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LA PESTE A MILANO di Giuliano Vitali 2014

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LA PESTE A MILANO

di Giuliano Vitali 2014  

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Indice 01. Le pestilenze nei secoli 02. Cause della peste ritenute nell’antichità 03. Ma cosè la peste? 04. Ultime pestilenze a Milano 05. Fra Paolo Bellintani e la peste del 1576 06. La peste del 1630 o federiciana 07. Il lazzaretto – il sito 08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua 09. Il lazzaretto – il nome 10. Il lazzaretto – la costruzione 11. La chiesa 12. Il declino

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01. Le pestilenze nei secoli Ø Notizie sulle antiche pestilenze si hanno da diverse

fonti; trattasi, purtroppo, di notizie confuse e difformi, a volte contradittorie, con scarsa attendibilità storica. Certo è che nell’antichità questo flagello fece la sua disastrosa comparsa in diverse parti del mondo seminando un numero incalcolabile di morti.

Ø Non di tutte possediamo notizie sufficienti, Ne siamo

informati solo quando si occuparano di peste gli storici e gli scrittori in genere, o anche i poeti.

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø  La peste di Atene del 430 a.C., descritta dallo storico greco Tucidide e poi dal poeta romano Lucrezio nel suo poema ‘La Natura’.

Ø  La peste di Roma del 65-66 d.C., ne parla Tacito negli ‘Annali’.

Ø  La peste di Cartagine del 252-254 d.C., descritta dal Vescovo della città, il futuro martire S.Cipriano.

Ø  La peste di Roma del 590 d.C., detta di S.Gregorio.

Si ricordano:

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø Dal principio del XII secolo fino alla metà del XV secolo, solo in Italia si contano una trentina di pestilenze compresa quella del 1301 in Lombardia, notevole perché vi si distinse San Rocco di Montpellier: colpito lui stesso dal male, e poi guarito, venne per questo invocato come protettore contro la peste, assieme a San Sebastiano.

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø Che dire poi della tremenda epidemia del 1348, chiamata ‘peste nera’ dal colore che prendeva il corpo a causa della comparsa di macchie livide. Scoppiata in tutta Europa, provocò la morte di circa un terzo della popolazione. La città più colpita fu Firenze con oltre 100.000 morti. Fu proprio per sfuggire a quel contagio che i l Boccaccio (1313-1375) immagina un’allegra brigata che si ritira in una villa fuori città per raccontarsi l’un l’altro le famose 100 novelle (Decamerone 1348-1353).

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø Uscendo dall’Europa c’è da dire che, a causa della grande epidemicità e dell’alta mortalità, la peste era nota e temuta in oriente fino dai più remoti tempi.

Ø Occorre rilevare però che, data la penuria di notizie attendibili pervenute a noi da qui lontani tempi, in verità non sappiamo bene che cosa intendessero gli antichi con le parole peste, pestilenza, moria: forse anche la malaria, il vaiolo, lo scorbuto, ecc…

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø  In conclusione, di peste si parla sin dall’antichità. Il blocco cronologico più compatto, a proposito del quale è possibile delineare i modi in cui la malattia ha colpito le società occidentali e le forme in cui si è reagito ad essa, è però quello che va dalla metà del trecento agli inizi del settecento.

Ø A metà del trecento, la peste, endemica in alcune zone del l ’Impero Mongolo, si affaccia sul Mediterraneo per coinvolgere direttamente l’Europa: lo sviluppo del commercio carovaniero, che insieme alle merci trasportò diverse specie di roditori portatori della malattia, è alle origini della sua diffusione in occidente.

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01. Le pestilenze nei secoli

Ø Nella seconda metà del seicento, la diffusa presenza della peste si attenua, mentre altre malattie in forma epidemica (tifo, colera, vaiolo) o endemica (malaria) continuano o accentuano la loro presenza, ma con esiti meno disastrosi sul piano della mortalità. Il problema della sparizione della peste dalla scena europea (l’ultima sua comparsa è a Marsiglia nel 1720) ha aperto una serie di interrogativi a cui non si è data una risposta definitiva.

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01. Le pestilenze nei secoli Ø Si parla di mutamento del rapporto tra uomo, pulci e

roditori, oppure della progressiva sostituzione nel settecento del Rattus - Rattus (topo nero dei granai) con il Rattus norvegicus (topo grigio delle fogne) oppure dell’evoluzione del bacillo della peste, oppure del miglioramento dei sistemi di controllo (quarantene, cordoni sanitari) e quindi del fattore umano.

Ø Occorre infine dire che, dal punto di vista terapeutico, il bacillo della peste, identificato nel 1894, è stato debellato solo negli anni quaranta del XX secolo con la scoperta degli antibiotici.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

Da sempre si volle sapere da dove mai venisse un morbo così terribile. La scienza di qui tempi aveva collocato le cause della peste a quattro differenti livelli: 1. Influssi e congiunzioni celesti di stelle, costellazioni, comete, pianeti;

2. Inquinamento e corruzione dell’aria;

3. Umori putridi di sangue;

4. Contagio per contatto con gli infetti e le loro robe.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

1. Per prima cosa si guardava in alto, molto in alto, addirittura fino alle stelle, alle costellazioni, alle comete, ai pianeti. Ne parla il protomedico Alessandro Tadino a proposito della peste del 1630; e, com’è noto, il Manzoni metterà in ridicolo gli influssi e le congiunzioni stellari nella persona di un caratteristico personaggio del suo romanzo, don Ferrante. Si dirà che ciò è astrologia: verissimo, ma a quei tempi l’astrologia era una scienza.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

Dai ‘Promessi Sposi’ - cap. XXVII Nell’astrologia, era tenuto, e con ragione, per più che un dilettante….Sapeva d’influssi, d’aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parlare a proposito, e come dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de’ circoli massimi, de’ gradi lucidi e tenebrosi, d’esaltazione e di deiezione, di transiti e di rivoluzioni, de’ principi in somma più certi e più reconditi della scienza.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

Quello che dice la critica – cap. XXXVII Don Ferrante ha un commiato e un epilogo umoristico da eroe metastasiano. Non l’uomo il Manzoni ha condannato in lui, bensì la sua falsa scienza, la sua decrepita cultura arretrata. Don Ferrante, infatti, si allontana dalla scena della vita, pigliandosela con le stelle, che lo hanno deluso, mettendolo finalmente solo davanti alla morte e alla peste, senza alcuna protezione, indifeso e umiliato.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

2. Una seconda causa della peste era localizzata più in basso, molto più giù delle stelle: nell’aria che respiriamo, più esattamente nella corruzione di quest’aria, con variazioni d’opinione sulle cause di questo inquinamento atmosferico.

La risposta di allora erano interventi diretti nell’ambiente circostante con profumi e fumigazioni di legni odorosi.

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

3. La terza causa della peste era dentro l’uomo stesso. I medici parlavano infatti di umori putridi che circolavano nel sangue, umori causati a loro volta da certi cibi e da certe bevande.

La risposta erano interventi diretti sul corpo del malato con salassi e purghe. Inoltre interventi di tipo chirurgico sui bubboni e sugli antraci per poi applicarvi impiastri (trattamenti eseguiti dai barbieri-chirurghi anche se prescritti dai medici-fisici).

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02. Cause della peste ritenute nell’antichità

4. La quarta ed ultima causa era l’unica veramente esatta, cioè il contagio attraverso il contatto con gli infetti e le loro robe.

5. Potremmo aggiungere che, se i medici e gli

scienzati di quei tempi fossero scesi ancora più in basso, addirittura nelle fogne, avrebbero trovato laggiù i veri responsabili: i topi.

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03. Ma cosè la peste?

Ø  L’agente specifico è la pasteurella pestis, un bacillo s c o p e r t o e i s o l a t o n e l 1 8 9 4 . Q u a s i contemporaneamente, ma separatamente, da due medici: Yersin (svizzero) in un laboratorio di Hong-Kong; Kitasato (giapponese) a Tokio.

Ø  Tutti gli animali rosicanti (topi, scoiattoli, marmotte, ecc.) sono molto ricettivi e possibili centri di produzione del morbo, sia in forma acuta che cronica, ma soprattutto tutte le specie di ratti.

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03. Ma cosè la peste?

Ø  Le vie di contagio verso l’uomo possono essere: 1° topo pulce uomo 2° uomo infetto pulce uomo 3° uomo infetto oggetti e derivati organici uomo Ø Quando la forma non è tanto maligna e l’infermo

non muore per collasso o per paralisi cardiaca o per complicazioni polmonari, dopo 7-8 giorni la febbre può scendere e può cominciare la convalescenza.

Ø  La mortalità varia secondo le epidemie, di rado è inferiore al 60-70% ma può arrivare al 90% e più.

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03. Ma cosè la peste?

Ø  La profilassi era basata sull’isolamento degli infetti, ma anche dei sospetti.

Ø Questi provvedimenti erano già stati attuati dai veneziani all’inizio del ‘400 con l’istituzione dei lazzaretti, con le regole per la quarantena e con la bandiera gialla da inalberare sulle navi infette.

Ø  In seguito questi accorgimenti, ed altri ancora, furono adottati da tutti, quali:

a) dischi paratopi per le navi b) uso del bastone bianco per i monatti c) uso del campanello per i monatti

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Alexandre Yersin (1863-1943) Shibasaburo Kitasato (1853-1931)

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Disco paratopi

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Lazzaretto Nuovo

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04. Ultime pestilenze a Milano Ø  17 pestilenze dal 883 al 1630

Ø  Peste del 1485 Signoria di Ludovico il Moro

Ø  Peste del 1524 o di Carlo V Guerra Francia-Spagna per il dominio su Milano

Ø  Peste del 1576 o di San Carlo Dominazione spagnola

Ø  Peste del 1630 o federiciana o manzoniana Dominazione spagnola

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04. Ultime pestilenze a Milano La peste del 1485

Ø Cinque ondate di contagio nel corso delle Signorie dei Visconti-Sforza. L’ultima, la più grave, colpì Milano, ma anche Como, Pavia, Lodi, Cremona. Si manifestò tra il 1485 e il 1486.

Ø I morti furono 50.000-100.000.

Ø Gli apparitori avevano l’incarico di precedere i carri che trasportavano gli appestati, sia vivi che morti, avvertendo con un campanello e un bastone bianco la gente perché si ritirasse.

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04. Ultime pestilenze a Milano La peste del 1485

Ø I sottrattori, precursori dei monatti manzoniani, trascinano i cadaveri, li portano a spalla seminudi, sfigurati, senza più quasi umane sembianze, fanno rotolare giù per le scale corpi di moribondi da mischiare ai già esamini nella fossa comune.

Ø Lavorano anche di notte, invadendo le cucine e le case, rubando, bevendo, litigando, rimettendosi al lavoro perché Madama Morte ha molta fretta di fare le sue prede.

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04. Ultime pestilenze a Milano La peste del 1524 o di Carlo V

Ø La seconda scoppiò nell’estate del 1524, durò soltanto dai tre ai quattro mesi, ma fu violentissima: da 50.000 a 100.000 morti (Milano allora contava 100.000-120.000 abitanti).

Ø Venne chiamata peste di Carlo V, che a quell’epoca era Imperatore del Sacro Romano Impero. Ma a diffonderla furono la truppe francesi di Francesco I quando scesero in Italia per tentare di impedire all’Imperatore asburgico il possesso del Ducato di Milano (il tentativo fallì con la battaglia di Pavia nel 1525).

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04. Ultime pestilenze a Milano San Carlo e la peste del 1576

Ø Di quella peste il Manzoni dirà: ‘Tanta è forte la carità’

perché fu proprio l’impressionante attività di San Carlo a dominare la scena di quel dramma. Gli autori di allora dicevano di lui: Incitava Convinceva Confortava Prescriveva S’informava Se necessario, costringeva

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04. Ultime pestilenze a Milano San Carlo e la peste del 1576

Ø Fu dunque caritatevole, ma anche intransigente.

Ø Si deve a San Carlo e alle autorità di allora se la peste venne tempestivamente circoscritta.

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San Carlo e la peste del 1576

Tanzio da Varallo – San Carlo Borromeo comunica gli appestati – Domodossola (VB) – Chiesa dei Santi Gersasio e Protaso

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San Carlo e la peste del 1576

Pierre Migrant– San Carlo Borromeo tra gli appestati di Milano, 1647 c. – Museo des Reaux Arts Caen

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San Carlo e la peste del 1576

Carlo Saraceni – San Carlo Borromeo comunica un appestato (1618-1619) – Cesena

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04. Ultime pestilenze a Milano San Carlo e la peste del 1576

Ø Entrata la peste in Milano (la data ufficiale è l’11 agosto 1576) si provvide rapidamente a: • Riattivare il Lazzaretto che giaceva abbandonato e spoglio dalla peste precedente (1524). • Imporre la quarantena generale e altre severe misure profilattiche. Ø Le vitt ime furono ‘solo’ 17.000-18.000 se confrontate con quelle della peste precedente del 1524 (50.000-100.000) e quelle della peste successiva (70.000-120.000). Ø La colpa è da attr ibuirs i a l la spaventosa disorganizzazione che appare anche dal romanzo del Manzoni.

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04. Ultime pestilenze a Milano San Carlo e la peste del 1576

Ø Brutti i giorni della peste del 1576. Tutti chiusi in casa in quarantena. E se i fedeli non potevano andare alla messa, la messa ‘andava’ sotto le loro finestre. E’ un’idea di San Carlo appunto: altari nelle piazze e negli incroci.

Ø Finita la peste gli altari vennero sostituiti da colonne. Tante che punteggiavano la città, solo nel centro se ne contavano più di 50. Giuseppe II d’Asburgo nel 1786 buttò giù tutto per ‘snellire il traffico’. Se ne salvarano pochissime. Oggi ne sono rimaste 35.

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Foto Ortenzi

Foto Ortenzi

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Foto Ortenzi

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Colonna in Corso Italia (p.zza S. Eufemia) Foto Ortenzi

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04. Ultime pestilenze a Milano San Carlo e la peste del 1576

Ø Tra le iniziative spirituali di San Carlo durante la quarantena ci fu anche quella della benedizione delle case ‘poiché la gente non può andare in chiesa nemmeno a Natale, disse ai suoi preti, andate voi da loro’. Così si è fatto e così si continua a fare. Questo è il perché a Milano la benedizione delle case viene fatta prima di Natale e non invece prima di Pasqua come dappertutto.

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05. Fra Paolo Bellintani e la peste del 1576

Ø A lui è intitolato il piazzale dove sorge la chiesa del Lazzaretto.

Ø  Fu responsabile del Lazzaretto dal 29 settembre 1576 al 23 agosto 1577.

Ø  Scrisse il ‘Dialogo della peste’ che è la più importante testimonianza della peste di San Carlo.

Ø  L’ordine pubblico veniva assicurato da 10 ‘birri’ e 2 ‘ministri di giustizia’, cioè 2 boia, per reprimere gli abusi. ‘Quasi ogni giorno, scrive nel dialogo il frate cappuccino, facevo dar corda, carcerare, flagellare alla colonna legati, ed altri simili castighi’.

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05. Fra Paolo Bellintani e la peste del 1576

Ø  L’assistenza sanitaria era fornita da medici che prescrivevano le cure stando fuori dal recinto mediante una diagnosi a distanza. Un assistente andava di camera in camera visitando ogni infermo rapportandone poi il medico dalla finestra. Questi prescriveva le cure a uno ‘speziale’ che gli era seco e che annotava il nome dell’infermo con il numero della camera che era ripetuto all’esterno della finestra.

Ø  I barbieri esercitavano la chirurgia di rango minore, come salassi, interventi su ascessi, pustole, carbonchi, ecc., adoperando gli stessi ferri e la medesima abilità che sfoggiavano nel radere la barba, per cui spesso la bottega del barbiere diventava una specie di pronto soccorso.

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06. La peste del 1630 o federiciana

Ø  E’ l’ultima pestilenza a Milano, chiamata federiciana perché l’Arcivescovo di Milano era a quell’epoca il Cardinale Federico Borromeo (1564 – 1631), cugino di San Carlo, oppure detta anche manzoniana perché descritta da Alessandro Manzoni in alcuni capitoli dei ‘Promessi Sposi’.

Ø  La Fame fu il primo flagello a colpire Milano e il suo Ducato. Le vicende di quella carestia (1628) formano l’argomento dei capitoli XII, XIII, XXVIII de i ‘Promessi Sposi’, cioè la rivolta di S. Martino, l’assalto al forno in Corsia dei Servi, l’intervento delle autorità per calmare la popolazione ed infine il ricovero della ‘deplorevole turba’ degli accattoni nel lazzaretto.

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06. La peste del 1630 o federiciana

Ø  Fame e peste sono un binomio ricorrente nella storia. C’è da dire peraltro che le pestilenze che afflissero l’Europa sono sempre state un prodotto d’importazione, dall’oriente in genere e dall’India in particolare. Ma una volta arrivata da noi a causa del traffico marittimo con i paesi asiatici, la peste scorrazzava in lungo e in largo al seguito degli eserciti. Al binomio di cui si è parlato sopra, va dunque aggiunto un terzo elemento: la guerra.

Ø Nel romanzo manzoniano sono dedicati alla guerra che portò la pestilenza a Milano nel 1630 i capitoli XXVIII e XXIX. Quest’ultimo descrive il terrore delle popolazioni al passaggio dei Lanzichenetti con la celebre esclamazione: ‘son diavoli, sono ariani, sono anticristi’.

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07. Il lazzaretto – il sito

Ø Avendo ormai acquisito il concetto che bisognava realizzare una struttura per il ricovero degli appestati, il primo problema era dove ubicarla.

Ø Si convenne presto che doveva essere alla maggiore distanza possibile dalla città. Vecchia concezione del lebbrosario che comportava una segregazione completa e assoluta. Invece per la peste, malattia guaribile, la segregazione avrebbe dovuto essere finalizzata alla cura del morbo, al contrario della lebbra che a qui tempi era una malattia incurabile.

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07. Il lazzaretto – il sito

Ø Durante la repubblica ambrosiana (1447-1450) si convogliarono i poveri e i mendicanti della città in una ex villa dei Visconti a Cusago. Nel 1451 la villa fece da ospedale durante la peste (30.000 morti). Molti morivano durante il tragitto che avveniva su barconi lungo il Naviglio Grande.

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07. Il lazzaretto – il sito Ø  Il 10 agosto 1468 il notaio milanese Lazzaro Cairati

scrive al Duca Galeazzo Maria Sforza sollevando il problema di un ospedale più vicino e indicando la località di Crescenzago (il trasporto sarebbe stato assicurato dai barconi lungo la Martesana).

§  Gli abitanti di Crescenzago protestarono (nimby). §  Il Duca e l’Arcivescovo lodarono il suo intervento ma

nulla più. Ø  Lazzaro Cairati scrive l’anno seguente alle autorità,

poi nuovamente di seguito, ma senza alcun risultato. Ma gli amari frutti di quella sordità ad alto livello si colgono nella successiva peste del 1485: la città non ha un Lazzaretto e i morti si contano fino a 135.000, una vera ecatombe.

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07. Il lazzaretto – il sito

Cusago

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07. Il lazzaretto – il sito

Crescenzago

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08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua

Ø  Evento inatteso e determinante! Nel 1486 un anno dopo la terribile pestilenza del 1485, che fece 135.000 morti, un nobile milanese, il conte Galeotto Bevilacqua, cavaliere, consigliere ducale, muore lasciando tutti i suoi beni all’ospedale Maggiore ma a 3 condizioni:

1. Edificare un ospedale per gli appestati; 2. Edificarlo entro due anni dalla propria morte; 3. Ubicarlo nella località di San Gregorio, vicino

all’attuale nuovo cimitero di Lambrate, su un terreno dell’Ospedale Maggiore.

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08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua

1.  Osservata; 2.  Non osservata (nemmeno la prima pietra); 3.  Si convenne che la località non risultava idonea

perché ancora troppo lontana dalla città. Si decise allora di effettuare l’insediamento su un

terreno dell’abbazia di San Dionigi, fuori porta orientale, e di chiamare il nuovo sito San Gregorio. Con questa invenzione la 3° condizione venne soddisfatta. La struttura che nascerà prenderà il nome di San Gregorio (o San Gregorio Nuovo per distinguerlo dall’altro chiamato, da allora, San Gregorio Vecchio).

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08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua

Ø Risolti questi problemi l’Ospedale Maggiore incaricò dell’opera l’architetto Lazzaro Palazzi, già impegnato nella Fabbrica del Duomo, prima come scalpellino poi come scultore ed infine come maestro ingegnere.

Ø Quest’opera, che avrebbe dovuto essere completata in due anni, impiegò invece venticinque anni, dal 1488 al 1513. Ma anche dopo tutto questo tempo l’opera non fu mai veramente compiuta. In particolare il lato corrispondente all’attuale via Lazzaretto resterà priva del porticato interno.

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08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua

Ø  Il motivo fondamentale del ritardo è che l’opera richiese via via una somma di denaro crescente e, alla fine, quasi cinque volte superiore di quella lasciata dal conte Bevilacqua. Vi contribuirono enti morali e cittadini, ma con tale lentezza che i lavori vennero più volte interrotti.

Ø  La colpa fu di molti, ma a Lodovico il Moro andrebbe però attribuita la responsabilità maggiore. Del resto l’Ospedale Maggiore, ma soprattutto il futuro Lazzaretto, erano destinati ai poveri o tutt’al più al ceto medio. La nobiltà infatti era in grado di curarsi a casa propria.

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08. Il lazzaretto – il conte Bevilacqua

Cimitero di Lambrate

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09. Il lazzaretto – il nome

Ø Non sarà il notaio Lazzaro Cairati, né l’architetto Lazzaro Palazzi a dare il nome al costruendo edificio, ma Lazzaro, quello del Vangelo di S. Luca.

Ø Nella parabola, Gesù narra di un mendicante che, coperto di piaghe, giace alla porta di un ricco banchettante in attesa che da quella tavola splendidamente imbandita cada qualcosa anche per lui. Un’attesa purtroppo vana. Soltanto i cani verranno a leccagli le piaghe. Dio però punirà quel ricco dal cuore gretto mentre Lazzaro troverà nella vita futura il premio della sua sofferenza.

Ø Nasce da qui la devozione per il Lazzaro della parabola venerato come patrono dei lebbrosi, lui che era coperto di piaghe come loro.

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09. Il lazzaretto – il nome

Ø Ben 19.000 era i lebbrosari in tutto il mondo cristiano nel periodo medioevale e il Lazzaro della parabola né era un po’ dovunque il protettore tant’è vero che dire ‘lazzari’ equivaleva a dire ‘lebbrosi’.

Ø Quando poi, a partire dal ‘400, la lebbra incominciò a sparire gradatamente dall’Europa e si affacciò la nuova tragedia della peste, il termine lebbrosario venne trasferito a significare il luogo destinato alla segregazione e alla cura di quella lebbra dei tempi moderni, qual era la peste. Anche perché, in parecchi casi, venivano riutilizzati come lazzaretti gli antichi lebbrosari.

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10. Il lazzaretto – la costruzione

Ø  Il sito Ø  Pianta e vie esterne Ø Aspetto esterno Ø  Fossato Ø Scarpa e latrine Ø  Toresini Ø  Portico, colonne, muretto Ø  Prateria Ø Situazione generate dalla peste: sospetto, malattia, convalescenza, servizi

Ø Camere 288 Ø  Isolamento: ogni camera era la cella di un carcere Ø  Finestra Ø Camino Ø  Latrina (dextro o locus curialis) Ø  Letto Ø  Fosse comuni: foppa, foppone

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione

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10. Il lazzaretto – la costruzione I Promessi Sposi

(cap. XXVIII) …..in poco tempo il numero de’ ricoverati s’accostò a dieci mila. …..dormivano ammontati a venti, a trenta per ognuna di quelle cellette, o accovacciati sotto i portici, sur un po’ di paglia putrida e fetente, o sulla nuda terra. …..d’acqua perfino c’era scarsità; d’acqua, voglio dire, viva e salubre: il pozzo comune, doveva essere la gora che gira le mura del recinto, bassa, lenta, dove ancora motosa, e divenuta poi quale poteva renderla l’uso e la vicinanza d’una tanta e tal moltitudine.

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10. Il lazzaretto – la costruzione E’ piuttosto inverosimile che don Rodrigo si trovasse nel Lazzaretto, danaroso e nobile qual era (i facoltosi si potevano curare nella propria casa, il Lazzaretto era per lo più il ricovero per la povera gente. Ma il Manzoni aveva la necessità di condurre la trama verso il Lazzaretto: Ø che è il teatro risolutivo di tutto il romanzo; Ø dove i nodi vengono al pettine; Ø dove i protagonisti si ritrovano; Ø dove il matrimonio contrastato ha finalmente via libera perché il voto di Lucia viene dichiarato nullo; Ø dove il rancore di Renzo si scioglie nel perdono. E il tutto con la regia di padre Cristoforo che, proprio in quel luogo di dolore, incarna la soprannaturale provvidenza che il Manzoni intendeva celebrare.

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11. La chiesa

Ø  In un luogo di immenso dolore doveva trovare posto anche il luogo del culto e del conforto, la quinta situazione generata dalla peste. Ma dove edificare la chiesa? Come edificarla? Pensare ad un grande tempio? Ma allora come avrebbe potuto essere evitato il contatto o semplicemente la vicinanza degli infermi? Il pericolo del contagio non consentiva questa soluzione.

Ø Si pensò allora di ubicare la chiesa al centro della prateria e perciò visibile da ogni parte del quadrilatero come perno di tutta la struttura sanitaria.

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11. La chiesa

Ø Gli infermi avrebbero assistito alla Messa senza muoversi dalle loro camere o dal loggiato. E’ vero che sarebbe stata impossibile la partecipazione uditiva a sacramentale ma il credente avrebbe visto, o intravvisto il celebrante dal colore dei paramenti; avrebbe intuito i gesti liturgici e soprattutto avrebbe fatto attenzione al rito dell’elevazione del calice e dell’ostia. Di qui la necessità di avere un edificio senza pareti, uno spazio sacro aperto da tutti i lati.

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11. La chiesa Ø  La chiesa pervenuta sino ad oggi è quella voluta

da San Carlo nel 1580 (il Lazzaretto fu terminato nel 1513). Arteficie fu l’architetto Pellegrino Pellegrini (1527-1596). I lavori terminarono nel 1591.

Ø  E’ a pianta ottagonale (raddoppio non a caso di quella quadrata del Lazzaretto) e non a croce greca o latina per evitare visioni privilegiate da qualche lato del Lazzaretto.

Ø  La chiesa è impostata su un doppio ordine di colonne e pilastri, quello interno sostiene la cupola.

Ø  La chiesa venne chiamata ‘San Gregorio al Lazzaretto’ anche se il titolo ufficiale era quello di ‘Santa Maria della sanità’

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11. La chiesa Ø  Passata la peste del 1630, il Lazzaretto rimase

inattivo sino al 1796, quando in Milano entrò l’armata francese di Napoleone che lo occupò con armi e bagagli.

Ø  Il 9 luglio 1797 il Lazzaretto divenne il teatro per la festa inaugurale della Repubblica Cisalpina.

Ø  La chiesa fu sconsacrata proprio nel periodo napoleonico, poi fu utilizzata dagli austriaci come deposito di polvere da sparo, successivamente come comodo fienile, e stava avviandosi verso la demolizione quando fu acquistata dalla parrocchia di Santa Francesca Romana, restaurata e riconsacrata il 4 novembre 1884 in occasione del terzo centenario della morte di San Carlo, e a lui fu dedicata col nome di San Carlo al Lazzaretto, chiamata più familiarmente San Carlino

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11. La chiesa

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11. La chiesa

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11. La chiesa

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12. Il declino Ø  L’agonia del potere asburgico su Milano coincise

con l’agonia del Lazzaretto. Ma fu il decollo tumultuoso delle linee ferroviarie con le sue dirette conseguenze che determinò l’inizio della fine del Lazzaretto. Una linea sopraelevata di binari lo taglierà infatti in due compromettendone irremidiabilmente l’esistenza.

Ø  L’Ospedale Maggiore tentò di arginare la dissoluzione, ma poi vista l’impossibilità di spuntarla decise la vendita mediante asta pubblica. Vinse una banca che se ne servì per un enorme piano di speculazione edilizia.

Ø Si decise solo di tramandare la memoria storica salvando la chiesa e un tratto di 30 m del portico settentrionale nell’attuale via San Gregorio.

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12. Il declino

Ø Nel 1883 il Consiglio Comunale assegnò le denominazioni alle nuove vie:

§  Piazza Paolo Bellintani, responsabile durante la pestilenza del 1576. A lui è dedicato il piazzale dove sorge la chiesa.

§  Piazza Felice Casati, responsabile durante la pestilenza del 1630.

§  Via Lazzaro Palazzi, architetto del Lazzaretto. §  Via Ludovico Settala e via Alessandro Tadino, che

‘scrissero diffusamente sul fatal morbo’. §  Via Lecco, via centrale che ‘guarda al Resegone’

in omaggio all’autore de ‘i Promessi Sposi’.

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12. Il declino

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