La patria commedia

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LA PATRIA COMMEDIA Senza passato non c'è futuro di G. Sassetti

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Senza passato non c'è futuro di G.Sassetti

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LA PATRIA COMMEDIASenza passato non c'è futuro di G. Sassetti

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LA PATRIA

Senza passato non c'è futuro

di G. Sassetti

COMMEDIA

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Scuola Secondaria di primo gradoSan Bernardino da SienaAnno scolastico 2010/2011Gli alunni delle classi - IA - IIA - IIIAsezione ad indirizzo musicalee gli alunni delle classi - IC - IB - IGpresentano:

LA PATRIA COMMEDIAsenza passato non c'è futurodi G.Sassetti

8 Giugno 2011 - ore 21,15 - Teatro dei Rozzi - Siena

Testo: prof. Giampaolo SassettiRiferimenti storici e consulenza per le canzoni: Andrea FantacciCoordinatori del progetto: prof. Barbucci - PicciniDirettore di coro: prof. Tanja KustrinDirettore danza popolare: Dott. Monica FantacciRecitazione: prof. Marisi - FantacciCostumi: prof. Ferri - Fantacci e MirolliInsegnanti strumento e arrangiamenti: prof. Corti, Barbucci,Andreozzi, PicciniFoto composizione e video proiezione: prof. GambettiDirigente scolastico: Giovanna Rosa

Progetto grafico e foto catalogo: Alessandro Gambettitesto presentazione: Sonia Corsitesti canzoni: Wilkipedia l'enciclopedia liberastampa: YoucanprintMacchina fotografica: Canon Eos 500DObiettivo: Canon EF 70-300mm IS USMaccanto: locandina dello spettacolo - progetto grafico di GambettiAlessandropagina a destra: un momento dello spettacolo

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INDICE

6 Introduzione di Sonia Corsi

8 Progetto spettacolo

9-13 Ultime prove prima dello spettacolo

14 Scaletta dello spettacolo

16 Canto dei Sanfedisti- testo e cenni storici

26 -27 Inno dell'albero

28 Il povero Luisin

30 La bella Gigogin

33 E lo mio damo

42 Testi di Garibaldi, Mazzini, Gioberti,

d'Azeglio, Cavour.

58 Merica, Merica

64-65 O Gorizia, Il Piave

72 Contrasto fra la Plebea e Aristocratica

78 Bella ciao

84 Fratelli d'Italia

88 Ballo popolare: schiaffo

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Come ormai consuetudine la sezione A ad indirizzo

musicale della scuola media statale San Bernardino da

Siena presenta mercoledì 8 giugno alle ore 21 presso il

Teatro dei Rozzi lo spettacolo “La Patria Commedia.

Senza passato non c'è futuro” di Giampaolo Sassetti che

conclude un anno di lavoro didattico e creativo. Lo

spettacolo propone un viaggio nella storia d’Italia

risorgimentale attraverso la musica popolare . Verranno

infatti eseguiti e rappresentati canti, balli, poesie e

racconti di chi combatteva le guerre e di chi la subiva: dai

contadini agli emigranti, dai minatori alle donne, fino

agli artisti. I canti di nati da coloro che attraverso la fatica

del quotidiano, hanno vissuto nel contesto storico-

politico del formarsi dello stato italiano dalla seconda

metà dell'Ottocento in poi, saranno messi in scena,

eseguiti e recitati dagli allievi della Scuola San

Bernardino e, grazie all’aiuto di consulenti esterni che

hanno affiancato gli infaticabili docenti della scuola,

saranno realizzate coreografie e momenti corali. Lo

spettacolo che ha come protagonisti gli alunni, prevede

inoltre la proiezione di immagini d'epoca e fumetti

realizzati dagli stessi alunni che accompagnano la

rappresentazione.

Oltre al testo di Giampaolo Sassetti lo spettacolo si

avvale per i riferimenti storici e la consulenza delle

canzoni di Andrea Fantacci, coordinatori del progetto

sono i professori Barbucci- Piccini. Direttore di coro

Tanja Kustrin, direttore danza popolare Monica

Fantacci; recitazione Marisi – Fantacci, costumi a cura di

Ferri, Fantacci, Mirolli. Insegnanti di strumento e

arrangiamenti i professori Corti, Barbucci, Andreozzi,

Piccini. Videoproiezioni professor Gambetti. Dirigente

scolastico Maria Giovanna Rosa.

Dalla Bella gigogin a Gorizia, dal Piave all’Inno d’Italia,

i ragazzi della San Bernardino offriranno agli spettatori

più di un motivo per riscoprirsi italiani.

Sonia Corsi

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PATRIA LA COMMEDIA

PROGETTO SPETTACOLOLA STORIA D'ITALIA DAL RISORGIMENTO.......ATTRAVERSO LA MUSICA DEL POPOLO: canti e balli, poesie e racconti di chi combatteva le guerre e di chi le subiva, dei contadini, degli emigranti,dei minatori,delle donne, degli artisti , canti di libertà e di tutti quelli che, attraverso la fatica del quotidiano, hanno vissuto nel contesto storico-politico del formarsi dello stato italiano, dalla seconda metà dell'ottocento in poi.MODALITA': Lo spettacolo prevede l'intercalarsi di canzoni eseguite per lo più dalla classe prima e altri alunni di seconda e terza insieme all'orchestra, con letture e brani del periodo e alcune danze popolari di origine fine 800 ;immagini d'epoca e di fumetti realizzati dagli stessi alunni sottolineneano tutto il percorso.FINALITA':Visto la profondità e completezza del progetto dal punto di vista culturale e antropologico, se ne può dedurre che gli obiettivi, sia educativi che formativi della persona e del cittadino, che specifici musicali, Educazione della voce e al cantare in coro, oltre allo sviluppo della conoscenza di un patrimonio musicale difficilmente fruibile e reperibile ormai da parte di tutti noi, insieme all'acquisizione delle radici della nostra nazione, sono stati ampiamente raggiunti e sicuramente il percorso si è avvalso di notevoli significati per tutte le discipline.Per questo, la parte riguardante il coro e le danze hanno visto l'introduzione di tre esperti esterni per curare gli aspetti specifici, al fine di raggiungere un alta qualità dal punto di vista della cura della voce del repertorio e delle coreografie, troppo spesso banalizzate.Naturalmente questo non a sminuire l'alta professionalità di tutti

gli insegnanti della sezione ad Indirizzo Musicale, indispensabili allo svolgimento del lavoro, che si sono occupati con altrettanta cura e maestria di tutti gli altri aspetti e che hanno dedicato diverse ore del proprio curricolo e altre in più a questo progetto .

INSEGNANTI DELLA SEZIONE:Prof. Sassetti : testiProf.ssa Ferri :costumiprof.ssa Fantacci, materiale storico , poesie e documenti, recitazione prof.ssa.Marisi. materiale storico , poesie e documenti, recitazione prof.Gambetti , fotografie, realizzazione catalogo e video proiezioniprof.Andreozzi ,arrangiamenti,direzione, impianti e suoni prof.ssa Barbucci, arrangiamenti,direzione, repertorio popolare,coordinamentoprof.Piccini, arrangiamenti, direzione,coordinamento progetto e spettacolo prof.Corti, arrangiamenti,direzione,logistica prof. Franchi inserimento e sostegno alle att ività alunna.diversamente abile

ESPERTI ESTERNI: Maestro coro prof. TANJA KUSTRIN esperta danza e tradizioni popolari dott. MONICA FANTACCI esperto tradizioni popolari ( consulente storico musicale) dott.ANDREA FANTACCI

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San Bernardino da Siena

Sez A ad Indirizzo Musicale.

PRESENTA :

PATRIA

senza passato non c'è futuro

di G.Sassetti

I TEMPO

CANTO SANFEDISTI

aLBERO

LUISIN

BELLA GIGOGIN

LO MIO DAMO

BALLO POPOLARE GALOPPA

II TEMPO

MERICA, MERICA

GORIZIA

PIAVE

CONTRASTO FRA LA PLEBEA E ARISTOCRATICA

BELLA CIAO

BALLO POPOLARE : SCHIAFFO

INNO D'ITALIA

QUADRIGLIA

LA COMMEDIA

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I sanfedisti furono i componenti di un movimento popolare sorto nel 1799 in difesa della dinastia Borbonica e della tradizione cattolica minacciata dalle idee rivoluzionarie. Il movimento della Santa Fede coinvolse masse di insorgenti in tutto il Regno di Napoli; si organizzò attorno al cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo col nome di «Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo». Il movimento sanfedista si inserisce a pieno titolo nei movimenti europei contro-rivoluzionari della fine del XVIII secolo, come ad esempio quello sorto in Vandea, guidati dal popolo più umile in difesa dei valori tradizionali contro le idee rivoluzionarie.Il movimento fu così rappresentativo della sua epoca che da esso derivò il vocabolo italiano «sanfedismo».

CANTO DEI SANFEDISTI

A lu suono de grancascia viva lu populo bascio. A lu suono de tamburrielli so' risurte li puverielli. A lu suono de campane viva viva li pupulane. A lu suono de viuline morte alli giacubbine. Sona sona sona Carmagnola sona li cunzigli viva 'o rre cu la famiglia. A sant'Eremo tanto forte l'hanno fatto comme’a ricottaa ‘stù curnuto sbrevognato l'hanno miso 'a mitria 'ncapa. Maistà chi t'ha traruto chistu stommaco chi ha avuto, 'e signure 'e cavaliere te vulevano priggiuniere. Sona sona sona Carmagnola sona li cunzigli viva 'o rre cu la famiglia. Alli tridece de giugno sant'Antonio gluriuso 'e signure 'sti birbante 'e facettero 'o mazzo tanto.

So' venute li Francise aute tasse 'nce hanno mise

tlibertè.....egalitèu arrubbe a me i'arrobbo a ttè... Sona sona sona Carmagnola sona li cunzigli viva 'o rre cu la famiglia. Li Francise so' arrivate 'nce hanno bbuono carusate e vualà e vualà cavece 'nculo alla libertà. A lu ponte 'a Maddalena

'onna Luisa è asciuta prena, e tre miedece che banno nun la ponno fa sgrava'. Sona sonaCarmagnola sona li cunzigliviva 'o rre cu la famiglia. A lu muolo senza guerra se tiraje l'albero 'nterra afferrajeno 'e giacubbine 'e facettero 'na mappina. E' fernuta l'uguaglianza è fernuta la libertà,

pe' vuje sò dulure 'e panza signo' jateve a cucca'. Sona sona sona Carmagnola sona li cunziglie viva 'o rre cu la famiglia. Passaje lu mese chiuvuso lu ventuso e l'addiruso a lu mese ca se mete hanno avuto l'aglio arrete. Viva tata maccarone ca rispetta la religione, giacubbine jate a mmare ca v'abbrucia lu panare. Sona sona sona Carmagnola sona li cunzigli viva 'o rre cu la famiglia.

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INNO DELL’ALBERO

È questo, senza dubbio, il più noto fra i canti giacobini italiani. L'Inno dell'albero nacque, probabilmente a Genova, tra il 1796 e il 1799, ed ebbe larga diffusione. Gli autori sono ignoti. Il canto fu familiare a Giuseppe Mazzini che lo cantò spesso, nell'esilio, accompagnandosi con la chitarra.La canzone celebra nell'albero della libertà, piantato nei giorni rivoluzionari in tante piazze italiane, il simbolo tangibile dei tempi nuovi. Il carattere dell'inno, nel testo letterario come in quello musicale, non è popolare, ma borghese, come borghese assai più che popolare fu, soprattutto da noi, il movimento rivoluzionario. Fra il popolo ebbero corso durante l'occupazione francese canzoni e strofette di tono reazionario, anche molto violente, nelle quali si confondono sentimenti diversi e ragioni opposte; spesso, gli uni e le altre, diffuse da gruppi e ambienti interessati a mettere in crisi il nuovo regime .

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INNO DELL’ALBERO

Or che innalzato è l'albero,s'abbassino i tirannidai suoi superbi scanniscenda la nobiltà.

Un dolce amor di patria s'accenda in questi lidi formiam comuni i gridi: viva la libertà!

L'indegno aristocratico Non osi alzar la testa se l'alza, allor la festatragica si farà.

Un dolce amor di patria...

Reso uguale e libero, ma suddito alla legge, è il popolo che reggesovrano ei sol sarà.

Un dolce amor di patria...

Duri implacabili odioai feudi, alle coronee sempre la Nazionelibera resterà.

Un dolce amor di patria...

Sul torbido Danubiopenda l'austriaca spadanell'itala contradamai più Iampeggerà.

Un dolce amor di patria...

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"Un'antica e struggente canzone milanese, scritta in seguito alla guerra del 1859, che rovescia completamente la bolsa retorica indipendentista e risorgimentale che tuttora passa a livello educativo. El pover Luisin è un soldatino che probabilmente, essendo di Milano, ha servito nel 1859 l'esercito del Kaiser. Ma nella canzone dell'innamorata non c'è odio nè presa di parte, non vengono neppure citati Italia o Austria: c'è solo il rimpianto per un amore spezzato.La provenienza colta della melodia si intuisce dalla chiara impronta mitteleuropea dell'incipit, un walzer che richiama alla mente il tema della "Vltava" ("La Moldava") di Bedrich Smetana."

IL POVERO LUISIN

Un dì per sta cuntradapasava un bel fiöe un masulin del rosla trà in sul mè pugiö.

E per tre mes de fila,e squasi tüti i dì,el pasegiava semperdumà per vedem mi.

Vegnü el cinquantanöv,che guera desperada!E mi per sta cuntrada Lu pü vedü a pasà.

Un dì piuveva, ver siraS’ciupavi del magun,quand m’è rivà ‘na leteracul bord de cundiziun.

Scriveva la surelaDel pover Luisin

Che l’era mort in gueraDe fianc al Castelin.

Hin già pasà tri an,le mort, el vedi pü

epür stu pover cörle chi ancamò per lü.

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Canzone patriottica del Risorgimento Italiano, celebre in tutto il Nord Italia. Il testo è composto da un miscuglio di strofe popolari adattate alla musica dal maestro milanese Paolo Giorza nel 1858. Il contenuto è fortemente anti-austriaco. La prima parte del testo è probabilmente successiva all' unificazione d'Italia: l'esortazione alle armi e alla Bandiera è infatti troppo esplicita perchè potesse venir tollerata con facilità dalla censura austriaca:Nella seconda parte segue il ritornello, che rappresenta, dal punto di vista musicale, il momento più orecchiabile e, probabilmente, più coinvolgente per il pubblico. Il contenuto patriottico, più velato, prende forma nell'invito al matrimonio - daghela avanti un passo tra i due innamorati rivolto da Lei - la malata- Lombardia stufa di esser costretta a mangiar polenta( metaforico riferimento al colore giallo dellabandiera austriaca), dopo i fallimenti del '48, a un lui, implicitamente il sovrano di Piemonte Vittorio Emanuele II, il quale esitava nell'intervento di alleanza con Napoleone III. Gigogin, infattii, è diminutivo piemontese per Teresina.

LA BELLA GIGOGIN

Rataplàn, tambur io sentoChe mi chiama alla bandieraO che gioia o che contentoIo vado a guerreggiar.Rataplàn, non ho pauraDelle bombe e dei cannoniIo vado alla venturaSarà poi quel che sarà.E la bella Gigogincol tremille-lerillelleraLa va a spass col so spinginCol tremille-relillellà.Di quindici anni facevo all'amoreDaghela avanti un passoDelizia del mio cuore.A sedici anni ho preso maritoDaghela avanti un passoDelizia del mio cuore.A diciassette mi sono spartita

Daghela avanti un passoDelizia del mio cuor.La ven, la ven, la ven a la finestraL'è tutta, l'è tutta, l'è tutta insipriadaLa dis, la dis, la dis che l'è maladaPer non, per non, per non mangiar polentaBisogna, bisogna, bisogna aver pazienzaLassala, lassala, lassala maridà.

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E LO MIO DAMO

E lo mio damo se n'è ito a Siena m'ha porto il brigidin da' due coloriIl bianco gliè la fe' che c'incatenail rosso l'allegria dei nostri corici mettero' una foglia di verbenach'io stessa alimentai di freschi umori.

E gli dirò che il rosso il verde il biancogli stanno bene, con la spada al fiancoE gli dirò che il bianco, ‘l verde e ‘l rossovuol dir che Italia il giogo suo l'ha scossoE gli dirò che ‘l bianco, il rosso e ‘l verde è un terno che si gioca e non si perde.

Queste due sestine popolari della Val d'Elsa, risalgono al triennio unitario 1859-61.Presentano una visione locale di questo grande cambiamento, Unità d'Italia appunto, mescolando sentimenti personali a questo grande evento. Non abbiamo ritrovato la traccia musicale di questo componimento e perciò abbiamo usata una delle melodie più diffuse del periodo, per accompagnare i vari "rispetti" in Toscana.

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...il mare la ricinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque l'Alpi non la ricingono: quel mare che i padri dei padri chiamarono Mare Nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa in quel mare Corsica, Sardegna, Sicilia, ed altre minori isole dove natura di suolo e ossatura di monti e lingua e palpito d'anime parlan d'Italia. Giuseppe Mazzini

« La storia di tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità » (Cavour, Chemins de fer, 1846, da Romeo, Vita di Cavour, Bari,

2004, pp. 137, 141)

Qui si fa l'Italia o si muore.Giuseppe Garibaldi

È sempre la storia di Socrate, di Cristo e di Colombo! Ed il mondo rimane sempre preda delle miserabili nullità che lo sanno ingannare.Giuseppe Garibaldi

La vita non è sempre né triste né tragica;talvolta è lieta, talvolta di una ridicola serietà, che è il non plus ultra del genere buffo.Massimo D'Azeglio

L'amore ch'io porto all'Italia e il vivo desiderio che tengo d'ogni suo bene, mi obbligano ad aggiungere che nulla più osta, secondo il parere mio, al risorgimento della comune patria, che le dottrine intemperate, e l'opera di quelli che le spargono e promulgano dentro e fuori della Penisola.Vincenzo Gioberti

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Uno dei più noti ricercatori e studiosi di musica popolare,

Roberto Leydi, pone i canti dell’emigrazione nella categoria

dei canti sociali e politici. L’emigrazione fu, infatti, un

fenomeno sociale molto determinante, e lo è ancor oggi, nella

vita di milioni di uomini e nella storia di molti paesi, sia di

quelli dai quali gli emigranti partivano come di quelli in cui gli

stessi si stabilivano e dove, con il loro lavoro, contribuirono, a

volte anche in modo determinante, alla crescita economica

degli stati ospiti.

L’emigrazione si sviluppò in modo particolare nel nostro

paese dopo la sua unità politica ed il fenomeno, che interessò

in modo esclusivo la classe popolare, non poté non lasciare il

segno su quella che gli studiosi definiscono "musica

popolare". Chi abbandonava il paese e la famiglia, da solo o in

gruppo, per cercare di migliorare le sue condizioni di vita e

quelle di chi rimaneva a casa, viveva sentimenti di tristezza, di

nostalgia, di malinconia e di speranza che autori, il più delle

volte ignoti, seppero esprimere in testi, a volte molto poetici,

sia in lingua ma, soprattutto, nei dialetti delle varie regioni

italiane. Questi testi uniti a musica semplice, a volte già

esistente e famosa fra il popolo, formarono i canti popolari

dell’emigrazione.

MERICA MERICA

Dalla Italia noi siamo partitiSiamo partiti col nostro onoreTrentasei giorni di macchina e vapore,e nella Merica noi siamo arriva'.Merica, Merica, Merica,cossa saràlo 'sta Merica?Merica, Merica, Merica,un bel mazzolino di fior.E alla Merica noi siamo arrivatino'

abbiam trovato nè paglia e nè fienoAbbiam dormito sul nudo terreno,come le bestie abbiam riposa'.Merica, Merica, Merica,cossa saràlo 'sta Merica?Merica, Merica, Merica,un bel mazzolino di fior.E la Merica l'è lunga e l'è larga,l'è circondata dai monti e dai piani,e con la industria dei nostri italiani

abbiam formato paesi e città.Merica, Merica, Merica,cossa saràlo 'sta Merica?Merica, Merica, Merica,un bel mazzolino di fior.

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O GORIZIA

La mattina del cinque di agostosi muovevano le truppe italianeper Gorizia, le terre lontanee dolente ognun si partì.

Sotto l'acqua che cadeva a rovesciograndinavano le palle nemiche;su quei monti, colline e gran vallisi moriva dicendo così:

O Gorizia, tu sei maledettaper ogni cuore che sente coscienza;dolorosa ci fu la partenzae il ritorno per molti non fu

O vigliacchi che voi ve ne statecon le mogli sui letti di lana,schernitori di noi carne umana,questa guerra ci insegna a punir.

qui si muore gridando: assassini!maledetti sarete un dì.

Cara moglie, che tu non mi sentiraccomando ai compagni vicini

di tenermi da conto i bambini,che io muoio col suo nome nel cuor.

Traditori signori ufficialiche la guerra l'avete voluta,scannatori di carne venduta,e rovina della gioventù

O Gorizia, tu sei maledettaper ogni cuore che sente coscienza;dolorosa ci fu la partenzae il ritorno per molti non fu

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La battaglia di Gorizia si svolse tra il 9 e il 10 agosto del 1916, 52.000 italiani e 41.000 austriaci morirono a Gorizia in un massacro. Questo canto, di anonimo, fu presentato a Spoleto nello spettacolo "Bella ciao" e tutti gli artisti furono denunciati per "Vilipendio allo Stato ed alla Patria" da due ufficiali presenti in sala.La strada per la pace non è sempre semplice da seguire.

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IL PIAVE

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggiodei primi fanti il ventiquattro maggio;l'esercito marciava per raggiunger la frontieraper far contro il nemico una barriera!Muti passaron quella notte i fanti,tacere bisognava andare avanti.S'udiva intanto dalle amate spondesommesso e lieve il tripudiar de l'onde.Era un presagio dolce e lusinghiero.il Piave mormorò: Non passa lo straniero!Ma in una notte triste si parlò di un fosco eventoe il Piave udiva l'ira e lo sgomento.Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,poiché il nemico irruppe a Caporetto.Profughi ovunque dai lontani monti,venivano a gremir tutti i suoi ponti.S'udiva allor dalle violate spondesommesso e triste il mormorio de l'onde.Come un singhiozzo in quell'autunno neroil Piave mormorò: Ritorna lo straniero!E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame volea sfogare tutte le sue brame,vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora sfamarsi e tripudiare come allora!No, disse il Piave, no, dissero i fanti,mai più il nemico faccia un passo avanti!Si vide il Piave rigonfiar le spondee come i fanti combattevan l'onde.

Rosso del sangue del nemico altero,il Piave comandò: Indietro va, o straniero!indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trentoe la Vittoria sciolse l'ali al vento!Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon vistirisorgere Oberdan, Sauro e Battisti!Infranse alfin l'italico valorele forche e l'armi dell'Impiccatore!Sicure l'Alpi, libere le sponde,e tacque il Piave, si placaron l'onde.Sul patrio suolo vinti i torvi Imperi,

la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!

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Il PiaveLa canzone del Piave è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu scritto nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta. I fatti storici che ispirarono l'autore risalgono al Giugno del 1918 quando l'Austria- Ungheria decise di sferrare un grande attacco sul fronte del Piave per piegare definitivamente l'esercito italiano, già reduce dalla sconfitta di Caporetto. L'esercito imperiale austriaco si avvicinò pertanto alle località venete della Grave di Papadopoli e del Monte Montello, ma fu costretta ad arrestarsi a causa della piena del fiume.Ebbe così inizio la resistenza delle Forze armate del Regno d'Italia che costrinsero gli Austro-ungarici a ripiegare.

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Queste ottave fanno parte di un contrasto molto lungo, che risale probabilmente al 1911-12. Il contrasto è una gara fra improvvisatori, legata a regole metriche molto precise (il primo verso di ogni ottava deve trarre la rima dall’ultimo verso della strofa precedente), su argomenti vari. Questo (probabilmente rielaborato per foglio volante) è stato raccolto a Stia, in Casentino, nel 1965 da Caterina Bueno, in più sedute successive: le strofe qui riprodotte sono quelle che l’informatrice (Maria Ringressi) aveva ricordato in occasione della prima registrazione. Una versione diversa, in 22 strofe di cui qualcuna simile alle nostre, è stata raccolta da Leoncarlo Settimelli e Laura Falavolti a Populonia (Piombino), inf. Sindelica Rognoni, e dagli stessi pubblicata nel volume Canti socialisti e comunisti,

CONTRASTO FRA LA PLEBEA E ARISTOCRATICA

PlebeaDa piccola bambina io ave' 'mparatoche c'era un solo Dio che ci comanda,ora si vede il mondo s'è cambiato

stra fallace propaganda:mentre Dio ci descriveva: «Non ammazzare»,oggi vediam le gente macellare.

AristocraticaÈ sempre costumato guerreggiaree in oggi ce lo impone più che mai,chi per voler le terre conquistaree chi per dar lavoro agli operai.Intanto quei malvagi, piano piano,un po' di educazione la impareranno,tralasceranno i rei costumi suoi,diverranno educati come noi.

PlebeaDici che civilizzare tu li vòi,pagherei a sapere come farai:fammi i' piacere e dimmi come faiagli altri regala ciò che non hai.Prima di tutto civilizza i tuoi perché se una statistica tu fai troverai tra gli italici abitantiil settanta per cento

d’ignoranti.Questo l’avrai lettosull’avanguardia socialista etemerario;essere nun ci poi che lui fra tantiall'impresa di Tripoli contrario.Mentre gli altri giornali, tutti quanti,rammentano d'un caso straordinario:giornali fatti da' nazionalisti,e l'Avanti lo fanno i socialisti.

PlebeaChi ama la guerra sono òmini tristi,privi di scienza e di cuore cattivo;fossero stati invece i socialisti,il mio figlio sarebbe ancora vivo.La guerra è bella pe' capitalisti,perché ritrovan sempre il loro attivo:dalle imposte che tengono impiegatedicono sempre: Armiamoci ed andate.

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Bella ciaoBella ciao è una canzone popolare cantata dai simpatizzanti del movimento partigiano italiano (Resistenza) durante la Seconda Guerra Mondiale, che combattevano contro le truppe fasciste e naziste. La circolazione di Bella ciao, durante la Resistenza è documentata e sembra circoscritta soprattutto in Emilia, fra l'appennino bolognese e le zone della Repubblica partigiana di Montefiorino (sull'appennino modenese, dove si dice che fu composta da un anonimo medico partigiano).La musica, di un autore sconosciuto, viene fatta risalire alla melodia di un canto ottocentesco delle mondine padane, con influenze di altri canti come Fior di tomba e Picchia picchia la porticella. Una seconda derivazione fa retrodatare le radici della canzone a una ballata francese del Cinquecento, che seppur mutata leggermente ad ogni passaggio geografico, sarebbe stata assorbita dapprima nella tradizione piemontese con il titolo di La daré d'côla môntagna, poi in quella trentina con il titolo di Il fiore di Teresina, poi in quella veneta con il titolo Stamattina mi sono alzata, successivamente nei canti delle mondariso e infine in quelli dei partigiani.Una diversa derivazione è stata proposta da Fausto Giovannardi a seguito del ritrovamento di una melodia yiddish (canzone«Koilen») registrata da un fisarmonicista Klezmer di origini ucraine, Mishka Tziganoff nel 1919 a New York interpretazione che tuttavia, secondo alcuni osservatori, sembra non godere di solidi fondamenti.

« Alla mattina appena alzata, o bella ciao, bella ciaoBella ciao ciao ciao, alla mattina appena alzata,devo andare a lavorar..!

A lavorare laggiù in risaia, o bella ciao, bella ciaoBella ciao ciao ciao! A lavorare laggiù in risaiaSotto il sol che picchia giù! »

(Probabile testo originale del canto delle mondine alla base di Bella ciao

In questo contesto si nota come l'espressione "bella ciao" indichi la giovinezza che si perde e sfiorisce nel lavoro.

« Stamattina mi sono alzata,stamattina mi sono alzata,sono alzata - iolìsono alzata - iolàsono alzata prima del sol... »

(Altro testo che ha probabilmente influito nella genesi del canto: "Fior di tomba")

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Fratelli d'Italia

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria.

L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.

http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm

Fratelli d'Italia,L'Italia s'è desta;Dell'elmo di ScipioS'è cinta la testa.Dov'è la Vittoria?Le porga la chioma;Ché schiava di RomaIddio la creò.Stringiamoci a coorte!Siam pronti alla morte;Italia chiamò,

Noi fummo da secoliCalpesti, derisi,Perché non siam popolo,Perché siam divisi.Raccolgaci un'unicaBandiera, una speme;Di fonderci insiemeGià l'ora suonò.Stringiamoci a coorte!Siam pronti alla morte;Italia chiamò,

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Ballo popolare: schiaffo

La danza popolare è una danza appartenente al popolo, creata ed eseguita dal popolo, a differenza della danza folcloristica o folk che ha le sue origini nella danza popolare, ma non è più eseguita dal popolo bensì da gruppi specializzati.

Generalmente la danza popolare è legata ai momenti di vita della comunità e viene danzata da ballerini spesso non professionisti, ma attenti studiosi delle tradizioni specifiche delle loro zone di provenienza. Dove è morta, la tradizione, rimane come manifestazione folcloristica. Le danze popolari vengono accompagnate da strumenti musicali tradizionali tipici delle aree di appartenenza.Gruppo folk Nevegal di Castion di BellunoGruppo Folkloristico Umbria Folk di Panicale zona Trasimeno

Ogni paese del mondo ha le proprie danze: tra le altre ricordiamo le danze francesi, basche, russe, serbe, rumene, israeliane, ungheresi, spagnole, ecc.In Italia esistono aree culturali in cui le danze tradizionali sono ancora oggi vive e praticate da gruppi folkloristici e a volte anche dalla comunità.

http://it.wikipedia.org/wiki/Danza_popolare

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PATRIA senza passato non c'è futuro

di G.Sassetti

8 Giugno 2011 - ore 21,15 - Teatro dei Rozzi - Siena

Testo: prof. Giampaolo SassettiRiferimenti storici e consulenza per le canzoni: Andrea Fantacci

Coordinatori del progetto: prof. Barbucci - PicciniDirettore di coro: prof. Tanja Kustrin

Direttore danza popolare: Dott. Monica FantacciRecitazione: prof. Marisi - Fantacci

Costumi: prof. Ferri - Fantacci e MirolliInsegnanti strumento e arrangiamenti: prof. Corti, Barbucci,

Andreozzi, PicciniFoto composizione e video proiezione: prof. Gambetti

Dirigente scolastico: Giovanna Rosa

Progetto grafico e foto catalogo: Alessandro Gambetti

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