La pianura. La pedemontana fra Livenza e Cellina. · di (...) ...

595
Gian Luigi Bettoli La costruzione del Partito Socialista nel Friuli occidentale dalla fine del diciannovesimo secolo alla dittatura fascista. La pianura. La pedemontana fra Livenza e Cellina. Parte prima: dalla crisi di fine secolo alla Grande Guerra.

Transcript of La pianura. La pedemontana fra Livenza e Cellina. · di (...) ...

  • Gian Luigi Bettoli

    La costruzione del Partito Socialista

    nel Friuli occidentale dalla fine del diciannovesimo

    secolo alla dittatura fascista.

    La pianura. La pedemontana fra Livenza e Cellina.

    Parte prima:

    dalla crisi di fine secolo alla Grande Guerra.

  • 2

    Indice

    Prefazione di Arduino Agnelli pagina 61. Prologo. Pordenone, 1928 pagina 82. Obiettivi e metodo della ricerca. Fonti utilizzate pagina 20 2.1 - Alla ricerca di una storia del socialismo friulano. pagina 20

    2.2 - Fonti utilizzate pagina 362.2.1 - Fonti archivistiche pagina 362.2.2 - Fonti a stampa pagina 362.2.3 - Criteri utilizzati nella trascrizione delle fonti pagina 43

    3. Il territorio. Il Friuli di fine Ottocento pagina 453.1 - Il territorio friulano: una piccola patria senza confini pagina 453.2 - Una terra amara pagina 483.3 - La fuga pagina3.4 - Il porto delle fabbriche pagina 37

    4. Il sole radioso dell’avvenire. Pordenone, la piccola Manchester pagina 474.1 - Le origini del socialismo nel Friuli Occidentale pagina 474.1.1 - Prime presenze. Gli ultimi anni dell’Ottocento pagina 474.1.2 - L’organizzazione degli agenti pagina 494.1.3 - La debole democrazia pordenonese pagina 514.1.4 - La formazione del partito socialista pagina 534.1.5 - Primi comizi socialisti pagina 584.1.6 - Per la legge Turati-Kuliscioff contro il lavoro notturno di donne e fanciulli pagina 604.1.7 - La nascita dell’organizzazione sindacale socialista pagina 624.1.8 - “Una sezione vitale oltre ogni aspettativa” pagina 644.1.9 - Riformisti vs. rivoluzionari a Pordenone: polemiche senza esclusione di colpi pagina 664.1.10 - Blocco popolare e programma minimo socialista pagina 744.1.11 - La prima Giunta democratica pagina 764.1.12 - La secessione pordenonese dalla federazione socialista pagina 804.1.13 - Le prime lotte sindacali pagina 854.1.14 - Dai garibaldini al socialismo pagina 874.1.15 - Chiese infette, preti immorali, possessioni diaboliche: l’anticlericalismo socialista pagina 914.1.16 - La mobilitazione per l’iscrizione nelle liste elettorali pagina 1014.2 - La Giunta Galeazzi pagina 1074.2.1 - Il vescovo Isola invia don Lozer a Torre pagina 1074.2.2 - Breve intermezzo moderato pagina 1094.2.3 - Il Primo Maggio pagina 1104.2.4 - Pane municipale o pane cooperativo? pagina 1124.2.5- La prima volta dei socialisti come lista elettorale autonoma pagina 1144.2.6 - Breve vita di un Consiglio Comunale pagina 1184.2.7 - Visite reali e massacri di lavoratori pagina 1204.2.8 - Pordenone svolta a sinistra pagina 1234.2.9 - I primi atti della Giunta radicale pagina 1284.2.10 - L’inchiesta sulla gestione dell’ospedale pagina 1334.2.11 - Il congresso socialista di Tolmezzo (28 gennaio 1906) pagina 1364.2.12- Dalle Società Operaie alle Cooperative pagina 1464.2.13 - Si lavora allo sviluppo di Pordenone pagina 1504.2.14 - Il comune di Pordenone sostiene lo sciopero del Cotonificio Amman pagina 1524.2.15 - Case, scuole, ospedale pagina 1544.2.16 - In difesa dei lavoratori comunali, i socialisti mettono in crisi la maggioranza pagina 1574.2.17 - Facciamo come in Francia pagina 1614.2.18 - La ricostruzione del bilancio comunale pagina 1644.2.19 - Tragico epilogo dello sciopero degli edili pagina 1684.2.20 - Dal centenario di Garibaldi al Venti Settembre pagina 1744.2.21 - “Il vecchio borgo feudale va perdendo la sua mediovale fisonomia” pagina 1764.2.22 - Sindacalismo rivoluzionario e riformismo a confronto pagina 1814.2.23 - L’indebolimento del partito pagina 1854.2.24 - Fra commercianti e militari pagina 1884.2.25 - Il lavatoio di Torre pagina 1914.3 - Ritorno all’opposizione pagina 1954.3.1. - Le consultazioni parziali pagina 1954.3.2 - L’interregno pagina 1974.3.3 - I socialisti di fronte alla crisi della prima sinistra cristiana pagina 2004.3.4 - Le elezioni politiche del marzo 1909 pagina 2034.3.5. - La sconfitta pagina 2064.3.6 - Successi di don Lozer a Torre e ripresa della propaganda socialista pagina 2104.3.7 - Il comune al servizio degli speculatori pagina 2134.3.8 - L’offesa clericale ad Enea Ellero pagina 2174.3.9 - La prima candidatura socialista al Consiglio Provinciale pagina 2184.3.10 - Vallenoncello: la sinistra all’attacco del feudo dei Cattaneo pagina 2224.3.11- Roveredo in Piano: la rivolta per le scuole fa vincere la sinistra pagina 224

  • 3

    4.3.12- Torre: la costruzione della Casa del Popolo pagina 2264.3.13 - Un’amministrazione senza testa pagina 2314.3.14 - Lo sfacelo: la Giunta Querini pagina 2334.3.15 - Crisi e ripresa del socialismo pordenonese pagina 2364.3.16 - Una questione di terreni edificabili pagina 2404.3.17 - La lotta contro l’alcoolismo pagina 2444.3.18 - Al di là del Livenza: Sacile. La Giunta De Martini-Fornasotto pagina 2524.3.19 - La costituzione del circolo del Psi pagina 2604.3.20 - Il congresso operaio provinciale pagina 2674.3.21 - La politica scolastica dei socialisti pagina 2704.3.22 - Un partito di maestri pagina 2764.3.23 - La costituzione dell’Unione mandamentale socialista pagina 2824.4 - Guerre imperialiste e spostamento a sinistra del Psi pagina 2844.4.1 - Debole opposizione all’aggressione alla Libia pagina 2844.3.2 - Di nuovo l’ospedale pagina 2544.4.3 - Magie contabili pagina 2604.4.4 - Primo Maggio rivoluzionario pagina 2634.4.5 - L’occupazione militare pagina 2654.4.6- Il primo convegno collegiale socialista pagina 2674.4.7 - Si riorganizzano gli operai edili pagina 3014.4.8 - La campagna elettorale per Ellero pagina 2744.4.9 - Il fallimento della Cassa Rurale di Cordenons pagina 3164.4.10 - L’Amministrazione Comunale cambia linea pagina 3184.4.11 - Per lo sviluppo dei collegamenti ferroviari e stradali di Pordenone pagina 3214.4.12 - Il secondo congresso socialista collegiale pagina 3304.4.13 - Nella pedemontana: l’organizzazione degli emigranti pagina 2994.4.14 - Montereale: le battaglie di Domenico Fassetta pagina 337 4.4.15 - Crisi operaia e sciopero delle tessitrici di Rorai Grande pagina 3484.4.16 - Prata: la lunga guerra con don Concina (e il dottor Ebhardt) pagina 3444.4.17 - L’ombra del conflitto mondiale e della rivoluzione si stende sulle elezioni

    amministrative pagina 318

    4.4.18- Un socialista al Consiglio Provinciale pagina 3204.4.19 - Sarajevo e dintorni pagina 3234.4.20 - Il Psi e la guerra mondiale pagina 3884.4.21 - Fra intransigenza neutralista e politica dei blocchi popolari pagina 3704.4.22 - Caneva: i socialisti conquistano il comune per assicurare la condotta medica piena pagina 3754.4.23 - Campagna elettorale di guerra, voto di pace pagina 3814.4.24 - Primi nel dare l’esempio, anche in trincea pagina 3854.4.25 - Campane a martello pagina 3864.4.26 - Organizzare gli operai o i contadini? pagina 3964.4.27 - A Pordenone durante la guerra pagina 4014.4.28 - Nonostante la guerra: la Giunta socialista di Caneva pagina 4054.4.29 - I socialisti sopravvivono agli austriaci, non al ritorno di Chiaradia pagina 411

    Appendice documentaria pagina 436 1. Dati del censimento industriale 1911 a Pordenone pagina

    4362. I bambini nelle fornaci pagina

    436 3. L’organizzazione degli emigranti nel Friuli pagina

    4164. Lettere da Pordenone pagina

    4165. Il socialismo friulano nel 1894 pagina 56. Per l’organizzazione operaia in Friuli pagina 57. La farmacia servizio municipale pagina 68. Le Camere di lavoro pagina 69. La conferenza di Ellero dell’8 dicembre 1901 pagina 710. In difesa di Enrico Ferri pagina 811. Il contraddittorio fra Ellero ed i sindacalisti clericali pagina 812. Conferenza di Cesare Sarfatti pagina 913. Il Primo Maggio del 1902 pagina 914. Socialismo per sport e socialismo vero pagina 915. La risposta di Luigi Scottà pagina 1016. Programma dell’amministrazione democratica guidata da Antonio Polese pagina 1217. Sui rapporti fra socialisti, radicali e repubblicani pagina 1318. La polemica fra Gino Rosso e la Federazione Provinciale Socialista pagina

    44419. I socialisti per il 50° dell’insurrezione di Navarons pagina 1420. Le commemorazioni di Marziano Ciotti a Montereale pagina 1521. Gli spiritati di Clauzetto, intervista col prof. Antonini pagina 1622. Le suore negli Ospedali pagina 1923. I socialisti e le elezioni pagina 1924. L’inaugurazione della sede socialista di Pordenone pagina 2325. Il Primo Maggio 1905 pagina 2426. La prima candidatura autonoma dei socialisti a Pordenone pagina 2527. La vittoria delle “mosche socialiste” pagina 2628. Il comizio di Maria Goia a Pordenone pagina 27

  • 4

    29. Il discorso di Ellero per il Venti Settembre 1905 ad Udine pagina 2730. Un corteo di donne a Pordenone pagina 2731. La vittoria radicale e socialista al comune di Pordenone pagina 2832. Consiglieri comunali di Pordenone eletti nel novembre 1905 pagina

    46033. Lettera della Lega Muratori di Pordenone del 19 dicembre 1905 e risposta dell’ass.

    Zannerio pagina

    46034. La relazione di Guido Rosso sull’ospedale pagina 3135. Il comizio di solidarietà con la Russia del 21 gennaio 1906 pagina 3436. Articoli di Giuseppe Ricchieri pagina 3437. Prima del Congresso. Lega, coscienza socialista, voto pagina 4138. I socialisti e le Società Operaie pagina 4339. Manifesto del sindaco Galeazzi a sostegno dello sciopero del Cotonificio Amman pagina 4840. Il comizio di Ellero e Rosso ad Udine per gli operai del Cotonificio Amman in sciopero pagina 4941. Enrico Ferri a Pordenone pagina 5142. La condizione delle scuole a Pordenone pagina 5443. I socialisti rispondono a Galeazzi pagina 5544. L’assassinio Toffoletti pagina 5545. Oppressione padronale e violenza operaia: le prime lotte sindacali a Pordenone pagina 5546. Le celebrazioni per il centenario di Giuseppe Garibaldi pagina 5747. Per il Venti Settembre 1907 pagina 5848. La situazione del Psi pordenonese nel gennaio 1908 pagina 6049. Il Psi contro la militarizzazione di Pordenone pagina 6150. Il Primo Maggio 1908 a Pordenone pagina 6251. I socialisti fanno il bilancio della Giunta Galeazzi pagina 6352. Enrico Fornasotto sul terremoto di Sicilia e Calabria del 1908 pagina 6553. Il manifesto per la candidatura Policreti alla Camera dei Deputati nel 1909 pagina 6654. Risultati elettorali socialisti dal 1895 al 1913 in Friuli pagina 6655. I consiglieri comunali eletti a Pordenone il 1° maggio 1909 pagina 6656. La contrastata celebrazione dello sbarco dei Mille a Marsala pagina 6657. Le elezioni provinciali del 1909 nel mandamento di Pordenone pagina 6858. La conferenza di Antonio Mazza alla Casa del Popolo di Torre pagina 6859. Una lettera di Ilario Fantuzzi a proposito della Casa del Popolo di Torre pagina 6860. Le elezioni parziali del luglio 1911 a Pordenone pagina 6961. A proposito di lotta antialcoolica pagina 6962. I risultati delle elezioni parziali del giugno 1905 per il comune di Sacile pagina

    48463. Le dimissioni della Giunta Bellavitis nel settembre 1906 pagina

    48564. La diffusione de Il Lavoratore Friulano - 1911/1912 pagina

    48565. 1° maggio 1912: don Lozer aggredisce Degan e Da Corte pagina 7366. Un “duello” fra Gino Rosso ed il tenente Cagni pagina 7667. Circolare di convocazione del congresso socialista di Tolmezzo del 5 gennaio 1913 pagina 7668. L’ultimatum della federazione provinciale ai socialisti pordenonesi pagina

    50769. Congresso collegiale dei socialisti di Pordenone pagina

    50870. Comizio di Ellero del 10 maggio 1913 pagina 8171. Il convegno di Sacile pagina 8272. Lettera aperta a certi miei avversari di colore diverso pagina 8273. Socialismo e Chiesa (Replica a don Giordani) pagina 8374. Il programma elettorale politico del 1913 pagina 8475. Il risultato elettorale politico del 1913 pagina 8476. La mozione socialista al Consiglio Provinciale per il rinvio del voto all’inverno pagina 8577. II. convegno collegiale socialista di Pordenone pagina 8678. Le iscrizioni al Segretariato dell’Emigrazione pagina 8779. Ellero rifiuta la delega al Congresso di Ancona pagina 8880. Il manifesto per il Primo Maggio 1914 pagina 8981. Il memoriale delle tessitrici di Rorai nello sciopero del maggio 1914 pagina 8982. Le elezioni provinciali nel mandamento di Pordenone il 14 giugno 1914 pagina 9083. Le elezioni comunali di Pordenone del 14 giugno 1914 pagina 9084. Per la strada di Mezzomonte pagina 9185. I radicali contro Piemonte e Cosattini pagina

    47486. Il Consiglio Comunale eletto l’8 novembre 1914 ad Aviano pagina

    47887. Interrogazione di Ellero al Consiglio Provinciale pagina

    48188. Sull’opposizione cattolica alla guerra pagina

    48189. La conferenza di Lerda pagina

    48290. I consiglieri comunali eletti a Pordenone il 7 febbraio 1915 pagina

    56691. Il discorso inaugurale del consigliere anziano Ellero pagina

    483

  • 5

    92. Il comizio contro la guerra alla Casa del Popolo di Orsago pagina 483

    93. Per il rifornimento dei cotonifici pagina 486

    94. Ai coscritti socialisti. Come devono far propaganda pagina 490

    95. Il referendum su pace e guerra nel manicomio di San Servolo a Venezia pagina 502

    96. I capi socialisti di Torre ai tempi della guerra pagina 483

  • 6

    Il 29 novembre 1914 i socialisti conquistano l’Amministrazione Comunale di Caneva.

    Nella seduta del 18 luglio 1915 Giovanni Dabbà,

    richiamato in guerra insieme ad altri sei consiglieri comunali socialisti, è già morto.

    Queste due date così vicine

    simbolizzano il minuscolo ritaglio di tempo concesso ai rappresentanti dei lavoratori

    per tentare di costruire in molti dei nostri comuni un futuro diverso di libertà ed uguaglianza.

    Che rimane, a dispetto delle conquiste garantiteci dal loro lavoro politico

    e da quello di tante altre e tanti altri che li hanno seguiti, un obiettivo ancora molto lontano.

  • 7

    Prefazione Non è molto frequente nei nostri studi l’attenzione al momento originario d’un

    partito, alle caratteristiche delle sue formazioni iniziali ed al loro sviluppo successivo, ai successi ed alle sconfitte che hanno caratterizzato la battaglia politica ingaggiata. Ancor meno frequente è il dedicarsi ad un’area circoscritta come quella dell’attuale provincia di Pordenone, avendo cura tra l’altro di distinguere tra pianura e pedemontana fra Licenza e Cellina, con la messa in evidenza di problemi specifici che le caratterizzano, non senza dimenticare che il Friuli occidentale è pur sempre una parte del Friuli, con tante caratteristiche comuni, con i problemi di tutta l’Italia postunitaria, di tutta l’Europa tra Ottocento e Novecento.

    Pur nel fiorire di studi pregevoli sul partito socialista in particolare e sul movimento operaio in generale, non c’è stato quel volgersi al momento genetico, che è tratto inconfondibile degli indirizzi storicistici prevalenti in questo ambito di studi almeno in Italia. Non s’è molto allargato l’interesse che pareva si sviluppasse una cinquantina d’anni fa con opere come l’esemplare Le origini del socialismo fiorentino (1860-1880) di Elio Conti (Roma, Edizioni Rinascita, 1950). Se si prende in esame la Collana Società e cultura, promossa dalla Fondazione Filippo Turati ed edita da Piero Lacaita, il benemerito editore di Manduria, che negli ultimi dieci anni si è segnalata come la più vivace in questo ambito di studi, si nota che, dei 27 volumi pubblicati tra il 1993 ed oggi, solo due si volgono ai primi anni, Uomini rossi di Romagna. Gli anni della Fondazione del PSI (1892) di AA.VV., a cura di Dino Mengozzi (1994) e Socialismo adriatico di Marina Cattaruzza (1998).

    Gian Luigi Bettoli, fin dal secondo capitolo del suo libro, mette in evidenza il punto di prospettiva specifico scelto per la sua ricerca, che si distingue da tutta la ricca letteratura sul Pordenonese a nostra disposizione e che non nasconde il preciso proposito di mettere in evidenza questioni che non sono in primo piano nelle altre opere e, per conseguenza, pur nei loro meriti, ci consentono di arrivare solo ad un livello di conoscenza minore. Con la scelta del proprio punto di partenza, Bettoli muove da quelle che sono le prime autentiche lotte operaie, da quella che è la prima presenza socialista nelle amministrazioni comunali, dalle prime affermazioni in associazioni di categoria, anche se non operaie, come la Società Agenti di Pordenone, cioè la società di mutuo soccorso degli impiegati, commessi ed agenti di commercio, dalle successive presenze tra cotonieri, metallurgici ed edili. Egli non trascura ovviamente le opere in cui prevalente è il profilo dell’organizzazione industriale, ma il suo sforzo è volto a recuperare il profilo smarrito di quei protagonisti di una stagione di organizzazione e di lotta, su cui - stranamente e per deformazioni di carattere ideologico - non si è voluto tener desta la memoria.ricerche d’archivio e paziente lettura di giornali fanno riemergere i nomi di tanti protagonisti, sin qui dimenticati, ma il cui contributo indirettamente risulta anche negli scritti di chi non li ha voluti ricordare.

    Bettoli, nella sua paziente ricerca, ripercorre le varie tappe del cammino socialista: la conquista, già prima dl 1900, della presidenza del Magazzino cooperativo di consumo di Torre da parte di Ilario Fantuzzi, primo consigliere municipale pordenonese, che, se in sede comunale spicca solo per iniziative limitate, mostra invece buone capacità di gestione economica in un’impresa cooperativa che rimane in mani socialiste per un quarto di secolo, nonostante le battaglie coi cattolici di don Giuseppe Lozer, non dimentica le aspre polemiche fra Luigi Fedrigo, uno dei fondatori della sezione di Pordenone, trasferito però a Mortegliano e membro dell’esecutivo della sezione socialista di Udine, ed i fratelli Guido (futuro sindaco di Pordenone) e Gino Rosso ed il futuro deputato Giuseppe Ellero, accusati di riformismo di impronta radicale. In effetti i primi comizi di Giuseppe Ellero nel 1901, riguardano il diritto di voto e la battaglia per il suffragio universale, il primo, e la questione sociale e le classi lavoratrici il secondo. Il 25 febbraio 1902 viene indetto un comizio contro il lavoro notturno delle donne e dei fanciulli. Non si tratta di manifestazioni isolate: Bettoli mette bene in luce come la manifestazione contro il lavoro notturno è una delle duecentocinquanta organizzate in tutt’Italia a sostegno della proposta di legge presentata alla Camera dei deputati dal gruppo parlamentare socialista ed elaborata da Filippo Turati ed Anna Kuliscioff.

    Si opera nella linea d’un riformismo ben preciso, quello di indirizzo socialista, attento ai problemi del lavoro e nella piena aderenza ad una realtà locale in cui emergono le lavoratrici tessili, tra le quali la penetrazione incomincia ad essere notevole. Ci si attesta in seguito in una posizione volta ad impedire il contrasto tra riformisti e

  • 8

    rivoluzionari sulla base del riconoscimento della diversità delle fasi in cui i diversi metodi devono prevalere, ma i tratti della sezione pordenonese sono precisi fin dall’inizio tanto da portare ad una rottura di qualche anno con la federazione provinciale, il rientro nella quale avviene con la formazione del nuovo nucleo dirigente intorno a Giovanni Cosattini e ad Ernesto Piemonte, sensibile a tutte le suggestioni del mondo dell’emigrazione, dai problemi irrisolti che costringono ad essa fino all’apprendimento all’estero di nuovi metodi di lotta e nuove forme d’organizzazione.

    Pur nell’ambito di questa linea, favorita anche da una nuova maggioranza al Comune di Pordenone, non mancano tuttavia episodi in cui la lotta di classe si rende più dura quando nel marzo 1907 lo sciopero per l’aumento delle retribuzioni ai lavoratori dell’edilizia, conclusosi con un accordo accolto da 12 impresari su 14, vede dissentire da quest’ultimo il Cotonificio Amman, i cui dirigenti ricorrono al crumiraggio con personale prima adibito a lavori agricoli, non edili, cui seguono scioperi spontanei non approvati dai lavoratori organizzati e fonte così di divisione. Si crea un clima di violenza che culmina con l’assassinio dell’ing. Antonio Toffoletti, direttore dei lavori di costruzione d’un nuovo reparto del Cotonificio Amman. Se ne approfitta per una campagna di colpevolizzazione dei socialisti e per l’indebolimento in comune del sindaco Galeazzi e della sua giunta.

    Il necessario ritorno all’opposizione mostra dapprima i segni della crisi, poi quelli della ripresa, con l’attenzione a problemi specifici, dagli ospedali alle scuole, alla costruzione di case del popolo. Dal capoluogo Bettoli si sposta al di là del Livenza, per seguire i progressi del partito a Sacile, a Cordenons, a Montereale, a Prata fino alla conquista del comune di Caneva, mentre già si profila l’ombra della guerra mondiale. Il panorama che si presenta mette in luce un partito attento a saldare lavoratori industriali e lavoratori agricoli nelle organizzazioni loro proprie ed in quelle comuni, le cooperative, in cui possono convergere. Si formano buoni quadri amministrativi in grado di dar forma ad una sorta di socialismo municipale. Si capisce che quelli del centro più importante, dal loro municipio, fissino lo sguardo per cogliere quelle che sono le forze in gioco, con cui dovranno misurarsi con la conquista del comune di Pordenone il 31 ottobre 1920.

    Secondo Bettoli, già nel quarto capitolo, quello su Pordenone piccola Manchester, i socialisti affrontano la questione dell’illuminazione pubblica con grande diffidenza nei confronti dell’impresa mirante alla costruzione degli impianti idroelettrici del Cellina più che alla fornitura di servizi alle amministrazioni locali. Non solo espressione di buon socialismo municipale, quindi, ma precisa strategia per lo sviluppo dell’intera Destra Tagliamento è quello che dà la fisionomia del gruppo dirigente socialista di Pordenone, al tempo stesso rigino nello “scontro con la grande industria monopolistica e con il capitale finanziario”, mentre non fa mancare l’apprezzamento alle esigenze dell’industria locale, pronta al reinvestimento dei profitti nel territorio ed all’elevazione del trattamento delle maestranze.

    Queste linee restano anche nel momento dell’ “assalto al cielo” (capitolo settimo). E’ sicuramente molto importante l’impatto della grande guerra, della ricostruzione delle terre liberate, del nuovo modo d’intendere la rivoluzione, dopo il successo di quella dell’ottobre 1917 e non si cesserà mai di lodare gli scavi archivistici di Bettoli sia per il periodo bellico sia per la conquista di tante nuove amministrazioni nel dopoguerra. A quel che si viene a sapere dagli archivi comunali si aggiunge la paziente lettura dei giornali dell’epoca (con precisa attenzione volta anche ai nomi dei sottoscrittori: emerge così la fedeltà di tanti militanti, così come la costante presenza di certe famiglie). La futura provincia emerge coi suoi problemi, dalla bonifica dei Camolli a quella dei magredi, dalla lotta contro l’emigrazione alle opere pubbliche (la ferrovia Pordenone-Aviano, il porto sul Noncello, la costruzione di scuole). C’è la scissione di Livorno senza conseguenze sull’amministrazione comunale, la quale, vittima delle violenze fasciste del 10-11 maggio 1921, viene commissariata, ma ritorna alle rappresentanze elettive il successivo 20 ottobre. Bettoli fa pensare anche ad una ripartizione di compiti fra socialisti e comunisti in un momento di particolare difficoltà. La strategia, però, resta quella di Rosso ed Ellero, con il loro “complesso di opere infrastrutturali pubbliche: ferroviarie, fluviali, energetiche”. A questo punto, pur nella costanza dell’apprezzamento, Bettoli arretra e in Rosso ed Ellero vene “i figli migliori della borghesia pordenonese, democratica e progressista” o addirittura “gli ultimi esponenti del paternalismo illuminato”. Se però il loro programma consiste nel “creare le precondizioni per uno sviluppo industriale e commerciale autonomo di Pordenone, se a questo si accompagna la penetrazione nelle campagne con il grande sviluppo delle opere di bonifica e della cooperazione agricola, il disegno non sembra proprio di carattere paternalistico, per quanto illuminato, e se pure non privo di contatti con precisi interessi borghesi mostra di

  • 9

    volerli comporre in un preciso progetto di riformismo socialista. Bettoli, che giustamente si chiede se a Pordenone ci sia mai stata una giunta comunale avanzata come quella del 1920-1922, può anche chiedersi se ci sia stato un progetto di riformismo socialista così preciso e fornire analoga risposta. A questa strategia si oppone la linea di Pisenti, ma il suo riproporzionamento è un altro dei meriti della ricerca di Bettoli, che si conclude con il consolidamento del regime fascista, non senza il bellissimo prologo Pordenone 1928 ed i suggestivi accenni alle erronee impostazioni della campagna elettorale amministrativa del 1946. Sono spunti per la continuazione del lavoro? Me lo auguro.1

    Arduino Agnelli

    1 Questo lavoro è stato presentato come tesi di laurea in Storia presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Trieste nell’anno accademico 2001-2002, relatore il prof. Arduino Agnelli, correlatrice la prof. Anna Maria Vinci. Assegnata la votazione di 110 su 110 e lode, la Commissione ha auspicato una rapida pubblicazione della tesi (che qui viene presentata con alcune ulteriori modifiche e puntualizzazioni), che però, per il relatore, è qualcosa di più, è il lavoro di una vita.

  • 10

    Capitolo 1. Prologo.

    Pordenone, 1928.

    Sabato 4 febbraio 1928, ore 8.15. Un rappresentante del sindacato fascista illustra alle operaie del Cotonificio Veneziano di Rorai Grande l’accordo stabilito con la proprietà. E’ in gioco la quadruplicazione del carico di lavoro delle tessitrici, che dovranno passare da due telai (con un’aiutante) a quattro (da sole). Sono previsti 1250 licenziamenti nei cotonifici. Non sembra che l’esponente fascista sia stato particolarmente convincente: le operaie scendono in sciopero e si avviano in corteo verso Pordenone. Alle 9.00 inizia lo sciopero al Cotonificio di Torre: le operaie vengono espulse dallo stabilimento ed anch’esse si mettono in marcia verso il capoluogo. Dopo le 10.00 lo sciopero inizia anche a Borgomeduna, lo stabilimento più vicino alla città. Parte un terzo corteo. Alla fine dell’anno precedente la maggioranza della proprietà del Cotonificio Veneziano (presente con tre stabilimenti a Pordenone ed uno nel vicino comune di Fiume2) è passata ai fratelli Brunner di Trieste, che concentrano nelle loro mani sei stabilimenti nel Veneto, oltre ai due nel Goriziano di loro esclusiva proprietà. Essi scelgono una politica di ristrutturazione di tipo squisitamente finanziario, puntando a trasferire le produzioni verso gli stabilimenti goriziani ed all’estero, evitando quindi di ricorrere ad investimenti per ammodernare il macchinario vetusto. Questa linea prevede la pesante riduzione della manodopera e l’aumento dello sfruttamento. Nel dicembre 1927 ci sono stati 1300 licenziamenti negli stabilimenti tessili pordenonesi. I lavoratori anziani sono stati affidati alla carità pubblica, passando direttamente dal lavoro all’ospizio, pressoché a totale carico del comune. I salari vengono abbassati del 25%. A gennaio si ipotizzano altre 2400 sospensioni a Torre e Borgomeduna e la trasformazione di 1200 sospensioni precedenti in licenziamenti a Rorai Grande. Praticamente si tratta della liquidazione del Cotonificio Veneziano a Pordenone e della fame per la popolazione della città. Le autorità pubbliche, preoccupate ma supine di fronte alla politica dei Brunner, rafforzano la presenza della forza pubblica sul territorio, temendo disordini. Il 12 gennaio c’è il primo telegramma proveniente direttamente dal capo del governo, Sua Eccellenza Benito Mussolini. Il prefetto suggerisce al podestà di organizzare cucine economiche per i disoccupati, ma le autorità militari locali si dichiarano incapaci di soddisfare le esigenze, calcolate in 6.000 pasti per volta. Il 18 gennaio c’è l’accordo fra il sindacato fascista ed il Cotonificio Veneziano: saranno licenziate 1250 operaie, fatti alcuni ammodernamenti e riassunti 400 operai.3 Quel giorno c’è il primo sciopero a Torre, che coinvolge 280 tessitrici. L’azienda

    2 Fino al 1911 è questa la denominazione del comune, a volte definito nelle fonti Fiume di Pordenone. Da quell’anno assume la denominazione di Fiume Veneto. Cfr.: TOURING CLUB ITALIANO, Annuario generale dei comuni e delle frazioni d’Italia, Milano, 1980, pag. 435. 3 Le donne sono le prime a far le spese della deindustrializzazione pordenonese, in ossequio alla mentalità oscurantista che le vuole relegare nel focolare domestico, prive di contrattualità sociale e capacità politica. Non si tratta di un aspetto caratteristico solo dell’ideologia fascista, che anzi recupera la parte più tradizionalista del pensiero cattolico. Solo pochi anni prima, proprio il parroco di Torre don Lozer aveva scritto sul suo settimanale: Notiamo che parecchi ottimi giovani sono disoccupati e purtroppo rileviamo che si continua nella tendenza di preferire loro le signorine. Ve ne sono di buone, modeste, ma, fatte le debite eccezioni, parecchie consumano lo stipendio nelle scarpette bianche, nelle calzette di seta traforate ecc. e sono, causa l’immodesto vestire, una continua provocazione; scorazzano da un ufficio all’altro, da un tavolo all’altro, con una disinvoltura incredibile e così poco o nulla producono. Troppo spesso fanno perdere il decoro e la severità dell’ambiente. Si mandino a casa queste signorine ad imparare i lavori domestici e si occupino i giovani che non sanno come sbarcare il lunario. E’ questione di serietà, di convenienza, di giustizia e di previdenza sociale. Il Popolo, n. 24 o 25, del 18 o 25 giugno 1922, pag. 3, DISOCCUPATI. Ma negli anni successivi, sotto l’infuriare della crisi economica mondiale, saranno invece le donne a rimanere occupate, grazie alla politica della discriminazione salariale per genere che le rende più convenienti, mentre la popolazione maschile languirà nella disoccupazione e nell’impossibilità di emigrare: cfr. la testimonianza di PASQUOTTI, Evelina, La bambola di Francia, romanzo autobiografico inedito, s.l. (Pordenone) e s.d., testo dattilografato.

  • 11

    programma per i primi di febbraio la continuazione dell’esperimento a Borgomeduna e Rorai Grande. Ma il 4 febbraio inizia invece il più lungo e compatto sciopero dei tessili nel periodo fascista4, finito con la ripresa del lavoro solo il 3 marzo successivo, esattamente un mese dopo.

    Il corteo proveniente da Rorai Grande viene attaccato dalla polizia e dai fascisti e disperso.

    Ai pestaggi seguono gli arresti. Ma il corteo di Torre sfonda gli sbarramenti, usando le pietre del selciato. Duemila dimostranti entrano in città, vanno alla sede del sindacato fascista e poi al carcere, dove rivendicano la liberazione degli arrestati. Lo sciopero continua nonostante la repressione e l’attacco frontale da parte del potere politico. Il carcere scoppia, parte delle operaie arrestate viene trasferita ad Udine. I quartieri operai della periferia vengono posti sotto stato d’assedio già da domenica 5 febbraio. I comunisti diffondono nei quartieri la loro stampa clandestina ed organizzano perfino un comizio pubblico. I fascisti operano per isolare la lotta, premono sui commercianti perché non concedano credito agli scioperanti, censurano totalmente la stampa affinché non filtrino notizie fuori città. Sottoscrizioni clandestine cercano di sostenere i più poveri fra gli scioperanti. Il prefetto - per ordine del capo del governo - fa proclamare la serrata del Cotonificio ed il licenziamento di tutte le operaie, in violazione delle stesse leggi sul lavoro varate dal fascismo. Così scrive Mussolini al prefetto di Udine: E’ necessario stroncare agitazione inconsulta a Pordenone, Regime, in faccende del genere, non ammette deviazioni o indulgenze, come ha dimostrato schiantando la resistenza passiva di Molinella e mito relativo. Proceda quindi ad ottenere, e, al caso, imporre: 1) chiusura di tutti gli stabilimenti; 2) il licenziamento di tutte le operaie; 3) alla loro selezione oculata; 4) all’arresto delle più riottose operaie.5 E’ di grande significato il riferimento a Molinella, roccaforte socialista nella bassa bolognese. In questo centro agricolo di medie dimensioni (secondo Salvemini all’epoca gli abitanti erano 15.000, cioè poco meno di Pordenone) il movimento socialista, che ebbe il suo apostolo in Giuseppe Massarenti, era riuscito a trasformare una realtà di contadini poveri afflitti dalla miseria più terribile. In tre decenni l’organizzazione sindacale dei braccianti e dei mezzadri, la costruzione di una complessa struttura cooperativistica e la conquista dell’Amministrazione Comunale avevano trasformato Molinella in un modello del nuovo potere socialista.6

    4 DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie a Pordenone, 1840-1954, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1981, pag. 134. Per Mario Lizzero oggi (lo) possiamo ben considerare tra i più grandi di tutti gli anni della clandestinità durante la dittatura fascista. Cfr.: LIZZERO, Mario, Scioperano i tessili di Pordenone, in: Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Roma, ANPPIA, 1958, pag. 133; lo stesso giudizio è riportato in: id., Gloriose battaglie antifasciste, Pordenone, Federazione Comunista, 1958, pag. 17. I due testi coevi di Lizzero sono praticamente identici, con alcune piccole diversità non significative. Lizzero indica la data di sabato 3 febbraio per l’inizio dello sciopero, mentre Degan la fissa a sabato 4: una nostra verifica ci porta a sostenere la correttezza della seconda datazione: cfr. CAPPELLI, A., Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano, Hoepli, 1983, pag. 70. 5 Telegramma n. 068075 del Capo del Governo al prefetto di Udine, 7 febbraio 1928, in ASU, Busta 9, fascicolo 32: “Pordenone. Cotonificio Veneziano. Licenziamento operai 1917-29”, riportato da: DEGAN, Teresina, Industria tessile, cit., pagg. 139-140. 6 Giuseppe Massarenti non è diventato uno dei martiri ufficiali dell’Italia antifascista in quanto il fascismo, nei suoi confronti, sarà più moderno di quanto fosse in quegli anni con pistole, manganelli ed olio di ricino. L’ormai vecchio dirigente socialista, provato dalla distruzione del movimento da lui diretto e colpito dalle persecuzioni, è ridotto sul lastrico e costretto a trascinare una vita di stenti finché il regime trova modo di internarlo in un ospedale psichiatrico, con una diagnosi di... mania di persecuzione da parte del fascismo! Il grave è che Massarenti morirà nel 1950 senza che l’Italia repubblicana gli renda giustizia: nello stesso modo - d’altronde - in cui centinaia di migliaia di persone sono state espropriate della propria esistenza dalla mostruosa istituzione psichiatrica. Cfr. la biografia in: DAL PONT, Adriano, e ZOCCHI, Lino (a cura di), Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, Roma, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, 1966, pagg. 159-167. L’eliminazione degli oppositori mediante l’internamento psichiatrico, poco o nulla studiata in Italia, sembra essere stata utilizzata dal fascismo in modo significativo. In tal senso ha riferito in un recente convegno (Le carte di Ippocrate. Gli archivi per la sanità nel Friuli Venezia Giulia, Trieste-Udine 25-26 marzo 2003) il direttore dell’Archivio di Stato di Rovigo Luigi Contegiacomo, nella sua relazione Carte da legale: il caso Polesano, dedicata al lavoro di riordino dell’archivio dell’Ospedale Psichiatrico di quella città. L’incrocio fra varie cartelle cliniche e gli indici del Casellario Politico Centrale ha permesso di individuare fra gli internati svariati oppositori politici antifascisti, confermando in tal modo indicazioni già pervenute allo stesso studioso dai colleghi impegnati in analoghe ricerche nel Ferrarese. Un caso esemplare è inoltre quello di Argo Secondari, il fondatore del movimento degli Arditi del Popolo, che il fascismo non vorrà far uscire dal manicomio, nonostante le richieste dei familiari emigrati negli Usa di poterlo

  • 12

    Dal 1922 su Molinella si abbatte la violenza del fascismo, cui i socialisti rispondono con l’agitazione nonviolenta. La resistenza dura in modo ammirevole per anni nonostante gli omicidii, le bastonature, la discriminazione dei lavoratori che non cedono al regime, la distruzione di ogni struttura costruita in decenni di lotte. Paragonare quindi - da parte di Mussolini - la lotta delle tessili del Cotonificio Veneziano al mito di Molinella ha un significato che esalta e dà dimensione nazionale al ruolo politico di opposizione attribuito al movimento operaio pordenonese. A metà febbraio tra i Brunner ed il sindacato fascista è pronto un accordo, che prevede la ripresa del lavoro per tutte le operaie. Le tendenze produttive internazionali stanno ridando fiato all’industria tessile ed ai padroni interessa chiudere al più presto la vertenza. Ma la questione è politica, come dimostra ad abundantiam il ripetuto intervento del capo del fascismo nella vertenza. Il regime interviene per bloccare l’accordo, che significherebbe la vittoria delle operaie. Le dimensioni assunte dalla lotta degli operai pordenonesi sono - per questa piccola città ed il suo limitato territorio - debordanti ed inconsuete per l’Italietta fascista. Lo saranno certamente agli occhi di un osservatore degli inizi del Ventunesimo Secolo: difficilmente chi sarà nato a partire dagli anni Settanta potrà aver partecipato od anche solo visto movimenti sociali di massa, escluse forse le repentine fiammate delle minoranze pacifiste oppure qualche manifestazione dei centri sociali. Ma anche in questi ultimi casi, difficilmente si tratterà a livello locale di poco più di qualche centinaio di persone, anche se represse con uno schieramento di mezzi che ne testimonierà la potenziale pericolosità per un sistema più debole di quanto voglia apparire. Per vedere le masse - quelle delle sterminate manifestazioni contro la globalizzazione - bisognerà spostarsi nella dimensione di manifestazioni ormai internazionali. Ma la lotta del 1928 è imponente anche per quel contesto storico. Nel caso di cui riferiamo, studiato da Teresina Degan nel suo libro sulla classe operaia tessile pordenonese7, si sta parlando della dura e lunga lotta che coinvolge circa 7.000 operai (che per il 70% erano donne) dei cotonifici della città, cioè quasi tutta la massa operaia pordenonese, valutata in 10.000 unità su circa 30.000 abitanti di Pordenone, Cordenons e Fiume. E poi c’è un altro motivo: da sei anni l’Italia geme sotto il fascismo, cioè la prima moderna esperienza di dittatura reazionaria di massa. Una dittatura che ha sciolto nel sangue le organizzazioni politiche, sindacali e cooperative del movimento dei lavoratori, eliminato alla radice le istituzioni democratiche ed inciso profondamente sulla realtà sociale. Inciso profondamente significa la riduzione dei posti di lavoro aumentando in modo selvaggio la produttività operaia, riducendo nello stesso momento paghe e diritti sociali. Proprio per questo motivo non si può che guardare con rispetto al lungo sciopero dei tessili di Pordenone del 1928. La potenzialità dell’episodio è dimostrata già dal fatto che ad esso dedica più volte la sua diretta attenzione Mussolini. Allo sciopero sono dedicati inoltre articoli da parte della stampa clandestina comunista dell’epoca: l’Unità e Stato Operaio.

    Incontriamo alcune vecchie conoscenze: un fascista... Durante lo sciopero riappaiono alcuni protagonisti della storia, non solo locale, del lungo primo dopoguerra, quando per qualche tempo erano stati in discussione gli equilibri di classe del nostro paese ed era percepibile un rovesciamento della prospettiva

    accogliere presso di loro: cfr. ROSSI, Marco, Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo 1917-1922, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 1997. Alla resistenza del popolo di Molinella contro la violenza fascista hanno dedicato contributi Gaetano Salvemini - il quale utilizza anche le corrispondenze di due giornalisti inglesi che erano stati diretti testimoni e loro stessi vittime delle persecuzioni - ed Alessandro Levi, che sottolinea soprattutto la grande coesione sociale della resistenza nonviolenta dei confederali, frutto della coscienza degli enormi progressi che avevano portato in pochi decenni i contadini molinellesi - grazie al socialismo - dalla miseria più nera alla costruzione di un significativo benessere basato sull’organizzazione cooperativistica. Cfr. SALVEMINI, Gaetano, Molinella, in: DAL PONT, Adriano, e ZOCCHI, Lino, cit., pagg. 171-180; LEVI, Alessandro, Una giornata a Molinella, s.d., in: id., Scritti minori storici e politici, Padova, Cedam, 1957, pagg. 655-664. Il fascismo pordenonese contribuisce precocemente agli attacchi a Molinella nel 1920 con la presenza del giovane Francesco Pisenti, che ha già anticipato il fratello maggiore Piero nell’adesione allo squadrismo, con il quale è evidentemente venuto in contatto nella città di Bologna ove studia: cfr. APR, busta Pisenti avv. Piero, nota dattiloscritta dell’avv. Francesco Pisenti del 25 gennaio 1936. 7 DEGAN, Teresina, Industria tessile, cit., pagg. 128-148. Queste brevi righe sono basate sulla sua narrazione dello sciopero.

  • 13

    storica. Per un biennio, dopo la guerra, era stato possibile - forse - che i poteri fossero ridistribuiti e che i grandi sacrifici imposti al popolo italiano venissero almeno in parte risarciti. Poi la prospettiva fu rapidamente richiusa nel sangue da una reazione capitalistica che avrebbe costituito il modello in Europa per vent’anni. Ma la storia non procede per cesure irrimediabili, e spesso quello che sembrava sepolto per sempre riemerge in modo inaspettato. Lo sciopero dei cotonifici è certo un’amara sorpresa per qualcuno che forse pensava di essersi lasciato per sempre alle spalle la lotta di classe. Appena iniziato lo sciopero, Mussolini scrive questo telegramma: Agitazione operaie Pordenone comincia ad essere sospetta perché est assolutamente ingiustificata. Dato nullismo partito et sua azione nella patria dell’onorevole Pisenti, dato insufficienza organizzazioni sindacali invito S.V. a prendere tutte le misure perché questo gioco che dura ormai troppo tempo e non ha giustificazione abbia a cessare.8 Già, nella “patria” dell’on. Piero Pisenti, uomo degli agrari e degli industriali monopolisti e massimo dirigente del fascismo friulano, l’influenza del regime appare drammaticamente limitata. Viene messo in discussione il risultato della violenta presa del potere ai danni delle espressioni politiche delle masse popolari, che - rimaste estranee ed ostili al regime - sono ora capaci di ritornare coraggiosamente alla lotta contro di esso. Pisenti è un tipico esponente di quella borghesia liberale che ha scelto il fascismo come strumento per bloccare la strada ai partiti di massa, socialisti e popolari, usando spregiudicatamente la violenza armata per restaurare il potere di classe. Da consumato politico, durante la guerra non si era certo precipitato al fronte, alieno evidentemente da quell’entusiasmo interventista che aveva invece colpito, spesso sinceramente, anche molti esponenti della sinistra. Dopo aver affrontato socialisti e popolari nelle elezioni amministrative del 1920 con il blocco formato dal suo Partito del Lavoro, dai combattenti e dai socialisti riformisti (imbarcando in un’unica lista tutta la vecchia classe dirigente e recuperando spazio rispetto al disastroso risultato delle elezioni politiche dell’anno precedente) Pisenti confluisce nel partito fascista. E’ dapprima alto commissario del Pnf per il Friuli: gli alti commissari sono una nuova figura decisa dal Gran Consiglio del fascismo il 13 gennaio 1923, scegliendo fra i più importanti ras locali per controllare gruppi di provincie o intere regioni.9 Pisenti è poi protagonista della sperimentazione di un ulteriore passaggio dell’istituzionalizzazione del partito nello Stato, con la sua nomina a prefetto di Udine nel maggio successivo. Ma qui Pisenti - secondo Lyttelton - dimostra i limiti dei quadri del partito nella gestione della cosa pubblica, entrando in conflitto sia con l’Arcivescovado che con esponenti fiancheggiatori del regime. L’intolleranza del capo fascista si alimenta dell’anticlericalismo di fondo della classe dirigente italiana e della polemica nazionalistica contro la Chiesa austriacante, a sua volta elemento strumentale dell’attacco al clero di lingua slovena e croata delle nuove province orientali. L’esperimento ha termine solo dopo pochi mesi, nel dicembre 192310. Nel breve volgere di un anno si consuma la fase ascendente della carriera di questo brillante esponente del regime, che l’anno successivo entra nel Parlamento nazionale per restarvi per tutta la durata del fascismo11. Il suo ruolo di rappresentanza degli interessi borghesi lo aveva messo al centro di feroci polemiche da parte dell’ala “dura” del movimento, che era riuscita successivamente ad ottenere la sua temporanea espulsione dal partito fascista fra il 1926 ed il 192712. Gli altri esponenti dei ceti tradizionali, inseritisi nel fascismo per garantire il perpetuarsi della stabilità sociale e del loro potere, potranno ben presto riemergere, Pisenti no: sarà lui a pagare in qualche modo per il suo ruolo di capo troppo schierato nei contrasti interni13. Ma ciò non gli impedisce il permanere nelle istituzioni

    8 Mussolini al prefetto, telegramma in cifra, n. 037270, ore 12.30 di domenica 5 febbraio 1928, citato in: DEGAN, Teresina, Industria tessile, cit., pag. 137. 9 LYTTELTON, Adrian, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929. Roma-Bari, Laterza, 1974, pag. 266. Ras è la terminologia usata per definire i caporioni fascisti locali, mutuata dalla denominazione etiopica dei nobili feudatari che tanto filo da torcere avevano dato all’Italia durante i tentativi di conquista dell’era crispina e che altrettanto ne daranno pochi anni dopo (aiutati anche da qualche inviato del Pci), nonostante le nubi di yprite gettate dall’aviazione italiana. 10 LYTTELTON, Adrian, cit., pagg. 267-269. 11 Il Parlamento italiano. Storia parlamentare politica dell’Italia 1861-1988, Milano, Nuova CEI, 1988, voll. 11° e 12°; RINALDI, Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, 2 volumi, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983, 2° volume, pagg. 561-572. 12 LYTTELTON, Adrian, cit., pagg. 445-446; RINALDI, Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, cit., secondo volume, pagg. 563-566. 13 LEONARDUZZI, Andrea, Il fascismo locale in Friuli: problemi e prospettive, in: Luigi Ganapini (a cura di), La storiografia sul fascismo locale nell’Italia nordorientale, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di

  • 14

    del fascismo ed il repentino riemergere nel 1943-45 come ministro della giustizia della Repubblica sociale italiana, lo stato vassallo del nazismo nel Nord Italia. Ma soprattutto - per quanto ci interessa - le vicende successive di Pisenti non oscurano, ma anzi esaltano i primi passi della sua carriera politica, iniziata nel Partito del Lavoro e nella commissione padronale degli agrari che fronteggiava i rappresentanti delle leghe contadine, come vice dell’avianese Antonio Cristofori, agrario ed esponente del radicalismo (la stessa formazione politica da cui proviene anche lui). L’impegno sinceramente reazionario del Pisenti è portato avanti con coerenza, assumendo come obiettivo - da sconfiggere senza condizioni - il movimento popolare e le sue espressioni, in particolare la Giunta rossa di Pordenone sulla quale rovescia roventi polemiche.14 La stessa prevalenza di personale politico del Pordenonese alla testa della federazione fascista friulana (dopo Pisenti, Nicolò De Carli nel 1924-1925 e poi nuovamente nel 1926 ed il conte Arturo Cattaneo nel 1928-1929) testimonia il livello dello scontro di classe nel Friuli occidentale nel primo dopoguerra, qualitativamente differente dalla situazione nel resto della provincia, maggiormente segnata dalla continuità delle forze politiche tradizionali15.

    ...un muratore... Ad un rappresentante “perdente” della fazione al potere, corrisponde la capacità di mobilitazione della giovane organizzazione clandestina che per vent’anni rappresenterà l’avanguardia dell’antifascismo. L’agitazione dimostra la presenza del Partito Comunista d’Italia clandestino, capace anche di uscire allo scoperto come nel caso del comizio del 6 marzo del segretario provinciale di Udine Giacinto Calligaris. Il Pcd’i esce con la sua struttura intatta dalla lotta del Cotonificio Veneziano. Solo nel 1931 il regime riuscirà a scoprirne le fila ed a farne condannare dal Tribunale Speciale tredici esponenti, quasi tutti impegnati nello sciopero del 1928 e pronti a farne scoppiare un altro nel 1932.16 Alla testa della rete clandestina comunista ai tempi dello sciopero c’è Ernesto Oliva, muratore, eletto nel 1920 al Consiglio Comunale di Pordenone nella vittoriosa lista socialista. Suo e di Calligaris è l’articolo sullo sciopero riportato da l’Unità clandestina e

    Liberazione, 1990, pag. 37; FABBRO, Mario, Fascismo e lotta politica in Friuli (1920-26), Venezia/Padova, Marsilio, 1974, pag. 197. 14 Sul ruolo politico del Pisenti nel primo dopoguerra cfr.: FABBRO, Mario, cit.; PREZIOSI, Anna Maria, Borghesia e fascismo in Friuli negli anni 1920-22, Roma, Bonacci, 1980. Il nob. avv. dott. Antonio Cristofori fu Marco è nato ad Aviano il 19.11.1877: ASU-APU, busta 22, fascicolo 7, 1914, Eleggibilità dei Consiglieri. Ricorsi. Deputazione Provinciale di Udine, prot. n. 6430 del 10.11.1914. Sul Cristofori si veda: RINALDI, Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, cit., primo volume, pagg. 267-273. A proposito di histoire de longue durée è significativo segnalare quanto appare dal confronto fra RINALDI, pagg. 267-268 e GARGIULO, Roberto, Mamma li turchi. La grande scorreria del 1499 in Friuli, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1998, pagg. 193-198. Come Gargiulo riannoda i fili della discendenza familiare fra una giovane rapita dai turchi nel 1499 ad Aviano e padre Marco, incaricato vaticano per la mobilitazione della cristianità nella crociata contro l’Impero turco alla fine del Seicento, noi ci permettiamo di riannodare e sottolineare i fili della funzione conservatrice della piccola nobiltà, fra il cappuccino onorato all’ingresso della omonima cripta asburgica ed il suo discendente organizzatore degli agrari friulani contro i contadini. 15 LEONARDUZZI, Andrea, cit., pagg. 35-36; FABBRO, Mario, cit., pag. 191. 16 Sentenza n. 68 del 23-11-1931, Pres. Tringali - Rel. Buccafurri. Nel 1930-31 l’organizzazione comunista di Pordenone è articolata su quattro settori. L’attività è svolta specialmente negli stabilimenti industriali cittadini. (Reati contestati: Costituzione del PCI, appartenenza allo stesso e propaganda) cognome e nome comune data di nascita mestiere condanna: anni e mesi: Bet Giuseppe Fiume V. (Ud) 26-7-1898 bracciante 4 - Boccalon Guido Pasiano (Ud) 5-4-1901 bracciante 7 - Bortoluzzi Aldo Pordenone (Ud) 11-6-1902 pittore 3 - Carli Vittorio Pordenone (Ud) 20-10-1894 calzolaio 3 - Durigon Achille Pordenone (Ud) 3-4-1913 manovale 6 3 Fantuzzi Guido Pordenone (Ud) 24-6-1911 tintore 1 6 Gassarelli Giuseppe Pordenone (Ud) 12-7-1889 bracciante 2 - Lucchese Fioravante Brugnera (Ud) 6-12-1903 rappresentante assolto Morassut Antonio Pordenone (Ud) 20-11-1911 operaio 1 6 Palazzin Giobatta Pordenone (Ud) 30-11-1897 falegname 5 - Romanet Tranquillo Pordenone (Ud) 4-6-1911 macellario 1 6 Scalon Angelo S. Vito T. (Ud) 29-9-1879 falegname 5 - Vendramini Eugenio Pordenone (Ud) 20-3-1902 muratore 5 -

    Cfr. DAL PONT, Adriano, LEONETTI, Alfonso, MAIELLO, Pasquale, ZOCCHI, Lino, Aula IV, tutti i processi del Tribunale Speciale fascista, Roma, Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, 1962, pag. 206.

  • 15

    diffuso a Pordenone. Sua è la barca con la quale Calligaris sfugge alla polizia il 6 marzo attraversando il Noncello.17 Lo ritroveremo nel 1931, delegato al quarto congresso del Partito comunista tenutosi in esilio a Colonia. Un intervento significativo, secondo Paolo Spriano: A volte ci si prospetta problemi che parrebbero caratteristici dei primordi del movimento operaio se il fatto che da anni ed anni ogni espressione e organizzazione libera delle masse sia soppressa non ponesse la necessità di una propaganda come quella che cinquant’anni prima fecero tra le masse gli anarchici o i socialisti. Un delegato dice: “Come si va tra i contadini? Penetrare tra i contadini è un problema particolare. Essi sono legati al prete. A lui si rivolgono per ogni cosa. I compagni, quando vanno ad un villaggio, debbono conoscere le abitudini dei contadini e studiarne la psicologia; solo così un lavoro coordinato può riuscire. Bisogna dire che il prete è d’accordo con il padrone, che la formula ‘Beati i poveri’ è un trucco per tenerlo asservito al padrone.”18 Al termine del congresso Oliva sarà chiamato a far parte del comitato centrale del partito, un organismo assai ristretto, ben lontano dalle pletoriche dimensioni richieste dalla partecipazione di facciata cui ci si abituerà verso la fine del secolo. Inseguito da un mandato di cattura per organizzazione comunista emesso nella primavera del 1931 (la sua posizione era stata stralciata per latitanza dal processo al Tribunale Speciale contro l’organizzazione comunista pordenonese), rientra in Italia per lavorare nel Centro interno del partito e qui viene arrestato a Genova insieme al responsabile, il muggesano Luigi Frausin, il 12 marzo del 1932, in una operazione che porterà allo smantellamento del Centro. Nel 1933 il Tribunale Speciale gli comminerà 5 anni di carcere, da scontare nel penitenziario di Castelfranco Emilia.19 Il seguito, contrariamente a quello dei romanzi, non sarà eroico. La moglie, a sua insaputa, chiede al Duce la grazia. Liberato il 7 febbraio 1934 per il condono di tre anni di reclusione, Ernesto Oliva rimane macchiato dal sospetto d’infamia, è isolato dai compagni, tagliato fuori dall’attività del partito soggetta alle inflessibili regole della clandestinità. Ancora vigilato nel 1942, vive nella costante attesa di essere preventivamente arrestato, ogni qualvolta qualche gerarca del fascismo visiti Pordenone. Durante la lotta di liberazione si nasconde continuamente, per evitare di essere catturato dai nazi-fascisti. Solo dopo la caduta del fascismo Oliva ritornerà a militare nel partito comunista.20

    ...un nobile. Durante gli scontri del 4 febbraio viene ferito anche il podestà fascista conte Arturo Cattaneo: non vittima delle nerbate delle sue camicie nere, ma della rabbia operaia. Egli, con altri esponenti del fascismo locale, firma successivamente un inascoltato manifesto che chiarisce bene il ruolo del regime al servizio del padronato: Operai cotonieri di Pordenone, quanto avete commesso è stolido, vergognoso, indegno. Stolido perché diretto a danneggiare voi stessi e le vostre famiglie: vergognoso perché compiuto contro il regime e le sue sane e oneste leggi: indegno perché avete risposto con atti e manifestazioni che ricordano un passato volgare e disonorato, al generoso interessamento delle autorità politiche e sindacali e dello stesso capo del Governo il cui 17 LIZZERO, Mario, Gloriose battaglie antifasciste, cit., pagg. 16-17. 18 Dal’intervento di Antonio (Ernesto Oliva), Archivio del Partito Comunista, 918/60, tratto da: SPRIANO, Paolo, Storia del Partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1978, volume secondo, Gli anni della clandestinità, pag. 318. 19 SPRIANO, Paolo, Storia del Partito comunista italiano, cit., pagg. 322, 353 e 406. Sentenza n. 23 del 20-9-1933, Pres. Le Metre - Rel. Buccafurri. Nel marzo 1932 viene scoperto a Milano il Centro interno del Partito comunista. Frausin, arrestato a Genova, se ne assume l’intera responsabilità. Gli altri imputati, muniti di falsi documenti, sono presentati e giudicati come funzionari dello stesso partito i quali si recavano spesso all’estero, donde ritornavano con direttive e materiale vario: 16 accusati vengono prosciolti per amnistia. (Costituzione del PCI) cognome e nome comune data di nascita mestiere condanna ad anni: Frausin Luigi Muggia (Ts) 21-6-1898 carpentiere 12 Succio Carmelina Santhià (Vc) 27-5-1901 non indicato 8 Macchia Umberto Bologna 6-10-1904 operaio 12 Oliva Ernesto Pordenone (Ud) 30-11-1896 muratore 5 Marcucci Cesare Falerone (Ap) 23-9-1906 studente 12 Mazzoleni Virgilio Introbio (Co) 27-2-1897 rappresentante 6

    Cfr. DAL PONT, Adriano, LEONETTI, Alfonso, MAIELLO, Pasquale, ZOCCHI, Lino, cit., pagg. 246-247; ed inoltre, per gli altri dati: DAL PONT, Adriano, CAROLINI, Simonetta, MARTUCCI, Luciana, PIANA, Cristina, RICCO’, Liliana, cit. Ernesto Oliva era nato a Pordenone il 30 novembre 1896 ed aveva conservato la residenza in città. 20 Testimonianza di Mario Bettoli, che ha conosciuto da giovane Ernesto Oliva, abitante nel suo stesso quartiere (Borgomeduna) dopo la scarcerazione.

  • 16

    tempestivo interessamento aveva impedito la chiusura degli stabilimenti del Cotonificio Veneziano. Se tale provvedimento venisse oggi attuato dai dirigenti della Amministrazione Brunner, ciò sarebbe soltanto per vostra colpa. L’insano contegno da voi tenuto non può avere giustificazione alcuna. Lo sciopero è reato; tutti voi siete pertanto fuori della legge e contro il regime e le sue forze, non solo, ma anche contro tutte le camicie nere che per il loro onore e fede giurata non possono avere con voi nessuna solidarietà. Il nostro monito severo è rivolto soprattutto contro coloro che, avversari irriducibili del fascismo, nemici quindi del vostro stesso benessere e della tranquillità, hanno compiuto opera di sobillazione e di incitamento. Intanto voi, operai cotonieri di Pordenone, ascoltate ed eseguite l’unico ordine che il fascismo vi può dare: riprendere immediatamente con disciplina e tranquillità il lavoro. Ogni questione ed ogni eventuale diritto saranno esaminati dalle autorità competenti, a tenore della legge vigente sull’ordinamento sindacale corporativo.

    f.to Traverso - Segretario del Sindacato Fascista f.to Perotti - Segretario federale co. A. Cattaneo - Podestà Valenzuela - Segretario politico. 21

    Nessun politico eletto democraticamente si azzarderebbe ad usare un linguaggio del genere. In un futuro lontano simili sfuriate saranno solitamente rivolte alla propria base organizzativa da un capo pesantemente sconfitto nelle elezioni e saranno un cosmetico per repentini cambiamenti di linea oppure per la totale assenza di essa. In questi tempi invece il linguaggio tradisce esplicitamente il senso del dominio di classe esercitato su una massa totalmente espropriata dei diritti e della propria voce. Il conte Cattaneo, nel corso delle faide del fascismo friulano della metà degli anni ‘20, era stato espulso insieme al conte De Puppi (altro esponente dell’aristocrazia agraria) contemporaneamente alla sospensione del Pisenti, del commissario prefettizio del comune di Udine Luigi Spezzotti (pure lui industriale tessile) e del presidente della commissione reale per l’amministrazione della provincia conte Gino di Caporiacco. Tutti esponenti della vecchia classe dirigente radicale o moderata, invisi e mal sopportati dalle camicie nere “della prima ora”. Ma la loro esclusione dalle file del partito era durata poco ed il pisentiano conte Arturo Cattaneo potrà, nonostante o forse proprio per la provenienza dal duro fronte di lotta di Pordenone, occupare lo scranno di segretario federale udinese proprio dall’ottobre 1928 al settembre 1929.22

    Solo sei anni prima. Nell’estate 1922, al vertice del comune di Pordenone non sedeva un nobile proprietario terriero nominato dal regime fascista ma un sindaco democraticamente eletto con il voto del 70% dei cittadini. Anche se quelle donne che producevano in massima parte la ricchezza della città erano escluse dai diritti politici, il voto del centro operaio tessile, della “piccola Manchester” del Friuli era stato riversato sulla lista socialista. Così dal novembre 1920 all’agosto 1922 l’avvocato Guido Rosso era giunto allo scranno di sindaco, l’unico mai espresso dal movimento operaio nella città sulle rive del Noncello. Rosso non fu un politicante pronto ad approfittare del momento favorevole per fare carriera, anche se qualche ombra fu talvolta gettata su di lui dagli avversari. Avvocato patrocinatore degli operai davanti ai tribunali nelle continue cause per difendere i loro interessi individuali e collettivi, era stato dai primi anni del secolo alla testa della propaganda del partito e dell’organizzazione sindacale insieme al collega Giuseppe Ellero, assessore comunale e, dal 1921 al 1924, primo deputato socialista pordenonese. Nello stesso biennio nero in cui montava la reazione fascista, a Vallenoncello, allora comune autonomo ed oggi solo frazione di Pordenone, il conte Cattaneo ed i suoi uomini dovevano assaporare la polvere dell’opposizione ad una Giunta, pure socialista, eletta dai contadini di quel piccolo centro. L’affronto fu così duro da costare forse la vita a quel comune, assorbito nel 1930 dal ben più prestigioso feudo di Pordenone.23 21 Copia dattiloscritta presso ASU, Busta 9, fascicolo 32: “Pordenone. Cotonificio Veneziano. Licenziamento operai 1917-29”, e originale a stampa presso l’archivio del comune di Pordenone; riportato da: DEGAN, Teresina, Industria tessile, cit., pagg. 136-137. 22 LEONARDUZZI, Andrea, cit., pagg. 33-36. 23 La famiglia Cattaneo era stata rappresentata con continuità nell’Amministrazione Comunale di Pordenone, fin dall’epoca asburgica, in mezzo ad un folto gruppo di proprietari terrieri di origine nobiliare. Riccardo Cattaneo esprimeva nel 1895 contro le spese comunali per l’istruzione tecnica le preoccupazioni dell’ala più conservatrice del ceto dirigente dell’epoca, di cui ... era forse l’esponente più in vista e di maggiore peso politico. Cfr. MIO, Luigi, Industria e società a Pordenone dall’Unità alla fine dell’ottocento, Brescia, Paideia, 1983, pagg. 137-138, ed inoltre le tabelle a pagg. 216, 222-224. Sul ruolo dei Cattaneo nelle amministrazioni dei primi due decenni del Novecento, si vedano i capitoli successivi.

  • 17

    Mai vendetta di classe fu più chiara del passaggio dei poteri a Pordenone. Mai la forza degli opposti schieramenti di classe poté così direttamente commisurarsi nella conquista delle massime cariche cittadine. Alle operaie licenziate ed arrestate non rimaneva neanche più la possibilità di utilizzare il patrocinio di quei compagni che erano stati anche i loro storici avvocati.24

    La brace della storia cova sotto la cenere. Nel Friuli a cavallo fra la fine degli anni Venti ed i primi anni Trenta opera la rete clandestina del Partito Comunista. Pesano le assenze degli emigrati e di chi è caduto nella lotta antifascista, come i due capi comunisti di Torre, Pietro Sartor (costretto a rifugiarsi in Belgio, dove dirigerà Il Riscatto, giornale dell’antifascismo italiano in quel paese; morirà nel 1926 in un incidente) e Tranquillo Moras, ucciso dai fascisti in un agguato a Pordenone nel 1921. Mentre dirigenti e militanti socialisti si immergono nelle profondità carsiche della resistenza passiva al regime, altri continuano la lotta sindacale, come si vede nel 1928. Tra i dirigenti che organizzano lo sciopero troviamo Luigi Molmenti e Umberto Santin, che erano stati consiglieri comunali dal 1920 al 1922.25 Santin aveva subito aderito al partito comunista, mentre Molmenti era rimasto nel Psi. Una nuova generazione di militanti operai ha preso il suo posto nella dura azione illegale comunista, accelerata dopo la “svolta” staliniana del Pci e la decisione di riportare in Italia il baricentro della propria azione politica nella ottimistica quanto effimera prospettiva che la crisi economica del 1929 metta in ginocchio definitivamente il regime insieme con tutto il capitalismo. Nei cinque processi contro i comunisti friulani dell’ottobre 1934 troviamo una grande presenza di attivisti di Spilimbergo, Castelnovo e Sequals: si tratta (insieme a Pinzano, confinante con questi tre comuni) di alcuni dei centri dell’altra area del Friuli occidentale che, nel primo ventennio del secolo, ha visto una significativa presenza del movimento socialista, che in alcuni momenti ha anche assunto il controllo delle amministrazioni locali. Le persone sono cambiate, le date di nascita testimoniano del passaggio di consegne fra generazioni, nuovi dirigenti emergono ormai, come Luigi Bortolussi26 e Mario Lizzero: ma la coincidenza testimonia della permanenza sotterranea delle tendenze di lungo periodo.27

    24 Quando questi lavoratori licenziati in tronco e senza restituzione del libretto di lavoro si recarono da un avvocato per farsi difendere questi disse loro che preferiva regalare a ciascuno di essi 50 lire purché non tornassero da lui per timore di essere mandato al confino dai fascisti! Cfr. LIZZERO, Mario, Gloriose battaglie antifasciste, cit., pag. 20. Vista l’assenza da Pordenone di Giuseppe Ellero, che aveva dovuto trasferirsi a Milano dopo la vittoria del fascismo, tale episodio può forse riferirsi a Guido Rosso, che però è pure egli in esilio a Venezia (città per altro più facilmente raggiungibile in treno da Pordenone) oppure a qualcuno degli avvocati radicali rimasti liberi da legami con il fascismo. 25 LIZZERO, Mario, Gloriose battaglie antifasciste, cit., pag. 14. 26 Su Luigi Bortolussi, dirigente del partito comunista originario di Lestans e comandante partigiano, cfr. LIZZERO, Mario, Luigi Bortolussi “Marco” una vita per la libertà, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, s.d. (ma probabilmente 1986). 27 Sentenza n. 38 del 10-10-1934, Pres. Gauttieri - Rel. Buccafurri La federazione comunista di Udine nel 1932-33 sviluppa la propria attività nei principali centri della provincia. La sentenza ammette la “pericolosità del vasto movimento che, grazie a circostanze locali favorevoli, era riuscito a penetrare nelle organizzazioni fasciste, corrompendo giovani inesperti”. Parte degli arrestati sono prosciolti in istruttoria, gli altri rinviati a giudizio suddivisi in 5 gruppi di cui questo è il primo. (Costituzione del PCI, appartenenza allo stesso, propaganda) cognome e nome comune data di nascita mestiere condanna ad anni: Feruglio Beniamino Feletto (Ud) 26-10-1894 geometra 9 Mirolo Angelo Spilimbergo (Ud) 6-10-1908 fabbro 9 Peressini Leone Spilimbergo (Ud) 2-9-1907 falegname 8 Fritz Amedeo Spilimbergo (Ud) 13-5-1909 fabbro 8 Battistella Alfredo Spilimbergo (Ud) 24-5-1915 bracciante 4 Fagotto Antonio Spilimbergo (Ud) 14-4-1909 barbiere 4 De Marchi Ottavio Spilimbergo (Ud) 5-4-1913 pittore 4 Codogno Paolo Spilimbergo (Ud) 26-3-1913 bracciante 3 Cimarosti Luigi Spilimbergo (Ud) 8-11-1906 bracciante 3 Battistella Renato Spilimbergo (Ud) 24-11-1909 manovale 3 Giacomello Germano Spilimbergo (Ud) 10-10-1910 falegname 3 Fracasso Ciro Spilimbergo (Ud) 9-6-1883 muratore 3 Sarcinelli Alfredo Spilimbergo (Ud) 18-9-1909 falegname 3 Zavagno Pietro Spilimbergo (Ud) 1-4-1909 bracciante 4 Sedran Antonio Spilimbergo (Ud) 6-10-1913 operaio 3 Nocent Guglielmo Spilimbergo (Ud) 11-10-1912 bracciante 3 Codogno Alfeo Spilimbergo (Ud) 25-2-1914 mosaicista 3 Martinuzzi Archimede Spilimbergo (Ud) 27-6-1908 barbiere 4

  • 18

    Ma anche i “vecchi” dirigenti sono ancora all’opera. E dimostrano con la loro azione quel legame inestricabile fra il piccolo mondo delle cittadine friulane ed il grande mondo della Storia. Umberto De Gottardo, muratore e dirigente sindacale, consigliere comunale e provinciale socialista di Pordenone dal 1920, diventato assessore nel 1921 in seguito alle dimissioni di due assessori passati al neocostituito Pcd’i28 è fra i volontari antifascisti che accorrono in Spagna per combattere nelle Brigate Internazionali che difendono la repubblica dalle truppe golpiste di Franco. Sempre in Spagna, ad Albacete nel 1937, cade Piero Pasquotti di Torre, nipote di quell’Enrico Marzot che aveva ceduto il ruolo di assessore proprio a De Gottardo.29 In quegli anni un giovane comunista torinese, Emilio Guarnaschelli, esule a Mosca dopo la fuga dall’Italia e l’espulsione dal Belgio, entra nella spirale della repressione staliniana che l’annienterà insieme alla grande maggioranza dei bolscevichi ed a tanti comunisti stranieri rifugiatisi in Unione Sovietica.30 Guarnaschelli non ha Troiani Pietro Pagnacco (Ud) 15-8-1909 tipografo assolto Liva Eugenio Spilimbergo (Ud) 24-4-1900 fabbro 3 Sovran Alessandro Spilimbergo (Ud) 8-6-1903 bracciante 3

    (...) Sentenza n. 41 del 19-10-1934, Pres. Gauttieri - Rel. Buccafurri Quarto gruppo dei comunisti friulani. Vedi sentenze nn. 38-39-40. (Costituzione del PCI, appartenenza allo stesso, propaganda) cognome e nome comune data di nascita mestiere condanna ad anni: Tonelli Dante Castelnuovo (Ud) 5-10-1907 muratore 7 Colautti Emilio Castelnuovo (Ud) 13-9-1910 muratore 2 Muzzatti Domenico Castelnuovo (Ud) 13-12-1902 muratore 3 Bortolussi Luigi Sequals (Ud) 22-7-1902 arrotino 7 Beltrame Natalia Sequals (Ud) 25-12-1906 casalinga assolta Rossi Pietro Sequals (Ud) 29-10-1909 cementista 3

    (...) Cfr. DAL PONT, Adriano, LEONETTI, Alfonso, MAIELLO, Pasquale, ZOCCHI, Lino, cit., pagg.264-267. 28 Cfr. verbale del Consiglio Comunale di Pordenone del 14 aprile 1921: surroga degli assessori Luigi Brusadin ed Enrico Marzot, in seguito alla costituzione del gruppo consiliare autonomo comunista, con Umberto De Gottardo e Francesco Ortiga. 29 DEGAN, Teresina, La resistenza nella destra Tagliamento, in : XXX anniversario della Liberazione, Pordenone Destra Tagliamento, 25 aprile 1945-1975, Pordenone, Comitato Provinciale ANPI, 1975, pag. 55; PUPPINI, Marco, In Spagna per la libertà. Antifascisti friulani, giuliani e istriani nella guerra civile spagnola 1936/39, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1986, pagg. 198, 149, 196 e 338. Umberto De Gottardo, nato a Venezia il 22 luglio 1887. Residenza all’estero, muratore, comunista. Assessore comunale socialista di Pordenone nel dopoguerra, espatriato nel 1922, nel 1931 iscritto in Rubrica di Frontiera per attività antifascista in Francia. Nel 1937 si arruola nelle formazioni antifranchiste in Spagna (Brigata Garibaldi). Rientra in Francia nel febbraio 1939, internato (Argélès, Gurs), poi nelle compagnie di lavoratori al fronte francese. Pierino Pasquotti, nato a Pordenone il 27 giugno 1911, residenza all’estero, operaio, socialista. Emigrato nel 1930. Iscritto in Rubrica di Frontiera per attività antifascista in Francia. Nell’ottobre 1936 si arruola nelle formazioni antifranchiste in Spagna. Ufficiale, caporeparto in una fabbrica di esplosivi, morto il 29 luglio 1937 per malattia contratta sul lavoro. Cfr.: DAL PONT, Adriano, CAROLINI, Simonetta, MARTUCCI, Luciana, PIANA, Cristina, RICCO’, Liliana, Antifascisti nel casellario politico centrale, 19 volumi, Roma, Quaderni dell’Anppia, 1988-1995. Sempre nella stessa opera non si riscontra la schedatura di Enrico Marzot, pure emigrato politico socialista in Francia. Nel suo consistente lavoro di ricerca, Puppini commette degli errori a proposito di De Gottardo. Probabilmente sulla base di un equivoco dovuto alla confusione fra Umberto ed il padre Emanuele, Puppini sdoppia De Gottardo in due diverse persone, non accorgendosi delle coincidenze (ambedue operano ad esempio nella sanità della Brigata internazionale “Garibaldi”). Il risultato paradossale è che il presunto Emanuele, di cui non risultano neanche i relativi documenti anagrafici o polizieschi, è inserito fra i combattenti effettivi, mentre Umberto è classificato fra i nominativi incerti, combattenti forse originari del Friuli, della Venezia Giulia o dell’Istria o la cui partecipazione alla guerra civile non sembra sufficientemente provata. E’ erronea inoltre la notizia che De Gottardo dopo la guerra si sarebbe fermato in Francia: come vedremo fra poco, De Gottardo non solo rientrerà, ma avrà un ruolo di dirigente sindacale degli edili. Si tratta di uno dei tanti casi di damnatio memoriae dei dirigenti socialisti di prima del fascismo. In realtà la confusione attorno ad Emanuele/Umberto ritorna anche in altre persone. Gualtiera Pasquotti nella sua testimonianza attribuisce ambedue i nomi all’esponente socialista, quando riferisce di come lui, casualmente presente ad Albacete, assista ai funerali di suo fratello Piero e poi ne riferisca all’antico compagno Enrico Marzot, zio del caduto. Cfr.: STEFFE’, Bruno (a cura di), La famiglia Pasquotti di Pordenone. Il prezzo della coerenza agli ideali democratici, in: Quaderni di storia. Cose nostre, cose di tutti, Pordenone, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età contemporanea, n. 12, 2002, pag. 35. Dal 1950 al 1957 (anno della morte) Umberto De Gottardo convive con la madre di Bruno Pascutto. Bruno, allora ragazzo, successivamente per decenni funzionario della federazione di Pordenone del Partito Comunista ed oggi dirigente del Sindacato Pensionati della Cgil, ricorda che probabilmente Emanuele era stato anche il nome di battaglia di Umberto nella lotta antifascista. Sempre Bruno Pascutto ricorda come Umberto, capomastro edile, abbia continuato fino alla fine la sua attività politica, militando sempre nel Partito Comunista. 30 Secondo Jean Elleinstein su ventisei membri titolari del comitato centrale eletto al XV congresso del partito bolscevico, quand’era ancor vivo Lenin, diciassette saranno condannati a morte, assassinati, costretti al suicidio o deportati. Lo stesso dicasi per sei membri del Politburo del 1922 su dieci, per otto su tredici di quello del 1924, per nove su diciassette di quello del 1927: in totale venti su trentuno eletti al Politburo fra il 1918 ed

  • 19

    probabilmente mai visto Pordenone né il Friuli, ma il destino lo unisce alla giovanissima Nella Masutti, figlia di Costante, esule a Mosca con la famiglia con il nome di battaglia di Pëtr I. Garatti.31 Nella lo segue nell’esilio a Pinega, un villaggio dell’estremo nord nella regione di Arkhangelsk, vicino al Circolo polare artico e cerca dopo il successivo arresto di salvarlo dalla morte, di cui avrà notizia solo durante la guerra.32 Fra gli oltre cento comunisti italiani vittime della repressione staliniana, alcuni sono friulani o giuliani, come Luigi Fattori di Udine, Vattovaz di Capodistria, Germano Romanutti di Udine, Nicolò Martini di Pordenone e Luigi Caligaris di Trieste, la prima vittima italiana del terrore staliniano. Un articolo di Caligaris sulla situazione sovietica era stato pubblicato con lo pseudonimo di Siciliano da Il Popolo d’Italia con un commento personale di Mussolini. Caligaris sarà vittima delle grandi purghe successive all’assassinio di Kirov insieme con Ezio Biondini (nome di battaglia Merini), con il quale aveva avuto rapporti di amicizia Emilio Guarnaschelli.33 Il suocero di Guarnaschelli, Costante Masutti, nel primo dopoguerra si era distinto non solo come dirigente sindacale degli edili e consigliere comunale socialista di Pordenone, ma anche per le sue gesta di ex ardito di guerra, impegnato in avventurosi scontri con i fascisti. Di lui, oltre alla notizia della sua presenza nella Mosca degli anni ‘30, non ci rimane che un ritratto poco lusinghiero. Egli è accusato da Guarnaschelli di aver fatto pressioni di ogni tipo sulla figlia per impedirle di raggiungerlo a Pinega e forse anche di essere stato l’autore della denuncia nei suoi confronti. Difficile valutare quanto la responsabilità paterna su una figlia appena sedicenne ed il conformismo dell’esule comunista nella Mosca di quegli anni, dove ognuno deve guardarsi da tutti, e forse più di ogni altro dai compagni vicini, abbiano contribuito al suo atteggiamento.34 Comunque sia, nell’immediato dopoguerra Costante Masutti è a Pordenone, attivo nel Fronte Popolare. Ma non è più nel partito comunista, bensì in quello socialista finché, dopo alcune delle sue turbolenze, che lo portano ad affrontare i propagandisti dei Comitati civici clericali anche durante il culto cattolico e che gli provocano un processo, viene convinto a ritornare in Francia per evitare ulteriori tensioni. Il mondo è piccolo anche prima che venga inventata la globalizzazione: e così si ritrovano il socialista Guido Rosso come suo avvocato difensore ed Ernesto Oliva, rientrato nel Pci, che lo convince ad abbandonare il campo.35 E’ possibile ipotizzare che l’esperienza della figlia e del suo compagno abbiano influito sulle sue opinioni politiche? Altri passaggi incrociati si sono verificati in quei decenni: se Masutti passa al Pcd’i, ma è socialista nel secondo dopoguerra, il contrario avviene per De Gottardo. Quanto ad Enrico Marzot, Evelina Pasquotti, sua nipote e sorella di Pierino, anni fa mi rivelò con stupore di averlo sempre conosciuto come socialista, e di non aver mai saputo di una sua appartenenza al Pcd’i (vista la politicizzazione della famiglia, non è ipotizzabile pensare a qualche trascuratezza nell’informazione: ed infatti successivamente anche la sorella Gualtiera mi ha confermato la stessa informazione di Evelina). Ho posto nel passato la questione a Teresina Degan, la quale mi ha proposto la seguente ipotesi: chi era stato a Mosca aveva il 1935 scompariranno a causa della repressione staliniana. Cfr. ELLEINSTEIN, Jean, Storia del fenomeno staliniano, Roma, Editori Riuniti, 1975, pagg. 129-131. Guarnaschelli morirà nel 1939 in circostanze incerte, dopo essere stato internato nel 1936 nel distretto minerario della Kolyma, ove milioni di persone furono costrette fino agli anni ‘50 alla deportazione in condizioni di lavoro e di sopravvivenza inumane. Cfr.: GUARNASCHELLI, Emilio, Una piccola pietra, Milano, Garzanti, 1982, pagg. 287-291. Sulle condizioni di detenzione e sfruttamento nella Kolyma, cfr. la testimonianza di SALAMOV, Varlam, Kolyma. Racconti dai lager staliniani, Roma, Savelli, 1978, recentemente ristampato da Einaudi in forma ampliata. 31 GUARNASCHELLI, Emilio, cit., pagg. 104 e 187. 32 GUARNASCHELLI, Emilio, cit. E’ grazie a Mario, fratello di Emilio, che le lettere inviate alla famiglia in Italia hanno potuto essere conservate, fino alla pubblicazione a cura di Nella. 33 SPRIANO, Paolo, Storia del Partito comunista italiano, cit., terzo volume, pagg. 241-245. GUARNASCHELLI, Emilio, cit., pagg. 96-97. La pubblicazione dell’epistolario di Guarnaschelli permette di correggere le informazioni di Spriano che lo riguardano: è un “senza partito” solo nel senso che attorno a lui - soprattutto per gli ingiusti sospetti riguardanti il fratello - si crea un vuoto nella comunità italiana a Mosca; inoltre il suo calvario va ben oltre il carcere di Arkhangelsk in cui viene rinchiuso per alcuni giorni. Kirov, segretario del partito comunista di Leningrado, viene ucciso il 1° dicembre 1934, probabilmente per conto di Stalin, che usa questo omicidio come pretesto per scatenare la grande repressione contro i suoi oppositori. Secondo Jean Elleinstein, dopo il XVII congresso del Pcus, tenutosi nei mesi precedenti, Kirov era assurto a possibile alternativa a Stalin, in un clima di ritrovata unità del partito di fronte al pericolo costituito dal montare del fascismo internazionale. Cfr. ELLEINSTEIN, Jean, cit., pagg. 111 e segg. 34 Emilio giudica molto duramente il padre di Nella, e non sempre ha torto. A difesa di quest’uomo, si può dire che il suo comportamento era dovuto alla preoccupazione di salvaguardare la famiglia e la propria vita, in quel periodo difficile, dando prove di attaccamento alla linea del partito. Cfr. GUARNASCHELLI, Emilio, cit., nota di Nella Masutti a pag. 200. 35 Testimonianza di Mario Bettoli.

  • 20

    piegato poi verso i socialisti per la delusione nei confronti di quell’esperienza; chi al contrario era emigrato in Francia era stato maggiormente coinvolto nella lotta antifascista egemonizzata dai comunisti. Credo si tratti di un’ipotesi interpretativa condivisibile, anche se il ventaglio delle scelte possibili, nel crogiuolo delle divisioni e degli scontri nel movimento operaio internazionale, è probabilmente ancora più articolato. Se Marzot ed il nipote Piero Pasquotti in Francia svolgono il loro lavoro politico nella Sfio (Section Française de l’International Ouvrière, cioè il partito socialista francese), è sempre in quel paese che Achille Durigon di Torre, condannato nel 1931 per ricostituzione del Pcd’i insieme con il nucleo comunista pordenonese, con l’accusa specifica di aver issato la bandiera rossa sul campanile il 1° maggio di quell’anno, aderirà verso la metà degli anni Trenta all’anarchismo. Durigon tuttavia non combatterà in Spagna con le colonne anarchiche, ma nel Battaglione Garibaldi delle Brigate Internazionali, dalle quali si allontanerà solo nel 1937 in polemica con la repressione attuata dal governo repubblicano verso le organizzazioni anarchiche e della sinistra comunista non stalinista.36

    Epilogo: 25 marzo 1946. Nelle prime elezioni libere per ridare a Pordenone la nuova Amministrazione Comunale, il 60% circa degli elettori danno il loro voto ai partiti della sinistra, Pci, Psiup37 e Partito d’Azione. Vince comunque la Democrazia Cristiana, visto che la sinistra si presenta divisa per la scelta settaria del Pci, che rifiuta di appoggiare la proposta socialista di ricandidare a sindaco l’avv. Rosso38. Una scelta gravida di conseguenze, che consegna il governo della città alle forze conservatrici: prima la Democrazia Cristiana e, negli anni ‘90, la Lega Nord. Si dimostra anzitempo l’incapacità comunista di conquistare quella egemonia politica che i socialisti avevano costruito prima del fascismo. Un limite, quello dei comunisti pordenonesi (dovuto probabilmente alla orgogliosa coscienza del ruolo trainante avuto in vent’anni di lotta clandestina e nella lotta armata contro il fascismo) che costa loro la neutralizzazione di una grande capacità organizzativa sul piano sindacale e li relega ad un ruolo politico di secondaria importanza nei decenni successivi. Certo a Pordenone non c’è traccia di quel Togliatti che esprime la sua valutazione positiva sul programma di ricostruzione dell’Italia elaborato dal riformista Turati un quarto di secolo prima, dopo la grande guerra.39 Ma il clamoroso errore del 1946 non può nascondere un fatto di capitale importanza, quello centrale per la “storia di lungo periodo”, clamoroso al di sotto della sottile crosta degli avvenimenti. Si tratta della permanenza del consenso - dovuto soprattutto alla presenza della classe operaia tessile - alle forze di sinistra, pressoché intatto dopo più di vent’anni di dittatura. Un altro elemento di permanenza è quello segnato dalla presenza di gran parte degli esponenti più prestigiosi dell’amministrazione socialista del 1920 nelle liste della sinistra del 1946. I comunisti candidano al numero 5 36 PUPPINI, Marco, scheda relativa ad Achille Durigon, in: ***, Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, in corso di pubblicazione (in corso di pubblicazione). Ringrazio il prof. Puppini per avermi permesso la lettura della scheda in anteprima. 37 Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria è la denominazione del partito sorto durante la lotta antifascista dall’unificazione dei vari gruppi socialisti clandestini. Lo stesso nome ripreso poi nel 1964 dai socialisti che rifiuteranno il centrosinistra di Nenni e Moro, rimanendo all’opposizione e poi confluendo in maggioranza nel Pci nel 1972 o rafforzando la diaspora della nuova sinistra extraparlamentare. 38 DEGAN, Teresina, Industria tessile, cit., pagg. 173-174; BOSARI, Otello, La società pordenonese tra guerra e dopoguerra. Problemi economici e lotte del lavoro, in: ***, Il Pordenonese dalla Resistenza alla Repubblica, Pordenone, Istituto Provinciale di Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea, 2000, pagg. 192-193. 39 Il 26 giugno 1920 Filippo Turati pronuncia (a titolo personale, senza il consenso degli organi dirigenti del Psi) il suo discorso passato alla storia con il titolo Rifare l’Italia, titolo con il quale esso fu pubblicato in opuscolo dalla Lega nazionale delle cooperative. Cfr. il testo in: TURATI, Filippo, Socialismo e riformismo nella storia d’Italia (a cura di Franco Livolsi), Milano, Feltrinelli, 1979, pagg. 359-406. Secondo Luigi Cortesi, il Turati pronunciò un ampio discorso nel quale confluiva, si può dire, tutta la elaborazione ventennale di un riformismo giunto ormai alla sua maturità, alla sua massima coscienza dei problemi nazionali; problemi ai quali urgeva che si desse soluzione da parte di un governo “laburista” (...) la cui maggiore novità stava nel carattere globale e organico di piano ricostruttivo che, partendo dalla situazione di classe e dalle condizioni economiche e giuridiche vigenti, e forzando lo sviluppo produttivo nell’interesse della comunità nazionale, doveva rappresentare una tappa nel processo della democrazia in Italia. Il piano turatiano, che prevedeva un intervento sistematico dello Stato attraverso organismi decentrati regionali, suscitò grande impressione. (...) Ancora nel 1945, al quinto congresso del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti lo citò come esempio valido nel quadro dei problemi della ricostituzione e riorganizzazione economica del secondo dopoguerra. Cfr.: CORTESI, Luigi, Le origini del PCI, Roma-Bari, Laterza, 1973, pagg. 237-238.

  • 21

    della lista - come indipendente - Ernesto Oliva, definito come ex combattente, capo mastro muratore, vecchio antifascista, organizzatore sindacale edile, tacendo però del suo ruolo di dirigente nazionale in una fase della vita del Pci clandestino. Al numero 11, in tal caso come iscritto, candidano Umberto De Gottardo, definito vecchio combattente antifascista, perseguitato dal Fascismo, emigrato in Francia, organizzatore sindacale edile. Non viene in alcun modo accennato al loro ruolo di ex amministratori comunali prima del fascismo, quasi questo titolo non avesse alcun merito o peggio suscitasse imbarazzo, a differenza della qualificazione come attuale prosindaco di un altro candidato.40 Ma è l’esame del Il Lavoratore Friulano del 1946 che provoca la maggiore sorpresa, smentendo fra l’altro un pezzo di quella che viene definita come la “tradizione comunista”, che dà Ellero per ritiratosi a vita privata dopo la vittoria del regime e fino alla morte, avvenuta nel 1950 (segnalando anche un tentativo di conciliazione con il regime).41 La lista socialista non porta solo come candidato sindaco Guido Rosso, ma colloca subito dopo di lui gli assessori del 1920 Giuseppe Ellero e Romano Sacilotto; al sesto posto segue, dopo due rappresentanti delle principali frazioni, l’altro loro collega Vincenzo Degan. Già la collocazione sembra escludere un ruolo puramente simbolico della presenza di questi antichi protagonisti: ed infatti ritroviamo in quei giorni - come ai vecchi tempi - Ellero e Rosso a rappresentare il socialismo pordenonese nelle iniziative pubbliche, ad esempio in un cinema della città in contraddittorio con un giovane esponente della Democrazia Cristiana: Domenica sul tema: Passato e presente - dovevano parlare l’avv. Tonetti di Venezia e l’avv.