La patria nella grande guerra - Scuola di Cittadinanza...
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Lezione/Focus | kit didattico “Cos’è la patria?” Materiale: Scheda PDF
La patria nella grande guerra
I due colpi di pistola del 28 giugno 1914 a Sarajevo, non uccisero soltanto l’erede al trono dell’Impero Austro-
Ungarico, ma distrussero anche “il mondo di ieri”. Un mondo pieno di contraddizioni che precipitò in una sola
estate e che si trasformò brutalmente in una guerra totale di dimensioni mondiali, e per un destino
tremendo, si trovarono precipitati milioni di uomini nelle trincee della Grande Guerra1.
Uomini che morirono “sotto la bandiera dello straniero” come scrive Miroslav Krleza2. O che “sfuggirono alle
granate, ma vennero distrutti dalla guerra”, come racconta in “Niente di nuovo sul fronte occidentale” Erich
Maria Remarque 3 . Uomini che - in alcune circostanze - dovettero imbracciare il fucile contro i loro
connazionali, ma che avevano un’altra cittadinanza. Uomini che non erano soldati di professione ma che
furono coinvolti nell’inutile strage andando a combattere per la Patria.
In Francia così come in Inghilterra, in Austria così come in Germania, In Russia, in Serbia e in Italia e poi via
via per tutte le altre nazioni coinvolte nel conflitto, la motivazione che portò i militari al fronte fu ovunque la
stessa: sacrificarsi per la Patria.
Fu quindi nell’estate del 1914 che avvenne il trionfo delle forze belliciste. Le campagne di stampa a favore
della guerra si intensificarono e un nazionalismo spesso fanatico prese il sopravvento sulle deboli iniziative
pacifiste. Le voci più moderate, accusate di antipatriottismo, vennero fatte oggetto di aggressioni morali e
fisiche. Vittima di questo odio cadde assassinato in Francia il socialista Jean Jaurès4, una delle più autorevoli
figure dello schieramento antibellicista, non solo francese, ma europeo.
Ricorrere alle armi per difendere la patria dal nemico, questa era la parola d'ordine che circolava in tutta
Europa.
Ciascun popolo che era chiamato a unirsi attorno ai propri governi in nome dell'union sacrée (unione sacra),
come la chiamò il presidente della Repubblica francese Raymond Poincaré quando si appellò a tutti i cittadini
francesi affinché mettessero da parte le divisioni per unire le forze a difesa della patria. In Russia, per
1 Riferimento ai testi Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo : storia illustrata della Grande Guerra / Emilio
Gentile. - Roma; Bari GLF Editori Laterza, 2014. [R I.02.1487]; Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo / Stefan Zweig -Stoccolma, 1994 2 Miroslav Krleza, 1893-1981, considerato il più importante scrittore croato del Novecento. 3 In Italia, dal 1945, col titolo All'ovest niente di nuovo / Erich Maria Remarque. 4 Uomo politico e storico francese (Castres, Tarn, 1859 - Parigi 1914).
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patriottismo, la capitale San Pietroburgo cambiò il suo nome di
origine tedesca (-burg) in quello slavo di Pietrogrado5. Fra tanto
fervore patriottico lo scoppio della guerra fu salutato con
esultanza.
Con le prime partenze per il fronte folle entusiaste invasero
strade e stazioni ferroviarie delle grandi città, acclamando le
uniformi e i simboli nazionali, come se la fine di una lunga pace
avesse un significato liberatorio.
L'entusiasmo per la guerra non esprimeva soltanto animosità verso il nemico, ma anche una sorta di profonda
insoddisfazione verso le forme vigenti della vita sociale, molto diffusa tra la popolazione specialmente in quei
paesi che avevano conosciuto un grande sviluppo economico e tecnologico.
Les mobilisés parisiens devant la gare de l'Est 2_août_1914
Le grandi metropoli con il loro ritmo di vita estenuanti, i
conflitti sociali, la solitudine sofferta dagli individui
ammassati in anonimi caseggiati, alimentavano un
sentimento di disagio o addirittura di ostilità verso la
moderna civiltà industriale, sentita come un universo
artificioso e meccanico. La gioventù desiderosa di grandi
cambiamenti di una vita più intensa e di un nuovo senso di
comunità, sembrava indifferente ai vantaggi e alle
comodità offerte dal progresso.
La guerra, stimolando il sentimento dell'unità
nazionale, sembrava attenuare le divisioni sociali,
offrire una via di uscita dall'isolamento della vita
privata e dalla routine dell'esistenza quotidiana.
Non mancarono, infatti, i volontari, spesso di
estrazione borghese, che cercarono
nell'arruolamento l'occasione per vivere
un'esperienza eccezionale in una dimensione di
solidarietà.
5San Pietroburgo (in russo Sankt Peterburg -Санкт-Петербург ) cambiò nome dal 1914 al 1924, in Pietrogrado; e dal 1924 al 1991,
in Leningrado, per poi tornare, fino ad oggi, San Pietroburgo.
Fonte foto: the Telegraph6
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Il concetto di patria
Ma dove nasce e come si sviluppa il sentimento di patria che tocca l’apice nell’estate del 1914?
Per un’attenta analisi del concetto conviene soffermarsi su tre lemmi importanti: patria, nazione e Stato.
Nella cultura latina, il termine patria indicava letteralmente “la terra dei padri”. E dall’epoca imperiale fino
all’età moderna, il termine ha sempre assunto un significato legato al territorio abitato da un popolo, al quale
ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni.
Venne meno solo nel corso del XIX sec., quando il concetto di patria incontrò pienamente e durevolmente
quello di nazione, attraverso la nascita dello Stato-nazione e di una concezione volontaristica della patria.
(alternativa a quella etnico-naturalistica, tramandata dalla tradizione). Un nuovo culto della patria
caratterizzò pertanto i decenni finali dell’Ottocento e di inizio Novecento, assumendo proporzioni estreme a
opera dei maggiori regimi totalitari.
La parola nazione (dal latino natìo) non era certo nuova, ma fu soltanto al principio dell'Ottocento che si
affermò nella cultura europea per definire una grande comunità omogenea che stava alla base della
legittimità delle istituzioni; a cominciare naturalmente dallo Stato, che doveva comprendere tutti coloro che
appartenevano ad una stessa comunità nazionale. In Francia ed Inghilterra lo Stato aveva una tradizione
secolare. In Russia e in Austria-Ungheria si erano imposte dinastie capaci di tenere insieme popolazioni
differenti. In Italia e in Germania il processo di unificazione territoriale arrivò ad Ottocento inoltrato. E lo
Stato, sovrano ormai in tutta Europa, fece da cappello ai due termini precedenti, unendo il sentimento di
appartenenza e le consuetudini di tradizione alle leggi giuridiche.
Ecco che lo Stato intervenne quindi esasperando “Nazione” e “nazionalità”, equiparandone i concetti; così
come passò, rispetto a “Nazione”, l’associazione del termine «patria», caratterizzato però da una più marcata
accentuazione affettiva: riferendosi alla propria nazione come «patria» si sottolineava il senso di
attaccamento ad essa, la disponibilità – se necessario – a combattere fino al martirio per difenderla dai nemici
o (nel caso di nazioni non indipendenti come l'Italia o la Polonia) per dare ad essa un'esistenza politica come
Stato (nazionale).
L'amore sacro della patria (come suona un verso della Marsigliese6) dà una connotazione fortemente emotiva
all'idea di nazione, fino al punto di fondare appunto una sorta di nuova religione, la religione della patria, che
ha la sua fede, i suoi martiri, i suoi dogmi (e in primo luogo l'assoluta necessità di ottenere o conservare
l'indipendenza nazionale).
Questa era quindi la convinzione diffusa: il nazionalismo ottocentesco che aveva promosso i grandi processi
di unificazione nazionale europei, era diventato, all’alba del ‘900, un fattore potente di conservazione e di
potenziale aggressività. Cultura e scuola, enormemente più potenti e pervasive di quanto non lo siano oggi,
6 “…Amour sacré de la Patrie / Conduis, soutiens nos bras vengeurs! …” (“Amor sacro della Patria, conduci, sostieni, le
nostre braccia vendicatrici! …” La Marsigliese è il canto patriottico della Rivoluzione francese, adottato ufficialmente
dalla Francia come inno nazionale nel 1879. http://www.france.fr/it/istituzioni-e-valori/la-marsigliese.html
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contribuivano a rafforzare la convinzione nelle giovani generazioni che si era circondati da potenziali nemici.
La guerra, peraltro, non era considerata il peggiore dei mali dalla gioventù europea, bensì un’attività più
pericolosa dello sport ma avente sostanzialmente le stesse caratteristiche. Lo Stato nazionale sovrano
europeo, quindi, entra nella prima guerra mondiale, dopo la crisi del giugno 1914, pieno di sicurezze
apparenti e di false certezze; “l’assalto al potere mondiale” – secondo la fortunata definizione di Fritz Fischer
– che la Germania, insieme all’Austria-Ungheria, organizza dai primi anni del Novecento, diventa, prima
ancora che uno scontro tra economie industriali massificate, anche uno scontro tra culture tendenzialmente
chiuse, convinte della loro eccezionalità.
Durata video 05:39
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Patria – Nazione – Stato
PATRIA
Territorio abitato da un popolo, al
quale ciascuno dei suoi componenti
sente di appartenere per nascita,
lingua, cultura, storia e tradizioni.
NAZIONE
Il complesso delle persone che hanno
comunanza di origine, di lingua, di storia
e che di tale unità hanno coscienza,
anche indipendentemente dalla sua
realizzazione in unità politica.
STATO
Comunità politica costituita da un popolo
stanziato in un determinato territorio e
organizzato unitariamente come persona
giuridica collettiva. Titolare di un potere
sovrano, cui è riservato il monopolio dell’uso
legittimo della forza, allo scopo di garantire
l’ordine pubblico interno e di assicurare la
difesa contro eventuali nemici esterni.
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Integrarsi nella patria. O tradirla. La Prima Guerra Mondiale fu un’esperienza senza precedenti di integrazione sociale: un’integrazione
volontaria, per quegli strati delle società europei coinvolti anche emotivamente nelle giornate di luglio ma,
più spesso, un’integrazione forzata, tanto per i milioni di contadini precipitosamente “vestiti da soldato” e
buttati al fronte dopo poche settimane di addestramento, quanto per gli stessi non combattenti chiamati a
partecipare allo sforzo bellico dal “fronte interno”. Questa trasformazione dei paesi europei in “fabbriche
gigantesche destinate a produrre alla catena di montaggio armate da spedire senza tregua sui campi di
battaglia, dove un consumo altrettanto meccanico, e cruento, provvedeva a eliminarle” 7 , questa
trasformazione - dicevamo, è ciò che Ernst Jünger avrebbe presentato come “Mobilitazione totale”:
L’immagine stessa della guerra come azione armata finisce per sfociare in quella, ben più ampia, di un gigantesco processo lavorativo. Accanto agli eserciti che si scontrano sui campi di battaglia nascono i nuovi eserciti delle comunicazioni, del vettovagliamento, dell’industria militare: l’esercito del lavoro in assoluto. Nell’ultima fase, già adombrata verso la fine della Guerra mondiale, non vi è più alcun movimento – foss’anche quello di una lavoratrice a domicilio dietro la sua macchina da cucire – che non possieda almeno indirettamente un significato bellico8.
1916: Recruitment posters urge British women to work in munitions factories (Getty)9
7 Ernst Jünger, Die Totale Mobilmachung, 1930, tr. it. La Mobilitazione Totale, in E. Jünger, Foglie e pietre, Milano, Adelphi, 1997, pp.
121-122. 8 Ivi, pp. 118-119. 9 Immagini tratte da http://www.ibtimes.co.uk/wwi-100th-anniversary-historic-photos-women-working-during-first-world-war-
1458984
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Questa corrente di disciplinamento e mobilitazione, destinata ad attraversare da allora tutto il Novecento,
istituì da subito una relazione paradossale con il proprio opposto, la violenza sregolata. Da un lato, la grande
impresa di integrazione degli imperi nazionali e degli stessi stati nazionali produsse come suo contraccolpo
una ondata di dis-integrazione, anticipata dai fenomeni di diserzione di massa sui campi di battaglia ma
destinata, all’indomani del conflitto, a imboccare in diversi paesi la strada della rivoluzione e della guerra
civile. Dall’altra parte, il coinvolgimento di settori sempre più ampi della società nello sforzo bellico allargò a
poco a poco anche il cerchio della violenza: se tutti erano chiamati a partecipare alla guerra, allora tutti
potevano essere obiettivo “strategicamente razionale” di operazioni militari – come sarebbe avvenuto fino
in fondo nella Seconda guerra mondiale, con l’impiego terroristico delle aviazioni contro le popolazioni civili
del nemico.
Questa mancanza di distinzione tra militari e civili si fuse con un’indistinzione ancora più radicale tra amici e
nemici, nemici esterni e nemici interni, cittadini “fidati” e possibili “traditori”. Anche prima di rovesciarsi nel
proprio opposto, la spinta all’integrazione sociale immerse le “comunità” nazionali in una penombra di
sospetti: una penombra popolata di possibili traditori appunto, collaboratori, spie, disfattisti o indifferenti, e
attraversata da ondate ricorrenti di sfiducia nei confronti della fedeltà dei propri cittadini – numerosi dei
quali, avrebbe scritto Raymond Aron nel pieno della guerra fredda, “non desiderano (o non desiderano in
modo assoluto) la vittoria della loro patria se questa deve coincidere con la sconfitta dell’idea alla quale
aderiscono e della quale il nemico è l’incarnazione”10. Non è un caso che il secolo dell’integrazione si sarebbe
rivelato anche il secolo più meschino, delle pulizie etniche e dei genocidi. Così come non è un caso che questa
ossessione di violazione della tranquillità domestica si sarebbe sedimentata in alcune delle più caratteristiche
metafore che il Novecento ha lasciato in eredità al nostro tempo (e delle quali il nostro tempo ha già
ricominciato a servirsi): la pugnalata alle spalle, il nemico interno, la quinta colonna.
Di questa ondata di sospetto, l’esecuzione di
Cesare Battisti si presta a essere vista come
un momento simbolico. Intanto, dal punto di
vista dell’impero asburgico minacciato nella
propria stessa esistenza, Battisti
rappresentava l’immagine del traditore.
Deputato a Vienna ma agitatore e patriota
italiano, socialista, disertore fuoriuscito in
Italia per combattere contro le armate
austriache, Battisti era destinato a incarnare
il sospetto nei confronti degli italiani e delle
altre minoranze nazionali soggette
all’impero.
10 Raymond Aron, Paix et guerre entre les nations, 1962; tr. it. Pace e guerra fra le nazioni, Milano, Comunità, 1970, pag.
132
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Ma è persino più significativo il sospetto gemello che i vertici militari e civili italiani nutrivano negli stessi
mesi nei confronti dei trentini, compresi persino quelli che, combattendo sul fronte orientale sotto le insegne
imperiali, si erano consegnati spesso volontariamente ai russi e avevano accettato di scambiare la propria
liberazione dal campo di prigionia con la disponibilità a combattere per l’esercito italiano. Chi poteva
assicurare che, più che da qualche entusiasmo irredentista, la diserzione dalle armate imperiali non fosse
dovuta al semplice desiderio di farla franca? O, peggio, che qualcuno di quei sedicenti patrioti non fosse, in
realtà, un doppiogiochista o una spia? E come essere certi che chi aveva già tradito una volta non avrebbe
tradito ancora? Chi era, in altre parole, il disertore austriaco: il migliore o il peggiore dei nuovi cittadini
italiani?
Questa relazione fra integrazione sociale e sospetto merita di figurare, a suo modo, come una delle grandi
trasformazioni innescate o, almeno, simboleggiate dalla Prima Guerra mondiale. Non perché, appunto,
questa trasformazione rientrasse come molte altre in qualche progetto di riforma della politica
internazionale o delle politiche interne. Ma perché, tutto all’opposto, essa avrebbe pesato da allora su
qualunque tentativo di coinvolgere nuove identità sociali, nazionali o religiose in un progetto comune. Ogni
spinta all’integrazione produce, che lo voglia o no, il sospetto che qualcuno non si lasci integrare; o perché
“rimane indietro” anche senza volerlo, o perché possiede una personalità “anarchica” o “asociale”, oppure
perché è troppo “ottusamente” o “fanaticamente” ancorato alla propria identità d’origine per essere
disponibile ad “aprirsi” all’identità che gli viene offerta o imposta.
È una delle più sinistre ironie dell’ultimo secolo: chi parla d’integrazione finisce per parlare di tradimento.
I PERSONAGGI Cesare Battisti (Trento 1875 - 1916) Volontario irredento trentino durante la Grande Guerra. Nato da una famiglia di origini italiane. Nel 1893 abbandonò l'Austria-Ungheria e si trasferì a Firenze dove si laureò prima in Lettere e successivamente in Geografia con una tesi dedicata alla geografia fisica e all'antropologia del Trentino. Trasferitosi a Vienna in qualità di deputato socialista, nonostante non si trovasse nella sua città, Battisti continuò a seguire il movimento irredentista che rivendicava un'università italiana a Trento. Si trasferì in Italia l’11 agosto 1914 e si arruolò volontario nel Battaglione Alpini Edolo
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assumendo un ruolo fondamentale come guida nella zona del Monte Baldo, sul Passo del Tonale, sul Massiccio del Pasubio e infine nella zona di Rovereto. Fu coinvolto nella Strafexpedition11 e successivamente nella controffensiva italiana. Il 10 luglio 1916, durante un azione sul Monte Corno, venne circondato dai soldati asburgici. Riconosciuto dalle autorità trentine, fu processato per alto tradimento. Due giorni dopo venne giustiziato.
Nazario Sauro (Capodistria 1880 - Pola 1916) Militare volontario irredento durante la Grande Guerra. Nato in Istria
da una famiglia italiana, Nazario divenne marinaio e all'età di 20 anni
era già ufficiale della Marina austro-ungarica. Fu comunque un
convinto sostenitore dell'idea mazziniana dell'indipendenza dei
popoli e mal sopportava la presenza dell'Impero asburgico in quelle
che lui riteneva essere terre italiane. Quando l'Austria-Ungheria
dichiarò guerra alla Serbia si trasferì a Venezia sostenendo la causa
interventista e arruolandosi come volontario nella Marina Italiana. Catturato durante una missione a fine del
luglio 1916, fu condannato a morte per alto tradimento e giustiziato a Pola il 10 agosto dello stesso anno.
Fabio Filzi (Pisino 1884 - Trento 1916) Patriota irredentista istriano. Arruolato nell’esercito austriaco allo scoppio della Prima guerra mondiale, fuggì in Italia e partecipò attivamente alle manifestazioni interventiste. Sottotenente volontario degli alpini, fu fatto prigioniero dagli austriaci (1916) nella battaglia per la riconquista del Monte Corno. Fu impiccato a Trento, insieme a Cesare Battisti, nella fossa del castello del Buon Consiglio.
11 Letteralmente significa “spedizione punitiva”. Fu un’offensiva austroungarica sul fronte italiano iniziata il 16 maggio
1916 e terminata un mese dopo. La linea offensiva dell’Italia arretrò fin sotto il comune di Asiago.
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