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Anno XXV N. 1 Gennaio 2004 Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna Termalismo e turismo nell’isola d’Ischia La marineria ischitana tra il ‘500 e l’800 (II) Storie di pesca e di pescatori Un improvviso cambiamento di vento Hans Purrmann a Ischia nel 1953 Ischia nella storia Carlo VIII conquista il regno di Napoli ma non la rocca d’Ischia Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggi In Crimea e la II guerra d’indipendenza Rassegna MOSTRE Rassegna LIBRI Aromaterapia il recupero degli spazi verdi

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Anno XXV

N. 1

Gennaio 2004

Euro 2,00

Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportiviDir. responsabile Raffaele Castagna

Termalismo e turismonell’isola d’Ischia

La marineria ischitana tra il ‘500 e l’800 (II)

Storie di pesca e di pescatoriUn improvviso cambiamento di vento

Hans Purrmann a Ischia nel 1953

Ischia nella storia

Carlo VIII conquista ilregno di Napoli ma nonla rocca d’Ischia

Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggi

In Crimea e la II guerra d’indipendenza

Rassegna MOSTRE

Rassegna LIBRI

Aromaterapia il recupero degli spazi verdi

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2 La Rassegna d'Ischia 1/2004

Le opinioni espresse dagli autori non impe-gnano la rivista - La collaborazione ospitatas'intende offerta gratuitamente - Manoscrit-ti, fotografie e disegni (anche se non pubbli-cati), libri e giornali non si restituiscono -La Direzione ha facoltà di condensare, se-condo le esigenze di impaginazione e di spa-zio e senza alterarne la sostanza, gli scritti adisposizione. Per eventuali recensioni inviarei volumi.

Periodico di ricerche e di temi turistici,culturali, politici e sportivi

Editore e direttore responsabile Raffaele Castagna

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Anno XXV- N. 1 - Gennaio 2004 - Euro 2,00

3 Termalismo e turismo nell’isola d’Ischia

13 Pagine di AutoreEpicedio flegreo

16 La marineria ischitana tra il ‘500 e l’800 (II)

20 Storie di pesca e di pescatoriUn improvviso cambiamento di vento

21 2004 - I 150 anni del porto d’Ischia

22 Hans Purrmann a Ischia nel 1953

24 Momenti di vita isolanaLa casa della Pietratorcia

25 CulturaLa libertà come valore etico

26 Ischia nella storiaCarlo VIII conquista il regno di Napoli,ma non la rocca d’Ischia

32 Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggiIn Crimea e la II guerra d’indipendenza

36 MostreNapoli: Anish KapoorCastello d’Aragona: Domenico PurificatoEdimburgo: Degas e gli italiani a Parigi

43 Rassegna Libri

50 Aromaterapia: il recupero degli spazi verdi

La Rassegna d'Ischia

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Termalismo e Turismonell’isola d’Ischia

di Sebastiano Monti

1. Il Termalismo tra passato e futuro

Il passaggio dai miti classici della creazione alla razionalità non esclude ilpersistere di aspetti di mera sacralità coesistenti con la medicina d'osservazio-ne. Dinanzi ai limiti e alla ricorrente incapacità della medicina di assicurare al-l'uomo - almeno sino al XIX secolo – una sicura guarigione, trova un qualchefondamento logico la sopravvivenza, nel corso della storia, di credenze mira-colistiche legate in genere all'ambiente, ritenuto, per l'appunto, il giusto tramitetra il malato e il preternaturale, laddove la medicina ha fallito. E tra i fattori ambientali quello sicuramente più rilevante in tal senso è l'ac-qua, storicamente fonte miracolosa per antonomasia, se è vero come è vero,che sin dai tempi dell'antica Roma e ancor prima, la ricerca della salute èlegata alla presenza di luoghi ricchi di acqua, le terme, che a partire dal secoloXIX divengono stabilimenti, predisposti alla cura e alla regolamentazione dellefunzioni dell'organismo umano. C’è da dire, comunque, che al di là della rilevanza storica dell'acqua, comestrumento miracoloso al servizio della salute umana (vedi Ippocrate e il suoDelle arie, acque e luoghi) e come elemento da privilegiare e da tutelare conpriorità assoluta nel quadro dei criteri alla base di una funzionale e razionalepianificazione urbana e territoriale, il dibattito su ambiente e salute ha preso alievitare con sufficiente speditezza solo a partire dalla metà del secolo scorso

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Termalismo e Turismo nell’isola d’Ischia

grazie al contributo notevole di talune istituzioni inter-nazionali o di ricerca (OMS, Schools of Public Healthdi Londra, Boston e Baltimore), alimentando un acce-so confronto tra antico e moderno nell'esame semprepiù approfondito e interdipendente dei rapporti tra ele-menti naturali e malattie, tra superstizioni e progressiscientifici, tra istituzioni politiche ufficiali e ricercatoriindividuali (L. R. Angeletti, 1995). E in un siffatto dibattito l'acqua ha rappresentatosempre - sia in senso storico che tecnico-funzionale -l'elemento trainante e centrale del discorso globale. In senso storico, nel processo plurisecolare dell'evo-luzione dell'uomo, l'acqua ha infatti svolto un ruolo fon-damentale sia in termini di insediamento umano e pro-duttivo (foci, nomadismo, stanzialità, Tevere-Romaecc.) (M. Cancellieri, 1995), che ha visto l'acqua con-siderata sempre come elemento vitale per eccellen-za, assolutamente essenziale per la sopravvivenzaquotidiana, ancor più del fabbisogno alimentare pro-curato dalla caccia, dalla pastorizia o dall'agricoltura,sia per la religiosità popolare che ha vistosamenteammantato di divinità tutelari quasi tutti i luoghi ricchidi acqua e di sorgenti idriche, dal momento che l'im-mersione rituale nell'acqua ha rappresentato sin daitempi antichi innanzitutto una duplice funzione sacra-le e sociale, un valore di rinascita, attraverso la purifi-cazione del corpo nell'ambito di una prassi sociale lun-gamente consolidata che anteponeva il senso di ri-spetto verso gli altri e verso gli dei al bisogno di igienepersonale o di trattamento terapeutico (es. i bagni diDiomede e Ulisse nell'Iliade, e il bagno di Ulisse nel-l'incontro con Nausica, nell'Odissea) (L. Melillo, 1995). Dal punto di vista tecnico-funzionale, non vi è dub-bio alcuno che l'acqua rappresenti attualmente la spiapiù efficace e sintomatica dell'emergenza ambientalee in particolare dell'equilibrio fisiologico necessario tral'attività dell'uomo e la natura che lo circonda, nel sen-so che gli eventi patologici più rischiosi del genereumano (alluvioni disastrose, mutamenti climatici, in-quinamento di falde freatiche, distruzione dei raccolti,siccità, desertificazione) ruotano tutti essenzialmenteintorno alla presenza e all'assenza di acqua, alla tute-la e all'uso razionale o alla negligenza e allo sperperodel patrimonio idrologico (M. Vegetti, 1995). Il primo accenno di uso curativo di sorgenti termalisi trova in Filostrato (Hersicus, 3,35) ed è in relazioneai guerrieri achei feriti, che di ritorno da Troia si im-mergevano a scopo terapeutico nelle sorgenti termalipresso Smirne, che furono chiamate “Bagni di Aga-mennone”. Sin dall'antichità, in effetti, è apparsa chiara la con-nessione tra sorgenti d'acqua termale e curativa, dauna parte, e fenomeni vulcanici, dall'altra, a dimostra-zione, da un lato, che la qualità dell'acqua, con la suatemperatura, era legata esclusivamente alla strutturageologica del terreno che attraversava, e dall'altro, che

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nell'immaginario degli antichi esisteva un mitico lega-me biunivoco tra salute e vulcanismo, sotto il controllodelle medesime divinità - ctonie, prima, e olimpiche,poi -. E così, nell'antica Grecia, gli impianti termali in ordi-ne di tempo più noti sono quelli di Asclepio (a Kos e aGòrtina in Arcadia) e di Eracle (a Termopili e ad Adep-so in Eubea), che sorgevano nei pressi di sorgenti diacque medicamentose, dove i pazienti procedevanoad un rito di purificazione, anche con effetto terapeuti-co, mentre a Gadara di Giudea (l'odierna Ain Gader)si trovava un importante centro termale per la curadella lebbra, secondo solo a Baia e celebre ancoranei primi secoli dopo Cristo. Anche presso gli Etruschi e le antiche popolazioniitaliche l'uso terapeutico delle acque ha avuto un suofondamento storico ben preciso, che è continuato sinoin epoca romana. Basti citare le “Thermae Ceretanae” (attuale Bagnodel Sasso, a Cerveteri), le celebri “Fontes Clusini”(Chianciano), le “Acque Populoniae” (i Bagni di Cal-dana) - tutte in piena attività alla fine dell'impero ro-mano e alcune tuttora in vita -, le “Thermae tauri” (iBagni di Ferrata, presso Civitavecchia). Ma quelli che nel mondo antico riuscirono a svilup-pare l'idroterapia ai massimi livelli furono senz'altro iRomani, presso i quali il termalismo si configurò subi-to con un carattere collettivo e pubblico, in particolarecon l'avvento del Principato, allorquando, cioè, in se-guito alla realizzazione di grandiose opere di approv-vigionamento idrico - come gli acquedotti - il termali-smo prese a svilupparsi non più nelle immediate vici-nanze delle sorgenti, legate al culto di taumaturgichedivinità ctonie, ma anche nel pieno centro urbano, pri-vo di sorgenti naturali. E questo si prefigurò come un'autentica rivoluzionecopernicana nella storia e nella tecnica del termali-smo, il quale si caratterizzò subito per una precipua,duplice funzione: accanto a quella di carattere mera-mente terapeutico - con annesssi centri medici e dicontrollo - il termalismo, da un lato, accentuò semprepiù la sua intrinseca essenza sociale - come luogo diincontro, sia per uomini che per donne, alle quali finoalla decadenza dell'impero venivano riservate termedistinte -, e, dall'altro, prese a differenziarsi semprepiù da quello di origine greca, in quanto aveva assun-to una caratterizzazione complessiva come autenticocentro sanitario a sfondo prevalentemente pubblico elaico, slegato da quella pregnanza mistica e religiosa,tipica delle terme greche di Asclepio ed Eracle, chesorgevano di solito presso una fonte. Tra i più grandi impianti termali romani, infatti, van-no ricordati soprattutto quegli immensi complessi fi-nanziati direttamente dagli imperatori che facevano agara per superarsi l'uno dopo l'altro: le Terme di Nero-ne, di Tito, Tiberio, Traiano, di Caracalla, di Domizia-

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no, ma anche le numerose ville im-periali, dotate di completi sistemi ter-mali, come l'Heliocaminus nella Vil-la di Tivoli, di Adriano, o le strutturetermali della Villa di Piazza Armeri-na, in Sicilia (inizi IV sec.d.C.): tuttiimpianti, questi, dai più grandi ai piùpiccoli, dotati di un efficiente e ra-zionale sistema di termoregolazionedelle acque - dalle caldissime allefreddissime -, a testimonianza di unapratica idroterapica consolidatasi coltempo in tutto l'ambiente mediterra-neo. E tra i numerosi autori che hannoa più riprese esaltato l'uso terapeu-tico delle acque termali vanno se-gnalati soprattutto Asclepiade di Pru-sa (Iº sec. d.C.), amico di Cicerone,Virgilio (Eneide IX), Seneca, Vitru-vio (libro VIII del De Architectura),Antonio Musa, che guarì Augustocon l'uso di bagni freddi, Plinio ilVecchio (Naturalis Historia), Galeno,Antillo e soprattutto Celso, cui sidevono la più esplicita esaltazionedella stazione termale di Baia e lapiù esaustiva teorizzazione dell'usodelle acque come mezzo di cura edi ristoro del fisico, grazie ad un'op-portuna e specifica regolazione ter-mica delle stesse in base alle esi-genze precipue di ciascun individuo(L. Melillo, 1995). Tutto questo ha contribuito nonpoco ad influenzare ulteriormente ilprocesso evolutivo del termalismo,nel senso che, se le grandiose ope-re architettoniche romane di approv-vigionamento idrico avevano in pre-cedenza sganciato l'impiantisticatermale dalle relative sorgenti natu-rali, queste ultime presero ad eser-citare di nuovo una forte attrazioneinsediativa ancora nel corso dell'im-pero, in corrispondenza dei fasti de-cantati proprio delle terme di Baia edei Campi Flegrei in genere, in unavasta tipologia di patologie, sia peridroterapia che per crenoterapia,grazie appunto all'origine vulcanicadelle acque e alla loro diversificatacomposizione fisico-chimica e termi-ca. E così, grazie soprattutto ad unacontingente rivisitazione storica deisuoi primordiali connotati genetici, iltermalismo riuscì a tenere in piedi ilsuo valore anche all'indomani dellafine dell'impero, allorquando la crisi

della città, la distruzione di partedegli acquedotti e la rovina dei gran-di impianti termali affrettarono irre-versibilmente la crisi dell'idroterapianelle terme artificiali delle grandi cit-tà ma non in quelle naturali, che con-tinuarono a proporsi - come neiCampi Flegrei - quali autentici polidi attrazione di cospicue masse dipellegrini-pazienti nel corso del Me-dioevo e del Rinascimento. Anche nelle aree periferiche del-l'Europa si registrò una crescentevalorizzazione delle sorgenti terma-li, sia pure ancora legate a culti didivinità salutari locali, via via roma-nizzate: in Germania, si ricordino, atale riguardo, le terme di Badenwei-

ler nella Foresta Nera (dell'80 d.C.),le celebri Terme di Aquae (l'odiernaBaden Baden), divenute sotto Ca-racalla “Aquae Aureliae”, i resti gran-diosi dell'antico complesso termaledi Wisbaden, le Terme di Aquisgra-na. In Francia, la testimonianza è dataessenzialmente da una nutrita gam-ma di ex voto di pazienti guariti inseguito alle cure termali, rinvenuti,tra l'altro, nei pressi del santuario diSequana e di quello di Sources desRoches, vicino a Chamalière. In Britannia va ricordato soprattut-to il complesso di Bath sul fiumeAvon, tuttora in uso.

2. La funzione del termalismo nel rapporto ambiente-salute

La laicità del termalismo medico dell'antica Roma, che aveva scalzato ilmisticismo mitico dell'antica Grecia, si era ulteriormente rafforzata nel cor-so dell'illuminismo e aveva trovato la sua definitiva consacrazione nei se-coli XVIII e XIX, in seguito all'approfondimento delle indagini sulla composi-zione delle acque minerali e sui loro meccanismi operativi che si accompa-gnò alla fondazione di importanti società scientifiche per lo studio del ter-malismo (l'Associazione Medica Italiana di Idroclimatologia, Talassologia eTerapia Fisica, sorta a Bologna nel 1888) e alla formazione di famose scuo-le accademiche (la Scuola Romana di Idrologia Medica, sorta a Roma allafine degli anni ‘30 ad opera di Mariano Messini), che contribuirono nonpoco a spogliare definitivamente l'Idrologia nazionale dei tradizionali con-notati aristotelici e ad ammantarla di criteri squisitamente galileiani, cioèincentrati su analisi rigorose e verifiche costanti (F. Grossi, 1995). Tutto questo poneva imperiosamente sul tappeto un colossale problemadi ordine accademico, nel senso che evidenziava in misura chiara e inequi-vocabile l'indispensabilità di avere cattedre ordinarie di Idrologia Medicanell'ambito delle università italiane (oggi, dopo quella di Roma del Messini,esistono le cattedre di Medicina Termale del prof. Giuseppe Nappi, del-l'Università degli Studi di Milano, e di Idrologia Medica del prof. Enrico Lam-pa di Napoli).

A dispetto della spiccata complessità delle discipline e delle tematicheconfluenti, sotto l'aspetto meramente didattico, nel quadro della MedicinaTermale, non vi è dubbio che la collocazione accademica di quest'ultimatrova la destinazione più logica e razionale, come materia d'insegnamento,nell'ambito dell'ordinamento didattico del corso di laurea in Medicina, an-che se in direzione di due differenti campi di studio apparentemente distac-cati e avulsi l'uno dall'altro: quello sanitario e quello minerario. Mancano, allo stato attuale, come sono del resto mancati fino ad oggi,non solo piani organici e strutture estese all'intero territorio nazionale, maanche una vera e propria politica sanitaria termale degna di questo nome. Che sia Ischia la promotrice autentica e ufficiale di una iniziativalegislativa mirante a sponsorizzare - su scala nazionale ed europea -l'importanza della Medicina Termale in direzione essenzialmente diuna robusta corroborazione scientifica finalizzata alla valorizzazionedell'enorme ricchezza del patrimonio idrologico nazionale e delle rile-

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Termalismo e Turismo nell’isola d’Ischia

vanti strutture sanitarie e ricetti-ve che ad esso si accompagna-no, nel quadro di una innovativaprogrammazione del modernosviluppo urbano, capace di supe-rare definitivamente e irreversibil-mente i pesanti condizionamentiambientali e le ataviche teorie dideterminismo naturale di Ippocra-te e di pervenire ad una funziona-le e organica utilizzazione dellospazio, nel rispetto delle normebasilari della sostenibilità dellosviluppo per le generazioni futu-re. Fatto salvo, comunque, il presup-posto incontestabile che, al di là diogni ipotesi plausibile circa la bontàe la validità delle strategie di un effi-cace sviluppo sostenibile, il rappor-to ambiente-salute è destinato a gio-care un ruolo decisamente priorita-rio nell'attuale scenario antropico edeconomico nazionale e internazio-nale, soprattutto per ciò che concer-ne l'efficienza dei sistemi sanitari ein special modo la correlazione fun-zionale e biunivoca tra il reddito pro-capite e l'aspettativa di vita alla na-scita. In particolare, da quando, all'iniziodegli anni '90, l'indice di sviluppoumano (l'ISU) ha preso a contras-segnare in modo sempre più mar-cato e decisivo la via qualitativa del-lo sviluppo, sostituendosi ai tradizio-nali parametri quantitativi fino ad al-lora adoperati su vasta scala, la du-rata media della vita, e più in gene-rale la mortalità infantile, hanno su-bìto sempre più poderosi condizio-namenti dall'entità e dalla equa ri-partizione del reddito, sia nei paesiindustrializzati, sia in quelli in via disviluppo (S. Monti, 2000). Nel senso che in questi ultimi l'in-nalzamento del livello del reddito hasistematicamente comportato unaquasi automatica contrazione dellamortalità infantile, mentre nelle na-zioni del mondo sviluppato un ana-logo effetto è stato raggiunto in ge-nere grazie ad una più equa distri-buzione del reddito fra tutti gli stratisociali e in tutto l'ambito territorialedi uno Stato.

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Significativo, a tale riguardo, è, ineffetti, il caso del Giappone e delRegno Unito che negli anni ‘70 pre-sentavano un quadro distributivo delreddito e un'aspettativa di vita moltosimili, mentre alla fine degli anni ‘80gli stessi parametri si sono netta-mente differenziati, nel senso cheper il Giappone, ad una distribuzio-ne del reddito via via più egualitaria,ha corrisposto una speranza di vitaprogressivamente più elevata (oggiè la più alta del mondo) e nel RegnoUnito, un reddito gradualmente piùsquilibrato si è accompagnato co-stantemente ad un'aspettativa di vitache si è ridotta di 3-4 anni rispetto aquella del Giappone. Tutto questo sta a dimostrare che,quantunque i servizi sanitari non siconfigurino sempre come i principa-li determinanti delle condizioni disalute, la loro erogazione viene qua-si sempre percepita come un ele-mento assolutamente prioritario nel-l'ambito di una precipua politica ten-dente al miglioramento delle condi-zioni di salute nei diversi paesi delmondo (M. McKee - F. Sassi, 1995). Si tratta, in tal caso, di una politicache viene ad estrinsecarsi in unaduplice direzione, a seconda che cisi trovi di fronte a paesi arretrati o apaesi sviluppati: nei primi, infatti,occorre che essa privilegi innanzi-tutto l'aumento dei ritmi della cresci-ta economica, l'incentivazione dellascolarizzazione, il consolidamentodella medicina preventiva e dei ser-vizi clinici essenziali, e nei secondimiri in special modo a incoraggiarela diversità e la competizione nella

fornitura dei servizi sanitari e a mi-gliorare le tecniche e il personalepreposto alla gestione degli impian-ti, cercando di contenere i costi e dicoinvolgere adeguatamente la co-munità nel suo insieme, conseguen-do in tal modo l'obiettivo irrinuncia-bile e assolutamente prioritario cheè pur sempre quello di ottimizzarel'uso delle risorse, conciliando il sen-so del dovere della professione me-dica con le ragioni economiche, egarantendo alla popolazione mon-diale una vita lunga e sana(A.Boccia-M.De Giusti-A.Del Cim-muto, 1995).

Dalla seconda metà del secoloscorso il rapporto terme-territorio èandato via via consolidandosi, sinoa divenire una componente essen-ziale e non affatto secondaria nellastoria contemporanea del turismonazionale e internazionale.

E ciò in virtù del fatto che il settoretermale non solo ha subìto nell'ulti-mo secolo la stessa curva di cresci-ta del turismo in generale, pervenen-do ad un'incidenza globale superio-re al 4% in termini di presenze com-plessive, ma ha anche palesatoun'analoga contrazione della dura-ta media, dal momento che la diffu-sione del lavoro autonomo, l'aumen-to degli occupati nel terziario (setto-re nel quale la presenza deve esse-re spesso garantita con continuità),gli elevati e stressanti ritmi del lavo-ro impongono frequenti e brevi in-terruzioni di riposo, diluite nel corsodell'anno, in tutti i tipi di fruizione deltempo libero, compreso quello ter-male.

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3. Il turismo ischitanoe le tre fasi

dell'espansione edilizia

Ne deriva che per controbilancia-re la diminuzione delle presenze edella permanenza media occorreattrarre un crescente e cospicuonumero di arrivi - italiani e stranieri -attraverso una oculata e mirata di-versificazione - lancio di prodotti con-gressuali e di fitness (attività e pro-dotti destinati alla forma fisica) -, es-senzialmente incentrata su adeguatie moderni strumenti di formazionee sulla istituzione di una sorta dimarchio di qualità, che garantiscaall'ospite o la precipua specificità delprodotto termale o la sua rapida con-versione in prodotto turistico globa-le mediante l'aggiunta al valore ter-male di una serie di altri valori con-cernenti l'espletamento di attivitàsportive, la salute come prevenzio-ne e/o rimessa in forma, la bellezzadei luoghi, la rivalutazione del patri-monio artistico e culturale, il dinami-smo congressuale.

Laddove, infine, come ad Ischia, ilprodotto termale presenta una ec-cezionale rilevanza dal punto di vi-sta terapeutico, si tratta di fare emer-gere queste potenzialità attraversouna politica di marketing più aggres-siva e capillare che in passato, ca-pace di riportare in Italia tutti queiconsumatori stranieri di turismo chenegli anni ottanta e novanta aveva-no scelto altre mete turistiche, a cau-sa del calo di competitività delle sta-zioni termali italiane.

Tutto questo potrà avvenire solomediante un'efficace riqualificazionedella formazione professionale e undecisivo miglioramento dell'offertadei servizi in genere, formulando unaconcreta ipotesi di strategia comu-nicazionale, in grado di coinvolgereil mondo termale nel suo insieme,attraverso l'esaltazione di quelle chesono attualmente le prerogative fon-damentali del suo apparato com-plessivo: vale a dire la “naturalità”delle terapie termali dal punto di vi-sta sia dei mezzi utilizzati, sia dellascarsità di effetti non desiderati, ol-tre che tutta una serie di garanzie(serietà, rigore, proficua sperimen-

tazione) che tante pseudo-medicineoggi largamente diffuse non posseg-gono affatto.

Secondo una recente statistica,stilata in base all'insieme di presta-zioni mediche e curative offerte (QuiTouring 1994), al numero di alber-ghi, delle attività sportive che si pos-sono praticare, delle bellezze deidintorni, dei servizi espletati, Ischiaoccupa il secondo posto, dietro Aba-no e prima di Montecatini, Monte-grotto, Salice e Salsomaggiore e unalunga serie di altre stazioni termali.

In effetti, in Italia esistono più di200 città termali, sulla cui attivitàemergono evidenti riflessi pubblici,dato il notevole indotto e la ricadu-ta, sull'intera economia locale, del fe-nomeno termale, che in alcune areeè la principale fonte primaria del red-dito.

Eppure, sotto il profilo normativo,allo stato attuale, in Italia non vi èalcuna legge che regoli opportuna-mente la materia.

In Germania, già da lungo tempohanno approvato un apposito ordi-namento per evitare la proliferazio-ne delle città “termali”.

La mancanza, in Italia, di una spe-cifica programmazione per la disci-plina e la regolamentazione dellosfruttamento delle risorse termalicomporta una nutrita serie di proble-mi per le amministrazioni locali econsente una preoccupante prolife-razione delle stazioni termali (oggisono più di 300 sul territorio nazio-nale), con conseguenze deleteriesulla qualità del settore, soprattuttoladdove, come a Ischia, il termalismoha dimostrato di possedere - su basiscientifiche - effettive proprietà tera-peutiche.

Dinanzi al lassismo e alla latitan-za giuridico-amministrativa del go-verno italiano, mi sembra altresì do-veroso che il mondo turistico-termaleischitano si rimbocchi le maniche eguardi al suo interno per procederead una radicale verifica complessi-va, mirante, in via assolutamenteprioritaria, a valutare attentamentee criticamente i presupposti di par-tenza e le prospettive settoriali a bre-ve e a media scadenza. Come si sa, lo sviluppo turistico haprovocato sul territorio isolano un

intenso processo di urbanizzazione,estrinsecatosi con la costruzionenon solo di alberghi e seconde case,ma anche di infrastrutture civili e ri-creative, come strade, piscine, ap-prodi, campi da tennis, ristoranti, ri-trovi e così via, che hanno visto tra il1961 e il 2001 la superficie urbaniz-zata registrare incrementi eccezio-nalmente elevati in tutti i comuniischitani - con particolare riguardo aForio (più 2309%), a Serrara Fonta-na (più 1622%), a Barano (più1295%), a Ischia (più 1143%), aCasamicciola Terme (più 400%), fa-cendola passare dal 4,82% al 36%nell'intera isola -.

Nel relativo processo di espansio-ne edilizia - che ha visto la superfi-cie improduttiva dell'isola d'Ischiapassare nello stesso periodo dal18,21% al 47,4%, anche a seguitodell'abbandono dei campi da partedella popolazione rurale - è dato diindividuare tre distinte fasi, corri-spondenti in linea di massima a bi-sogni socio-economici precipui: essesi possono definire dell'adeguamen-to (51-71),relativa alle esigenze diuna qualità della vita più elevata,data l'estrema precarietà e promi-scuità del modus vivendi quotidiano,in case piccole, prive di servizi igie-nici adeguati, di acqua corrente e dialtri servizi primari; dell'espansione(71-81), contrassegnata dalla valo-rizzazione generalizzata dello spa-zio utilizzabile, grazie anche ad unarelativa discrezionalità delle ammi-nistrazioni comunali nel rilascio del-le concessioni edilizie sia per nuovecostruzioni che per la ristrutturazio-ne di immobili esistenti (nell'isolavengono costruite 6500 nuove abi-tazioni), il che consente a numero-se famiglie isolane la messa in valo-re di particelle rurali da tempo incol-te, oltre che di manufatti cadenti, conconseguenti, improvvisi arricchimen-ti, che hanno permesso, tra l'altro, amolti isolani di cedere a non residentila loro casa ubicata al centro delpaese - dato che la centralità si con-figura quasi sempre come un eleva-to valore aggiunto - e di andare adabitare in un sito periferico o in unfabbricato esistente dopo averloadeguatamente ristrutturato, o inuna costruzione nuova edificata su

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Termalismo e Turismo nell’isola d’Ischia

di un territorio in precedenza colti-vato. La terza fase - dell'accumula-zione – è posteriore al 1981 ed ècaratterizzata dall'investimento di in-genti capitali nel mercato immobilia-re -indipendentemente da una suadiretta utilizzazione-, dato il valorecrescente dei fabbricati isolani, giu-stamente considerati beni difficil-mente deprezzabili, in virtù della im-possibilità di espandere l'offerta delbene-casa oltre certi limiti impostidalla ristrettezza delle aree edifica-bili e dai vincoli paesaggistici: nelsolo decennio 81-91 a Ischia sonostate realizzate 4700 nuove case, ilche ha portato il patrimonio edilizioinsulare ad oltre 24.000 abitazionicon un totale di 100.000 vani - di cuiil 17% appartenente a famiglie nonresidenti nell'isola - realizzati in granparte in maniera illegale, data l'as-senza di piani regolatori, come sievince chiaramente dall'elevata in-cidenza delle istanze di sanatoriapresentate dagli ischitani in seguitoalla Legge di condono del 1985(61% dei proprietari di abitazioni) edel 1994 (34% dei proprietari di abi-tazioni) (E. Mazzetti, 1999). E il fatto che una simile esplosio-ne edilizia si sia costantemente ac-compagnata ad un trend del movi-mento turistico annualmente ascen-dente - nell'ultimo trentennio esso siè più che quadruplicato - ci inducead una serie di riflessioni in meritoalla sostenibilità di un siffatto sche-ma di sviluppo del turismo ischita-no. Quest'ultimo accoglie attualmenteoltre l'80% dei flussi turistici conver-genti nell'arcipelago partenopeo, epiù propriamente ben 587.503 arrivi(dei 724.712 complessivi) e5.480.000 presenze (delle 6.369.727complessive) (media biennio 2000-2001), e interessa in genere l'interoanno solare, anche se si concentraprincipalmente nel periodo tra apri-le e ottobre, con gli italiani, di granlunga più numerosi negli alberghi -per gli arrivi - e nettamente predo-minanti nel periodo estivo, e gli stra-nieri prevalenti nei mesi primaverilie autunnali, ospiti per lo più di alber-

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ghi con stabilimenti termali per i lorosoggiorni terapeutici, che contribui-scono altresì a mantenere più altala loro permanenza media. In merito alla ripartizione dei turi-sti tra le varie strutture ricettive, c'èda segnalare che gli alberghi a 5stelle forniscono servizi di lusso adun modesto numero complessivo dituristi, per un ammontare globalestazionante intorno alle 30 mila not-ti, pari a meno dell'1% totale, conuna stragrande maggioranza di ita-liani e una modesta presenza di stra-nieri, che tuttavia registrano unapermanenza media - sette giorni -leggermente più elevata di quella deinostri connazionali - sei giorni -. Lo “squilibrio ricettivo” tra italianie stranieri tende ad attenuarsi al-quanto negli alberghi a 4 stelle, cheospitano in genere circa il 32% deituristi ischitani (con il 70% di italianie il 30% di stranieri) e si annulla qua-si del tutto negli alberghi a tre stelle,la cui utenza, pari al 46% del totale,è costituita in parti pressoché ugualida italiani e stranieri, che nelle rima-nenti classi alberghiere riprendonoa manifestare vistosi scarti (negli al-berghi a 2 stelle, che ospitano il 14%dei turisti, gli italiani sono l'85,1%,gli stranieri il 14,9%; negli alberghi a1 stella, che smaltiscono il 4,7% delflusso turistico isolano, i primi risul-tano il 96,1% e i secondi il 3,9%,mentre il movimento dei residence,pari al 3,3% del totale, è costituitoquasi interamente da italiani - glistranieri rappresentano solo il 2%)(riferimenti relativi al 1996). Tutto questo sta a dimostrare chegli stranieri scelgono sia i grandi al-berghi, sia quelli decorosi di catego-ria intermedia, mentre gli italiani ofruiscono dei servizi di alberghi dicategoria superiore o si contentanodelle strutture ricettive inferiori, a te-stimonianza di una maggiore com-pattezza e omogeneità sociale delturismo straniero - costituito per lopiù dalla componente tedesca - ri-spetto a quello italiano, alimentatoin genere da persone dalle ampie di-sponibilità finanziarie o dalle mode-ste condizioni economiche.

Decisamente meno significativorisulta il movimento extralberghiero,a causa sia della modesta inciden-za degli stranieri, sia della eccessi-va concentrazione delle presenzenei mesi di luglio e agosto, sia deldebole coinvolgimento di persone(poco più di 102.000). I clienti degli esercizi pararicettivisi ripartiscono per il 23% in case inaffitto, per il 2,2% in campeggi e peril 74% in case private, e denotanouna schiacciante permanenza dellacomponente italiana (79%) su quel-la straniera (21%). Ne deriva, pertanto, che il turismoalberghiero -a differenza di quelloextralberghiero -, in virtù della mag-giore permanenza media, è in mag-gioranza straniero ed è alimentatoessenzialmente da una triade digruppi -tedeschi, austriaci e svizzeri- che, grazie ad un soggiorno medioelevato (oltre 11 giorni), decisamentepiù lungo di quello registrato dallealtre località famose della Campa-nia e dell'intera Penisola, precedo-no di gran lunga altri gruppi di paesia permanenza media elevata (Scan-dinavia, Regno Unito, Benelux, Rus-sia, USA) o visitatori, per lo più gio-vani, che “vogliono vedere e scap-pare” (Giapponesi). (D. Ruocco, s.d.p.44). Le presenze degli stranieri a Ischiarappresentano oltre il 40% del tota-le della provincia di Napoli (gli arrivisono pari al 30%), nel cui ambito lanostra isola è nettamente al 1º po-sto, davanti a Sorrento, da cui è pre-ceduta in quanto agli arrivi. Dinanzi ad un quadro così varia-mente articolato, contrassegnato dauna vistosa complessità generale acausa del concorso contemporaneodi una nutrita serie di fattori struttu-rali e contingenti, di diversa estra-zione disciplinare, i rischi di un peri-coloso collasso ambientale, conl'inevitabile declino del turismo, as-sumono contorni via via più concretie necessitano di una opportunaquantificazione complessiva, atta aporre sul tappeto le basi più propi-zie per fronteggiarli nella maniera piùefficace possibile, grazie all'elabora-

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zione di precisi indicatori della rela-tiva capacità di carico. Questi ultimi variano a seconda deidiversi punti di vista, dal momentoche si può parlare di una capacitàfisica, se la si riferisce al numeromassimo di turisti che una localitàpuò accogliere; una capacità ecolo-gica, la quale può rappresentare li-velli di sopportabilità di carico turi-stico inferiori a quelli fisicamente

ellets5 lets4

ENUMOC .N % .N

onaraB = 282

aloiccimasaC = 745

oiroF 79 5,0 5231

aihcsI 474 5,2 8613

onemAoccaL 775 1,3 064

anatnoFararreS = 093

elatoT 8411 1,6 2716

Letti ne

sostenibili dall'ambiente stesso; unacapacità psicologica, relativa sia aituristi che alla popolazione locale,nel senso che, nel primo caso, ci sichiede quante persone si è dispostia sopportare per le spiagge e per lestrade o quante auto nei parcheggisenza avvertire disagi, e, nel secon-do caso, ci si chiede quanti turisti siè disposti ad accogliere senza subi-re traumi e crisi di identità culturale.

4. Un nuovo approccio metodologico alla problematicadel turismo ischitano: l'indice di saturazione strutturale

e l'indice di saturazione temporanea

Di fronte alla estrema difficoltà di quantificare correttamente determinatiparametri concernenti, ad esempio, l'entità delle superfici a vario titolo ur-banizzate o altri tipi di utilizzazione del suolo, o l'effettivo ammontare deiposti-letto turistici esistenti nelle seconde case o nelle abitazioni che la po-polazione locale dà in affitto ai turisti, non resta che ricorrere ad un approc-cio metodologico alquanto diverso incentrato in particolar modo sull'indicedi saturazione strutturale e l'indice di saturazione temporanea, che si fon-dano in genere su dati ufficialmente disponibili. L'indice di saturazione strutturale (ISS) precisa la soglia di accoglien-za, oltre la quale si pregiudica il funzionamento della stazione turistica e sene avvia il declino irreversibile indipendentemente dal periodo dell'annoconsiderato. Esso è espresso dalla formula

ISS= (30% LX + 10% LY)/Pdove LX sono i letti alberghieri; LY i letti extralberghieri (seconde case eappartamenti per ferie) e P è la popolazione residente del comune in esa-me. La forte ponderazione dei letti alberghieri si spiega col tasso medio diutilizzazione degli stessi in Italia, che, al lordo dei periodi di chiusura, siaggira appunto intorno al 30%, ovvero 110 giorni all'anno, a fronte di untasso di occupazione medio del 10% relativo ai letti in strutture ricettiveextralberghiere.

el ellets3 ellets2 1

% .N % .N % .N

5,1 892 6,1 642 3,1 651

9,2 4351 2,8 216 3,3 772

1,7 0652 7,31 817 8,3 422

9,61 7702 1,11 534 3,2 38

5,2 325 8,2 57 4,0 =

1,2 964 5,2 541 8,0 702

9,23 1647 8,93 1322 9,11 749

lle varie categorie alberghiere (ne

In base a tale indice, sono da rite-nersi strutturalmente sature le sta-zioni turistiche con ISS maggiore ouguale ad 1 e fortemente compro-messi e quindi bisognosi di radicaliinterventi sul tessuto urbano e sulquadro socio-economico per preve-nirne il declino, o per frenarlo qualo-ra tale processo si sia già avviato, icentri con valori maggiori oppureuguali a 2. L'indice di saturazione tempo-ranea (IST) indica il livello massimoraggiungibile in alcuni periodi dell'an-no, il cui superamento può innesca-re ugualmente il declino di un cen-tro turistico. Esso è espresso dalla formula

IST= (LX + LY)/2LX,dove LX e LY stanno ad indicare ri-spettivamente i letti alberghieri equelli extralberghieri e 2LX il doppiodei letti in strutture alberghiere convalori minori o uguali a 10.000.

«Tale relazione mette in rapportoil totale dei letti disponibili con il dop-pio dei letti alberghieri esistenti, pur-ché il valore non superi la soglia di10.000, e consente di misurarequante volte la situazione di affolla-mento “ideale” data dalla totale oc-cupazione dei letti disponibili in eser-cizi alberghieri e di un numero teori-camente uguale di posti in struttureextralberghiere, viene superata». Indici inferiori a 1 stanno ad indi-care stazioni turistiche temporane-amente sature e indici compresi tra1 e 2 evidenziano livelli di sovraffol-

La Rassegna d'Ischia 1/2004 9

allets eznediseR elatoT

% .N % .N %

8,0 = 289 2,5

5,1 032 2,1 0023 1,71

2,1 84594 6,2 9145 9,82

4,0 = 3,0 5826 6,33

= 5361 7,8

1,1 = 1121 5,6

1,5 377 2,4 23781

l 2003)

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Termalismo e Turismo nell’isola d’Ischia

lamento accettabili, mentre indici piùelevati denotano disfunzioni più omeno gravi, che precludono al de-clino se non si interviene con stru-menti correttivi (C. Formica, 2000). E, se è vero che indici simili han-no in genere dei limiti ben precisi,nel senso che in particolar modo nonriescono ad esprimere contestual-mente il livello qualitativo comples-sivo dei posti disponibili, è vero al-tresì che essi presentano quasi sem-pre il vantaggio di un'agevole appli-cabilità e si configurano come con-creti strumenti capaci di quantifica-re con una certa obiettività l'impattospaziale del turismo sulla collettivitàe sull'ambiente, lasciando intuire conchiarezza i conseguenti fenomeni dicongestione e di compromissionedella vitalità turistica di un determi-nato centro. Si comportano, insomma, come haacutamente sottolineato C. Formica,quali autentici «campanelli di allar-me che, se ascoltati, devono indur-re a prendere provvedimenti anchedrastici nei confronti dello svilupposenza limiti», compresi il blocco as-soluto di ogni altra espansione edili-zia e il contingentamento del nume-ro dei turisti e delle macchine in cir-colazione (C. Formica, 2001). In effetti, applicati ai sei comunidell'isola d'Ischia, i suddetti indica-tori rivelano situazioni quanto menopreoccupanti, suscettibili comunquedella massima attenzione da partedegli organi amministrativi respon-sabili e degli operatori turistici inte-ressati, soprattutto in considerazio-ne del fatto che entrambi gli indici disaturazione considerati non tengo-no conto né della presenza dei pen-dolari, che nel corso dei mesi estiviaffollano in maniera massiccia tutti icomuni dell'isola, né dell'ampiezzaterritoriale di questi ultimi, inveroestremamente esigua in alcuni casi,

10 La Rassegna d'Ischia 1/2004

(1) L'isola d'Ischia ha una superficie ter-ritoriale complessiva di 46 kmq, così ri-partita tra i sei comuni: Barano (11,07kmq), Casamicciola Terme (5,60 kmq),Forio (12,85kmq), Ischia (8,05 kmq),Lacco Ameno (2,07 kmq), Serrara Fon-tana (6,69 kmq).

al punto tale che per soppesare ade-guatamente l'estensione e lo spes-sore di siffatti problemi appare ne-cessario fare riferimento non soloall'indice di densità della popolazio-ne residente e all'indice di densitàurbana, relativa cioè alla popolazio-ne presente nella sola superficie ur-banizzata, ma anche all'indice del-l'intensità turistica, espressa dallasomma della popolazione residentee di quella turistica, i cui valori rag-giungono punte estremamente ele-vate nel periodo estivo, quando su100 residenti ci sono 123 turisti aCasamicciola, 114 ad Ischia e 107 aLacco Ameno. Analizzando la situazione specifi-

ca dei singoli comuni dell'isola, sipuò convenire che la ponderazionedell'indice di saturazione strutturalecon la percentuale della popolazio-ne urbanizzata su quella territorialee con la popolazione dei turisti pen-dolari permette di calcolare, “un in-dice globale di saturazione”, il qualeconsente di affermare che quando isuoi valori sono inferiori ad 1 le pre-senze turistiche sul territorio sonosicuramente accettabili (Barano eSerrara Fontana), quando sonocompresi tra 1 e 10 destano preoc-cupazione (Casamicciola e LaccoAmeno) e quando superano la cifradi 10 esprimono un carico antropicoeccessivo (Ischia e Forio) (1).

5. Il turismo isolano tra esigenze di riequilibrio e sostenibilità degli attuali indici di carico

Tutto questo evidenzia l'impellente necessità di avviare una opportunapolitica di riequilibrio della distribuzione del carico antropico nel tempo enello spazio, non tanto se ci si riferisce agli indici di saturazione strutturalerelativi all'anno intero, in quanto, in tal caso, tutti i comuni dell'isola si situa-no al di sotto della soglia critica, ma soprattutto se si considerano gli indicidi saturazione temporanea, che evidenziano un pericoloso superamento ditale soglia nel corso dell'anno da parte di quasi tutti i centri isolani, e inspecial modo dai comuni di Lacco Ameno e di Barano, dove l'eccessivapressione umana e una serie nutrita di disfunzioni strutturali e contingentipreludono all'irreversibile declino del turismo, la cui sopravvivenza può es-sere perseguita solo attraverso adeguate azioni preventive di difesa e nonmediante terapie a posteriori e tardive. Alla luce di quanto premesso, i dati più recenti sul flusso del movimentoturistico ad Ischia impongono talune opportune riflessioni in merito essen-zialmente alla ulteriore sostenibilità degli attuali indici di carico. Il turismo ischitano continua a palesare una progressiva espansione chelascia prevedere un ulteriore aumento fino alla saturazione dell'offerta in-nalzando al massimo l'indice di utilizzazione delle strutture ricettive. Il quadro distributivo dei turisti nell'ambito dei sei territori comunali pre-senta una tal quale proporzionale equità complessiva che vede le stazionitradizionali di Ischia, Lacco Ameno e Casamicciola Terme posizionarsi conpercentuali di arrivi leggermente superiori alle presenze, al contrario di Fo-rio, Serrara Fontana e Barano, a dimostrazione del fatto che il versantenord-orientale dell'isola si presenta contrassegnato da una maggiore mobi-lità rispetto a quello sud-occidentale, dove si rimane per periodi più lunghi.Ciò è dovuto anche alla diversa composizione del flusso turistico nei dueversanti dell'isola, dal momento che gli stranieri prevalgono nettamente aForio sia in termini di presenze che di arrivi.

In base alle precipue connotazioni ambientali e socio-economiche deisingoli spazi comunali dell'isola, il problema è ora di sapere se sia più con-veniente pianificare un ulteriore sviluppo dell'offerta turistica, compatibil-mente con una razionale utilizzazione delle risorse locali e con una oculata

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INAILATI IREINARTS ELATOT

.N % .N % .N %

ellets5

ivirra 136.9 5,3 826.4 8,2 952.41 2,3

ezneserp 808.84 2,2 965.03 8,1 773.97 0,2

ellets4

ivirra 144.711 3,24 634.95 3,53 778.671 7,93

ezneserp 768.549 1,24 910.775 8,33 688.225.1 5,83

ellets3

ivirra 412.911 9,24 274.18 4,84 686.002 0,54

ezneserp 219.710.1 3,54 393.668 8,05 503.488.1 6,74

ellets2

ivirra 299.12 9,7 583.91 5,11 773.14 3,9

ezneserp 101.071 6,7 216.891 6,11 317.863 3,9

allets1

ivirra 933.9 4,3 903.3 0,2 846.21 8,2

ezneserp 670.66 9,2 203.43 0,2 873.001 5,2

ELATOT

ivirra 716.772 3,26 032.861 7,73 748.544

ezneserp 467.842.2 8,65 598.607.1 2,34 956.559.3

Movimento turistico per categorie alberghiere nel 2001

tutela delle condizioni ambientali,oppure arrestarsi alla soglia attuale,conservando i risultati raggiunti esforzandosi di adeguarli a nuoveeventuali esigenze future. C'è da dire, a tale riguardo, che lerisorse locali di un'isola vulcanica,morfologicamente assai mossa eaccidentata e geologicamente al-quanto instabile, come è la nostraisola, non sono da considerarsi af-fatto inesauribili. A cominciare pro-prio dai fanghi radioattivi e dalle ac-que termali. «Infatti, se per esempio si tienepresente che gli stabilimenti termaliattivi sono 95 e che ognuno di essiin media pompa dal sottosuolo 150metricubi di acqua al giorno, se nededuce che quotidianamente siestrae un volume di acqua pari a14.000 metri cubi: una quantità chein alcuni periodi potrebbe non avereil tempo di acquisire le normali pro-prietà terapeutiche» (D. Ruocco). In conclusione, si può convenireche l'isola corra il rischio, attraversol'eccessivo carico antropico e il cat-tivo uso delle risorse naturali edumane, di alterare le potenzialità delsuo territorio, modificandone la con-notazione precipua e rendendolosempre più simile a quei luoghi daiquali gli stessi turisti rifuggono. Non tragga in inganno, in tal sen-so, se fino ad oggi, a dispetto di undegrado significativamente ed este-samente tangibile lungo tutto il suoterritorio, Ischia ha continuato a re-gistrare un flusso turistico in conti-nuo crescendo. Ma fino a quando l'azienda Ischiariuscirà a “tener tesa la corda” e anon subire i nefasti effetti del supe-ramento del limite di quella che gliesperti definiscono “capacità di ca-rico”? In pratica, come ho già avuto mododi sostenere qualche anno fa, si èverificato ad Ischia il contrario diquanto sancito dalla “dichiarazionedi Manila” del 1980 in seno all'OMT,secondo cui la soddisfazione dellerichieste del turismo non deve es-sere pregiudizievole all'interesseeconomico e sociale della popola-zione delle aree turistiche, all'am-biente, alle risorse naturali, storico-culturali che sono la fondamentale

attrazione del turismo” (S. Monti,Turismo, ambiente e sottosviluppo). Le gravi alterazioni ambientali, in-fatti, possono avviare un circolo vi-zioso di devalorizzazione delle risor-se, dal momento che il turismo siconfigura quasi sempre in una ma-niera antipodica, nel senso che daun lato esige un ambiente tranquilloed incontaminato, e dall'altro è essostesso fonte d'inquinamento e di al-terazioni, per cui deve estrinsecarsinel quadro di una seria e concretapolitica di salvaguardia del territorio. A cominciare dalla linea di coste,che si presenta estesamente com-promessa da una serie di gravi in-combenze legate essenzialmentealla presenza di pareti rocciose co-stituite da formazioni argillose e pi-roclastiche che si sgretolano fre-quentemente in una miriade di fra-

ne e di smottamenti, e palesa unapreoccupante riduzione e variabilitàdelle spiagge sabbiose a causa dicorrenti litoranee particolarmenteinsidiose, come si è verificato di re-cente lungo il litorale sabbioso delversante settentrionale dell'isola e inspecial modo nel settore di quellomeridionale compreso tra Sant'An-gelo e Capo Grosso, vistosamentecolpito da fenomeni franosi ed ero-sivi, con crolli di estesi tratti di fale-sia che provocano notevoli danni allestrutture sottostanti, e dove, a parti-re dal 1969, il litorale arretra con unavelocità media di 1,5 metri all'anno. Tutto ciò premesso e senza ulte-riori inutili digressioni, basterebbesuggerire l'adozione di una strategiaatta, in via assolutamente prioritaria,a “governare il turismo”. E governare l'azienda Ischia signi-

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Termalismo e Turismo nell’isola d’Ischia

fica tener presente che il turismo è, di fatto, un'attivitàplurisettoriale che, in quanto tale, necessita di una co-ordinazione, di una pianificazione del suo sviluppo, diuna sinergia di intenti fra tutti i suoi elementi, e tuttociò scaturisce unicamente da una razionale e oculata“discesa in campo” del potere pubblico. Le molteplici implicazioni sociali e culturali del feno-meno turistico non possono, perciò, e non debbono“coinvolgere” il solo imprenditore, ma soprattutto leautorità competenti, le quali, differentemente dal pas-sato, dovrebbero esplicare il loro ruolo legittimo, cioèquello di garanti dell'interesse della collettività.

Sebastiano MontiRiferimenti bibliografici

)0002-1691(areihgreblaàtivitteciralledenoizulovE

onnA izicresE %.rcnI eremaC %.rcnI itteL %.rcnI

1691 89 9532 9504

1791 491 9,79 1955 0,731 5459 2,531

1891 272 2,04 3077 8,73 86531 1,24

1991 192 9,6 3579 6,62 10871 2,13

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12 La Rassegna d'Ischia 1/2004

enIREINARTSeINAILATIidezneserpeivirrA-2.baT

INAILATI S

ivirrA ezneserP ivirrA

ENUMOC .N % .N % .N

onaraB 422.9 4,3 002.47 3,3 005.5

aloiccimasaC 008.04 9,41 056.163 2,61 024.81

oiroF 837.56 1,42 092.685 3,62 022.86

aihcsI 000.311 4,14 003.048 7,73 800.54

onemAoccaL 005.13 4,11 008.072 3,21 051.61

anatnoFararreS 800.31 8,4 082.49 2,4 074.01

ELATOT 072.372 5,26 025.722.2 9,65 867.361

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IREINART ELATOT

ezneserP ivirrA ezneserP

% .N % .N % .N %

3,3 050.35 1,3 427.41 4,3 052.721 3,3

3,11 126.491 5,11 022.95 5,31 172.655 3,41

7,14 080.537 5,34 859.331 7,03 073.123.1 7,33

5,72 585.044 1,62 800.851 1,63 588.082.1 7,23

8,9 520.051 9,8 056.74 0,11 528.024 7,01

4,6 570.511 9,6 874.32 3,5 553.902 3,5

5,73 634.886.1 1,34 830.734 659.519.3

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NEAPOLIS - STORIA E CRONACHE N. 1/1960

Epicedio

flegreoAmedeo Maiuri

PAGINE DI AUTORE AMEDEO MAIURI

La colonizzazione greca della Campania è uno de-gli eventi più storicamente accertati, anche se av-volto dal poetico colore dei miti e delle leggende. Iprimi navigatori dell'Egeo toccarono infatti assai pre-sto i lidi della Campania e la saturarono fino a Cuma,ove la tradizione pone l'ultimo avamposto delle col-line greche del Tirreno. Erano i Calcidesi che, dallalontana e povera isola d'Eubea avean fondato leprime isole greche sotto l'Etna e, dopo aver blocca-to con Reggio e Messina la via marittima fra lo Jonioe il Tirreno, eran risaliti fino al golfo di Napoli, instal-landovisi dapprima nell'isola d'Ischia, ai piedi di unaltro vulcano non ancora spento: l'Epomeo. E, daIschia, dopo i primi contatti con gli italici della costa,eran passati sulla terraferma, proprio là dove un collevulcanico, fra selve e laghi, a specchio del Tirreno,sembrava messo a bella posta per guardare l'am-pio braccio di mare che si estendeva dal Massico edal promontorio di Gaeta fino al Capo Miseno.

Di queste lontane vicende dell'VIII secolo a. C. piùdelle testimonianze storiche ci fan sicura fede le sco-perte archeologiche. Prima d'ogni altra l'immensa ericca necropoli di Cuma con i suoi corredi che, perquanto depredati, ci danno il quadro completo dellaciviltà e del costume della città greca dalle originifino all'età romana; cui s'è aggiunta in questi ultimianni la scoperta d'uno dei nostri e giovani e valentistudiosi: la necropoli del più antico stabilimento gre-co, ad Ischia - Pithecusae - cioè che precedette diqualche decennio lo stabilimento di Cuma. È la ne-cropoli della poetica valle di San Montano pertinen-te alla rocca di Monte Vico: tombe vetuste di crema-ti, sepolti con i resti del rogo sotto cumuli di pietre,dei quali una coppa ricomposta d'infiniti frammentici ha dato, con la decorazione a linee geometriche,

la più antica iscrizione greca rinvenuta finora in Oc-cidente, incisa nei caratteri dell'alfabeto arcaico im-portato dai coloni calcidesi, in cui possiamo cogliereuna chiara eco della poesia omerica.

Narra infatti un canto dell'Iliade del saggio Nesto-re che avrebbe riconfortato, nella sua tenda, gli eroistanchi della battaglia con un infuso di vino e di mie-le preparato nella sua preziosa coppa d'oro; e l'iscri-zione dell'umile coppa d'argilla del navigatore grecodice «Non invidio la coppa di Nestore, ché chiunquebeva a questa mia coppa, subito prenderà il deside-rio dell'aurea Afrodite», irradiando sulla prima colo-nia greca della Campania la luce del canto di Ome-ro e provandone la continuità.

Una continuità spirituale che conferma la tradizio-ne storica, malgrado la colonizzazione greca diCuma abbia anche una origine leggendaria in De-dalo, il grande architetto cui s'attribuiva la costruzio-ne della favolosa reggia di Minosse a Creta e che,per sfuggire alla prigionia inventò per sé e per il fi-glio Icaro il primo apparecchio di volo. È la leggen-da eroica di cui si fa eco Virgilio:

Chalcidicaque levis tandem super adstitit arceDaedalus, ut fama est, fugiens Minoia regnapraepetibus pinnis ausus se credere coelo...

ove costruiva i grandi templi sacri di Apollo, non sen-za aver tentato di raffigurare, sulle porte istoriate deltempio, con la mano tremante del suo dolore di pa-dre, la tragica caduta del figlio. Per cui, nella fanta-sia del poeta, Cuma nasce per la mano del primoconquistatore dell'aria.

Nel fatto, invece, i Greci vennero a Cuma da Ischiae sulle povere capanne d'un villaggetto italico co-struirono il tempio del loro Dio ed il muro della città;incavarono il fianco della rupe con un taglio geome-trico rettilineo, simile ai corridoi dei mausolei di Cre-ta, d'Argo e di Micene e ne fecero l'antro della Sibil-la, al terrore delle sotterranee forze maligne sosti-tuendo la religione dell'oracolo che interpretava lavoce d'un dio benigno alleviatore di mali; e di que-st'ultimo loro avamposto fecero l'arce del loro domi-nio campano.

Dominio di potenza ed insieme dominio di civiltà,attraverso il quale la Campania fu aperta alle grandivie del commercio mediterraneo, tanto che l'altra città

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che sorgeva in quegli stessi anni sulle rive del Teve-re in mezzo ad una palude febbricosa s'alimentò an-ch'essa della luce che veniva da Cuma.

Più a sud altri Greci, forse di Rodi, avevan già rag-giunto il golfo di Napoli, insediandosi sulle alture diPizzofalcone e chiamando quel loro insediamentocol nome della Sirena Partenope; altri, i Sami, sfug-gendo alla tirannia di Policrate occuperanno più tar-di la rocca di Pozzuoli: ma saranno tutti facilmenteattirati nell'orbita di Cuma a concorrere a formare ditutto il litorale campano un solo impero marittimo.

Padroni della costa e del mare, non lo erano egual-mente del retroterra ove, con la signoria dei Tarqui-ni a Roma, s'erano insediati gli Etruschi con una fede-razione di dodici città e la capitale Capua (Capuavetere). Forti della loro più salda coesione politica epadroni delle allora ricche miniere dell'isola d'Elba,miravano a uno sbocco sulla costa e ad aprirsi unavia stabile di comunicazione verso il sud della peni-sola. E il cozzo fra le due maggiori potenze maritti-me dell'Italia fu tremendo.

Per gli Etruschi, padroni di Roma e d'una partedella valle padana, il possesso integrale della Cam-pania terrestre e marittima equivaleva all'egemoniasull'Italia. Tentarono di rompere il blocco marittimomettendosi a capo d'una coalizione delle genti itali-che della Campania e furono vinti sotto Cuma (anno524); tornarono 50 anni dopo con la loro flotta e nel-le acque di Cuma si trovarono contro la flotta cuma-na e la più potente flotta siracusana di Jerone I che,intervenendo a favore dei greci di Cuma, mirava adestendere il suo impero marittimo sul golfo di Napo-li. Battaglia campale e decisiva (474/53): la sconfit-ta degli Etruschi, con la cacciata dei Tarquini daRoma, segnò la fine della potenza etrusca in Italia eil ritorno dell'egemonia greca.

Ma fu vittoria pagata a caro prezzo dai Cumani.Un presidio di Jerone s'insediò nell'isola d'Ischia; ilcontrollo del canale di Procida passò per alcun tem-po nelle mani del tiranno di Siracusa e il centro del-l'impero marittimo della Campania si spostò, con lafondazione di Neapolis, dall'aperto litorale cumanoverso l'interno del golfo.

Con la fine del pericolo etrusco la funzione strate-gica e politica di Cuma finiva e la trasfusione dellavecchia e gloriosa metropoli euboico-calcidica nellanuova colonia filiale e rivale di Neapolis fu comple-ta.

Greci ed Etruschi soccomberanno sotto l'irruzio-ne dei Sanniti, le vigorose genti italiche dell'Appen-nino, e la lotta combattuta fra Greci ed Etruschi inCampania per l'egemonia d'Italia, si rinnoverà piùaspra e sanguinosa fra Sanniti e Romani; e, intornoa Capuavetere ribelle e domata, contesa fra Anni-

14 La Rassegna d'Ischia 1/2004

bale e Roma, si concluderà il grande dramma stori-co della Campania. Cuma sannitica o romana, ta-gliata fuori dalle grandi vie del commercio maritti-mo, diventerà una città santa, la città dell'oracolo,scossa appena dal suo sopore dall'assedio che viporrà Annibale quando il cartaginese invano ritente-rà, come gli Etruschi di Capua, di forzare il bloccodelle coste campane per i necessari rifornimenti diarmi e di mercenari da Cartagine.

Un improvviso risveglio l'ebbe Cuma nel momen-to più drammatico della storia di Roma, alla vigiliadell'impero. Furono gli anni cruciali dopo la morte diCesare. Allontanato Antonio dall'Italia e quasi riso-spinto in Egitto verso il suo folle miraggio d'una mo-narchia orientale antiromana, toccò al giovane Ot-taviano di sostenere il peso della lotta contro SestoPompeo che, con una flotta bene addestrata, tene-va il blocco della Campania e del Lazio pirateggian-do e minacciando Roma di fame, priva com'era delgrano della Sicilia e della Sardegna. Bisognava cre-are una flotta e basi navali sicure per tenere in scac-co il corseggiare di Sesto. E Ottaviano trovò nel lito-rale flegreo le basi necessarie e in Marco VipsanioAgrippa un navarca stratega pari alla gravità delmomento.

Fu il capolavoro della strategia di Agrippa. Con mi-rabile rapidità concepì e attuò le opere che doveva-no trasformare uno dei luoghi più sacri d'Italia in unaformidabile base navale. Scavando un canale di co-municazione fra il lago d'Averno e il Lucrino e fra ilLucrino e il mare e gettando possenti dighe foraneee ampi moli, fece di quei due bacini lacustri un unicogrande porto, il porto che si disse Giulio (portus Ju-lius) in onore di Cesare e della gente Giulia a cuiOttaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare, appar-teneva.

E sulle ripe sacre d'Averno installò Agrippa un ar-senale per costruzione e raddobbo delle navi, ta-gliando la selva che a quel tempo avvolgeva di reli-gioso mistero le acque del lago; e infine, precorren-do gli ardimenti della ingegneria moderna, perforòcon due grandiose gallerie il monte fra l'Averno eCuma e il monte fra Cuma e il mare, collegando ilPorto Giulio con il litorale cumano. In tal modo ladifesa del medio Tirreno veniva ad essere salda-mente appoggiata al triangolo marittimo di Miseno,Cuma e l'Averno: ideatore Agrippa, esecutore l'ar-chitetto militare puteolano Cocceio, puteolane e cu-mane le maestranze degli abili cavamonti che sca-varono quelle mirabili gallerie illuminate da verticalio obliqui pozzi di luce, con la stessa bravura con cuii cavamonti di Carlo di Borbone riusciranno a trarredai cunicoli di Ercolano un popolo di statue in mar-mo e in bronzo.

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Ruderi di una villa romana a Baia

Opere che ci appaiono ancor oggi gigantesche,ma che dovettero turbare profondamente il sentimen-to religioso degli antichi, che vedevan profanatol'Averno ove lo stesso Annibale aveva sacrificatoagnelle nere alle divinità infernali, e sventrato il col-le di Cuma là dove Apollo profetava per bocca dellaSibilla. Ma si trattava di vincere una guerra che ave-va per posta l'eredità di Cesare e Ottaviano non esi-tò. E il buon auspicio di Cuma accompagnò la fortu-na di Ottaviano: la flotta del porto Giulio trionfò diSesto Pompeo e, pochi anni dopo, affrontava vitto-riosamente la flotta di Antonio e Cleopatra ad Anzio.Così l'impero ebbe il suo primo fondamento in que-sti luoghi, tra queste rocche ed in queste acque tor-nate deserte.

Cessato il tumulto di guerra, cessarono le ragioniche avevano imposto così grandiosi apprestamentimilitari e un così profondo sovvertimento del carat-tere sacro dei luoghi: ai bisogni della flotta sembròpiù adatto il Porto Miseno che, con il duplice bacino,e il gigantesco serbatoio della Piscina mirabile, di-ventava la grande base navale della flotta romana;il lago Lucrino tornò ad essere luogo di diporti estivie vivaio di ostriche; l'Averno ripiombò nel silenzioimmoto delle sue acque e le dighe e i moli foraneidel Porto Giulio scesero lentamente nel gorgo delleacque per la forza ineluttabile del bradisismo e deisecoli.

La riconsacrazione dei iuoghi violentati dalla guerrafu quasi un atto di espiazione sacra; e ventura volleche quella riconsacrazione, più che da aruspici epontefici, fosse fatta da un grande poeta, da Virgi-lio. Viveva in quegli anni Virgilio a Napoli; aveva com-posto il poema della terra, le Georgiche, ispirandosiai campi, alle coltivazioni, agli animali, al costumedella terra campana e si accingeva al più alto cantodell'epopea romana, all'Eneide. E un giorno dall'acro-poli di Cuma, innanzi al lido selvoso e accanto allabocca dello speco oracolare, vide il poeta l'arrivodelle navi di Enea, lo sbarco dei compagni di esilio,la caccia e la preda delle belve nella cupa forestadel litorale per allestire le mense, l'ascesa dell'eroeall'Acropoli con il fido Acate e la sosta innanzi ai fa-stigi e alle porte istoriate del tempio, l'incontro e ilresponso della Sibilla, mentre spuntava lontana la

Leggete e diffondete

La RassPeriodico di ricerche e di temi t

vetta del promontorio che sarà consacrato al nomedel naufrago Miseno. Così il poeta latino riprendevail ciclo dell'epos omerico ma, invece di risvegliarecon Ulisse nell'Ade le ombre degli eroi greci spentinella guerra di Troia, incontrava profeticamente conEnea nei campi Elisi, tra i beati, gli artefici della po-tenza e della grandezza di Roma.

Un ultimo sprazzo di vita ebbe Cuma dalla Domi-ziana, la grande via litoranea della Campania marit-tima che Domiziano fece costruire nel 95 d. C. Sistaccava dall'Appia alle porte della Campania, sottoil Massico, poco prima di Mondragone e di là se-guendo il lido e valicando il Volturno a Literno, giun-geva quasi con un unico lungo rettilineo a Cuma eda Cuma si biforcava con un braccio a Pozzuoli, conl'altro a Baia e Miseno. Era la “direttissima” dell'anti-chità, sicché il poeta napoletano Stazio poteva af-fermare che un buon corriere partendo alle primeluci dell'alba dalle ripe del Tevere poteva la seranavigare nelle acque del Lucrino.

Ma neppure la Domiziana valse a ridare a Cumanuova vita. Crollato il gigantesco ponte romano sulVolturno, sepolta la strada dalle sabbie e dagli ac-quitrini, tornata la selva litoranea ad esser covo dipredoni, diventò Cuma la principale piazzaforte del-la Campania, teatro della lotta fra Goti e Bizantini e,fra incendi e saccheggi, si spense la sua, due voltemillenaria, vita.

Amedeo Maiuri

La Rassegna d'Ischia 1/2004 15

egna d'Ischiauristici, culturali, politici e sportivi

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La marineria ischitana tra il ‘500 e l'800

di Agostino Di Lustro

II

Sull'attività svolta dai marinai, siamo informati conuna certa precisione da diverse fonti archivistiche.Abbiamo già detto che i marinai di Celsa, fin dal seco-lo XVI, frequentavano le isole di Ponza e Ventoteneper svolgervi l'attività di pesca. Lo attestano esplicita-mente anche diciotto «padroni di felluca di pesca diquesta città, ed isola d'Ischia» i quali il 12 ottobre 1720,in presenza del not. Natale Buonocore di Ischia, dico-no «come si è sempre praticato, e li costano benissi-mo de causa scientie che da essi, e da loro antenatida immemorabile tempo conforme al presente si pra-tica, che la maggior parte di Padroni pescatori di que-sta Città et seu Isola d'Ischia di tartaroni come di tar-tanelle, sciavichielli, spadali, rezze di posta, goffe edaltre ordegne sono andati ogni anno principiendo dalprimo del mese d'aprile a pescare nell'Isola di Vento-tene, Ponza e Parmarola dove giornalmente si sonopigliate quantità e quantità di pesci, che fra detto mesedi aprile più migliara di cantara di ogni qualità di pesciregalati, buoni ed ordinari, e di dette loro pesche netengono li partiti con li personali, seu Capi Paranzadella Fidelissima città di Napoli, quali Personali, seuCapo Paranza con detti Procuratori di pesca che sonogran numero tengono impiegati più migliara di docatidi prestito, e ci mantengono le loro barche per andarea ricercarlo, e parte che lo conducono nella Fidelissi-ma Città di Napoli, oltre delle barche ventoriere, chevanno in detta Isola a farne compra di detti pesci daPescatori, che non tengono appaldi, e per le tantequantità di pesci, che d'ogni qualità si prendono ridan-no sempre in dette Isole quantità di barche di detti ri-cevitori facendone ogni giorno il primo carrico la pri-ma barca, che si ritroverà approdata in detta Isola conle quali quantità, se ne mantiene l'abondanza per tut-to il publico di detta Città di Napoli e suoi Casali, etutile esorbitante all'arrendamento del pesce, e man-cando la Pesca predetta in dette Isole conforme staordinato dal Banno emanato dalla Deputazione dellaSalute non solo viene danno notabile alli sudetti pa-troni e Pescatori di detta Isola con mancare l'abon-danza de pesci al publico di detta Città di Napoli, esuoi Casali, ed anco ne risulta danno notabile a dettoarrendamento, il quale il maggior lucro di ingabella-zione de pesci sono quelli che vi pescano in detta Iso-la e per la verità del vero hanno essi Patroni ut soprafatto il presente attestato, e dichiarazione, per manodi me predetto notaro»71.

Questo documento è di grande importanza sia per-

16 La Rassegna d'Ischia 1/2004

ché ci fornisce delle indicazioni preziose sulla naturadelle imbarcazioni usate dagli isclani, sia sulla desti-nazione del ricavato della pesca.

Diamo uno sguardo alle imbarcazioni degli Isclani.Secondo R. Cisternino e G. Porcaro, «gli Isclani co-struivano e padronizzavano quasi esclusivamente lecosidette tartane»72.

La «tartana» era una imbarcazione usata sia per ilcommercio che per la pesca e contava da trenta asessanta tonnellate di stazza. Dotata di un solo albe-ro, con vela latina, aveva una capacità di carico di al-cune decine di tonnellate. Se le tartane venivano usa-te in coppia per la pesca, venivano definite «Paran-ze»73. Molto spesso abbiamo però parlato di «feluche».Questo tipo di imbarcazione, molto veloce, poteva rag-giungere dalle trenta alle cinquanta tonnellate. Erafornita di un solo albero con vela latina, e talvolta conmezzanella e polacconi. Lo scafo era simile ad unapiccola galera e veniva usata come ausilio alle galeree come nave mercantile. Era ancora dotata di tre-cin-que banchi così da dare posto a sei-dieci rematori.Non si dimentichi che una feluca effettuò una traver-sata notturna da Forio a Napoli nella notte tra il 28febbraio e il 1° marzo 1713 impiegando otto ore, men-tre il viaggio di ritorno, effettuato il giorno dopo, fu co-perto in appena quattro ore74. Lo «sciavichiello» erauna imbarcazione che andava dalle cinquanta alleduecento tonnellate, con tre alberi, trinchetto inclina-to verso prora, con vela latina. L'imbarcazione avevauno scafo piuttosto grosso, ma reggeva molto bene ilmare e veniva usato sia per le attività commerciali cheper quelle di guerra. Alcuni di questi tipi di imbarcazio-ni, li troviamo riprodotti in alcuni quadri e nelle decora-zioni a stucco delle chiese dello Spirito Santo, di S.Gaetano, e nel Santuario del Soccorso, nonché in al-cuni affreschi della cosiddetta Torre di Michelangelo.

Per il periodo del viceregno austriaco (1707-1734)gli studi condotti fino ad oggi ci hanno fornito alcunielementi importanti sull'attività marittima e commer-ciale degli ischitani.

«L'impegno posto dagli Austriaci fin dal primo mo-mento della loro venuta nel Mezzogiorno continentaled'Italia nella costituzione di una flotta da guerra nonera diretto solo a dotare - o a ridotare - il Regno di unamarina da guerra per motivi di prestigio o militari, ma

71 ASN, Notai sec. XVIII, scheda 44/18 del not. Natale Buonocoredi Ischia ff. 379r-383r, atto del 12 ottobre 1720.

72 R. Cisternino - G. Porcaro, La marina mercantile napoletanadal XVI al XIX secolo, Napoli MCMLIV, p.1373 Per notizie sui principali tipi di unità navali militari e mercan-tili, cfr. AA.VV. La fabbrica delle navi, Storia della Cantieristicadel Mezzogiorno d'Italia, Napoli 1990 pp. 153-15574 A. Di Lustro, 1713 Successo del corrente anno nella terra diForio, in La Rassegna di Ischia, anno XVII n. 1 gennaio 1996

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anche a fornire al naviglio mercantile regnicolo quelminimo di protezione e di sicurezza sia contro even-tuali nemici, sia, e soprattutto, contro i pirati e i corsariche infestavano le acque del Mediterraneo.

«Vienna cercò di stimolare la costruzione di navigliomercantile, offrendo incoraggiamenti negli approvvi-gionamenti di legname e chiudendo un occhio sulle

Ischia, Chiesa dello Spirito Santo: barca di pesca con la sciabica,particolare della volta (ignoto stuccatore del sec. XVIII)

Ischia, Chiesa dello Spirito Santo: volta della sacrestia, particola-re (ignoto stuccatore del sec. XIX)

Lacco Ameno, Chiesa di S. Restituta: ex voto con veliero (ignotodel sec. XIX)

piccole imbarcazioni naviganti senza regolari patenti,come era il caso delle tartanelle di Ischia e di Proci-da»75. La Giunta di Commercio nel 1714 aveva sug-gerito alla R. Corte di costruire navi mercantili da ven-dere a buon prezzo ai privati proprio per favorire lacostruzione di imbarcazioni private. Questa politica riu-scì ad assicurare, attraverso la protezione delle navimercantili ed una serie di trattati politici e mercantili,anche un periodo abbastanza lungo di tranquillità esicurezza alle coste meridionali, liberandole dai peri-coli di attacchi da parte di pirati e corsari. Si sviluppòcosì ulteriormente quel movimento continuo di vascelli,brigantini, feluche che affollava il molo di Napoli e «buo-na parte del golfo fino a Ischia e Procida»76. Ischitanie Procidani poi godevano anche dell'esenzione dalpagamento dello «jus falangagij». Esso consisteva nelpagamento di una tassa, che poteva oscillare da po-che grana fino a centosessanta, a seconda dell'im-barcazione, della provenienza e del carico, per ogni«imbarcazione che entrava nel porto di Napoli caricadi frutti, fiori ed erbe di qualsiasi genere provenientidal Regno»77.

«I Napoletani, Pozzolani, Procidani, ed altri, in quan-to riguarda il falangaggio, che sono le grana cinque abarca, e per le robbe, che si estraono da detta Isolasono franchi» (ASN. Processi della Sommaria, Pan-detta seconda fascio 3 cit. f. 81v.). Al f. 85 dello stessofascio leggiamo: «(Il Marchese di Pescara) possiedela bagliva che consiste nel riscuotere grana cinqueper barca che approda (sull'isola d'Ischia) eccettoquelle di Procida non perché immuni, ma perché quellepagano lo stesso dazio all'erario di Procida tanto chea Procida questo dazio viene chiamato falangaggio ogabella d'Ischia» .

Sempre in tema di dazi, e sempre nella stessa fon-te, al f. 92r, leggiamo una testimonianza del MagnificoGiuseppe Iovene di anni 36, che vive nelle sue pro-prie case di Celsa, il quale afferma che il Marchesedel Vasto esige grana cinque per barca che approdaall'isola d'Ischia, ad eccezione dei Procidani, granaventiquattro «ad oncia delle mercanzie e robe che daiforestieri si immettono» nella stessa Isola, grana cin-que per ogni botte di vino che si carica sopra un basti-mento grande di forestieri, diritto che viene chiamato«la schianata» Abbiamo notizie anche di uno «juspiscandi delle nasse chiusarane di questi mari di Pro-cida» che nel 1771 veniva fittato a Francesco Scottodella Chianca di Procida per ventiquattro ducati all'an-no (ASN, Attuari Diversi vol. 21 f. 9r, relazione del 19agosto 1771).

Oltre al porto di Napoli e di Pozzuoli «che pure rap-presentava uno degli scali più ragguardevoli del lito-rale tirrenico costituiva inoltre il principale punto di

75 A. Di Vittorio, Gli Austriaci e il regno di Napoli 1707-1734ideologia politica e sviluppo cit. p. 34.76 N. Leone, op. cit. p. 107.77 A. Di Vittorio, Gli Austriaci e il Regno di Napoli 1707-1734 lefinanze pubbliche op. cit. p. 148.

La Rassegna d'Ischia 1/2004 17

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La marineria ischitana tra il ‘500 e l'800

Si può osservare che nel 1727, nella zona d'Ischia,e quindi nel borgo di Celsa, la maggiore consistenzadella marineria è costituita da feluche da traffico e dabarche «per pescar pesci», mentre a Casamicciola,Lacco e soprattutto Forio, la marineria è costituita inprevalenza da gozzi grandi di traffico. Da questi datinon risulta l'esistenza di tartane nella marineria ischi-tana. Feluche e tartane costituirono il nerbo della flot-ta mercantile napoletana, soprattutto durante il vice-regno austriaco. La feluca era un bastimento di picco-lo cabotaggio, che poteva andare sia a vela che a remi.Per questo aveva maggiore autonomia e velocità edera usata nella «corsa» e per la pesca del corallo an-che presso il litorale barbaresco. Le imbarcazioni perla pesca del corallo erano numerose nei casali di Na-poli e specialmente Torre del Greco81.

Esse «svolgevano un lavoro prezioso e intenso per-ché non solo collegavano i porti delle isole del golfo,ma si spingevano, talvolta, seguendo le coste, anchepiù lontano, e in genere trasportavano derrate pesantio sgradevoli. Rassomigliavano alle galere, con dodici

18 La Rassegna d'Ischia 1/2004

remi per lato, due alberi uno di maestro e uno di trin-chetto entrambi inclinati nel davanti di circa tre gradi,e con due vele triangolari o latine, fissate dal lato piùlungo a un'antenna, eccedente di molto la lunghezzadell'albero. Tuttavia i rematori non vogavano seduti suibanchi, come di solito nelle galere, ma in piedi»82.

La tartana era la tipica barca da carico del Mediter-raneo, ad un solo albero e con vela latina, e venivausata per il commercio di cabotaggio e la pesca. Conquesto tipo di imbarcazione i Napoletani svolgevano iloro traffici con lo Stato della Chiesa e si spingevanofino a Livorno, Genova, la Sardegna e la Sicilia.

I guzzi, o gozzi, erano una specie di grosse barche,con prua e poppa acute, che venivano impiegate nel-la navigazione a breve distanza e per la pesca83. Ilcitato documento dei pescatori di Celsa del 1720, però,fa un elenco diverso delle imbarcazioni da essi usateper la pesca e l'attività commerciale che non figuranonel documento dell'Archivio di Vienna. La spiegazio-ne è data dal fatto che il documento viennese risultapiuttosto frammentario e quello dei pescatori si riferi-sce solo a pescatori di Celsa. Da entrambi i documen-ti, tuttavia, si deduce che i «porti» dell'isola d'Ischiapresentavano un traffico piuttosto notevole alimentatonon solo dal commercio, ma anche dalla pesca, no-nostante che la condizione degli scali minori, quali era-no appunto quelli della nostra Isola, doveva essere«in generale quanto mai precaria e spesso non differi-re di molto da un ancoraggio naturale o della sempli-ce spiaggia. Ciò ci appare confermato dal fatto cheuna cospicua parte della produzione vinicola di Fo-rio, prendeva il mare, indifferentemente dal “porto” dellastessa Forio, oppure dal vicino borgo di S. Angelo,una semplice rientranza rocciosa - o addirittura - dai“Maronti”, una spiaggia aperta poco distante da S.Angelo»84.

L'attività marittima degli isclani, quindi, interessavala pesca e la vendita del pescato sul mercato di Napo-li, il commercio del vino ischitano e il rifornimento del-le derrate necessarie alla popolazione dell'Isola.

Per quanto riguarda il mercato del pesce, quello diNapoli «era uno dei più importanti nel quale ogni annoentravano ventimila cantaia di pesce»85.

Una parte di questo pesce, nella ragione di alcunemigliaia di cantaia, proviene dalla pesca effettuata aPonza e nelle altre isole dai pescatori di Celsa.

***Il vino prodotto sulla nostra Isola è stato la principa-

le fonte di commercio per gli Isclani in tutti i secoli. Perquelli più vicini a noi, ce ne danno testimonianza moltidocumenti che possiamo leggere nei protocolli dei di-

imbarco del traffico passeggeri diretto alle isole di Pro-cida e di Ischia»78, anche i porti di Ischia ed altre loca-lità della costa tirrenica presentavano un traffico «ali-mentato in cospicua misura oltre che dal commercioanche dalla pesca»79.

Dalla inchiesta sulla flotta mercantile del Regno or-dinata dal viceré austriaco, Card. Michael FriedrichGraf von Altham (1722-1728), al razionale Solimenasulla consistenza della flotta nel mar Tirreno, l'isolad'Ischia presenta la situazione seguente, per quantoriguarda le imbarcazioni e la loro specie80:

Guzzi grandi da trafficoCasamicciola 7, Lacco 3, Forio 37

Feluche da trafficoIschia 14, Casamicciola 9, Lacco 5, Forio 3

Barche per pescar pesciIschia 24, Lacco 8, Forio 8.

78 Il Di Vittorio, a conferma di questa sua affermazione circa ilfatto che il porto di Pozzuoli costituiva uno scalo importante perimbarcarsi alla volta dell'Isola d'Ischia, cita una «Nota di spesefatta per trasportarmi ad Ischia», non datata ma, certamente deiprimi del ‘700, in suo possesso. Personalmente non ho riscontridocumentari che riguardano gli ischitani che si recano in terra fer-ma, non ho mai trovato riferimento al porto di Pozzuoli perché glispostamenti avvenivano sempre sulla rotta di Napoli. Ce lo con-fermano anche sia i conti dei fasci dei Monasteri Soppressi che iconti delle Confraternite di Forio e di Celsa che sono giunti sino anoi, che spesso annotano spese effettuate da persone inviate aNapoli per sbrigare varie incombenze di questi enti.79 A. Di Vittorio, op. cit. vol. II pp. 400-401.80 Dati che A. Di Vittorio, nell'opera citata, presenta nelle tabellenn. 46 e 47 a p. 401 e 402. Essi sono ricavati dall'Hans Hof-undStaatsarchiv, It. Sp. Rat, Neapel, coll. 12,13) 2,4-XI-1727.81 F. Sannino, Storie di mare e di marinai cristiani, Napoli 1987

82 L. De Rosa, Tra i fulgori e le ombre del viceregno, in La fabbri-ca delle navi, cit. p. 28.83 A. Di Vittorio, op. cit. vol. II p. 40584 Ibidem, pp. 402-403.85 G. Galasso, Napoli Capitale, Napoli 1998 pp. 116-117.

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(II - continua)

versi notai che hanno rogato nella nostra Isola, alcunidei quali sono stati citati in precedenza. «Le esporta-zioni di vino avevano nei primi decenni del 700 un postonon disprezzabile nel commercio del Regno, anchese non tutte le province del medesimo vi prendevanoparte allo stesso modo. La principale zona esportatri-ce era localizzata attorno alla Capitale, lungo la fasciacostiera che da Pozzuoli e Baia andava a Castellam-mare. Inoltre forti esportatrici di vino erano le isole delgolfo di Napoli, in particolare Ischia, con i suoi centri diForio in specie, ma anche Lacco, Casamicciola ed inmisura minore S. Angelo e i Maronti. Le regioni diesportazioni erano soprattutto il Genovese, Venezia elo Stato della Chiesa»86.

I mercanti non isclani sono in prevalenza genovesie pochi di altra località del viceregno di Napoli. La mag-gior parte dei mercanti dell'isola d'Ischia si serve digozzi, mentre i genovesi si servono di tartane. Alcuniperò effettuano dei viaggi con navi non proprie, masicuramente noleggiate.

Nel corso del secolo XVIII, come d'altra parte giànel secolo precedente87, la maggiore esportazione vi-nicola verso gli stati esteri è quella di Forio, mentre ilborgo di Celsa presenta un movimento molto più mo-desto in questo settore.

Circa le direzioni delle barche che esportavano ilvino, la presenza dei genovesi, particolarmente nu-merosi nel 1702 - 1703, fa pensare che parecchie bottidi vino prendessero la direzione di quella città, mentrealtre, particolarmente quelle degli armatori dell'isolad'Ischia, prendessero soprattutto la direzione delloStato della Chiesa o della Toscana, come già nel se-colo precedente affermava il Fuidoro88. La maggior par-te di vino era comunque diretta verso Roma89, ed an-che se per il secolo XVII le notizie che abbiamo sullavendita del vino ischitano sono piuttosto scarse, i pro-

tocolli dei notai ancora superstiti ci testimoniano a suf-ficienza questa attività. Noi però possediamo ancheuna nota che ci tramanda il nome di un acquirenteromano a cui viene spedito un carico di vino nel 1646.Infatti, in un frammento di conto, leggiamo che nelcorso del 1646 furono estratti da Forio «per extra re-gno al Reverendo Padre Flaminio Magnati in nomedel Collegio germanico di Roma» complessivamen-te centoundici «botte de vino de barrili quindici l'una».Queste furono spedite in più volte dal 13 gennaio al 9marzo con le barche di Marciano Montano, certamen-te di Gaeta, Orlando de Loise, Ottavio Buonomano,Cola Aniello Migliaccio sicuramente dell'isola d'Ischia,e Pietro de Aponte. Altre «botte cento de vino de bar-rili dodici la botte» furono spedite a «Civita Vecchia aMonsignore Sebastiano nuntio di Napoli con lo vascellode Aniello Vanacore».

86 A. Di Vittorio, op. cit. vol. II p. 251.87 È il caso di citare a tale proposito qualche documento che sipuò riscontrare nel fondo Dipendenze della Sommaria I Seriedell'ASN. Così tra i documenti del fascio 417/12 troviamo docu-mentato che dall'ottobre 1645 al settembre 1646 sono stati estrattiper località «extra regnum» da Forio 286 botti di vino e dalla Cittàd'Ischia botti 200. Nel fascio 418/32 dello stesso fondo troviamodocumentato ancora che tra l'ottobre 1677 e il settembre 1678,sempre per località «extra regnum», da Forio sono partite 739 bot-ti di vino e dalla Città d'Ischia altre 142 botti. I documenti quiriportati che sono solo frammenti di Conti degli Amministratoridella Curia per le «estrattioni de vini che si permettono delle Pro-vincie di Terra di Lavoro, Principato Citra, et Calabria Citra perextra Regno», non nominano le altre località d'Ischia.88 I. Fuidoro, Giornali di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX, acura di A. Padula, Napoli 1938 vol. II p. 99.89 G. Coniglio, Il Viceregno di Napoli nel sec. XVII, Roma 1955p. 80.

Premio di Poesia “Termopili d’Italia”Premio “Card. Luigi Lavitrano”

Castel Morrone - L’Istituto comprensivo “GiovanniXXIII” indice la seconda edizione del Premio di Poesia“Termopili d’Italia” su tema libero, aperto alla parteci-pazione di tutti gli autori di ogni nazionalità, i quali han-no l’obbligo di inviare liriche, sia edite che inedite, inlingua italiana. Il premio vuole ricordare l’appellativo cheGiuseppe Garibaldi diede allo scontro di Morronedell’1.10.1860, quando Pilade Bronzetti, “novello Leo-nida”, difese la posizione assegnata “fino agli estremi”,consentendo la vittoria dei garibaldini nella battaglia delVolturno. La giuria sarà composta unicamente dai giova-ni studenti che frequentano la terza media dell’Istituto“Giovanni XXIII” di Castel Morrone. Le opere dovranno essere inviate entro il 15 aprile 2004a Francesca Prata, Segreteria Premio “Termopili d’Italia”,via Nicchio, 81020 Castel Morrone (CE), cui si può chie-dere il bando completo. Una commissione giudicatrice tecnica selezionerà una

lirica che sarà premiata con il trofeo “Cardinale Luigi La-vitrano”, per ricordare la figura del prelato che, nato adIschia, visse gli anni della giovinezza e dello studio a Ca-stel Morrone, presso l’Istituto Figlie della Carità.

Premio di Poesia “Madre Paestum”

L’Associazione Lega per i diritti degli handicappati in-dice la terza edizione del Premio Internazionale di Poesiadal titolo “Madre Paestum” su tema libero, ovvero in oc-casione della celebrazione dell’anno del disabile su unadelle problematiche proprie per disabili. Il premio si articola in due sezioni: Sezione A, poesiainedita in lingua italiana per adulti; Sezione B, poesia ine-dita in lingua italiana per giovani sino a 16 anni. Le opere(due testi al massimo) dovranno essere inviate entro il 30aprile 2004 al Presidente dell’Associazione Maria Palmie-ri, via Galileo Galilei, 99, 84040 Capaccio Scalo (SA),cui può essere richiesto il bando completo.

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Storie di pesca e di pescatori

Un improvviso cambiamento di vento *

di Giuseppe Silvestri

Quasi ogni anno si verificava nelmese di giugno un breve periodo,due o tre giorni, di cattivo tempo:vento di libeccio che poi girava aponente e maestrale con notevolemareggiata. I pescatori perciò era-no costretti ad interrompere la loroattività.

Nel 1952 si era verificato puntual-mente questo fenomeno, ma dopotre giorni il vento era calato e il mareritornato calmo. Ricomparivano peròda sud-ovest dei nuvoloni che su-scitavano preoccupazioni ed incer-tezze nei pescatori, per i quali si eranel periodo migliore per la pesca conla rete detta “palammetare” chespesso consentiva dei buoni guada-gni.

Ciro Vespoli aveva una famiglianumerosissima, come anche altri pe-scatori, e rimanere fermi diversi gior-ni creava notevoli difficoltà di soprav-vivenza, così con il suo gozzo, in-sieme ad altri tre pescatori, nono-stante qualche dubbio sulle condi-zioni meteorologiche, decise di an-dare a calare la “palammetare” sulBanco d'Ischia (secca di fronte allaPunta San Pancrazio).

Partirono da Lacco Ameno versole 17.00, il vento spirava di poppa e,alzata la vela latina, in meno diun'ora furono ad Ischia Ponte doveapprodarono alla spiaggia dellaMandra. Subito tre pescatori del po-sto che conoscevano Ciro gli si av-vicinarono e parlarono delle condi-zioni del tempo e dell'andamentodella pesca. Valutarono infine, siapur con qualche dubbio, che il tem-po si sarebbe dovuto mettere al bel-lo.

Così decisero di ripartire. Il ventoera calato del tutto e procedettero aremi, passando sotto il ponte dellastrada che congiunge il Borgo diCelsa con il Castello aragonese, ol-

20 La Rassegna d'Ischia 1/2004

* Da una conversazione con Paolo Ve-spoli, settembre 2002.

trepassarono la baia di Cartaroma-na e, dopo circa un'ora, verso le20.00, furono sul Banco d'Ischia.

Ciro, espertissimo pescatore, ser-vendosi degli opportuni punti di rife-rimento a terra, stabilì la posizionegiusta e diede il via alla pesca. Deiquattro, due remavano, mentre lui eLorenzo calavano velocemente larete.

La “palammetare” pescava a cor-rente, era tenuta in superficie dal-l'armamento di galleggianti e scen-deva in profondità per cinque o seimetri. Disposto tutto l'impianto, cir-ca 800 metri di rete, bisognavaaspettare la mezzanotte per il primorecupero, quando metteva lo stello-ne.

Intanto incominciarono a nutrirequalche preoccupazione. Nuvolonineri transitando veloci coprivano ditanto in tanto la luna, alta sulla Torredi Sant'Angelo; la brezza diventò piùincostante e fredda e le onde, cheprima erano lunghe e regolari, ap-parivano sempre più contrastanti,scontrandosi e sollevando cresteschiumose. I quattro pescatori capi-rono subito che si stava sviluppan-do una brutta tempesta, molto peri-colosa, considerato il posto in cui sitrovavano ed il fatto che avevanocalato tutta la rete che richiedeva

Antica veduta di Lacco Am

oltre due ore per il recupero.Decisero di farlo subito e, mentre

Ciro e Domenico a poppa tiravanola rete con quanta forza potevano,Lorenzo e Francesco ai remi si ado-peravano per governare la barca.Onde veloci, alte, ravvicinate, solle-vavano la poppa facendola ricaderea piombo per poi risospingerla an-cora più violentemente su. Quasimetà del gozzo sprofondava fino al-l'orlo della murata prima di risalire esu alcuni colpi si imbarcava acqua.Ciro capì subito che non c'era alter-nativa, bisognava liberarsi dalla retealtrimenti sarebbero affondati. Così,mentre Lorenzo e Francesco con iremi provavano a dare la giusta an-golazione alla barca nello scontrocon le onde, gli altri due pescatoriveloci gettavano a mare la rete peralleggerire la barca. Questo fu im-portante, ma non diede sicurezzaperché le onde infrangendosi con-tro la murata del gozzo lo spingeva-no come fosse un autentico fuscel-lo.

Allora Ciro e Lorenzo con quantaforza e celerità potevano, adoperan-do l'uno la sàssola e l'altro un sec-chio di legno, sgottavano quanta piùacqua possibile.

In un'altra improvvisa impennatadella barca a causa di un'onda par-ticolarmente violenta si schiantò l'al-bero che fu buttato a mare insiemeall'antenna, alla quale erano ancora

eno- Spiaggia e pescatori

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1940

attaccati alcuni brandelli della vela.Erano rimasti a bordo soltanto dueremi, gli altri due si erano spezzatidurante le manovre sostenute perfronteggiare le onde.

Navigare controcorrente per rien-trare nella baia di Cartaromana cheera il rifugio più sicuro e vicino eraormai impossibile. Non rimase altroda fare che lasciarsi trasportare dalleonde e dal vento nella speranza diraggiungere un porto o un qualsiasialtro possibile approdo tra Napoli eSorrento verso cui la barca era so-spinta.

Ma per quanto Ciro al timone siadoperasse per indirizzarsi verso ilporto di Sorrento, ciò fu impossibileperché la forza del vento lo spinge-va verso la costa alta e sugli scoglisottostanti, senza possibilità di sal-vezza. Erano ormai a 200 metri dal-la montagna, vedevano le onde chevi si aggrappavano e i loro spruzziche si lanciavano in alto dando l'im-pressione di volerla inghiottire.

Era ormai questione di minuti; ilmaestrale spingeva furioso senzadare possibilità di alcuno scampo, dialcuna manovra. Di lì a poco sareb-bero stati proiettati contro gli scogli!Allora Ciro lasciò il timone, alzò lebraccia al cielo e gridò: “Santa Re-stituta, aiutaci! Salva le nostre vite!”E con quanta voce gli rimaneva:“Gloria al Padre...”

Rapidamente il vento cambiò di-rezione, la sua furia si placò. Ades-so allontanava la barca dalla mon-

2004 - I 150 anni del porto

tagna finché la stessa si ritrovò nel-lo stretto tra Punta Campanella eCapri.

Era l'alba, dietro di loro si allonta-navano Castellammare, Torre delGreco e Sorrento e diventava sem-pre più vicina Capri, verso cui, re-mando con forze ormai ritrovate,puntarono. Alle 10.00 entrarono nelporto di Capri. Già quando erano aqualche miglio di distanza li aveva-no avvistati i pescatori di MarinaGrande che li accolsero premurosie vollero ospitarli per quel giorno eper la notte.

L'indomani mattina la tempesta siera ormai placata, erano rimasteonde lunghe e regolari.

I Capresi prestarono due remi aCiro e così il gozzo lasciò il porto diCapri e prese la rotta per Ischia che

d’Ischia

si presentava chiara e limpida da-vanti a loro.

A Lacco Ameno arrivarono versole sei del pomeriggio. Ormeggiaro-no il gozzo nella baia di Sotto il Por-to, dove i familiari e moltissime per-sone erano rimaste in attesa da tan-to tempo; tutti avevano compresol'accaduto; non c'era bisogno di spie-gazioni; una profonda gioia e com-mozione prese tutti, familiari ed ami-ci. Poi in silenzio ci si avviò versocasa. Ciro, Francesco, Lorenzo eDomenico, passando davanti allaChiesa di Santa Restituta, si ferma-rono un attimo, si tolsero il berrettoe pregarono.

Chi mai avrebbe creduto ad uncosì improvviso cambiamento divento?

«... Epperò con questa fertilità di suolo, con questo aerepurissimo, con sì svariate genti che vi affluiscono, era ve-ramente sventura che l’isola mancasse di un porto. Ma ciòche desiderarono in tutti i tempi, e sempre indarno, tutti iDinasti che Ischia signoreggiarono, fu voluto e fattoprestamente al cenno del re Ferdinando II, immegliandocosì, non è a dir quanto, la sorte di quei popolani non solo,ma e delle vicine isole ancora, e di quanti con esse fantraffico. Eravi a settentrione dell’isola uno stagnoampissimo, originatosi fin dai tempi più remoti dall’ulti-mo dei tre gran tremuoti, onde quella fu sconvolta, sicco-me ricorda la storia, il quale appena avrebbe dato adito aqualche navicello peschereccio che vi fosse entrato pervia di un angustissimo canale comunicante col mare. Ve-duto dunque il Re che niun luogo offrivasi più acconcioad un porto, comandava che vi si fosse aperta nel sito più

vicino al mare un’ampia bocca da poter dare agevolissimopassaggio a qualsivoglia più grande piroscafo da guerra,e che il suo fondo si fosse purgato di tutte le materie, chei secoli vi avevano accumulato, affinché anche grandi na-vigli vi potessero riparare e stanziarvi a loro agio.Acciocché poi la bollente rabbia de’ venti non obbligassei marosi a spingere le accumulate arene in quella chiostra,e la foga dei cavalloni nuocer non potesse ai legni nelluogo stesso dove cercan riparo, volle Sua Maestà che dilunga ed acconcia scogliera si munisse l’entrata del porto. Un magnifico spettacolo si vide in quelle acque il gior-no 17 settembre dell’anno 1854. (...) Quelle acque si po-polarono di numero innumerabile di palischermi, feluche,paranzelli, tartane e trabacche, folte e gremite di festevolipasseggeri... Il Re medesimo, a fianco dell’augusta suaconsorte e di tutta la amiglia regale, gioiva di quella gio-ia» (Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, vol. LIII,1855).

La Rassegna d'Ischia 1/2004 21

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Cinquant'anni fa il pittore tedesco Hans Purrmann “scopriva” Luigi De Angelis

Nel 1953

Hans Purrmann,

fondatore

della scuola pittorica

di Matisse,

venne per la prima volta

nell'isola d'Ischia

di Gino Barbieri

Ischia Porto - Casa Macrì

Aveva sessantacinque anni, ottima-mente portati, quel signore alto e benpiantato, con l'abito grigio spiegazzatoper il lungo viaggio e il panama écru chei signori di vecchio stampo usavano in-dossare d'estate per difendersi dagli im-pietosi raggi del sole, che dalle nostreparti non scherzano affatto.

Il vaporetto bianco della Span nonaveva fatto fatica ad entrare nel piccolocratere, trasformato in porto da Ferdi-nando di Borbone, districandosi facil-mente fra gozzi da pesca e velieri allafonda, in attesa di imbarcare i “carrati”di vino dalle cantine del porto.

I colori pastello di Villa dei Bagni siriflettevano nelle acque trasparenti comequei delicati acquerelli che all'epocaandava impiasticciando sulla juta deisacchi il barbiere Luigi de Angelis.

La pagoda del duca Camerini, con lesplendide verande sul mare e le cupo-lette “cinesi” che spuntavano dalle foltestrelitzie, avevano strapazzato non pocoquel sapore mediterraneo che si coglie-va dalla collina di San Pietro alla roccadi Sant'Alessandro: un'invadenza orien-tale che, d'altra parte, si era già conqui-stato un diritto di asilo architettonico aForio, nell'abitato moresco dominatodalla possente cupola arancione di SanGaetano e dagli alti palmizi della TorreQuattrocchi.

Ma le Cantine d'Ambra rosso matto-ne, sulla Riva sinistra, erano lì a contra-stare gli intrusi, rivendicando un dirittodi primogenitura conquistato in secolidi edilizia rurale e pseudo-cittadina, tuttaisolana. Il signore indugiò alquanto sulponte della “Regina Elena”, folgorato

22 La Rassegna d'Ischia 1/2004

dal paesaggio della foce; poche casettesparse in un immenso aranceto che siperdeva alle falde del Montagnone, lacollina sempre verde che sovrastava,come un nume tutelare, il piccolo borgomarinaro. Lo straniero chiese in un sten-tato italiano al marinaio, impegnato a le-gare con una funicella la passerella dilegno, l'indirizzo di una locanda a buonprezzo e possibilmente nei paraggi.

“Andate dal Calabrese”, indicò con lamano il giovanotto; “quella casa biancasulla banchina; don Peppino vi tratteràbene!”

Questo, ad occhio in croce, il primoincontro del pittore tedesco Hans Purr-mann, nel 1953, con l'isola d'Ischia,dopo il soggiorno nella penisola sorren-tina di due anni prima. L'artista occupòuna cameretta al primo piano della CasaMacrì, locanda con i comfort dell'epo-ca, che poi, detto fra noi, non esisteva-no per niente, in quanto questa parolaanglosassone, oggi largamente inflazio-nata, negli anni ‘50 a Ischia non era sta-

ta ancora inventata! Ma il buon uomoaccettò con entusiasmo e, diremmo, conumile devozione la rustica ospitalità dellocandiere, contento soprattutto per lavista che gli si offriva su ambedue le rivedel porto e già diventate oggetto di de-siderio pittorico!

E, infatti, dopo un primo positivo ap-proccio con la profumata e stuzzicantecucina del Calabrese e un salutare ripo-so nel canicolare pomeriggio agostano,il nostro Hans è già alle prese con tavo-lozza e pastelli, impaziente di fissaresulla tela le impressioni poetiche dellaterra isclana.

Grazie ad un prezioso e rarissimo ca-talogo tedesco venutoci alle mani, è statopossibile vedere le prime immaginiischitane dipinte da Purrmann dalla suacameretta sul mare: le due rive oppostedel porto con le immancabili botti spar-se sulle banchine e i velieri che dondo-lano pigramente all'ombra delle Canti-ne d'Ambra, pronti aprendere il largo.

I colori e il cromatismo che riflettonoqueste due tele sono affascinanti; vi silegge lo stupore dell'artista nello scopri-re la luce mediterranea che contrasta for-temente con i cieli sporchi e malinconi-ci di molti paesi nordici. Il tratto sem-bra fugace; uno schizzo veloce, essen-ziale, riempito di colore, senza troppeombreggiature: quasi un innocente, in-genuo paesaggio matissiano, ridondan-te e festoso di colori vivissimi, caldi, fia-beschi, come d'altra parte è contrasse-gnato il Fauvismo. Ma nella pittura diPurrmann confluisce anche un cautoespressionismo che sembra anticipare,ma di pochi anni, le esperienze ischita-ne di Gilles a S. Angelo e di Bargheer aForio.

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Purrmann - La Riva sinistra del porto d'Ischia Purrmann - La Riva destra del porto d'Ischia

La “scoperta”di LuigiDe Angelis

Purrmann non è per niente unpittore da atelier; schizzi e impres-sioni da ridefinire al cavalletto dicasa propria non lo interessano mi-nimamente. Anche Casciaro, Co-

lucci, Variopinto piantavano i cavalletti nella sabbia del Lidoe dipingevano il paesaggio direttamente, a caldo, con im-mediatezza, seguendo istinto, impulso e i modi di sentire.

Le scorribande di Hans per l'isola sono proverbiali. Queldistinto signore di mezza età, con baffi e pizzetto brizzolati,vaga lungo le marine, sulle brune scogliere popolate di gab-biani; si arrampica in collina, fra boschetti odorosi di resinee vigne generose; raggiunge i piccoli villaggi alpestri di Fia-iano e Buonopane, cogliendo impressioni, suoni e odoridell'isola incantata.

E, un mattino dedicato al riposo, l'artista si inoltra per viaRoma a Ischia, e ai piedi della salita di San Pietro, si fermadi botto, incuriosito da alcune tele dipinte di fresco, messead asciugare sull'uscio di una bottega di.. barbiere. All'in-terno una figura segaligna, con gli occhi mobilissimi e pro-fondi, va maneggiando il pennello su di un ritaglio di jutapreparato con la biacca bianca da fondo. Purrmann entraquasi di soppiatto, per non disturbare un “colleg” nel pienodell'attività ispiratrice!

Oilà, la sorpresa è grande; all'occhio attento del pittoretedesco non sfugge l'abilità di questo figaro sui generis, cheva completando con leggeri e “avari” strati di colore un belcorteo nuziale che si snoda sulla Riva destra del porto.

L'indomani Purrmann ritorna al salone, si accomoda sul-la poltroncina girevole e si fa spuntare il pizzetto. Gigi DeAngelis ha riposto in un cantuccio il suo “Castello”, in viadi completamento, e si mette all'opera.

“Chi fare questi quadri?” lo apostrofa improvvisamenteil nuovo cliente con il caratteristico accento straniero.

“Li faccio io”, risponde senza esitazione Luigi, indican-do una decina di tele che tappezzano le pareti della bottega.

“Impossibile, lei barbiere, non pittore!”Il battibecco va avanti per un pezzo, fin quando non si

contratta l'acquisto del “Castello” per 200 lire, che nel '50sono una bella sommetta!

L'artista afferrò con voluttà il dipinto, lo mise sotto il brac-cio e, contentissimo, si accomiatò svelando l'arcano: Sonoil pittore Purrmann di Germania!

Hans, da oppositore di un esasperato impressionismo efondatore, insieme a Moll e a Rudolf Levy, della celebrescuola di Matisse, aveva visto giusto: in una “sperduta” iso-la del Tirreno, lontana dai fermenti culturali e artistici na-zionali ed europei, un oscuro “dipintore dilettante” avevasaputo cogliere, in tempo reale, quelle trasformazioni pitto-riche in atto, in Francia e in Germania, rivelando, oltre algrande talento, un orientamento “protagonista” e di totalerottura con il passato (vedi il Simbolismo, l'Impressioni-smo, i cosiddetti Nabis e perfino il Fauvismo), forse incon-sapevolmente, ma in ogni caso perfettamente in linea conuno spontaneismo, non di maniera, destinato ad affermarsinl corso del ‘900.

Hans Purrmann parte dopo l'estate e fa conoscere De An-gelis al Circolo dei pittori tedeschi di Berlino. Nello stessotempo apre la strada verso il Sud agli artisti più inquieti esensibili del suo paese: Rudolph Levy, Werner Gilles, KarlSohn-Reothel, Kurt Kramer.

Ritorna a Ischia nel 1954, sempre alla Locanda Macrì e sitira al guinzaglio una vera e propria colonia di pittori tede-schi che fanno la fila davanti alla bottega di Gigi De Ange-lis, per accaparrarsi i suoi quadri. Purrmann va dritto per lasua strada, dipingendo gli angoli più suggestivi di un'Ischiacontadina e marinara, dove non ci sono ancora la massicciaurbanizzazione, le auto sui marciapiedi, le buste di immon-dizie in pasto ai cani, il formicaio estivo sulle spiagge ingo-iate dal mare.

Il suo legame con l'isola dura fino al 1958, poi i viaggi inItalia diventano più sporadici; soltanto qualche cartolinagiunge alla Pensione Macrì con gli auguri e la firma delvecchio amico di Germania.

Nel 1996 una nipote di Purrmann, anch'essa pittrice, èvenuta a Ischia per compiere un viaggio ideale sulle ormedello zio scomparso a Monaco nel 1963; ha visitato la stan-zetta della Pensione Macrì, che è ancora lì, al suo postocome cinquant'anni fa, ricordando la presenza discreta epoetica dello “Straniero nella Locanda sul mare”.

La Rassegna d'Ischia 1/2004 23

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Momenti di vita isolana

La casa della Pietratorcia

di Clementina Petroni

Eravamo più vivaci del solito, quelmattino, nel cortile delle scuole, dovegiocavamo e correvamo senza sosta esenza stancarci.

Anche la piccola Rita Russo si muo-veva rapida, nonostante zoppicasse acausa di una poliomelite infantile. Quelgiorno si sforzò più del solito, per di-mostrare a se stessa ed a noi tutte chenon aveva alcun handicap e gli occhi lebrillavano di gioia.

Ma ad un tratto, forse perché ansiosa,inciampò e cadde. Rimase a terra, e lesue guance coperte da lentiggini diven-tarono rosse di fuoco, il suo sguardo di-gnitoso, ma triste.

Le andai incontro e cercai di sollevar-la, mi respinse irritata. Non mi arresi ele rimasi vicina. Scoppiò in un piantosordo, intimo, profondo. Capii che ave-va bisogno di tanta tenerezza. Da quelgiorno cominciò a volermi bene, a fi-darsi di me. Un giorno mi portò in rega-lo un portacolore lavorato ad uncinettoda sua nonna e mi invitò ad andare peril pomeriggio nella sua casa.

Abitava all'interno di una campagna,circondata tutt'intorno da viti e piantedi fichi e noci.

Prendemmo una scorciatoia, attraver-sammo una strada stretta, ricca di par-racine da ambo i lati.

C'erano delle casette sparse lungo lastrada e all'improvviso come per mirag-gio, apparve uno spiazzo con dei ruderiabbandonati, una vecchia chiesa con leporte sprangate ed un piccolo sacratocon panche di pietra.

Un uccello aveva fatto il nido sul cam-panile dove forse un tempo c'era statauna piccola campana. Rimasi affascinatada quel luogo abbandonato ed apparen-temente triste.

Proseguimmo ancora tra muri di par-racine e profumi selvatici, finché arri-vammo nei pressi di un'antica casa cir-condata tutt'intorno da vigneti e piante.Forse un tempo in quella casa avevanoabitato persone benestanti, l'architettu-ra era sobria e sinuosa. Al piano terraun immenso portico con una ricchezzad'archi e volte, nella parte interna alcu-

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ni grossi ambienti, che fungevano da de-posito e cantina.

Una grande pietratorcia, come non neavevo mai viste, era al centro del porti-cato.

Sembrava messa lì apposta per essereammirata. Era di tufo verde, ed appari-va come una presenza silenziosa, ele-mento essenziale di quel portico, di quel-la casa, di quella campagna ricca e fe-stosa. Attraverso una scala a giorno siaccedeva agli ambienti superiori ed ungrosso terrazzo girava tutt'intorno allacasa. Gerani e bouganville creavanomacchie di colori intensi vicino al vec-chio intonaco. C'era pace, profumo diantico. Rita mi fece conoscere fratelli esorelle, il padre affaccendato nella can-tina, la madre intenta a raccogliere ver-dure.

C'era anche la nonna Giuseppa in unostanzino piccolo, ma pieno di luce e ri-scaldato dal sole; recitava il rosario e conl'altra mano accarezzava un gatto chedormiva sornione.

Trascorremmo alcune ore insieme, trala campagna ed i ruderi circostanti. Sulfar della sera mi accompagnò oltre lastrada stretta ed isolata, e da lì mi in-camminai veloce verso casa.

Rita diventò la mia nuova compagnadi giochi e con lei tutto diventava sem-plice, perché era piena di voglia di vi-vere ed era soprattutto leale.

Un giorno mi fece conoscere una sto-ria che le era stata raccontata della mam-ma. Nella vecchia chiesetta abbandonatatra i ruderi, poco distante dalla casa sua,un tempo era stato nascosto un uomo cheera scappato da un penitenziario. Rima-se lì per alcuni giorni, fin quando i cara-binieri non riuscirono a rintracciarlo.L'uomo oppose resistenza, ma alla finesi arrese. Andò via portando con sé unpiccolo pezzo d'intonaco che faceva par-te di un affresco raffigurante la Madon-na. Aveva vissuto una vita da disgrazia-to, senza affetto e senza colore. Spera-va di vivere anch'egli qualche momen-to di serenità. Tutta la gente del circon-dario si commosse e cominciò a prega-re per lui.

Un giorno Rita arrivò a scuola con gliocchi gonfi e molto tristi. Non le chiesi

nulla, anche se intuivo che soffriva, per-ché era sempre più distratta e assente.

Non mi invitava più ad andare a casasua. Soffrii anch'io, finchè non appresida lei stessa che la mamma era amma-lata e che tutta la famiglia di lì a qual-che mese doveva espatriare per un con-tinente lontano che era l'America.

Provai un'angoscia così profonda atale notizia che a scuola diventai pureio distratta e assorta nei miei pensieri.

Rita veniva sempre più di rado a scuo-la, finché un giorno appresi che suamamma era volata in cielo.

Fu quella l'ultima occasione in cui miincontrai con la mia amica, perché dopoqualche settimana insieme ai suoi fami-liari partì per l'America. Trascorsi dellenotti insonni al pensiero di Mariannina,così si chiamava la mamma, sarebbe ri-masta sola nel cimitero di Forio e senzail conforto di figli e marito.

La casa della Pietratorcia rimase iso-lata e abbandonata per tantissimo tem-po, finché un giorno, dopo molti anni eormai adulta, il desiderio di rivederequel luogo a me caro, diventò semprepiù forte.

Un pomeriggio d'autunno percorsi dinuovo la vecchia strada di campagna, lastrettoia con le parracine finché non rag-giunsi la casa.

Alcune cose erano cambiate, ma ilfascino e l'atmosfera erano rimaste sug-gellate in quel luogo ormai abbandona-to. Intorno alla casa c'erano erba, rovi,piante selvatiche. La Pietratorcia erasempre lì, come un grande scrigno checustodiva le emozioni e i segreti di vitevissute. Salii per la scalinata a giornoormai pericolante ed entrai nelle stanzevuote, dove l'intonaco cedeva a pezzi.In uno stanzino trovai una bambola la-vorata ad uncinetto, stava poggiata suuna nicchietta. Mi affacciai ancora unavolta dopo tanto tempo, da quel terraz-zo che girava intorno alla casa. Guardaiil sole che tramontava sul mare di Cita-ra. I colori erano di quelli che riempiva-no il cuore, ma dei brividi mi accappo-navano la pelle.

Ero felice di pensare che forse ancheRita davanti ad un tramonto, in un'altraparte del continente, avrebbe potuto pen-sare a Forio, alla sua casa, alla sua ami-ca d'infanzia. In fin dei conti facemmoentrambe parte di quel pezzetto di sto-ria che ogni essere umano si porta die-tro fino all'eternità.

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CULTURA

La Libertà come valore eticoRiflessioni dal libro di Nino d'Ambra

«Storia della Libertà nell'Isola d'Ischia»

di Giovanna Tessitore

Storia e libertà: un binomio cheunisce, in questa ricognizione af-frontata da Nino d'Ambra, il rigoredocumentario della ricostruzionestorica alla riflessione etica, propriadelle scienze filosofiche. Il percorso affrontato si svolge dun-que all'insegna di una sorta di du-plicità metodologica, che unisce laconsultazione delle fonti storiche edei documenti originali, rigorosa-mente vagliati nella loro autenticitàed attendibilità, alle riflessioni espli-cite sul valore ed il senso della li-bertà. L'itinerario proposto, pur nella suacomplessità, racconta con estremachiarezza espressiva un arco lun-ghissimo della vita isolana. Sono tresecoli di storia che il testo ha il pre-gio di non rinchiudere nella visioneinevitabilmente ristretta delle ”mi-crostorie” locali, mostrando invecela capacità di dialogare costante-menti con gli eventi della Storia na-zionale ed internazionale. Gli avvenimenti ricostruiti nel li-bro, dalla Rivoluzione francese allaResistenza, sono affrontati da unaprospettiva che è non solo stretta-mente storica, ma anche morale edetica. Il filo conduttore che li unisce,fondendo storia isolana e storia na-zionale, memoria personale e col-lettiva, è un «gusto per la libertà»,che sollecita indagini e riflessioniproiettabili anche in questo nostropresente immediato così come nelnostro futuro. La libertà, intesa comecapacità di determinarsi secondoscelte autonome e non soggette acostrizioni, va indagata secondoprospettive molteplici, in relazione alcampo in cui essa viene esercitata:quindi libertà morale, religiosa, po-litica, di pensiero, presente in ambi-to speculativo in ogni tempo dellastoria umana, dalla civiltà greco-ro-mana al Novecento Nel mondo antico la libertà è stataconcepita in relazione allo stato, allapotenza della polis greca come del-la res publica romana, marginaliz-

zando l'autonomia dell'individuo, delsingolo uomo. Nel mondo cristiano assistiamo aduna rivoluzione del concetto classi-co di libertà, ricondotto ad una ana-lisi della coscienza interiore in rela-zione al peccato dell'uomo nei con-fronti del divino; la libertà umana èdunque svincolata dalle contingen-ze della storia e del mondo per por-si in relazione con il giudizio divinoe la prospettiva dell'Assoluto, pro-pria della religione. Il pensiero fìlosofìco moderno svi-luppa il concetto di libertà in sensorazionalistico ed empiristico. Nell'Ot-tocento, con Hegel, culmine della fi-losofia idealistica, la libertà vieneidentificata con i processi razionalidella realtà e della storia, negan-do l'autonomia propria degli indivi-dui e affermando quella invece del-lo Spirito Assoluto nel suo ritorno ase stesso dopo l'alienazione nellanatura e nella storia. Nel Novecento è con Kierkegaardche, in opposizione ad Hegel, vie-ne riaffermato il primato individualee personale della libertà, in modicontraddittori e drammatici ai qualipoi attingeranno le correnti esisten-zialistiche di questo secolo appenatrascorso. Marx, ancora in polemica con l'he-gelismo, concepisce invece la liber-tà come processo di liberazioneeconomica, sociale e politica, persottrarre l'uomo alla schiavitù e per-mettere ad ogni individuo la pienarealizzazione di sé, in senso mate-riale e spirituale. Anche nell'esistenzialismo la rifles-sione sulla libertà è centrale, aspi-razione sempre delusa che per Ja-spers si traduce in «scacco» inevi-tabile dell'esistenza umana. Oggi, all'inizio del terzo millennio,in una cultura e società definitecome postmoderne, dominate dal-

l'immagine e dalla simultaneità in cuiogni valore individuale si annullanella ripetizione dei messaggi, legrandi ideologie sembrano aver per-so il loro valore di coscienza criticadel mondo. In realtà pur frammen-tate ed indebolite esse continuanoa ricoprire un ruolo fondamentale di«resistenza» contro la società deisimulacri. Le diverse spinte ideolo-giche presenti nella cultura di finemillennio hanno riconosciuto la ne-cessità ed i bisogni individuali, de-nunciando forme di esclusione, ri-vendicando l'autonomia ed i diritti diesperienze molteplici ed eteroge-nee. Una cultura dei diritti nella quale ildiscorso sulla libertà non può cheessere affrontato in termini etici, nel-l'orizzonte di un discorso morale,alla base del quale deve essereposta l'infondabilità dell'etica e del-la libertà stessa. Più che mai attuali dunque le con-clusioni alle quali giunge Nino d'Am-bra, al termine di un lungo discorsonel quale la storia della libertà iso-lana si intreccia alla rievocazionedella storia di tutta la famiglia d'Am-bra, ai ricordi di un passato recentedi guerra e di ricostruzione, narratocol sostegno di una memoria priva-ta ma mai chiusa in un discorso au-toreferenziale. Proprio perché «il gusto per la li-bertà è stato sempre insopprimibilenegli uomini», le valutazioni conte-nute nel libro non possono non spin-gerci a riflettere sul valore della li-bertà, personale e collettiva, da in-tendersi soprattutto come rispetto etutela delle diversità, etniche, mo-rali, religiose, di pensiero e diespressione, così necessarie inquesto nostro tempo che si dibattenella rete di processi di omologazio-ne culturale e di globalizzazione.

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CARLO VIII CONQUISTA IL REGNO DI NAPOLI

MA NON LA ROCCA D'ISCHIA

di Raffaele Castagna

ISCHIA NELLA STORIA

Vedete Carlo ottavo, che discendeDall'Alpe e seco ha il fior di tutta Francia:Che passa il Liri e tutto il regno prende,Senza mai stringer spada o abbassar lancia,Fuorché lo scoglio, ch'a Tifeo si stendeSu le braccia, sul petto e sulla pancia;Ché del buon sangue d'Avalo al contrastoLa virtù trova d'Inico del Vasto.

Ludovico Ariosto nel canto XXXIII dell'Orlando Fu-rioso (stanza XXIV), descrivendo alcune pitture raffi-guranti le guerre dei Francesi in Italia, tra cui la di-scesa di Carlo VIII che facilmente conquista il regnodi Napoli («nella difesa del quale non si dimostrò névirtù né animo né consiglio, non cupidità d'onore nonpotenza non fede», come scrive il Guicciardini), ce-lebra l'isola d'Ischia, presentata con l'immagine di Ti-feo schiacciato sotto la sua mole, come unico ba-luardo con il suo castello che il re non riesce ad espu-gnare, nonostante i vari tentativi e con suo grave di-sappunto.

Le vicende storiche di questo periodo coinvolseroin particolar modo il re Ferdinando II, detto Ferrandi-no e Ferrante II, il quale appena sedicenne, dopo l'ab-dicazione del padre Alfonso II, contro il quale anche ibaroni napoletani avevano invocato l'intervento fran-

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cese, dovette affrontare la difficile situazione di unregno lacerato dai contrasti e dalle lotte interni primaancora che dall'occupazione straniera.

Tra gli autori che hanno descritto i vari momentivissuti dal nuovo sovrano e dal regno di Napoli cisiamo soffermati particolarmente su Francesco Guic-ciardini (1), autore di una Storia d'Italia che ha inizioproprio dalla narrazione dell'impresa di Carlo VIII con-tro il regno di Napoli.

Il re Ferrandino (2), nell'intento di riconquistarel'amore dei sudditi e di fermare l'avanzata francese,aveva rivolto un appello al popolo, proclamandosi de-sideroso di emendare gli errori del padre e dell'avoloFerdinando I, detto Ferrante il Vecchio, e di esseresimile ad Alfonso vecchio proavo piuttosto che a Fer-rante I e ad Alfonso II.

«Non potette essere - scrive il Guicciardini (3) - chequeste parole non fussino udite con molta compas-sione, anzi certo è che a molti commossono le lagri-me; ma era tanto esoso in tutto il popolo e quasi intutta la nobiltà il nome de' due ultimi re, tanto il desi-derio de' franzesi, che per questo non si fermò in parte

1 Francesco Guicciardini (Firenze 1483 - Arcetri 1541), storico escrittore, scrisse, tra l'altro, la Storia d'Italia, in cui viene trattato ilperiodo 1492-1534.2 Figlio primogenito di Alfonso (1467-1496), duca di Calabria,poi Alfonso II re di Napoli (gennaio 1494-gennaio 1495).3 F. Guicciardini - op. cit., vol. I, libro I.

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ISCHIA NELLA STORIA Carlo VIII conquista il regno di Napoli ma non la rocca d'Ischia

alcuna il tumulto, ma subito che esso fu ritirato nelcastello, il popolo cominciò a saccheggiare le stallesue, che erano in sulla piazza: la quale indegnità nonpotendo egli sopportare, accompagnato da pochi cor-se fuori con generosità grande a proibirlo; e potettetanto nella città già ribellata la maestà del nome rea-le che ciascuno, fermato l'impeto, si discostò dallestalle. Ma ritornato nel castello, e facendo abbrucia-re e sommergere le navi le quali erano nel porto, poiche altrimenti non poteva privarne gli inimici, inco-minciò per qualche segno a sospettare che tanti te-deschi, che in numero di cinquecento stavano allaguardia del castello, pensassino di farlo prigione: peròcon subito consiglio donò loro le robe che in quello siconservavano. Le quali mentre che attendono a divi-dere, egli avendo prima liberati di carcere, eccetto ilprincipe di Rossano e il conte di Popoli, tutti i baroniavanzati alla crudeltà del padre e dell'avolo, uscitodel castello per la porta del soccorso, montò in sullegalee sottili che l'aspettavano nel porto e con lui donFederigo (4) e la reina vecchia (5), moglie già del-l'avolo, con Giovanna sua figliuola (6); e seguitato dapochissimi de' suoi navigò all'isola d'Ischia, detta da-gli antichi Enaria, vicina a Napoli a trenta miglia, re-plicando spesso con alta voce, mentre che aveva in-nanzi agli occhi il prospetto di Napoli, il versetto delsalmo del profeta che contiene essere vane le vigiliedi coloro che custodiscono la città la quale da Dionon è custodita» (7).

Ischia doveva essere una base provvisoria, perchéla destinazione finale era la Sicilia e la speranza l'aiutodella Spagna. Lungo il viaggio ci fu una sosta di qual-che giorno a Procida, come risulta da una lettera delre, datata appunto da quest'isola il 28 febbraio, edinviata alla regina di Spagna, dalla quale si viene aconoscenza che un'altra lettera era stata inviata al reFerdinando (8): «Serendissima [sic] S. Regina, S.raet madre colendissima: per non dare molestia ad v.M.tà non me stendo per questa in narrarli tucte lemie adversitate. Solo la prego voglia intendere la licte-ra che ho scripta a M.tà del S. Re marito de la M.tà v.;et per che in l'uno et l'altro ho collocato tucta la miasperancza, suplico la M.tà v. voglia abraczare, favo-rire et adjutare le cose mie, per modo che non restaio ingandato [sic] de la sperancza mia et monstra v.

M.tà la grandeza del animo suo, de manera che iopossa essere sulo ad v. M.tà oblicato de havere re-cuperato el regno mio. Ad questo la oblica la conion-ctione et lo proprio honore» (9).

L'arrivo ad Ischia (10) non fu accogliente e facile:«Ma non se gli rappresentando ormai altro che diffi-coltà - ricorda il Guicciardini - ebbe a fare in Ischiaesperienza della sua virtù, e della ingratitudine e in-fedeltà che si scuopre contro a coloro i quali sonopercossi dalla fortuna, perché non volendo il castel-lano (11) della rocca riceverlo se non con uno com-pagno solo, egli come fu dentro se gli gittò addossocon tanto impegno, che con la ferocia e con la me-moria dell'antichità regia spaventò in modo gli altriche in potestà sua ridusse subito il castellano e larocca».

«Ischia fu da questo tempo il soggiorno più o menocostante delle donne di casa d'Aragona. Alla reginamadre, alla figlia Giovanna (12), avente allora quin-dici anni, e destinata sposa a Ferrandino, si aggiun-sero Beatrice (13), ex regina d'Ungheria, e Isabella(14) vedova di Gian Galeazzo Sforza. Nel 1501 Fe-derico, ultimo re aragonese di Napoli, sdegnato per iltradimento dei suoi congiunti in Spagna, si portò an-ch'egli con la moglie a Ischia, dopo avervi mandatole due sorelle e la nipote Isabella con le due figlieIppolita e Bona. Tutte queste principesse si definiva-no e si firmavano «tristi reyne», secondo un uso spa-gnolo inaugurato in Napoli dalla regina vedova diFerrante I, che così si definisce in una sua lettera del9 ottobre 1494. Ma Isabella vedova di Gian Galeaz-zo, che si considerava la più sventurata di tutte, sifirmava anche “unicha ne la disgrazia”. Le loro vicen-de ispirarono versi e romanzi; e Isabella fu addirittu-ra inclusa dal Giovio tra gli “uomini illustri”, e mentreancora viveva meritò un caldo encomio nel Cortegia-no del Castiglione» (15).

4 Federico fratello di Alfonso II, zio di Ferrandino, principe diAltamura, al quale peraltro, non essendosi impegnato nel repri-mere la congiura dei baroni, era stata da questi offerta la corona.5 Giovanna III, la seconda e giovanissima moglie di re Ferrante ilVecchio.6 Giovanna IV7 Salmo 126, 1 - Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigi-lat qui custodit eam.8 Ferdinando II il Cattolico, V d'Aragona, III di Napoli, II di Sici-lia; sposò nel 1469 Isabella, erede al trono di Castiglia.

9 Lettera riportata in Carlo de Frede: L'impresa di Napoli di CarloVIII, De Simone Editore, Napoli, 1982.10 Ischia, già roccaforte del potere angiono, era stata conquistatada Ferrante I.11 Giusto della Candida o della Candina.12 Giovanna III e Giovanna IV.13 Beatrice d'Aragona, figlia di Ferdinando I d'Aragona e di Isa-bella di Chiaramonte, andata sposa nel 1475 al re d'Ungheria, MattiaCorvino. Poiché Mattia non aveva figli legittimi, intendeva desi-gnare quale suo successore il figlio illegittimo Giovanni. Essendoil re morto improvvisamente a Vienna nel 1490, Beatrice feceinmodo che la successione di Giovanni Corvino non andasse a buonfine. Sposò segretamente Ladislao II Iagellone, re di Boemia, maquesti, appena sul trono d'Ungheria, rinnegò il matrimonio. Nel1501 Beatrice tornò in patria.14 Isabella d'Aragona, nata a Napoli e morta a Bari nel 1524. Fi-glia terzogenita del re di Napoli Alfonso II d'Aragona, per ragionidinastiche sposò nel 1489 il duca Gian Galeazzo Sforza.15 Cfr. Carlo de Frede: L'impresa di Napoli di Carlo VIII, De Si-mone Editore, Napoli, 1982.

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Carlo VIII entrò in Napoli il 22 febbraio 1494 e, perdare perfezione alla vittoria, attendeva a due coseprincipalmente: «l'una, a espugnare Castelnuovo eCastel dell'Uovo, fortezze di Napoli le quali si tene-vano ancora per Ferdinando, perché con piccola dif-ficoltà aveva ottenuta la Torre di San Vincenzio, edi-ficata per guardia del porto; l'altra, a ridurre a ubbi-dienza sua tutto il reame: nelle quali cose la fortunala medesima benignità gli dimostrava. Perché Castel-nuovo, abitazione de' re, posto in sul lito del mare,per la viltà e avarizia de' cinquecento tedeschi chev'erano a guardia, fatta leggiera difesa, s'arrendé, concondizione che n'uscissino salvi, con tutta la roba cheessi medesimi potessino portarne; nel quale essen-do copia grandissima di vettovaglie, Carlo, senzaconsiderazione di quello che potesse succedere, ledonò ad alcuni de' suoi; e Castel dell'Uovo, il quale,fondato dentro al mare in su un masso già contiguoalla terra, ma separatone anticamente per opere diLucullo, si congiunge con uno stretto ponte al lito pocolontano da Napoli, battuto continuamente dall'artiglierifranzesi, benché potessino offendere la muraglia manon il vivo del masso, si convenne dopo non molti dìd'arrendersi, in caso che fra otto dì non fusse soccor-so. E a' capitani e alle genti d'arme, i baroni e i sindi-chi delle comunità, facendo a gara tra loro d'essere iprimi a ricevergli, e con tanta o inclinazione o terroredi ciascuno che i castellani delle fortezze quasi tuttisenza resistenza le dettono; e la rocca di Gaeta, cheera bene proveduta, combattuta leggiermente, s'ar-rendé a discrezione. In modo che in pochissimi dì,con inestimabile facilità, tutto il regno si ridusse inpotestà di Carlo: eccetto l'isola d'Ischia, e le fortezzedi Brindisi e di Galipoli in Puglia, e in Calavria la for-tezza di Reggio» (16).

In Ischia s'era portato anche Alfonso Davalo, mar-chese di Pescara, che era stato prima lasciato daFerdinando in Castelnuovo.

Il re Carlo VIII intanto voleva ottenere per via diconcordia quanto a Ferdinando restava nel reame e,tramite Federigo, gli offerse «stati ed entrate grandiin Francia». Ma «essendogli nota la deliberazione delnipote di non accettare partito alcuno se non restan-dogli la Calavria, Federigo si partì discorde dal re diFrancia. E Ferdinando, poiché furono arrendute lecastella, se n'andò con quattordici galee sottili malearmate, con le quali s'era partito da Napoli, in Sicilia,per essere parato a ogni occasione, lasciato a guar-dia della rocca d'Ischia Inico Davalo fratello di Alfon-so, uomini amendue di virtù e di fede egregia verso ilsuo signore. Ma Carlo, per privare gl'inimici di quelloricettacolo, molto opportuno a turbare il reame, vimandò l'armata, che finalmente era arrivata nel por-to di Napoli; la quale, trovata la terra abbandonata,non combatté la rocca, disperandosi per la fortezzasua di poterla ottenere: però deliberò il re far venire

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altri legni di Provenza e da Genova per pigliare Ischia,e assicurare il mare infestato qualche volta da Ferdi-nando» (17).

L'insuccesso francese viene attribuito alla «pocadiligenza» dei francesi, «non pari alla fortuna», inquanto «governandosi tutte le cose freddamente econ grandissima negligenza e confusione; perché ifranzesi, diventati per tanta prosperità più insolentiche ‘l solito, lasciando portare al caso le cose di mo-mento, non attendevano ad altro che al festeggiare ea' piaceri; e quegli che erano grandi appresso al re, acavare privatamente della vittoria più frutto sperava-no, senza considerazione alcuna della degnità o del-l'unità del suo principe». Anche il Commynes (18) diceche, se fossero stati mandati ad Ischia quattro can-noni, questa sarebbe stata presa, così come sareb-be stato per le altre piazze che resistevano.

Intanto incominciavano a paventarsi negli altri statiitaliani, e principalmente da parte di Lodovico Sforzae di Venezia, le negative conseguenze del crescentedominio di Carlo VIII, visto che questi «come una fol-gore, senza resistenza alcuna, per tutta Italia discor-reva».

«E già Carlo, insospettito degli andamenti di Lodo-vico, avea, dopo l'acquisto di Napoli, condotto GianIacopo da Triulzo con cento lance e con onorata pro-visione, e congiuntisi con molte promesse il cardina-le Fregoso e Obietto dal Fiesco; questi per instru-menti potenti a travagliare le cose di Genova, quelloper essere capo della parte guelfa in Milano e averel'animo alienissimo da Lodovico; al quale similmenterecusava di dare il principato di Taranto, allegandonon essere obligato se non quando avesse conqui-stato tutto il reame. Le quali cose essendo molestis-sime a Lodovico, fece ritenere dodici galee che per ilre si armavano a Genova, e proibì che alcuni legniper lui non vi si armassino; da che il re si lamentòessere proceduto che e' non avesse tentato di nuovocon maggiore apparato di espugnare Ischia» (19).

Così il 31 marzo 1495 si formava a Venezia unaconfederazione tra la Serenissima, il papa, Massimi-liano, i sovrani di Spagna e Milano «per la salvaguar-dia della pace e la tranquillità dell'Italia, per la salvez-za della Cristianità, per la conservazione della digni-tà e autorità della Santa Sede, per la garanzia deldiritto dell'Impero e per la difesa e conservazione deipredetti stati italiani, contro la potenza che allora oc-cupava uno stato in Italia, che era chiamata la Fran-cia». Inoltre bisognava aiutare Ferdinando di Arago-na a riconquistare il suo reame. Anche a Napoli «lariputazione de' franzesi cominciava a diminuire mol-to, perché occupati da' piaceri, e governandosi a caso,non avevano attesto a cacciare gli aragonesi di que-gli pochi luoghi che si tenevano per loro, come, se

16 F. Guicciardini, op. cit.

17 F. Guicciardini, op. cit.18 Ph. De Commynes, Mémoires, Paris 1925.19 F. Guicciardini, op. cit.

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ISCHIA NELLA STORIA Carlo VIII conquista il regno di Napoli ma non la rocca d'Ischia

avessino seguitato il favore della fortuna, sarebbe suc-ceduto facilmente. Ma molto più era diminuita la gra-zia: perché se bene a' popoli il re molto liberale ebenigno dimostrato si fusse, concedendo per tutto ilreame tanti privilegi ed esenzioni che ascendevanociascuno anno a più di dugentomila ducati, nondime-no non erano state l'altre cose indirizzate con quel-l'ordine e prudenza che si doveva; perché egli, alie-no dalle fatiche e dall'udire le querele e i desideri degliuomini, lasciava totalmente il peso delle faccende a’suoi, i quali, parte per incapacità parte per avarizia,confusono tutte le cose: perché la nobiltà non fu rac-colta né con umanità né con premi, difficoltà grandis-sima a entrare nelle camere e udienze del re, nonfatta distinzione da uomo a uomo, non riconosciutise non a caso i meriti delle persone, non confermatigli animi di coloro che naturalmente erano alieni dal-la casa d'Aragona, interposte molte difficoltà e lun-ghezze alla restituzione degli stati e de' beni dellafazione angioina e degli altri baroni che erano statiscacciati da Ferdinando vecchio... Aggiungevasi il fa-sto naturale de' franzesi, accresciuto per la facilitàdella vittoria, per la quale tanto di sé stessi concepu-to aveano che teneano tutti gl'italiani in niuna estima-zione; la insolenza e impeto loro nell'alloggiare, nonmanco in Napoli che nell'altre parti del regno doveerano distribuite le genti d'arme, le quali per tutto fa-cevano pessimi trattamenti: in modo che l'ardentedesiderio che avevano avuto gli uomini di loro eragià convertito in ardente odio; e per contro, in luogodell'odio contro agli Aragonesi era sottentrata la com-passione di Ferdinando, l'espettazione avutasi sem-pre generalmente della sua virtù, la memoria di queldì che con tanta mansuetudine e costanza avea, in-nanzi si partisse, parlato a' napoletani. Donde e quellacittà e quasi tutto il reame non con minore desiderioaspettavano occasione di potere richiamare gli Ara-gonesi che pochissimi mesi innanzi avessino desi-derato la loro distruzione. Anzi cominciava già a es-sere grato il nome tanto odioso d'Alfonso, chiaman-do giusta severità quella che, insino quando viventeil padre attendeva alle cose domestiche del regno,solevano chiamare crudeltà, e sincerità d'animo veri-dico quella che molt'anni avevano chiamata super-bia e alterezza” (20).

Mentre Carlo VIII meditava il ritorno in Francia,Ferdinando preparava la riscossa e «smontato in Ca-lavria, accompagnato dagli spagnuoli venuti in sul-l'armata nell'isola di Sicilia; a cui concorsero subitomolti degli uomini del paese, e se gli arrendé in con-tinente la città di Reggio, la fortezza della quale siera sempre tenuta in nome suo; e nel tempo medesi-mo si scoperse ne' liti di Puglia l'armata viniziana,

della quale erra capitano Antonio Grimanno, uomo inquella republica di grande autorità. Ma non per que-sto né per molti altri segni dell'alterazione futura, sirimosse o pure si ritardò in parte alcuna la delibera-zione del partirsi; perché, oltre a quello a che gli per-suadeva forse la necessità, era incredibile l'ardoreche il re e tutta la corte avevano di ritornarsene inFrancia: come se il caso che era stato bastante afare acquistare tanta vittoria fusse bastante a farlaconservare. Nel quale tempo si tenevano per Ferdi-nando l'isola d'Ischia e l'isole di Lipari, membro, ben-ché propinque alla Sicilia, del regno di Napoli, Reg-gio recuperato nuovamente; e nella medesima Cala-vria, Terranuova e la fortezza, con alcun'altre fortez-ze e luoghi circostanti».

Il 22 maggio 1495 Carlo VIII lasciava Napoli, maprima «ricevé solennemente nella chiesa cattedrale,con grandissima pompa e celebrità secondo il costu-me de' re napoletani, le insegne reali, e gli onori e igiuramenti consueti prestarsi a' nuovi re; orando innome del popolo di Napoli Giovanni Ioviano Ponta-no».

Intanto Ferdinando attendeva, dopo aver presoReggio, a recuperare i luoghi circostanti, avendo consé circa seimila uomini, tra quegli che e del paese edi Sicilia volontariamente lo seguivano, e i cavalli efanti spagnoli de' quali era capitano Consalvo Erna-des di casa d'Aghilar, detto Gran Capitano. A questoesercito si fecero incontro, a Seminara, le truppe fran-cesi al comando di Obignì, le quali, meglio esercitateed ordinate, prevalsero su italiani, spagnoli e sicilianicon poca esperienza della guerra. «Nondimeno sicombatté per alquanto spazio di tempo ferocemen-te, perché la virtù e l'autorità de' capitani sostenevaquegli che per ogn'altro conto erano inferiori. E so-pra gli altri Ferdinando, combattendo come si conve-niva al suo valore, ed essendogli stato ammazzato ilcavallo sotto, sarebbe senza dubbio restato o mortoo prigione se Giovanni di Capua smontato del suocavallo non avesse fatto salirvi sopra lui, a prezzodella sua vita».

Ferdinando fece di nuovo ritorno a Messina, don-de, raccolti, oltre alle galee che aveva condotted'Ischia e quelle quattro con le quali s'era partito daNapoli Alfonso suo padre, si mosse ancora una voltaper arrivare a Napoli. Qui il re attese invano che nellacittà si facesse qualche sollevazione, sicché fu co-stretto a volteggiare due giorni nel golfo; e il terzo siallargò in mare per ritirarsi a Ischia, saldamente te-nuta dagli Aragonesi. Il presidio del castello infatti,comandato da Rodrigo d'Avalos, conte di Monteodo-risio, aveva vittoriosamente respinto l'11 giugno l'ulti-mo tentativo francese di conquista guidato dal princi-pe di Salerno. Ferraiolo riporta il particolare ridicoloche gli assalitori trovarono in un pagliaio sette asini e

20 F. Guicciardini, op. cit.

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solo questi conquistarono e portarono come bottinoa Napoli, onde nell'isola fu composto e ripetuto il se-guente strambotto:

O Francise e vui Napolitane mie, onne yuno[ se caglia,

et de Ischia non se parla più niente,c'avimo vinta la prima battaglia:li asine stare a fronte a tanta giente,che appedita ammuciche et arraglia.Ne ànno ferite et ammazate più de ciento,e loro dintro de una casa de pagliane pigliaro sette asine a tradimento. (21)

Infatti l'armata del Sanseverino tornò dalla spedi-zione il 16 giugno “con poco honore” e con oltre 15morti e oltre 60 feriti.

I Francesi, assediati in Castel Nuovo, il 4 ottobresottoscrissero una proposta di resa: avrebbero datoa Ferdinando il castello, dove erano assediati già datre mesi, e sarebbero partiti per la Provenza, salvo laroba e le persone di tutti quegli che v'erano dentro,se nonfossero arrivati soccorsi entro trenta giorni; perl'osservanza dettero tre o più ostaggi che furono por-tati tutti a Ischia. L'8 dicembre si arrese Castel Nuo-vo: 300 francesi furono fatti imbarcare su una nave emandati via. Il 17 febbraio 1496 si arrendeva ancheCastel dell'Ovo. Ferrandino per rinsaldare vieppiùl'amicizia con la Spagna, scelse per moglie, con ladispensa del pontefice, Giovanna sua zia, nata diFerdinando suo avo e di Giovanna sorella del dettore. Le nozze civili furono celebrate, a Somma, allafine dell'agosto 1496, in attesa che in tempi migliorisi facessero feste solenni a Napoli. Ma Ferrandino,già sofferente per la malaria contratta nelle tante cam-pagne, sposò in Castel Nuovo con sacramento dellaChiesa Giovanna, mente era a letto morente, e circaun mese dopo morì.

In mancanza di eredi diretti il trono passò a Federi-co, zio di Ferrandino, già maturo negli anni, «dal ca-rattere mite e gentile, poco portato agli intrighi delgoverno e alle fatiche della guerra» (22), il quale con-tinuò la riconquista avviata dal nipote, ma poi dovet-te contrastare ancora una volta le mire espansioni-stiche di Francia e Spagna, che decisero l'occupa-zione del regno di Napoli e farne la seguente sparti-zione: alla Spagna sarebbero andate la Puglia e laCalabria e alla Francia la Campania, l'Abruzzo e ilMolise. L'accordo con gli Spagnoli fu concluso dalsuccessore di Carlo VIII (morto nell'aprile del 1498),Luigi, duca d'Orléans, che prese il nome di Luigi XII,anche se in effetti ne seguì una guerra tra Francia eSpagna, alla fine della quale nel gennaio 1504 avre-

30 La Rassegna d'Ischia 1/2004

mo che il regno di Napoli diventerà una provincia spa-gnola.

Luigi XII rivendicava diritti sia sul ducato di Milanoche sul regno di Napoli: «aveva sempre procurato difare concordia col re de' romani, per la quale oltre aottenere da lui l'investitura del ducato di Milano glifusse lecito assaltare il regno di Napoli». E Alessan-dro VI si dimostrava ben disposto a detronizzare Fe-derico d'Aragona.

«Contro a' quali movimenti il re Federigo, non sa-pendo che l'armi spagnuole fussino sotto specie diamicizia preparate contro a lui, sollecitava ConsalvoFerrando, il quale con la armata de' re di Spagna era,sotto simulazione di dargli aiuto, fermatosi in Sicilia,che venisse a Gaeta; avendogli messe in mano alcu-ne terre di Calavria, dimandate da lui per farsi piùfacile l'acquisto della sua parte, ma sotto colore divolerle per sicurtà delle sue genti. E sperava Federi-go, congiunto che fusse Consalvo con l'esercito suo,aver esercito potente a resistere, senza essere ne-cessitato a rinchiudersi per le terre, a' franzesi: (…) esi fermò a San Germano; ove aspettando gli aiutispagnoli e le genti che gli conducevano i Colonnesi,sperava d'avere con più felice successo a difenderel'entrata del regno che non aveva, nella venuta diCarlo, fatto Ferdinando suo nipote».

Ben presto la realtà si presentò chiara, quando ifrancesi nel luglio del 1500 occuparono Capua e poiAversa e Nola, ed infine entrarono trionfalmente inNapoli il 25 luglio.

«Federigo, abbandonata la città (23), si ritirò in Ca-stelnuovo; e pochi dì poi convenne con Obignì di con-segnargli fra sei dì tutte le terre e le fortezze che sitenevano per lui, della parte la quale, secondo la di-visione fatta, apparteneva al re di Francia, ritenendo-si solamente l'isola d'Ischia per sei mesi: nel qualespazio di tempo gli fusse lecito di andare in qualun-que luogo gli paresse eccetto che per il regno di Na-poli, e di mandare a Taranto cento uomini d'arme;potesse cavare qualunque cosa di Castelnuovo e diCastel dell'Uovo, eccetto che l'artiglierie che vi rima-sono del re Carlo; fusse data venia a ciascuno dellecose fatte dappoi che Carlo acquistò Napoli, e i car-dinali Colonna e di Aragona godessino l'entrare ec-clesiastiche che avevano nel regno.

Ma nella rocca d'Ischia certamente si veddono ac-cumulate, con miserabile spettacolo, tutte le infelicitàdella progenie di Ferdinando vecchio. Poiché oltre aFederigo, spogliato nuovamente di regno sì precla-ro, ansio ancora più della sorte di tanti figliuoli piccolie del primogenito rinchiuso in Taranto che della pro-pria, era nella rocca Beatrice sua sorella; la quale,poiché dopo la morte di Mattia famosissimo re diUngheria, suo marito, ebbe promessa di matrimonioda Uladislao re di Boemia per indurla a dargli aiuto a

21 Cfr. Carlo de Frede: L'impresa di Napoli di Carlo VIII, De Si-mone Editore, Napoli, 1982.22 V. Glaijeses: Napoli attraverso i secoli, Soc. Ed. Nap., 1985.

23 Napoli non venne saccheggiata con il pagamento di sessanta-mila ducati ai vincitori.

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ISCHIA NELLA STORIA Carlo VIII conquista il regno di Napoli ma non la rocca d'Ischia

conseguire quello regno, era stata da lui poiché ebbeottenuto il desiderio suo ingratamente repudiata, ecelebrato con dispensazione di Alessandro pontefi-ce un altro matrimonio. Eravi ancora Isabella già du-chessa di Milano, non meno infelice di tutti gli altri,essendo stata, quasi in uno tempo medesimo, priva-ta del marito, dello stato e dell'unico suo figliuolo.

Ma Federigo, risoluto per l'odio estremo che e' por-tava al re di Spagna di rifuggire più tosto nelle brac-cia del re di Francia, mandò al re a dimandargli sal-vacondotto; e ottenutolo, lasciati tutti i suoi nella roc-ca d'Ischia, dove rimasono anche Prospeto e Fabri-zio Colonna, che pagata la taglia era stato liberatoda' franzesi, e lasciata l'isola, come prima era, sottoil governo del marchese del Guasto e della contessadi Francavilla, e mandata parte delle sue genti alladifesa di Taranto, se ne andò con cinque galee sottiliin Francia: consiglio certamente infelice, poiché sefusse stato in luogo libero arebbe forse, nelle guerreche poi nacquero tra i due re, avuto molte occasionidi ritornare nel suo reame. Ma eleggendo la vita piùquieta, e forse sperando questa essere la via miglio-re, accettò dal re il partito di rimanere in Francia, dan-dogli il re la ducea d'Angiò e tanta provisione cheascendeva l'anno a trentamila ducati; e comandò aquegli che aveva lasciati al governo d'Ischia che ladessino al re di Francia; i quali, recusando di ubbidi-

Ischia - Castello Aragonese: il Maschio, già dimora d

re, la ritennero lungamente benché sotto le insegnedi Federigo» (24).

Gli eventi futuri portarono a forti contrasti tra fran-cesi e spagnoli e alla fine «la fortuna arrise agli spa-gnoli che furono vittoriosi sia nelle azioni terrestri chein quelle navali e il 14 maggio del 1503 le truppe diConsalvo de Cordoba entrarono in Napoli. I castelli,minati, furono costretti ad arrendersi, ed ogni resi-stenza ebbe fine. I francesi, che non volevano arren-dersi e stavano per ritentare la conquista di Napoli,alla fine di quell'anno furono definitivamente sconfittidal comandante spagnolo sul Garigliano; nel genna-io del 1504 si arrese anche Gaeta e il regno di Napolidivenne una provincia spagnola» (25).

Il 9 settembre 1504 morì a Tours re Federico, cir-condato da pochi amici, fra i quali Jacopo Sannazaro(26), che aveva venduto parte dei suoi beni per se-guirlo nell'esilio. La regina Isabella, consorte di Fe-derico, dopo essere rimasta per breve tempo ad Ischiase ne tornò nelle sue terre in Puglia.

24 Guicciardini, op. cit. vol. I libro V.25 V. Gleijeses, op. cit.26 Jacopo Sannazaro (1456-1530), alla morte del re fece ritorno aNapoli e visse nella sua villa di Mergellina, avuta in dono da Fe-derico. In una egloga piscatoria è indicata l'isola d'Inarime, dallecui piagge (ah duro esilio!) partì la nave, quando la gioventù fede-le al re affidò la vita alle ignote onde del mare.

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i principi, re e regine (foto di Salvatore Basile)

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In Crimea

Il Volontariato militare

(i Cacciatori delle Alpi)

Solferino e San Martino

Verso l'unità nazionale

Il riscatto dell'esercito sardo

Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggi

di Vincenzo Cuomo

Il 25 aprile 1855 dal porto di Genova, per vo-lontà della lungimiranza politica del Cavour, unCorpo di spedizione di circa 15.000 soldati par-tiva per la lontana Crimea a rinforzare un giàpresente contingente internazionale impegna-to contro le truppe russe. L'intento dell'allean-za che il regno di Sardegna aveva stipulato conFrancia, Inghilterra e Turchia, era creare dellefavorevoli circostanze e giuste aderenze affin-ché questi Stati potessero in futuro sostenerequella che nelle Cancellerie e Segreterie di di-plomatiche veniva definita la «questione italia-na».

Le truppe del Corpo di spedizione in Crimea s'imbarcano a Genova

Traghettati da navi britanniche, i reparti sardi, al co-mando di Alfonso La Marmora, appena sbarcati e an-cora prima di venire a contatto con le unità zariste,dovettero subito confrontarsi con un nemico ben piùterribile: il colera. Triste piaga che accompagneràl'esercito sabaudo per tutta la durata della sua perma-nenza fuori dai confini e provocherà la morte di ben1300 uomini, fra cui Alessandro La Marmora, fondato-re del corpo dei Bersaglieri.

Le operazioni militari, che da tempo si trascinavanofiaccamente, si animarono improvvisamente all'albadel 16 agosto, sempre ovviamente, del 1855, allor-quando le truppe dello zar, nell'intento di spezzare l'as-sedio che era stato posto alla fortezza di Sebastopoli,si lanciarono in un violento attacco contro le forze av-versarie che erano di fronte (battaglia della Cernaia).Lo schieramento alleato, prima dello scontro, risulta-va composto dai francesi, che occupavano il centro eil lato sinistro, e dai piemontesi che erano invece sulladestra. Scopo dei russi era cercare di sfondare il set-

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tore occupato dagli uomini di Napoleone III. Control'esercito sabaudo, di conseguenza, avevano preven-tivato una semplice azione di contenimento, masche-rata da una finta avanzata. Attaccati dai Cacciatori fin-landesi, i sardi, colti di sorpresa, abbandonate le loroposizioni, iniziarono ad arretrare. Ma, ritrovati l'anticacompattezza e il mordente momentaneamente smar-riti, diedero allora corso ad una vigorosa reazione vol-ta a stroncare l'impeto nemico. In breve le forze pie-montesi, composte nella stragrande maggioranza daBersaglieri, riuscirono a riconquistare tutte le posizio-ni precedentemente perdute. A ciò, l'intero fronte sla-vo avanzante, sorpreso da tale inaspettata e vigorosareazione, cominciò pericolosamente a sbandare. I fran-cesi, dal loro canto, superato anch'essi l'iniziale mo-mento di sbandamento e favoriti dal tenace contrat-tacco piemontese, poterono in tal modo ritornare suipropri passi e respingere l'impeto dei russi. I quali inbreve furono così costretti a ripiegare lungo tutta lalinea.

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La fortezza di Sebastopoli conquistatadalle truppe europee alleate

La diretta conseguenza di questa vittoria fu la resadi Sebastopoli, alla cui capitolazione furono presentianche molte unità dell'esercito piemontese. Circa labattaglia della Cernaia, va detto che, pur essendo unoscontro di modesto livello nel panorama dei grandicombattimenti che si ebbero nel corso dell'800, è con-siderata un avvenimento di notevole rilievo all'internodella nostra storiografia militare nazionale. Ciò, nonsolo perché i soldati dell'armata sarda combatteronocon disciplina e valore, ma anche in quanto segnò l'in-gresso dell'esercito piemontese fra quelli europei piùaccreditati e significativi. Peraltro con questo interventoiniziava anche la partecipazione dei soldati italiani fuoridella nostra penisola in veste di protagonisti. Eventodestinato a perpetuarsi sino alle attuali missioni di pacein ogni angolo della terra.

Tale brillante affermazione, dopo le sfortunate cam-pagne del 1848 e 1849, veniva pure a risollevare, nonsolo lo spirito di tutti i soldati dell'armata sarda, maanche quello di tutti gli italiani fidenti nel riscatto na-zionale. Infine, va anche doverosamente evidenziatoche il successo della Cernaia contribuì non poco al

La battaglia di Montebello

permesso che fu accordato al rappre-sentante del Piemonte di poter parte-cipare, alla pari con altri delegati, alcongresso conclusivo della guerra chesi tenne a Parigi nel 1856.

L'impegno e il sacrificio dei soldatidi Vittorio Emanuele II in Crimea, adistanza di breve tempo, iniziò a darei suoi frutti. Il Cavour, sempre tenacee vigile nel suo disegno a favore del-l'unità d'Italia, in prosieguo al Conve-gno parigino, riuscì a stipulare un'al-leanza militare fra il piccolo Regno diSardegna e il potente Impero di Na-poleone III. Di questo accordo la nor-ma più importante era quella che san-

civa un intervento francese a sostegno dello Stato sa-baudo, se fosse stato aggredito dal confinante Imperoaustriaco.

Nel 1859, l'attento primo ministro, volendo ben sfrut-tare questa opportunità, manovrò politicamente e di-plomaticamente, in modo da quasi obbligare l'Austriaa dichiarare guerra al Piemonte. Stato libero, in unpanorama politico di conservazione e reazione, a cuitutti i liberali della penisola guardavano con fiducia esperanza e il cui sovrano aveva pubblicamente dichia-rato di non essere “insensibile al grido di dolore cheda tanta parte d'Italia si leva verso di noi”.

In prospettiva di quelle operazioni militari che stava-no per avere inizio, l'Armata sarda aveva predispostouna forza complessiva di circa 60.000 uomini, artico-lati in cinque divisioni, più una di cavalleria di riserva ea disposizione del Comando Supremo, che venne as-sunto dal Re, mentre capo di Stato maggiore era Mo-rozzo della Rocca, con il generale La Marmora mini-stro della guerra.

L'esercito austriaco, che fronteggiava quello piemon-tese, aveva invece una consistenza numerica quasidoppia. Comandante di questa Armata imperiale era ilmaresciallo ungherese Giulay. Il Radetsky era mortol'anno precedente. In attesa che giungessero le trup-pe francesi di rinforzo, i piemontesi manovrarono inmodo da evitare di dover sostenere da soli il peso diuna battaglia. Di rimando il Giulay cercò invece di ag-ganciare il nemico prima che quesoi si congiungessecon l'alleato. L'azione, a causa di una poca determi-nazione mostrata dal comandante austriaco, ma an-che per delle contemporanee forti piogge e gli allaga-menti artificiali di vaste superfici provocati dai sardi,non riuscì nell'intento sperato. Quando poi, alcuni Ber-saglieri stavano finalmente per giungere a Torino, ilGiulay dovette immediatamente ordinare il ritiro al finedi poter disporre di tutta la sua forza per fronteggiareadeguatamente il nemico. Nemico che intanto non erarappresentato più unicamente dall'Armata sarda, inquanto attraverso le Alpi e il porto di Genova eranogiunti ben 120.000 soldati francesi al comando dellostesso Napoleone III.

Il primo scontro tra gli opposti schieramenti si ebbe

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Fatti e personaggi della storia di ieri e di oggi

L'arrivo dei francesi attraverso il passo del Moncenisio

il 20 maggio a Montebello. Ivi, alcune unità austria-che, inviate in ricognizione oltre il Po, vennero attac-cate congiuntamente dalla Cavalleria piemontese edalla Fanteria francese e costrette precipitosamentea ripiegare. In questa battaglia va sottolineato un com-portamento all'insegna del valore e dell'ardimento daparte della Cavalleria dell'Armata sarda, in particolarmodo del Reggimento Cavalleggeri di Monferrato.Unità montata, la quale in sei ore di furiosi combatti-menti scrisse una memorabile pagina di storia a favo-re di questa antica, gloriosa e nobile Arma. Non solo,in quanto si affermò ancora una volta il principio diquanto fosse importante il giusto utilizzo in battagliadella Cavalleria leggera, nonché l'importanza di unasapiente collaborazione con la Fanteria.

In merito a questa che è passata alla storia come laseconda guerra d'indipendenza, non va dimenticatal'importanza che all'interno della lotta, in quest'occa-sione così come già avvenuto in precedenza e ancoraaccadrà nel futuro, ebbe il volontariato militare. Ap-porto spontaneo di un grande quantitativo di civili, iquali grazie al loro elevato numero assunsero un veroe proprio ruolo di complemento alle forze sabaude.Infatti con la gran quantità di volontari accorsi a Tori-no, alla notizia dell'imminente guerra all'Austria, oltread infoltire i battaglioni regi, venne anche creata unaspeciale unità autonoma che assunse la denomina-zione di Cacciatori delle Alpi. Essa, al comando di Giu-seppe Garibaldi, a cui era stato dato il grado di gene-rale dell'esercito sardo, combatterà indossando la di-visa delle truppe regolari. Con tale scelta si volle con-servare intatta la spiritualità politica di questi uomini,quasi tutti di matrice democratica, nonché dare almondo la giusta immagine di una guerra che non eraquella di una monarchia che aspirava ad ingrandire ipropri territori, ma di un intero popolo anelante allasua autonomia e libertà. La Brigata, inquadrata nelladivisione Cialdini, venne subito inviata in territorio ne-mico, non solo per contrastare e gettare scompiglionelle retrovie degli asburgici, ma anche per accende-re nei cuori degli abitanti dei luoghi attraversati l'amorpatrio e il desiderio di partecipare alla lotta. Malgradofossero male armati e carenti di equipaggiamento, ar-tiglieria e cavalleria, i Cacciatori delle Alpi fecero pre-sto ad imporsi al nemico. Seguendo quella tattica daguerriglia che aveva imparato e perfezionato in Suda-merica, Garibaldi riuscì per lungo tempo a tenere inscacco ben sei brigate austriache, che in tal mondofurono tenute lontane dallo scacchiere principale deicombattimenti; fra i tanti sconti vittoriosi ricordiamo:Varese, San Fermo, nonché il loro arrivo a Bergamo eBrescia il 12 giugno.

Intanto, nel ritornare alle truppe regolari regie, ab-biamo che il 30 e il 31 maggio, a Palestro, si ebbe unanuova felice affermazione dell'esercito sardo-france-se. Volendo Napoleone III compiere una manovra av-volgente sulla destra austriaca per giungere alle spal-

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le della sinistra e conquistare anche Milano, fece spo-stare gran parte della sua armata verso il Nord, utiliz-zando la strada ferrata esistente. All'esercito sardo fulasciato invece il compito di coprire il fianco nel corsodell'azione. Proprio in tale circostanza il 30 maggio aPalestro i piemontesi, mentre si mantenevano sulloscacchiere loro assegnato, ebbero uno scontro vitto-rioso con delle unità austriache, unità costrette allafuga. Il giorno successivo le truppe di Vienna con unamaggiore consistenza ritornarono sui loro passi nel-l'intento di cogliere quella vittoria che il giorno prece-dente era mancata. Ancora una volta vennero sconfit-te da unità sarde, a cui intanto si era unito un Reggi-mento di Zuavi francesi. Questa battaglia è passataalla storia, non solo per la vittoria ottenuta dai franco-piemontesi, ma anche per il coraggio individuale e losprezzo del pericolo mostrato da Vittorio Emanuele II,che a lungo restò sul campo di battaglia, impavida-mente esposto al fuoco nemico. In questo stesso gior-no si combatté anche nella vicina Vinzaglio, dove duereparti sardi respinsero un contingente austriaco avan-zante.

Accortosi, anche se con forte ritardo, della manovraavvolgente dei francesi, Giulay riuscì ugualmente aconcentrare un forte quantitativo di truppe a difesa diMilano. Pertanto quando il 4 giugno nei pressi di Ma-genta giunsero le avanguardie dell'armata francese,unitamente ad alcuni reparti piemontesi, trovarono lastrada sbarrata da una forte concentrazione di nemi-ci. Inizialmente e per diverse ore l'avanzata venne fer-mata dall'elevato numero di austriaci. In serata l'arrivosul campo di battaglia di un nuovo Corpo d'armata alcomando di Mac Mahon, che già era stato impegnatoin precedenza nei dintorni, seguito a breve distanzada una divisione piemontese, fece volgere l'andamentodello scontro a favore degli alleati. Il successo ottenu-to non venne sfruttato sino in fondo. Non fu colta, in-fatti, l'occasione per infliggere agli asburgici una benpiù grave e decisiva sconfitta. Pertanto al Giulay fucosì possibile riuscire a far ripiegare in ordine i suoi

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La battaglia di Solferino

scompigliati reparti sino al raggiun-gimento di territori dichiaratamentesicuri. Quale diretta e immediataconseguenza di questo scontro siebbe che l'8 giugno Napoleone III eVittorio Emanuele II fecero il lorotrionfale ingresso a Milano. In que-sto stesso giorno a Melegnano al-cuni Corpi d'armata dell'esercitofrancese attaccarono con decisioneuna brigata austriaca di retroguar-dia, posta a difesa di un ponte sulfiume Lambro. Ancora una volta lavittoria arrise alle truppe di Parigi checostrinsero la brigata avversaria aripiegare rapidamente. Dopo averseguito con trepidazione ed ansia ilcattivo andamento delle operazionimilitari del proprio esercito, il 16 giu-gno l'imperatore d'Austria FrancescoGiuseppe esonerava il marescialloGiulay dal suo incarico e assumevadi persona il comando dello scac-chiere, coadiuvato dal generale vonHess quale capo di Stato Maggiore.

Per dar modo ai battaglioni di po-tersi reinquadrare e ritrovare il mor-dente, si pensò di far arretrare l'in-tera forza asburgica dietro al Mincio.

Mentre era in corso tale ripiegamen-to, il 22 giugno a Francesco Giusep-pe pervenne notizia di una ripresadell'avanzata franco-piemontese.Determinato a riprendere la lotta, or-dinò ai suoi soldati di sospenderel'arretramento e marciare contro il

nemico. La battaglia, che fu una del-le più sanguinose del secolo, tra leforze francesi e quelle austriache,avvenne il 24 giugno a Solferino, incontemporanea allo scontro di SanMartino che vide i piemontesi con-trapposti agli asburgici. La duplicebattaglia, che vide il trionfo delle for-ze franco-sarde, durò l'intera giorna-ta, dall'alba al tramonto, con la citta-dina di San Martino che, prima direstare saldamente nelle mani deipiemontesi, fu conquistata e perdu-ta varie volte.

Al termine dei due sanguinosicombattimenti, Napoleone III, pro-fondamente turbato dal grave nume-ro di morti che tappezzavano il ter-reno, ma pure paventando un inter-vento prussiano contro i propri con-fini, il 12 luglio stipulò con l'imperoasburgico l'armistizio di Villafranca.In questa affrettata decisione di si-curo dovette influire anche l'averpercepito che quel fermento patriot-tico, che ormai avvolgeva l'Italia tut-ta, interveniva a scavalcare le sueaspettative di egemonia su partedella penisola.

Con la firma dell'accordo, la Lom-bardia era così dall'Austria ceduta alPiemonte attraverso la Francia. Lasuccessiva pace di Zurigo (10 no-vembre), convalidando questo primoingrandimento territoriale del Regnodi Sardegna, schiudeva le porte al-l'unità nazionale. In merito a questache è passata alla storia con il nomedi seconda guerra d'indipendenza,non si può non rilevate pure che labrillante campagna, dopo le già po-sitive affermazioni in Crimea, veni-va non solo a confermare il valoredell'esercito sardo, ma anche e so-prattutto a riscattarlo in pieno dalledue brucianti sconfitte subite nel1848 e nel 1849.

Vincenzo Cuomo

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ARTE MOSTRE

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 12 gennaio 2004

ANISH KAPOOR

di Carmine Negro

Siamo venuti in contatto con l'opera di Anish Kapoor in occasione dellapresentazione in Piazza Plebiscito, a Natale 2000, di Taratantara, una enor-me scultura in pvc rosso semitrasparente (La Rassegna d'Ischia n.1 / 2001)sorretta e sospesa tra due torri tubolari d'acciaio, alte circa trenta metri e

distanti oltre cinquanta l'una dall'altra. L'opera di gom-ma assumeva la fisionomia di un doppio imbuto specu-lare; due enormi ventri a evocare il suono acuto e assor-dante di una tromba.

Ritroviamo Kapoor nelle quattro sale restaurate delMuseo Archeologico per la prima vera e propria rasse-gna monografica sul suo lavoro, sotto la cura di Edoar-do Cicelyn e Mario Codognato. Una dozzina di installa-zioni, di cui due inedite congegnate appositamente perla città, in cui l'artista fa uso, per la prima volta, di so-stanze liquide rosse. Vasche e ingranaggi delimitano e sollecitano, attraver-so giochi d'acqua, la materia fluida, diventata scultura, aricomporsi in forma impalpabile nel tempo. Ed è il tempoa irrompere prepotentemente nel contenitore circolaredel cortile, che a fine mostra resterà come opera perma-nente del Museo, e a creare, grazie a un vortice, formeindefinite e indefinibili, dipendenti e autonome, incante-voli e attraenti, lievi ed evanescenti. L'altra opera ese-guita per l'occasione e che a fine mostra verrà distruttaè realizzata in una sala del museo. Da una parete sgor-ga un liquido rossastro che lentamente ed inesorabil-mente riempie fino all'orlo un recipiente metallico; necopre tutta la superficie, per poi svuotarsi e riprenderepotenzialmente all'infinito lo stesso procedimento. Laparete museale, generalmente destinata a supportarel'opera d'arte, diventa ferita e sorgente, prigione e liber-tà, mentre il meccanismo nella sua ripetitività materializ-za l'immateriale: il legame tra la vita e la morte. Il colore rosso, uno dei fili conduttori del corpus dellasua opera, si impone con forza in questa mostra. A que-sto proposito Anish Kapoor in una recente intervista haaffermato:«Il rosso per me è un colore importante, cen-

trale. A differenza di altri colori so esattamente dove comincia. Comincia conun'eccitazione dell'occhio. Ma arriva dalla terra e si trasforma in altro, corpoe sangue. È il colore che attraversa il nostro corpo e ha un potere simbolicoe trascendente». Con Blood Cinema (2000), al centro del colonnato che

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unisce le sale d'esposizione, anch'esso di colore rosso, la suggestione e lamagia delle lenti, muta il fuoco allo specchiante, sottratto al contesto, chediventa specchiato in una sorta di uomo che guarda alla ricerca di un sestesso che sfugge. Avere un rapporto con ogni tipo di materia, riuscire ad

attraversarla e modificarla, amplificare i sussulti mille-nari che custodisce, dare voce ai nuovi materiali, chetrasfigurano la realtà, è possibile perché in Kapoor l'artedel nostro tempo ha radici antiche.

Nato a Bombay nel 1954, da padre indiano e madreebrea irachena, Kapoor approda a Londra nel '73, dovestudia presso lo Hornsey College of Art, per poi pas-sare, come la maggior parte dei nuovi scultori d'oltre-manica, alla Chelsea School of Art. Già nel '77 i suoilavori suscitavano attenzione perché ponevano l'at-tenzione sul concetto di “assenza” come desiderioinappagato, come unione e divisione tra maschio efemmina, logoramento tra passione e ragione. Un'ope-razione che, per Germano Celant, voleva essere «ildesiderio di Kapoor di arrivare ad un terreno formaleintermedio tra i significati del corpo e la sua assenza,tra la stasi e la potenziale attività».

Quando nel '79 rientrò in India, Kapoor scoprì la for-za del pigmento rosso e zafferano, che lì si vendevain grande quantità a scopo rituale e cosmetico. Fucome immergersi nelle proprie origini, l'avvio del suolavoro con le polveri colorate, con le quali cominciò aricoprire le sue forme, modellate in gesso e in stucco.L'uso del pigmento vivo conferiva alle forme un valoresimbolico “induista”: «Il fatto che gli oggetti siano fattidi polvere, rende impossibile toccarli – scrive lo stes-so Kapoor – Il fatto di non poter toccare significa desi-derare e non avere... ci si potrebbe spostare dal desi-derio sessuale alla passione religiosa».

Kapoor spesso realizza oggetti (ce ne sono alla mo-stra in marmo e in vetroresina), in forme semplici, pre-linguistiche, ancora non nominate. Sculture che sem-brano voler concentrare quanto più spazio è possibileal loro interno, come se la forma fosse una qualità in-teriore delle cose, irraggiungibile e intangibile. Lo scul-tore fa sì che possa trasparire, crea un varco versociò che non si dà né si può cogliere. In una intervistaKapoor sostiene che «lo spazio contenuto in un og-getto deve essere più grande dell'oggetto che lo con-tiene». La sua scultura, quindi, s'immerge lentamentenel vuoto, anzi è come se scolpisse il vuoto. Oggettimuti e inespressivi chiamano lo sguardo all'interno, inun dentro “più grande”, verso una potenza imprigio-nata.

Per Cicelyn «.. se lo spazio mostrasse d'un colpo,tutt'intero, il vuoto che lo abita, il suo essere presenzadell'assenza, l'incanto svanirebbe con l'illusione del-l'arte».

Quasi una ricerca e una riproduzione del microco-

smo fatto da sub-particelle atomiche immerse nello spazio orbitale: un vuo-to-forma primitivo abitato dall'energia.

I lavori di Kapoor, o meglio le forme visibili dell'oggetto, talvolta semplici efamiliari, altre volte ambigui e traboccanti verso l'interno o l'esterno, defor-

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ARTE MOSTRE

mati e deformanti sono quasi sempre seducenti e sensuali. Mantengono unsegreto, alludono a qualcosa di irraggiungibile e attraente, cercano in unacoinvolgente solitudine un'essenza, uno spazio determinato dal tempo.

***

La mostra al Museo Archeologico su Anish Kapoor si inserisce negli Anna-

li delle Arti della Regione Campania un contenitore attivo,diffuso nello spazio e nel tempo che indaga la comunicazio-ne in tutti i linguaggi (pittura, scultura, installazione, perfor-mance, fotografia, musica, teatro, cinema, video, pubblicità),Per il curatore, Achille Bonito Oliva, «il tema dell'incertezzacaratterizza il nostro tempo storico, segnato da guerre e ter-rorismo, sperequazioni tra nord e sud, caduta dei valori fortied avanzamento di una tecnica che arriva a manipolare an-che le fonti della vita biologica. L'arte, in tutti i suoi linguaggi,registra il trend e risponde all'incertezza con un doppio com-portamento creativo: l'affermazione dell'identità contro l'omo-logazione e la proposta di modelli critici della realtà urbana esuburbana che circonda il nostro presente. Anish Kapoor (ar-tista anglo-indiano), con i suoi lavori sembra volerci suggeri-re una possibile soluzione. L'incertezza occidentale (che pog-gia su una cultura logocentrica) può trovare una compensa-zione in quell’atteggiamento orientale che valorizza l'attimopresente come estetica di un congelamento seduttivo, un pre-sente migliore attraente e abbagliante».

*** Kapoor è impegnato, inoltre, nella progettazione di una sta-zione della metropolitana che collegherà la Circumflegrea daSoccavo alla Cumana e viale Kennedy. La stazione è quella

di Monte S. Angelo. «Di solito si pensa a ripro-durre sotto terra l'esterno, portando giù palazzidi vetro - ha spiegato l'artista -. Io invece ritengoche nella città del Vesuvio il sottosuolo vada trat-tato come tale. Non si tratta di fare abbellimenti.L'idea è che l'opera d'arte sia il viaggio verso ilsottosuolo». Il tunnel di uscita avrà due boccheuna nel campus universitario e l'altra nel rioneTraiano. Assecondando questa idea, l'opera in-gegneristica si articolerà in un'unica discesa perscale mobili e fisse e impianti per portatori dihandicap.

Ad accogliere l'artista, in visita allo scavo, ilpresidente Antonio Bassolino che ha annuncia-to la realizzazione di una mostra permanente,fino alla realizzazione dell'opera, con i progettidi Kapoor per la stazione.

Carmine Negro

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Ischia - Castello d'Aragona

ECHI DELLA MOSTRA DEDICATA A DOMENICO PURIFICATO *

LA POETICA

DEL TEMPO SOSPESO **

di Gilberto Madioni

Domenico Purificato, un maestroche ha caratterizzato l'arte contem-poranea italiana in alcuni anni chehanno preceduto e nei quaranta chehanno seguito la seconda guerramondiale e che oggi, agli inizi delXXI secolo, dopo la sua scompar-sa, continua ad essere tra i massi-mi esponenti dell'arte italiana,esempio a cui guardano molti arti-sti che operano nel variegato mon-do dell'arte.

Il discorso su Purificato cominciain un tempo che sembra remoto, inun momento in cui il «mito» dellaromanità, sollecitato dalla retoricadei costruttori di illusioni imperiali,assumeva in pittura, ma anche nel-le arti, preoccupanti immagini e di-mensioni. La pittura romana, perdirlo con le parole di Giuseppe Mar-chiori «aveva esaurito con Scipio-ne e Mafai le ispirazioni barocche el'intimismo compiaciuto sensuale,dando un esempio raro di libertà edi indipendenza morale». Il fenome-no Scipione apparteneva ad un cer-chio ristretto di intellettuali: la Romabarocca del pittore marchigiano erasenza archi di trionfo, di un colorecolor tramonto ancora sanguigna etrasteverina. E Mafai confondeva ilsacro e il profano nelle nature mor-te sontuose, cercando poi nelle De-molizioni il raffinato antidoto pittori-co alle affollate figurazioni neoclas-

* La mostra si è svolta nei mesidi giugno e luglio 2003 alCastello d'Aragona di Ischia neilocali del Carcere Borbonico, acura di Italarte (che ha pubbli-cato anche il catalogo), del-l'Unione Italiana per il Collezio-nismo d'Arte, del CentroInternazionale Antinoo perl'Arte.** Dal Catalogo della Mostra

siche di grandi affreschi celebrativi.In questo clima Corrado Cagli, af-facciatosi nel panorama artisticoromano, creava una situazione nuo-va nell'ambiente della Roma capi-tolina. I giovani più indipendenti fu-rono sensibili all'appello di Cagliapparso nel suo scritto del 1933,Muri da pittori, per un'arte più attua-le, da opporre all'intimismo della«scuola romana».

E come Corrado Cagli aveva tro-vato quale principale amico ed in-terlocutore il poeta Alfonso Gatto (ilmaestro non ebbe mai simpatia peri critici d'arte), il giovane DomenicoPurificato deve ad un letterato qua-le era Libero De Libero, suo concit-tadino (entrambi erano nati a Fondiin Ciociaria), un interessamento eduna attenzione nei suoi confronti edin quello che era il contenuto dellasua pittura.

De Libero, che aveva nel 1933 ap-pena scritto L'elegia a Fondi, era ildirettore artistico della galleria d'ar-te La Cometa, luogo e fucina discambi intellettuali, dove aveva avu-to inizio negli anni '30 la Scuola ro-mana, iniziata da Scipione e Mafai,e dove si incontreranno artisti comeCagli, Pirandello, Tamburi, Guttuso,Afro, Mirko, Capogrossi ecc. Ed allaCometa, grazie a De Libero, debut-tò in pittura, attraverso una perso-nale, l'allora diciottenne DomenicoPurificato, che aveva lasciato Fon-di per dare inizio nella capitale aglistudi universitari. Per cui Purifica-to, nato da famiglia di agricoltori, inquella terra di Ciociaria semplice evicina alla natura, ricca di immaginicaratterizzate da cavalli al pascolonella pianura Pontina, di contadinifiltrati da una cultura tipicamente ita-lica, dalle donne con i volti «bacia-ti» dai raggi di luna, dalle lunghe di-stese pianeggianti, che si spinge-vano verso le spiagge aride e altempo stesso ricche di cespugli me-diterranei, contrastanti contro stri-sce di azzurro fatte di cielo e di

mare, giunge a Roma con un mododi vedere le cose molto vicino a ciòche lo stesso De Libero scrivevanelle sue Elegie a Fondi.

Le vigne pontine, testimoni diestati assolate, percorse da corsid'acqua, dove attraverso gli anni sierano specchiate generazioni dipassanti, attraverso melograni earanceti, dove il sole amico rendefertile la pianura per l'arancio e l'ar-gentato olivo, e dove la mattina èfacile ascoltare il canto dell'usigno-lo, erano anche le immagini poeti-che di De Libero che rispecchianoin pratica quel mondo semplice enaturale in cui era cresciuto purePurificato. Ed è così che il maestrodi Fondi entra in contatto con laRoma intellettuale, con una mostrapersonale a La Cometa. Ha appe-na ventuno anni e si trova a contat-to con dei «mostri sacri» dell'artecontemporanea, bene accolto dal-lo stesso Cagli e guardato con sim-patia dallo stesso Mafai.

È così che parte l'avventura in artedel giovane Purificato, che entreràin seguito a far parte a pieno titolodella Scuola romana, assumendotuttavia idee proprie lontane dai«rossi bagliori» che caratterizzeran-no i dipinti di Scipione e Mafai, malontano pure dagli «intrecci» intel-lettuali ed avanguardistici di Caglie Mirko, dentro di sé quel suo mon-do semplice fatto di colloqui fra isuoi cani ed i suoi amici che intrec-ciavano idee e racconti di vita pre-sente e vissuta nei portici dellecase, oppure accanto agli antichireperti delle vie consolari che por-tavano a Roma, scegliendo un cam-mino semplice fatto di attese e di«tempi sospesi».

Ed è la stessa pittura di Purificatoad indicare «dove» è la condizionecomune a tutti coloro che all'effime-ro dell'esistenza oppongono la vitanei suoi significati più profondi, cosìda poter veramente dire a conclu-sione: «confermo che ho vissuto».

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ARTE MOSTRE

Ed è proprio il contenuto del suo messaggio pittoricoad indicare «dove» tale consapevolezza di vita siapossibile ovvero proprio in quel «tempo sospeso» odi attesa, in cui i contrari della vita abitano speculari:la serenità e il tormento, la pena e la gioia, l'amore ela solitudine, il dono e l'egoismo, la fedeltà e il tradi-mento, l'incanto e l'abbandono, la separazione e ilcongiungimento, la presenza e l'assenza, la conqui-sta e la perdita, il detto e il non detto, la parola e ilsilenzio, il vuoto e la pienezza, il fine e l'infinito, ilprecario e l'eterno. Eppure tutta la pittura di Purifica-to ha inventariato gran parte di questi contrari.

Alla Cometa si respira aria di letteratura ed il giova-ne Purificato, pur bene accolto, viene guardato conun certo sospetto. Ha idee chiare, non viziate da untipo di cultura fatta di formule, estetismi, che rischia-no di inficiare la purezza, limpidezza ed essenzialità,che la natura della sua Fondi gli ha propinato congenerosità. In lui è rimasta la capacità di filtrare gliantichi mosaici romani, attraverso le esperienze de-gli antichi maestri quali Paolo Uccello, Giotto e Cara-vaggio, dai quali apprende la lezione per la perfettacostruzione dei suoi dipinti, attento ai piani ed all'im-palcatura delle immagini, sempre ispirate ad un na-turalismo semplice ed elegiaco.

Sembra quasi che l'amico De Libero sia ispirato peri suoi versi poetici dal mondo pittorico di Purificato e

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Foto - D. Purificato: Famiglia contadina (1981),olio su tavola, cm 70x50

viceversa. Versi che trovano eco in molti dipinti delgiovane Purificato. Un mondo originale il suo, fatto diracconti attinti dalla sua terra di origine dove il tem-po, la storia, sembravano quasi essersi fermate inattesa di eventi che verranno e dei quali non si cono-sce il futuro, ma attesi senza forzarne l'evoluzionelegata al tempo.

Passato e presente «ancorano» i sentimenti di Do-menico Purificato, in una visione «reale» delle coseche lo circondano. Così gli anni della guerra e quelliseguenti, l'adesione al movimento «neorealista» checaratterizzerà cinema, letteratura pittura e scultura,trovano Purificato già al centro del movimento, sen-za dover ricorrere alla partecipazione ed alla firma diquesto nuovo documento. Domenico Purificato, la suapittura, erano già «realisti», come realista era la par-tecipazione alle lotte contadine, fatte di fatica e su-dore che da sempre egli aveva fissato con la graficae i colori sin dalla prima giovinezza artistica.

Su questo tema l'artista è molto vicino a Carlo Levi,che aveva costruito il suo mondo accanto ai contadi-ni ed alle donne, nei luoghi dove aveva trascorso gior-ni di esilio coatto nell'arida e aspra Lucania in quel diEboli, dove il «tempo sospeso» era stato demandatometaforicamente dal pittore scrittore a Cristo.

Per cui la partecipazione alle battaglie sociali, ini-ziate e volute da Guttuso e dagli altri pittori del neo-realismo, che assumeranno un tipico aspetto politi-cizzato, non saranno seguite da Domenico Purifica-to, che continuerà a mantenere una sua linea perso-nale. La sua Pittura continuerà ad essere filtrata at-traverso immagini agresti, dove egli racconta il mon-do semplice contadino, i volti dei suoi cari, le sempli-ci nature morte dei suoi luoghi nativi, le sue donnedai volti «sbiaccati», quasi baciati da raggi di luna, ivisi dei pastori, le ragazze con i galli che contrastanocontro l'azzurro del suo mare: sarà e continuerà adessere, il maestro ormai divenuto romano, il cantoredella sua gente, nei ricordi di una infanzia vissuta etenuta in vita proprio in quel «tempo sospeso» e di«attesa». Ed è in questa visione che i suoi dipinti sa-ranno ricchi di silenzi profondi, senza esplosioni do-vute al colore, che anzi calerà nelle tele sempre piùleggero, assumendo quella essenzialità fatta di tonitenui e di attimi alternati a «biacche» leggere e ba-gliori improvvisi di viola e di rossi, che caratterizze-ranno la sua pittura semplice ed elegante al tempostesso. Fra il suo mondo pittorico e lo spettatore, l'im-patto e la comunicazione saranno immediati. Ed an-che negli anni in cui il Neorealismo si afferma attra-verso il ciclo dell'occupazione delle terre, ispirato dallaGuernica di Picasso, che vedrà in prima linea Guttu-so con le immagini di Vucceria e delle terre di Sicilia,lo stesso Cagli con gli episodi di «Portella della Gine-stra» e Bergonzoni con «La battaglia delle mondine»e con dipinti di accesi estetismi politici (a cui parteci-

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D. Purificato: Pulcinella e Colombina,tecnica mista su carta, cm 50x35

pa pure il giovane Calabria) Purifi-cato partecipa ai grandi drammisociali in maniera contenuta e conuna giusta tensione e misura, pro-pria della sua originale natura con-tadina.

La tragedia e la drammatizzazio-ne di quei momenti, che sconvol-sero l'Italia del dopoguerra, vengo-no vissuti da Purificato con profon-da sofferenza interiore, e la sua par-tecipazione alle battaglie civili e so-ciali assumerà un aspetto ricco diprofondo lirismo, che mai approde-rà ad una strumentalizzazione poli-tica. Anche quando scoppierà lapolemica fra figurativo ed astrattoin omaggio alle nuove sperimenta-zioni in pittura e scultura, Purificatosemplificherà il suo schema com-positivo, senza mai ricorrere allestranezze che avevano spinto mol-ti nostri artisti su vie stravaganti im-poste anche dal genio picassiano.Molti degli artisti che erano uscitidalla «Scuola romana» rinnegaro-no i loro paesaggi, di sapore mafa-iano, abbandonandosi a dare vita adipinti dove prendevano sempre piùcorpo assurde geometrie e dovepure la figura umana veniva scom-posta in ogni sua parte all'insegnadi un modernismo assurdo, che faràannunciare ad Argan l'altrettantoassurda sentenza della «morte del-l'arte». Purificato invece continue-rà a dipingere i suoi contadini, le suedonne, i suoi paesaggi misurando-si con il presente.

Sarà allora che, chiamato alla di-rezione dell'Accademia di Brera aMilano, il maestro romano tracceràuna via precisa e decisa tesa alladifesa della bella pittura e dell'artevera, ahimé venuta meno, dopo lasua scomparsa, alla guida dell' Ac-cademia milanese.

Fuori dal tempo e dalle nuove ten-denze quindi Purificato? Oppure nelgiusto cammino. Un simile atteggia-mento gli procurerà molte inimicizie,ma sotto di lui Brera e la sua Acca-demia proseguiranno in un tono dimassima serietà. Per questo Purifi-cato rimarrà nella storia dell'arte unisolato, fuori da quei gruppi cheavranno però la vita di «piccole pri-mavere», con il tempo di apparire e

morire. Sarà di questo periodo purela pittura del suo Palio per Siena,dipinto nel quale i suoi incompara-bili cavalli bianchi faranno da dolcecontrasto con la bianca cattedralesenese e dove pure le bandiere del-le contrade assumeranno volteggiricchi di poesia sotto gli sguardi pro-tettivi di una Madonna Assunta conbambino, dal volto leggero e lunarecome quello delle tante ragazze del-la sua Fondi. Rimarrà il suo, fra ipiù belli dei drappelloni custoditi neimusei senesi. Neppure in quel di-pinto, Purificato si abbandonerà algioco del capriccio come tanti cele-bri artisti che lo avevano precedutoo seguito nella pittura del Palio diSiena, scomparsi nel ricordo deicontradaioli della città di Duccio, perle assurde soluzioni pittoriche estra-nee alla tradizione paliesca sene-se.

Anche in questa occasione Puri-ficato manterrà quell'equilibrio, quel-la sua metodica e quel suo linguag-gio naturale, senza abbandonarsi,come avevano fatto altri, ad improv-visi bagliori e ad un estro momen-taneo o al gioco del capriccio, ri-schiando di apparire ad alcuni un«provinciale». Piangerà dalla gioiaPurificato, di fronte all'entusiasmoed alle manifestazioni genuine deicontradaioli vittoriosi, che lo porte-

ranno in trionfo assieme al suo Pa-lio al termine della «kermesse» nel-la pista del tufo giallo di Siena.

In questo ed in altre situazioni, ilmaestro non si farà mai forzare lamano in nome di un falso moderni-smo, né da critici, né da mercanti.Eppure lavorerà anche per sceno-grafie di film e pure per spettacolitelevisivi, senza mai eccedere instranezze, palesando sempre pro-fonda maturità artistica ed estetica.Purificato abbracciò, è vero, il Neo-realismo ma fu per lui una cosa na-turale, e quando molti pittori neore-alisti abbandonarono questa stradaverso mode assurde e avventuro-se, il maestro romano continuò ilsuo viaggio solitario divenuto quasiun inno di fedeltà verso la buonapittura, durante tutta la vita, checercò di trasmettere pure ai suoiallievi dell'Accademia milanese.

Il Ritratto della madre, La ragaz-za fra i fiori del '59 e La ragazza conmazzetto di fiori del '68, tanto percitare alcuni suoi dipinti, rappresen-teranno una pietra miliare della buo-na pittura come del resto La mortedi Pulcinella all'assedio di Gaeta del'75 che resterà una delle opere piùsuggestive e conclusive del mae-stro ciociaro.

A noi che lo abbiamo conosciutoe frequentato, come pure CarloLevi, da giovani critici d'arte, in quel-la Roma ricca di bagliori e movimen-ti artistici, è sempre apparso social-mente partecipe, ma con un perso-nale approccio critico anche quan-do ebbe ad affrontare l'orrore e lamiseria, contro cui protestavano an-che gli artisti, attraverso tinte crudee tratti signici, violenti, e maschere«cariche d'ira». La sua fu quasi unacontemplazione mistica, quasi unapreghiera espressa attraverso unapittura calma e dolce che caratte-rizzò anche le sue figure, dando loroun'area di sapore pastorale. Per cuiriteniamo, come lo ritennero moltialtri critici, la sua pittura concepitain una dimensione di «tempo sospe-so» e di «attesa» in un confrontocon il trascorrere degli anni, legatialla sua vita terrena.

Gilberto Madioni

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ARTE MOSTRE

A Edimburgo sino al 29 febbraio 2004, dopo Ferrara (Palazzo dei Diamanti - novembre 2003)

Degas e «gli italiani a Parigi»

Boldini - La cantante mondana, 1884

Monsieur Edgar Hilaire De Gas,autochiamatosi Degas e così a tuttinoto, in mostra con i colleghi italianinel sodalizio più largo e più lungo ditutti i tempi: Boldini, De Nittis, Ros-so, Zandomeneghi.

Finalmente conosciamo Degasnon più unicamente pittore di balle-rine, cavalli e cavalieri. Lo possia-mo ammirare o non ammirare qualepittore figurativo, ritrattista di uominie donne, giovani e vecchi, ripresi neimomenti più comuni della loro esi-stenza e, come oggi è solito dirsi,della quotidianità.

Sono opere molto dignitose e so-prattutto vive, incisive e, se ritratti,lievemente cattivanti chi le osservi,lasciandosi condurre liberamente neisalotti, nel foyer di danza dell'Operaoppure nei laboratori delle stiratricio nei locali delle lavandaie, ovunquevi siano persone al lavoro e preferi-bilmente in movimento.

Non c'è che dire sullo spirito im-pressionista di Degas, nato e cre-sciuto nell'ambiente che con quellainarrestabile corrente gli ha dato l'ori-gine e lo sviluppo più significativo:con la sua forza espressiva, viva etrasparente egli non si lasciò trasci-nare dalle nuove esperienze e perl'intera vita nutrì piena preferenzaper gli artisti italiani: essi, anche sein modi diversi, navigavano con cri-teri sobri e realistici, ispirandosi allavita quotidiana di tutti.

In mostra ne troviamo i più facil-mente identificabili, come il ferrare-se Boldini, De Nittis, Rosso e Zan-domeneghi, chiaramente affascina-ti dallo spirito innovativo del collegafrancese, il quale era ormai immer-so nello studio della figura, preferi-bilmente femminile, in spiccato mo-vimento.

Nato nel 1834 a Parigi da ricchibanchieri (i De Gas, esuli in Italia, aNapoli, durante la Rivoluzione fran-cese e successivamente ivi stabilit-sii per sempre, continuando la pro-

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fessione con la fondazione dellaBanca De Gas), il giovane Edgar ri-mase nella capitale francese con il

cognome meno rilevante di Degase con questo si presentò a tutte legrandi esposizioni parigine degliImpressionisti. E così, tra l'amiciziaed il sodalizio artistico con gli italianiGiuseppe De Nittis (1846-1884),Federico Zandomeneghi (1841-1917), Medardo Rosso scultore(1858-1928) ed il più noto e brillan-te ferrarese Giovanni Boldini (1842-1931), e la seconda casa della pro-pria famiglia De Gas in Napoli, Ed-gar finì facilmente per dividersi traParigi e Napoli, tra Francia e Italia,prediligendo quest'ultima anche perla ricchezza degli insegnamenti chein ogni contrada, grande o piccolache fosse, gli potevano offrire gli ar-tefici dell'arte dei secoli precedenti.

Alla sua seconda più cara città, ov-viamente Napoli, e al singolare mon-te con il pennacchio, il celebre Ve-suvio, Degas dedicò quasi tutti i suoipaesaggi, per i quali usò, verosimil-mente anche per ragioni di evidentecomodità, il pastello.

Per la cronaca ricordiamo cheDegas, o più giustamente De Gas,aveva studiato girusprudenza, sen-za peraltro dedicarvisi interamente,perché frequentava contemporane-amente l'Ecole des Beaux Arts. Adiciotto anni poté organizzare il suoprimo atelier nell'appartamento delpadre in centro a Parigi.

Nella esposizione Degas è pre-sente con 54 opere, di cui 5 scultu-re, compreso il suo esemplare Ca-vallo che si impenna, foggiato sucera, come ogni altra sua scultura,successivamente gettata in bronzodopo la sua morte (1917).

I colleghi italiani sono presenti con47 opere complessivamente, distri-buite a seconda della sezione dicompetenza. Tra loro si distingue,giusta la passione del mondo fem-minile più elegante, il Boldini, il qua-le offre certamente il segno magi-strale per un ulteriore passo moder-nista con la sua “Cantante monda-na” del 1884. Dove è facile scoprirequanto possa mancare agli altri del-l'esemplare cenacolo per un passopiù deciso alle soluzioni più ardite: ilcolore maggiormente caldo per ab-bracciare il vibrante impeto di coleiche offre il suo canto al pianista chel'accompagna ed anche a se stes-sa, palesemente compiaciuta

Ferruccio Ferrucci

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RASSEGNA LIBRI

Momenti / interventi di varia letteraturadi Enrico Monti

Prospettiva editrice, 2003. In copertina: Millennium di M. L. Moll

La coerenza e il suo contrario nel contesto umano e storicodi Enrico Monti

Prospettiva editrice, 2003. In copertina riproduzione di un quadro di AlfredSisley

In questo testo Enrico Monti si dà carico della disamina, per molti versi,nei tempi attuali, scomoda e sferzante, del valore e dell’attualità di quelparticolare status dell’individuo che dà corpo, nel suo esternarsi, alla conti-

nuità logica e comportamentale cheva sotto il nome di coerenza. Avva-lendosi di una indagine che spingein profondità e che ne evidenzia i variaspetti, in maniera quasi esaustiva,egli pone in risalto l’importanza e lanotevole incidenza della tematica nelprocedere dell’uomo sull’irto cammi-no della storia e nel sofferto accu-mularsi delle sue esperienze, a sal-vaguardia delle istanze di civiltà e diprogresso. L’averla trattata, nei buitempi che tutti viviamo, in preda, piùo meno accentuata, a forme di sfi-ducia o disarmo morale, rappresen-ta per l’autore, una aperta e convin-ta sfida agli atteggiamenti stereoti-pati o di convenienza che, a suo giu-dizio, privano l’uomo della sua con-genita capacità di sceverare il benedal male, attanagliandolo ed isolan-dolo nella forsennata ricerca del solo

Questo libro di Enrico Monti si ar-ticola, come si evidenzia nello stes-so titolo, in «momenti», da cui sca-turiscono interventi, cioè osservazio-ni e riflessioni, che concernonoaspetti storici, politici, sociali, lette-rari e filosofici di una realtà a noi orapiù vicina, ora più remota: l’una e l’al-tra, comunque, sempre materia su-scettibile di analisi, di discussione edibattito. Nulla è, infatti, - precisal’autore - in senso storico definitiva-mente statico o esente da ripensa-menti e verifiche. Anzi, proprio e sol-tanto così «sulle orme stratificate delpassato, segnate da forti contraddi-zioni, sui segni mutevoli ed incerti delpresente, potremo costruire, coglien-do “l’in sé” delle cose, per effetto diun più profondo respiro culturale, unnostro ma “comune” futuro. La con-sapevole partecipazione ai travaglie alle diverse e nuove attese di unapiù vasta aggregazione di popolivarrà ad agevolarci il compito in talsenso e finiremo così per tradurre,in ansia rinnovatrice, nella realtà chemuta, la fondata speranza di conser-vare ancora, riveduti e corretti, i se-gni della nostra “identità” a tutti i li-velli, magari rimeditandoli e rielabo-randoli, ma in un diverso contesto:più vasto, più intenso, più proficuo,in ultima analisi, di più ampia libertàe civiltà. Ed artefice insostituibile nelsenso umano e storico sarà semprelui: l’uomo e la sua azione, i suoisentimenti». Il Monti non è qui per la prima vol-ta impegnato a vedere nell’uomo ilgrande protagonista della storia, inquanto sempre nelle sue opere harivolto l’attenzione su questo tema,sia quando ha tracciato o quasi rac-contato, sì da rendere piacevole lalettura di argomenti a volte non tan-to attraenti, la vita di grandi perso-naggi o le espressioni più significa-tive dei popoli, sia quando è passa-

to al ritmo poetico per esprimere ecaratterizzare “momenti” della nostravita quotidiana, dei nostri sentimen-ti, dei nostri comportamenti.

Leggendo l’indice balzano subitoin primo piano argomenti storici,come quelli concernenti Goethe trai quartieri e la gente di Napoli, il car-dinale Alberoni, il Castello aragone-se, Cola di Rienzo, Francesco Pe-trarca; in campo letterario sono ri-cordati i «sussurri» napoletani di Sta-nislao Vincenz, San Gallen e la suabiblioteca, Massimo Gorkij, il mito ela storia di Don Giovanni.

Raffaele Castagna

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utile materiale, del “particulare” insomma di guicciar-diana memoria. Il tutto in danno della suprema esi-genza, claris verbis sottolineata, dell’armonia dell’es-sere, quale indeclinabile premessa delle istanze di ci-

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viltà e progresso nei rapporti etici, economici, politici esociali, che danno senso e colore alle varie tematichedell`honeste vivere.

*

Il valore di una parola

Le modifiche intervenute nella vita deisingoli e delle società, soprattutto dopole atroci esperienze della seconda guer-ra mondiale, hanno investito i modellidi vita e di espressione di molti popoliche, dall’oggi al domani, sono stati por-tati a contatto con nuovi modelli e codi-ci culturali ed anche ovviamente connuovi vocaboli e verbi, che dormivanoprima il loro beato sonno nelle pagine,più o meno ingiallite, di vecchie o nuo-ve grammatiche. Si pensi a mo’ di esem-pio alle parole trekking, zapping, okay,welfare, pettning, ed ora anche glasnost,perestroika, marketing e via di seguito,che sono entrate nel linguaggio corren-te, arricchendolo e nel contempo impo-verendolo rispetto all’originaria struttu-ra di ogni singola lingua. L’intrusionelinguistica è non solo opera di allarga-mento dei confini culturali, favorito dalcontatto con etnie o popoli diversi, an-che in conseguenza della rapidità deimezzi di comunicazione e l’interventoa tutto campo dei mass media, ma an-che del fatto che il popolo, che in un con-fronto o in un conflitto armato risulti vin-citore, impone la sua cultura e le sue leg-gi al popolo o ai popoli vinti, i quali visi adeguano e le fanno proprie, perché il«corso delle cose» non consentirebbe ilcontrario. Questo non è un fenomenonuovo. È stato sempre così dalla nottedei tempi, dal prevalere nei secoli di di-verse civiltà, da quella cinese a quellaegiziana, a quella indiana, fino, per epo-che più vicine a noi, al diffondersi permolti secoli della civiltà greca e di quel-la romana che condizionò in Europa, inAfrica, nel Medio Oriente, lo sviluppoe la vita dei popoli. Da questo punto divista, nihil sub sole novi, è stato così esarà sempre così. Deporre le armi com-porta non solo un disarmo psicologico,ma anche culturale ed affettivo, volto al-l’estraniarsi silente e progressivo alleproprie tradizioni, alla propria lingua, aipropri modelli di vita, che nell’impattocon la nuova, importata o imposta, real-tà, non ha più l’originaria tenuta. Nuovimodelli espressivi, per stare all’evolu-

zione della lingua, vengono accolti, altrimodificati, altri ancora abbandonati. El’individuo, e la società, scivola così, quasiinavvertitamente sul piano inclinato dimodelli espressivi diversi, che non fannoparte dell’originario patrimonio della pro-pria lingua, ma che «si insinuano» nell’an-tico tessuto lessicale, grammaticale e sin-tattico, come autentici paguri bernardi nelseno della madre lingua. Di modo che lastoria delle parole, o delle espressioni ingenere, è anche essa storia umana e vale aqualificare epoche, evoluzioni, modi diessere dell’individuo e della società cheabbiano a svilupparsi al passo coi tempi.

In questo quadro credo che possa collo-carsi, pur nel mutare delle situazioni poli-tiche, sociali ed individuali, l’esigenza dimantenere nei rapporti di qualsivoglia tipo,di fronte a fenomeni che recano la stessaimpronta storica, una costante linea di con-dotta che vale ad informare di sé il termi-ne noto nella nostra lingua come coeren-za. Vocabolo o sostantivo che in tempiormai lontani e soprattutto nelle civiltàcontadine valeva a qualificare uomini e so-cietà, benché meno evolute di quelle at-tuali. Nella coerenza si rispecchiava la per-sonalità morale di una persona, o diun’epoca, quando i rapporti umani eranoancorati saldamente all’esigenza dell’af-fidabilità delle parole e dei comportamenti,che intervenivano in positivo a regolarele relazioni personali ed anche sociali.Poiché «credere» nelle parole e nei com-portamenti induceva senso di sicurezza edi equilibrio in una società sensibile al-l’influenza ed ai presupposti dei valori eti-ci. La poca coerenza induceva, per con-verso, dubbi e sospetti che ponevano chila praticava fuori dal contesto sociale. Erasoggetto non solo poco affidabile, ma an-che inquinante in negativo e come tale da«escludere» o in silenzio da combattere.

Nei tempi attuali, in una società in rapi-do e talvolta disordinato sviluppo, dovele urgenze della vita rispetto ai modellidominanti, largamente accettati, vuoi permancanza o debolezza di senso critico,vuoi per comodità e deplorevole confor-mismo, vuoi ancora per l’intento di nonporsi contro o fuori del «filone» socialedominante, la coerenza è divenuta merce

di raro scambio perché di difficile ac-quisizione. A meno che la robustezza in-teriore del soggetto che la pratica, sia peracquisizione culturale, sia per precisenote caratteriali, sia per un certo conge-nito rispetto di sé e limpido atteggiamen-to verso gli altri, non accetti anche ilpericolo di porsi al di fuori della massao addirittura contro la massa, come per-sona quindi radicalmente diversa, pos-sibilmente da evitare nei contatti uma-ni. Ne consegue in siffatti casi un giudi-zio di disvalore da parte dei propri simi-li che, posti in condizione di confron-tarsi con una «realtà» diversa, la rifiuta-no perché scomoda ed idonea a metterein discussione i falsi e formali modellidi ingannevoli acquiescenze. In sostan-za è meglio far finta di ignorare certi va-lori che qualificano l’essere, conferen-dogli una precisa identità, anziché rinun-ziare ai piccoli e miserevoli particularidi guicciardiniana memoria posti a fon-damento della vita di ogni giorno. Tace-re è molto più comodo che esprimersi,anche se il silenzio di per sé è un mododi esternarsi in qualsiasi campo degliumani contatti.

Jean Guitton, discepolo di Henri Ber-gson, premio Nobel, professore di sto-ria e filosofia alla Sorbona di Parigi, egrande amico del papa Paolo VI, pone-va nella saggezza e nella pratica dell’eti-ca il fondamento dell’umana esistenza.E così riaffermava l’esigenza di darespazio (meglio diremmo ridare spazio)a valori come la castità, il coraggio, lasperanza, la fedeltà, la perseveranza, lamodestia, l’umiltà, e tutti quei compor-tamenti che volta a volta ne restavanoqualificati ed ispirati ad una concezionepiù alta della vita, a lungo messi da par-te, comportamenti che nell’attuale scol-lo e rilassamento sociale finiscono peressere, se osservati, un autentico dram-matico confronto, di grande tenuta mo-rale.

Enrico Monti

(da La coerenza e il suo contra-rio nel contesto umano e stori-co, di Enrico Monti - Prospetti-va editrice, 2003)

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Ischia, Procida, Capri e il Golfo di NapoliVisioni dal Romanticismo all'Idealismodi Giorgio Balestriere

Imagaenaria Edizioni Ischia, novembre 2003.Illustrazioni a colori e in bianco e nero - in co-pertina (I) Pescatori nel Golfo di Napoli, 1829.

di Nicola Luongo

Il pittore simbolista Arnold Böcklin,considerato alla fine dell'800 il mag-gior artista tedesco, alle cui opere siaccostò anche Giorgio De Chiricodurante il suo soggiorno a Monaco,traendone motivi di feconda ispira-zione, asseriva che un dipinto devesoprattutto perseguire lo scopo diappagare il senso estetico innatonelle persone spiritualmente evolu-te e sensibili, proprio come riescealla vera poesia, cogliendo quindiquell'intima affinità tra pittura e poe-sia già condensata nella nota affer-mazione di Orazio “Ut pictura poe-sis” della sua Arte Poetica.

Le opere prescelte dall'antiquariocosmopolita e cultore d'arte GiorgioBalestriere, già consulente di impor-tanti case d'arte europee, tra cui laChristie's di Milano, e raccolte nelvolume Ischia, Procida, Capri e ilGolfo di Napoli - Visioni dal Roman-ticismo all'Idealismo, con le sue 108illustrazioni, di cui molte inedite inItalia, in una preziosa veste tipogra-fica, pubblicato dalla Casa EditriceImagaenaria nella consueta otticadelle sue meritevoli iniziative, sod-disfano pienamente, per il loro po-tere di attrazione e di suggestioneche esercitano sul lettore-osserva-tore, quel senso estetico e quellacuriosità per l'arte, prerogative dellepersone raffinate, e incuriosisconoanche i fruitori meno esigenti chepossono ammirare quelle testimo-nianze del paesaggio di Ischia e delGolfo di Napoli di straordinaria bel-lezza, ormai in gran parte irrimedia-bilmente scomparse, corrotte dalcosiddetto progresso e dal consumi-smo dilagante e lusinghevole.

I paesaggi e le figure umane tra-

sfigurati dal genio creativo degli ar-tisti sono presenti nei musei e nellecollezioni private di tutta l'Europa equindi la loro pubblicazione è costa-ta anni di ricerche meticolose e te-naci da parte dell'autore che ha com-mentato le illustrazioni con perizia enotevole competenza estetica.

I dipinti riportati furono composti daalcuni di quegli artisti più rappresen-tativi dell'800 che ritenevano indi-spensabile alla loro educazione ecultura la conoscenza del Golfo diNapoli, considerato quasi una terrapromessa, dalle incomparabili bel-lezze e dal fascino misterioso e am-maliante, tanto da suscitare un irre-sistibile desiderio di conoscerlo emagari di decantarlo nelle forme ar-tistiche più varie e composite, aneli-to divenuto più impellente in seguitoalle pubblicazioni archeologiche suPompei, Ercolano e Stabia, di J.Winckelmann, di A. R. Mengs e dialtri studiosi italiani e stranieri.

Il Golfo di Napoli, quindi, con il suoeccezionale scenario naturale e lavivacità genuina e primigenia deisuoi abitanti, attrasse gli artisti stra-nieri, e non solo, come la luce cre-

puscolare attira le falene. Si rievocadi continuo il mito di una terra idea-le, serena, nel contempo classica epagana, verso la quale si prova unastruggente nostalgia, di cui l'iconapiù rappresentativa è la povera esfortunata fanciulla dall'origine mi-steriosa, Mignon, che continua asussurrare al suo amore: “Kennst dudas Land, wo die Zitronen blühen?”,eternata dal genio creativo di Goe-the, di cui è riportata anche l'operaL'isola di Capri proveniente da Wei-mar, prova ulteriore del suo multifor-me ingegno.

I dipinti appartengono per lo più al-l'ambito romantico, contrapposto aquel neoclassicismo che considera-va l'arte come mezzo di istruzione,di miglioramento e magari di edifi-cazione morale o religiosa, conl'obiettivo di perseguire il bello idea-le condensato in una visione staticaed eterna, raggiunto soltanto daiGreci e da nessun altro popolo nellastoria, secondo la discutibile visio-ne del Winckelmann. Alcune opererimangono oscillanti tra l'ideale ne-oclassico e quello romantico, comeil dipinto di Graziella di Horace Ver-

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J. C. Bonnefond - Maga legge le carte a una giovane dell'isola d'Ischia, 1830 (Musée National du Château, Compiègne)

net del 1850 raffigurante la fanciullacon in mano la lettera che la infor-ma della partenza del suo amato La-martine.

Le vicende biografiche e il proces-so creativo degli artisti ci sono inparte noti grazie anche al libro diPaul Buchner, Ospite a Ischia, pub-blicato nella prestigiosa serie Pithoidella Imagaenaria Edizioni Ischia,come alle opere del pittore e inciso-re tedesco Jakob Philipp Hackert,che influenzò molti paesaggisti, chia-mato a Napoli da re Ferdinando IVdi Borbone, e a quelle di Carl Rott-mann che, su incarico del re Luigi Idi Baviera, dipinse ad affresco ven-totto paesaggi italiani, tra cui quellofamoso riguardante Ischia, conside-rata oasi di pace idilliaca, verso cuigli uomini stanchi e delusi dal turbi-nio della vita sono invitati a dirigersidi corsa. Non mancano dipinti di Ca-mille Corot, l'eterno itinerante precur-sore dell'Impressionismo, e di Leo-pold Robert, di Georg von Dillis e dialtri prestigiosi paesaggisti dell'800.Ma un rilievo particolare è riservatoal pittore svizzero Arnold Böcklin, dicui è analizzato con acume critico lasua opera allegorica e surrealista piùnota, L'isola dei morti, dall'atmosfe-ra visionaria e inquietante, la cuiubicazione, secondo la tesi di PaulBuchner nel testo citato, è da identi-

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ficare col castello d'Ischia, di fronteal quale c'era un cimitero che si iner-picava verso l'alto dalla riva roccio-sa, dove i morti, trasportati sull'ac-qua, venivano deposti e inumati.

Il volume illustra nella sua parte fi-nale sculture in marmo ispirate ai“lazzaroni” partenopei, una vera epropria sfida degli scultori con ope-re di F. J. Duret, A. N. Sopers e J. B.

Ischia attraverso i testi grein originale che in versioneall’Ottocento: questo potresostanzialmente l’obiettivoraccolta con pagine di favodistruzioni e ricostruzioni, a testimonianza di un’isoladi mitici narratori, di poeti, rapporto sempre intenso ccontinuato e continua sinoquesto lavoro non si preseantologia di passi in versi oanche di porre in stretta recontinuità fatti, eventi e fen

Carpeaux che ormai superano ingran parte i concetti estetici dellascuola neoclassica con i suoi cano-ni di bellezza perfetta e armoniosae si avviano a una visione più since-ra e aderente alla realtà della vita ealle passioni degli uomini.

ci e latini (presentati sia italiana) dall’età omericabbe essere considerato di lettura della presentele, di vicende storiche, di

di poetici richiami. Il tutto quale punto di incontrodi storici, di artisti, e di unol mondo culturale, che è ai nostri giorni. Peraltronta come una rigida in prosa, ma cerca

lazione e su una linea diomeni.

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Le agitazioni del cuoredi Giorgio Balestriere

Dopo la fine dell’epopea napoleoni-ca, molti giovani pittori e scultori pre-ferirono ai tradizionali repertori icono-grafici dell’antichità e della mitologiascene di genere desunte dalla vita rea-le. L’interesse per i soggetti popolari edi attualità e la disponibilità a sondaregli stati d’animo corrispondevano allanecessità dell’artista di interpretare larealtà, più che rappresentarla.

Leopold Robert - lo sfortunato e ma-linconico pittore svizzero che si suici-dò nel 1835 a Venezia, forse per unapassione amorosa non corrisposta -divenne celebre grazie alle opere ispi-rate dalle isole del Golfo di Napoli.Agli occhi della generazione dei ro-mantici egli incarnò l’archetipo delmartire dell’amore, stroncato nel mez-zo della sua brillante carriera, e restauna delle figure artistiche più affasci-nanti ed enigmatiche dell’800. [...]

Un’opera sicuramente impegnativaè Donna d’Ischia piange sulle rovinedella sua casa distrutta dal terremoto,uno dei grandi successi del Salon del1831.

Il dipinto ci riporta all’indomani del

L. Robert - Donna d’Ischia piange sullacasa distrutta dal terremoto, 1828-30

disastroso terremoto, che colpì Casa-micciola il 2 febbraio 1828, e raffigu-ra una giovane donna nel tipico costu-me ischitano, mentre piange sconso-lata con accanto un bambino in unacesta. Nonostante il soggetto dramma-tico, Robert se ne fa interprete senzarinunciare alla sua indole poetica esenza scivolare nella cronaca racca-pricciante.

Sebbene questo quadro sia stato giu-dicato da alcuni critici un esempio di

sentimentalismo retorico, tipico dellaproduzione romantica più corriva, tut-tavia l’atteggiamento dell’artista neiconfronti del soggetto è introspettivo enon patetico e l’accusa di voler sfrutta-re l’impatto sconvolgente dell’eventoper ottenere successo appare priva difondamento, soprattutto se si tiene pre-sente che il dipinto fu esposto al Saloncirca tre anni dopo il terremoto.

Un’altra sua opera molto apprezzata,eseguita a Ischia nel 1827, fu L’eremitadel Monte Epomeo riceve la frutta dal-le mani di una ragazza d’Ischia. Il di-pinto ha per soggetto l’Epomeo, tra iluoghi più amati dagli artisti e dai poetiche ebbero l’opportunità di soggiornarea Ischia. Il Monte ha sulla cima, circa800 metri sul livello del mare, un ere-mo antecedente al XV secolo, dedicatoa San Nicola; era consuetudine degliabitanti dell’isola offrire doni ai frati del-l’eremo, dai quali venivano confortatispiritualmente e spesso anche curati.

In quest’opera Robert insegue con pe-rizia un ideale di sentimenti popolari; ipersonaggi, con la loro semplicità - e siè tentati di dire anche con la loro sen-sualità - danno calore e verità all’am-biente. L’artista non si accontenta sem-plicemente d’illustrare situazione e per-sone, ma cerca di penetrarne lo spirito.La fanciulla che offre i doni all’eremitaesprime valori e sentimenti che Robertsembra condividere e che riesce a co-municare mirabilmente. La precisioneambientale – l’Epomeo, il Vesuvio inlontananza, la croce alla sinistra del gio-vane eremita – e la minuziosa descri-zione degli oggetti conferiscono credi-bilità alla scena. [...]

Un’incantevole scena di corteggia-mento tra due giovani è il tema di Ra-gazza d’Ischia all’appuntamento, data-bile tra il 1827 e il 1830. Come ne l’Ere-mita del Monte Epomeo, è attraverso lamirabile chiarezza espressiva che Ro-bert riesce a fondere il suo ideale arti-stico di bellezza con l’aspetto confiden-ziale dei due personaggi.

La volontà di documentare in imma-gini i modi di vivere dei ceti popolariattrasse anche G. Bodinier che, oltre a

dei dipinti dedicati esclusivamente adalcuni aspetti naturali del paesaggio,eseguì diverse scene di genere am-bientate nel Golfo di Napoli.

Di queste sono rilevanti due operedipinte ad Ischia e datate 1830: Con-versazione su un terrazzo di Ischia (sultelaio è iscritto Vue de Ischia près deNaples) e Improvvisando una melodia.Nel primo dipinto tre donne - di cuiuna è raffigurata con un grosso cestodi frutta sulla testa, una è seduta su unmuretto con una giara e l’altra è ap-poggiata ad una colonna - s’intrat-tengono con due frati; poco distantesi scorge una donna su un terrazzocoperto da un rigoglioso pergolato diviti, mentre sulla destra appare unacostruzione sulla quale è addossatauna scala di legno; oltre le case s’in-travedono le pendici del monte Epo-meo. Il quadro, che offre la possibili-tà di apprezzare alcune caratteristichedelle abitazioni di Ischia, così tantoamate da artisti, poeti, musicisti e viag-giatori, ritrae una località dell’isolache è probabilmente identificabile conForio.

Del cenacolo degli artisti romanticifrancesi che vivevano a Roma facevaparte anche il pittore lionese JeanClaude Bonnefond, di cui uno dei di-pinti più famosi è Maga legge le car-te a una giovane dell’isola d’Ischia.L‘opera illustra una scena popolare edal pari di quelle di Robert è percorsada una malinconica vena sentimenta-le: una zingara fa le carte ad una ra-gazza disperata, forse a causa di unadelusione amorosa. Si può immagina-re che il malocchio, che la iettatricesta formulando (un granchio trafittoda un chiodo), sia destinato alla suarivale.

Le donne malefiche sono un temacostante, sfruttato in parecchi dipintiallegorici del secolo XIX: maghe, fat-tucchiere e iettatrici facevano parte in-tegrante dei costumi degli abitanti delgolfo partenopeo. Per contro, Bonne-fond, senza caricare di significati sim-bolici l’immagine, descrive con reali-smo ed immediatezza l’episodio.

(da Giorgio Balestriere - Ischia, Procida,Capri e il Golfo di Napoli, visioni dal Ro-manticismo all’Idealismo - ImagaenariaEdizioni Ischia, novembre 2003).

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Sussurrie gridaTrent’anni di giornalismo nellatrincea della stampa localedi Domenico Di Meglio,fondatore e direttore de Il Golfo,quotidiano di Ischia e Procida

Prefazione di Nino d’Ambra.Edizione fuori comercio

A mezza via

A mezza viatra la superbia dei potentie la nobile alterezza del vagabondos’estende una pianura grigia, senza

[ fine,che ha la durezza della pampae il dolore dei grandi vilipesi.

Traduzione dallo spagnolo diEnzo Bonventre (titolo originale:A Mitad del Camino di ArturoHoracio Ghida, 1907-1986)

Si è svolto il 19 novembre 2003, aRoma presso la sede del CNR ilCongresso del GNGTS (GruppoNazionale di Geofisica della TerraSolida), in cui tra l’altro è stato trat-tato il tema della sismicità: aspettifenomenologici, modellazione edimplicazioni tettoniche.

In merito il prof. Fabio Mastino hapresentato una nota riguardante l’at-tività vulcano-tettonica dell’isolad’Ischia e delle isole Ponziane, chesono caratterizzate dalla presenzadi strutture tettoniche regionali (ap-penniniche, antiappenniniche) e dastrutture locali di origine vulcanicaorientate N-S ed E-O.

Ad Ischia, inoltre, queste strutturedelimitano una caldera vulcanica ri-sorgente (blocco del Monte Epo-meo) costituita dalla parte centraledell’isola. È stata condotta una ricer-ca storica con la quale è stato rac-colto del materiale inedito che hapermesso di migliorare le conoscen-ze dell’attività sismica dell’area.Sono stati studiati gli effetti sull’am-biente che i terremoti hanno dato(variazioni chimico-fisiche in fuma-role, pozzi e sorgenti, frane, fratturenel terreno, variazioni del livellomarino) ed i danni agli insediamentiabitativi (danni a cose e persone).

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Questi nuovi dati, riguardanti so-prattutto Ischia, hanno, infatti, per-messo di individuare terremoti sco-nosciuti (1631, 1711, 1731, 1768,1800, 1833, ecc.) tutti di bassa in-tensità ed altresì hanno permessodi revisionare quelli già conosciuti.

L’analisi di questi dati ha eviden-ziato l’esistenza ad Ischia di terre-moti superficiali (entro i primi 2 kmdi profondità) di origine vulcano-tet-tonica e di meno superficiali (entro iprimi 10 km di profondità) di originetettonica o vulcanica.

È stato, inoltre, costituito un setdati comprendente i terremoti avver-titi ad Ischia ed alle isole Ponzianeavvenuti nel periodo 1781-1892. Ilrisultato dell’analisi di questo set datimetterebbe in evidenza l’esistenzadi un fenomeno di triggering, dove iterremoti avvertiti con maggiore in-tensità alle Isole Ponziane sembre-rebbero essere seguiti dai terremoticon epicentro superficiale ad Ischia.Questo fenomeno sembrerebbe es-sere legato a movimenti tettonici cuil’area è sottoposta, vi sono, infatti,strutture tettoniche regionali sismo-geniche come risulta dalla sismicitàstrumentale del periodo 1983-2002(dati INGV). Questa ipotesi è inoltreconfortata dal fatto che l’area consi-

derata è stata sicuramente sogget-ta in passato a terremoti tettonici conipocentri a prodondità anche supe-riori ai 10 km (es. terremoti del 1880).

Si può quindi ipotizzare che movi-menti tettonici regionali starebberoalla base della sismicità dell’area,infatti, i terremoti tettonici più profon-di avvertiti alle isole Ponziane cau-serebbero variazioni fisiche nellecamere magmatiche più profondecon conseguenti aumenti nel flussodi calore e di fluidi dal basso che simanifesterebbero ad Ischia con lasismicità superficiale e fenomenibradisismici. I dati degli effetti sul-l’ambiente che alcuni terremoti han-no causato confermerebbero questaipotesi, infatti, sono state notate va-riazioni chimico-fisiche e deforma-zioni nel suolo prima, durante e dopoalcuni eventi sismici.

Roma

Congresso del Gruppo Nazionaledi Geofisica della Terra Solida

La riva

Guardare dalla rivacome chi fa un viaggio.Si fissa lo sguardoin un punto qualsiasie si vede uno stormoallontanarsi e perdersi.Così passano i giornie pure così passa l’acquasenza che nulla rivelila presenza di qualcosa.Non c’è quiete né vitaed è inutile annoiarsi.

Traduzione dallo spagnolo di Enzo

Bonventre da “La Luna Que” diEnrique Puccia, 1999
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Aromaterapiail recupero degli spazi verdi

Il corbezzolo

di Giuseppe Sollino

I giardini, le aiuole, i parchi deglialberghi isolani sono spesso ricchidi piante di varia provenienza.

Si incontrano così, quasi come epi-tome botanica, palmizi e abeti, ole-andri e jacarande, cycas e pini ma-rittimi - forme e colori contrastanti,esigenze fisiologiche diverse e pa-tologie spesso esiziali.

È ormai giunto il tempo di recupe-rare nelle aree verdi pubbliche o pri-vate quei valori ecologici che la na-tura mediterranea di Ischia esalta. Ilmirto, la ginestra, i lecci, l'alloro o ilrosmarino, ma anche lentischi, pinie ulivi possono fornire quel soffio dinatura che apporta benessere fisi-co e spirituale.

Costruire nei parchi di alberghi, dicentri termali o di semplici giardini,angoli con piante aromatiche per-mette non solo di riprodurre gli am-bienti più tipici della natura isolana,ma anche liberare profumi ed essen-ze estremamente importanti nel re-cupero psicosomatico. Viene così adessere ripristinata quell'armonia traciclo vitale e ambiente nel quale sivive e si lavora, sfruttando le facoltàdegli oli essenziali capaci di “intona-re” il metabolismo spento o alteratoda stress e inquinamento. Soprattut-to negli ambienti termali, dopo aver

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La Gin

effettuato bagni, fanghi e massaggiuna sosta in postazioni aromatera-piche opportunamente attrezzatedarà quella carica di salute perdutao dimenticata.

Al recupero ecologico di ambienticostruiti sarà così possibile abbina-re la terapeuticità di piante spessoneglette o dimenticate che la naturae il clima di Ischia esaltano.

All'interno dell'isola vi sono piantearomatiche di elevato valore ecolo-gico. Il Mirto, l'Alloro, il Lentisco in-sieme al Corbezzolo, alla Ginestrae al Cisto offrono al verde di Ischiaun contributo di salute, oltre che diarmonia e colore.

Ma in queste piante esistono oliessenziali, resine, numerosi principiattivi che esplicano nella loro com-plessità sinergica un'azione fitotera-pica ormai comunemente accertata.

Si tratta allora di individuare le es-senze più caratteristiche, nonché leloro proprietà. In tal modo sarà pos-sibile, passeggiando nel verde, sfio-rando queste splendide essenze,ottenere una notevole azione tera-peutica.

L'Aromaterapia è un metodo cu-rativo che si avvale di oli altamenteconcentrati presenti nelle piante.

estra

Questi estratti aromatici, chiamati oliessenziali od essenze, sono, infatti,ricavati da piccole ghiandole situatenei petali, nelle foglie, negli steli,nella corteccia o addirittura nel le-gno di numerose piante ed alberi.

In natura il loro profumo si liberalentamente, mentre quando vengo-no schiacciate o riscaldate, è comese esplodessero, sprigionando tuttoil loro aroma.

Proprietà benefiche - L'aromatera-pia si è rivelata utile per la cura dimoltissimi disturbi, in particolare con-tro stress e depressione, cefalee edinsonnia, artriti, crampi e problemidella pelle. Molti oli essenziali han-no proprietà disinfettanti ed espet-toranti. Altri sono efficaci per com-battere infezioni da virus, batteri efunghi. In pratica alcune essenzevengono usate come stimolante, al-tre come calmante.

In generale, una terapia a base dioli essenziali può essere usata an-che solo come strumento preventi-vo per mantenere un buono stato disalute.

Quindi, oltre ad acquisire questesostanze nelle erboristerie, prepara-te e distillate, è possibile ottenere ri-sultati eccezionali anche solo conuna semplice, rilassante passeggia-ta, sfiorando il Mirto o l'Alloro chesotto il sole ischitano esaltano la pro-duzione di oli essenziali così utili permigliorare la qualità della vita.

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