La politica di formazione professionale in Italia e in ... · Dipartimento di Scienza Politica,...

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1 La politica di formazione professionale in Italia e in Europa: una mappatura di Chiara Agostini Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa” Roma, 20 - 22 Settembre 2012 Università di Bologna, Dipartimento di Scienza Politica, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (CAPP), Via Giacomo della Torre 1, Forlì [email protected] Draft (Si prega di non citare senza lʼautorizzazione dellʼautrice)

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La politica di formazione professionale in Italia e in Europa: una mappatura

di

Chiara Agostini

Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in

Italia e in Europa” Roma, 20 - 22 Settembre 2012

Università di Bologna, Dipartimento di Scienza Politica, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (CAPP), Via Giacomo della Torre 1, Forlì [email protected]

Draft (Si prega di non citare senza lʼautorizzazione dellʼautrice)

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Introduzione Ampia parte della letteratura ha evidenziato come, nel quadro dellʼeconomia della

conoscenza, lʼintegrazione fra istruzione e welfare sia strategica per lo sviluppo e lʼinclusione sociale (Agostini 2012). Nel panorama delle politiche di istruzione, è in particolare la formazione professionale ad assumere un ruolo di primo piano. Questo tipo di offerta formativa infatti: 1) è in grado di garantire una maggiore equità sociale, consentendo lʼacquisizione di un buon livello di competenze professionali anche a chi non accede a percorsi universitari (Iversen e Stephens 2008; Pechar e Andres Lesley 2011); 2) può rappresentare uno strumento strategico in un contesto di crisi economica, grazie al suo stretto legame con il mercato del lavoro (Ertl 2003); 3) consente di combattere la dispersione scolastica (Isfol 2010a) prevenendo fenomeni di esclusione sociale. Ma se da un lato è ormai evidente lʼimpatto positivo che la presenza di adeguati sistemi formativi ha sullʼintegrazione sociale, dallʼaltro, non è chiaro quali siano le caratteristiche della formazione professionale considerata come politica pubblica unitaria. La letteratura e i rapporti di ricerca sullʼofferta di formazione professionale (cfr. riferimenti bibliografici) tendono a proporre analisi circoscritte a singoli settori, concentrandosi ad esempio sulla scuola, sui corsi regionali o sulla formazione offerta dalle imprese. In questo contesto, lʼobiettivo generale del lavoro è quello di capire se sia possibile parlare di una politica di formazione professionale per se.

Peculiare della formazione professionale è la trasversalità rispetto a differenti settori policy quali: lʼistruzione, il welfare, le relazioni industriali, lo sviluppo economico e il lavoro. Questo elemento sembra ostacolare lo sviluppo di una politica pubblica a se stante, univoca e con un quadro istituzionale comune a tutti i sotto-settori. La formazione professionale sembra allora riflettere interventi differenziati che non danno luogo ad una politica coerente e non sono mossi da una logica condivisa. Un ulteriore elemento di frammentazione di questa politica è poi ascrivibile al ruolo svolto dallʼUE in questo settore. Muovendo da queste considerazioni il lavoro si propone di mappare la formazione professionale per individuarne le caratteristiche e i confini. La mappatura è sviluppata in maniera binaria considerando, da un lato, la governance europea dellʼistruzione, oltre che della formazione professionale (Agostini e Capano 2012) e, dallʼaltro, ricostruendo il quadro dellʼofferta formativa che caratterizza il nostro paese.

La prima parte del lavoro indaga le azioni e le strategie promosse dallʼUE con lʼobiettivo di capire come questa politica è stata interpretata a livello europeo, se lʼUE ne ha definito i confini e se ne ha promosso uno sviluppo coerente. Questa prima parte del lavoro si concentra in particolare 1) sul Fondo Sociale Europeo, che ha finanziariamente sostenuto - e continua a sostenere - lo sviluppo della formazione professionale; 2) sulla Strategia di Lisbona prima ed Europa 2020, che hanno evidenziato il ruolo strategico dellʼistruzione in generale e non solo della formazione professionale; 3) sul processo di Copenaghen, che ha dato vita allo sviluppo di un coordinamento europeo nel caso specifico della formazione professionale; 4) sul lavoro di definizione della formazione professionale realizzato attraverso la pubblicazione di glossari da parte di agenzie della Commissione Europea.

La seconda parte del lavoro si concentra invece sullʼofferta di formazione professionale in Italia. In questo caso, lʼobiettivo è quello di capire se esiste una politica di formazione professionale o se al contrario allʼinterno di questo settore si ritrovano tante diverse policies strutturate differentemente tra loro. In linea con la distinzione proposta a livello europeo fra formazione professionale “iniziale” e “continua” questa parte del lavoro è articolata in due sotto-sezioni. La prima si focalizza sulla formazione iniziale e, dopo una breve presentazione

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dei differenti corsi che rientrano in questa categoria, propone un approfondimento su due tipologie di offerta formativa: 1) la formazione professionale erogata nellʼambito del diritto/dovere allʼistruzione; 2) lʼalta formazione professionale. La seconda sotto-sezione è invece dedicata allʼofferta di formazione continua e, dopo aver chiarito le differenze fra ciò che in Italia e in Europa si intende con questo termine, lʼanalisi si concentra su: 1) la formazione professionale offerta dalle imprese; 2) la formazione permanente (Lifelong learning).

Il paper si chiude con alcune riflessioni preliminari sulla natura della policy di formazione professionale in Italia e in Europa. Queste riflessioni portano allʼemersione di una domanda relativa alla formazione professionale in Italia: si tratta di una politica nazionale sottoposta a un processo di europeizzazione, o piuttosto della declinazione nazionale di una politica europea?

1. La governance europea della formazione professionale Il Trattato di Roma del 1957 ha previsto che il Consiglio – su proposta della Commissione

Europea e previa consultazione del Comitato Economico e Sociale – definisse i principi generali per lʼattuazione di una politica comune di formazione professionale (articolo 128). Questa previsione distingue la formazione professionale dallʼistruzione generale per la quale le competenze dellʼUE sono più limitate. Contrariamente allʼistruzione generale, la formazione professionale è stata infatti tradizionalmente considerata in relazione ai processi di integrazione economica e alla libera circolazione dei lavoratori. Tuttavia, la forte sensibilità nazionale in tema di istruzione ha sostanzialmente impedito lʼimplementazione dellʼarticolo 128. I paesi membri infatti non hanno considerato come vincolanti i principi generali definiti a livello comunitario. Inoltre, fino agli anni settanta la formazione professionale non è stata considerata come un settore prioritario. Solo con la crisi petrolifera del 1973, e con la conseguente crescita della disoccupazione giovanile, la formazione professionale è stata interpretata come uno strumento strategico per la ripresa dellʼeconomia (Ertl 2003, 2006; Pépin 2006, 2007).

In questo quadro differenti interventi dellʼUnione hanno segnato il progressivo rafforzamento della cooperazione in materia di istruzione e formazione (generale e professionale) e hanno dato vita ad una politica europea in questo settore. Nelle pagine che seguono la politica dellʼistruzione e della formazione promossa dallʼUE è ricostruita considerando: 1) Il Fondo Sociale Europeo, 2) La strategia di Lisbona e la Strategia Europa 2020; 3) il processo di Copenaghen; 4) i differenti tipi di formazione professionale definiti dallʼUE. 1.1. Il Fondo sociale europeo

Fin dalle sue origini ampia parte dei finanziamenti provenienti dal Fondo Sociale Europeo (FSE) sono stati destinati alla formazione professionale. Nonostante lʼarticolo 128 del Trattato rimanesse sostanzialmente inattuato, nel 1968 il 92% del FSE era destinato a programmi di riqualificazione professionale (Moodie 2008, p. 96). Per questa ragione, il FSE ha avuto - e ha ancora - un ruolo di primo piano nello sviluppo di questo settore in molti paesi membri.

In tempi più recenti, e in particolare con la fase di programmazione 2000/2006, il FSE ha anche contribuito a ridefinire il ruolo della formazione professionale nel quadro delle politiche di welfare. In questi anni, infatti, il FSE è stato considerato come strumento di supporto alle

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politiche di lotta alla disoccupazione piuttosto che come mero finanziatore di progetti. Questa fase è stata quindi caratterizzata dallʼintegrazione dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro. Per la programmazione 2000/2006, il 32% delle risorse è stato indirizzato allo sviluppo delle politiche attive, un ulteriore 32% è stato finalizzato alla creazione e al supporto del Lifelong Learning, a cui segue un 21% destinato allʼadattabilità1 dei lavoratori e delle imprese ai mutamenti economici e sociali, e quindi alla formazione del personale presso le imprese (Isfol 2005)2.

La programmazione 2007/2013 ha poi sostanzialmente confermato il sostegno alla formazione professionale. Anche per il 2014/2020 la strategia proposta (che nei prossimi mesi sarà oggetto di negoziazione fra Commissione e paesi membri) ha rinnovato lʼimpegno verso la formazione professionale. In questo caso sono tuttavia individuabili alcune differenze rispetto alla programmazione precedente. Per il 2014/2020 manca infatti un obiettivo esplicitamente dedicato alla questione dellʼadattabilità. Questʼultima è tuttavia individuata come priorità di investimento nellʼobiettivo “occupazione e mobilità professionale”, allʼinterno del quale, con una formulazione piuttosto generica, si fa riferimento a ”lʼadattamento dei lavoratori delle imprese e degli imprenditori ai cambiamenti”. Nellʼobiettivo “Istruzione, competenze e formazione permanente” è stata poi inserita una priorità di investimento dedicata alla formazione permanente e allʼaggiornamento delle competenze. In termini generali, nellʼimpostazione del nuovo regolamento il tema della formazione presso le imprese tende a perdere terreno rispetto a un più ampio approccio di lifelong learning.

1.2. La Strategia di Lisbona e la Strategia Europa 2020

Lisbona ed Europa 2020 hanno progressivamente valorizzato il ruolo dellʼistruzione e della formazione nello sviluppo economico. Queste strategie non hanno affrontato in maniera diretta la questione della formazione professionale, ma hanno piuttosto definito il ruolo strategico che lʼistruzione e la formazione in generale possono giocare nel quadro dellʼeconomia della conoscenza.

Considerando lʼevoluzione storica della cooperazione europea (Higel 2001; Pépin 2006) la Strategia di Lisbona ha segnato lʼinizio di una fase in cui lʼistruzione e la formazione sono strettamente connesse alle politiche economiche e sociali dellʼUE. Ponendo lʼistruzione e la formazione al proprio centro, la Strategia di Lisbona mirava a fare dellʼUE lʼeconomia della conoscenza più dinamica e competitiva del mondo (Consiglio Europeo, 2000). In questo quadro, il coordinamento europeo ha avuto inizio con una decisione del Consiglio che ha definito gli obiettivi futuri dei sistemi di istruzione e formazione (Consiglio dellʼUnione Europea 2001). Successivamente, il programma di lavoro “Istruzione e Formazione 2010” (Consiglio UE 2002) ha definito il primo solido framework per la cooperazione europea e ha introdotto il metodo aperto di coordinamento in questo settore.

“Istruzione e Formazione 2010” ha fissato tre obiettivi strategici: 1) migliorare la qualità e lʼefficienza dei sistemi di istruzione e formazione; 2) facilitare lʼaccesso allʼistruzione e alla formazione; 3) aprire i sistemi di istruzione e formazione al mondo (Consiglio dellʼUnione Europea 2002). Nel 2009, la cooperazione è stata rinnovata con il programma “Istruzione e Formazione 2020” che ha aggiornato gli obiettivi strategici: 1) fare del lifelong learning e della 1 A livello europeo la “adattabilità” è definita come “la capacità di unʼorganizzazione o di un individuo di adattarsi alle nuove tecnologie, alle nuove condizioni di mercato e ai nuovi sistemi di lavoro” (Cedefop 2008 p. 23). 2 Le risorse rimanenti sono destinate rispettivamente alle pari opportunità (10%) e allʼinclusione sociale (5%).

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mobilità una realtà; 2) migliorare la qualità e l'efficacia dell'istruzione e della formazione; 3) promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva; 4) incoraggiare la creatività e l'innovazione, inclusa l'imprenditorialità, a tutti i livelli di istruzione e formazione (Consiglio dellʼUnione Europea 2009).

Sia per il 2010 che per il 2020, il programma “Istruzione e Formazione” ha fissato cinque benchmarks finalizzati alla misurazione dei risultati ottenuti nel corso del tempo. Per il 2010, gli obiettivi erano: 1) la percentuale media di abbandoni scolastici non deve essere superiore al 10%; 2) il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie deve aumentare almeno del 15%, e al contempo dovrebbe diminuire lo squilibrio tra i sessi; 3) almeno l'85% della popolazione ventiduenne deve completare un ciclo di istruzione secondaria superiore; 4) la percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura deve diminuire almeno del 20% rispetto al 2000; 5) la partecipazione all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning) deve riguardare almeno il 12,5% della popolazione adulta in età lavorativa (Consiglio dellʼUnione Europea 2003). Entro il 2020 invece: 1) una quota di almeno il 15% degli adulti deve partecipare a programmi di lifelong learning; 2) la percentuale dei quindicenni con risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze deve essere inferiore al 15 %; 3) la percentuale di persone tra i 30 e i 34 anni in possesso di un diploma d'istruzione superiore deve essere almeno del 40%; 4) la percentuale di giovani che abbandonano prematuramente l'istruzione e la formazione deve essere inferiore al 10%; 5) almeno il 95% dei bambini, di età compresa fra i 4 anni e lʼetà prevista per lʼinizio dellʼistruzione primaria obbligatoria, deve partecipare all'istruzione della prima infanzia. (Consiglio dellʼUnione Europea 2009).

La Strategia di Lisbona è formalmente finita nel giugno del 2010 con lʼadozione da parte del Consiglio Europeo della nuova Strategia Europa 2020 (Frazer, et.al. 2010; Vanhercke 2011), che ha ulteriormente rafforzato il ruolo strategico dellʼistruzione e della formazione. Nel quadro della nuova strategia, il Consiglio Europeo ha fissato cinque “headline targets” (Consiglio Europeo 2010) che devono essere trasformati in obiettivi nazionali divenendo parte dei programmi di riforma nazionali. Uno degli headline targets riguarda il miglioramento dei livelli di istruzione e formazione attraverso la riduzione degli abbandoni scolastici (al di sotto del 10%) e lʼaumento del numero di laureati (40% per la classe 30-34 anni). Il Consiglio ha poi adottato dieci “integrated guidelines”, una delle quali riguarda il miglioramento delle performance dei sistemi di istruzione e formazione professionale a tutti i livelli e la crescita della partecipazione alla formazione di terzo livello (Consiglio dellʼUnione Europea 2010).

Con lʼobiettivo di migliorare il coordinamento della politica economica, di rafforzare la disciplina di bilancio, la stabilità economica e la crescita, il Consiglio ha infine introdotto il “Semestre Europeo”. In linea con questa nuova procedura, a luglio di ogni anno la Commissione e il Consiglio forniscono raccomandazioni ai paesi membri in vista della definizione, da parte loro, delle risorse finanziare disponibili per lʼanno successivo. Il Semestre Europeo e, più in generale, Europa 2020 hanno significativamente rafforzato il coordinamento in materia di istruzione e formazione. Le politiche nazionali sono ora costantemente monitorate, sono parte delle “integrated guidelines” e degli “headline targets”, possono essere oggetto di specifiche raccomandazioni. Un processo di questo tipo non era presente nel quadro della Strategia di Lisbona nel quale il coordinamento europeo era realizzato solo attraverso lʼimplementazione del programma “Istruzione e Formazione 2010”.

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1.3. Il processo di Copenaghen Nel 2002, la dichiarazione di Copenaghen - sottoscritta da trentuno Ministri nazionali

della formazione professionale e dalla Commissione europea - ha dato vita a un processo di cooperazione volontaria che riguarda specificatamente la formazione professionale. La dichiarazione di Copenaghen ha fissato quattro obiettivi: 1) rafforzare la dimensione europea della formazione professionale, 2) fornire maggiore informazione, orientamento, consulenza e trasparenza in materia di formazione professionale; 3) sviluppare strumenti per il reciproco riconoscimento e la convalida delle competenze e delle qualifiche; 4) migliorare la garanzia della qualità della formazione professionale.

Successivamente alla dichiarazione di Copenaghen, gli incontri biennali fra la Commissione, i Ministri e le parti sociali hanno portato allʼelaborazione di communiqué volti a valutare i progressi ottenuti e a definire gli obiettivi di breve periodo in questo settore. I communiqué di Maastricht (2004), Helsinki (2006) e Bourdeaux (2008) hanno sostanzialmente riaffermato il ruolo chiave della formazione professionale e la necessità di definire strumenti europei comuni, anche attraverso lʼinclusione degli obiettivi connessi alla Strategia di Lisbona. Nel 2010, il Bruges communiqué ha invece definito gli obiettivi di lungo periodo per lʼarco temporale compreso fra il 2011 e il 2020. In linea con una precedente comunicazione della Commissione (2010), la formazione professionale è stata chiamata a contribuire al raggiungimento degli obiettivi definiti nel quadro di Europa 2020.

Dallʼavvio del processo di Copenaghen a oggi, sono stati istituiti quattro differenti strumenti. Il primo è lʼEuropean Qualification Framework (EQF) che permette di comparare e standardizzare le qualifiche professionali per il quale i paesi membri stanno attualmente definendo i propri National Qualification Frameworks (NQFs). Il secondo è lʼEuropean Credit Sistem for Vocational Education and Training (ECVET) che consente di accumulare e trasferire i crediti formativi da un sistema di certificazione allʼaltro favorendo la mobilità e una migliore compatibilità e comparabilità fra i sistemi di certificazione. Il terzo è lʼEuropean Quality Assurance Framework per lʼistruzione e la formazione professionale (EQUAVET) che aiuta i paesi membri a sviluppare e a migliorare i propri sistemi di valutazione della qualità della formazione professionale. Il quarto è lʼEUROPASS che è dato da una serie di documenti volti a sostenere la mobilità dei lavoratori (Cedefop 2007, 2010, 2011a).

1.4. La definizione di formazione professionale promossa dallʼUnione Europea La formazione professionale tende a riflettere una varietà di interventi estremamente

differenti sia fra i paesi membri che allʼinterno dei confini di ciascuno di essi. Per questa ragione il lavoro di definizione e classificazione dellʼofferta formativa, realizzato attraverso la pubblicazione di alcuni glossari da parte di agenzie della Commissione (ETF 1997; Cedefop 2004, 2008, 2011b; Eurydice 2009), rappresenta un elemento fondamentale della politica europea di formazione professionale.

La vocational education and training (VET) è definita come un particolare tipo di istruzione e formazione professionale finalizzata allʼacquisizione del know-how, delle abilità, delle competenze, delle conoscenze necessarie a svolgere determinate professioni o, più in generale, a soddisfare le richieste sul mercato del lavoro (ETF 1997; Cedefop 2008, 2011b). La formazione professionale viene poi distinta in “iniziale” quando precede lʼinserimento nel mercato del lavoro e “continua” quando è successiva allʼingresso nel mercato del lavoro o segue alla conclusione del ciclo di formazione professionale iniziale. La formazione

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permanente (lifelong learning) riguarda invece qualsiasi attività di apprendimento intrapresa nelle varie fasi della vita.

Tabella 1. I principali tipi di formazione professionale

Istruzione e formazione Iniziale

Istruzione e formazione di carattere generico o professionale erogata nellʼambito del sistema dʼistruzione di base, di norma prima dellʼingresso nel mondo del lavoro. Note: a) alcuni programmi di formazione intrapresi dopo lʼinizio dellʼattività lavorativa possono essere considerati formazione iniziale (per esempio, la riqualificazione); b) lʼistruzione e formazione iniziale può interessare qualsiasi livello dellʼiter scolastico generico o professionale (formazione di tipo scolastico a tempo pieno o formazione in alternanza) o dellʼapprendistato.

Istruzione e formazione continua

Istruzione o formazione successiva al ciclo dʼistruzione e formazione iniziale (o allʼingresso nel mondo del lavoro) il cui scopo è aiutare le persone a: a) migliorare o aggiornare le proprie conoscenze e/o competenze; b) acquisire nuove competenze per lʼavanzamento professionale o la riqualificazione; c) proseguire il proprio sviluppo personale o professionale. Nota: lʼistruzione e formazione continua rientra nellʼambito dellʼapprendimento lungo tutto lʼarco della vita e può comprendere qualsiasi tipo dʼistruzione (generica, specialistica o professionale, formale o non formale, ecc.) È di fondamentale importanza per lʼoccupabilità delle persone.

Istruzione e formazione lungo tutto lʼarco della vita/ Apprendimento permanente (Lifelong learning)

Qualsiasi attività di apprendimento intrapresa nelle varie fasi della vita al fine di migliorare le conoscenze, il know-how, le capacità, le competenze e/o le qualifiche in una prospettiva personale, sociale e/o occupazionale.

Fonte: adattato da Cedefop (2008). 2. La formazione professionale in Italia In Italia, la formazione professionale è caratterizzata da un elevato livello di

frammentazione. Questo settore si basa infatti su differenti strumenti, vede protagonisti diversi attori istituzionali e fa riferimento a un quadro legislativo che è costantemente cambiato nel corso degli ultimi anni. In linea con le definizioni elaborate a livello europeo, il quadro dellʼofferta di formazione professionale in Italia (Cedefop, 2011c; Isfol, 2010b; Eurydice, 2010) è stato organizzato distinguendo fra formazione professionale iniziale e continua.

2.1. La formazione professionale iniziale Della formazione professionale iniziale fanno parte la “formazione professionale di

secondo livello”, la “formazione professionale post-secondaria non terziaria” e la “formazione degli adulti”.

La “formazione professionale di secondo livello” si articola in cinque differenti percorsi di studio: a) gli istituti tecnici che, con la sola eccezione del liceo artistico, hanno una durata di cinque anni; b) gli istituti professionali che hanno una durata triennale e possono essere

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seguiti da due ulteriori anni di studio; c) i corsi di formazione professionale iniziale di I livello che hanno durata triennale e permettono il conseguimento di una qualifica regionale; d) i percorsi di apprendistato; e) I percorsi di istruzione e formazione professionale nellʼambito del diritto dovere allʼistruzione e alla formazione,

Della “formazione professionale post-secondaria non-terziaria” fanno invece parte a) i corsi regionali di formazione professionale di II livello, che si rivolgono ai giovani che hanno concluso lʼistruzione secondaria superiore o sono in possesso di una qualifica professionale di base, b) Il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, che prevede programmi di attività realizzati dagli Istituti tecnici superiori (ITS) e i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS).

Infine la “formazione degli adulti” erogata dai Centri territoriali permanenti per lʼeducazione degli adulti (CTP) che si articola in corsi finalizzati allʼassolvimento dellʼobbligo di istruzione, al conseguimento del titolo di scuola secondaria superiore e allʼalfabetizzazione.

Tabella 2. La formazione professionale iniziale

Livello Tipologia

Formazione professionale di secondo livello

Istituti tecnici Istituti professionali Formazione professionale iniziale (FPI) di I livello Percorsi di apprendistato Percorsi di istruzione e formazione professionale nellʼambito del diritto dovere allʼistruzione e alla formazione (IFP)

Formazione professionale post-secondaria non-terziaria

Formazione professionale iniziale (FPI) di II livello Alta formazione professionale: 1) Sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS); 2) Istituti Tecnici Superiori (ITS)

La Formazione degli adulti Centri territoriali permanenti per lʼeducazione degli adulti (CTP)

Le responsabilità istituzionali e gli attori coinvolti nella formazione professionale iniziale

sono piuttosto eterogenei: 1) gli istituti tecnici e professionali sono di competenza del Ministero dellʼIstruzione, dellʼUniversità e della Ricerca (MIUR); 2) i corsi di formazione professionale iniziale (FPI di primo e secondo livello) sono di competenza regionale anche se solitamente implementati grazie ad agenzie locali accreditate. Questi corsi si connettono ai bisogni occupazionali locali e rilasciano qualifiche non definite a livello nazionale; 3) I percorsi di apprendistato coinvolgono invece le regioni, le parti sociali, il Ministero del Lavoro e, nel caso dei percorsi volti a garantire il diritto/dovere allʼistruzione fino al diciottesimo anno di età anche il MIUR; 4) la formazione professionale post-secondaria non-terziaria è di competenza regionale. Questi corsi sono implementati attraverso la cooperazione con differenti attori quali: istituzioni scolastiche, università, agenzie accreditate, esperti del mondo del lavoro. Anche in questo caso i profili professionali sono definiti in accordo con le regioni; 5) I corsi di formazione per gli adulti finalizzati allʼottenimento di un titolo di istruzione obbligatorio sono di competenza del MIUR ma implementati grazie ai centri provinciali per lʼeducazione degli adulti; 6) I percorsi di istruzione e formazione professionale realizzati nellʼabito del diritto/dovere allʼistruzione e alla formazione sono erogati dalle regioni nel rispetto degli standard formativi minimi relativi alle competenze tecnico-professionali che sono definite tramite un Accordo Stato-Regioni (29 aprile 2010).

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a) La formazione professionale nellʼambito del diritto/dovere allʼistruzione (IFP) I percorsi IFP nascono dallʼAccordo Stato-Regioni del 19 giugno del 2003 realizzato in

seguito allʼemanazione della legge 53/2003. Questi corsi sono destinati ai ragazzi fra i 14 e i 17 anni e rappresentano un canale alternativo alla scuola, per lʼassolvimento dellʼobbligo dellʼistruzione e del diritto/dovere allʼistruzione e alla formazione professionale fino al diciottesimo anno di età3. I corsi IFP hanno durata triennale e prevedono attività attinenti la formazione culturale generale e le aree professionali specificatamente interessate (Isfol, 2011).

I dati resi disponibili dallʼIsfol (2012a) evidenziano un trend di crescita che ha visto aumentare di sette volte in sette anni il numero di iscritti (da 23.562 nel 2003-2004 si passa a 179.054 nel 2010-2011). Nellʼanno scolastico 2010/2011 lʼIFP ha raccolto il 7,9% del totale della popolazione fra i 14 e i 17 anni, configurandosi come un settore formativo consistente e in espansione. Il sistema IFP si articola in corsi erogati attraverso le istituzioni scolastiche (35,7%) o mediante agenzie formative (64,3%). Oltre il 78% dei qualificati nel 2010 si trova nel nord del paese, dove lʼofferta risulta più ampia ed è erogata prevalentemente da organismi formativi accreditati e non statali. Nellʼanno 2008/2009 il numero dei qualificati è stato pari a 27.246 di cui lʼ85% qualificati presso agenzie formative e il 15% presso istituti scolastici. Considerando le figure professionali, quelle più desiderate sono il “tecnico dei trattamenti estetici”, il “tecnico di cucina”, il “tecnico elettrico”, il “tecnico di impresa”.

Tabella 3. I corsi IFB e gli iscritti per area geografica e per ente erogante, anno 2010/2011

Area geografica Istituzioni

formative di IFP

Istituzioni scolastiche

di IFP Totale

Iscritti presso

istituzioni formative di

IFP

Iscritti presso

istituzioni scolastiche

di IFP

Totale

Nord-ovest 2.630 828 3.458 50.261 17.560 67.821 Nord-est 2.024 269 2.293 38.256 5.262 43.518 Centro 585 847 1.432 11.879 19.328 31.207 Sud e isole 838 564 1.402 14.817 21.691 36.508 Totale 6.077 2.508 8.585 115.213 63.841 179.054

Fonte: Isfol (2012a) La prima ricerca sugli esiti formativi e occupazionali dei giovani qualificati nei percorsi

triennali (Isfol 2011) ha evidenziato dei buoni risultati, sia rispetto al recupero dellʼapprendimento dei giovani demotivati dai percorsi scolastici tradizionali, sia rispetto allʼinserimento lavorativo. Il 73% dei partecipanti ai corsi IFP è stato precedentemente iscritto alla scuola secondaria superiore e in alcuni casi la partecipazione a questi corsi ha rappresentato lʼultima occasione per non uscire dai canali scolastici e formativi. Lʼindagine rileva poi lʼelevato gradimento per questo tipo di formazione espresso dai partecipanti. Lʼ85% 3 In Italia, lʼistruzione obbligatoria ha una durata di dieci anni (dai sei ai sedici anni) e include il primo ciclo di istruzione e i primi due anni della scuola secondaria superiore o un percorso di tre-quattro anni di formazione professionale. Dopo i sedici anni è riconosciuto il diritto-dovere allʼistruzione e alla formazione fino ai diciotto anni ed è possibile: 1) completare la scuola superiore, 2) acquisire una qualifica professionale attraverso la partecipazione a corsi di formazione professionale (di competenza regionale) della durata di tre o quattro anni, 3) seguire un percorso di apprendistato.

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ha infatti affermato che si iscriverebbe nuovamente ai percorsi e il voto medio dato allʼesperienza formativa – in una scala da 1 a 10 – è di 8,3. Questi corsi sembrano poi favorire un “effetto traino” rispetto alla volontà di proseguire la propria formazione. Subito dopo la qualifica il 36% dei giovani ha gli studi partecipando: al IV anno di formazione professionale (68,1%), alla formazione professionale di secondo livello (18,4%), alla scuola superiore (9,3%), o ad altri corsi di studio (4,1%). Per quanto riguarda invece gli esiti occupazionali, lʼindagine evidenzia lʼefficacia dei percorsi di IFP. Un anno dopo il termine del percorso formativo è occupato il 70% degli allievi formatesi presso le agenzie formative e il 50% degli allievi delle scuole. Due anni dopo aver terminato il percorso, la percentuale sale invece allʼ85% nel caso dei qualificati presso le agenzie formative e al 78% nel caso degli allievi delle scuole. Lʼoccupazione trovata è inoltre piuttosto stabile (il 57% degli intervistati ha dichiarato infatti di aver mantenuto la stessa occupazione fino al momento dellʼintervista, realizzata dopo circa tre anni dal conseguimento della qualifica) e nella maggior parte dei casi (64%) è anche in linea con il percorso formativo realizzato.

Le Linee guida dellʼintesa del 16 dicembre 2010 (frutto del lavoro interistituzionale che coinvolge il Ministero del lavoro e quello dellʼeducazione, le regioni e le province) hanno definito il raccordo fra formazione professionale regionale e statale. In questo quadro, particolare rilevanza è stata assunta dalla possibilità, per gli istituti professionali (IP) di svolgere, sulla base del principio di sussidiarietà e nel rispetto delle competenze delle regioni, due tipologie di offerta di IFP: 1) lʼ”offerta sussidiaria integrativa” in linea con la quale gli studenti iscritti ai corsi quinquennali hanno possibilità di acquisire, alla fine del terzo anno, anche la qualifica professionale; 2) lʼ”offerta sussidiaria complementare” per la quale sarà possibile conseguire qualifiche IFP presso apposite classi attivate negli IP statali. Grazie a tale intesa gli IP possono quindi rilasciare titoli del sistema IFP. Le linee guida intendono inoltre favorire la verticalizzazione dei percorsi di formazione professionale. In linea con questo obiettivo hanno previsto la possibilità, per i giovani che hanno seguito un percorso quadriennale IFP, di accedere allʼuniversità o agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) dopo aver frequentato un corso annuale di competenza regionale (Isfol 2012a; 2012b).

b) Lʼalta formazione professionale (IFTS – ITS) Questo tipo di formazione professionale risponde allʼesigenza di realizzare unʼofferta

formativa post-secondaria alternativa ai canali universitari. La formazione tecnica superiore si caratterizza per la presenza di alcuni tratti peculiari che la distinguono dai percorsi accademici e riguardano ad esempio il maggior legame con il mercato del lavoro e lo sviluppo di competenze chiaramente identificabili (Pellerey 2009). Alla fine degli anni novanta la nascita dellʼalta formazione professionale ha risposto a una serie di obiettivi specifici riguardanti: 1) lʼampliamento e la diversificazione dellʼofferta post-secondaria; 2) il contrasto al fenomeno dellʼabbandono o dellʼinsuccesso dei percorsi universitari; 3) la verticalizzazione del sistema di formazione professionale attraverso la costruzione di una filiera in cui - previo lʼaccertamento di determinate competenze - lʼaccesso è garantito anche a chi è sprovvisto di un titolo di studio di scuola secondaria superiore; 4) la promozione di una maggiore qualificazione delle forze lavoro attraverso lʼacquisizione di competenze tecniche di alto livello; 5) il sostegno al sistema produttivo nel passaggio da unʼeconomia manifatturiera a basso contenuto tecnologico a unʼeconomia basata sui servizi; 6) lʼinserimento dei giovani nel mercato del lavoro, attraverso la formazione di figure professionali fortemente ancorate ai bisogni formativi locali e nazionali (Torchia 2009).

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Lʼalta formazione professionale nasce con la legge n. 144 del 17 maggio 1999 che ha istituito i percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS). Tali percorsi sono stati successivamente regolamentati dal Decreto Interministeriale n. 436 del 31 ottobre del 2000. Nel 2004, il Ministero dellʼistruzione e quello del Lavoro hanno poi stipulato un accordo con le regioni e gli enti locali (per il periodo 2004/2006) volto allʼistituzione dei “Poli Formativi” riferiti a specifici settori produttivi. La Legge Finanziaria del 2007 ha invece previsto la riorganizzazione del sistema degli IFTS. Nel 2008 le Linee Giuda (Decreto Presidente del Consiglio del 25 gennaio) hanno poi definito due distinti canali di istruzione e formazione tecnica superiore: gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) e gli IFTS (riproposti in una veste rinnovata).

Nellʼarco di un decennio si è quindi passati dallʼesigenza di definire un canale di formazione post-secondaria non accademica, già presente in altri paesi europei, allʼistituzione di un duplice canale di alta formazione tecnica. Gli IFTS e gli ITS condividono macro obiettivi comuni che riguardano: a) la garanzia di interventi formativi fortemente ancorati ai fabbisogni territoriali; b) lʼofferta di percorsi formativi individualizzati; c) la promozione della partecipazione anche di adulti occupati; d) la rispondenza agli standard europei. In particolare, gli ITS prevedono percorsi formativi di durata biennale volti al conseguimento di un diploma di specializzazione tecnica superiore riferito ad “aree tecnologiche” ritenute prioritarie. Queste aree sono individuate nel quadro degli indirizzi nazionali di programmazione economica elaborati in linea con le strategie proposte allʼUE e individuate come strategiche per lo sviluppo del paese nella Legge Finanziaria per il 2007. Le aree oggetto di ITS sono: a) lʼefficienza energetica; b) la mobilità sostenibile, c) le nuove tecnologie della vita, d) le nuove tecnologie per il made in Italy; e) le tecnologie innovative per i beni e le attività culturali; f) le tecnologie dellʼinformazione e della comunicazione. Questo segmento della formazione professionale mira a declinare a un livello superiore le competenze tecniche e tecnologiche, alla formazione di figure professionali da impiegare nel campo delle nuove tecnologie e allʼintegrazione con le politiche di sviluppo locale (Isfol, 2010b; 2012b). I corsi ITS mostrano le seguenti caratteristiche: 1) hanno una durata di quattro semestri (ma è prevista la possibilità di istituire percorsi di sei semestri in convenzione con lʼuniversità); 2) prevedono lo svolgimento di didattica in laboratorio ; 3) prevedono un tirocinio obbligatorio per almeno il 30% del monte orario complessivo, 4) devono essere offerti per il 50% da docenti provenienti dal mondo del lavoro e delle professioni ; 5) consentono il conseguimento del titolo di “Diploma di Tecnico Superiore” con l'indicazione dell'area tecnologica e della figura nazionale di riferimento4.

4 http://www.indire.it/its/.

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Tabella 4. ITS istituiti per area tecnologica e geografica

Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali

Efficienza energetica

Tecnologie della

informazione e della

comunicazione

Nuove tecnologie per il made

in Italy

Mobilità sostenibile

Nuove tecnologie della vita

Totale

Nord 2 2 5 13 5 2 29 Centro 1 3 1 10 1 1 17 Sud e Isole

3 2 4 4 13

Totale 6 7 6 27 10 3 59 Fonte: Isfol (2012b)

2.2. La formazione professionale continua In Italia è consuetudine definire “formazione continua” un ambito molto più specifico

rispetto a quello che lʼUE definisce con questo termine. Nel nostro paese infatti tale termine è utilizzato principalmente con riferimento alla formazione finalizzata allʼadattabilità delle imprese e dei lavoratori. La nozione “formazione permanente” è invece utilizzata per definire un tipo di offerta formativa più ampio. Come è stato evidenziato (Mengoli e Rovinaldi 2006), la formazione continua (in Italia) riguarda gli interventi destinati ai lavoratori occupati e finalizzati alla riqualificazione, alla specializzazione e allʼaggiornamento. Le attività formative sono programmate e gestite direttamente dalle imprese e rivolte ai propri dipendenti o da agenzie accreditate che possono operare anche per più imprese. La formazione permanente riguarda invece le attività che si rivolgono a persone in età lavorativa (occupate o non occupate) che necessitano di un aggiornamento tecnico, professionale o culturale. Questi interventi formativi, a differenza dei precedenti, possono rivolgersi a occupati che hanno bisogno di una formazione individuale e non sono inseriti in percorsi formativi organizzati (direttamente o indirettamente) dallʼazienda cui appartengono. Tale distinzione è stata tenuta presente per mappare lʼofferta formativa, ma al fine di evitare confusioni con la terminologia definita a livello europeo si è scelto di utilizzare “formazione del personale nelle imprese” con riferimento alla formazione continua per lʼadattabilità dei lavoratori e delle imprese. Questo termine è stato peraltro già utilizzato dallʼIstat (2005)5. La nozione “formazione continua” è stata invece utilizzata con riferimento alla tipologia di offerta definita a livello europeo (tabella 1) e al suo interno è stato distinto fra “formazione del personale nelle imprese” e “formazione permanente”.

a) La “formazione del personale nelle imprese”

5 Su questo punto è interessante notare che lʼIstat nel glossario del rapporto su “la formazione del personale nelle imprese” argomenta che “la formazione continua comprende tutte le attività di formazione svolte in unʼimpresa per la crescita professionale e culturale del proprio personale in servizio (con lʼesclusione degli apprendisti a cui sono dedicate specifiche attività di formazione “iniziale”). Tali attività di formazione devono essere decise dallʼimpresa e inserite nella programmazione delle sue attività di gestione delle risorse umane, finanziate dallʼimpresa stessa, almeno per la parte che riguarda la remunerazione del tempo di lavoro destinato alla formazione, e svolte con lʼausilio di un docente e/o di adeguato materiale didattico”. Per quanto riguarda la “formazione iniziale” invece si ritiene che questo tipo di formazione “comprende quelle attività di formazione svolte in unʼimpresa che, in parallelo allʼattività lavorativa, garantiscono ai soggetti coinvolti lʼacquisizione di una qualifica professionale o prevedono lo svolgimento parallelo di attività di lavoro e formazione nel quadro di un progetto individualizzato. Le attività di formazione iniziale sono quindi esclusivamente rivolte ad apprendisti o addetti con contratto di inserimento” (Istat 2005, p.13).

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La formazione del personale nelle imprese coinvolge gli adulti occupati, mira a migliorare la competitività economica ed è normalmente programmata e gestita da imprese che promuovono la riqualificazione, lʼaggiornamento e la specializzazione dei propri dipendenti. Caratteristica peculiare di questo tipo di formazione è che in essa prevalgono le regole del mercato e delle relazioni industriali oltre che delle convenienze degli operatori economici e delle organizzazioni produttive che devono essere coniugate con gli interessi dei lavoratori, che attraverso meccanismi di rappresentanza mediano tra i diversi interessi e orientamenti (Frigo 2006).

In questo tipo di formazione si realizzano i maggiori investimenti per lʼistruzione degli adulti e la partecipazione è quantitativamente più significativa. In Italia, la formazione del personale nelle imprese è stata sviluppata prevalentemente nel corso della seconda metà degli anni novanta grazie ai finanziamenti provenienti dal FSE, in particolare con il ciclo di programmazione 1994-1999 (Commissione di studio ecc., 2009).

La formazione del personale nelle imprese è stata sviluppata in maniera piuttosto differenziata nei paesi europei e ciò è dovuto a ragioni storiche-culturali e socio-economiche. La differenziazione si snoda lungo tre variabili principali che riguardano: 1) la diffusione dellʼofferta formativa; 2) la presenza di un intervento pubblico o il protagonismo degli attori economici; 3) il coinvolgimento delle parti sociali. In generale, il peso dellʼintervento pubblico è inversamente proporzionale alla propensione dei soggetti economici a investire risorse proprie nella formazione degli adulti occupati6.

In Italia, la prevalenza di imprese di piccola dimensione, lʼampia diffusione del lavoro autonomo e la presenza di una tutela sindacale disomogenea e maggiormente diffusa nelle imprese di medie e grandi dimensioni ha fatto sì che questo tipo di formazione diventasse più organica e più strutturata solo a partire dagli anni novanta, quando sono stati realizzati i primi interventi pubblici in materia (Treelle, 2010).

Le imprese mostrano una necessità crescente di attivare corsi di formazione (interni o esterni allʼimpresa) volti a garantire lʼaggiornamento e la crescita professionale dei dipendenti. Nel 2010 il 33,5% delle imprese dichiara di aver effettuato corsi di formazione e il dato è in crescita rispetto al 2009 in cui la media era il 32,1%, e al 2008 quando si attestava al 25,7%. La diffusione di attività formative è direttamente correlata alle dimensioni dellʼimpresa. Se infatti le imprese con 250 dipendenti e oltre attuano formazione professionale nel più dellʼ80% dei casi, le imprese con meno di 10 dipendenti attuano i corsi meno del 30% delle volte. Il fatto che lʼampiezza delle imprese incida sullʼattuazione della formazione è confermato anche considerando il dato relativo alla percentuale di dipendenti che nel 2010 sono stati coinvolti in attività formative. Quasi la metà (48,5%) dei dipendenti presso imprese di grandi dimensioni (oltre 500 dipendenti) hanno effettuato attività formative, nelle imprese sino a 49 dipendenti invece circa un lavoratore su quattro ha svolto attività di formazione (Isfol 2012c).

6 Per unʼanalisi dei differenti modelli di formazione continua si veda Treelle (2010 pp.) e Frigo (2006, pp. 13-15).

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Tavola 5. Partecipazione alla formazione e dimensioni dellʼimpresa

1-9 dipendenti

10-49 dipendenti

50-249 dipendenti

250-499 dipendenti

500 dipendenti

e oltre Totale

% di imprese che hanno attuato formazione

29,4 45,2 68 81,3 84,9 33,5

% dipendenti che hanno partecipato a corsi di formazione

24,2 25,5 29,8 37,6 48,5 31,7

Fonte: adattamento da fonte Isfol (2012c) Una delle sfide più rilevanti che il sistema di formazione continua sta affrontando, riguarda

lʼintegrazione delle risorse disponibili. Se consideriamo il FSE, le leggi nazionali (236/93 e 53/2000)7 e i fondi paritetici interprofessionali, le risorse ammontano a circa un miliardo di euro lʼanno. Considerando poi il complesso delle risorse private, la spesa per la formazione professionale da parte delle imprese ammonta a poco più di cinque miliardi di euro lʼanno (Isfol, 2012c).

Nel quadro del finanziamento di questo tipo di formazione professionale, particolare rilevanza è assunta dallʼistituzione dei fondi interprofessionali. Questi fondi trovano le loro radici nel dialogo sociale e negli accordi fra governo, sindacati e imprese. Il 23 luglio 1993 il protocollo fra governo, Confindustria e confederazioni sindacali aveva previsto: 1) lʼattivazione di interventi volti a migliorare lʼefficienza dei sistemi di istruzione e formazione; 2) la valorizzazione del ruolo delle parti sociali; 3) la destinazione a favore della formazione delle risorse finanziarie provenienti dal contributo obbligatorio dello 0,30% (stabilito con la legge 854/1978) versato dai datori di lavoro allʼINPS. Su questo terreno, la Legge finanziaria per il 2001 ha successivamente istituito i fondi interprofessionali. Questi fondi mirano a sviluppare la formazione in unʼottica di occupabilità dei lavoratori e competitività delle imprese in linea con lʼindirizzo del Ministero del lavoro e la programmazione regionale. I fondi possono essere istituiti mediante accordi stipulati con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro più rappresentative sul territorio nazionale e consentono di finanziare o co-finanziare piani formativi territoriali, aziendali, settoriali o individuali concordati con le parti sociali. In particolare le aziende hanno facoltà di destinare il contributo al Ministero del lavoro e a quello dellʼeconomia o destinarlo a un fondo interprofessionale dal

7 Per quanto riguarda i provvedimenti connessi alla legge 236/1993, il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato il D.D. 202/V/2010, per lʼannualità 2010, che ripartisce 150 milioni di euro fra le regioni e le province autonome. Come per la precedente annualità, anche in questo caso, le risorse sono messe a disposizione per contrastare la crisi occupazionale. Accanto ai piani formativi aziendali, territoriali e settoriali è infatti stato previsto il finanziamento di iniziative a supporto dellʼautoimprenditorialità, di piani straordinari di intervento e di azioni finalizzate alla ricollocazione dei lavoratori che nel periodo 2008-2010 hanno percepito ammortizzatori sociali. Nel corso del 2010 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dellʼeconomia ha emanato il Decreto di ripartizione della legge 53/2000 (D.I. 60/2010) riferito alle annualità 2007 e 2008 per un ammontare complessivo di euro 30.987.414. Come nel caso dei decreti relativi alla legge 236/93 anche in questo caso è prevista la possibilità per le regioni e le province autonome di destinare le risorse verso misure di contrasto alla crisi. Per questo fra gli interventi finanziabili rientrano oltre ai piani a iniziativa individuale rivolti ai lavoratori, anche i piani presentati dalle imprese che possono prevedere quote di riduzione dellʼorario di lavoro (Isfol 2012c).

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quale potranno ricevere un finanziamento per lʼattuazione di piani formativi rivolti ai dipendenti secondo le modalità definite dal fondo.

Uno dei principali limiti alla piena realizzazione delle potenzialità proprie di questi fondi è che lʼattuale contesto normativo non riconosce loro il ruolo di soggetto privato che opera con regole autonome. Attualmente, i fondi sono infatti assimilati a contributi pubblici, e considerati alla stregua degli “aiuti di stato”. Questa condizione limita sensibilmente lʼautonomia delle parti sociali nella definizione dei piani formativi, data la presenza dei vincoli, non solo procedurali, imposti dalla normativa. In questo quadro è comunque da segnalare lʼeccezione relativa al caso dei “Conti di formazione aziendale” (Fondimpresa) grazie ai quali le singole aziende possono ritrovare accantonato il 70% del contributo versato allʼINPS e utilizzarlo per la formazione dei propri dipendenti godendo di ampia autonomia. Questo meccanismo sta contribuendo a porre in primo piano la centralità della domanda delle imprese in materia di formazione professionale (Treelle, 2010). Attualmente il numero complessivo di fondi interprofessionali istituiti è di venti e, in generale, si osserva una crescita del ricorso ai “conti di formazione”. Di recente, due differenti provvedimenti hanno semplificato ulteriormente lʼutilizzo di questi conti. In particolare, una circolare del Ministero del lavoro, emanata del 2009, ha previsto lʼesenzione dellʼapplicazione della normativa sugli aiuti di stato per i piani formativi finanziati con questi fondi. Inoltre, una circolare Inps (107/2009) ha reso disponibile per i fondi le risorse versate dalle imprese aderenti a decorrere dallo stesso mese di contribuzione nel quale si effettua lʼadesione e non più allʼanno successivo. I “conti formativi” sono stati creati e adottati in primo luogo dai fondi più grandi per andare incontro alle esigenze delle imprese medie e grandi che solitamente presentano una consolidata cultura della formazione. Tuttavia è da segnalare che negli ultimi anni si è assistito a un incremento della presenza di conti formativi anche nei fondi caratterizzati dalla presenza di piccole e medie imprese (Isfol 2012c).

b) La formazione permanente La formazione permanente rappresenta il settore più ampio e variegato fra quelli fin qui

analizzati. Come è stato evidenziato (Costa 2008), erogare politiche formative in unʼottica di Lifelong Learning (LLL) significa aiutare persone diverse con bisogni diversi a realizzare un percorso di sviluppo professionale e formativo lungo tutto lʼarco della loro vita. Più che a uno specifico tipo di offerta formativa, la “formazione permanente” rimanda quindi allʼ obiettivo generale di garantire agli individui la possibilità di formarsi e apprendere lungo tutto lʼarco della vita. In altre parole, questo tipo di formazione mira a consentire alla popolazione in età adulta, indipendentemente dalla propria condizione lavorativa, di acquisire un titolo di studio, delle competenze utili allʼincremento dellʼoccupabilità o una qualifica professionale. La convinzione che lʼapprendimento rappresenti una condizione necessaria per vivere nella società della conoscenza, si concretizza nel rafforzamento dellʼofferta formativa rivolta alla popolazione adulta e in azioni finalizzate a favorire lʼintegrazione dei differenti sistemi formativi (Isfol 2007).

Della formazione permanente fanno certamente parte tutte le attività offerte nel quadro del “programma dʼazione comunitaria nel campo dell'apprendimento permanente” (Lifelong Learning Programme - LLP). Il LLP è stato istituito nel 2006 e ha sostituito e integrato in un unico programma i precedenti (Socrates e Leonardo) attivi dal 1995 al 2006. Attualmente, lʼLLP riunisce al suo interno tutte le iniziative di cooperazione europea nell'ambito dellʼistruzione e della formazione programmate per il periodo 2007/2013. Questo programma

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si propone di promuovere gli scambi, la mobilità e la cooperazione allʼinterno dellʼarea europea. La struttura dellʼLLP è articolata in: a) quattro programmi operativi (“Comedius” per lʼistruzione prescolastica e scolastica; “Erasmus” per lʼistruzione superiore e la formazione professionale di terzo livello; “Leonardo da Vinci” per la formazione professionale; “Grundtvig” riguarda invece lʼistruzione degli adulti) che rispondono alle esigenze didattiche e di apprendimento di tutte le persone e le organizzazioni coinvolte nella formazione b) un programma trasversale volto ad assicurare il coordinamento fra i diversi settori; c) un programma Jean Monnet che sostiene lʼinsegnamento la ricerca e lo studio dei temi connessi allʼintegrazione europea. Questo programma oltre a stimolare le attività didattiche e di ricerca supporta l'esistenza di una serie di istituzioni e associazioni europee che si concentrano su temi connessi all'integrazione europea e sull'insegnamento e formazione in una prospettiva europea8. La tavola 6 sintetizza gli obiettivi dellʼLLP. Tavola 6. Il programma di Lifelong Learning (2007/2013)

Comedius (Istruzione scolastica)

Erasmus (Istruzione superiore e

alta formazione)

Leonardo da Vinci (Formazione iniziale e

continua)

Grundtvig (Educazione degli

adulti) Obiettivi prioritari

1) lʼaumento della mobilità degli allievi e degli insegnanti; 2) la promozione di partenariati fra istituti scolastici dei diversi paesi membri; 3) la promozione dell'apprendimento delle lingue straniere; 4) la promozione dello sviluppo di contenuti servizi, soluzioni pedagogiche e prassi innovative basati sulle TIC*; 5) il miglioramento della qualità e della dimensione europea della formazione degli insegnanti; 6) il miglioramento delle metodologie pedagogiche e la gestione scolastica.

1) migliorare la qualità e aumentare la mobilità di studenti e dei docenti in tutta Europa; 2) migliorare la qualità e incrementare la cooperazione tra gli istituti e tra questi ultimi e le imprese; 3) aumentare la trasparenza e la compatibilità tra le qualifiche dellʼistruzione superiore e dellʼistruzione professionale avanzata; 4) favorire lo sviluppo di prassi innovative e il loro trasferimento fra i paesi; 5) promuovere lo sviluppo di contenuti, servizi, soluzioni pedagogiche e prassi innovativi basati sulle TIC*.

1) migliorare la qualità e aumentare la mobilità delle persone coinvolte nella formazione professionale iniziale e continua e la cooperazione tra istituti e organizzazioni che offrono opportunità di apprendimento, imprese, parti sociali e gli altri organismi pertinenti in tutta Europa; 2) agevolare lo sviluppo di prassi innovative e il trasferimento di queste prassi anche da un paese agli altri; 3) migliorare la trasparenza e il riconoscimento di qualifiche e competenze, comprese quelle acquisite attraverso lʼapprendimento non formale e informale; 4) incoraggiare lʼapprendimento delle lingue straniere moderne; 5) promuovere lo sviluppo di contenuti, servizi,

1) migliorare la qualità e lʼaccesso alla mobilità in ambito europeo; 2) migliorare la qualità e accrescere il volume della cooperazione tra le organizzazioni coinvolte nellʼeducazione degli adulti in ambito europeo; 3) assistere i soggetti appartenenti a gruppi sociali vulnerabili e a contesti marginali, con particolare attenzione a quanti hanno interrotto il proprio percorso educativo senza aver conseguito le qualifiche di base, affinché possano trovare opportunità alternative nellʼaccesso allʼeducazione degli adulti; 4) facilitare lo sviluppo e la diffusione di pratiche innovative nellʼambito dellʼeducazione degli adulti e diffonderle fra i paesi partecipanti; 5) sostenere lo sviluppo

8 www.programmallp.it

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soluzioni pedagogiche e prassi innovative basate sulle TIC*

di contenuti innovativi basati sulle TIC*; 6) migliorare gli approcci pedagogici e la gestione delle organizzazioni rivolte allʼeducazione degli adulti.

Programma trasversale Quattro attività chiave: 1) sviluppo politico; 2) apprendimento delle lingue; 3) Nuove tecnologie – ICT;

4) diffusione dei risultati Programma Jean Monnet

Tre attività chiave: 1) azione Jean Monnet; 2) Istituzioni europee; 3) Associazioni europee *Tecnologie dellʼInformazione e della Comunicazione

Ma accanto alle attività promosse direttamente dellʼUE, un altro esempio di formazione permanente è quella offerta dalle università e che coinvolge, in misura prevalente, laureati attivi nelle professioni, nella pubblica amministrazione e, in misura minore, nelle imprese. Questi corsi rispondono a differenti esigenze: continuare ad approfondire lo studio di determinati e circoscritti settori disciplinari; aggiornare, riqualificare o permettere lʼavanzamento professionale di persone già occupate; fornire preparazione professionale specifica per le professioni emergenti; conoscere e diffondere i risultati della ricerca scientifica applicata, i nuovi modelli organizzativi e gestionali, le tecnologie innovative e sperimentali. In risposta a queste esigenze, le università propongono unʼofferta formativa organizzata su diversi livelli: 1) corsi di aggiornamento che sono di breve durata e mirati alla diffusione dei risultati della ricerca applicata realizzata dai dipartimenti; 2) corsi di perfezionamento che sono più strutturati e hanno una maggiore durata rispetto ai precedenti 3) Master universitari di I livello che hanno la durata di un anno accademico, la consistenza di 60 crediti (pari complessivamente a 1500 ore) e sono aperti ai laureati triennali 4) Master universitari di II livello hanno le stesse caratteristiche di quelli di primo livello ma sono rivolti esclusivamente a coloro che possiedono una laurea magistrale/specialistica o di vecchio ordinamento. Lʼofferta formativa universitaria si articola in circa 2 mila corsi, con 60 mila iscritti e una media di 30 iscritti per corso. Guardando allʼevoluzione dellʼultimo decennio emerge chiaramente il successo dei master universitari il cui numero di iscritti è cresciuto ininterrottamente di anno in anno passando dal 1999 al 2006 da 3.369 a 28.610 nel caso dei master di primo livello e da 2.324 a 15.218 nel caso di quelli di secondo (Treelle, 2010). Ovviamente la formazione offerta dalle università in alcuni casi può configurarsi anche come formazione iniziale dato che i Master possono ad esempio essere rivolti anche a giovani che ancora non hanno fatto il loro ingresso nel mercato del lavoro. Questo elemento evidenzia come i confini dei differenti tipi di offerta formativa siano spesso di difficile individuazione.

Un altro tipo di offerta formativa che può essere collocata nel quadro della formazione permanente è quella che potremmo definire come “formazione professionale come ammortizzatore sociale”. Si tratta di tutti quei programmi volti a contrastare la crisi economica. In linea con quanto promosso dallʼUE, la strategia italiana di risposta alla crisi ha infatti previsto la creazione di ammortizzatori sociali attivi. In questo quadro si inserisce lʼistituzione del “Fondo sociale per occupazione e formazione”, le cui risorse sono destinate ad un mix di misure attive e passive riguardanti lʼapprendimento e il sostegno del reddito. Lʼaccesso alle misure di sostegno del reddito è stato subordinato alla dichiarazione di

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disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale. Lʼerogazione dei sostegni al reddito è stata quindi strettamente collegata a misure di politica attiva. Questo tipo di interventi assumono come target di riferimento le persone espulse o sospese dai processi produttivi (Isfol, 2010b).

Considerazioni conclusive Lʼanalisi sviluppata in queste pagine consente di proporre alcune riflessioni riguardanti: 1)

le caratteriste della politica europea di formazione professionale; 2) le caratteristiche della politica italiana di formazione professionale; 3) lʼimpatto della politica europea sul nostro paese.

Da molti anni lʼUE interviene in materia di formazione professionale, attraverso i trasferimenti provenienti dal FSE. Tuttavia, solo a partire dal 2000, con Lisbona, lʼistruzione e la formazione sono inserite in una strategia più ampia che ne ha chiaramente definito le principali funzioni. Questo processo è stato poi rafforzato da Europa 2020 che, non solo ha confermato e ulteriormente enfatizzato il ruolo strategico dellʼistruzione e della formazione, ma, attraverso gli headline targets e il Semestre Europeo ha di fatto introdotto un monitoraggio costante sulle performance dei sistemi di istruzione e formazione nazionali. Europa 2020 ha quindi aperto una fase profondamente innovativa della governance europea in questo settore. Anche se lʼheadline target in materia di istruzione, non influenza in maniera diretta la formazione professionale - poiché riguarda la riduzione dellʼabbandono scolastico e lʼaumento del numero di laureati – il sistema di monitoraggio messo in campo pone di fatto allʼattenzione dellʼUE lʼintero comparto dellʼistruzione e della formazione professionale dei paesi membri. A questo si accompagna poi il tentativo di mettere in comunicazione i sistemi di formazione professionale dei diversi paesi. Il processo di Copenaghen, infatti, attraverso lo sviluppo di strumenti in grado di garantire la “portabilità” delle qualifiche e la loro spendibilità in tutto il territorio europeo, promuove la mobilità dei lavoratori. Infine, come detto, lʼUE è impegnata nello sviluppo di un linguaggio comune ai paesi membri in grado di definire chiaramente la formazione professionale e la sua articolazione. Tutti questi elementi hanno favorito lʼemersione di una politica europea di formazione professionale univoca, coerente e dai confini ben definiti. Da questo punto di vista a livello europeo la formazione professionale assume il carattere di una politica per se.

Ma cosa succede quando dal livello europeo ci si sposta a quello nazionale? Lʼanalisi del caso italiano mostra che la formazione professionale nel nostro paese si configura come una politica “in costruzione” per la quale manca un quadro istituzionale organico e comune a tutti i suoi sotto-settori. La trasversalità di questa politica rende infatti lʼofferta formativa estremamente differenziata e frammentata. A seconda del tipo di intervento considerato, variano infatti le competenze, le regole del gioco e le risorse messe in campo. Gli stessi attori coinvolti nella formazione professionale possono peraltro interpretare differentemente la sua connessione con altri settori di policy. Difficile pensare ad esempio che le imprese considerino la formazione da loro erogata come parte di una politica di istruzione, piuttosto che come intervento volto alla gestione della forze lavoro. In questo quadro, è tuttavia da segnalare che la formazione professionale assume un carattere maggiormente unitario nel caso di quella iniziale. Anche se le competenze istituzionali, come abbiamo visto, tendono a essere fortemente eterogenee (in alcuni casi infatti sono regionali mentre in altri attengono al livello centrale) il lavoro di raccordo interistituzionale garantisce una certa coerenza a questo sotto-settore di policy. Ciò è evidente se si tiene conto ad esempio che, successivamente

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allo svolgimento di un anno integrativo, i percorsi IFP permettono lʼaccesso agli ITS. Oppure se si considera il raccordo fatto fra i corsi IFP di competenza regionale e gli istituti professionali statali. Questo raccordo, come detto, è realizzato attraverso la previsione dellʼofferta sussidiaria “integrativa” e “complementare”, che evidenzia la volontà di mettere in relazione differenti tipi di offerta formativa.

Per quanto riguarda la relazione fra politica europea e nazionale di formazione professionale sembra chiaro che lʼUE abbia favorito lʼampliamento dellʼofferta formativa nazionale e, in alcuni casi, lʼemersione di nuovi comparti della formazione professionale. Questo nesso causale necessita di ulteriori approfondimenti e verifiche e in questa sede rappresenta più unʼipotesi attorno alla quale potrebbe svilupparsi la futura agenda di ricerca sul tema che unʼevidenza empirica.

Nel quadro della formazione iniziale, è il caso in primo luogo dellʼAlta formazione professionale. Fino a poco più di dieci fa, al contrario di molti paesi membri, in Italia questo livello formativo (post-secondario non terziario) non esisteva, e non è azzardato pensare che lʼUE abbia giocato un ruolo di primo piano nel favorire la sua istituzione (nel 1999) e il suo rilancio (nel 2008). In maniera ancora più evidente lʼUE ha favorito la nascita del lifelong learning e anche se in Italia questo tipo di offerta formativa è ancora residuale9, in futuro è destinato ad espandersi, essendo parte degli obiettivi di “Istruzione e Formazione 2020”. Similmente è chiaro che il FSE fissando lʼobiettivo di favorire lʼadattabilità dei lavoratori e delle imprese ha inciso profondamente sullo sviluppo della formazione nelle imprese. Considerando lʼinsieme di questi tre elementi, ampia parte della formazione professionale in Italia sembra essersi sviluppata sulla base di una sorta di “contingenza”, laddove le risorse provenienti dallʼEuropa hanno offerto una finestra di opportunità per la nascita e/o il consolidamento di determinati interventi. Questa considerazione apre prospettive di ricerca particolarmente interessanti. Dato che non siamo di fronte ad una politica nazionale che cambia grazie allʼinfluenza dellʼUE, ma siamo piuttosto di fronte alla declinazione nazionale di una politica europea, ne consegue che la politica di formazione professionale non può essere indagata ricorrendo al concetto di europeizzazione. Se questo è particolarmente vero nel caso della formazione continua, diverso è il caso di quella iniziale. Anche la formazione iniziale è certamente oggetto di un processo di espansione che si realizza allʼombra dellʼUE. Tuttavia, la più ampia strutturazione, il maggior consolidamento e il possesso di un buon livello di coerenza interna permette il ricorso al concetto di europeizzazione. Questa frattura fra formazione iniziale e continua offre peraltro unʼulteriore conferma dellʼassenza, in Italia, di un politica di formazione professionale per se.

Riferimenti bibliografici

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