LA QUESTIONE DELLE C.D QUOTE ROSA E L’ART. 51 … · soluzione prescelta sul piano delle tutele...

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LA QUESTIONE DELLE C.D QUOTE ROSA E L’ART. 51 COST. SCALETTA INTERVENTO LA PORTATA DELL’ART. 51 COST. Art. 51 Cost. Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge [Cost. 3, 56, 58, 84, 97, 104, 106, 135; disp. att. Cost. XIII]. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini (1) . La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro. ----------------------- (1) Periodo aggiunto dall'art. 1, L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1. Nonché Art. 117 Cost. (omissis)

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LA QUESTIONE DELLE C.D QUOTE ROSA E L’ART. 51 COST.

SCALETTA INTERVENTO

LA PORTATA DELL’ART. 51 COST.

Art. 51 Cost.

Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ealle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dallalegge [Cost. 3, 56, 58, 84, 97, 104, 106, 135; disp. att. Cost. XIII]. A tale fine laRepubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne euomini (1).

La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare aicittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.

Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del temponecessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

-----------------------

(1) Periodo aggiunto dall'art. 1, L.Cost. 30 maggio 2003, n. 1.

Nonché

Art. 117 Cost.

(omissis)

(comma settimo): Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce lapiena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica epromuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

Corte cost. 14 gennaio 2010 n. 4

Secondo la Corte costituzionale, in occasione dell’esame di una norma della legge

regionale della Campania (art. 4, comma 3, della legge Regione Campania 27 marzo

2009 n. 4) che, per la prima volta nell’ordinamento italiano, prevede la cosiddetta

"preferenza di genere" (in particolare, la disposizione censurata dispone che

l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza e che, nel caso di espressione

di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile ed una un

candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda

preferenza), l’attuazione dei principi costituzionali contenuti negli artt. 3, 51 e 117

Cost. in materia di c.d. equilibrio dei generi si realizza attraverso i seguenti

passaggi:

A) la Corte costituzionale già nel 1995 (sentenza n. 422 del 1995) ha escluso che

possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che «non

si propongono di "rimuovere" gli ostacoli che impediscono alle donne di

raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei

risultati medesimi»;

B) sempre la Corte dopo l’introduzione del nuovo testo dell’art. 117 Cost., ma

in data anteriore alla modifica dell’art. 51 Cost., ha precisato che i vincoli

imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza

politica non devono incidere sulla «parità di chances delle liste e dei candidati e

delle candidate nella competizione elettorale» (sentenza n. 49 del 2003);

C) in questo solco va affermato che la normativa volta a determinare l’equilibrio

dei generi deve assumere portata tendenziale e proporzionata al reale

obiettivo dei principi costituzionale che, lungi dal coincidere con lo scopo di

prefigurare un risultato elettorale o di alterare artificiosamente la

composizione della rappresentanza politica, coincide con la creazione di un

sistema idoneo a rendere maggiormente possibile il riequilibrio dei generi,

senza imporlo. Si deve trattare quindi di una misura promozionale, ma non

coattiva;

D) infatti, con specifico riferimento alle disposizioni volte a rendere effettivo il

tendenziale equilibrio dei generi negli organi politici rappresentativi

attraverso l’introduzione di misure idonee ad incidere sulle modalità di

espressione del consenso, la norma di attuazione (generalmente legislativa

ma anche statutaria) deve mostrarsi rispettosa del principio della libertà di

voto, tutelata dall’art. 48 Cost., nel rispetto del quale la norma non può mai

comprimere o condizionare nel merito le scelte dell’elettore, ma può

legittimamente fissare i criteri con i quali queste devono essere effettuate (nel

caso di specie, la condizione di genere cui l’elettore campano viene

assoggettato, nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere

una seconda preferenza, costituisce solo una facoltà aggiuntiva, che allarga lo

spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza in quasi

tutte le leggi elettorali regionali – introducendo, solo in questo ristretto

ambito, una norma riequilibratrice volta ad ottenere, indirettamente ed

eventualmente, il risultato di un’azione positiva. Tale risultato non sarebbe,

in ogni caso, effetto della legge, ma delle libere scelte degli elettori, cui si

attribuisce uno specifico strumento utilizzabile a loro discrezione, restando

inalterati i diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo).

In particolare, la rilevanza del comma aggiunto all’art. 51 Cost. dalla legge

cost. n. 3 del 2001

Corte cost. 27 gennaio 2005 n. 39

Secondo la Corte costituzionale, intervenendo in occasione della dichiarazione di

inammissibilità della questione di costituzionalità relativa all’art. 61, comma 1, del

decreto legislativo n. 29 del 1993 in tema di componenti delle commissioni di

concorso (per come modificato dal decreto legislativo n. 80 del 1998 secondo cui

le Amministrazioni pubbliche devono riservare alle donne, salva motivata

impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di

concorso, fermo restando il principio che deve trattarsi di persone esperte nelle

materie costituenti oggetto delle prove d'esame) dopo l’intervento della legge

costituzionale n. 3 del 2001:

se è vero che la questione va dichiarata inammissibile per carenza

argomentativa dell’ordinanza di rimessione che si traduce in una

determinante mancanza di motivazione sul parametro costituzionale evocato

e sulla non manifesta infondatezza della questione;

si può comunque affermare che, nel nuovo testo dell’art. 51 Cost. la norma

non si limita più a disporre che «la diversità di sesso, in sé e per sé

considerata, non può essere mai ragione di discriminazione legislativa» (v.

sentenza n. 33 del 1960) e, quindi, a costituire una sorta di specificazione del

principio di uguaglianza enunciato, a livello di principio fondamentale,

dall’art. 3, primo comma, Cost. (v. sentenze n. 188 del 1994 e n. 422 del

1995), ma assegna ora alla Repubblica anche un compito di promozione

delle pari opportunità tra donne e uomini;

GLI INTERVENTI DELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

CONSIGLIO DI STATO

Equilibrio dei generi nelle nomine negli organi collegiali politici

Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011 n. 3146

Il caso è legato all’omesso richiamo, con riguardo al contenuto del bando di un

Sulla legittimazione attiva:

la circostanza che lo Statuto della Regione Campania reca un vincolo

normativo che consiste nel garantire un’equilibrata presenza di donne ed

uomini nei componenti la Giunta, i più immediati criteri della logica

rendono persuasi che tale equilibrata presenza non sussiste in radice in una

Giunta che è composta da undici uomini e da una donna, come nella

situazione di base da cui ha avuto origine la controversia in esame;

conseguentemente la presentazione di un curriculum di un cittadino elettore,

che aspiri alla carica di assessore e che abbia oggettivamente le caratteristiche

di cultura e preparazione tecnica necessaria e sufficiente per rivestire tale

delicato incarico e che sia, in particolare, di sesso femminile, evidenzia, oltre

ad un interesse differenziato, anche un interesse meritevole di tutela, poiché

il Presidente della Giunta, qualora la propria Giunta non assicuri, come nella

specie, il rispetto della norma statutaria che impone l’anzidetta equilibrata

presenza di donne ed uomini nei componenti la Giunta, non può nominare

un assessore di sesso maschile, in particolare se vi sia altro candidato di sesso

femminile che abbia competenze equiparabili;

d’altronde la legittimazione al ricorso, che ordinariamente non è definita dal

legislatore, è un concetto la cui enucleazione compete esclusivamente al

giudice, salvi, ovviamente, i casi specifici, ma rari, ove il legislatore

interviene. Enucleazione che deve avvenire sulla scorta di dati normativi e di

argomentazioni giuridiche e che trova, quali unici limiti, da un lato, la non

implausibilità della soluzione prescelta (limite comune a tutta l’attività

interpretativa di spettanza del giudice); dall’altro, la giustificazione della

soluzione prescelta sul piano delle tutele di situazioni giuridiche soggettive

particolarmente rilevanti nel nostro ordinamento, come dimostra tutta

l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa in punto di tutela degli

interessi collettivi.

Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie

regionale):

l’atto di nomina dell’incarico di assessore non è inquadrabile tra gli atti

politici (e perciò non impugnabile davanti al giudice amministrativo alla

stregua degli artt. 31 T.U. sul Consiglio di Stato di cui al R. D. 26 giugno

1924, n. 1054 e. 7 C.P.A., in base ai quali il ricorso giurisdizionale non è

ammesso se trattasi di atti o provvedimenti adottati dal Governo

nell’esercizio del potere politico);

due sono i caratteri essenziali dell’atto politico, vale a dire, quello soggettivo

della provenienza da un organo costituzionale e l’altro oggettivo della natura

generale degli interessi perseguiti e della libertà nel fine dell’organo politico.

A questi si aggiunge un ulteriore elemento di essenzialità: la mancanza di

parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti politici;

l’atto di nomina di un assessore regionale, da un lato, non è libero nella

scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della

compagine di ausilio del Presidente della Regione nell’amministrazione della

Regione stessa, e dall’altro è sottoposto a criteri strettamente giuridici come

quello citato dell’art. 46, comma 3, dello Statuto campano, di conseguenza,

deve ritenersene ammissibile l’impugnativa davanti al giudice amministrativo,

in quanto posto in essere da un’autorità amministrativa e nell’esercizio di un

potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale, trattandosi in

definitiva di atto di alta amministrazione.

Sulla portata dell’art. 51 Cost.:

A) il canone della “equilibrata” presenza, che fungerebbe da limite alla pur

ampia discrezionalità presidenziale nelle designazioni assessorili, non può

dirsi soddisfatto con la nomina di un unico componente di sesso femminile,

attesa la palese violazione dell’art. 46, comma 3, dello Statuto della Regione

Campania;

B) si tratta di una regola chiara, inequivocabile, che, come tale, deve essere

rispettata, non soltanto per ragioni legate al concetto di cogenza giuridica,

ma per insuperabili logiche di coerenza e di sistematicità, che impongono a

tutti i soggetti dell’ordinamento, ma in special modo alle Istituzioni tutte, un

rigoroso rispetto delle norme che essi stessi contribuiscono a porre ad

applicare, essendo le Istituzioni l’architrave dell’ordinamento giuridico e, in

ultima analisi, della convivenza civile e pacifica di tutti i cittadini;

C) quanto alla possibilità che la norma in questione abbia mera natura

programmatica, va chiarito che il concetto di norma programmatica non è

un indice negativo di qualificazione della disposizione, una sorta di

degradazione di determinate norme rispetto a tutte le altre che detta

qualifica, invece, non consentono. Quindi tutte le norme sono, per

definizione, immediatamente precettive;

D) nello specifico, nel rapporto tra Statuto regionale e atto amministrativo la

violazione del principio base posto dallo Statuto (art. 46, cit.) da parte

dell’atto amministrativo si trasforma nella violazione di un vincolo

propriamente obbligatorio e diventa, dunque, fonte di illegittimità

amministrativa.

Equilibrio dei generi nelle commissioni delle procedure selettive

Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2010 n. 3039

Il caso è legato all’omesso richiamo, con riguardo al contenuto del bando di un

concorso pubblico, alla legge n. 125 del 1981.

Tale carenza non costituisce illegittimità del bando ma mera irregolarità formale, in

quanto il disposto di legge risulterebbe violato solo in presenza di una condotta

discriminatoria del collegio in danno dei concorrenti di sesso femminile, che va

provata in concreto (così anche Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2006 n. 7962 e

Sez. V, 1 gennaio 2002 n. 3184).

TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI

Giunte regionali e municipali

TAR Campania, Napoli, Sez. I, 7 novembre 2011 n. 5167 (sent. sempl.)

Portata (programmatica o precettiva) del nuovo testo dell’art. 52 Cost. che prevede

il principio delle pari opportunità nell’accesso ai pubblici uffici:

A) sotto il profilo della legittimazione ad agire da parte di “possibili aspiranti

all’incarico assessorile”, la loro posizione acquista la rilevanza necessaria a

configurare la sussistenza delle condizioni di legittimazione ed interesse

strumentale all’impugnazione, con il fine di veder considerata la propria

candidatura nella carica in questione;

B) la questione di merito deve essere risolta tenendo conto dell’assimilazione

del principio di pari opportunità di cui all’art. 51 Cost. al principio

fondamentale di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost. e, quindi,

dovendo riconoscere allo stesso natura di diritto fondamentale;

C) pertanto va riconosciuta l’immediata applicabilità del suddetto principio,

inteso come parametro di legittimità sostanziale di attività

amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite

conformativo;

D) l’attuazione di tale principio deve avere innanzitutto luogo attraverso

l’interposizione di fonti primarie o di altro livello. Attesa la trasversalità del

principio, ciascun soggetto che compone la Repubblica, dovrà darvi

attuazione in considerazione degli strumenti normativi di cui dispone ed

entro i limiti di competenza per materia ad esso riconosciuti;

E) non a caso principi fondamentali sono presenti in fonti statali, innanzitutto

nel decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (recante il Codice delle pari

opportunità tra uomo e donna) che all’art. 1, riprendendo le coordinate

costituzionali, assicura la pari opportunità in tutti i campi, assegnando tale

obiettivo a tutti gli attori istituzionali attraverso ogni possibile strumento di

disciplina, normativo e non;

F) nel settore degli Enti locali ulteriore strumento di attuazione, nonché nodo

di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata, è costituito dagli

statuti comunali e provinciali che, ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 18

agosto 2000 n. 267 (recante il Testo unico degli Enti locali), "stabiliscono

norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai

sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di

entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della

provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti". La

libertà statutaria è, dunque, circoscritta entro i confini naturali dei principi

posti dal tessuto costituzionale, quindi non oltre la rimozione di ostacoli

all’uguaglianza sostanziale, in modo che uomini e donne siano posti nelle

medesime condizioni di accesso agli uffici collegiali ed alle cariche pubbliche;

G) in siffatto contesto normativo è vero che gli artt. 46 e 47 del decreto

legislativo n. 267 del 2000 riconoscono al Sindaco un ampio potere

discrezionale in ordine alla scelta dei componenti della Giunta, senza che

sussista uno specifico obbligo di motivazione, tuttavia, quando l’ambito di

estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota

un’azione di governo, è conformato da vincoli o indirizzi che ne segnano in

parte l’esercizio, sebbene non in termini di risultato, costituisce requisito di

legittimità formale e sostanziale l’illustrazione delle ragioni e delle modalità

con cui il potere è stato speso rispetto a quel determinato parametro di

conformazione;

H) quanto al potere di sindacato del giudice amministrativo, l’indagine circa la

verifica del corretto esercizio del potere per come attribuito dalla fonte

primaria, con riferimento ai principi costituzionali, nonché in ordine alla

corrispondenza rispetto alle modalità di esercizio pretese dalla norma di

riferimento non può essere impedita ed è dunque senz’altro consentita al

giudice di legittimità, non trattandosi di sindacare l’opportunità della scelta,

ma l’osservanza effettiva di un limite al potere, atteso che in questa direzione

la natura politica della scelta incontra il limite esterno del principio di pari

opportunità;

I) conseguentemente le norme relative all’accesso ai pubblici uffici e alle

pubbliche funzioni contenute in uno Statuto comunale statuto di un

Comune (nella specie si trattava del Comune di Agerola), vanno interpretate

nel senso di non inibire l’effettiva attuazione del principio costituzionale di

pari opportunità in occasione della nomina dei componenti della Giunta;

J) da ciò deriva che deve ritenersi illegittimo il decreto di nomina degli

assessori - tutti di sesso maschile - di una Giunta municipale nel caso in cui,

da una parte, non emerga, dalla relativa motivazione, che sia stata compiuta

la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina

di persone di sesso femminile, e, dall’altra, non sia stata esternata adeguata

motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione del principio

delle pari opportunità di cui all’art. 51 Cost..

Perché, dunque, un decreto di nomina degli assessori di un Comune sia legittimo e

quindi rispetti la portata precettiva dell’art. 51 Cost. occorre che emergano

compiutamente i seguenti elementi:

lo svolgimento di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata

ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da

parte di persone di sesso femminile;

una adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del

principio di pari opportunità sancito dall’art. 51 della Costituzione.

Nello stesso solco argomentativo Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011 n. 3146 e TAR

Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011 n. 1427

TAR Sardegna, Sez. II, 2 agosto 2011 n. 864

Sulla legittimazione attiva:

posto che la legittimazione a ricorrere di una associazione deriva dalla sua

posizione di rappresentatività, desumibile dalle finalità statutarie e dall'attività

di tutela degli interessi collettivi della categoria di riferimento, unitariamente

considerata, con conseguente esclusione della legittimazione solo quando

non sia certo che gli interessi degli iscritti siano univocamente conformi a

quello a tutela del quale l'associazione agisce;

sussiste la legittimazione di una associazione privata la quale - come risulta

dall’atto costitutivo - è destinata a operare per "…l’affermazione delle pari

opportunità tra donne e uomini e per le realizzazione delle relative azioni positive…" ad

impugnare la delibera con la quale è stata nominata la Giunta regionale, nella

parte in cui non è stata garantita una pari opportunità nell’accesso alle

cariche di assessore regionale.

Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie

regionale):

la circostanza che il potere di nomina dei componenti della giunta regionale

sia attribuito direttamente dalla Costituzione al presidente eletto (art. 122,

ult. comma, Cost. e art. 3, comma secondo, la legge costituzionale n. 2 del

2001) non rende l'atto di nomina un atto politico tout court e tanto meno lo

sottrae alla garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale. E’ pertanto

ammissibile un ricorso giurisdizionale avverso l’atto di nomina dei

componenti della giunta regionale, atteso che tale atto non contiene scelte

programmatiche, non individua i fini da perseguire nell'azione di governo e

non ne determina il contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo)

politico e neppure direttiva di vertice dell'attività amministrativa;

non a caso la Corte regolatrice della giurisdizione, ha osservato che il

principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica

amministrazione (art. 113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di

principio, tutte le amministrazioni, anche di rango elevato e di rilievo

costituzionale, concludendo che "non sono quindi, per i loro caratteri

intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente

ridotto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e

politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in

ordine ai quali l'intervento del Giudice determinerebbe un'interferenza del

potere giudiziario nell'ambito di altri poteri (si pensi ad atti del Presidente

della Repubblica quali la concessione di una grazia, o lo scioglimento delle

camere, o - se si vuole- a taluni atti del Consiglio Regionale quale il voto si

sfiducia al Presidente della Regione ex art. 43 dello Statuto Regionale del

Lazio)" (cfr. Cass. SS.UU., 18 maggio 2006, n. 11623, che ha riconosciuto la

giurisdizione amministrativa sul provvedimento di nomina dei componenti

dell'A.R.P.A. lombarda);

l’atto di nomina di assessori regionali non costituisce un atto oggettivamente

non amministrativo che realizza scelte di specifico rilievo costituzionale e

politico e come tale non sindacabile a pena di interferire nell'esercizio di

altro potere, straripando dai limiti di quello giurisdizionale. Il provvedimento

di nomina degli assessori, infatti, non contiene scelte programmatiche, non

individua i fini da perseguire nell'azione di governo e non ne determina il

contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo) politico e neppure

direttiva di vertice dell'attività amministrativa;

neppure ha pregio il profilo (per vero suggestivo) della natura fiduciaria del

rapporto che lega i nominati al nominante, il quale certamente gode della più

ampia discrezionalità nella scelta delle persone dei suoi assessori, ma non

tanto da ritenere che l'atto di nomina dei componenti di una giunta regionale

possa prescindere dal rispetto dei limiti dettati in materia di pari opportunità

dalla nostra Carta Costituzionale, giacchè l'ampiezza delle valutazioni di

opportunità che guidano il Presidente nell’individuazione degli Assessori

non deve comunque travalicare la disciplina dell'esercizio della funzione

amministrativa di organizzazione dell'ente regionale, ancorché esercitata -

con tale atto - al più alto livello;

si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente

amministrativo, l'emanazione del quale è sottoposta all'osservanza delle

disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere,

il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede

giurisdizionale

Sulla portata dell’art. 51 Cost.:

E) va premesso che la Carta europea dei diritti dell’uomo, dopo aver affermato

in termini generali, all’art. 21, che "È vietata qualsiasi forma di

discriminazione fondata, in particolare, sul sesso…", ancor più precisamente

all’art. 23, rubricato "Parità tra uomini e donne", recita che "La parità tra

uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia

di occupazione, di lavoro e di retribuzione.” Va poi ulteriormente segnalato

che lo stesso art. 23 precisa come “Il principio della parità non osta al

mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a

favore del sesso sottorappresentato”;

F) l’interpretazione delle disposizioni di rango costituzionale evidenzia, sotto il

profilo della portata effettiva del principio di pari opportunità, come

sussista un rapporto di continenza tra l’art. 3 della Cost. e l’art. 51, primo

comma della Costituzione, di talché l’accesso in condizioni di eguaglianza ai

pubblici uffici ed a cariche elettive, a prescindere dal sesso di appartenenza,

costituisce specificazione del più generale principio di uguaglianza

sostanziale di cui all’art. 3, nel senso che la lettura combinata delle due

norme costituzionali impone di rimuovere ogni ingiustificata distinzione o

disparità di trattamento determinata da ragioni di sesso;

G) inoltre, sotto il profilo della portata programmatica o precettiva dell’art.

51 Cost., il principio della parità di accesso alle cariche amministrative tra

uomini e donne costituisce espressione di un principio fondamentale del

nostro ordinamento costituzionale, sancito dagli artt. 51, 3, 97 e 4, comma

secondo, della nostra Carta Costituzionale, sicché lo stesso opera di per sé,

direttamente, anche in mancanza di disposizioni attuative, quale limite

conformativo all’esercizio del potere amministrativo; in relazione a tale

diritto fondamentale, non può certamente ritenersi che l’inerzia del potere

legislativo possa costituire legittima causa di giustificazione di una sua

sostanziale disapplicazione a tempo indeterminato;

H) pertanto, non può non riconoscersi immediata applicabilità al

principio, inteso, ovviamente, come parametro di legittimità sostanziale

di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come

limite conformativo;

I) nello stesso tempo però la legge regionale può discrezionalmente

regolamentare le modalità attraverso le quali dare concreta attuazione

a tale principio: o individuando una soglia minima di presenze o

prescrivendo un totale equilibrio fra le due componenti, al fine di rispettare il

principio di parità di accesso (nella specie, una precisa volontà del legislatore

costituzionale, confermata ripetutamente dal legislatore nazionale, che ne ha

sostanzialmente riconosciuto la valenza di principio generale del nostro

ordinamento giuridico, era stata violata dalla Regione Sardegna, che aveva

elevato a sua giustificazione il fatto di non aver ancora adottato la legge

regionale di attuazione);

J) deve dunque essere svolta una adeguata istruttoria onde verificare se vi siano

candidati che aspirino ad assumere le funzioni assessorili nell’ambito dei due

generi, tenuto conto comunque che:

per un verso resta salva, naturalmente, la valutazione politica di

gradimento dell’assessore donna in pectore (come del resto

dell’assessore uomo) da parte della maggioranza;

ma anche che il possibile dissenso rispetto a qualunque donna sia

proposta e di cui il Presidente della Giunta regionale deve prendere atto,

deve essere giustificato da concrete ragioni di inidoneità o

incompatibilità politica alla funzione, nonché dalla mancanza di

alternative valide, diversamente traducendosi in un’ingiustificata

elusione di un cogente precetto costituzionale;

K) ne consegue la illegittimità della delibera di nomina della Giunta regionale

(nella specie della Sardegna), non avendo il Presidente della Giunta

Regionale né compiuto la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la

disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, né avendo motivato

adeguatamente le ragioni della mancata applicazione del principio di cui

all’art. 51 della Costituzione.

TAR Lazio, Sez. II, 25 luglio 2011 n. 6637

Sulla legittimazione attiva:

sono da ritenere legittimati in via generale a fare valere in sede

giurisdizionale la violazione delle norme che disciplinano la formazione della

Giunta comunale, i Consiglieri comunali i quali, ai sensi dell'art. 47 del Testo

unico degli Enti locali, possono essere nominati membri della Giunta

municipale e sono in quanto tali portatori di un interesse concreto e

specifico a che, nella nomina dei componenti della Giunta, vengano

rispettate dal Sindaco tutte le disposizioni normative di carattere

immediatamente cogente;

detto interesse, peraltro, non può essere inteso alla stregua di interesse di

mero fatto, in quanto oggetto di precisa qualificazione normativa e non

occorrendo, per la possibile nomina alla carica di Assessore su iniziativa del

Sindaco, la verifica di ulteriori specifici requisiti soggettivi;

si è già affermato in giurisprudenza che, accanto alla tradizionale

legittimazione dei consiglieri comunali ad agire in giudizio ove vengano in

rilievo atti incidenti sul diritto all'ufficio, deve essere riconosciuta una loro

analoga legittimazione a contestare in sede giurisdizionale la legittimità

dell'azione degli organi politici dell'ente di appartenenza sotto ogni profilo,

in ragione di un interesse giuridicamente rilevante di ciascun consigliere

comunale ad impedire che l'organo politico di riferimento istituzionale agisca

in violazione di legge (cfr., in tale senso, TAR Puglia, Lecce, 24 febbraio

2010 n. 622);

l’assunto va ribadito anche allorquando (come nel caso di specie) il precetto,

del quale si lamenta la violazione, costituisce precipitato del principio delle

pari opportunità e si traduce nell’obbligo, per il Sindaco, di assicurare nella

formazione della Giunta l’equilibrio di genere;

nello specifico, nel caso di impugnazione di una delibera di nomina della

Giunta municipale per violazione delle c.d. "quote rosa", la legittimazione

non può aprioristicamente essere ritenuta sussistente in capo ai soli

consiglieri comunali di sesso femminile, considerato che la garanzia

dell'equilibrio di genere anche in seno agli organismi politici esecutivi

risponde ad un interesse non circoscrivibile in ragione del genere di volta in

volta non adeguatamente rappresentato e, soprattutto, è affidata ad un

precetto, di carattere generale e riconducibile al principio di buon

andamento dell'azione pubblica, la cui violazione può per tale ragione essere

contestata da ogni consigliere comunale;

anzi, il ragionamento seguito con riguardo ai consiglieri comunali conduce,

addirittura, a configurare una legittimazione all’impugnazione degli atti di

nomina della Giunta non circoscritta ai soli componenti dell’organo

consiliare, considerato che ciascun cittadino elettore nel Comune di

riferimento può essere nominato assessore anche se non eletto al Consiglio

comunale. La legittimazione all’impugnazione degli atti di nomina della

Giunta di Roma Capitale deve quindi essere riconosciuta anche a ciascun

cittadino elettore del Comune di Roma, non già a titolo di azione popolare

(non ricorrendo i presupposti per la configurazione di nessuna delle ipotesi

tipiche di azione popolare in materia di elezione degli organismi

rappresentativi e riguardando invero l’azione popolare le diverse ipotesi di

legittimazione eccezionalmente riconosciuta sia pure in difetto del

presupposto della titolarità di una posizione soggettiva di interesse), bensì in

quanto soggetto potenzialmente aspirante alla titolarità della carica.

Ne consegue che il cittadino elettore è anche portatore di un interesse concreto ed

attuale all’annullamento degli atti di nomina degli assessori, adottati in violazione

delle norme di legge o statutarie.

Sulla natura di atto politico dell’atto di nomina di un assessore (nella specie

comunale):

la delibera di nomina della Giunta municipale, atteso che tale delibera non

rientra tra gli atti politici (dato che essa non contiene scelte programmatiche,

non individua i fini da perseguire nell’azione di governo e non ne determina

il contenuto), ma costituisce un atto amministrativo (così anche T.A.R.

Campania, Napoli, Sez. I, n. 1985 del 2011);

la natura fiduciaria del rapporto che lega gli assessori al Sindaco, il quale

certamente gode della più ampia discrezionalità nella scelta delle persone da

nominare, non consente di ritenere che l’atto di nomina sia svincolato dal

raggiungimento di obiettivi prefissati e libero nei fini: l’ampiezza delle

valutazioni di opportunità che ispirano la composizione della Giunta e

l’individuazione dei suoi membri, sebbene possibilmente ispirata anche da

apprezzamenti politici, non deve essere confusa con l’esercizio della

funzione politica in senso proprio;

si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente

amministrativo, l’emanazione del quale è sottoposta all’osservanza delle

disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere,

il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede

giurisdizionale.

Sulla portata dell’art. 51 Cost.:

A) l’art. 51 Cost. (il quale, stabilendo la parità di accesso di tutti i cittadini,

indipendentemente dal sesso, agli uffici pubblici e alle cariche elettive,

prevede che «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra

donne e uomini») costituisce un parametro di legittimità sostanziale di attività

amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite

conformativo (così anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 10 marzo

2011 n. 1427 e 7 giugno 2010 n. 12668 nonché n. 1985 del 2011);

B) è vero che una parte della giurisprudenza amministrativa ritiene, al contrario

che tale interpretazione non sia pacifica (ad esempio, in senso divergente tra

loro, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 4 febbraio 2011 n. 354 e T.A.R.

Puglia, Lecce, 24 febbraio 2010 n. 622) e che la questione involge profili di

interpretazione generale del principio costituzionale delle pari opportunità

che riguarda l’attuazione dell’eguaglianza sostanziale fra uomini e donne

nella vita sociale, culturale, economica e politica e, in particolare, nella

rappresentanza democratica, tuttavia è la stessa giurisprudenza della Corte

Costituzionale, partendo dalla sentenza n. 422 del 1995 fino ad arrivare alla

sentenza n. 4 del 2010 che appare evolversi decisamente nel senso

dell’effettività e del carattere cogente delle norme sulla parità di genere;

C) in particolare deve ritenersi che, anche a seguito della riforma dell’art. 51

Cost., introdotta con la legge costituzionale 30 maggio 2003 n. 1, il nostro

ordinamento costituzionale pone il riequilibrio fra donne e uomini in

generale e il principio della c.d. parità democratica nella rappresentanza, in

particolare, come valori fondanti del nostro sistema ordinamentale, e che - in

detto contesto costituzionale - si colloca il trend normativo che in questi

ultimi anni, a livello sia primario che secondario, si caratterizza per

l’introduzione di numerose prescrizioni orientate all’attuazione dell’obiettivo

delle pari opportunità [si pensi alla formula adottata dal codice delle pari

opportunità ( d. lgs. 198/06) che all’art. 1 comma 4, come modificato dal d.

lgs. n. 5/2010 di attuazione della direttiva comunitaria 2006/54/CE,

stabilisce che l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra

donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione,

a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi e di regolamenti, ma anche

nell’adozione di atti amministrativi e in tutte le attività politiche ed

amministrative];

D) ciò, in particolare è avvenuto con lo Statuto del Comune di Roma che, a

differenza di altri statuti comunali che si limitano all’enunciazione di principi

o intenti programmatici, in particolare, all’art. 5 stabilisce, al primo comma,

che "nei casi in cui il Sindaco e il Consiglio Comunale debbano nominare o

designare, ciascuno secondo le proprie competenze, rappresentanti in enti,

istituzioni, ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i nominati

è garantita la equilibrata presenza di uomini e donne …" e al terzo comma

che " nel nominare i componenti della Giunta Comunale, i responsabili degli

uffici e dei servizi nonché nell’attribuire e definire gli incarichi dirigenziali e

quelli di collaborazione esterna, il Sindaco assicura una presenza equilibrata

di uomini e donne, motivando le scelte con riferimento al principio di pari

opportunità";

E) conseguentemente contrasta sia con l’art. 51 Cost. che con l’art. 5 dello

statuto di Roma Capitale (secondo cui "nei casi in cui il Sindaco e il Consiglio

Comunale debbano nominare o designare, ciascuno secondo le proprie competenze,

rappresentanti in enti, istituzioni, ovvero in altri organismi gestori di servizi pubblici, fra i

nominati è garantita la equilibrata presenza di uomini e donne …") e che costituisce

precetto pienamente vincolante e inderogabile dal Sindaco nella nomina dei

componenti della Giunta, la delibera con la quale è stata nominata la Giunta

del Comune di Roma, nella quale un sesso ha il 92% della rappresentanza e

l’altro soltanto l’8%;

F) più in particolare e nello specifico la motivazione delle delibera di nomina

della G.M. di Roma è erronea nella parte in cui afferma il carattere non

cogente della disposizione di statuto, inadeguata nella parte in cui si pretende

di individuare nella composizione del Consiglio Comunale, e nei rapporti

della rappresentanza dei generi ivi realizzati, il parametro esterno di raffronto

e di verifica dell’assicurato equilibrio della presenza dei generi nella Giunta,

considerato che l’equilibrio deve essere garantito dal Sindaco nelle

determinazioni rimesse alla sua competenza, deve essere riferito, per quanto

riguarda la Giunta, esclusivamente alla sua composizione, e deve risultare da

un apprezzamento ponderato di profili quantitativi e qualitativi nel senso

delineato.

In conclusione:

l’elemento numerico rimane prioritario, atteso che un’equilibrata ripartizione

delle cariche sul piano quantitativo fra uomini e donne costituisce infatti la

modalità ordinaria di conformazione delle scelte del Sindaco al parametro

statutario dell’equilibrio di genere;

tuttavia, nella richiamata prospettiva funzionale, nel caso di squilibrio sul

piano quantitativo della rappresentanza dei sessi, il conseguimento

dell’obiettivo dell’equilibrio di genere può passare anche per

l’apprezzamento, sul piano qualitativo e sostanziale, del ruolo e delle

funzioni riconosciute al sesso minoritariamente rappresentato in seno ai

diversi organismi, e quindi della misura e della rilevanza dell’apporto

collaborativo prestato da ciascuno dei generi all’attività complessiva del

soggetto collegiale;

in altri termini, a fronte di una squilibrata rappresentanza dei generi sul piano

numerico o quantitativo, potrà comunque ritenersi raggiunto l’equilibrio

soltanto nel caso di conferimento al genere scarsamente rappresentato di

ruoli o funzioni il cui rilievo sostanziale e funzionale sia tale, secondo logicità

e ragionevolezza, da compensare il gap numerico;

proprio in ragione del fatto che il parametro dell’equilibrio di genere non è

riconducibile soltanto al dato numerico e assume connotati sostanziali che

possono rimandare alla rilevanza dei ruoli e delle funzioni, implicando un

apprezzamento di carattere sostanziale analogo a quello tipico delle scelte

amministrative , anche di spiccata caratterizzazione politica (come, è

appunto quella della nomina degli assessori comunali) con riguardo ad altri

parametri di legittimità sostanziale , lo statuto rimette al Sindaco il giudizio

sull’equilibrata composizione della Giunta e il compito, quindi, di attuazione

della presenza equilibrata dei sessi;

la motivazione della scelta effettuata deve allora estrinsecare i confini

dell’apprezzamento operato e del giudizio conseguente e deve, ovviamente,

rispondere a canoni di razionalità, logicità e ragionevolezza, prestandosi

sotto siffatti profili al sindacato giurisdizionale di legittimità;

emerge quindi con chiarezza come, a fronte di una squilibrata composizione

della Giunta sul piano numerico, secondo la disposizione statutaria in esame,

il Sindaco non possa limitarsi ad esplicitare le ragioni per le quali non sia

riuscito a garantire l’equilibrata presenza di entrambi i generi ( come pure

sostenuto in qualche isolata pronuncia giurisprudenziale), quasi come se il

parametro normativo fosse derogabile per ragioni politiche e l’onere

motivazionale si risolvesse nella individuazione di ragionevoli giustificazioni

dello squilibrio dei generi ( ove, peraltro, sarebbe difficile immaginare

ragionevoli ostacoli oggettivi a nomine che tengano anche conto della

valorizzazione delle diversità di genere).

Nello stesso solco argomentativo TAR Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011 n.

1427 e 7 giugno 2010 n. 12668

IN SENSO OPPOSTO: TAR Lombardia, Sez. I, 4 febbraio 2011 n. 354

Sulla portata dell’art. 51 Cost.:

A) va premesso che il modello delineato dall’Assemblea Costituente, così come,

poi, modificato nel corso degli anni, pur postulando il principio generale di

eguaglianza sostanziale fra uomini e donne nella vita sociale, culturale,

economica e politica e dunque anche nell’accesso agli uffici pubblici e alle

cariche elettive, non garantisce la composizione equilibrata di entrambi i

sessi negli organi collegiali. Tanto si ricava, essenzialmente, dai risultati cui è

giunta la Consulta all’esito dello scrutinio di molteplici fattispecie sottoposte

alla sua attenzione e dalle decisioni che ne sono scaturite;

B) in particolare la Corte costituzionale, con la sentenza 12 settembre 1995 n.

422, seppure ha affermato il contrasto con i parametri costituzionali di cui

agli artt. 3 e 51 della norma di legge che imponga nella presentazione delle

candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione

del sesso dei candidati, ha affermato che il Legislatore è certamente

legittimato ad adottare misure legislative, volutamente diseguali, per

eliminare situazioni di inferiorità sociale ed economica, o, più in generale,

per compensare e rimuovere le disuguaglianze materiali tra gli individui,

quale presupposto del pieno esercizio dei diritti fondamentali, comprese

quelle che, in vario modo, ha adottato per promuovere il raggiungimento di

una situazione di pari opportunità fra i sessi, ma tali misure legislative non

possono, tuttavia, incidere direttamente sul contenuto stesso di quei

medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in

quanto tali. E’ stato, infatti, statuito che "in tema di diritto all'elettorato passivo, la

regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell'art. 51, è

quella dell'assoluta parità, sicché ogni differenziazione in ragione del sesso non può che

risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto

concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si

ritiene svantaggiato";

C) tali misure, quindi, non si proporrebbero di rimuovere gli ostacoli che

impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì

costituirebbero in realtà nuove, inaccettabili discriminazioni come rimedio a

quelle in passato patite, attribuendo loro direttamente quei risultati: la

ravvisata disparità di condizioni, in breve, non verrebbe rimossa, ma

costituirebbe solo il motivo che legittima una tutela preferenziale in base al

sesso, risultato che l’art. 51 della Costituzione espressamente esclude;

D) successivamente la Corte, con la sentenza 13 febbraio 2003 n. 49, ha

espressamente riconosciuto che il quadro costituzionale di riferimento medio

tempore si è evoluto rispetto a quello in vigore all'epoca della decisione n.

422/1995, grazie alla legge costituzionale n. 3 del 2001 che, integrando gli

statuti delle Regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito

alle leggi elettorali regionali il compito di promuovere "condizioni di parità

per l'accesso alle consultazioni elettorali" proprio "al fine di conseguire

l'equilibrio della rappresentanza dei sessi";

E) tuttavia anche in tale decisione, che ha in ogni caso esclusivamente ad

oggetto l’accesso alle consultazioni elettorali e dunque attiene alla

formazione delle liste da parte dei partiti, si precisa che il modello non ha

valenza costrittiva, ma solo di promozione dell’auspicabile parità fra i sessi;

F) in ordine ai limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale (tenuto conto, da

ultimo, della sentenza 14 gennaio 2010 n. 4, emessa successivamente alla

modifica dell’art. 51 della Costituzione con la Legge costituzionale 30

maggio 2003 n. 1), all’introduzione di strumenti normativi specifici per

realizzare il riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica, la Corte trae

coerenti conseguenze, chiarendo che va affermata la natura non precettiva

delle disposizioni contenute negli Statuti delle Regioni;

G) ulteriore ostacolo alla considerazione in termini di precettività della norma

contenuta nell’art. 51 Cost. proviene dall’indiscutibile natura fiduciaria delle

nomine di cui si discute.

Seguono:

TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 19 luglio 2010 n. 8690

una associazione non riconosciuta è legittimata ad impugnare la

determinazione del Sindaco relativa alla nomina della Giunta municipale,

sotto il profilo che non è stata rispettata la c.d. "quota rosa", nel caso in cui

lo Statuto dell’associazione medesima includa fra gli scopi della stessa la

tutela delle pari opportunità in campo sociale, politico e culturale, di talché

l'associazione stessa è portatrice di un interesse istituzionale - coincidente

con l’oggetto del ricorso - che ne differenzia la posizione rispetto al

contenuto ed agli effetti del provvedimento impugnato;

è illegittima la determina del Sindaco che prevede la nomina dei componenti

della Giunta municipale tutti di sesso maschile, per omesso rispetto delle

norme in materia di pari opportunità e/o delle c.d. "quote rosa", che

assicurano una adeguata rappresentanza alle donne, nel caso in cui lo statuto

dell’ente locale preveda espressamente che, nella nomina degli assessori

componenti l’esecutivo comunale, deve essere assicurata la presenza di

uomini e donne in misura non inferiore al 20%; infatti, una simile

disposizione statutaria ha valore precettivo, diretto ed immediato, quanto

alla presenza di una quota minima di entrambi i sessi.

TAR Veneto, Sez. I, 9 dicembre 2009 n. 3463

Non è legittimata a proporre il ricorso avverso il decreto del Presidente della

Giunta provinciale di nomina degli assessori provinciali, per omesso rispetto delle

c.d. quote rosa, una associazione che è stata formalmente costituita dopo la

consultazione elettorale, a seguito della quale è stata effettuata la nomina

dell’esecutivo provinciale; in tal caso, infatti, non può ritenersi provata la

legittimazione di tale associazione quale centro esponenziale di interessi lesi dal

provvedimento impugnato, per assenza di prova in merito al radicamento nel

territorio dell’associazione medesima per un certo periodo, non essendo all’uopo

rilevante l’attività precedentemente svolta, in qualità di associazione non

riconosciuta, in quanto non adeguatamente accertabile.

Analogamente TAR Molise, Sez. I, 4 novembre 2009 n. 300

Secondo cui:

la legittimazione ad agire in giudizio in qualità di consiglieri deve ritenersi

limitata alle ipotesi in cui venga in rilievo un’istanza di tutela dello ius ad

officium;

in ogni caso non appare sussistere neppure l’interesse all’impugnativa, atteso

che, in ipotesi di accoglimento del gravame, i ricorrenti, consiglieri ed elettori

di sesso maschile, non potrebbero trarne alcuna concreta utilità giuridica,

essendo loro preclusa la possibilità di aspirare a nomine riservate a soggetti

di sesso femminile.

TAR Puglia, Bari, Sez. I, 22 ottobre 2009 n. 2443

E’ illegittimo il decreto di nomina degli assessori - tutti di sesso maschile - di una

Giunta municipale, adottato in violazione della previsione dello Statuto comunale

(secondo cui "la Giunta…è composta fino ad un massimo di sei Assessori,…nominati tra i

componenti del Consiglio Comunale o tra i cittadini, non consiglieri comunali e che abbiano i

requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di Consigliere comunale. Al fine di assicurare

la pari opportunità, nella composizione della Giunta nessuno dei due sessi può essere

rappresentato in misura superiore a tre quarti…"). Tale disposizione statutaria, infatti,

deve ritenersi di natura precettiva e non programmatica e richiede che sia

assicurata la presenza in Giunta di assessori di entrambi i sessi, non essendo

assolutamente sufficiente un semplice "sforzo" teso a raggiungere un simile

risultato; si tratta, pertanto, di una tipica obbligazione "di risultato" e non "di

diligenza" che viene ad integrare un vincolo alla scelta degli assessori e che non

può essere derogata dagli accordi politici

Nello stesso solco argomentativo TAR Puglia, Lecce, Sez. I, (ord.za) 21 ottobre 2009

n. 792 e 23 settembre 2009 n. 740 [secondo la quale la portata precettiva e non

programmatica dell’art. 51 Cost. richiede che sia assicurata la presenza in Giunta di

assessori di entrambi i sessi, non essendo assolutamente sufficiente un semplice

"sforzo" teso a raggiungere un simile risultato; si tratta, pertanto, di una tipica

obbligazione "di risultato" e non "di diligenza" che viene ad integrare un vincolo

alla scelta degli assessori e che non può essere derogata dagli accordi politici (per

effetto dell’accoglimento della domanda di sospensione, è stato nella specie

ordinato al Presidente della Provincia di Taranto di procedere alla modificazione

della composizione della Giunta provinciale, in modo tale da assicurare la presenza

di entrambi i sessi, entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione

dell’ordinanza], TAR Puglia, Bari, Sez. III, 18 dicembre 2008 n. 2913

(necessitando comunque una congrua motivazione che indichi le ragioni

concretamente impeditive dell’attuazione del principio di equilibrio tra i generi),

TAR Puglia, Bari, Sez. III, (ord.za) 12 settembre 2008 n. 474 e TAR Puglia,

Lecce, Sez. I, (ord.za) 6 luglio 2005 n. 680.

LE PROPOSTE DI LEGGE ALL’ESAME DEL PARLAMENTO

All’esame del Parlamento pendono alcune proposte di legge (ora riunite alla

Camera nel testo unificato C. 3466 ed altri) allo scopo di introdurre, in

applicazione dell’art. 51 Cost., “Disposizioni per promuovere il riequilibrio

delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte delle regioni e

degli enti locali”

Esame del testo

Esame delle audizioni

All’esame del Parlamento fu presentato anche un AC 1583 per modificare l’art.

51 Cost. allo scopo di introdurre “il solo principio delle pari opportunità e non

anche quello dell’equilibrata rappresentanza delle cariche politiche ed elettive”.

CONCLUSIONI

Il testo unificato C. 3466 ed altri si muove nel senso indicato dalla Corte

costituzionale nelle più recenti pronunce. Esso introduce misure

antidiscriminatorie volte al riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e

nelle giunte delle regioni e degli enti locali. Operando sulle liste dei candidati, e

dunque in un momento precedente alla consultazione elettorale, permette di

garantire la parità dei sessi senza entrare in collisione con i diritti

costituzionalmente garantiti in materia di elettorato passivo.

Possibili criticità