consistentinel la sintassi, minime nella fonetica) che il tempo in-tercorso gli ha im presso. Ma Firenze non è stato maiun centro politico con ambizioni su perregionali: la re-ligione si è espres sa fino ad anni recenti o nel Latinoli turgico, ovvero nell’italiano più o meno intriso didialetto che il prete adoperava nei contatti con i fedelie talvolta anche nella predicazione. Firenze è stata la città che ha dato vi ta a una grande let-teratura, presto diffusa ed emulata altrove. L’eccellenza

Negli ultimi anni il tema dell’identità italiana è statoaffrontato da più versanti, a partire dalle massime ca-riche istitu zionali. Ed è un tema che pone in primopiano, come simbolo identi tario più profondo, propriola con divisione di una lingua comune. Non andrà di-menticato che nell’Italia di oggi la lingua, patrimonioattivo or mai di oltre il 90 per cento dei cittadini, è ilpiù importante fattore coesivo di un’appartenenza co-mune. Altri fat tori sono transnazionali (il cristia -nesimo), minoritari e discussi (la memoria storica,sempre più labil mente presente nel bagaglio cultu ralemedio, e comunque soggetta a valutazioni diverse etalvolta antite tiche) oppure meno profon damen testrutturanti, in una parola meno significativi, come lagastronomia (da tempo la pastasciutta è il classi coprimo piatto da Pordenone a Ge la) o il tifo calcistico.Una lingua nazionale è, di norma, un antico dialettoparlato in un’area geograficamente ristretta che è riu -scito a imporsi su altri dialetti; è – per riprendere l’ar-guta metafora di un linguista – un dialetto con uneser cito e una marina. Questo è vero an che per l’ita-liano, ma i modi attra verso i quali il processo è avve-nuto sono decisamente atipici.Altre grandi lingue europee – il fran cese, lo spagnolo,l’inglese – si sono modellate sulla lingua della capitalepolitica e amministrativa. La for za delle armi e del po-tere ha spinto, o costretto, i vari cittadini di Franciaad accogliere il predominio della lin gua di Parigi, sa-crificando culture e idiomi prestigiosi come il proven-za le, il tramite attraverso il quale la ci viltà occidentaleha riscoperto la poesia lirica. In Germania – un paese

Il linguista Luca Serianni ribalta quello che ormai è diventato uno stereotipo:«Non è affatto vero che il nostro idioma sia in declino»

L’italiano? È in salute, grazie

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«L’italiano è oggi tra le lingue più studia te nel mondo»

voro che l’i taliano può garantire in non trascu rabiliaree dell’industria e del turi smo.C’è anche un altro capitolo, strettamente attuale, cheriguarda le sorti della lingua italiana contemporanea.Come altre nazioni dell’Occidente sviluppato, l’Italia– antico serbatoio di forza lavoro emigrata in Europa,nelle Americhe, in Australia – è diventata negli ultimianni terra d’immigra zione extra-comunitaria (sia purein misura nettamente inferiore, per o ra, a quel che èavvenuto in altre nazioni). In proposito si possono na -turalmente avere idee politiche di verse, ma una cosaè certa: lo strumento principe per favorire l’inte -grazione è proprio la lingua. Chi mai penserebbe d’in-tervenire sulle con vinzioni religiose degli immigrati?Ma è ragionevole chiedere loro (nel loro stesso inte-resse), oltre all’ovvio rispetto delle leggi e delle tradi-zioni del paese ospitante, anche il com piuto appren-dimento della sua lin gua.La sensazione che una lingua seco lare come l’italianostia disgregan dosi è una sensazione infondata, proprioalla luce di alcune conside razioni sommariamenteevocate. Ma è una sensazione che, scaturendo da tantiparlanti (come testimoniano tante allarmate lettere aigiornali), va valutata con rispetto e attenzione: nonfoss’altro perché testimonia di quella che i sociolin-guisti chiamano «lealtà (o fedeltà) linguistica», cioè diquell’attaccamento alla propria lingua senza il qualeil destino di un i dioma è irreparabilmente segnato.D’altra parte, non sono soltanto i cit tadini qualunqueche invocano provvedimenti a difesa della lingua.Sono anche i politici che – dopo de cenni di disinte-resse – si mostrano sensibili a temi linguistici:dall’inse rimento dell’italiano come lingua uf ficialenella Costituzione fino al pro getto di istituire uno spe-cifico Con siglio della lingua, con funzioni di in dirizzoe di monitoraggio.

dei grandi scrittori fio rentini è il volano linguistico cheha reso una singola parlata municipa le strumento di ri-conosciuto presti gio sovrallocale. Accanto alla lette -ratura in senso proprio, non si pos sono trascurare altristrumenti di u nificazione linguistica, entrambi a lungooperanti solo sulla fascia cul turalmente più elevata: idizionari e le grammatiche.Nel passato non è esistita solo una lingua scritta. L’ita-liano parlato ha avuto cor so dal Cinque al Settecentocome lin gua dei salotti in molte capitali d’Eu ropa, daLondra a Parigi; a Vienna Lorenzo Magalotti, amba-sciatore di Toscana, e più tardi Pietro Metasta sio,poeta cesareo, non sentirono il bisogno di apprendereil tedesco, bastando loro l’italiano (oltre al fran cese).Non solo. Come è emerso da alcuni studi recenti, spe-cie tra Cin que e Seicento, l’italiano è stato una sortadi lingua internazionale nel Mediterraneo, fungendoda tramite nei rapporti tra europei, arabi e tur chi.Quanto al presente, l’immagine vul gata di una linguadal nobile pedi gree, che però è irrimediabilmente ta-gliata fuori dal mondo globalizza to in chiave angloa-mericana, è al meno in parte uno stereotipo. L’italianoè oggi tra le lingue più studia te nel mondo: è studiatapiù del rus so o del portoghese (per citare due linguedi matrice europea, di grande tradizione culturale econ masse ben più consistenti di parlanti ma -drelingua); studiata in paesi che han no conosciutoun’intensa emigra zione già dal secondo Ottocento ein cui è vivo il desiderio di riscoprire le radici di tantidiscendenti da italia ni (come l’Argentina), ma anchein aree come la Moldavia, che non han no mai intrat-tenuto stretti rapporti con l’Italia. Ancor più signifi-cative sono le indagini relative alle moti vazioni chespingono uno straniero allo studio dell’italiano: ac-canto alle dominanti ragioni culturali (com’è giustoche sia), emerge l’interesse per quelle occasioni di la-

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1Q84Svelato il romanzo di Murakami: una storia di amore e morte al ritmo (segreto) dei Pink Floyd

Se la terra, come la luna, avesse una faccia nascosta sem-pre invisibile e misteriosa, il nuovo romanzo di HarukiMurakami sarebbe ambientato lì. Tutto succede nel-l’arco di nove me si – tre stagioni divise in tre libri daventiquattro capitoli ciascuno – di un 1984 che non èesattamen te quello registrato dalla storia – e infatti iltitolo e 1Q84, in giappone se il numero 9 si pronuncia«ku» come la lettera Q ma «ku» signifi ca anche «dolore»– e in un Giap pone nel quale sembra, progressi -vamente, esserci qualcosa di sem pre più fuori fase (è ilpaese dove i terremoti possono essere tanto forti da riu-scire a spostare l’asse di ro tazione della Terra). 1Q84,letto dal Corriere in anteprima, bestseller a sorpresa inGiappone nel 2009 (pubblicato in tre volumi separatiscatenando la Murakami-mania, uscirà negli Stati Unitia ottobre presso Knopf e a novembre in Italia da Ei-naudi), è una storia contempo raneamente lineare ecomplicatissima. Ci sono due ragazzi: la killer su com-mission Aomame (ha qualco sa di simile al dono del-l’invisibilità) e l’insegnante di matematica e aspirantescrittore Tengo al quale un editor senza scrupoli dà uninca rico (truffaldino) da ghostwriter del libro di unaragazzina-prodigio. Aomame e Tengo, che si sono co-nosciuti da bambini e si sono innamo rati, non si in-contrano da vent’an ni: vivono separati su quello cheMurakami, nell’unica intervista pri ma dell’uscita delromanzo in Giap pone, definì «il lato oscuro della lu -na» (citando obliquamente, lui che di musica è ma-niaco, The Dark Si de of the Moon dei Pink Floyd).Da lì parte una storia – i capitoli e i punti di vista sialternano rego larmente tra Aomame e Tengo – che

procede con lentezza tanto esa sperante quanto voluta.Prima che Murakami diventasse famoso i suoi librivenivano spesso massa crati dalla casa editrice e ilperso naggio dell’editor mariuolo di 1Q84 potrebbeessere, perché no, una piccola rivincita personale. Mala lentezza è indispensabile perché costringe il lettorea tenere il passo dei personaggi, rendendosi conto in-sieme a loro che qualcosa, nel la memoria di Aomamee Tengo, non corrisponde alla realtà. Che c’è qualcosadi inaffidabile: non la lo ro memoria, ma l’anno 1Q84nel quale vivono. Tra sette segrete dal sapore apoca-littico, pastori tede schi che si nutrono soltanto di spi-naci, primitivi computer dai prezzi esorbitanti e di-scussioni sull’Isola di Sakhalin di Cechov, sui FratelliKaramazov di Dostoevskij e su 1984 di Orwell, Mu-rakami scopre le carte e rivela che la struttura di unromanzo tanto complesso poggia sulla musica. «Nellamusica reli giosa, Dio è sempre presente con la sua gra-zia», scriveva Johann Seba stian Bach tra le annotazionidella sua Bibbia. Murakami non è un compositore –anche se da giova ne gestiva un piccolo jazz club – mase anche lui come Bach annotas se su una Bibbia le sueriflessioni, troverebbe tracce di Dio in una marcia mi-litare cecoslovacca (la Sinfo nietta di Leos Janacek, ilcomposi tore del Caso Makropulos, che Ao mameascolta sul taxi nell’incipit del romanzo e apre ancheil secon do libro) come in una canzonetta americanadegli anni Trenta. Quasi mille pagine in inglese, condue tradut tori per accorciare i tempi di pub blicazioneche si sono dovuti appel lare alla Cassazione dell’autoreper dirimere le numerose disomogeneità tra i loro

Esce il America, e a novembre in Italia,il libro dello scrittore giapponese.

Tra i fan è caccia ai contenuti. Che qui raccontiamo

Matteo Persivale, Corriere della Sera, 30 settembre 2011

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scritti, l’uscita nipponica nel 2009 che ha scatenatotraduzioni «pirata» diffu se online e caccia ai contenutida parte di fan frettolosi, e una copia staffetta ameri-cana è da poco stata venduta su ebay per 225 dollari,166 euro. È il libro più complesso di Murakami, epoggia su quattro semplici versi di uno standard dellaHollywood del bianco e nero, anno 1933. It’s Only aPaper Moon, scritta da E.Y. Harburg e Harold Ar len(quello di Over the Rainbow, da Il mago di Oz): «È unmondo da cir co Barnum / Che più fasullo non po-trebbe essere / Ma non sarebbe un’illusione / Se tucredessi in me».Perché Murakami il giapponese eretico in fuga dal-l’establishment culturale del suo Paese, Murakami

l’umanista che gioca a nascondino con l’incubo or-welliano e che rice vendo il premio Jerusalem ha re-centemente regalato al pubblico israeliano una para-bola su un uovo che si schianta contro un muro («Enon importa quanto abbia ragione il muro e quantoabbia torto l’uovo, io sarei sempre dalla parte dell’uo -vo», al caos e alla fatuità del mon do da circo Barnumtrova un anti doto teneramente antiquato: l’amo re.Anche se impiega quasi mille pa gine per farlo: perchéci vuole tem po, al lettore e allo scrittore, per re spiraree pensare e camminare allo stesso ritmo. Come hadetto tanti anni fa Jay Rubin, suo storico tra duttoreamericano, «ho sempre avuto l’impressione che Mu-rakami scrivesse per me».

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