La parodia del teatro colto nel teatro comico dialettale...

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PAOLA CANTONI (Roma) [email protected] La parodia del teatro colto nel teatro comico dialettale: Antonio Petito e Eduardo Scarpetta Il presente contributo si propone di esaminare alcune delle modalità di utilizzo del teatro colto da parte di Antonio Petito per la creazione di un nuovo repertorio di testi comici in dialetto napoletano nella seconda metà dell’Ottocento. Antonio Petito (Napoli, 1822-1876), attore ed autore napoletano della seconda metà dell’Ottocento, è stato rivalutato dalla critica più recente (cfr. Viviani 1969, Greco 1982, 1989a, 1989b, 1990, 1995; Massarese 1978-1984 e 1989; Scafoglio e Lombardi-Satriani 1989 e 1992) per la sua attività di scrittore di testi in dialetto napoletano, testi che avevano risentito, nei giudizi critici, del difetto di cultura dell’autore; Petito, da autodidatta, cominciò a scrivere solo nella fase più matura della sua carriera artistica, è dunque, caso abbastanza anomalo, uno scrittore teatrale semicolto. Di lui si conservano all’incirca una novantina di copioni teatrali (compresi alcuni autografi) ma la questione filologica petitiana, la cui complessità è stata illustrata da Greco (1989a, pp. 22- 23) è ancora lontana da una soluzione definitiva. Notissimo “Pulcinella” sulla scena napoletana, sentì l’esigenza di una riforma (più o meno consapevole) del teatro comico in dialetto che rispecchiasse le mutate prospettive storiche. Pose le basi di quella linea teatrale napoletana che, attraverso Eduardo Scarpetta, esordito già da ragazzo sulle scene sotto la sua direzione e con un testo di lui, genererà il grande teatro di Eduardo De Filippo. Lo stesso Eduardo ribadì il filo della sua discendenza artistica nei confronti del teatro tradizionale di Petito in varie occasioni, fra le quali, nel 1954, la simbolica ripresa del suo testo Palummella per la riapertura del Teatro San Ferdinando (ristrutturato dopo la distruzione della guerra) per la quale volle essere consacrato sulla scena con l’antico rito del passaggio della maschera di Pulcinella compiuto cento anni prima da Salvatore Petito col figlio Antonio; a proposito del padre, Eduardo Scarpetta, constatò col critico Bragaglia che egli imitò Petito fino alla morte; è inoltre ben nota la battuta di Eduardo a proposito delle commedie petitiane (scorrette grammaticalmente ma validissime per la scrittura teatrale) : “Però, se le reciti vedi !”. La riforma di A. Petito operò in direzione del realismo e della contemporaneità dei contenuti, sviluppando il genere della “parodia”, non solo di Opere melodrammatiche o liriche che erano in cartellone a Napoli o di romanzi ed opere letterarie, ma anche di mode e costumi dell’epoca, di eventi tratti dall’attualità, di “tipi” e atteggiamenti umani, come si può constatare scorrendo anche solo i titoli delle sue commedie. Il pubblico accorre al suo teatro, il San Carlino, ad ogni fatto spettacolare accaduto nella città, «a verificare rapporti culturali e sociali servendosi della scena e del comico» perché Petito, attraverso la parodia, «allarga l'area di fruibilità di tematiche dalle quali gli spettatori teatrali, soprattutto gli analfabeti, ma non solamente loro, erano del tutto esclusi; (...) entra in conflitto con gli statuti letterari e con la norma dei generi contaminandoli, frantumandoli, capovolgendoli, snaturandoli» (Greco 1989a, pp.17 e 19). Strumento indispensabile alla creazione della nuova maschera di Pulcinella e all’espressione della satira è un linguaggio caratterizzato dall’ «ambivalenza semantica, le inversioni sintattiche e concettuali, il garbuglio studiatamente confuso, lo stravolgimento lessicale» (Scafoglio-Lombardi Satriani 1992, p.835). Sono proprio gli aspetti linguistici a caratterizzare le parodie petitiane. Il gioco interlinguistico trova mille forme di espressione nelle trame delle sue commedie : dalle sequenze frastiche plurilingui (toscano, napoletano, francese nella Bella Elena) agli effetti comici derivanti dal confronto tra codici

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La parodia del teatro colto nel teatro comico dialettale: Antonio Petito e Eduardo Scarpetta

Il presente contributo si propone di esaminare alcune delle modalità di utilizzo del teatro colto

da parte di Antonio Petito per la creazione di un nuovo repertorio di testi comici in dialetto napoletano nella seconda metà dell’Ottocento. Antonio Petito (Napoli, 1822-1876), attore ed autore napoletano della seconda metà dell’Ottocento, è stato rivalutato dalla critica più recente (cfr. Viviani 1969, Greco 1982, 1989a, 1989b, 1990, 1995; Massarese 1978-1984 e 1989; Scafoglio e Lombardi-Satriani 1989 e 1992) per la sua attività di scrittore di testi in dialetto napoletano, testi che avevano risentito, nei giudizi critici, del difetto di cultura dell’autore; Petito, da autodidatta, cominciò a scrivere solo nella fase più matura della sua carriera artistica, è dunque, caso abbastanza anomalo, uno scrittore teatrale semicolto. Di lui si conservano all’incirca una novantina di copioni teatrali (compresi alcuni autografi) ma la questione filologica petitiana, la cui complessità è stata illustrata da Greco (1989a, pp. 22-23) è ancora lontana da una soluzione definitiva. Notissimo “Pulcinella” sulla scena napoletana, sentì l’esigenza di una riforma (più o meno consapevole) del teatro comico in dialetto che rispecchiasse le mutate prospettive storiche. Pose le basi di quella linea teatrale napoletana che, attraverso Eduardo Scarpetta, esordito già da ragazzo sulle scene sotto la sua direzione e con un testo di lui, genererà il grande teatro di Eduardo De Filippo. Lo stesso Eduardo ribadì il filo della sua discendenza artistica nei confronti del teatro tradizionale di Petito in varie occasioni, fra le quali, nel 1954, la simbolica ripresa del suo testo Palummella per la riapertura del Teatro San Ferdinando (ristrutturato dopo la distruzione della guerra) per la quale volle essere consacrato sulla scena con l’antico rito del passaggio della maschera di Pulcinella compiuto cento anni prima da Salvatore Petito col figlio Antonio; a proposito del padre, Eduardo Scarpetta, constatò col critico Bragaglia che egli imitò Petito fino alla morte; è inoltre ben nota la battuta di Eduardo a proposito delle commedie petitiane (scorrette grammaticalmente ma validissime per la scrittura teatrale) : “Però, se le reciti vedi !”.

La riforma di A. Petito operò in direzione del realismo e della contemporaneità dei contenuti, sviluppando il genere della “parodia”, non solo di Opere melodrammatiche o liriche che erano in cartellone a Napoli o di romanzi ed opere letterarie, ma anche di mode e costumi dell’epoca, di eventi tratti dall’attualità, di “tipi” e atteggiamenti umani, come si può constatare scorrendo anche solo i titoli delle sue commedie. Il pubblico accorre al suo teatro, il San Carlino, ad ogni fatto spettacolare accaduto nella città, «a verificare rapporti culturali e sociali servendosi della scena e del comico» perché Petito, attraverso la parodia, «allarga l'area di fruibilità di tematiche dalle quali gli spettatori teatrali, soprattutto gli analfabeti, ma non solamente loro, erano del tutto esclusi; (...) entra in conflitto con gli statuti letterari e con la norma dei generi contaminandoli, frantumandoli, capovolgendoli, snaturandoli» (Greco 1989a, pp.17 e 19). Strumento indispensabile alla creazione della nuova maschera di Pulcinella e all’espressione della satira è un linguaggio caratterizzato dall’ «ambivalenza semantica, le inversioni sintattiche e concettuali, il garbuglio studiatamente confuso, lo stravolgimento lessicale» (Scafoglio-Lombardi Satriani 1992, p.835). Sono proprio gli aspetti linguistici a caratterizzare le parodie petitiane. Il gioco interlinguistico trova mille forme di espressione nelle trame delle sue commedie : dalle sequenze frastiche plurilingui (toscano, napoletano, francese nella Bella Elena) agli effetti comici derivanti dal confronto tra codici

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linguistici diversi e dalla consapevolezza che il riso può scaturire nello spettatore (cosciente della propria superiorità culturale) nel constatare l’inadeguatezza linguistica del soggetto parlante, o anche nell’individuazione di «un rischio comune» (cit., pp.480-502), particolarmente sentito in una società che non ha ancora conseguito una unità linguistica ; il gioco verbale, stimolando riflessioni sulle «ambiguità oggettive» della lingua, diventa così un «controcanto ironico» al processo di diffusione del modello toscano o comunque aulico, l’orgogliosa rivendicazione dell’idioma materno. Ecco un passo emblematico a riguardo, tratto dalla commedia Palummella, scritta a poco più di un decennio dall’annessione del Regno di Napoli (dall’autografo in Massarese 1978-1984, I p. 209):

«Palo tage ditte tage dinte non candame gope achella tratoria lagevanne tutte piemontese milanese veneziane enon gecapiscene canda stì canzone e tu tuoste aforze là vuò i agegirate copiatine atuorne echagiaute mieze dechiu di 30. perzune 8 centeseme

Rive schiatta crepe io la agiai tu ocapisce che litalia se fusa e giavima fusare nui pure Palo etu mepare nuvere fuse epretienne Triv che aforza decanta nujorne manarivà acapi». (Per facilitare la comprensione dell’autografo propongo anche la versione grammatizzata in Massarese

1978-84, III iii p. 490 : «PALUMMELLA (...) Io t’aggio ditto nun cantamme ncoppa a chella tratturia, e tu non m’he’ voluto sentì. Llà nce vanne tutte piemontise, milanise, veneziane ca nun capiscene ‘e ccanzone noste ; e tu, niente, afforza llà vuò ì. Aggio girato c’’o piattino attuorno e, mmiezo a cchiù de trenta perzune, aggio fatto otto centeseme. RIVELLI Tu o schiatte o criepe il llà aggia ì.’O ccapisce o nun ’o ccapisce ca ogge l’Italia s’è fusa ? Nci avimmo da fusà nuie pure. PALUMMELLA E tu mme pare nu vero fuso. Comme ! Pretienne... RIVELLI (interrompendola) Che, afforza de cantà, nu juorno o nato nci avarranno da capì».)

Attraverso l’analisi di tre testi emblematici del genere, si dimostrerà come la parodia in A. Petito si trasformi da semplice irrisione a scopo comico del testo citato a reale occasione di teatro, in virtù della possibilità di far scaturire dal modello parodiato trame inedite del tutto indipendenti dal soggetto della citazione e giochi linguistici derivanti dal contrasto tra i due codici linguistici posti a confronto : l’italiano del teatro colto - il dialetto (napoletano) del teatro popolare. A tale scopo sono stati scelti tre testi che mostrano, almeno in parte, l’ampiezza del ventaglio di modalità di utilizzo del testo colto nelle parodie petitiane : dalla parodia “intermittente” (Massarese 1978-1984 II i, p. 182), in cui la fedele riproduzione di passi del testo citato crea un effetto di straniamento dall’azione teatrale di No Sansone a posticcio co Pulecenella mbrogliato fra forza e senza forza (Napoli, Stab. Tip. dei fratelli De Angelis, 1867), trascrizione della parodia de l’Alcide di Filippo Cammarano (1828); alla parodia come semplice spunto creativo per un nuovo soggetto di Na bella Elena bastarduta nfra lengua franzesa, toscana e napolitana allo triato de Vuosco Tre Case (Napoli, Luigi Chiurazzi, 1869), che ha come modello un’operetta di Offenbach rappresentata con successo al teatro Bellini; all’utilizzo del testo per gli effetti di contrasto comico che scaturiscono dalla giustapposizione di termini del linguaggio alto con termini dialettali o popolari della Francesca da Rimini. Tragedia a vapore stravesata da Pulcinella cetrulo, da D. Asdrubale Barilotti, da Monzù Patrecutenella e da Schiattamurton. Bizzarria comica (Napoli, Fratelli de Angelis, 1867), che riprende la tragedia di Silvio Pellico. Le peculiarità della prassi teatrale petitiana emergeranno anche dal confronto della Francesca da Rimini con l’omonimo testo di Eduardo Scarpetta, che ne è una riscrittura, nel quale la citazione del

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modello è molto più estesa e pervasa da una maggior libertà di irrisione del testo “alto” anche per la maggiore distanza di tempo che li separa ; tre testi a confronto, dunque, il modello di Silvio Pellico, la parodia di Antonio Petito, la riscrittura della parodia di Eduardo Scarpetta.

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