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L’autore ringrazia quanti hanno agevolato con piena disponibilità il suo compito, fornendo prezio-si suggerimenti, in particolare:Raffaele Agostini, Eligio Bianchera, Maurizio Bottoli, don Alberto Buoli, Germano Cagioni, BrunoCerini, Sergio Desiderati, Stefania Fontanesi, Valerio Galvani, Silvana Giannantoni Cases,Francesco Mutti, Graziano Pelizzaro, Valentino Ramazzotti, Serena Tanchella, Giuseppe Valbusa,Adelio Zampolli, Giovanni Zangobbi, Guerrina Zovetti.

Progetto grafico: Claudia Dal Prato Design StudioFotografie: Andrea Dal Prato

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“Chi non ha lapidi non ha neppure antichità”(Ludovico Antonio Muratori, 1672-1750)

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Presentazione

L’idea di questo libro viene da lontano. Se ne parlava a scuola con il prof.Alessandro Dal Prato e altri colleghi.Erano gli anni ‘60 del secolo scorso. Ai ragazzi venne proposto di trascrivere iscri-zioni da lapidi e cippi esistenti nel capoluogo, frazioni e nel territorio. Il pocotempo e altri impegni o il lavoro interruppero l’iniziativa.Essa fu ripresa negli anni ‘80 dai professori don Alberto Buoli e Anita D’Isola. Iragazzi risposero con entusiasmo e il materiale raccolto, testi, disegni, rilievi, fuassai consistente, utilizzato in sede di Distretto scolastico e divulgato in alcune con-ferenze. Una parte fu pure esposta in due mostre, in Parrocchia nel 1982 e pressola Scuola Media nel 1987. Tuttavia una mole così ragguardevole di lavoro nonapprodò nell’immediato a una pubblicazione organica. Occorreva estendere laricerca alle iscrizioni scomparse e corredarle tutte, scomparse ed esistenti, di uncommento storico-letterario che le contestualizzasse.Non un arido catalogo, ma secondo una divisione di capitoli, di luoghi, di epoca edi genere. All’interno di ogni capitolo si è seguito il criterio cronologico, capace anostro avviso, di mettere in risalto il periodo storico e restituirne l’atmosfera cultu-rale.Questa l’ambizione del presente volume. Diranno i lettori, guidizzolesi e no, gliextra muros, i nuovi insediati, se l’obiettivo è stato raggiunto.Lapidi e targhe sono state poste per ricordare e mentre ricordano con poche paroleun personaggio illustre o un avvenimento possono suggerire interi capitoli di sto-ria.I muri parlano: anche nell’era di internet le iscrizioni su lapidi e targhe rappresen-tano una comunicazione tradizionale che sa rivolgersi al cuore dei cittadini, neaumenta il senso di identità e arricchisce il significato di muri e strade.Lo stile dell’epigrafia classica si caratterizzava per concisione, brevità e l’usoappropriato delle abbreviazioni. Per il rispetto di questi canoni la lingua latina erainsuperabile. Ma anche le iscrizioni in lingua italiana sono ricche di fascino e diinteresse, ricordano episodi e figure della nostra storia. Molte di esse su edifici pub-blici o in case private sono sbiadite, alcune quasi illeggibili.Sarebbe opportuno che l’Amministrazione comunale o i privati, secondo compe-tenza, le ripulissero valorizzandole e rendendole leggibili.

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Prefazione

Mi sono avvicinata all'ultima fatica di Franco Mondadori con un po' di preoccupa-zione. Temevo di non saper cogliere il significato di un lavoro specialistico, lonta-no dai miei interessi. A lettura conclusa, devo rilevare, che ancora una volta lo stu-dioso, meticoloso e preciso, è riuscito a strappare dall'oblio vicende, personaggi delnostro paese e dei luoghi vicini, dimostrando, come un'epigrafe, diventi documen-to storico, in grado di fissare usi e costumi di una comunità nel lungo periodo.L'epigrafia è la scienza, ausiliaria della storia, che con le sue regole decifra le iscri-zioni, giunte a noi dal passato. Soprattutto per l'antichità, avanzi epigrafici sonospesso l'unico documento su cui basarci, per ricostruire la storia di un popolo. Sullascia dei grandi cultori di questa disciplina, come Ludovico Antonio Muratori,Bartolomeo Borghesi, Stefano Morcelli e Teodoro Mommsen, che effettuò la pub-blicazione in diciassette volumi del “Corpus inscriptionum latinarum”, FrancoMondadori realizza il suo “corpus inscriptionum” per aiutarci a trarre insegnamen-ti e appassionarci alla scoperta di momenti del passato, di modi e ritmi di vita cosìdiversi dai nostri.Il libro è un repertorio cronologico che presenta all'inizio due iscrizioni di epocapagana e poi epigrafi religiose, civili, di tipo familiare o privato, giungendo aglianni della Resistenza guidizzolese. “Epigrafi” è un testo che ci fa percorrere, incu-riositi, il cammino della nostra comunità, rivelando quanto tutto gravitasse intornoalla vita religiosa, sia in epoca pagana, che cristiana. Le epigrafi in esame sonopresso la chiesa parrocchiale, la chiesa di S. Lorenzo, nel cimitero e nelle vie delpaese e nelle cascine limitrofe. L'autore, con il suo libro, recupera il materialedocumentario tenendo conto, secondo me, delle modalità usate da esperti come DeRossi e Delehaye che hanno dimostrato come l'epigrafia cristiana, illumini la sto-ria e in particolare l'agiografia.Il testo si apre con un frammento di calendario di epoca pagana, rinvenuto in loca-lità S. Martino nel 1891, riferibile all'epoca di Augusto e ora al museo archeologi-co di Brescia. Si tratta di un rozzo calendario di pietra, che rientra nelle abitudinidei romani, di incidere su materiale resistente, bronzo o pietra, un documento diinteresse universale e che testimonia le antiche origini romane di Guidizzolo, con-fermate dall'epigrafe successiva, del secondo secolo, di epoca cristiana. “MarcoServilio è il nome più antico che ci sia tramandato di un guidizzolese” commentaFranco Mondadori intervenendo qui, come in altre epigrafi per chiarire, spiegare osemplicemente tradurre.Penso in definitiva che il libro sia un'opera non tanto per iniziati, ma capace di inte-ressare lo storico e anche tutti noi.

Stefania Fontanesi Quiri

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L’iniziativa di censire le epigrafi dell’Alto Mantovano risale al prof. AlessandroDal Prato, al tempo della sua presidenza all’Istituto Statale d’Arte di Guidizzolo.Alcuni documenti testimoniano che l’operazione, coordinata dal Prof. FrancoMondadori di Guidizzolo, era stata messa in opera fin dal 1965.Non mi è dato sapere l’esito finale di quel lavoro.Durante gli anni del mio ministero a Guidizzolo, (1979-1988) stimolato dal Prof.Franco Mondadori, e ricevendo da lui del materiale precedentemente raccolto,coordinai la ricerca sistematica e la trascrizione in scala delle epigrafi sacre e pro-fane, presenti sul territorio di Guidizzolo, attraverso l'opera di un gruppo di bravis-sime ragazze, per la maggior parte guidizzolesi, che in quegli anni frequentavanol'Istituto Statale d'Arte.Anche se non è stato possibile approfondire lo studio del materiale raccolto, salvoche per alcune epigrafi, una prima parziale presentazione al pubblico del risultatidelle ricerche venne fatta in occasione di due mostre, l’una realizzata presso laParrocchia di Guidizzolo per la Sagra del 1982 e l’altra presso la Scuola MediaStatale locale in occasione della intitolazione della stessa a don Antonio IlarioFortunati, nel giugno del 1987 (Cfr. Gazzetta di Mantova, Mercoledì 24 giugno1987, pag. 16).

Casaloldo, 2 febbraio 2006don Alberto Buoli

Gli alunni che hanno collaborato

1965: Francesco Cappa, Lucio Cerini, Carlo Zuanon, Sira Castagna, Giuliano Crotti, MaurizioPiccinelli, Paride Piva, Daniela Rosa, Rolando Spazzini, Licia Stuani, Vivaldini;

1979: Katia Bianchera, Paola Bono, Giuseppina Borsari, Mara Bottoli, Claudia Dal Prato,Rosaria Ghisolfi, Paola Lucchi, Bruna Morari, Silvia Mottinelli, Roberta Pastorello, StefaniaPiazza, Oriana Pingo, Cosetta Poli, Maria Roverselli;

1983: Manolo Badini, Rosanna Baraldi, Cristiano Bellini, Daniele Broccaioli, Oscar Brunoni, SusyCappa, Oscar Gottardi, Andrea Maffezzoni, Stefania Mari, Simone Ronconi, Monica Tarchini,Barbara Tavacca, Sabrina Truzzi, Federica Vivaldini.

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Guidizzolo in epoca paganaAlle origini il cristianesimo si diffuse nelle città, mentrenelle campagne, più conservatrici, persistette il cultodegli dei che il pio agricoltore propiziava offrendo le primizie.

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Frammento di calendario ora al museo di Santa Giulia in Brescia

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Guidizzolo in epoca pagana

Rinvenuto in località San Martino a Guidizzolo nel 1891. Ora al MuseoArcheologico di Brescia.Mattone iscritto, alto m 0,165, largo m 0,160 spessore massimo m 0,04.Riferibile all'epoca di Augusto (I sec.) Contiene gli ultimi dodici giorni del mese dinovembre, gli ultimi quattordici di dicembre e nella terza colonna le feste del IIsemestre dell'anno.In corrispondenza di ciascun giorno, e di ciascuna festività, è praticato lateralmen-te un foro, dove conficcare una spina o un'asticella per indicare il giorno o le festefino a quel giorno celebrate.Il calendario si presenta nella forma più semplice che si possa immaginare. Riporta i soli numeri di ciascun giorno, senza altra indicazione. Ad esempio man-cano le lettere nundinali, cioè dei giorni di mercato. Serviva, probabilmente, a unagricoltore, per seguire i lavori dei campi e impetrare il favore degli dei.Apollo il 13 e Nettuno il 23 luglio. Diana il 13 e Vulcano il 23 agosto. In dicembrel'antichissima festa romana del Septimontium, cioè dei Sette Colli. Ultima Epona,protettrice del bestiame.

Letteratura: Studiato da F. Bernabei, della R. Accademia dei Lincei, Roma, 1892

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M . SERVILIUS. M. F. FAB. MACEDOT.F.I

Marcus Servilius Marci filius de tribu Fabia Macedo testamento fieri jussit.

Marco Servilio, figlio di Marco, macedone della tribù Fabia comandò con testa-mento fosse eseguito (questo ricordo).

Marco Servilio è il nome più antico che ci sia tramandato di un guidizzolese, appar-tenuto alla tribù romana agricola Fabia dedotta da Brescia all'inizio del II secolodell'era cristiana.Il testo di un'altra iscrizione coeva, pure scomparsa, recita: IULIUS AQUILINUSPATRI, cioè Giulio Aquilino (dedicò) al Padre (questa memoria).

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Epigrafi scomparsedalla Chiesa parrocchialeAlcune epigrafi ricordano benefattori della Chiesa o insigniti dicappellanie. Di interesse storico quelle riguardanti il passaggio del governodella parrocchia dagli Olivetani al Clero secolare.

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La Signora Anna De Borsi figlia di Francesco piacentino e moglie del signorBattista Zappettini morì il giorno 16 del mese di ottobre 1596. Lasciò l'amataunica figlia Emilia moglie del Signor Andrea di Fontanellato che fece costruirequesto sepolcro per sè e i discendenti nello stesso anno 1596 il giorno 20 del Mesedi Dicembre.

Lapide pregevole per antichità ed eleganza. L'ovale centrale è in marmo nero, la cornice in rosso di Verona.La presenza della farniglia Zappettini a Guidizzolo risale al XV secolo, documen-tata nel 1506 dalla committenza di un affresco nella chiesa di San Lorenzo.Dal 1634 gli Zappettini sono titolari della Cappellania di San Giovanni Battista,istituita nella parrocchiale con altare, sepolcro e dotata di alcuni terreni.Il testo dell'iscrizione riguarda un ramo collaterale, mentre la famiglia ebbe conti-nuità e si estinse nel 1860.

Cm 58,5x46,5

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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale

SUB HOC LAPIDEJACENT OSSA REVERENDI DOMINI JOANNIS ANTONII POLI CASTELGRIMALDI RECTORIS HUIUS ARAE DIVI ANTONII DE

PATAVIO BENEFACTORIS.OBIIT ANNO DOMINI MDCLXXVI SUB DIE IV MENSIS IULII ANNORUM AETATIS LXIV

MENSIUM X DIERUM XXII

HOC SIBI DELEGIT PROSPER CERESARA SEPULCRUMUXORIQUE SUAE DUM NOVA REGNA PETANT MDCXV

Prospero Ceresara nel 1615 scelse questo sepolcro per sè e la moglie in attesa digiungere al regno nuovo (celeste).

Un ramo della ricca e potente famiglia Ceresara presumibilmente dalla fine del '500risiede a Guidizzolo nel palazzo Pezzati oggi sede della locale Agenzia BAM.Nel 1771 la Famiglia è composta dal conte Paride, dalla moglie Ginevra Giusti, dalfiglio adolescente Carlo. In casa vivono alcune persone di servizio e il maestroIgnazio Mendoschi, precettore di Carlo.

Sotto questa pietra giacciono le ossa del Reverendo SignorGiovanni Antonio Poli, Rettore di Castelgrimaldo e benefattore di questo altare diS. Antonio di Padova. Morì nell'anno del Signore 1676 il (giorno) 4 del mese diLuglio all'età di 64 anni, 10 mesi, 22 giorni.

L'altare di Sant’Antonio da Padova, con la custodia delle Reliquie, era eretto comecappellania di juspatronato della Comunità che ne amministrava i beni.

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DILECTISSIMEAE UXORIS COMITISSAE PAULAE DELAI RIZZINI OSSA MOESTISSIMUSIPSIUS CONIUX COMES FRANCISCUS RIZZINI SUB HOC MARMORE CONDIDIT DONEC

A TUBA EXCITENTUR. ANNO DOMINI MDCCLII KAL. NOVEMBRIS

ANTONIUS GAMBETTI ANNORUM 40. OBIITDIE 23 NOVEMBRIS 1737

Antonio Gambetti di anni 40. Morì il 23 novembre 1737.

Antonio Maria Gambetti aveva disposto nel testamento di essere sepolto in chiesae indicato il luogo: davanti all'altare della Beata Vergine Maria. Ottenuta licenzadai Superiori la sua volontà fu rispettata.

Il marito conte Francesco Rizzini addoloratissimo compose sotto questo marmo leossa della amatissima sposa contessa Paola Delai in attesa siano ridestati dallatromba (del giudizio finale). Anno del Signore 1752, I novembre.

Paola Delai, nata a Toscolano nel 1695 da famiglia di industriali del ferro, sposònel 1722 il conte Francesco Rizzini.Dal loro matrimonio nacquero otto figli. I Rizzini risiedevano a Mantova e nellastagione estivo-autunnale a Guidizzolo dove Paola morì e Francesco la volle sepol-ta nella chiesa parrocchiale. Approntata la sepoltura, dopo le esequie, Paola futumulata il 2 Novembre.

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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale

Chiesa Parrocchiale: come si presentava l’area presbiteriale prima dell’ampliamento.Disegno a china su carta, cm 32x45 di Alessandra Maffezzoni Dal Prato, 1980

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L'iscrizione sembra incontrare tre incongruenze di carattere storico: Florente puòessere inteso Firenze? È corretta la lettura di XBIAS con decembres? La data del23 novembre 1799 è accettabile?Il Papa Pio VI (Angelo Braschi) dal marzo 1799 si trovava in Francia, deportatonella fortezza di Valence, dove morì il 29 agosto. Il successore Papa Pio VII(Barnaba Chianamonti) fu eletto soltanto nel marzo 1800 a Venezia dove si svolseil conclave. Pertanto la sede papale nel novembre 1799 era vacante. Se per Florentesi intende il locativo Florentiae il rescritto potrebbe essere stato redatto a Firenzedove Pio VI, costretto dai Francesi ad abbandonare Roma fin dal febbraio 1798, erastato trattenuto dieci mesi nella Certosa.L'iscrizione, dipinta su tavola di legno, era appesa in alto a sinistra dell'arco mag-giore del presbiterio, demolito negli anni 1969-70.

Espiate la colpe dei defunti con la vittimadi salvezzaa favore di ognuno offerta quotidiana-mente e in perpetuosu questo altare maggiore sarà lucratal'indulgenza(concessa) da Pio VI pontefice massimocomeda suo rescritto del 23 novembre 1799dato a Firenzedove ahimè! cosa nefasta, era tenutoprigioniero daifrancesi.

Cm 119x200

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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale

APOSTOLIS. PRAESTITIBUS. TUTELARIBUSPETRO. ET. PAULO

SACRUMGUIDITIOLENSES. ANNO MDCCCIV

TEMPLI. PRINCIPALIS. IURIBUS. RECIPERATISET . LEGITIMA. ARCHIPRESBITERI. SUI. DIGNITATE

IN . PRISTINAM. LIBERTATEM. VINDICATAQUEIS. ANNOS . CCC.DISCORDIA. MAIORUM

ET . TEMPORUM. NEGLIGENTIA INTERCEPTIS. CARUERANTANIMIS . DIVINITUS. CONSOCIATIS. ERECTIS

LAETI. LIBENTES CELEBRAVERVNT

Nel 1804 i guidizzolesi, recuperati i diritti del tempio principale e restituita all'antica autonomia la legittimaautorità del suo arciprete, interrotti per trecento annidalla discordia dei padri e dalla potenza dei monaci, (ora) concordi gli animi grazie a Dio e distrutto il monastero per decreto regio, lieti dedicano questo monumento agli apostoli protettori Pietro e Paolo.

Quanto la discordia rapì, ricompose la concordia

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Essendo stati recuperat i diritti del presbiterio e dell'altare maggiore della Chiesaparrocchiale e restituita all'originaria autonomia la legittima autorità del suoArciprete, venuti meno in circa trecento anni per la discordia dei padri e la prepo-tenza dei (monaci) beneficiari, il Clero e il Popolo di Guidizzolo nell’anno 1804fatti consapevoli per ispirazione divina del voto realizzato, a ragione lieti ed esul-tanti posero (questo) eterno monumento.

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Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale

Di questa iscrizione esistono tre versioni, una, a stampa, dell'abate Morcelli, laseconda, conservata in Archivio parrocchiale, con qualche intervento di donFortunati, la terza, con ulteriori modifiche, corrisponde al testo definitivo.È presumibile che don Fortunati si sia rivolto all'amico Morcelli, dotto epigrafista,e che successivamente abbia ritenuto di apportare qualche modifica.Un esame critico delle tre versioni le mette a confronto.Al generico "guiditiolenses" don Fortunati ha premesso "neocori et municipes"unendo comunitià religiosa e civile. Ha specificato come l'area presbiterale fosse dipertinenza dei monaci olivetani, mentre la manutenzione della chiesa era a spesedei parrocchiani. Senza negare le discordie "dei padri" ha voluto evidenziare la pre-potenza dei monaci descritti come "diacathocori", che godevano cioè delle renditedel beneficio parrocchiale e trascuravano a volte la cura pastorale.Per comprendere queste sottolineature occorre ricordare come don Fortunati percirca trent'anni, dal 1772, era stato Vicario Parroco, mentre titolare della parrocchiacontinuava a essere l'abate di S. Maria del Gradaro di Mantova. Il tono dell'iscri-zione esprime l'orgoglio di don Fortunati che fu capace di pilotare, non senza trau-mi, la difficile lunga transizione dal governo olivetano al clero secolare, sostenutoe in linea per altro con le direttive del vescovo Pergen.L'iscrizione, dipinta su tavola di legno, era esposta a destra dell'arco maggiore delpresbiterio.

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Mons. Giovanni Battista De Pergen, vescovo di Mantova dal 1770 al 1807, seguìcon grande prudenza il passaggio della cura d'anime dai Monaci Olivetani al clerosecolare nella persona di don Antonio Ilario Fortunati, prima Vicario parrocchialee quindi Parroco col titolo di Arciprete (1804). L'iscrizione si trovava nella demo-lita sagrestia sulla porta che immetteva nel coro ed era sovrastata da un busto raf-figurante lo stesso vescovo.

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Epigrafi esistentinella Chiesa parrocchialeAlcuni momenti significativi dell'edificio sacro sono tramandatida un gruppo esiguo, ma importante di epigrafi.

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Il reverendo padre signor Andrea ... mantovano e il signor Modesto… del monaste-ro di Santa Maria del Gradaro fuori città (di Mantova) nell'anno del signore1589 consacrarono questo tempio dedicato a Dio ottimo massimoai Santi apostoli Pietro e Paolo ristrutturato dalle fondamenta e solidamente fab-bricato.

La lapide in marmo bianco con scolpito in rilievo lo stemma degli Olivetani recala data del 1589. Incerta è la sua collocazione originaria.L'iscrizione di difficile lettura, se riferita alla chiesa parrocchiale, potrebbe ricorda-re la consacrazione della medesima, eseguiti i lavori ordinati da San Carlo (1580).

Cm 90x90

SACELLUM HOC DEO OPTMQ MAXIMO SANCTISQUE APOSTOLISPETRO ET PAULO DICATUM A FUNDITUS INSTAURATUM ATQUE COM-PACTUMREVERENDUS PATER DOMINUS ANDREAS .. MANTUANUS ABBAS ETDOMINUS MODESTUS ... CELEBRAVERUNT MONASTERII SANCTAEMARIAE DE GAADARIO EXTRA FINES ANNO DOMINI MCLXXXIIII

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Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale

Alla gran Madre di Dio e ai Santi Carlo Borromeo e Francesca Romana patronidegli Olivetani e invincibili soccorritori.

“Nella chiesa parrocchiale l'altare di S. Carlo è fabbricato dalla parte verso mezzo-giorno, il quale fu fatto fabbricare dal Padre Aureglio da Mantova verso l'anno1616 alla quale fabbrica concorsero molte elemosine del popolo”L'altare è dedicato a S. Carlo per ricordare la visita apostolica del 1580.

Cm 180x90

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IM = IMAGINISVIRG = VIRGINISP = POPULUSG = GUIDITIOLENSIS

Il popolo guidizzolese solennemente trasferiva a questo altare a lei dedicato, il 10aprile 1780, il simulacro dell'Immacolata Vergine Maria, proposto al culto dallaconfraternita del SS. Sacramento venerato dalla fede del popolo per le grazie rice-vute10 aprile 1780

L'iscrizione ricorda i1 trasferimento a nuovo altare di un'immagine o statua dellaMadonna Immacolata, dopo tre giorni di festeggiamenti e al termine di solenneprocessione. Un sonetto e un componimento in forma di egloga, composti dal poetaconcittadino Francesco Antonio Coffani, e una relazione di don Fortunati ricorda-no pure l'avvenimento.Dipinta su lavagna.

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Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale

Paolo Carlo Origo vescovo di Mantova il 10 ottobre 1896 consacrò a gloria diDio, della Vergine Maria e di tutti i Santi questo tempio in memoria dei Santi apo-stoli Pietro e PaoloArciprete Giuseppe Tramonti

Il Vescovo Mons. Origo ordinò che l'iscrizione, a perpetua memoria, fosse colloca-ta in luogo ben visibile della chiesa.

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Epigrafi scomparsedall'antico cimiteroPer molti secoli i morti vennero sepolti in uno spazio contiguo allaChiesa. Già San Carlo nel 1580 ordinava che il cimitero fosse chiuso emunito di cancello di ferro. Al centro doveva essere eretta unacroce. Le sepolture dovevano essere coperte con doppia pietraoppure riempite di terra. La scelta dipendeva dalle condizioni dellafamiglia. Vi erano settori distinti per gli adulti, i fanciulli, i poveri,i soldati, i viandanti o i forestieri. Circa il 1790 venne costruitonella sagrestia il sepolcreto per i sacerdoti.Il testo delle prime tre iscrizioni, di carattere oratorio, fu dettato dadon Antonio Ilario Fortunati, cultore di epigrafia.

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OB = obiitKal = KalendasApr = AprilesAn = AnnoS = SalutisAet = Aetatis M = Menses

Giacomo Poli, il più vecchio della parrocchia, ultimo della sua stirpe, ragguarde-vole per antica virtù, morì il 23 marzo 1805 all'età di anni 85 e mesi quattro.

Poli Giacomo, nato nel 1719, esercitò la professione di notaio per lunghi anni. Ebbela sventura di perdere l'unica figlia, Anna Maria, morta nel 1779, giovane sposa emadre da pochi giorni di una bambina. Giacomo istituì erede dei suoi molti beni lanipote, Osanna. Dispose per testamento un legato di 2.000 scudi da distribuire aipoveri del paese subito dopo la sua morte. Altro legato dal reddito di alcuni beniimmobili, metà a favore dei poveri, metà per provvedere alla dote di due fanciulle,scelte per sorteggio. Ai poveri, purché non pigri e oziosi, alle ragazze che il Parrocogiudicasse lodevoli per onestà di costumi, frequenza alla Messa e al Catechismo. Giacomo morì vedovo nella sua casa in Valborghetto. Il testamento dell'8 gennaio 1802 era depositato presso il notaio Rizzardi Vincenzodi Volta.

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Epigrafi scomparse dall'antico cimitero

Anton = AntoniiF = FiliusAnn = annosM. = mensesKal = KalendasAn = AnnoS = SalutisH = HancM = MemoriaF = FronteP = PedesP = PonendamC = Curaverunt

Gaspare Gallina, figlio di Antonio stimato da tutti per integrità di vita e pietà, visseanni 57 e mesi 5, morì nell'anno della salvezza 1806 il 14 febbraio. Antonio eGiuseppe provvidero a porre questa memoria, a 13 piedi di altezza, all'ottimobenemerito genitore.

Don Fortunati, autore del testo, ricorda Gaspare con gratitudine, senza aggiungerealtre notizie.

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H. E. S = hic est sepultusF = filiusAnn = annosM = menses D = diesKal = kalendasAn = anniB = beneM = merentiM = memoriamF = posuit

È qui sepolto Roberti Luigi figlio di Francesco, originario di Mantova. Visse one-stamente per 72 anni, 4 mesi, 16 giorni, eccellente cultore della Religione, fermodifensore dell'integrità e della Fede, morì il 28 ottobre 1808. Il figlio Giuseppepose questa memoria all'ottimo benemerito padre.

Roberti Luigi, nato a Mantova nel rione di S. Leonardo, rimasto vedovo, venne aGuidizzolo, amico e ospite in casa di Schiavetti Tommaso, negoziante in via diMezzo. L'epigrafe, di intonazione elogiativa, dettata da don Fortunati, rimanda apersona distinta per qualità intellettuali e morali, senza specificare ruolo o attivitàsvolta.

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Esistenti nell'antico cimitero

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All'amatissimo Signor Nicola Zappettini strappato, ahimè! il giorno delle nozze damorte immatura. Afflitto suo padre, Battista, qui pose le spoglie il 12 Novembre1566, dell'età sua di anni 20, mesi 4, giorni 12, insieme con questo stemma.

Delle iscrizioni esistenti è la più antica. Anche se del 1506 è la breve scritta nellafascia in calce all'affresco nell'Oratorio di San Lorenzo rappresentante la SacraFamiglia del quale gli Zappettini furono committenti.Lo Stemma con le due zappe incrociate allude alle origini agricole e alla condizio-ne di possidenti.

DOMINO NICOLAO ZAPPATINO DILECTISSIMO HEU NUPTIALI DIE AB IMMATURAMORTE EREPTO BAPTISTA EIUS PATER MOERENS POSUIT DIE XII NOVEMBRIS MDLXVI

AETATIS SUAE ANNORUM XX MENSIUM IIII DIERUM XII OSSA ITEM HUC

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Esistenti nell'antico cimitero

Alle ceneri di Palazzini Andrea Bonaventura fig1io di Cesare giovane molto esper-to di agricoltura. Visse soltanto 17 anni, morì, sconvolto l'ordine (naturale) il 31Agosto 1819 e alla memoria di Palazzini Andrea, figlio di Ferrante, suo nonno,padre di famiglia sobrio laborioso che morì il 16 Giugno 1823, essendo vissutofino a 73 anni e 2 mesi.Cesare ordinò fosse fatto (questo monumento) al carissimo figlio e all' amatissimopadre.

L'iscrizione, quasi sicuramente della penna di don Fortunati, interpreta ed esprimein tono commosso l'affetto di Cesare che piange la morte del figlio e del padreanziano.I Palazzini erano agricoltori possidenti, oggi diremmo coltivatori diretti, e abitava-no in casa propria "in regione meridiana".

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Esistenti nell'antico cimitero

Marchetti Paola, figlia di Girolamo, ultima della sua nobile famiglia, moglie diBona Francesco, donna di antica virtù, pia, prudente, pudica, morì il 25 Ottobre1825 a 78 anni e mesi 2.L'erede Teresa Lantieri (coniugata) Paratico pose piangendo (questa) memoriaalla carissima benemerita zia.

I Marchetti Bona erano nobili bresciani. Paola era vedova dal 1812 e pureFrancesco era l'ultimo della sua famiglia.La coppia, senza figli, disponeva di un cospicuo patrimonio. D'estate e fino al tardoautunno soggiornavano nella loro casa di campagna a Guidizzolo dove possedeva-no anche alcuni terreni.Nel testamento del 13 aprile 1825 Paola al n. VIII scrisse: "In suffragio dell'animamia ordino e lascio che la casa con ortaglia e il campo detto S. Andrea situati neltenore di Guidizzolo, la casa in contrada Malborghetto, la pezza di terra in contra-da che conduce a Medole, restino perpetuamente invenduti ed in amministrazionedel Reverendo Parroco pro tempore di esso comune, con la rendita dei quali dovràogni anno farmi celebrare nel giorno che seguirà la mia morte un Ufficio con dodi-ci Messe da requiem e che il resto (dedotte lire cento, L. 100,00 italiane che reste-ranno di proprietà annua del M.R. Parroco stesso in riconoscenza per l'incomododi tale amministrazione) lo debba impiegare nella provvista di qualche letto chesarà per separare gli Maschi Ragazzi dalle femmine ove vi fosse maggior bisognoe per soccorrere gli poveri infermi di quel Comune. Questo legato però intendo siiverificabile dopo la morte della Sig.ra donna Teresa Paratico."

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Esistenti nell'antico cimitero

L'epigrafe con fregio di due fiaccole accese e capovolte è inscritta nella partemediana del monumento-sepoltura dell'Arciprete don Antonio Ilario Fortunati(1738-1830).Il testo dell'iscrizione in passato, a partire dal Bertolotti, 1893, fu attribuito daglistudiosi a Stefano Morcelli, abate di Chiari e corrispondente del Fortunati. Il datova corretto poichè il Morcelli era morto nel 1821. L'autore del testo potrebbe esse-re un allievo della scuola dell'illustre epigrafista.

AL CENERE SACRO E ALLA PIA MEMORIADI ANTONIO ILARIO FIGLIO DI BENEDETTO FORTUNATI

NATIO DI MOGLIA DI GONZAGAARCIPRETE DI GUIDIZZOLO

IL QUAL PER CINQUANTOTTO ANNI INTEMERATAMENTE FORNI'SUO UFIZIO E DOVERE

IL QUALE FATTO GIA' GRANDE PER LETTERE E PER DOTTRINAUNA SINGOLARE VIRTU' E RARA PRUDENZA

SENZA ORPELLO RENDETTE MAGGIOREVISSE ANNI LXXXXII MESI III GIORNI X

POVERO PER SE' RICCO PE' POVERIED EZIANDIO AGLI STRANIERI CORTESE

IL CLERO E IL POPOLO CON ACERBO LUTTO ACCOMPAGNATOLOAL SEPOLCRO

IL GIORNO DELLA SUA MORTE A DI' XXIV MAGGIO DELL'ANNO M.DCCC.XXXSENZA TERMINE DALL'INTIMO DEL CUORE A LUI PREGANO

L'ETERNA REQUIE E LA CELESTE GLORIA.

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Q = QUESTAM = MEMORIAC = CURARONO

Un rogito del 20 dicembre 1474 nel quale Danielli Franceschino vende ad AntonioMargoni una biolca di terra al prezzo di 5 ducati è il più antico documento che atte-sta la presenza della Famiglia a Guidizzolo. I Danielli, ricchi possidenti, ricoprirono varie magistrature nella comunità. Livia Cecilia sposò nel 1773 il poeta Francesco Antonio Coffani. Giuseppe, sacer-dote, morì di tifo nel 1814 a soli 27 anni. Nel breve periodo del suo sacerdozio sidistinse come oratore sacro, poeta occasionale e maestro dei fanciulli.Vincenzo, ultimo della Famiglia, 1855 - 1890, Sindaco del Comune dal 1881 al1889, morì celibe.Il testo dell'iscrizione non sembra attribuibile al Fortunati, il quale si sarebbeespresso in latino.Lo stile riflette un sentimento immanente del dolore, tema dell'età romantica, maanche di tutti i tempi.

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Esistenti nell'antico cimitero

La lapide manca della parte superiore e del nome, Mezzeni Nicola, nato nel 1798e sposato con Gitti Elisabetta il 26 gennaio 1824. La famiglia, originaria del treen-tino era a Guidizzolo dal 1786. Una famiglia di sarti artigiani.L'iscrizione, di tipo familiare e privato, ripercorre uno schema tradizionale caratte-ristico del periodo.

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Zappettini Gaetano nacque a Guidizzolo il 5 dicembre 1778 "in vico medio". Inomi del padre, Federico, e del nonno, Leopoldo, si rincorrono attraverso le gene-razioni dell'antica famiglia.Gaetano, medico chirurgo come il padre, esercitò in paese la professione. Lasciòuna figlia, avuta dal primo matrimonio con Grazioli Margherita, Giacinta sposata aZaltieri Lorenzo. Pertanto il cognome Zappettini si estinse.Sepolto all'esterno della chiesa, poichè gli Zappettini fin dal 1748 non erano piùtitolari della Cappellania di San Giovanni Battista con Altare e sepolcreto.

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Q = QuestaM = MemoriaP = Pose

Don Andrea Irma, originario di Cavriana, parroco di Guidizzolo dal gennaio 1857,nel periodo della II e III guerra di indipendenza.Vide realizzata la costruzione della casa canonica che aveva richiesto un laboriosoiter burocratico iniziato sotto il Lombardo-Veneto. Don Irma potè trasferirsi nellanuova casa nel 1863, dopo aver abitato in casa di affitto.

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Esistenti nell'antico cimitero

Cm 95x130

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La scritta era incisa su un mattone vagante, derivato forse dalla demolita casa par-rocchiale o abbazia.Nella venerabile Compagnia del SS. Sacramento venivano assegnati vari uffici. Ilconfratello bastoniere o avvisatore svolgeva la mansione di guidare processioni opellegrinaggi, e nelle riunioni o in chiesa di “svegliare” chi si appisolava durantela predica. Con lunghe verghe i confratelli “Bastunér” tenevano sveglio chi, a dot-trina nel pomeriggio della domenica, si abbandonava al sonno.Nell'iscrizione stupisce il numero di bastoni tanto elevato. Le lettere A Z B potreb-bero corrispondere a una classificazione o al nome di qualche confratello.

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Epigrafi già nell'anticacasa parrocchiale o Abbazia

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L’Abate Luigi Valenti Gonzaga

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Epigrafi già nell'antica casa parrocchiale o Abbazia

Imperituro e sacro il fatto che / il Cardinale LUIGI Valenti, Patrizio mantovano eArcivescovo di Cesarea / tornato in patria dopo aver assolte le ambascierie inSvizzera e in Spagna / qui il 15 settembre 1777 / nella chiesa dei Santi ApostoliPietro e Paolo / a proprio nome confermò con rito solenne il popolo adulto, fan-ciulli e fanciulle / con il Sacramento della Cresima. Su invito del Vescovo diBrescia Giovanni Nani e su richiesta di Antonio Ilario Fortunati Vicario Parrocodella medesima chiesa, il quale memore di così grande benevolenza pose (questa)eterna memoria.

Luigi Valenti Gonzaga, come già lo zio card. Silvio, Segetario di Stato di PapaBenedetto XIV, percorse una bril1ante carriera diplomatica al servizio della S. Sedee ricoprì incarichi di Curia a Roma.Don Fortunati cogliendo l'occasione del cardinale ospite della madre, Francesca, aCastelgrimaldo, lo invitò ad amministrare la Cresima nella chiesa di Guidizzolo.L'evento fu preparato con cura e coinvolse i paesi vicini. I cresimati furono 126,dei quali 52 di Guidizzolo e 74 di parrocchie vicine, adulti, adolescenti e ragazzi.

AETERNITATI SACERQUOD

ALOJSIUS CARD (INALIS) VALENTIUS PATRICIUS MANTUANUSCESAREAE ARCHIEP(ISCOPUS) OBITIS LEGATIONIBUS

APUD HELVETIOS ET IN HISPANIA DOMUMRESTITUTUS HEIC PRIVATIM PUEROS PUELLASQUE

POSTQUAM POPULUM IN AEDE SANCTORUM PETRI ET PAULIAPOSTOLORUM) SOLEMNI RITU CHRISMATIS

SACRAMENTO CONFIRMAVIT XVII KAL(ENDAS) OCT (OBRES)MDCCLXXVII. INVITANTE JOANNE NANIO ANTISTITE BRIX(IENSI).

PETENTE ANTONIO HILARIO FORTUNATO EIUSJDEM AEDISVICARIO PAROCHO,

QUI TANTAE PIETATIS MEMORAE(TERNAM) M(EMORIAM) P(OSUIT)

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Nella chiesa di Castelgrimaldo è murata una lapide in cui si legge:

A Luigi Valenti Gonzaga, Cardinale di Santa Romana Chiesa, poichè dall'amba-scieria in Spagna venendo da Mantova a Castelgrimaldo dalla madre carissimaFrancesca il 15 settembre 1777, dopo la celebrazione della Messa, amministròl'Eucarestia al popolo, l'Arciprete Vincenzo Rafanino (pose questo) sempiternomonumento della sua devota cortesia.

ALOJSIO VALENTIO GONZAGA S.R.E. CARDINALI

MANTUA QUOD

EX LEGATIONE HISPANICA IN CASTRUM GRIMOALDUM

APUD FRANCISCAM MATREM DULCISSIMAM SACRO FACTO

XVII KAL(ENDAS) OCTOBR(ES) MDCCLXXVII EUCHARISTIAM POPULO MINISTRAVIT

VINCENTIUS RAPHANINIUS ARCHIPR(ESBITER) BENIGNITATIS RELIGIONISQUE EIUS MONUMENTUM SEMPITERNUM

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Iscrizioni scomparse dal cimiteroA interrompere la secolare tradizione di seppellire presso le chieseo al loro interno furono le leggi austriache di Giuseppe II nel 1786,confermate da Napoleone con 1'editto di Saint Cloud del 1804,esteso alle provincie italiane sotto il dominio francese.Nacquero così i cimiteri fuori dai centri abitati. Quello diGuidizzolo, un campo recintato dove si seppelliva in terra, fubenedetto dall'Arciprete don Benedini il 2 novembre 1837.

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OH. SVENTURA. OH. DOLOREIN. LUCIO. RIZZINI. QUINDICENNE

PER. SOAVITÀ. DI. ANIMO. PER. VENUSTÀ. DI. CORPO. CARISSIMOLA. SCINTILLA. DELLA. VITA

QUESTO. GIORNO. I8. MAGGIO. MDCCCXXXVIII. CRUDAMENTE. SI. SPEGNEVAQUANDO. LA. SQUISITEZZA. DELL'INGEGNO

LA. VOLONTEROSA. ASSIDUITÀ. NELLO. STUDIOAD. ALTE. OPERE. LO. INCAMMINAVANO

QUANDO. NELLE. VIRTÙ. DEL. GIOVINETTOQUELLE. SI. TRAVEDEVANO. DELL'UOMO

E. LE. PATERNE. SPERANZE. NELLA. LETIZIA. SI. MATURAVANOO. LUCIO. SOTTO. IL. TUO. FRALEIN. PARADISO. LA. TUA. ANIMA

IN. MILLE. CUORI. LA. TUA. MEMORIA

OH. SVENTURA. OH. DOLOREERA. UN. GIGLIO. TENERELLO. SOAVE

ALLA. VITA. NUTRICATO. CON. ASSIDUO. AMORE.ED. AHI. DAL. TURBINE. IMPROVVISO. DELLA. MORTE

MISERAMENTE. ABBATTUTO.SI. CHIAMAVA. GIUNIO. RIZZINI. BILUSTRE. FANCIULLO

CHE. ALLE. FORME. DEL. CORPO. PER. BELLEZZA. NOTEVOLIUNIVA. LO. SVEGLIATO. INGEGNO

L'INDOLE. MANSUETA. DELL'ANIMO. ALLA. PIETÀ. INCLINATODAL. GIORNO. I7. GIUGNO. MDCCCXXXIX.

E' QUI. SEPOLTOINSIEME. ALLA. CONSOLAZIONE. DEI. GENITORI.

O. GIUNIO. DALLA. BEATA. SEDE. DEL. CIELOVEDI. IL. LORO. CORDOGLIO

E. LA. PIENEZZA. DELLA. ETERNA. GIOIA. TI. PARRÀ. MINORE

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Iscrizioni scomparse dal cimitero

Le due epigrafi, dettate dal maestro e precettore Paolo Bettoni, furono poste sullasepoltura di Lucio (1822-1838) e Giunio Rizzini (1826-1839), figli del conteFrancesco, morti adolescenti a causa di tisi polmonare.Molteplici sono i legami dei Rizzini, nobile famiglia mantovana, con Guidizzolo,dove possedevano molti beni e un palazzo di villeggiatura.

Palazzo Rizzini, il giardino

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Pietro Giuseppe De Brimont nacque a Reims in Francia nel distretto della Marna.Aveva 31 anni quando partecipò col grado di luogotenente nella I coorte dei lance-ri alla guerra franco-piemontese contro l'Impero d'Austria. Nella battaglia svoltasinella pianura di Guidizzolo fu ferito mortalmente presso la Ca' Nova, allora pro-prietà Danielli, il 24 giugno 1859 circa le 15,30 del pomeriggio. Il Suo cadavere,raccolto dal fratello, fu portato al cimitero, dove, ricevuta la benedizione del sacer-dote, fu sepolto. In capo al tumulo venne fissata una croce in ferro con l'iscrizione,tolta dopo alcuni mesi, quando il 19 marzo 1860 le spoglie di Pietro furono trasla-te a Versailles per essere tumulate nella tomba dei suoi avi.

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VENTURELLA ANDREAD’ANNI 55

IL 14 GIUGNO 1902LASCIO’ L’AMATA CONSORTE

INCONSOLABILE COL RICORDODELLE SUE VIRTU’

E COME IN VITA COLL’OPRAMORENDO BENIFICO’ IL POVERO

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Iscrizioni scomparse dal cimitero

CONCEDI, O SIGNORELA PACE DEI GIUSTI ALL'ANIMA

DI MAFFIOLI VITTORIO NATO NEI 1891, MORTO NEI 1929

TENENTE DI FANTERIA INVALIDO DI GUERRA

FIGLIO AMOROSISSIMO CITTADINO PROBO PATRIOTTA ARDENTE

CHE SUI CAMPI DI BATTAGLIA VERSÒ IL SUO SANGUE GENEROSO

E FRA LE PARETI DOMESTICHE SOPPORTÒ STOICAMENTE

INAUDITE SOFFERENZELA FAMIGLIA INCONSOLABILE.

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Esistenti nel cimiteroGiuseppe Muti e Odoardo Fantolini, due volti del Risorgimento

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Esistenti nel cimitero

Giuseppe Muti nacque il 24 maggio 1810, figlio del notaio Vittore che a Guidizzoloesercitò per molti anni la professione.Sacerdote, insignito nella Basilica di Sant'Andrea, professore di materie filosofichee teologiche nel Seminario vescovile e di Storia e Filologia nell'I.R. Liceo diMantova, appartenne al gruppo di sacerdoti cosidetti “liberali” e di sentimentinazionali negli anni cruciali del Risorgimento, ammonito e sorvegliato dalle auto-rità di polizia.La rivolta del '48 trovò in lui un caldo fautore. Dichiarato a Mantova lo stato d'as-sedio si rifugiò a Guidizzolo dove fu membro del Comitato insurrezionale. Preseparte ad un'azione popolare disarmando un distaccamento militare austriaco cheaccompagnava varie vetture con famiglie e bagagli.Un rapporto della polizia lo descrive di carattere dolce e tranquillo, ma risoluto etenace. Il documento prosegue: “Consta pure non avere egli voluto condividere lemene repubblicane del Tazzoli. I suoi intimi e segreti convincimenti sono piuttostoper un governo costituzionale italiano”.A partire dal 1861 fu ispettore scolastico del circondario di Castiglione delleStiviere. A Guidizzolo gli è intitolata una via.Da segnalare tra le opere da lui pubblicate: “Nelle solenni esequie ai defunti bene-fattori delle Pie case di ricovero e d'industria”, Mantova, 1836, ed. Caranenti;“Degli asili infantili in generale e del primo asilo in Mantova, Mantova, 1839, ed.Negretti; “Nelle solenni esequie al conte Camillo Benso di Cavour” il 14 giugno1861”, Brescia, tip. Gilberti.

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Dalla “Gazzetta di Mantova” del 17 settembre 1869:Don Giuseppe Muti

Una parola di pia riconoscenza alla cara memoria del prete Giuseppe Muti chemaestro prima e poi mi fu soavissimo amico. Esso fu veramente cristiano e mini-stro fedele di quella religione che sull'altare insanguinato del Golgota suggellò isanti precetti dell'eguaglianza, dell'amore e del perdono: fece professione di umil-tà, non d'altro ambizioso che di onorati costumi: cospirò silenzioso tutta la sua vitaper la civiltà e la patria e quando cominciarono a spezzarsi le catene d'Italia, ridot-tosi in libera terra, sperò godere la tacita gioia delle estreme illusioni amareggiateben presto dal fescennino arrabbatarsi di giullari e di saltimbanchi, ai quali 1'animosuo dignitoso non consentiva mescersi.Molta ebbe dottrina, frutto di sudati studi: diffidente sempre della parola perchèincontestabile nel colorire il pensiero, aggirava il discorso fra molti pentimenti erifiuti, sui quali certo non si sarebbe fermata la scorrevole loquacità di molti che inquesti tempi di nessuna lingua e di poca grammatica scivolano lutulenti credendodi parlare a modo e con gaiezza.Istruì privatamente alunni che brillarono poi per il decoro di tanto maestro; dichia-rò molti anni le sacre carte ai chierici del Seminario. E sedette due anni sulla cat-tedra di Filologia e Storia nel R. Liceo, dove se non rimase come titolare, fu soloper troppo modesta peritanza.E giacchè queste reminiscenze rimontano a trenta'anni addietro, ricorderò come ilprete Giuseppe Muti fosse uno dei più begli ornamenti di quella eletta schiera dicolti patrioti che formavano un modesto ateneo nella casa del Marchese GiuseppeValenti.Oh quelli erano tempi di sante illusioni, di poetiche aspirazioni! Noi fanciulliapprendevamo da così grandi maestri a balbettare il venerando amore di patria, benlontani dall'aspettarsi un'età adulta desolata per la perdita di quelle care persone checi confortavano a studiare e sperare.Ariodante Codogni

Dalla “Gazzetta di Mantova” del 21 settembre 1869Ieri il clero dell’Insigne basilica di S. Andrea scioglieva un mesto tributo di senti-ta riverenza e di fraterna pietà al compianto professore don Giuseppe Muti, bene-ficiario e già fabbricere di essa basilica, celebrandogli un officio di settima.

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Esistenti nel cimitero

Odoardo, nato a Guidizzolo il 2 ottobre 1833, è l'ultimo discendente di antica fami-glia di possidenti e professionisti, medici due suoi avi, geometra ingegnere il padre,Francesco.Un prozio, don Giuseppe, morto nel 1850, fu coadiutore parrocchia1e, il nonnoGiovanni Battista Sindaco per molti anni.Odoardo, studente a Mantova, frequentava come esternista il Liceo del Seminariovescovile, dove insegnavano don Enrico Tazzoli, don Giuseppe Muti e donFerdinando Bosio. Da loro apprese l'amor di patria e i sentimenti della nazione ita-liana. Il 20 febbraio 1852 fu tratto in arresto perchè trovato in possesso di una car-tella del prestito mazziniano.Dapprima nel carcere di San Domenico, dove si svolgevano gli interrogatori degliinquisiti per sovversione, fu poi tradotto nelle prigioni del castello di San Giorgio.Venne amnistiato il 19 marzo 1853, quando finalmente si sciolse il processo che neldicembre aveva visto le tragiche esecuzioni di Belfiore.Esercitò poi la professione di medico nell'Esercito italiano. Alla formazione idealee alla terribile esperienza giovanile è forse riconducibile il suo orientamento di pen-siero - mente libera, come recita l'epigrafe - che lo portò a volere per sè funeralinon religiosi.

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FIORI PRECI LACRIMESULLA TOMBA

DELLA NOSTRA CARAMAFALDA VENTURELLI

STRAPPATACI DA CRUDO MORBO IL 25 NOVEMBRE 1918IN ETA' D'ANNI 15

COSI’ FU TOLTA AGLI STUDI CUI DIEDE PROVAD'INTELLIGENZA NON COMUNE

ED AI GENITORI CHE NON TROVANO PACEREQUIEM

BIGNOTTI CELESTINON. 18-6-1922

L' OSTINATO MORBO CRUDELETI RAPI’ DA QUESTA VITA

IL 5-8-1923DOPO TUTTE LE CURE DEI TUOI CARIPER ENTRARE NELLE GLORIE CELESTI

DEL PARADISOCON LA SANTA BENEDIZIONE

FOSTI IL PRIMO AD OCCUPARE QUESTE URNEASPETTANDO I FAMIGLIARI

CHE DOLENTI PREGANOSIA PACE ALL'ANIMA TUA

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Esistenti nel cimitero

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L'elezione a Sindaco di Ulderico Bignotti rappresentò una novità che non mancò disuscitare timori tra i moderati.Finora, a partire dal 1861, la carica di Sindaco era stata ricoperta da notabili delpaese, espressi dalla media borghesia.Nel 1910 la scelta cadde invece su persona che si ispirava alle idee riformatrici delsocialismo turatiano. Ma il maggior numero dei quattordici consiglieri che loaffiancavano proveniva da esperienza amministrativa precedente, a gararizia dicontinuità e a tranquillizzare chi temeva improbabili cambiamenti.Nel 1911 venne inaugarata la ricostruita torre civica e ricorrendo il Cinquantesimodell'unità (1911) fu posta sulla facciata del Palazzo comunale una lapide comme-morativa di Giuseppe Garibaldi.Avvenimenti lieti, eco dell'epopea risorgimentale, alla vigilia e nell'imminenza didue guerre, quella di Libia e la prima guerra mondiale, con i soldati al fronte e idisagi sofferti dalla polazione civile.Le elezioni comunali del 5 luglio 1914 portarono alla riconferma del SindacoBignotti, il cui mandato si concluse nel 1920.

ABIGNOTTI CAV. ULDERICO

23-6-1860 5-6-1924INTEGERRIMO CITTADINO INDEFESSO LAVORATORE

L'OPRA SUA PRODIGÔ INTEGRA ALLA SUA FAMIGLIAALL'UMILE LAVORATORE AL SUO PAESE NATIO

CHE LO VOLLE PER BEN UNDICI ANNI SUO PRIMO CITTADINO

LA MOGLIE E I FIGLI INCONSOLABILIPOSERO

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Esistenti nel cimitero

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Birbesi: epigrafi all'internodella Chiesa parrocchiale enell'antico cimitero

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PRO SE ET SUCCESSORIBUSSUIS JOANNES MALTINI

RECTORMOMUMENTUM HOC POSUIT

A.D. 1750OBIIT XV MARTII 1764

AETATE LVIII

Nella Chiesa di Birbesi esiste una lapide non visibile. Lo attesta una nota di don Sergio Malvardi (1902-2003) del 1936:In centro e a circa due metri dalla balaustra è stata coperta, con la nuova pavimen-tazione, una lapide che chiude un sepolcro e recante questa scritta:

Giovanni Maltini Rettore nell'anno 1750 fece costruire questo monumento per sè eper i suoi successori.Morì il 15 marzo 1764 all'età di 58 (anni).

Don Giovanni Maltini fu parroco di Birbesi dal 1748 al 1764. A lui è forse da ascri-versi la costruzione della casa Canonica, certamente di una parte di essa. E alla suamorte fu il primo ad essere deposto nel sepolcreto da lui voluto.

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Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale e nell'antico cimitero

L'altare dedicato a San Luigi Gonzaga, decorato da varie qualità di marmi, operadello scultore Giuseppe Brigoni, fu eseguito, sostituendo forse un altare preceden-te, dopo la guerra 1940-'45 e lo offrì la famiglia Mondadori Agide, ricordata dalledue lapidi infisse nei fianchi del manufatto.

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B.M. = Bene merentisSeptembr = Septembribusann = annosal = salutisAet = AetatisS = SuaeM = Menses

Entrando e uscendoricordatevi di Luigi Maltinibenemerito Rettore di questa chiesachecaro agli amici, benefico ai poveri, avverso a nessunomorì il 5 settembre nell'anno della salvezza 1813all'età di 84 anni e mesi 4.

Luigi Maltini nacque a Birbesi nella corte Maltini. Fu Rettore della parrocchia natiadal 1784 al 1813. Il necrologio riassume così la sua vita: “fu sacerdote di intensapreghiera, povero tra i poveri, caro agli amici, utile a molti, avverso a nessuno”.Scritto di pugno da don Fortunati il necrologio coincide con il testo dell'epigrafe.Se ne deduce che don Fortunati è pure l'autore del testo epigrafico.Don Maltini fu sepolto il 6 settembre fuori la porta minore della chiesa, luogo dalui indicato nel testamento, così come la volontà di collocare l'epigrafe in marmosulla parete della chiesa, dove ancora oggi si trova.

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Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale e nell'antico cimitero

Angela Maria Bona di Giovanni e Cobelli Caterina nacque a Guidizzolo l'11 apri-le 1803. Sposa giovanissima ad Andrea Mozzinelli andò ad abitare a Birbesi nellafattoria Villanova sul confine con Vasto di Goito. La loro bambina, Giulia, nata il4 giugno 1822, visse soltanto un giorno. Angela morì di febbre miliare puerperaleil 4 agosto.Andrea la volle ricordare con l'epigrafe sul luogo della sepoltura nel cimitero chesi estendeva a destra della chiesa. Andrea morì di tifo il 27 ottobre 1848.

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I Fellina, possidenti agricoli, sono presenti a Birbesi almeno dalla prima metà del'700. Nell'epigrafe l'anno 1857 si deve leggere 1837, come evidenzia la successio-ne degli avvenimenti familiari. Caterina, sposata il 20 gennaio 1803 conRiccadonna Giuseppe, morì di apoplessia il 28 aprile 1837. Il marito Giuseppe, ori-ginario di Cavalcaselle dove era nato il 19 marzo 1775, vedovo di Caterina, sirisposò il 23 aprile 1838 con Schinelli Domenica, vedova di Ferrari Giacomo.Giuseppe morì il 2 novenbre 1841.

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Nella Chiesa di San LorenzoLa chiesa di San Lorenzo, di fondazione romanico-gotica, demania-ta alla fine del ‘700, fu acquistata nel 1801 insieme con il podere daiConti Rizzini.

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Nella Chiesa di San Lorenzo

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A Dio ottimo e massimo: Luigi dei conti Rizzini nell'anno della (nostra) salvezza1808 preparò per sè un funebre giaciglio sin quando avvenga un mutamento (allafine dei tempi).

La cripta sottostante il presbiterio fu adattata nel 1808 a sepolcreto di Famiglia.Luigi, morto a Mantova nel 1817, non poté essere trasportato a Guidizzolo, nonpermettendolo le autorità sanitarie a causa di un'epidemia contagiosa allora diffu-sasi.

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Nella Chiesa di San Lorenzo

DILEGUATA IMMAGINE D'INFINITI AFFETTIVIRGINIA PIGNATELLI CONTESSA RIZZINI

LO SPIRITO IMMORTALETROPPO ANZI TEMPO RIPORTANDO AL CIELO

DELL'AVANZO TERRENOCHE QUESTA PIETRA CUOPRE

MONUMENTO D'INESAUSTO PIANTOITALO CONSORTE SUO CHE LA COMPOSE IN ESSA

VOLLE CUSTODESIA PACE IN QUESTA OMBRA

FIN CHE NE RISORGA IL SORRISO ANTICO

13 MARZO 1886

Virginia, figlia del principe Vincenzo Pignatelli, nacque a Napoli il 23 dicembre1846. Sposò giovanissima il 2 agosto 1865 il conte Italo Rizzini. Colta e appassio-nata di pittura, di musica e di teatro, a Guidizzolo recitava nella Compagnia didilettanti in spettacoli dallo scopo benefico.Affetta da "mal sottile" si spense il 13 marzo 1886 a Napoli ospite del fratello Luiginel palazzo avito sulla riviera di Chiaia. Non le aveva giovato il clima nativo.Sepolta nel cimitero di Poggioreale fu trasportata in San Lorenzo a Guidizzolo pervolere di Italo nel 1888.Un lascito da lei stabilito consentì di aprire l'Ospizio per anziani oggi "Casa di ripo-so" a lei intitolata.

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Sulla stradaIl capitolo propone una passeggiata ideale nel tempo e invita a unpercorso reale con un fine ben preciso: leggere le epigrafi esistentinelle vie del paese o nelle cascine del territorio.

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La croce, collocata nella frazione di Rebecco, ricorda l’anno Santo 1750

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Sulla strada

.osta: postaLa famiglia di Giacomo abitava a Rebecco. La disgrazia accadde il 14 aprile 1753,presso il mulino di Rezzato, al confine tra le parrocchie di Birbesi e Guidizzolo. Ilgiovane conducente fu travolto e ucciso dal pesante carico di legna che accidental-mente si rovesciò.Il testo dell'epigrafe in lingua volgare presenta qualche difficoltà di decifrazioneper la scomparsa di qualche lettera, mentre la solida croce in marmo è ben conser-vata sul ciglio della "sariola" marchionale.

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Croce simile probabilmente coeva ricorda una disgrazia accaduta sulla viaMantovana all'altezza della corte Ridellino, un carrettiere travolto sotto il suo carro.La croce giace di traverso poco visibile ai bordi della statale. Fotografata circa il1990 reca una scritta il cui testo è difficile da ricostruire perchè vocaboli e letteresono in parte cancellati per l'azione di agenti atmosferici o altra causa. Le ricerchearchivistiche non hanno dato esito per l'identificazione dello sfortunato Giovanni.

D. O. M.GIOVANNI PORT…….. DI………..V……U………..

CADUTO SOTTO IL CA…………….DOPO ALCUNE ORE DI………..

DI SOLO MATO MO………. LIDEL SIGNORE AI OVIM……..IL DI CUI CORPO GI……….

SEPOLT…….

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Sulla strada

Un caso di omonomia? Anche di Francesco Spacini al momento non è stata possi-bile l'identificazione o ritrovare notizie della disgrazia di cui fu vittima. Un giova-ne di Castelgrimaldo, Francesco Spacini di Giacomo, morto a 22 anni nel 1760, èdescritto nel necrologio “tamquam angelus ut vixit sic ad celestem Patriam fereinvisibiliter evolavit”, certamente di malattia.La croce è in attesa di restauro, mentre la base si trova nel luogo originario aRebecco sulla strada per Medole.

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DI QUI PASSÒ IL 6 MAGGIO SUA ALTEZZA REALE

DON FERDINANDO I PRINCIPE DI BORBONE INFANTE DI SPAGNA

DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA GRAN PRIORE DI CASTIGLIA

NEL MENTRE CHE SE NE ANDÒ IN PRIVATOAL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA

IL SIGNOR ALFIERE FEDERICO DANIELLI DI GUIDIZZOLO FECE FARE

PER ETERNA MEMORIA L'ANNO 1795.

Il Principe Ferdinando I di Borbone, Duca di Parma e nipote del re di SpagnaFilippo V, era tra i pretendenti a quel trono. Fu principe illuminato, di carattere mitee protettore delle arti. Nel 1802, sfidando la volontà di Napoleone, rifiutò decisa-mente di cedere il ducato parmense alla Francia. Mal gliene incolse, chè morì pocodopo, forse di veleno.Ma nel 1795, l’anno del pellegrinaggio alla Madonna della Corona, negli Stati ita-liani si respirava ancora il clima dell’ancien regime e il passaggio e l'ospitalità dataa un Principe tanto titolato appariva fatto degno “di eterna memoria”.L'iscrizione si trova nel cortile della casa al n. civico 46 di via Solferino, all’epocalocanda o stazione di posta.

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Sulla strada

QUI ALBERGÒ LA SERA DEL I MAGGIO SUA ALTEZZA REALEDON FERDINANDO PRINCIPE DI BORBONE

INFANTE DI SPAGNA DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA CRAN PRIORE DI CASTIGLIA

PROSEGUÌ IL VIAGGIO INSINO AL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA

PARIMENTI NEL SUO RITORNO LA SERA 6 SUDDETTOSI DEGNÒ DI RIPOSARE QUI NEL ABITAZIONE

DI ME STEFANO MALPETTI DI CAVRIANAANNO DOMINI

1795

e a San Cassiano di Cavriana (cascina Malpetti):

PER IL VIAGGIO CHE FECE SUA ALTEZZA REALE DON FERDINANDO PRINCIPE DI BORBONE

INFANTE DI SPAGNA DUCA DI PARMA PIACENZA E GUASTALLA CRAN PRIORE DI CASTIGLIA

PARTE DA COLORNO E ARRIVATO IL I MAGGIOIN CERESARA

PROSEGUÌ IL VIAGGIO INSINO AL SANTUARIODELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA CORONA NEL ANDARE E SUO RITORNO LI 7 SUDDETTO

SI È DEGNATO DI ALBERGARE IN CASA DEL SIGNOR PIETRO GHIROLDIDI CERESARAANNO 1795

L'avvenimento è ricordato pure a Ceresara (borgo Tezzole):

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Il 15 Gennaio 1796il venerabile corpo della santa martire Agapeche da Roma veniva trasportato a Chiarifu accolto devotamente in questo luogo.

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Sulla strada

L'abate Morcelli, prevosto di Chiari, dotto epigrafista e corrispondente delFortunati, ottenne per la propria chiesa dal Papa Pio VI l'insigne reliquia della mar-tire Agape. Questa santa è ricordata nella "Bibliotheca Sanctorum" con poche eincerte notizie. In quegli anni a Roma erano in corso grandiosi lavori di scavi nellacatacombe e molte reliquie di martiri venivano richieste dalle varie chiese. Sullaautenticità di parecchie è lecito il dubbio e Agape potrebbe essere un nome fittizio. Esso significa umiltà o carità e anche convivialità.Don Fortunati, amico del Morcelli, fece sostare la reliquia a Guidizzolo, compien-do, per sè e per la sua comunità, un atto di devozione, che volle tramandare conun'epigrafe.Il luogo indicato è la casa Guarnieri, attigua alla Chiesa dei Disciplini in via diMezzo, dove la lapide rimase fino agli anni '60 del Novecento, quando a motivodella ristrutturazione del caseggiato, venne affidata alla Parrocchia.Sulla santa martire Agape il Morcelli pubblicò un opuscolo.

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ALOJS I USFEZZARDI

REPENTINA MORTECORREPTUS

HIC SEPULTUS FUITDIE XXIX JULII

MDCCCIORATEPRO EO

Luigi Fezzardi strappato da morte improvvisa fu qui sepolto il 29 1ug1io 1801.Pregate per lui.

In realtà il giorno della sepoltura fu il I agosto.Luigi Fezzardi, settantenne di Castiglione delle Stiviere, mentre tornava a casa dalmercato settimanale il mercoledi 29 luglio 1801 fu visto da molti compaesani tran-sitare verso sera per la via dell'Osteria e la via Mantovana, quando poi il 31 fu tro-vato morto, senza ferite, nel campo detto degli Ambrosini, dove, svolte prima lepratiche dalle autorità della Repubblica Cisalpina, fu sepolto nello stesso luogo delritrovamento, essendo il cadavere già putrefatto.La pietà popolare o i famigliari posero un monumento a forma di croce e con l'iscri-zione.Negli anni '90 del secolo scorso il piccolo monumento fu spostato dal ciglio dellastrada per esigenze di urbanizzazione e opportunamente ricollocato entro la zonaindustriale.

Antichi sigilli della comunità

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Sulla strada

La scritta si trova all’inizio del viale Passeggio o della Barriera, dove nel 1902venne trasferito il mercato bovino.Tuttavia la sistemazione del viale con alberi esotici, sollievo dei cittadini special-mentre d’estate, risale al 1830 circa ad opera di Giovanni Battista Fantolini (1773-1868) Sindaco del paese per molti anni.

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La Battaglia di Solferino

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La Battaglia di Solferino

La Battaglia di Solferino

Scrive don Andrea Irma, parroco di Guidizzolo:“Il mattino del 23 giugno, giovedì del Corpus Domini, un ingente numero di sol-dati germanici, circa duecentomila, al comando dell’Augusto Imperatore d’AustriaFrancesco Giuseppe, irrompendo dall’accampamento di Goito, si fermò in questiluoghi, pronto ad attaccarer battaglia l’indomani contro le schiere francesi cheoccupavano il territtorio di Castiglione sotto il comando dell’Augusto Imperatoredi Francia Luigi Napoleone III. Il combattimento di fatto ebbe inizio la mattinapresto del 24, festa di San Giovanni Battista, e si protrasse per tutto il giorno finoall’oscurità della notte con gravissima strage di ambedue gli eserciti.Alla fine la vittoria, con l’aiuto di Dio, favorì le truppe francesi che, dopo aversconfitto l’esercito nemico e costretto alla fuga fino al Mincio, portarono la pace ela tranquillità a lungo desiderate agli abitanti del paese, già in preda al panico eallo spavento”.

Il colonnello austriaco Wilhelm, Duca di Wurttenberg, scrive da Guidizzoloil 23 giugno 1859 alla sorella Matilde:“... ora però ho troppo sonno e debbo andare a letto. Domani ci sarà uno scontro,dopo domani una battaglia. Buonanotte. Il tuo fedele fratello”.

Wilhelm scrive da Cascina Maggi presso Valeggio il 25 giugno a Matilde:“Non è colpa mia se sono ancora vivo e illeso, te l’assicuro, anche se ieri stavonella pioggia di “cartocci” di granata.La cruenta battaglia di ieri per noi è stata completamente perduta. (...) quandocessò il ciclonico temporale, mi recai a cavallo per vedere se non ci fossero anco-ra avanti dei reparti del mio reggimento, ma il campo di battaglia era deserto. Nonc’erano nè nostri, nè nemici, non c’era un vivente, uno che camminasse oltre me,fin dove arrivava lo sguardo, bensì un terreno sconvolto, cosparso di cadaveri. (...)Le mie perdite ammontano a cinque ufficiali morti e diciassette-diciotto feriti.Della truppa dovrebbero mancarmi trecento-quattrocento uomini, molti meno chea Magenta.Del Kaiser jft caddero due tra i miei migliori amici! di ventuno non sò ancoranulla”.

Il campo di battaglia è da individuare tra borgo Baite di Rebecco e la Cà Nova.A tal proposito Henri Dunant scrive:“Il sole del 25 giugno 1859 rischiarò uno degli spettacoli più terribili che si pos-sono presentare all’immaginazione.Il campo di battaglia era disseminato di cadaveri, di uomini e di cavalli. Eranosparsi sotto le ruote, nei fossati, nelle forre, nei cespugli, nei prati.

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I roccolti erano devastati, le messi calpestate, le siepi divelte, i frutteti distrutti. Ditanto il tanto si incontravano mari di sangue; i villaggi erano deserti, portavano letracce della moschetteria, delle bombe, delle granate, degli obici. Le case i cui muri erano crivellati di pallottole avevano larghe breccie, appariva-no squarciate, rovinate. Gli abitanti, di cui la maggior parte aveva passato quasiventi ore rifugiata nelle cantine senza luce e senza viveri cominciavano ad uscire.L’aria di stupore di questi poveri paesani testimoniava la grande paura che ave-vano provato”.

Da una canzone popolare:Dio! chi sa quante madri a Solferinofatte avrà il piombo dei lor figli prive!Chi sa ch’una di quelle io pur non sia!

Di alcuni personaggi non sono state reperite notizie.

ADMELL TONNELIERCAPITAINE AU 6 B. DL

CHASSEUR A PIED24 JUIN 1859Nella pagina accanto: Ca’ Nova, presso Rebecco. Monumento a

ricordo del capitano francese Tonnelier.A lato: Trascrizione del testo iscritto sul monumento

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La Battaglia di Solferino

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La Battaglia di Solferino

Al colonnello Karl PrincipeWindisch - Graetz

qui caduto (con) eroismoil giorno 24 giugno 1859

dai suoi fratelli.

Windisch - Graetz è il nome di una delle stirpi nobili austriache menzionate giàintorno al 1220. Il loro castello feudale si trova nella Slovenj Gradec, in Slovenia.Principi del regno nel 1804, i Windisch - Graetz ottennero nel 1822 il titolo diPrincipi dell’Impero d’Austria. I mutamenti politici e territoriali seguiti alle dueguerre mondiali del ‘900 portarono alla dispersione delle proprietà terriere dellafamiglia.

Carlo nacque a Praga in Boemia nel 1822. Avviato alla carriera militare, partecipòcon il grado di Tenente Colonnello alla guerra del 1859 tra l’esercito austriaco e ifranco-piemontesi. Il 24 giugno, nelle ore della battaglia, fu mortalmente ferito alventre da un proiettile lungo la strada che dalla Cà Nova conduce a Rebecco.Soccorso e portato a Guidizzolo nella casa di Bonfiglio Giacomo (oggi sedeAgenzia BAM), spirò verso sera.Era di religione cattolica e il mattino seguente, senza alcun accompagnamento datele circostanze, fu sepolto entro cassa di legno nel locale cimitero.Il 12 luglio, eseguite le pratiche di legge, il suo cadavere esumato fu posto in unacassa di piombo e trasportato a Praga per essere tumulato nella tomba dei suoi avi.

DEM AM 24 TEN JUNE 1859HIER HELDENMU EING GEFALLENEN

OBERSTEN CARL FURSTENWINDISCH GRATZ

VON SEINEN BRUDERN

Nella pagina accanto: Nei pressi di Ca’ Nova, monumentoa ricordo del Principe austriaco Windisch Graetz.Sopra: Trascrizione del testo iscritto sul monumento

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Cm 85x98La lapide a ricordo del francese Alphonse De Casabianca, posta in fregio alla strada comunale neipressi del borgo Baite

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La Battaglia di Solferino

Lapide a ricordo del capitano Demaide Roquefeuille, sullo sfondoCavriana luogo dove si concluse la battaglia.Disegno della lapide stessa

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Ici reposeAlphonse Mennessiercheff de bataillonau 72 d’infanterietue le 24 giun 1859

Qui riposa Alfonso Mennessiercapo del battaglione 72 di fanteriaucciso il 24 giugno 1859

La lapide, fissata sul muro di cinta della casa Malpetti, copriva il monumento postosul luogo dove il Mennessier cadde ferito a morte e dove successivamente fu sepol-to.

Apparteneva Alfonso ad antica illustre famiglia di Francia che se nel succedersidelle diverse rivoluzioni e forme di governo perdette molti beni di fortuna, nellaguerra del '59 ebbe la sorte avversa e cruda di perdere tre dei suoi membri.Infatti nella battaglia di Magenta, il 4 giugno, pur vinta dai Franco-Piemontesi,erano caduti un fratello e uno zio di Alfonso. Con l’animo straziato dal dolore perla perdita di questi suoi cari, allo ingaggiarsi della battaglia di Solferino Alfonso fupreso da un triste presentimento.Mezz’ora prima della morte lo confidò all’amico che cercava di infondergli corag-gio: “No! - rispondeva- Lasciate pure che continui ad aprirvi l’animo mio addolo-rato e che vi parli ancora, certo per l’ultima volta, di mia madre e di mio padre chenon rivedrò più se non d’innanzi a Dio, quel Dio che essi mi hanno insegnato adadorare e che io amo più che mai...” e il triste presentimento si avverrò.

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La Battaglia di Solferino

Ferito a morte Alfonso, alla guida dei suoi soldati, aveva posto l’assedio al vasto cortile della casaMalpetti, cortile tutto chiuso all’intorno da cinta di muro. Gli austriaci vi si eranoserrati facendone momentanea fortezza. I soldati francesi lo presero d’assalto cacciandone gli austriaci e se ne impadroni-rono. Uscì poi Alfonso dalla porta per esplorare i dintorni quando a pochi passi daessa, sulla piccola via che conduce a San Cassiano, fu colpito da palla nemica e gra-vemente ferito. Condotto all’interno della casa e vano ogni soccorso, spirò dopopoche ore all’una di notte.L’esumazione nel giugno 1870Nel 1869 (la legge italiana prevedeva che i cadaveri non potessero essere riesuma-ti prima di dieci anni dalla sepoltura) fu creata una società che si proponeva il dis-seppellimento dei caduti e l’erezione di due ossari a Soferino e a San Martino.A Cavriana, come negli altri comuni interessati alla battaglia, si costituì un comi-tato per organizzare le operazioni che richiesero parecchi mesi.Nel pomeriggio del 23 aprile 1870 Angelo Pastori, presidente del comitato, l’arci-prete don Cesare Pedrini, l’assessore municipale ing. Ranzoli, Tito FerrariSegretario e don Antonio Bignotti cassiere, partiti da Cavriana in due equipaggi, sirecarano alla casa Malpetti nella contrada forese di San Cassiano, per presenziarel’esumazione del cadavere di Alfonso. Le sue spoglie mortali non erano statedimenticate, ma rispettate negli anni, trovandosi chiuse in apposito monumentofatto costrure nel 1860 dal sig. Pastori, premuroso di appagare un desiderio espres-so dalla famiglia dell’estinto.Giunti pertanto i signori del comitato sulla fossa del Mennessier venne aperto ilmonumento e composte le ossa, osservando le norme consuete. Nello scavo si rin-vennero sette medaglie d’argento, una d’oro, un’altra d’ottone, tutte di soggettodevoto e ancora un amuleto, un souvenir di cristallo con cerniera d’oro contenentereliquie di capelli, e diversi bottoni col numero del 72° reggimento.Di tutta l’operazione venne redatto il relativo verbale.Da Metz il 12 giugno Paul Mennessier scrisse ad angelo Pastori:Non saprei dirle quanto io sia commosso piacevolmente per l’impegno che avetemesso nell’esumazione del corpo del mio caro Alphonse, capo del reggimento 72°ucciso nella battaglia di Solferino, e nella traslazione dei suoi resti nell’ossariocreato dagli italiani per raccogliere le vittime di quella terribile battaglia.Sono molto onorato e grato e non dimenticherò mai ciò che avete fatto e i vostrisentimenti delicati saranno sempre legati alla memoria e al ricordo del nostro carofigliolo.Il marchese Torelli si è proposto di inviarci tutti gli oggetti di devozione che eranostati trovati nella fossa che conteneva il corpo di nostro figlio, e io gli ho chiestocortesemente di inviarmeli per posta.

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Controcanto

La storia vista dal bassoL’armistizio di Villafranca pose fine alla guerra del ‘59. Sono numerose le interpre-tazioni dell’accordo tra Napoleone III e Francesco Giuseppe. Proviamo a leggerneuna diversa, lasciataci da un combattente che fu testimone dell’andirivieni e chefece da corona al celebre incontro: “Venimmo a sapere che la pace era stata con-clusa, con grande stupore dell’esercito alleato e di tutta l’Italia. Non ci avevanodetto però a quali condizioni era stata firmata dai due imperatori. Questo non ciriguardava. Noi avevamo marciato bene, cacciato bene e cotto le uova ma, come sidiceva, non avevamo il diritto di vedere, nè di sapere come si sarebbe fatta e man-giata la frittata”.

Jean-Marie Dèguignet

contadino bretone arruolato nel corpo di spedizione francese

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La Battaglia di Solferino

Un cippo posato sulla via Goitese nel 1959 in occasione del centenario della battaglia, sullo sfondo la Ca’Nova

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Il RisorgimentoLe lapidi dedicate a Giuseppe Garibaldi e Vincenzo Mutti furonoinaugurate il 24 settembre 1911.

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Il 29 agosto 1911 l’ordine del giorno del Consiglio comunale prevedeva di discu-tere la domanda presentatta dal Comitato Pro-Garibaldi per mettere una lapidecommemoratiova sulla faccita del Palazzo comunale.Il 1911 era l’anno 50° dalla proclamazione dell’Unità, ricorrenza che si intendevafesteggiare il 24 settembre.Secondo il consigliere Carlo Mutti sarebbe stato bene porre la lapide sulla casa(oggi al n. civico 76 di via Vittoio Veneto) del dott. Ubaldo Mutti dal poggio della

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Il Risorgimento

quale aveva parlato Garibaldi. Il consigliere, Ubaldo, interpellato si dichiara d’ac-cordo, purchè la lapide venga inaugurata il 27 aprile 1912 nel 50° anniversario deldiscorso di Garibaldi al popolo. E propone pure che un’altra lapide venga posta aricordo di Vittorio Emanuele II e di Cavour.Le due proposte non incontrarono il favore del Consiglio che a maggioranza votòdi collocare la lapide sulla facciata del Palazzo comunale.Garibaldi nella sua campagna al motto “O Roma o Morte” percorse infaticabilmen-te l’Italia incitando con discorsi infuocati la gioventù democratica. Tra i giovanipresenti in via della Piazza il 27 aprile 1862 è presumibile ci fossero i ragazziMutti: Ubaldo e i suoi cugini, Romualdo, dodicenne, Carlo, nato nel 1848 eVincenzo, il maggiore, di anni 16.Forse in quel momento nell’animo di Vincenzo scoccò la scintilla che dopo brevetempo lo avrebbe spinto ad arruolarsi tra i volontari garibaldini.

11 settembre 1866Mutti Vincenzo Remigio Giuseppe, figlio dei viventi Francesco e DanielliGiacinta, di anni 20 non ancora compiuti, infiammato di ardentissimo amore dipatria, avendo aderito alla legione dei volontari, effuse gloriosamente il suo sangue,per la libertà e il riscatto d’Italia, nella battaglia del 21 luglio appena trascorso,

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svoltasi tra i volontari e gli austriaci presso Bezzecca, sotto il distretto di Tiarnonella regione del Tirolo. Il suo corpo, ancora in vita, fu soccorso dai compagni epietosamente trasportato nella chiesetta di Bezzecca. Poco dopo, per l’aggravarsidella ferita, concluse l’umana milizia nel fiore della giovinezza, lasciando i genito-ri e i compaesani in grandissimo lutto. Offrì agli italiani l’esempio del suo amoreverso la Patria, che, dopo Dio, sempre onorò, non a parole, ma di fatto con le opere.I funerali solenni alla pia memoria del giovane tanto benemerito si svolsere stama-ne in questa Chiesa parrocchiale alla presenza di un gruppo di Soldati Volontari edi numeroso popolo, tutti pregando per il valoroso giovane la luce e l’eterna pace.

Irma Andrea Parroco

Dalla relazione ministeriale giunta successivamente (luglio 1867) risulta che MuttiVincenzo morì nell’ospedale di Santa Croce a Ponte Caffaro alle ore 4 del mattinodel 23 luglio.

Bezzecca: vittoria di Garibaldi sulli austriaciFu l’unica vittoria italiana della III guerra d’indipendenza, a fronte dei disastri diCustoza e di Lissa. Per questo la battaglia di Bezzecca del 21 luglio 1866 ha sem-pre avuto un posto di rilievo nell’epopea risorgimentale. Le Camicie Rosse ricac-ciarono gli Austriaci aprendo la strada italiana verso Trento.Ma Garibaldi dovette fermarsi bloccato dal telegramma di re Vittorio Emanuele IIa cui rispose con il famoso “Obbedisco”.Lì l’onore militare dei volontari italiani riscattò i pessimi risultati subiti dall’eser-cito e dalla marina regia.Nell’immaginario collettivo, pertanto, Bezzecca campeggiava tra le glorie naziona-li.

ControcantoMa allora la popolazione locale accolse i garibaldini con ostilità. Fonti popolari educumenti dell’epoca rivelano un volto diverso di quei fatti d’armi dell’estate1866. Mostrano popolazioni “liberate” ostili ai volontari garibaldini e avverse allaguerra, fedeli al cattolico Imperatore d’Austria e per nulla propense a passare sottolo Stato italiano, massonico e liberale. La gente non guardava all’ardore e inteme-rato coraggio dei volontari, quanto ai loro eccessi e alle intemperanze, all’anticle-ricalismo, ai danni e alle distruzioni. Non solo i cronisti dell’epoca denunciavano le malefatte dei garibaldini. Anche iparroci riportavano al vescovo indignati rapporti. Scrive il parroco di Pieve di Ledro rimproverando ai giovani garibaldini compor-tamenti quali ballare in chiesa o corteggiare le ragazze del posto: “Ho il cuore stret-to da tante disgrazie e miserie che appena posso impugnare la penna per rivolger-mi a Vostra Altezza Reverendissima. La chiesetta di San Giuseppe fu convertita in

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Il Risorgimento

Vincenzo Mutti

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caserma, poi in magazzino militare. Quella di Locca in caserma e dormitorio mili-tare. Rotta la teca delle reliquie e si giunse a tale empietà da adoperare il battisteroper vaso da camera”.Eccessi certamente, si trattò di pochi sporadici episodi. Perchè quella dei volonta-ri fu un’incursione breve e che incontrò una risoluta resistenza. A Bezzecca leCamicie Rosse respinsero gli Austriaci, ma subirono perdite pesanti. Poco il tempoe la voglia di ballare in Chiesa.

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Le inique sanzioni

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A RICORDO DELL’ASSEDIOPERCHÈ RESTI DOCUMENTATA NEI SECOLI

L’ENORME INGIUSTIZIACONSUMATA CONTRO L’ITALIA

ALLA QUALETANTO DEVE LA CIVILTÀDI TUTTI I CONTINENTI

Il Gran Consiglio del Fascismo con sua decisione del 16 novembre 1935 stabilì chesulla facciata di tutti i palazzi comunali del Regno fosse murata una lapide a ricor-do dell’assedio economico all’Italia da parte di numerosi Stati stranieri. Segui il 15febbraio 1936 la nota prefettizia n. 349 con la quale S. E. Il capo del Governodisponeva che le lapidi fossero eseguite in “marmo bianco di Carrara” avendoneapprovato il modello e l’iscrizione.Le sanzioni economiche furono decise a Ginevra dalla Società delle Nazioni su ini-ziativa dell’Inghilterra come punizione a danno dell’Italia accusata di aggressionedell’Etiopia.La lapide non esiste più.Nei giorni successivi al 25 aprile 1945, nel clima euforico della “Liberazione”,alcuni “gerarchi” del fascismo locale furono costretti a salire su scale appoggiatealla facciata del palazzo comunale e a togliere e a spaccare col martello la lapide,scherniti e sbeffeggiati dai molti paesani presenti. Indipendentemente da ogni giudizio su un episodio di piccola vendetta è deplore-vole e antistorico il fatto che la lapide sia stata distrutta e scomparsa l’iscrizione.

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La Resistenza1943 - 1945: La lotta antifascista e il recupero delle libertàdemocratiche.Le epigrafi tracciate sui cippi o incise su lapidi ricordano itestimoni di nobili ideali per i quali essi sacrificarono la vita eformano quasi un’epica funeraria di foscoliana reminiscenza.

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Il 31 agosto 1944 fu riconosciuta, fra i massacrati delle Fosse Ardeatine, la salmadi Bruno Rodella.Bruno, nato a Guidizzolo il 17 ottobre 1917, da Mario e Bignotti Gemma, frequen-tò gli studi superiori a Roma dove la famiglia si era trasferita per lavoro nel 1933.A Roma aveva quasi ultimati gli studi universitari (era laureando in giurispruden-za) e pure a Roma si trovò l'8 settembre 1943, ufficiale di una Compagnia di ber-saglieri della Divisione "Piave". Quando la "Piave" fu distrutta e i suoi uomini cat-turati, egli riuscì, con un abile e rischioso tranello, a salvare una decina di colleghi,rifugiati in una scuola di piazza Crati. Si travestì da bidello e ingannò i molti tede-schi che con le armi avrebbero voluto impedire la fuga degli ufficiali italiani.Da allora entrò nell’attività partigiana con la banda "Piave", organizzata dal Partitod'Azione nella zona Nomentano-S.Lorenzo. Si impegnò nella raccolta e trasportodi materiale militare, di armi, nella distribuzione di materiale propagandistico,stampa clandestina, manifesti murali, manifestini nei tranvai, teatri e cinematogra-fi. Alla sua precisione si deve, tra l'altro, il fatto che nella zona pochissimi furonogli arresti. Egli stesso, che si celava sotto lo pseudonimo di Romano Corradi, deveil suo arresto il 1° gennaio 1944, nel quartiere Appio, a un caso sfortunato: una reta-ta germanica.Perquisito, gli rinvennero indosso alcuni documenti rilevanti, tra i quali una lista dispie germaniche e una somma di denaro, risparmi che la mamma gli aveva affida-to quella mattina. Le SS subito accorse al suo domicilio in via delle Provincie tro-varono copie dell'“Italia libera” e alcuni appunti operativi di "capo-zona". Nonmolto, ma tanto bastò perchè Bruno, detenuto prima in via Tasso, poi a "Regina

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La resistenza

Coeli", il 22 marzo venisse giudicato dal Tribunale di guerra germanico e condan-nato a 15 anni di reclusione per il reato "di propaganda e attività ostili ai tedeschi".La condanna era terribile, ma gli Alleati anglo-americani erano alle porte di Roma."Quindici anni, un mese o un secolo, diceva egli alla madre che potè vederlo dopoil processo, sono la stessa cosa, si tratta di pazientare ancora un poco. Sta' di buonanimo, preoccupati piuttosto dei miei compagni".Purtroppo l'attesa fu breve, fin troppo. Il giorno 23 i partigiani lanciarono alcunebombe contro un reparto di poliziotti tedeschi che transitava in via Rasella provo-cando la morte di 32 uomini. I tedeschi con uno spirito di giustizia vendicativaapplicarono la legge della decimazione. Ben 335 detenuti, del tutto estranei al fattoperchè già in prigione o come ebrei o come antifascisti, furono prelevati il 24 e por-tati nelle cave della via Ardeatina e uccisi a colpi di rivoltella nella nuca. Tra essiBruno, vittima del triste sorteggio.Alle Fosse Ardeatine un libro in metallo indica la fila e il numero del sarcofagodove è sepolto Bruno Rodella.

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Giovinezza e formazioneRenato Farinati, nato e cresciuto a Guidizzolo, fin dall'adolescenza manifestò unagrande passione per il mare. Avrebbe voluto fare il marinaio, far carriera in mari-na. Per realizzare il suo sogno a 16 anni si iscrisse volontario alla Scuola Navale diPola. Era il 1940, l'anno in cui l'Italia entrò in guerra. Seguì con profitto i corsi, loaffascinava il gioco del vento e delle onde, al largo lo spazio sconfinato.Per la Pasqua del 1942 alcuni famigliari degli allievi sarebbero andati a Pola invisita ai loro cari. Renato in una lettera del 22 marzo si dice dispiaciuto perché nes-suno dei suoi potrà raggiungerlo. “Starò con i famigliari dei miei amici” e prose-gue: “Non spedite nè vaglia e nè pacco, perché oramai per quel Santo giorno, nonposso più averli. Sono stato destinato a Roma al Ministero; spero che questo vi faràpiacere (invece a me no!)”

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La resistenza

Nell’attività clandestinaPer non andare a Roma Renato fugge dalla Scuola e rientra in famiglia. Ora lavicenda di Renato, fino alla tragica morte, va inquadrata in quella della lotta parti-giana.Tra la fine del '43 e il 1944 si costituì a Desenzano un gruppo di partigiani delleFiamme Verdi al comando del dott. Gino Majer, successivamente assorbito, perragioni pratiche, dalla I27 Brigata “Mantova”. Al gruppo aderì Farinati.A Guidizzolo il 10 settembre 1944 Gilberto Urangia-Tazzoli convocò PiredduGiovanni e Farinati Renato affidando loro l'incarico di formare due “Squadre diazione patriottica” (SAP) che operassero nella zona, nel recupero di armi, nel ser-vizio informazioni, nel disarmare militi delle Brigate Nere o soldati tedeschi.In paese vi era un distaccamento della Brigata Nera "Marcello Turchetti" e unComando Tappa Tedesco. Il 4 dicembre Renato, la cui attività era nota alla BrigataNera, fu sorpreso e arrestato mentre assieme all'amico Franco Fezzardi osservavaun camion tedesco, che incendiato da aerei alleati bruciava fuori paese. Fezzardiveniva rilasciato dopo qualche giorno mentre Farinati fu trattenuto subendo minac-ce, che ben presto degeneravano in percosse e feroci sevizie. Inviato al Comandocontraereo di Monza abbandonava quel reparto appena gli fu possibile per rientra-re nelle file del partigiani.

Il tragico epilogoA San Giacomo di Cavriana presso la famiglia Ubertini alloggiava il Capitano dellaBrigata Nera Gemmato Giovanni. In casa teneva nascoste parecchie armi e muni-zioni. Il Comando partigiani decise un'azione contro di lui la sera del 10 aprile. AllaII SAP fu affidato il compito principale. La I SAP si appostò a copertura a circa 500metri a nord della casa. Farinati e Caiola Demo penetrarono nell'abitazione lascian-do gli altri uomini di guardia. Il Gemmato era all'osteria e si decise di attenderlo.Forse avvertito giungeva poco dopo accompagnato da due militi. Resosi conto delpericolo e temendo per i suoi famigliari Gemmato non esitò a sparare controFarinati colpendolo a morte. Caiola accorse dalla stanza accanto e subitamentefreddava Gemmato. Ucciso anche un milite brigatista.Seguì una confusa sparatoria tra i partigiani e i militi della Brigata Nera giunti arinforzo da Guidizzolo.Si temevano rappresaglie sul paese. Non accaddero. Solamente una lettera dalComando delle Brigate Nere proibì i funerali religiosi per Farinati. Di più, la barafu dileggiata e calpestata da alcuni brigatisti all'ingresso del Cimitero.Scriverà suo padre, Angelo: "Il suo povero corpo, restituitomi più tardi per unaindegna sepoltura, recava traccie evidenti dei patimenti sofferti nel periodo dellaprigionia".Quale lo scopo della spedizione a San Giacomo? per impossessarsi delle armi? per

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colpire Gemmato, noto come torturatore, segnalato in precedenza da RadioLondra?Allo storico compete raccontare i fatti, oggettivamente, non formulare ipotesi,tanto meno esprimere giudizi.Negli anni '60 del '900 il custode del Cimitero, Ugo Verzegni, riceveva la visita diun giovane venuto dal Sud con la sposa in viaggio di nozze, un soggiorno sulGarda. Era il figlio di Gemmato che facendo sosta a Guidizzolo intendeva vedereil luogo dove era stato sepolto suo padre, una cella dell'ala est del Cimitero. Ebbela triste sorpresa di vedere la lapide colpita a sassate, le brevi parole rotte e illeggi-bili, la fotografia in ceramica ridotta a crepe e frantumi.

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La resistenza

Tre vite spezzateMario Covallero, anni 23, Almerico Grandelli, 22 e Lucio Sarti, 19, furono uccisidai tedeschi al crocicchio per Cavriana sulla provinciale.

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Lucio Sarti, nato a Milano nel 1926, apprendista meccanico, nel 1942 seguì lafamiglia sfollata a Guidizzolo. Qui si iscrisse ai corsi domenicali della Scuolad’Arte e nei giorni feriali lavorava col padre in officina. La caccia, la pesca con gliamici erano i pochi passatempi possibili in tempo di guerra.Il destino avverso avrebbe unito la sua vita a quella di Mario Covallero e AlmericoGrandelli.Mario classe 1922 apparteneva a famiglia di agricoltori contadini e da ragazzo fumesso a fare il “famiglio”. Militare di leva a Mantova e a Bolzano, fu poi inTunisia, da dove, ferito, rientrò in Italia. Dopo l’8 settembre potè evitare l’interna-mento in Germania in quanto fece il cuoco in una mensa della Repubblica Socialea Moniga dove era militare anche Almerico Grandelli, di un anno più giovane.Nel pomeriggio del 24 aprile 1945 un tenente, un maresciallo e un caporale tede-schi mentre transitavano a bordo di un autocarro furono fermati da formazioni par-tigiane e nello scontro rimasero uccisi. Si chiamavano Berchr Wilhem, di anni 45,Blieberger Georg, di 38, e Bertran Erich, di 44, e dopo la benedizione del sacerdo-te, furono inumati nel cimitero.Per reazione i tedeschi posero un posto di blocco, al crocicchio per Cavriana.Mario e Almerico, a casa dal giorno precedente, lo stesso pomeriggio del 24, vesti-ti in borghese, da San Giacomo erano diretti verso Guidizzolo, quando incapparo-no nel posto di blocco. Non ebbero il tempo di spiegare la loro identità e il ruoloche svolgevano a Moniga, perchè i tedeschi aprirono immediatamente il fuoco.Lucio, avendo udito gli spari accorse in bicicletta e subì la stessa sorte di Mario eAlmerico.

Mario Covallero Almerico Grandelli Lucio Sarti

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Collocata sulla facciata del Palazzo comunale in occasione del centenario dei “Martiri di Belfiore” 1952

Don Enrico Tazzoli appartiene ad antica famiglia guidizzoleseFrancesco Giovanni Tazzoli verso la fine del ‘600 da Ala di Trento si trasferì aGuidizzolo dove vivevano altri Tazzoli, forse parenti se si presta attenzione airicorrenti nomi di battesimo. Suo figlio Giacomo, nato a Guidizzolo il 19 agosto1698, indicato nei documenti come “sergente”, incarico che probabilmente riguar-dava l’ordine pubblico, sposò la compaesana Isabella Sottini appartenente a fami-glia di notai possidenti.Il matrimonio fu celebrato il 22 ottobre 1718.Dei due figli il maggiore, Francesco, divenne sacerdote ed esercitò lodevolmenteper 37 anni il ministero di Vicario Coadiutore fino alla morte nel 1806. Il secondo,Domenico, dalla moglie Domenica Poli ebbe tre figli, Giacomo, Luigi e GiovanniBattista. Luigi scelse la via del sacerdozio, visse in famiglia e svolse pure le man-sioni di maestro. Il più giovane, Giovanni Battista, conseguì la laurea in ingegne-ria, Giacomo fece l’imprenditore agricolo amministrando le proprietà di famiglia.Sposò Angela Coffani, sorella del letterato e poeta arcade Francesco Antonio. Deifigli, Domenico, sacerdote, fece il maestro e l’organista a Sermide e ad Acquanegradove morì nel 1817.Pietro, nato nel 1783, crebbe a Guidizzolo, dove se ne ha notizia fino al 1802.Studiò legge a Mantova, in età assai giovane sposò la nobile Isabella Arrivabene,stabilendosi in città. Nel 1808 l’avv. Pietro si trasferì a Canneto sull’Oglio quale“Giudice di Pace”. E qui nacquero Sordello, Silvio, Luigi ed Enrico Napoleone.Nell’autunno del 1812, quando Enrico aveva pochi mesi, Pietro passava a Goito,sempre come “Giudice di Pace” e dove ebbe proprietà e casa di abitazione.

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Don Enrico, nel 1825 a Mantova per gli studi, tornerà spesso a Goito nelle vacan-ze autunnali.Nel 1816 a Pietro nacque il figlio Giacomo Teodoro morto a quattro mesi presso labalia nella frazione Collina. A Mantova, dove la madre si era trasferita per curarel’educazione dei figli, nacquero Teresina ed Eloisa nella casa in via Torre delloZucchero, oggi via don Enrico Tazzoli.Morì all’età di 63 anni il 2 ottobre 1847. Isabella Arrivabene si spense sessantennea Mantova il 27 aprile 1852, quando don Enrico era detenuto da qualche mese nelcarcere del castello di San Giorgio.A Guidizzolo nella casa in via della Piazza, contigua al palazzo Mutti o di fronte,continuò a risiedere lo zio di Pietro, l’ingegner Giovanni Battista.Don Enrico, ordinato sacerdote nel 1835, celebrò la prima messa nella chiesa par-rocchiale di Volta Mantovana, dove giovanissima si era sposata con DionisioUrangia la sorella sua più giovane, Eloisa.

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Gli Urangia TazzoliPiù tardi, per l’educazione dei figli, gli Urangia si stabilirono a Mantova, in viaStabili (ora via Solferino). Eloisa era la confidente informata delle idee politichedel fratello che a lei consegnava carte compromettenti da conservare in segreto.Don Enrico si prese cura del figlio maggiore della sorella, Enrichetto, tenendolopresso di sè e curandone l’istruzione. Alla morte dello zio (1852) Enrichetto aveva14 anni e frequentava il Ginnasio. Dello zio ebbe in eredità le librerie. Enrico, lau-reatosi in legge, percorse la carriera del magistrato, Procuratore del Re a Modenae primo Presidente della Corte d’appello a Mantova. Gli Urangia, per onorare lamemoria di don Enrico, ottennero di aggiungere al proprio il cognome Tazzoli.L’avv. Gino nel marzo 1896 prese domicilio legale a Guidizzolo nella casa di pro-prietà in via Solferino n. 15.Suo padre, Enrico, chiese e ottenne dall’Amministrazione comunale una cappellao tomba di famiglia nel cimitero locale. In essa con alcuni membri della famiglia,riposano Eloisa, la sorella, defunta ultranovantenne nel 1911 ed Enrico, morto nel1913, il nipote prediletto di don Enrico Tazzoli.

Nella villa Urangia Tazzoli a Guidizzolo l’andito d’entrata era affrescato con fogliee fiori e paesaggi storici locali; vi era pure un grande scudo in legno con massicciacornice intagliata a fascie e frutta in rilievo racchiudente lo stemma della casa: “uncimiero piumato al di sopra del campo araldico diviso in due scomparti, nel supe-riore tre stelle in campo azzurro, nell’inferiore un ramo verde e tre arancie”.

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La casa Urangia Tazzoli a Guidizzolo. Dipinto ad olio su tavola

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1952: l’inaugurazione della lapide commemorativa

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Immagine della Vergine madre di Dio eseguita dagli allievi e insegnanti della loca-le scuola d'Arte a proprie spese nell'anno del Signore 1955.Mosaico collocato sulla Torre civica

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A Cicco cavallo e compagno dal 1880 al 1911 di Giuseppe Brazzabeni medico aGuidizzolo.

La lapide era fissata a una parete della stalla nella parte rustica della casa abitatadel dottor Brazzabeni, in via di Mezzo (oggi al civico n. 64).Giuseppe Brazzabeni prestò il suo servizio all’Ospedale Civile di Mantova sua cittànatale, poi come medico condotto a Guidizzolo, dove fu pure solerte Presidentedella Congregazione di Carità e Cassiere delle Cucine Economiche locali.Ebbe la sfortuna di perdere ambedue i figli, Angelo caduto sul Carso e Cesare aCaporetto nel 1917, a pochi mesi l’uno dall’altro.Medico condotto in anni di povertà, quando tra la povera gente erano diffuse la pel-lagra, il tifo e la tubercolosi, e il soccorso del medico non si limitava alla compe-tenza professionale.“Arte più misera, arte più rottanon c’è del medico che va in condotta”Così il dottor Brazzabeni per 45 anni e lo accompagnava il cavallo Cicco a raggiun-gere le cascine sparse nelle campagne.Il dottor Brazzabeni morì il 3 luglio 1927 all’età di anni 68.

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Iscrizioni private

Dopo molti anni ecco finalmente la mia casa

La breve iscrizione è infissa all’ingresso della casa al n. 24 di via Don Sturzo.Essa esprime la soddisfazione per uno scopo raggiunto, la casa, vagheggiata neltempo e fatta costruire con sacrifici e rinunce, approdo a un sereno soggiorno.Ludovico Ariosto a Ferrara in contrada Mirasole compose per la propria casa laseguente epigrafe:

“Parva sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed nonsordida, parta meo sed tamen aere domus”

Questa casa è piccola, ma sufficiente per le mie esigenze, libera da debiti, nonsquallida e costruita con il mio denaro.

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Palazzo Pezzati, oggi agenzia BAM: la lapide, con il calice stilizzato e le lettere C G (CommunitasGuiditiolensis) ricorda, come attesta la tradizione orale, che il Palazzo anticamente fu sede del Comune

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Epigrafi

Fonti archivisticheGuidizzolo: Archivio comunaleGuidizzolo: Archivio parrocchialeBirbesi: Archivio parrocchialeT. Mommsen: Corpus Inscriptionum Latinarum, ed. Berolini, 1863P. P. Predella: Inscriptiones mantuanae forenses, Biblioteca dell’AccademiaVirgiliana

BibliografiaG. Baraldi: Notizia biografica di Stefano Antonio Morcelli, Modena 1825R. Brunelli: Diocesi di Mantova, ed. La Scuola 1986M. Bertolotti: I comuni e le Parrocchie della prvincia di Mantova, 1893A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro: Diocesi di Brescia, ed. La Scuola 1992A. Cappelli: Dizionario di abbreviature latine e italiane, Milano 1954J-M. Deguignet: Memorie di un contadino, Rizzoli 2005M. Marocchi: Storia di Solferino, Litograph 1984F. Mondadori: Storia e fede nei secoli, ed. “La Notizia” 1996F. Mondadori: La famiglia Rizzini, ed. Centro Culturale San Lorenzo 2003P. Pelati: Birbesi, ed. Grafica Ceschi, Quistello 1978T. Urangia Tazzoli: Don Enrico Tazzoli e i suoi tempi, ed. Secomandi 1951T. Urangia Tazzoli: Nelle scie del Risorgimento, Salò, tipografia Bortolotti, 1943

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INDICE

Presentazione 7

Prefazione 9

Capitolo 1 Guidizzolo in epoca pagana 13

Capitolo 2 Epigrafi scomparse dalla Chiesa parrocchiale 17

Capitolo 3 Epigrafi esistenti nella Chiesa parrocchiale 27

Capitolo 4 Epigrafi scomparse dall'antico cimitero 33

Capitolo 5 Esistenti nell'antico cimitero 37

Capitolo 6 Epigrafi già nell'antica casa parrocchiale 49o Abbazia

Capitolo 7 Iscrizioni scomparse dal cimitero 53

Capitolo 8 Esistenti nel cimitero 59

Capitolo 9 Birbesi: epigrafi all'interno della Chiesa parrocchiale 69e nell'antico cimitero

Capitolo 10 Nella Chiesa di San Lorenzo 75

Capitolo 11 Sulla strada 81

Capitolo 12 La Battaglia di Solferino 93

Capitolo 13 Il Risorgimento 107

Capitolo 14 Le inique sanzioni 113

Capitolo 15 La Resistenza 115

Capitolo 16 Iscrizioni recenti 123

Capitolo 17 Iscrizioni private 137

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Finito di stamparenel mese di dicembre 2006dalla GVM Tipo-litografia

VOLTA MANTOVANA (Mn)

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