La plasticità del cervello -...

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map2 NEUROFILAMENTO MICROTUBULO La plasticità del cervello La completa definizione dei circuiti cerebrali avviene dopo la nascita, in relazione all'esperienza sensoriale; una proteina fa da tramite agli eventi molecolari cui è dovuta questa capacità di adattamento del cervello di Chiye Aoki e Philip Siekevitz C hiunque abbia osservato un bam- bino intento a impadronirsi di un giocattolo si sarà reso conto che le capacità di percezione e di movi- mento dell'adulto non sono innate, ma devono invece svilupparsi attraverso l'e- sercizio con il passare del tempo. Il pro- gramma genetico che viene messo in atto durante la gravidanza provvede il neo- nato di organi di senso pienamente svi- luppati e di un cervello ben formato, i cui 100 miliardi di neuroni sono già col- legati in circuiti specializzati per l'adem- pimento di funzioni specifiche. Ma pri- ma che il cervello in fase di sviluppo pos- sa acquisire la piena capacità di elabora- re e analizzare l'esperienza sensoriale, l'esperienza stessa dovrà lasciare una sua «impronta» sui tessuti cerebrali. Anche se, dopo la nascita, il cervello non subisce modificazioni nell'organiz- zazione fondamentale, alcuni dettagli strutturali e funzionali mantengono una certa «plasticità» per qualche tempo, particolarmente nella corteccia cerebra- le. L'esperienza (visiva, olfattiva, gusta- tiva, uditiva, tattile e di equilibrio) attiva e, con il passare del tempo, favorisce lo sviluppo di vie nervose specifiche, men- tre altre cadono in disuso. Per esempio, un'utilizzazione non equilibrata dei due occhi nell'infanzia causerà un deficit per- manente nella percezione visiva dell'oc- chio non esercitato. Il cervello in fase di sviluppo può essere paragonato a un si- stema stradale che si evolve con l'uso: le strade di minor traffico possono venire abbandonate, quelle più frequentate es- sere ampliate e nuove strade essere co- struite dove necessario. In che modo l'esperienza può modifi- care l'organizzazione cerebrale? Abbia- mo ipotizzato l'esistenza di una succes- sione di eventi molecolari innescati da stimoli esterni che può contribuire alla plasticità di una parte del cervello del gatto. È possibile che eventi analoghi si susseguano nel cervello in via di sviluppo in seguito a esperienze precoci non solo nel gatto, ma anche nell'uomo. Eventi molecolari di questo tipo possono pla- smare molti aspetti della mente su cui si fondano le nostre caratteristiche umane; se agiscono trasformando le esperienze precoci in variazioni dell'organizzazione cerebrale, tali eventi possono anche es- sere alla base di alcune delle nostre dif- ferenze individuali. E facile intervenire sull'esperienza visiva e, proprio per questo, il no- stro studio sulla plasticità del cervello si è concentrato sul sistema visivo. L'ela- borazione degli stimoli visivi comincia nella retina, che contiene alcune centi- naia di milioni di neuroni, fittamente ammassati in uno strato sottile. Una schiera di circa un milione di cellule gan- gliari invia verso il cervello i segnali in uscita dalla retina. I prolungamenti, o assoni, di queste cellule sono riuniti in un fascio che forma il nervo ottico. Al- cuni assoni del nervo ottico si dirigono verso due strutture, i nuclei genicolati laterali, ciascuna situata in un emisfero cerebrale. La retina di ogni occhio è col- legata sia al nucleo genicolato laterale situato sul lato opposto (controlaterale) del cervello, sia a quello situato sullo stesso lato (omolaterale). I neuroni dei nuclei genicolati laterali inviano a loro volta gli assoni verso la parte posteriore del cervello in una zona ben distinta, la lamina IV, il quarto dei sei strati princi- pali della corteccia visiva primaria; i neu- roni della lamina IV stabiliscono contatti con altri strati della corteccia visiva. Gli stimoli luminosi che colpiscono la retina vengono trasformati in segnali elettrochimici che, una volta raggiunte le cellule gangliari, sono convertiti in im- pulsi nervosi o potenziali d'azione. I po- tenziali d'azione si propagano lungo gli assoni e raggiungono i neuroni dei nuclei genicolati laterali in corrispondenza di giunzioni nervose, le sinapsi. A ogni si- napsi, gli impulsi nervosi provocano la liberazione di neurotrasmettitori che at- traversano la fessura sinaptica e si legano a recettori specifici presenti o sul corpo cellulare di un neurone adiacente o sui suoi dendriti, prolungamenti ramificati che hanno funzione di recettori. Nelle opportune condizioni, il legame con il neurotrasmettitore stimola un neurone del nucleo genicolato laterale a produrre un proprio potenziale d'azione, il quale a sua volta si propaga lungo l'assone e raggiunge i neuroni situati nella cortec- cia visiva primaria. Lo stimolo viene analizzato in questa sede e in altre aree della corteccia che ricevono impulsi da essa. Quante di queste connessioni sono controllate dalla genetica e quante dal- l'esperienza precoce? Uno spiraglio sul- la questione si aprì agli inizi degli anni sessanta grazie ai fondamentali esperi- menti di David H. Hubel e Torsten N. Wiesel che allora lavoravano alla Har- vard Medical School e che ottennero in seguito il premio Nobel a riconoscimen- to del loro lavoro (si veda l'articolo I meccanismi cerebrali della visione di Da- vid H. Hubel e Torsten N. Wiesel in «Le Scienze» n. 135, novembre 1979). Hubel e Wiesel scelsero di studiare lo sviluppo del sistema visivo nei gatti, dato che que- sti animali, come gli esseri umani, hanno gli occhi in posizione frontale e quindi i campi visivi dei due occhi si sovrappon- gono ampiamente. Questa circostanza permette una visione binoculare nella porzione centrale, di 90 gradi, del campo visivo di 180 gradi. In una zona della corteccia visiva, l'area 17. Hubel e Wie- sel hanno analizzato le cellule binocula- ri, quelle cioè che reagiscono agli stimoli provenienti da entrambi gli occhi. Que- sti neuroni sono importanti per la perce- zione della profondità e costituiscono il 40 per cento dei neuroni dell'area 17 nei gatti (e il 60 per cento nei primati). Gli altri neuroni sono monoculari e reagi- scono allo stimolo di un solo occhio. Hubel e Wiesel, utilizzando sonde elettriche in grado di rilevare i segnali generati da singoli neuroni, hanno regi- strato sistematicamente il numero di neuroni dell'area 17 che reagivano esclu- sivamente agli stimoli provenienti o dal- l'occhio omolaterale o dall'occhio con- trolaterale o da entrambi gli occhi. Han- In questa microfotografia elettronica di un dendrite, che è la parte della cellula nervosa destinata a ricevere gli stimoli, le molecole della map2 formano ponti tra i neurofila- menti e i microtubuli. Neurofilamenti e mi- crotubuli fanno parte di uno «scheletro» in- terno che influisce sulla crescita e sulla struttura della cellula nervosa; controllan- do le interazioni tra le proteine che li com- pongono, la map2 può mediare la forma- zione di nuove vie nervose. La microfoto- grafia di un dendrite di midollo spinale di ratto è stata ottenuta da Nobutaka Hiroka- wa e collaboratori dell'Università di Tokyo. 24 25

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map2

NEUROFILAMENTO

MICROTUBULO

La plasticità del cervelloLa completa definizione dei circuiti cerebrali avviene dopo la nascita, inrelazione all'esperienza sensoriale; una proteina fa da tramite agli eventimolecolari cui è dovuta questa capacità di adattamento del cervello

di Chiye Aoki e Philip Siekevitz

C

hiunque abbia osservato un bam-bino intento a impadronirsi diun giocattolo si sarà reso conto

che le capacità di percezione e di movi-mento dell'adulto non sono innate, madevono invece svilupparsi attraverso l'e-sercizio con il passare del tempo. Il pro-gramma genetico che viene messo in attodurante la gravidanza provvede il neo-nato di organi di senso pienamente svi-luppati e di un cervello ben formato, icui 100 miliardi di neuroni sono già col-legati in circuiti specializzati per l'adem-pimento di funzioni specifiche. Ma pri-ma che il cervello in fase di sviluppo pos-sa acquisire la piena capacità di elabora-re e analizzare l'esperienza sensoriale,l'esperienza stessa dovrà lasciare una sua«impronta» sui tessuti cerebrali.

Anche se, dopo la nascita, il cervellonon subisce modificazioni nell'organiz-zazione fondamentale, alcuni dettaglistrutturali e funzionali mantengono unacerta «plasticità» per qualche tempo,particolarmente nella corteccia cerebra-le. L'esperienza (visiva, olfattiva, gusta-tiva, uditiva, tattile e di equilibrio) attivae, con il passare del tempo, favorisce losviluppo di vie nervose specifiche, men-tre altre cadono in disuso. Per esempio,un'utilizzazione non equilibrata dei dueocchi nell'infanzia causerà un deficit per-manente nella percezione visiva dell'oc-chio non esercitato. Il cervello in fase disviluppo può essere paragonato a un si-stema stradale che si evolve con l'uso: lestrade di minor traffico possono venireabbandonate, quelle più frequentate es-sere ampliate e nuove strade essere co-struite dove necessario.

In che modo l'esperienza può modifi-care l'organizzazione cerebrale? Abbia-mo ipotizzato l'esistenza di una succes-sione di eventi molecolari innescati dastimoli esterni che può contribuire allaplasticità di una parte del cervello delgatto. È possibile che eventi analoghi sisusseguano nel cervello in via di sviluppoin seguito a esperienze precoci non solonel gatto, ma anche nell'uomo. Eventimolecolari di questo tipo possono pla-

smare molti aspetti della mente su cui sifondano le nostre caratteristiche umane;se agiscono trasformando le esperienzeprecoci in variazioni dell'organizzazionecerebrale, tali eventi possono anche es-sere alla base di alcune delle nostre dif-ferenze individuali.

Efacile intervenire sull'esperienzavisiva e, proprio per questo, il no-

stro studio sulla plasticità del cervello siè concentrato sul sistema visivo. L'ela-borazione degli stimoli visivi comincianella retina, che contiene alcune centi-naia di milioni di neuroni, fittamenteammassati in uno strato sottile. Unaschiera di circa un milione di cellule gan-gliari invia verso il cervello i segnali inuscita dalla retina. I prolungamenti, oassoni, di queste cellule sono riuniti inun fascio che forma il nervo ottico. Al-cuni assoni del nervo ottico si dirigonoverso due strutture, i nuclei genicolatilaterali, ciascuna situata in un emisferocerebrale. La retina di ogni occhio è col-legata sia al nucleo genicolato lateralesituato sul lato opposto (controlaterale)del cervello, sia a quello situato sullostesso lato (omolaterale). I neuroni deinuclei genicolati laterali inviano a lorovolta gli assoni verso la parte posterioredel cervello in una zona ben distinta, lalamina IV, il quarto dei sei strati princi-pali della corteccia visiva primaria; i neu-roni della lamina IV stabiliscono contatticon altri strati della corteccia visiva.

Gli stimoli luminosi che colpiscono laretina vengono trasformati in segnalielettrochimici che, una volta raggiunte lecellule gangliari, sono convertiti in im-pulsi nervosi o potenziali d'azione. I po-tenziali d'azione si propagano lungo gliassoni e raggiungono i neuroni dei nucleigenicolati laterali in corrispondenza digiunzioni nervose, le sinapsi. A ogni si-napsi, gli impulsi nervosi provocano laliberazione di neurotrasmettitori che at-traversano la fessura sinaptica e si leganoa recettori specifici presenti o sul corpocellulare di un neurone adiacente o suisuoi dendriti, prolungamenti ramificati

che hanno funzione di recettori. Nelleopportune condizioni, il legame con ilneurotrasmettitore stimola un neuronedel nucleo genicolato laterale a produrreun proprio potenziale d'azione, il qualea sua volta si propaga lungo l'assone eraggiunge i neuroni situati nella cortec-cia visiva primaria. Lo stimolo vieneanalizzato in questa sede e in altre areedella corteccia che ricevono impulsi daessa.

Quante di queste connessioni sonocontrollate dalla genetica e quante dal-l'esperienza precoce? Uno spiraglio sul-la questione si aprì agli inizi degli annisessanta grazie ai fondamentali esperi-menti di David H. Hubel e Torsten N.Wiesel che allora lavoravano alla Har-vard Medical School e che ottennero inseguito il premio Nobel a riconoscimen-to del loro lavoro (si veda l'articolo Imeccanismi cerebrali della visione di Da-vid H. Hubel e Torsten N. Wiesel in «LeScienze» n. 135, novembre 1979). Hubele Wiesel scelsero di studiare lo sviluppodel sistema visivo nei gatti, dato che que-sti animali, come gli esseri umani, hannogli occhi in posizione frontale e quindi icampi visivi dei due occhi si sovrappon-gono ampiamente. Questa circostanzapermette una visione binoculare nellaporzione centrale, di 90 gradi, del campovisivo di 180 gradi. In una zona dellacorteccia visiva, l'area 17. Hubel e Wie-sel hanno analizzato le cellule binocula-ri, quelle cioè che reagiscono agli stimoliprovenienti da entrambi gli occhi. Que-sti neuroni sono importanti per la perce-zione della profondità e costituiscono il40 per cento dei neuroni dell'area 17 neigatti (e il 60 per cento nei primati). Glialtri neuroni sono monoculari e reagi-scono allo stimolo di un solo occhio.

Hubel e Wiesel, utilizzando sondeelettriche in grado di rilevare i segnaligenerati da singoli neuroni, hanno regi-strato sistematicamente il numero dineuroni dell'area 17 che reagivano esclu-sivamente agli stimoli provenienti o dal-l'occhio omolaterale o dall'occhio con-trolaterale o da entrambi gli occhi. Han-

In questa microfotografia elettronica di undendrite, che è la parte della cellula nervosadestinata a ricevere gli stimoli, le molecoledella map2 formano ponti tra i neurofila-menti e i microtubuli. Neurofilamenti e mi-crotubuli fanno parte di uno «scheletro» in-terno che influisce sulla crescita e sullastruttura della cellula nervosa; controllan-do le interazioni tra le proteine che li com-pongono, la map2 può mediare la forma-zione di nuove vie nervose. La microfoto-grafia di un dendrite di midollo spinale diratto è stata ottenuta da Nobutaka Hiroka-wa e collaboratori dell'Università di Tokyo.

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In queste autoradiografie della lamina IV della corteccia visiva di scimmia le colonne didominanza oculare appaiono come strie chiare e scure. Ogni colonna è definita dalleterminazioni assoniche appartenenti ai neuroni dei nuclei genicolati laterali, i quali rice-ono segnali da un solo occhio. Le strie chiare sono comparse quando un tracciante

radioattivo è stato iniettato in un occhio ed è stato poi trasportato lungo la via visiva; lestrie corrispondenti all'altro occhio appaiono scure. In un animale allevato in condizioninormali (in alto), le colonne che hanno ricevuto segnali da un occhio sono altrettanto lar-ghe di quelle che hanno ricevuto segnali dall'altro occhio. In un animale privato dell'usodi un occhio (in basso), le strie relative all'occhio attivo (in cui è stato iniettato il traccian-te) appaiono allargate e quasi obliterano le strie sottili corrispondenti all'occhio occluso.

Le vie visive del cervello umano, visto dalla faccia inferiore, sonorappresentate in modo schematico. Sono indicati solo i segnali chehanno origine da un lato del campo visivo. I raggi luminosi colpi-scono la retina e vengono trasformati in impulsi nervosi che sipropagano verso il nucleo genicolato laterale, dove i segnali prove-nienti da ciascun occhio terminano in sei strati. Da qui essi vengonopoi trasmessi alla lamina IV della corteccia visiva primaria, doverimangono separati in strie corrispondenti a ciascuno dei due occhi.Gli impulsi si propagano poi ad altri strati della corteccia visiva do-

ve i segnali che provengono da entrambi gli occhi vengono integrati.Le varie parti che costituiscono un neurone sono indicate nel ri-quadro in basso a destra che mostra tre dei sei strati presenti in unpiccolo settore della corteccia visiva. L'assone trasporta il segnaleproveniente dal corpo cellulare alla terminazione presinaptica, li-berando sostanze chimiche che fungono da neurotrasmettitori e chesi legano ai recettori presenti sul dendrite del neurone postsinapti-co. In realtà, le cellule dei nuclei genicolati laterali e della cortec-cia sono molto più addensate di quanto appaia nell'illustrazione.

OCCHIO DESTRO OCCHIO SINISTRO

NERVO OTTICO RETINA

NUCLEOGENICOLATO IMPULSOLATERALE

III

r

SDENDRITE-IV.

SINAPSI

ASSONE

CORPO CELLULARE

CORTECCIA VISIVA IMPULSO

no anche potuto stabilire se le cellulebinoculari avevano una preferenza perun occhio piuttosto che per l'altro e han-no trovato che, nei gatti nei quali un oc-chio era stato occluso mediante suturaper diversi mesi dopo la nascita, la per-centuale dei neuroni che reagivano aglistimoli provenienti dall'occhio occlusocalava nettamente. Ne hanno dedottoche, in questo caso, i neuroni dell'area17 in grado di reagire a stimoli visivi era-no quasi tutti monoculari e rimanevanotali anche dopo che l'animale riacquista-va la capacità di servirsi dei due occhi.Questo netto spostamento nella domi-

nanza oculare in favore dell'occhio aper-to era permanente e, per il resto dell'e-sistenza, l'animale perdeva l'uso dell'oc-chio che era stato suturato.

Quale parte del cervello era stata dan-neggiata dal fatto che a quell'occhio nongiungevano più stimoli? Hubel e Wieselhanno dimostrato che, dopo un periododi occlusione monoculare, i neuroni del-la retina e dei nuclei genicolati lateralicontinuavano a reagire normalmente al-la luce. In altre parole, la via visivache collegava la retina al nucleo genico-lato laterale non era influenzata dall'e-sperienza e, pertanto, doveva essere in

gran parte predeterminata geneticamen-te. Ciò significava che i cambiamenti chesi verificano in seguito all'occlusionemonoculare devono riguardare l'orga-nizzazione dei neuroni corticali.

L'effetto dipende in modo decisivodal momento in cui avviene l'occlusione:Hubel e Wiesel hanno osservato che, seviene attuata in età adulta, essa non mo-difica l'organizzazione dei neuroni del-l'area 17. Carl R. Olson e Ralph D.Freeman dell'Università della Californiaa Berkeley hanno studiato sistematica-mente l'influenza dell'età di un animalesul cambiamento della dominanza ocu-

lare che si instaura dopo un periodo diocclusione monoculare della durata di 10giorni, e hanno trovato che questo even-to, mentre a un mese dalla nascita causamodificazioni sostanziali, all'età di quat-tro o cinque mesi cessa di avere effettosull'area 17. Hubel e Wiesel hanno chia-mato periodo critico l'intervallo tra il se-condo e il quarto mese dopo la nascita,in quanto solo in questo lasso di tempola corteccia visiva ha una plasticità taleda poter modificare la propria organiz-zazione in risposta a stimoli provenientidalla retina.

el tentativo di scoprire i cambiamen-ti strutturali della corteccia che so-

no alla base di questi cambiamenti di do-minanza oculare, Hubel, Wiesel e Si-mon D. LeVay hanno utilizzato una tec-nica per marcare le vie nervose con am-minoacidi radioattivi. Anestetizzate al-cune scimmie, hanno iniettato loro in unocchio amminoacidi radioattivi. Le cel-lule retiniche hanno incorporato gli am-minoacidi nelle proprie proteine e que-ste sono state trasportate lungo gli assonie poi cedute ai neuroni dei nuclei geni-colati laterali, i quali a loro volta le han-no trasferite ai neuroni della lamina IVdella corteccia visiva. Sezioni istologichedella corteccia delle scimmie alle qualierano stati inoculati amminoacidi ra-dioattivi sono state appoggiate su unapellicola fotografica, sulla quale la ra-dioattività presente lungo la via visivaha prodotto immagini evanescenti dellearee collegate con l'occhio in cui era sta-ta praticata l'iniezione.

Le zone radioattive dell'area 17 nellalamina IV hanno formato bande distin-te, alternate a zone non radioattive. Èrisultato che ogni zona era il punto diarrivo degli assoni appartenenti ai neu-roni dei nuclei genicolati laterali che ri-cevono stimoli da un solo occhio; le zoneadiacenti, invece, ricevono segnali dal-l'occhio opposto. In una scimmia nor-male, queste «colonne» di dominanzaoculare avevano uno spessore uguale:circa mezzo millimetro. In una scimmiacon un solo occhio funzionante le colon-ne relative a quest'occhio apparivano,invece, assai allargate, mentre quelle re-lative all'occhio non funzionapte eranoridotte. LeVay, in collaborazione conMichael P. Stryker e Carla J. Shatz, haottenuto analoghi risultati con i gatti.

Questi risultati di ordine anatomico,assieme a dati di elettrofisiologia, sugge-riscono che nei gatti con un solo occhiofunzionante i contatti sinaptici tra gli as-soni provenienti dai nuclei genicolati la-terali e i neuroni presenti nella lamina IVsi sviluppino a favore della via visiva fun-zionante. Il fenomeno è paragonabile al-lo sviluppo dei muscoli che vengonomantenuti in esercizio e all'atrofia diquelli che, invece, sono inattivi. Tutta-via, l'aspetto peculiare in questo caso èche lo sviluppo dipendente dall'attivitàsi svolge in un arco di tempo ristretto,che corrisponde al periodo critico.

Nei 20 anni che sono trascorsi daquando Hubel e Wiesel effettuarono iprimi esperimenti, la plasticità della cor-teccia visiva è stata ampiamente studiatasotto l'aspetto sia elettrofisiologico sianeuroanatomico. Nel 1979 abbiamo co-minciato a interessarci a un'altra que-stione: quali meccanismi molecolari tra-ducono in strutture nervose l'esperienzavisiva acquisita nel periodo critico?

Abbiamo cominciato a cercare i cam-biamenti biochimici che contrassegnanol'inizio e la fine del periodo critico. Aquesto scopo dovevamo mettere a puntoun metodo che ci permettesse di distin-guere i processi biochimici che hanno uncompito specifico nella plasticità dellacorteccia dai processi associati alla cre-scita e al normale metabolismo. A que-sto punto abbiamo scoperto un altrovantaggio nello studiare il sistema visivodei gatti: è possibile ritardare nei piccolila comparsa del periodo critico allevan-doli nella completa oscurità e lasciandoche si realizzino tutti gli altri cambia-menti relativi allo sviluppo. Il periodocritico può così essere studiato separata-mente. Questa strategia di allevamento

al buio è stata utilizzata per la prima vol-ta da Max S. Cynader, allora alla Dal-housie University, e gli ha permesso diprovocare in gatti di ben due anni cam-biamenti di dominanza oculare, anche sedi solito il periodo critico si conclude al-l'età di quattro o cinque mesi.

Cynader ha trovato che, non appena igattini allevati al buio vengono riportatialla luce, hanno luogo cambiamenti nel-le connessioni corticali dipendenti dal-l'esperienza. Per di più, George D. Mo-wer e collaboratori al Boston Children'sHospital hanno notato che, in questi gat-tini, un'esposizione di appena alcune orealla luce era sufficiente ad attivare, a li-vello della corteccia, cambiamenti checontinuavano anche dopo che venivanoristabilite le condizioni di oscurità. Unsimile risultato suggeriva l'idea che unevento biochimico importante per la pla-sticità rimanesse silente fino a quando laluce non lo innescava.

Abiamo intrapreso la ricerca di que-sto evento biochimico studiando

l'attività di una molecola di piccole di-mensioni, l'adenosinmonofosfato ciclico

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CORTECCIA UDITIVA

«1111 1111». «IPCORTECCIA VISIVA

map2

ALLEVATO ESPOSTOAL BUIO ALLA LUCE

ALLEVATO ESPOSTOAL BUIO ALLA LUCE

È evidente la differenza biochimica tra la map2 della corteccia visiva di un gatto allevatoal buio per 52 giorni e quella della corteccia di un gatto della stessa cucciolata allevatoanch'esso al buio e poi esposto alla luce. In queste autoradiografie le strie scure corrispon-dono a proteine che, durante la fosforilazione, hanno assunto gruppi fosfato radioattivi equindi sono state separate in base al peso molecolare mediante elettroforesi su gel. Le pro-teine delle cellule corticali sono state poste in incubazione assieme ad AMP ciclico e a unaproteinchinasi AMP ciclico-dipendente oltre che a un tracciante radioattivo. Due proteine,la sinapsina e la chinasi, sono state fosforilate in ugual misura in entrambi i gatti, al con-trario della map2. Nella corteccia visiva del primo gatto la map2 era probabilmente giàdel tutto fosforilata e pertanto non ha assunto il tracciante radioattivo, mentre nel gattoesposto alla luce, la map2 è stata defosforilata e pertanto appare fortemente marcata. L'e-sposizione alla luce non ha influito sulla fosforilazione della map2 della corteccia uditiva.

GATTINO DI UNA SETTIMANA

La riorganizzazione delle connessioni tra neuroni nel corso dellosviluppo porta a variazioni della dominanza oculare. Questi schemiillustrano le cellule della lamina IV con cui gli assoni dei neuronidei nuclei genicolati laterali stabiliscono un contatto. I colori di-stinguono le vie dei segnali che si originano in occhi diversi. In ungattino di una settimana (in alto), molti neuroni ricevono segnali

da entrambi gli occhi. Se il gatto è allevato normalmente (al centro),gli assoni dei nuclei genicolati laterali si separano in colonne corri-spondenti ciascuna a un solo occhio. Se però un occhio gli viene oc-cluso ( in basso), la maggior parte dei neuroni stabilisce contatti congli assoni dei nuclei genicolati che trasportano segnali provenientidall'occhio attivo e finiscono per rispondere solo a quell'occhio.

IN C NDIZIONI DI OCCLUSIONE MONOCULARE

IN CONIOIZIONI NORMALI DI ALLEVAME TO

nI nI

OCCHIO INATTIVOOCCHIO ATTIVO

(AMP ciclico). Nelle cellule, l'AMP ci-clico è un «secondo messaggero» tipico:trasmette i messaggi che riceve in corri-spondenza della superficie cellulare a sitispecifici all'interno della cellula. Diverseragioni giustificavano la nostra scelta.Non solo era stato trovato che analoghidell'AMP ciclico stimolano in vitro latrasformazione in neuroni di cellule pre-cursori, ma addirittura Takuji Kasa-matsu e collaboratori, che allora lavo-ravano al California Institute of Tech-nology, avevano trovato elementi checonsentirono loro di formulare l'ipotesiche la noradrenalina, un comune neuro-trasmettitore, svolgesse un ruolo nellaplasticità della corteccia attivando la sin-tesi dell'AMP ciclico. La proposta di

Kasamatsu ci ha indotti ad approfondireil ruolo dell'AMP ciclico.

L'AMP ciclico potrebbe esercitare ilproprio effetto presumibilmente attra-verso una serie di eventi biochimici bendocumentati. La noradrenalina, legan-dosi a un recettore presente sulla super-ficie cellulare, funge da «primo messag-gero» e attiva, coadiuvata dalla la pro-teina G, un enzima, l'adenilciclasi, ilquale a sua volta catalizza la sintesidell'AMP ciclico. L'AMP ciclico fungequindi da secondo messaggero intracel-lulare attivando un altro enzima, la pro-teinchinasi AMP ciclico-dipendente laquale aggiunge gruppi fosfato (fosforila-zione) a particolari proteine presentinella cellula. Per molte di queste protei-

ne, l'effetto della fosforilazione non ènoto, ma si pensa che l'aggiunta di grup-pi fosfato, dotati di carica negativa, a sitispecifici presenti su una molecola protei-ca possa modificare il tipo di ripiega-mento tridimensionale della proteina e,di conseguenza, alterare la sua attivitàbiologica.

Abbiamo deciso di cercare nel sistemavisivo dei gatti proteine che fosserofosforilate dalla proteinchinasi AMP ci-clico-dipendente. Per identificare que-ste proteine fosforilate abbiamo omoge-neizzato cellule provenienti dalla cortec-cia visiva di gatti in fase di sviluppo e leabbiamo poste in incubazione con ade-nosintrifosfato (ATP) radioattivo, cheha fornito i gruppi fosfato. Tutte le pro-

teme che fossero state fosforilate duran-te l'incubazione avrebbero portato ungruppo fosfato radioattivo. Quando poifossero state separate mediante elettro-foresi su gel. il tracciante radioattivoavrebbe permesso di riconoscerle su unapellicola sensibile ai raggi X.

Abbiamo cercato le proteine che ve-nivano maggiormente fosforilate quan-do l'AMP ciclico era aggiunto alle celluleomogeneizzate e ne abbiamo trovate pa-recchie che risultavano fosforilate dallaproteinchinasi attivata dall'AMP ciclico.Una di esse è la sinapsina. che si trovain concentrazioni elevate in corrispon-denza delle sinapsi. Tuttavia l'abbiamoesclusa come intermediario nella plasti-cità della corteccia perché abbiamo tro-vato che la sua fosforilazione avveniva inmisura uguale sia nei gatti allevati al buiosia in quelli allevati alla luce. Una secon-da candidata è stata la stessa proteinchi-nasi AMP ciclico-dipendente. Abbiamoperò trovato che questo enzima è pre-sente in uguali quantità al momento del-la nascita e in età adulta e non vieneinfluenzato dall'allevamento in condi-zioni di-oscurità. Inoltre, la sua fosfori-lazione non si modifica nel corso dellosviluppo.

La nostra ricerca si è concentrata al-lora su una terza proteina fosforilata,una molecola insolitamente grossa. delpeso di circa 300 000 dalton. Medianteanticorpi specifici, che ci sono stati for-niti da Lester I. Binder dell'Universitàdella Virginia e da Andrew Matus delLaboratorio Friedrich Miescher di Basi-lea, l'abbiamo identificata come «protei-na 2 associata ai microtubuli» (map2,dall'inglese microtulnile-associated pro-tein 2). La sua concentrazione era lastessa nella corteccia visiva di gatti alle-vati alla luce e di gatti allevati al buio,ma abbiamo osservato che la sua fosfo-rilazione era diversa prima e dopo il pe-riodo critico. Nel tessuto prelevato dallacorteccia visiva di gatti allevati in condi-zioni normali, il cui periodo critico eraormai terminato, è stato facile fosforila-re la map2 ; questo fatto ha messo in evi-denza che, negli animali vivi, molti deisiti della proteina non erano fosforilati.Per contro, nella corteccia visiva di gattiallevati al buio (in cui era stato ritardatol'inizio del periodo critico) la map2 nonpoteva quasi essere fosforilata: questosignificava che lo era già stata totalmen-te in vivo.

Era possibile correlare quest'evidentediversità nella fosforilazione a una diver-sa plasticità prima e dopo il periodo cri-tico? Per verificarlo abbiamo esaminatocampioni di tessuto prelevati da gatti ilcui periodo critico era stato ritardatodall'allevamento al buio e quindi inne-scato da un'esposizione di poche ore allaluce. Abbiamo trovato che la map2 diquesti gatti poteva essere fosforilata invitro con la stessa facilità di quella digatti allevati in condizioni normali. Sem-brava così che la proteina rimanessecompletamente fosforilata durante tutto

il periodo di allevamento al buio e che sidefosforilasse non appena la luce comin-ciava a stimolare la via visiva.

Per appurare quale fosse il ruolo dellafosforilazione di map2 nel rendere «pla-stica» la corteccia, dovevamo ancoraescludere l'eventualità che stessimo os-servando soltanto un aspetto dell'adat-tamento al buio senza alcuna relazionecon l'oggetto della nostra ricerca. A que-sto scopo, abbiamo studiato gatti adultiche erano stati allevati in condizioni nor-mali e poi posti al buio. Sapevamo chequesto procedimento non aveva alcuneffetto sulla plasticità della corteccia,perché in quegli animali il periodo criticoera terminato da tempo. In essi la fosfo-rilazione di map2 non presentava unadifferenza significativa rispetto a quelladi gatti adulti che vivevano in condizioninormali d'illuminazione, né si modifica-va quando venivano portati nuovamentealla luce.

Dovevamo anche escludere la possibi-lità che la fosforilazione di map2 fossecausata da un effetto generale sullo svi-luppo del cervello dovuto all'allevamen-to al buio, come una crescita complessi-va ritardata. Abbiamo perciò esaminato

la fosforilazione della proteina nella cor-teccia uditiva di gatti allevati al buio (lacorteccia uditiva è quella parte del cer-vello in cui vengono elaborati gli stimoliacustici) pensando che, dal momentoche i gatti allevati al buio non erano sta-ti privati degli stimoli acustici, i tempi delperiodo critico riguardo alla cortecciauditiva dovessero rimanere immutati;questo avrebbe permesso di evidenziarequalunque effetto generale dovuto al-l'allevamento al buio sulla fosforilazionedella map2. Abbiamo effettivamentetrovato che la fosforilazione della map2nella corteccia uditiva non è in alcun mo-do influenzata dall'allevamento al buioo dalla successiva esposizione alla luce.

La fosforilazione potrebbe allora esse-re associata a cambiamenti nella stimo-lazione visiva e non alla plasticità? Pereliminare quest'ultima ipotesi, abbiamoanalizzato la map2 dei nuclei genicolatilaterali. Hubel e Wiesel avevano dimo-strato che in queste strutture nervose lecellule non hanno alcuna plasticità dopola nascita e continuano a reagire normal-mente alla luce dopo un periodo di oc-clusione monoculare. In effetti, non ab-biamo riscontrato alcun cambiamento

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La distribuzione della map2 nelle cellule piramidali della corteccia visiva del ratto è indicatacon chiarezza dalle zone scure che compaiono in questa sezione, evidenziata mediante unindicatore di colore abbinato a un anticorpo che si lega in modo specifico alla map2. Unacolorazione intensa indica che questa proteina è concentrata nei dendriti che si irradianodai corpi cellulari, i quali contengono anch'essi la map2, tranne che nei nuclei non colorati.La presenza della map2 nei dendriti fa pensare che la proteina possa regolarne la forma.

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nella fosforilazione di map2 all'internodei nuclei genicolati laterali prima e do-po il periodo critico. Questo risultato hafornito un valido sostegno alla nostraipotesi secondo cui la fosforilazione del-la map2 nella corteccia visiva non è do-vuta semplicemente alla stimolazionedella via visiva, ma è direttamente coin-volta nella plasticità della corteccia.

map2 è una proteina del citoschele-I tro; si ritiene infatti che rappresentiuno degli elementi strutturali interni del-la cellula che le conferiscono una formaproprio come lo scheletro dà al corpo lastruttura di sostegno. Molte di questeproteine sono anche coinvolte nel tra-sporto di molecole e di organelli all'in-terno delle cellule. Le proteine associateai microtubuli (map) si trovano appuntoassociate a questa importante compo-nente del citoscheletro che è costituitada una particolare proteina, la tubulina.

La map2 si trova esclusivamente neineuron i, dove è associata non solo ai mi-crotubuli , ma anche all'actina (che for-ma un'altra componente del citoschele-tro, i microfilamenti) e con la proteinadei neurofilamenti (strutture citoschele-triche esclusivamente presenti nei neu-

roni). Essa è stata, in realtà, scoperta inogni tipo di neurone esaminato, e questosuggerisce l'ipotesi che svolga un ruolonella plasticità, non solo all'interno dellacorteccia visiva durante il periodo criti-co, ma in varie zone del cervello e pertutta la vita. (Un fatto interessante è chenel cervello dei pazienti colpiti dalla ma-lattia di Alzheimer si nota un aggrovi-gliamento anomalo delle proteine cito-scheletriche, tra cui la map2, e sembrache il grado di aggrovigliamento sia dacorrelare allo stadio di demenza.)

In che modo la map2 potrebbe influiresulla plasticità della corteccia? In primoluogo, come proteina citoscheletrica de-ve contribuire a determinare la formadei neuroni, che è controllata in modoparticolarmente rigoroso. La maggiorparte dei neuroni presenta un tipo carat-teristico di ramificazione degli assoni edei dendriti. In particolare, vi sono buo-ne ragioni per pensare che la map2 con-tribuisca a determinare la morfologia deidendriti. Per esempio, al microscopioelettronico i microtubuli (associati con lamap2) appaiono orientati nel senso dellalunghezza dei dendriti e delle loro rami-ficazioni e Matus, usando una tecnica dicolorazione con anticorpi, ha dimostrato

che la map2 è concentrata nei dendriti.Richard Bernhardt, un collaboratore

di Matus, ha osservato inoltre che lamap2 si accumula nei dendriti neofor-mati prima che la tubulina, la compo-nente principale dei microtubuli • com-paia in quella sede. Matus e Bernhardthanno quindi proposto che la map2 pro-muova e controlli all'interno dei dendritila formazione di strutture costituite da,map, tubulina, proteina dei neurofila-menti e actina. Così la map2 può con-trollare nei dettagli sia la forma dei den-driti, sia il traffico intracellulare di mo-lecole tra dendriti e corpo cellulare.

La forma dei dendriti può influenzarela funzione dei neuroni in diversi modi:per esempio, quanto più i dendriti di unneurone sono ramificati ed estesi, tantomaggiore è il numero di segnali che essopuò ricevere e integrare. Inoltre la rami-ficazione dei dendriti può influire sull'ef-ficienza con cui un neurone trasmette unsegnale. Quando i dendriti di un neuro-ne ricevono impulsi eccitatori o inibitorida altri neuroni, essi, a loro volta, invia-no segnali al corpo cellulare. Se un se-gnale abbastanza forte raggiunge il cor-po cellulare, la cellula genera un poten-ziale d'azione. La forma e la dimensionedi un dendrite determinano la velocità ela distanza alla quale il segnale può dif-fondere e influiscono perciò sulla capa-cità cellulare di rispondere agli impulsiin arrivo. Per esempio, un segnale gene-rato in un grosso dendrite vicino al corpocellulare ha una migliore probabilità diinnescare un potenziale d'azione chenon un segnale generato in un piccolodendrite distante dal corpo cellulare.

I n che modo la map2 potrebbe influire sulla struttura citoscheletrica, come

suggeriscono Matus e Bernhardt? Il fat-to che la tubulina richieda la presenzadella map2 defosforilata per polimeriz-zarsi e per aggregarsi in microtubuli po-trebbe costituire un indizio. In realtà,come regola generale, la map2 defosfo-rilata promuove interazioni stabili tra tetre proteine citoscheletriche (tubulina,actina e proteina dei neurofilamenti),mentre la map2 fosforilata le indeboli-sce. Cosi, quando la map2 viene defo-sforilata all'interno di un neurone, i den-driti mantengono il loro assetto, mentrequando viene fosforilata possono diven-tare dinamici, pronti per subire cambia-menti di forma e di lunghezza.

Nei nostri precedenti studi, avevamodato per scontato che la map2 di gattiallevati al buio venisse fosforilata in vivoe che, quando la luce determinava lacomparsa nelle sinapsi di cambiamenticonnessi con l'esperienza, essa subisseuna defosforilazione. Riteniamo ancheche, fino a quando la map2 rimane total-mente fosforilata (lo stato in cui si trovaquando i gatti sono mantenuti al buio),la struttura citoscheletrica dei neuronicorticali resti indeterminata. Pertanto lacorteccia viene indotta a modificare lapropria organizzazione in risposta all'at-

ALLEVATO AL BUIO

Rappresentazione schematica del ruolo svolto dalla map2 nel riar-rangiamento dei dendriti. I disegni non sono in scala.) Una celluladella corteccia di un gattino allevato ai buio entra in contatto conun assone inattivo ( I ). Un neurotrasmettitore (od ormone), presen-te durante l'alle% amento al buio, si lega ai recettori situati sulla spi-na dendritica e destabilizza le proteine del citoscheletro (2) attra-verso una serie di eventi molecolari (3). Il legame del neurotrasmet-titore (od ormone) con un recettore attiva l'adenilciclasi, un enzimache trasforma l'ATP in AMP ciclico. Questo attiva un altro enzima,

ESPOSTO ALLA LUCE

una chinasi che fosforila la map2. La proteina, una volta fosforila-ta, impedisce la formazione di microtubuli e inibisce anche l'inte-razione dei microtubuli con i microfilamenti e i neurofilamenti.Quando il gattino è esposto alla luce, la natura plastica del dendritepermette a quest'ultimo di dirigersi verso un assone attivo (4). Leproteine del dendrite possono assumere una conformazione stabile(5) quando eventi ignoti connessi alla stimolazione visiva provocanouna defosforilazione della map2 e formano legami trasversali trale proteine citoscheletriche (6). Il processo può essere reversibile.

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tività neuronale stimolata dall'esposizio-ne alla luce. La diminuita plasticità chesubentra durante il periodo critico puòessere in parte causata dalla defosforila-zione progressiva della map2, che irrigi-disce sempre più il citoscheletro dei neu-roni. Questo processo rende stabile laforma dei neuroni e, di conseguenza, li-mita il grado di riorganizzazione delleinterconnessioni neuronali nella cortec-cia visiva.

L'idea che i particolari della strutturadei neuroni rimangano indeterminati fi-no alla conclusione del periodo critico èsostenuta da studi sulla corteccia visivadi scimmie e roditori allevati al buio. Inquesti animali i neuroni presentano unanotevole scarsità di spine dendritiche,corte sporgenze che si trovano sulla su-perficie dei dendriti. Queste spine sonoi principali siti di contatto sinaptico traneuroni. Perciò la loro assenza potrebbeinfluenzare profondamente la possibilitàdi connessione tra i neuroni. Può darsiche la map2 agisca sui microtubuli con-trollando la formazione e l'alterazionedelle spine oltre che dei dendriti.

Per la sua influenza sul citoscheletrola map2 potrebbe intervenire sulla pla-sticità della corteccia anche controllandoil trasporto e l'ancoraggio delle molecolenecessarie per la trasmissione sinapticae per la crescita delle sinapsi. Questemolecole potrebbero comprendere i re-cettori per gli ormoni, i neurotrasmetti-tori e i fattori che promuovono la cresci-ta, oltre alle proteine di membrana cheregolano l'eccitabilità dei neuroni.

Abiamo dunque identificato una pro-teina, la map2, le cui proprietà bio-

chimiche nella corteccia visiva variano incoincidenza con l'inizio del periodo cri-tico. È stata, questa, la prima proteinadel genere a essere identificata, ma sicu-ramente non sarà l'ultima. Possono es-servi altre proteine che i nostri metodi diindagine semplicemente non sono riusc,i-ti a individuare. Per esempio, l'attivitàbiologica di molte proteine può esserealterata all'inizio del periodo critico daqualcosa di diverso dalla fosforilazione.E. benché le prove in favore di un ruolosvolto dalla map2 siano rilevanti, nonpossiamo, ancora avere la certezza che ladefosforilazione di questa proteina mo-difichi veramente la plasticità e non sia,invece, solo un risultato del cambiamen-to. Riteniamo, tuttavia, che le modifi-cazioni molecolari debbano precederequelle strutturali nei dendriti.

Anche se la funzione esatta della fo-sforilazione della map2 rimane incerta,l'osservazione da noi fatta ha dato origi-ne a nuovi interrogativi. In particolare,non sappiamo come la stimolazione del-la via visiva da parte della luce modifichilo stato di fosforilazione della map2 nellacorteccia visiva. Questo cambiamento èforse il risultato di una modificazionedella concentrazione intracellulare diAMP ciclico (il quale attiva la protein-chinasi che fosforila la map2)? Abbiamo

pensato che, forse, l'esposizione alla lu-ce potrebbe influire sul livello dell'AMPciclico modificando la densità dei recet-tori della noradrenalina, il neurotra-smettitore per il quale Kasamatsu pro-pose un ruolo nella plasticità della cor-teccia. (Si ricordi che il legame della no-radrenalina con un recettore attiva l'a-denilciclasi, un enzima che catalizza laproduzione di AMP ciclico.)

Per verificare quest'ipotesi, abbiamoidentificato i siti che fungono da recetto-ri incubando sezioni di corteccia visivacon una sonda radioattiva che si lega inmodo specifico a essi. Abbiamo trovatoche la distribuzione a strati, caratteristi-ca dei recettori per la noradrenalina, nonpresenta nette differenze nel cervello digatti normali, di gatti allevati al buio e digatti allevati al buio e successivamenteesposti alla luce. Questo risultato ha di-mostrato che i cambiamenti nella fosfo-rilazione di map2 non erano correlati adalcuna vistosa variazione nella localizza-zione e nella densità di tali recettori. Lanostra tecnica non era però in grado dirilevare alcuna ridistribuzione dei recet-tori tra i differenti tipi cellulari presentiin un determinato strato. Per risponderea un interrogativo di questo genere, ènecessario effettuare analisi particola-reggiate al microscopio.

Un'altra possibilità è che un diversosistema di trasmettitori o di recettori diormoni venga alterato in seguito all'e-sposizione del sistema visivo alla luce.Un risultato interessante è stato recen-temente conseguito da Mark F. Beardella Brown University e da Wolfe Sin-ger dell'Istituto Max Planck per la ricer-ca sul cervello a Francoforte: esso indicache la plasticità della corteccia vienemantenuta non dalla sola noradrenalina,come aveva ipotizzato Kasamatsu, mada un sinergismo tra la noradrenalina eun secondo neurotrasmettitore, l'acetil-colina, che è abbondante lungo la viavisiva. È stato anche ipotizzato il coin-volgimento di un altro neurotrasmettito-re , il glutammato.

Stiamo attualmente esaminando lapossibilità che gli stimoli visivi scateninola liberazione di altre molecole notoria-mente in grado di attivare l'adenilciclasie, pertanto, di stimolare la sintesi del-l'AMP ciclico. Stiamo anche cercando dideterminare se la stimolazione visiva in-fluisca o no sul livello dell'AMP ciclicomodificando l'attività della fosfodieste-rasi dell'AMP ciclico, un enzima che de-grada questo composto. Una terza pos-sibilità è che la stimolazione visiva influi-sca direttamente sulla map2. Per esem-pio, può darsi che, durante l'allevamen-to al buio, la map2 si trovi vicino a pro-teinchinasi AMP ciclico-dipendenti, inmodo tale da potersi conservare in unostato fosforilato. Quando per la primavolta la luce stimola il sistema visivo, es-sa potrebbe in qualche modo essere tra-slocata in un sito distante dalle chinasi.Una quarta possibilità è che la protein-fosfatasi, un enzima in grado di defosfo-

rilare le proteine, venga attivato dallastimolazione visiva.

per comprendere appieno il ruolo svol-to dalla map2 nel periodo critico è

necessario conoscere maggiori partico-lari sulla proteina stessa. Richard B.Vallee e William E. Theurkauf dellaWorcester Foundation for ExperimentalBiology a Shrewsbury (Massachusetts)riferiscono che la molecola della map2presenta 22 siti in corrispondenza deiquali può aver luogo la fosforilazione; diquesti, 13 dipendono dalla quantità diAMP ciclico. Forse la funzione biologicadella map2 si modifica impercettibil-mente secondo il numero di siti che sonofosforilati o il modo in cui sono combi-nati. In realtà, nell'adulto, le proteinchi-nasi intracellulari AMP ciclico-dipen-denti continuano a fosforilare la map2;questo fatto fa pensare l'ipotesi che lafosforilazione e la defosforilazione dita-le sostanza svolgano altri compiti d'im-portanza essenziale, oltre a quello diconferire alla corteccia una plasticitànello sviluppo.

Stiamo solo iniziando a capire comegli eventi molecolari influiscano sullastruttura dei neuroni e come questi cam-biamenti strutturali vengano tradotti incambiamenti della funzione cerebrale.Nel tentare di rispondere a questi inter-rogativi speriamo di riuscire a capire me-glio come il mondo esterno si rispecchinella struttura microscopica del cervello.Tutto questo ci porterebbe a compren-dere come ogni singola persona, oltre aessere il prodotto di processi geneticiinesorabili, sia anche il risultato irripeti-bile della propria esperienza percettiva.

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