LA QUESTIONE DELLE C.D QUOTE ROSA E L’ART. 51 … · soluzione prescelta sul piano delle tutele...
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LA QUESTIONE DELLE C.D QUOTE ROSA E L’ART. 51 COST.
SCALETTA INTERVENTO
LA PORTATA DELL’ART. 51 COST.
Art. 51 Cost.
Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ealle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dallalegge [Cost. 3, 56, 58, 84, 97, 104, 106, 135; disp. att. Cost. XIII]. A tale fine laRepubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne euomini (1).
La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare aicittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del temponecessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.
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(1) Periodo aggiunto dall'art. 1, L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1.
Nonché
Art. 117 Cost.
(omissis)
(comma settimo): Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce lapiena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica epromuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Corte cost. 14 gennaio 2010 n. 4
Secondo la Corte costituzionale, in occasione dell’esame di una norma della legge
regionale della Campania (art. 4, comma 3, della legge Regione Campania 27 marzo
2009 n. 4) che, per la prima volta nell’ordinamento italiano, prevede la cosiddetta
"preferenza di genere" (in particolare, la disposizione censurata dispone che
l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso di espressione
di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile ed una un
candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda
preferenza), l’attuazione dei principi costituzionali contenuti negli artt. 3, 51 e 117
Cost. in materia di c.d. equilibrio dei generi si realizza attraverso i seguenti
passaggi:
A) la Corte costituzionale già nel 1995 (sentenza n. 422 del 1995) ha escluso che
possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non
si propongono di "rimuovere" gli ostacoli che impediscono alle donne di
raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei
risultati medesimi»;
B) sempre la Corte dopo l’introduzione del nuovo testo dell’art. 117 Cost., ma
in data anteriore alla modifica dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli
imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza
politica non devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e
delle candidate nella competizione elettorale» (sentenza n. 49 del 2003);
C) in questo solco va affermato che la normativa volta a determinare l’equilibrio
dei generi deve assumere portata tendenziale e proporzionata al reale
obiettivo dei principi costituzionale che, lungi dal coincidere con lo scopo di
prefigurare un risultato elettorale o di alterare artificiosamente la
composizione della rappresentanza politica, coincide con la creazione di un
sistema idoneo a rendere maggiormente possibile il riequilibrio dei generi,
senza imporlo. Si deve trattare quindi di una misura promozionale, ma non
coattiva;
D) infatti, con specifico riferimento alle disposizioni volte a rendere effettivo il
tendenziale equilibrio dei generi negli organi politici rappresentativi
attraverso l’introduzione di misure idonee ad incidere sulle modalità di
espressione del consenso, la norma di attuazione (generalmente legislativa
ma anche statutaria) deve mostrarsi rispettosa del principio della libertà di
voto, tutelata dall’art. 48 Cost., nel rispetto del quale la norma non può mai
comprimere o condizionare nel merito le scelte dell’elettore, ma può
legittimamente fissare i criteri con i quali queste devono essere effettuate (nel
caso di specie, la condizione di genere cui l’elettore campano viene
assoggettato, nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere
una seconda preferenza, costituisce solo una facoltà aggiuntiva, che allarga lo
spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza in quasi
tutte le leggi elettorali regionali – introducendo, solo in questo ristretto
ambito, una norma riequilibratrice volta ad ottenere, indirettamente ed
eventualmente, il risultato di un’azione positiva. Tale risultato non sarebbe,
in ogni caso, effetto della legge, ma delle libere scelte degli elettori, cui si
attribuisce uno specifico strumento utilizzabile a loro discrezione, restando
inalterati i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo).
In particolare, la rilevanza del comma aggiunto all’art. 51 Cost. dalla legge
cost. n. 3 del 2001
Corte cost. 27 gennaio 2005 n. 39
Secondo la Corte costituzionale, intervenendo in occasione della dichiarazione di
inammissibilità della questione di costituzionalità relativa all’art. 61, comma 1, del
decreto legislativo n. 29 del 1993 in tema di componenti delle commissioni di
concorso (per come modificato dal decreto legislativo n. 80 del 1998 secondo cui
le Amministrazioni pubbliche devono riservare alle donne, salva motivata
impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di
concorso, fermo restando il principio che deve trattarsi di persone esperte nelle
materie costituenti oggetto delle prove d'esame) dopo l’intervento della legge
costituzionale n. 3 del 2001:
se è vero che la questione va dichiarata inammissibile per carenza
argomentativa dell’ordinanza di rimessione che si traduce in una
determinante mancanza di motivazione sul parametro costituzionale evocato
e sulla non manifesta infondatezza della questione;
si può comunque affermare che, nel nuovo testo dell’art. 51 Cost. la norma
non si limita più a disporre che «la diversità di sesso, in sé e per sé
considerata, non può essere mai ragione di discriminazione legislativa» (v.
sentenza n. 33 del 1960) e, quindi, a costituire una sorta di specificazione del
principio di uguaglianza enunciato, a livello di principio fondamentale,
dall’art. 3, primo comma, Cost. (v. sentenze n. 188 del 1994 e n. 422 del
1995), ma assegna ora alla Repubblica anche un compito di promozione
delle pari opportunità tra donne e uomini;
GLI INTERVENTI DELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
CONSIGLIO DI STATO
Equilibrio dei generi nelle nomine negli organi collegiali politici
Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011 n. 3146
Il caso è legato all’omesso richiamo, con riguardo al contenuto del bando di un
Sulla legittimazione attiva:
la circostanza che lo Statuto della Regione Campania reca un vincolo
normativo che consiste nel garantire un’equilibrata presenza di donne ed
uomini nei componenti la Giunta, i più immediati criteri della logica
rendono persuasi che tale equilibrata presenza non sussiste in radice in una
Giunta che è composta da undici uomini e da una donna, come nella
situazione di base da cui ha avuto origine la controversia in esame;
conseguentemente la presentazione di un curriculum di un cittadino elettore,
che aspiri alla carica di assessore e che abbia oggettivamente le caratteristiche
di cultura e preparazione tecnica necessaria e sufficiente per rivestire tale
delicato incarico e che sia, in particolare, di sesso femminile, evidenzia, oltre
ad un interesse differenziato, anche un interesse meritevole di tutela, poiché
il Presidente della Giunta, qualora la propria Giunta non assicuri, come nella
specie, il rispetto della norma statutaria che impone l’anzidetta equilibrata
presenza di donne ed uomini nei componenti la Giunta, non può nominare
un assessore di sesso maschile, in particolare se vi sia altro candidato di sesso
femminile che abbia competenze equiparabili;
d’altronde la legittimazione al ricorso, che ordinariamente non è definita dal
legislatore, è un concetto la cui enucleazione compete esclusivamente al
giudice, salvi, ovviamente, i casi specifici, ma rari, ove il legislatore
interviene. Enucleazione che deve avvenire sulla scorta di dati normativi e di
argomentazioni giuridiche e che trova, quali unici limiti, da un lato, la non
implausibilità della soluzione prescelta (limite comune a tutta l’attività
interpretativa di spettanza del giudice); dall’altro, la giustificazione della
soluzione prescelta sul piano delle tutele di situazioni giuridiche soggettive
particolarmente rilevanti nel nostro ordinamento, come dimostra tutta
l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in punto di tutela degli
interessi collettivi.
Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie
regionale):
l’atto di nomina dell’incarico di assessore non è inquadrabile tra gli atti
politici (e perciò non impugnabile davanti al giudice amministrativo alla
stregua degli artt. 31 T.U. sul Consiglio di Stato di cui al R. D. 26 giugno
1924, n. 1054 e. 7 C.P.A., in base ai quali il ricorso giurisdizionale non è
ammesso se trattasi di atti o provvedimenti adottati dal Governo
nell’esercizio del potere politico);
due sono i caratteri essenziali dell’atto politico, vale a dire, quello soggettivo
della provenienza da un organo costituzionale e l’altro oggettivo della natura
generale degli interessi perseguiti e della libertà nel fine dell’organo politico.
A questi si aggiunge un ulteriore elemento di essenzialità: la mancanza di
parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti politici;
l’atto di nomina di un assessore regionale, da un lato, non è libero nella
scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della
compagine di ausilio del Presidente della Regione nell’amministrazione della
Regione stessa, e dall’altro è sottoposto a criteri strettamente giuridici come
quello citato dell’art. 46, comma 3, dello Statuto campano, di conseguenza,
deve ritenersene ammissibile l’impugnativa davanti al giudice amministrativo,
in quanto posto in essere da un’autorità amministrativa e nell’esercizio di un
potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale, trattandosi in
definitiva di atto di alta amministrazione.
Sulla portata dell’art. 51 Cost.:
A) il canone della “equilibrata” presenza, che fungerebbe da limite alla pur
ampia discrezionalità presidenziale nelle designazioni assessorili, non può
dirsi soddisfatto con la nomina di un unico componente di sesso femminile,
attesa la palese violazione dell’art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione
Campania;
B) si tratta di una regola chiara, inequivocabile, che, come tale, deve essere
rispettata, non soltanto per ragioni legate al concetto di cogenza giuridica,
ma per insuperabili logiche di coerenza e di sistematicità, che impongono a
tutti i soggetti dell’ordinamento, ma in special modo alle Istituzioni tutte, un
rigoroso rispetto delle norme che essi stessi contribuiscono a porre ad
applicare, essendo le Istituzioni l’architrave dell’ordinamento giuridico e, in
ultima analisi, della convivenza civile e pacifica di tutti i cittadini;
C) quanto alla possibilità che la norma in questione abbia mera natura
programmatica, va chiarito che il concetto di norma programmatica non è
un indice negativo di qualificazione della disposizione, una sorta di
degradazione di determinate norme rispetto a tutte le altre che detta
qualifica, invece, non consentono. Quindi tutte le norme sono, per
definizione, immediatamente precettive;
D) nello specifico, nel rapporto tra Statuto regionale e atto amministrativo la
violazione del principio base posto dallo Statuto (art. 46, cit.) da parte
dell’atto amministrativo si trasforma nella violazione di un vincolo
propriamente obbligatorio e diventa, dunque, fonte di illegittimità
amministrativa.
Equilibrio dei generi nelle commissioni delle procedure selettive
Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2010 n. 3039
Il caso è legato all’omesso richiamo, con riguardo al contenuto del bando di un
concorso pubblico, alla legge n. 125 del 1981.
Tale carenza non costituisce illegittimità del bando ma mera irregolarità formale, in
quanto il disposto di legge risulterebbe violato solo in presenza di una condotta
discriminatoria del collegio in danno dei concorrenti di sesso femminile, che va
provata in concreto (così anche Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2006 n. 7962 e
Sez. V, 1 gennaio 2002 n. 3184).
TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI
Giunte regionali e municipali
TAR Campania, Napoli, Sez. I, 7 novembre 2011 n. 5167 (sent. sempl.)
Portata (programmatica o precettiva) del nuovo testo dell’art. 52 Cost. che prevede
il principio delle pari opportunità nell’accesso ai pubblici uffici:
A) sotto il profilo della legittimazione ad agire da parte di “possibili aspiranti
all’incarico assessorile”, la loro posizione acquista la rilevanza necessaria a
configurare la sussistenza delle condizioni di legittimazione ed interesse
strumentale all’impugnazione, con il fine di veder considerata la propria
candidatura nella carica in questione;
B) la questione di merito deve essere risolta tenendo conto dell’assimilazione
del principio di pari opportunità di cui all’art. 51 Cost. al principio
fondamentale di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost. e, quindi,
dovendo riconoscere allo stesso natura di diritto fondamentale;
C) pertanto va riconosciuta l’immediata applicabilità del suddetto principio,
inteso come parametro di legittimità sostanziale di attività
amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite
conformativo;
D) l’attuazione di tale principio deve avere innanzitutto luogo attraverso
l’interposizione di fonti primarie o di altro livello. Attesa la trasversalità del
principio, ciascun soggetto che compone la Repubblica, dovrà darvi
attuazione in considerazione degli strumenti normativi di cui dispone ed
entro i limiti di competenza per materia ad esso riconosciuti;
E) non a caso principi fondamentali sono presenti in fonti statali, innanzitutto
nel decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (recante il Codice delle pari
opportunità tra uomo e donna) che all’art. 1, riprendendo le coordinate
costituzionali, assicura la pari opportunità in tutti i campi, assegnando tale
obiettivo a tutti gli attori istituzionali attraverso ogni possibile strumento di
disciplina, normativo e non;
F) nel settore degli Enti locali ulteriore strumento di attuazione, nonché nodo
di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata, è costituito dagli
statuti comunali e provinciali che, ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 18
agosto 2000 n. 267 (recante il Testo unico degli Enti locali), "stabiliscono
norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai
sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di
entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della
provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti". La
libertà statutaria è, dunque, circoscritta entro i confini naturali dei principi
posti dal tessuto costituzionale, quindi non oltre la rimozione di ostacoli
all’uguaglianza sostanziale, in modo che uomini e donne siano posti nelle
medesime condizioni di accesso agli uffici collegiali ed alle cariche pubbliche;
G) in siffatto contesto normativo è vero che gli artt. 46 e 47 del decreto
legislativo n. 267 del 2000 riconoscono al Sindaco un ampio potere
discrezionale in ordine alla scelta dei componenti della Giunta, senza che
sussista uno specifico obbligo di motivazione, tuttavia, quando l’ambito di
estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota
un’azione di governo, è conformato da vincoli o indirizzi che ne segnano in
parte l’esercizio, sebbene non in termini di risultato, costituisce requisito di
legittimità formale e sostanziale l’illustrazione delle ragioni e delle modalità
con cui il potere è stato speso rispetto a quel determinato parametro di
conformazione;
H) quanto al potere di sindacato del giudice amministrativo, l’indagine circa la
verifica del corretto esercizio del potere per come attribuito dalla fonte
primaria, con riferimento ai principi costituzionali, nonché in ordine alla
corrispondenza rispetto alle modalità di esercizio pretese dalla norma di
riferimento non può essere impedita ed è dunque senz’altro consentita al
giudice di legittimità, non trattandosi di sindacare l’opportunità della scelta,
ma l’osservanza effettiva di un limite al potere, atteso che in questa direzione
la natura politica della scelta incontra il limite esterno del principio di pari
opportunità;
I) conseguentemente le norme relative all’accesso ai pubblici uffici e alle
pubbliche funzioni contenute in uno Statuto comunale statuto di un
Comune (nella specie si trattava del Comune di Agerola), vanno interpretate
nel senso di non inibire l’effettiva attuazione del principio costituzionale di
pari opportunità in occasione della nomina dei componenti della Giunta;
J) da ciò deriva che deve ritenersi illegittimo il decreto di nomina degli
assessori - tutti di sesso maschile - di una Giunta municipale nel caso in cui,
da una parte, non emerga, dalla relativa motivazione, che sia stata compiuta
la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina
di persone di sesso femminile, e, dall’altra, non sia stata esternata adeguata
motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione del principio
delle pari opportunità di cui all’art. 51 Cost..
Perché, dunque, un decreto di nomina degli assessori di un Comune sia legittimo e
quindi rispetti la portata precettiva dell’art. 51 Cost. occorre che emergano
compiutamente i seguenti elementi:
lo svolgimento di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata
ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da
parte di persone di sesso femminile;
una adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del
principio di pari opportunità sancito dall’art. 51 della Costituzione.
Nello stesso solco argomentativo Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011 n. 3146 e TAR
Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011 n. 1427
TAR Sardegna, Sez. II, 2 agosto 2011 n. 864
Sulla legittimazione attiva:
posto che la legittimazione a ricorrere di una associazione deriva dalla sua
posizione di rappresentatività, desumibile dalle finalità statutarie e dall'attività
di tutela degli interessi collettivi della categoria di riferimento, unitariamente
considerata, con conseguente esclusione della legittimazione solo quando
non sia certo che gli interessi degli iscritti siano univocamente conformi a
quello a tutela del quale l'associazione agisce;
sussiste la legittimazione di una associazione privata la quale - come risulta
dall’atto costitutivo - è destinata a operare per "…l’affermazione delle pari
opportunità tra donne e uomini e per le realizzazione delle relative azioni positive…" ad
impugnare la delibera con la quale è stata nominata la Giunta regionale, nella
parte in cui non è stata garantita una pari opportunità nell’accesso alle
cariche di assessore regionale.
Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie
regionale):
la circostanza che il potere di nomina dei componenti della giunta regionale
sia attribuito direttamente dalla Costituzione al presidente eletto (art. 122,
ult. comma, Cost. e art. 3, comma secondo, la legge costituzionale n. 2 del
2001) non rende l'atto di nomina un atto politico tout court e tanto meno lo
sottrae alla garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale. E’ pertanto
ammissibile un ricorso giurisdizionale avverso l’atto di nomina dei
componenti della giunta regionale, atteso che tale atto non contiene scelte
programmatiche, non individua i fini da perseguire nell'azione di governo e
non ne determina il contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo)
politico e neppure direttiva di vertice dell'attività amministrativa;
non a caso la Corte regolatrice della giurisdizione, ha osservato che il
principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione (art. 113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di
principio, tutte le amministrazioni, anche di rango elevato e di rilievo
costituzionale, concludendo che "non sono quindi, per i loro caratteri
intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente
ridotto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e
politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in
ordine ai quali l'intervento del Giudice determinerebbe un'interferenza del
potere giudiziario nell'ambito di altri poteri (si pensi ad atti del Presidente
della Repubblica quali la concessione di una grazia, o lo scioglimento delle
camere, o - se si vuole- a taluni atti del Consiglio Regionale quale il voto si
sfiducia al Presidente della Regione ex art. 43 dello Statuto Regionale del
Lazio)" (cfr. Cass. SS.UU., 18 maggio 2006, n. 11623, che ha riconosciuto la
giurisdizione amministrativa sul provvedimento di nomina dei componenti
dell'A.R.P.A. lombarda);
l’atto di nomina di assessori regionali non costituisce un atto oggettivamente
non amministrativo che realizza scelte di specifico rilievo costituzionale e
politico e come tale non sindacabile a pena di interferire nell'esercizio di
altro potere, straripando dai limiti di quello giurisdizionale. Il provvedimento
di nomina degli assessori, infatti, non contiene scelte programmatiche, non
individua i fini da perseguire nell'azione di governo e non ne determina il
contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo) politico e neppure
direttiva di vertice dell'attività amministrativa;
neppure ha pregio il profilo (per vero suggestivo) della natura fiduciaria del
rapporto che lega i nominati al nominante, il quale certamente gode della più
ampia discrezionalità nella scelta delle persone dei suoi assessori, ma non
tanto da ritenere che l'atto di nomina dei componenti di una giunta regionale
possa prescindere dal rispetto dei limiti dettati in materia di pari opportunità
dalla nostra Carta Costituzionale, giacchè l'ampiezza delle valutazioni di
opportunità che guidano il Presidente nell’individuazione degli Assessori
non deve comunque travalicare la disciplina dell'esercizio della funzione
amministrativa di organizzazione dell'ente regionale, ancorché esercitata -
con tale atto - al più alto livello;
si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente
amministrativo, l'emanazione del quale è sottoposta all'osservanza delle
disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere,
il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede
giurisdizionale
Sulla portata dell’art. 51 Cost.:
E) va premesso che la Carta europea dei diritti dell’uomo, dopo aver affermato
in termini generali, all’art. 21, che "È vietata qualsiasi forma di
discriminazione fondata, in particolare, sul sesso…", ancor più precisamente
all’art. 23, rubricato "Parità tra uomini e donne", recita che "La parità tra
uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia
di occupazione, di lavoro e di retribuzione.” Va poi ulteriormente segnalato
che lo stesso art. 23 precisa come “Il principio della parità non osta al
mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a
favore del sesso sottorappresentato”;
F) l’interpretazione delle disposizioni di rango costituzionale evidenzia, sotto il
profilo della portata effettiva del principio di pari opportunità, come
sussista un rapporto di continenza tra l’art. 3 della Cost. e l’art. 51, primo
comma della Costituzione, di talché l’accesso in condizioni di eguaglianza ai
pubblici uffici ed a cariche elettive, a prescindere dal sesso di appartenenza,
costituisce specificazione del più generale principio di uguaglianza
sostanziale di cui all’art. 3, nel senso che la lettura combinata delle due
norme costituzionali impone di rimuovere ogni ingiustificata distinzione o
disparità di trattamento determinata da ragioni di sesso;
G) inoltre, sotto il profilo della portata programmatica o precettiva dell’art.
51 Cost., il principio della parità di accesso alle cariche amministrative tra
uomini e donne costituisce espressione di un principio fondamentale del
nostro ordinamento costituzionale, sancito dagli artt. 51, 3, 97 e 4, comma
secondo, della nostra Carta Costituzionale, sicché lo stesso opera di per sé,
direttamente, anche in mancanza di disposizioni attuative, quale limite
conformativo all’esercizio del potere amministrativo; in relazione a tale
diritto fondamentale, non può certamente ritenersi che l’inerzia del potere
legislativo possa costituire legittima causa di giustificazione di una sua
sostanziale disapplicazione a tempo indeterminato;
H) pertanto, non può non riconoscersi immediata applicabilità al
principio, inteso, ovviamente, come parametro di legittimità sostanziale
di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come
limite conformativo;
I) nello stesso tempo però la legge regionale può discrezionalmente
regolamentare le modalità attraverso le quali dare concreta attuazione
a tale principio: o individuando una soglia minima di presenze o
prescrivendo un totale equilibrio fra le due componenti, al fine di rispettare il
principio di parità di accesso (nella specie, una precisa volontà del legislatore
costituzionale, confermata ripetutamente dal legislatore nazionale, che ne ha
sostanzialmente riconosciuto la valenza di principio generale del nostro
ordinamento giuridico, era stata violata dalla Regione Sardegna, che aveva
elevato a sua giustificazione il fatto di non aver ancora adottato la legge
regionale di attuazione);
J) deve dunque essere svolta una adeguata istruttoria onde verificare se vi siano
candidati che aspirino ad assumere le funzioni assessorili nell’ambito dei due
generi, tenuto conto comunque che:
per un verso resta salva, naturalmente, la valutazione politica di
gradimento dell’assessore donna in pectore (come del resto
dell’assessore uomo) da parte della maggioranza;
ma anche che il possibile dissenso rispetto a qualunque donna sia
proposta e di cui il Presidente della Giunta regionale deve prendere atto,
deve essere giustificato da concrete ragioni di inidoneità o
incompatibilità politica alla funzione, nonché dalla mancanza di
alternative valide, diversamente traducendosi in un’ingiustificata
elusione di un cogente precetto costituzionale;
K) ne consegue la illegittimità della delibera di nomina della Giunta regionale
(nella specie della Sardegna), non avendo il Presidente della Giunta
Regionale né compiuto la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la
disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, né avendo motivato
adeguatamente le ragioni della mancata applicazione del principio di cui
all’art. 51 della Costituzione.
TAR Lazio, Sez. II, 25 luglio 2011 n. 6637
Sulla legittimazione attiva:
sono da ritenere legittimati in via generale a fare valere in sede
giurisdizionale la violazione delle norme che disciplinano la formazione della
Giunta comunale, i Consiglieri comunali i quali, ai sensi dell'art. 47 del Testo
unico degli Enti locali, possono essere nominati membri della Giunta
municipale e sono in quanto tali portatori di un interesse concreto e
specifico a che, nella nomina dei componenti della Giunta, vengano
rispettate dal Sindaco tutte le disposizioni normative di carattere
immediatamente cogente;
detto interesse, peraltro, non può essere inteso alla stregua di interesse di
mero fatto, in quanto oggetto di precisa qualificazione normativa e non
occorrendo, per la possibile nomina alla carica di Assessore su iniziativa del
Sindaco, la verifica di ulteriori specifici requisiti soggettivi;
si è già affermato in giurisprudenza che, accanto alla tradizionale
legittimazione dei consiglieri comunali ad agire in giudizio ove vengano in
rilievo atti incidenti sul diritto all'ufficio, deve essere riconosciuta una loro
analoga legittimazione a contestare in sede giurisdizionale la legittimità
dell'azione degli organi politici dell'ente di appartenenza sotto ogni profilo,
in ragione di un interesse giuridicamente rilevante di ciascun consigliere
comunale ad impedire che l'organo politico di riferimento istituzionale agisca
in violazione di legge (cfr., in tale senso, TAR Puglia, Lecce, 24 febbraio
2010 n. 622);
l’assunto va ribadito anche allorquando (come nel caso di specie) il precetto,
del quale si lamenta la violazione, costituisce precipitato del principio delle
pari opportunità e si traduce nell’obbligo, per il Sindaco, di assicurare nella
formazione della Giunta l’equilibrio di genere;
nello specifico, nel caso di impugnazione di una delibera di nomina della
Giunta municipale per violazione delle c.d. "quote rosa", la legittimazione
non può aprioristicamente essere ritenuta sussistente in capo ai soli
consiglieri comunali di sesso femminile, considerato che la garanzia
dell'equilibrio di genere anche in seno agli organismi politici esecutivi
risponde ad un interesse non circoscrivibile in ragione del genere di volta in
volta non adeguatamente rappresentato e, soprattutto, è affidata ad un
precetto, di carattere generale e riconducibile al principio di buon
andamento dell'azione pubblica, la cui violazione può per tale ragione essere
contestata da ogni consigliere comunale;
anzi, il ragionamento seguito con riguardo ai consiglieri comunali conduce,
addirittura, a configurare una legittimazione all’impugnazione degli atti di
nomina della Giunta non circoscritta ai soli componenti dell’organo
consiliare, considerato che ciascun cittadino elettore nel Comune di
riferimento può essere nominato assessore anche se non eletto al Consiglio
comunale. La legittimazione all’impugnazione degli atti di nomina della
Giunta di Roma Capitale deve quindi essere riconosciuta anche a ciascun
cittadino elettore del Comune di Roma, non già a titolo di azione popolare
(non ricorrendo i presupposti per la configurazione di nessuna delle ipotesi
tipiche di azione popolare in materia di elezione degli organismi
rappresentativi e riguardando invero l’azione popolare le diverse ipotesi di
legittimazione eccezionalmente riconosciuta sia pure in difetto del
presupposto della titolarità di una posizione soggettiva di interesse), bensì in
quanto soggetto potenzialmente aspirante alla titolarità della carica.
Ne consegue che il cittadino elettore è anche portatore di un interesse concreto ed
attuale all’annullamento degli atti di nomina degli assessori, adottati in violazione
delle norme di legge o statutarie.
Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie
comunale):
la delibera di nomina della Giunta municipale, atteso che tale delibera non
rientra tra gli atti politici (dato che essa non contiene scelte programmatiche,
non individua i fini da perseguire nell’azione di governo e non ne determina
il contenuto), ma costituisce un atto amministrativo (così anche T.A.R.
Campania, Napoli, Sez. I, n. 1985 del 2011);
la natura fiduciaria del rapporto che lega gli assessori al Sindaco, il quale
certamente gode della più ampia discrezionalità nella scelta delle persone da
nominare, non consente di ritenere che l’atto di nomina sia svincolato dal
raggiungimento di obiettivi prefissati e libero nei fini: l’ampiezza delle
valutazioni di opportunità che ispirano la composizione della Giunta e
l’individuazione dei suoi membri, sebbene possibilmente ispirata anche da
apprezzamenti politici, non deve essere confusa con l’esercizio della
funzione politica in senso proprio;
si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente
amministrativo, l’emanazione del quale è sottoposta all’osservanza delle
disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere,
il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede
giurisdizionale.
Sulla portata dell’art. 51 Cost.:
A) l’art. 51 Cost. (il quale, stabilendo la parità di accesso di tutti i cittadini,
indipendentemente dal sesso, agli uffici pubblici e alle cariche elettive,
prevede che «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra
donne e uomini») costituisce un parametro di legittimità sostanziale di attività
amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite
conformativo (così anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 10 marzo
2011 n. 1427 e 7 giugno 2010 n. 12668 nonché n. 1985 del 2011);
B) è vero che una parte della giurisprudenza amministrativa ritiene, al contrario
che tale interpretazione non sia pacifica (ad esempio, in senso divergente tra
loro, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 4 febbraio 2011 n. 354 e T.A.R.
Puglia, Lecce, 24 febbraio 2010 n. 622) e che la questione involge profili di
interpretazione generale del principio costituzionale delle pari opportunità
che riguarda l’attuazione dell’eguaglianza sostanziale fra uomini e donne
nella vita sociale, culturale, economica e politica e, in particolare, nella
rappresentanza democratica, tuttavia è la stessa giurisprudenza della Corte
Costituzionale, partendo dalla sentenza n. 422 del 1995 fino ad arrivare alla
sentenza n. 4 del 2010 che appare evolversi decisamente nel senso
dell’effettività e del carattere cogente delle norme sulla parità di genere;
C) in particolare deve ritenersi che, anche a seguito della riforma dell’art. 51
Cost., introdotta con la legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1, il nostro
ordinamento costituzionale pone il riequilibrio fra donne e uomini in
generale e il principio della c.d. parità democratica nella rappresentanza, in
particolare, come valori fondanti del nostro sistema ordinamentale, e che - in
detto contesto costituzionale - si colloca il trend normativo che in questi
ultimi anni, a livello sia primario che secondario, si caratterizza per
l’introduzione di numerose prescrizioni orientate all’attuazione dell’obiettivo
delle pari opportunità [si pensi alla formula adottata dal codice delle pari
opportunità ( d. lgs. 198/06) che all’art. 1 comma 4, come modificato dal d.
lgs. n. 5/2010 di attuazione della direttiva comunitaria 2006/54/CE,
stabilisce che l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra
donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione,
a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi e di regolamenti, ma anche
nell’adozione di atti amministrativi e in tutte le attività politiche ed
amministrative];
D) ciò, in particolare è avvenuto con lo Statuto del Comune di Roma che, a
differenza di altri statuti comunali che si limitano all’enunciazione di principi
o intenti programmatici, in particolare, all’art. 5 stabilisce, al primo comma,
che "nei casi in cui il Sindaco e il Consiglio Comunale debbano nominare o
designare, ciascuno secondo le proprie competenze, rappresentanti in enti,
istituzioni, ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i nominati
è garantita la equilibrata presenza di uomini e donne …" e al terzo comma
che " nel nominare i componenti della Giunta Comunale, i responsabili degli
uffici e dei servizi nonché nell’attribuire e definire gli incarichi dirigenziali e
quelli di collaborazione esterna, il Sindaco assicura una presenza equilibrata
di uomini e donne, motivando le scelte con riferimento al principio di pari
opportunità";
E) conseguentemente contrasta sia con l’art. 51 Cost. che con l’art. 5 dello
statuto di Roma Capitale (secondo cui "nei casi in cui il Sindaco e il Consiglio
Comunale debbano nominare o designare, ciascuno secondo le proprie competenze,
rappresentanti in enti, istituzioni, ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i
nominati è garantita la equilibrata presenza di uomini e donne …") e che costituisce
precetto pienamente vincolante e inderogabile dal Sindaco nella nomina dei
componenti della Giunta, la delibera con la quale è stata nominata la Giunta
del Comune di Roma, nella quale un sesso ha il 92% della rappresentanza e
l’altro soltanto l’8%;
F) più in particolare e nello specifico la motivazione delle delibera di nomina
della G.M. di Roma è erronea nella parte in cui afferma il carattere non
cogente della disposizione di statuto, inadeguata nella parte in cui si pretende
di individuare nella composizione del Consiglio Comunale, e nei rapporti
della rappresentanza dei generi ivi realizzati, il parametro esterno di raffronto
e di verifica dell’assicurato equilibrio della presenza dei generi nella Giunta,
considerato che l’equilibrio deve essere garantito dal Sindaco nelle
determinazioni rimesse alla sua competenza, deve essere riferito, per quanto
riguarda la Giunta, esclusivamente alla sua composizione, e deve risultare da
un apprezzamento ponderato di profili quantitativi e qualitativi nel senso
delineato.
In conclusione:
l’elemento numerico rimane prioritario, atteso che un’equilibrata ripartizione
delle cariche sul piano quantitativo fra uomini e donne costituisce infatti la
modalità ordinaria di conformazione delle scelte del Sindaco al parametro
statutario dell’equilibrio di genere;
tuttavia, nella richiamata prospettiva funzionale, nel caso di squilibrio sul
piano quantitativo della rappresentanza dei sessi, il conseguimento
dell’obiettivo dell’equilibrio di genere può passare anche per
l’apprezzamento, sul piano qualitativo e sostanziale, del ruolo e delle
funzioni riconosciute al sesso minoritariamente rappresentato in seno ai
diversi organismi, e quindi della misura e della rilevanza dell’apporto
collaborativo prestato da ciascuno dei generi all’attività complessiva del
soggetto collegiale;
in altri termini, a fronte di una squilibrata rappresentanza dei generi sul piano
numerico o quantitativo, potrà comunque ritenersi raggiunto l’equilibrio
soltanto nel caso di conferimento al genere scarsamente rappresentato di
ruoli o funzioni il cui rilievo sostanziale e funzionale sia tale, secondo logicità
e ragionevolezza, da compensare il gap numerico;
proprio in ragione del fatto che il parametro dell’equilibrio di genere non è
riconducibile soltanto al dato numerico e assume connotati sostanziali che
possono rimandare alla rilevanza dei ruoli e delle funzioni, implicando un
apprezzamento di carattere sostanziale analogo a quello tipico delle scelte
amministrative , anche di spiccata caratterizzazione politica (come, è
appunto quella della nomina degli assessori comunali) con riguardo ad altri
parametri di legittimità sostanziale , lo statuto rimette al Sindaco il giudizio
sull’equilibrata composizione della Giunta e il compito, quindi, di attuazione
della presenza equilibrata dei sessi;
la motivazione della scelta effettuata deve allora estrinsecare i confini
dell’apprezzamento operato e del giudizio conseguente e deve, ovviamente,
rispondere a canoni di razionalità, logicità e ragionevolezza, prestandosi
sotto siffatti profili al sindacato giurisdizionale di legittimità;
emerge quindi con chiarezza come, a fronte di una squilibrata composizione
della Giunta sul piano numerico, secondo la disposizione statutaria in esame,
il Sindaco non possa limitarsi ad esplicitare le ragioni per le quali non sia
riuscito a garantire l’equilibrata presenza di entrambi i generi ( come pure
sostenuto in qualche isolata pronuncia giurisprudenziale), quasi come se il
parametro normativo fosse derogabile per ragioni politiche e l’onere
motivazionale si risolvesse nella individuazione di ragionevoli giustificazioni
dello squilibrio dei generi ( ove, peraltro, sarebbe difficile immaginare
ragionevoli ostacoli oggettivi a nomine che tengano anche conto della
valorizzazione delle diversità di genere).
Nello stesso solco argomentativo TAR Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011 n.
1427 e 7 giugno 2010 n. 12668
IN SENSO OPPOSTO: TAR Lombardia, Sez. I, 4 febbraio 2011 n. 354
Sulla portata dell’art. 51 Cost.:
A) va premesso che il modello delineato dall’Assemblea Costituente, così come,
poi, modificato nel corso degli anni, pur postulando il principio generale di
eguaglianza sostanziale fra uomini e donne nella vita sociale, culturale,
economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alle
cariche elettive, non garantisce la composizione equilibrata di entrambi i
sessi negli organi collegiali. Tanto si ricava, essenzialmente, dai risultati cui è
giunta la Consulta all’esito dello scrutinio di molteplici fattispecie sottoposte
alla sua attenzione e dalle decisioni che ne sono scaturite;
B) in particolare la Corte costituzionale, con la sentenza 12 settembre 1995 n.
422, seppure ha affermato il contrasto con i parametri costituzionali di cui
agli artt. 3 e 51 della norma di legge che imponga nella presentazione delle
candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione
del sesso dei candidati, ha affermato che il Legislatore è certamente
legittimato ad adottare misure legislative, volutamente diseguali, per
eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale,
per compensare e rimuovere le disuguaglianze materiali tra gli individui,
quale presupposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali, comprese
quelle che, in vario modo, ha adottato per promuovere il raggiungimento di
una situazione di pari opportunità fra i sessi, ma tali misure legislative non
possono, tuttavia, incidere direttamente sul contenuto stesso di quei
medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in
quanto tali. E’ stato, infatti, statuito che "in tema di diritto all'elettorato passivo, la
regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell'art. 51, è
quella dell'assoluta parità, sicché ogni differenziazione in ragione del sesso non può che
risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto
concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si
ritiene svantaggiato";
C) tali misure, quindi, non si proporrebbero di rimuovere gli ostacoli che
impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì
costituirebbero in realtà nuove, inaccettabili discriminazioni come rimedio a
quelle in passato patite, attribuendo loro direttamente quei risultati: la
ravvisata disparità di condizioni, in breve, non verrebbe rimossa, ma
costituirebbe solo il motivo che legittima una tutela preferenziale in base al
sesso, risultato che l’art. 51 della Costituzione espressamente esclude;
D) successivamente la Corte, con la sentenza 13 febbraio 2003 n. 49, ha
espressamente riconosciuto che il quadro costituzionale di riferimento medio
tempore si è evoluto rispetto a quello in vigore all'epoca della decisione n.
422/1995, grazie alla legge costituzionale n. 3 del 2001 che, integrando gli
statuti delle Regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito
alle leggi elettorali regionali il compito di promuovere "condizioni di parità
per l'accesso alle consultazioni elettorali" proprio "al fine di conseguire
l'equilibrio della rappresentanza dei sessi";
E) tuttavia anche in tale decisione, che ha in ogni caso esclusivamente ad
oggetto l’accesso alle consultazioni elettorali e dunque attiene alla
formazione delle liste da parte dei partiti, si precisa che il modello non ha
valenza costrittiva, ma solo di promozione dell’auspicabile parità fra i sessi;
F) in ordine ai limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale (tenuto conto, da
ultimo, della sentenza 14 gennaio 2010 n. 4, emessa successivamente alla
modifica dell’art. 51 della Costituzione con la Legge costituzionale 30
maggio 2003 n. 1), all’introduzione di strumenti normativi specifici per
realizzare il riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica, la Corte trae
coerenti conseguenze, chiarendo che va affermata la natura non precettiva
delle disposizioni contenute negli Statuti delle Regioni;
G) ulteriore ostacolo alla considerazione in termini di precettività della norma
contenuta nell’art. 51 Cost. proviene dall’indiscutibile natura fiduciaria delle
nomine di cui si discute.
Seguono:
TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 19 luglio 2010 n. 8690
una associazione non riconosciuta è legittimata ad impugnare la
determinazione del Sindaco relativa alla nomina della Giunta municipale,
sotto il profilo che non è stata rispettata la c.d. "quota rosa", nel caso in cui
lo Statuto dell’associazione medesima includa fra gli scopi della stessa la
tutela delle pari opportunità in campo sociale, politico e culturale, di talché
l'associazione stessa è portatrice di un interesse istituzionale - coincidente
con l’oggetto del ricorso - che ne differenzia la posizione rispetto al
contenuto ed agli effetti del provvedimento impugnato;
è illegittima la determina del Sindaco che prevede la nomina dei componenti
della Giunta municipale tutti di sesso maschile, per omesso rispetto delle
norme in materia di pari opportunità e/o delle c.d. "quote rosa", che
assicurano una adeguata rappresentanza alle donne, nel caso in cui lo statuto
dell’ente locale preveda espressamente che, nella nomina degli assessori
componenti l’esecutivo comunale, deve essere assicurata la presenza di
uomini e donne in misura non inferiore al 20%; infatti, una simile
disposizione statutaria ha valore precettivo, diretto ed immediato, quanto
alla presenza di una quota minima di entrambi i sessi.
TAR Veneto, Sez. I, 9 dicembre 2009 n. 3463
Non è legittimata a proporre il ricorso avverso il decreto del Presidente della
Giunta provinciale di nomina degli assessori provinciali, per omesso rispetto delle
c.d. quote rosa, una associazione che è stata formalmente costituita dopo la
consultazione elettorale, a seguito della quale è stata effettuata la nomina
dell’esecutivo provinciale; in tal caso, infatti, non può ritenersi provata la
legittimazione di tale associazione quale centro esponenziale di interessi lesi dal
provvedimento impugnato, per assenza di prova in merito al radicamento nel
territorio dell’associazione medesima per un certo periodo, non essendo all’uopo
rilevante l’attività precedentemente svolta, in qualità di associazione non
riconosciuta, in quanto non adeguatamente accertabile.
Analogamente TAR Molise, Sez. I, 4 novembre 2009 n. 300
Secondo cui:
la legittimazione ad agire in giudizio in qualità di consiglieri deve ritenersi
limitata alle ipotesi in cui venga in rilievo un’istanza di tutela dello ius ad
officium;
in ogni caso non appare sussistere neppure l’interesse all’impugnativa, atteso
che, in ipotesi di accoglimento del gravame, i ricorrenti, consiglieri ed elettori
di sesso maschile, non potrebbero trarne alcuna concreta utilità giuridica,
essendo loro preclusa la possibilità di aspirare a nomine riservate a soggetti
di sesso femminile.
TAR Puglia, Bari, Sez. I, 22 ottobre 2009 n. 2443
E’ illegittimo il decreto di nomina degli assessori - tutti di sesso maschile - di una
Giunta municipale, adottato in violazione della previsione dello Statuto comunale
(secondo cui "la Giunta…è composta fino ad un massimo di sei Assessori,…nominati tra i
componenti del Consiglio Comunale o tra i cittadini, non consiglieri comunali e che abbiano i
requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di Consigliere comunale. Al fine di assicurare
la pari opportunità, nella composizione della Giunta nessuno dei due sessi può essere
rappresentato in misura superiore a tre quarti…"). Tale disposizione statutaria, infatti,
deve ritenersi di natura precettiva e non programmatica e richiede che sia
assicurata la presenza in Giunta di assessori di entrambi i sessi, non essendo
assolutamente sufficiente un semplice "sforzo" teso a raggiungere un simile
risultato; si tratta, pertanto, di una tipica obbligazione "di risultato" e non "di
diligenza" che viene ad integrare un vincolo alla scelta degli assessori e che non
può essere derogata dagli accordi politici
Nello stesso solco argomentativo TAR Puglia, Lecce, Sez. I, (ord.za) 21 ottobre 2009
n. 792 e 23 settembre 2009 n. 740 [secondo la quale la portata precettiva e non
programmatica dell’art. 51 Cost. richiede che sia assicurata la presenza in Giunta di
assessori di entrambi i sessi, non essendo assolutamente sufficiente un semplice
"sforzo" teso a raggiungere un simile risultato; si tratta, pertanto, di una tipica
obbligazione "di risultato" e non "di diligenza" che viene ad integrare un vincolo
alla scelta degli assessori e che non può essere derogata dagli accordi politici (per
effetto dell’accoglimento della domanda di sospensione, è stato nella specie
ordinato al Presidente della Provincia di Taranto di procedere alla modificazione
della composizione della Giunta provinciale, in modo tale da assicurare la presenza
di entrambi i sessi, entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione
dell’ordinanza], TAR Puglia, Bari, Sez. III, 18 dicembre 2008 n. 2913
(necessitando comunque una congrua motivazione che indichi le ragioni
concretamente impeditive dell’attuazione del principio di equilibrio tra i generi),
TAR Puglia, Bari, Sez. III, (ord.za) 12 settembre 2008 n. 474 e TAR Puglia,
Lecce, Sez. I, (ord.za) 6 luglio 2005 n. 680.
LE PROPOSTE DI LEGGE ALL’ESAME DEL PARLAMENTO
All’esame del Parlamento pendono alcune proposte di legge (ora riunite alla
Camera nel testo unificato C. 3466 ed altri) allo scopo di introdurre, in
applicazione dell’art. 51 Cost., “Disposizioni per promuovere il riequilibrio
delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte delle regioni e
degli enti locali”
Esame del testo
Esame delle audizioni
All’esame del Parlamento fu presentato anche un AC 1583 per modificare l’art.
51 Cost. allo scopo di introdurre “il solo principio delle pari opportunità e non
anche quello dell’equilibrata rappresentanza delle cariche politiche ed elettive”.
CONCLUSIONI
Il testo unificato C. 3466 ed altri si muove nel senso indicato dalla Corte
costituzionale nelle più recenti pronunce. Esso introduce misure
antidiscriminatorie volte al riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e
nelle giunte delle regioni e degli enti locali. Operando sulle liste dei candidati, e
dunque in un momento precedente alla consultazione elettorale, permette di
garantire la parità dei sessi senza entrare in collisione con i diritti
costituzionalmente garantiti in materia di elettorato passivo.
Possibili criticità