La pace buonsante ylenia 3a

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“La pace deve essere ben più dell’assenza di guerra.” H. Kohl La Pace

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“La pace deve essere ben più dell’assenza di guerra.”

H. Kohl

La Pace

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Il termine Pace, indica in generale, l’assenza o la cessazione di

un conflitto.

La pace può essere:

interna, se l’assenza di conflitto riguarda lo stato d’animo di un

unico individuo,

esterna se si riferisce all’assenza di un conflitto fra individui o

gruppi.

In questo percorso verrà trattata la pace esterna, in particolare

della pace intesa come cessazione di quello specifico tipo di

conflitto che è la guerra.

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La pace è sempre definita in relazione alla guerra: mentre in un qualsiasi dizionario la guerra è descritta, all’incirca, come “lotta armata fra due o più Stati”, la pace è definita come “condizione contraria allo stato di guerra”. Se definiamo la pace come non-guerra, è allora necessario riflettere sulla guerra per comprendere cos’è la pace e a quali condizioni può realizzarsi.

Possiamo dire che la guerra è un conflitto fra gruppi politici indipendenti, la cui soluzione è affidata alla violenza organizzata. Si ha una situazione di conflitto ogni volta che i bisogni o gli interessi di un individuo o di un gruppo non possono essere soddisfatti se non a danno di un altro individuo o gruppo. È il caso della concorrenza per un bene scarso, del desiderio di possedere ciò che appartiene ad altri o di vedere riparata un’offesa. Per gruppo politico si intende un gruppo organizzato per il mantenimento o la conquista del potere. Per violenza organizzata si intende l’uso della forza fisica, intenzionalmente mirata al raggiungimento dell’obiettivo e non consentita da chi la subisce.

Definita in questo modo la guerra, a proposito della pace possiamo dire che i gruppi politici sono in pace fra di loro quando non esistono ragioni di conflitto, oppure queste sono risolte senza ricorrere all’uso della violenza. Queste sono anche le condizioni che consentono l’affermarsi della pace, e cioè l’uso della ragione e la ricerca di forme alternative alla guerra nella soluzione dei conflitti. Il pacifismo considera la guerra un male assoluto, che procura danni maggiori dei vantaggi per ottenere i quali è combattuta, e si batte per realizzare una pace universale e durevole.

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L’idea che la guerra sia inevitabile si è tradizionalmente espressa nelle teorie che giustificano la guerra come male necessario, o addirittura come bene se si accetta che il progresso dell’umanità passa anche attraverso la guerra (diffusione di una civiltà superiore, selezione del più forte o del migliore, unione di popoli, impulso allo sviluppo tecnico), oppure come guerra giusta (di difesa contro l’aggressione altrui, di difesa della civiltà contro la barbarie, di crociata).

Dopo l’invenzione della bomba atomica, sembrava che nessuna giustificazione avrebbe più potuto motivare una guerra, ora che esisteva un’arma in grado di distruggere l’umanità intera. Invece dopo anni di guerra fredda, assistiamo al tentativo di trasformare la pace stessa in giustificazione dei nuovi conflitti che affliggono il pianeta.

Gli interventi militari sono definiti guerra preventiva, guerra contro il terrorismo, per l’esportazione della democrazia, guerra contro gli Stati canaglia che non rispettano i diritti umani. Senza entrare nel merito degli interessi che si nascondono dietro queste guerre “umanitarie”, è evidente che è paradossale pensare che ci si possa servire del male per creare il bene. La guerra, che è sempre difesa o affermazione di interessi particolari, non può contribuire al raggiungimento della pace universale e perpetua, che è la condizione preliminare per la realizzazione della libera convivenza.

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La guerra non è inevitabile, e soprattutto

non è mai legittima.

Alla guerra che è una forza fisica, bisogna opporre la non-violenza che è una forza

morale.

Le teorie della non-violenza, che nella tradizione occidentale si ispirano al precetto

evangelico del “porgi l’altra guancia” (Mt 5-39), sostengono la rinuncia all’uso di

mezzi violenti, anche in quelle situazioni in cui sembrerebbero necessari e

moralmente giustificati. Mentre la guerra conduce allo sterminio indiscriminato,

l’uso di tecniche non cruente permette di risolvere i conflitti senza violare i diritti

umani GANDHI sconfisse I’impero inglese con la pratica della non-violenza,

dimostrando così la forza della pace.

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Le filosofie e le religioni orientali vantano secoli di predicazione della nonviolenza. Il pacifismo è invece un fenomeno sostanzialmente occidentale nato in tempi moderni dalla diffusione in America e in Europa del pensiero di Gandhi e dalla grande stagione dei movimenti per i diritti civili, in primis le due grandi battaglie per la parità dei diritti tra bianchi e neri e tra uomini e donne. L'opposizione dei giovani alla guerra in Vietnam è stata il motore del movimento pacifista. Grandi comunicatori vicini al mondo giovanile come Bob Dylan e John Lennon hanno aiutato a sviluppare una coscienza più chiara del fatto che le grandi questioni nazionali e internazionali possono essere risolte senza ricorrere alla violenza.

Il variegato mondo pacifista ha comunque al suo interno differenziazioni dovute al momento storico e ai riferimenti culturali: mentre alcuni non negano la violenza militare (e dunque statale e dunque non privata) in alcune particolari circostanze, altri negano a priori qualunque azione militare, esclusa la reazione all'invasione militare da parte di un esercito straniero. Benché sottile, esiste una differenza tra pacifismo e nonviolenza: il primo rifiuta a priori la lotta in ogni sua forma mentre il secondo si oppone alla lotta violenta come metodo di risoluzione dei conflitti, secondo l'insegnamento del Mahatma Gandhi, fondando la propria azione su alternative quali la disobbedienza civile e la resistenza non-violenta (ahimsa). È comunque doveroso aggiungere che spesso le manifestazioni pacifiste, a causa di frange minoritarie intransigenti e disinteressate a qualunque forma di dialogo, sfociano in aspri scontri con le forze dell'ordine (significativo in Italia l'esempio del G8 di Genova).

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ONU, Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace 1984

1. Proclama solennemente che i popoli della Terra hanno un sacro diritto alla pace;

2. Dichiara solennemente che la salvaguardia del diritto dei popoli alla pace e la promozione di questo diritto costituiscono un obbligo fondamentale per ogni Stato;

3. Sottolinea che, per garantire l’esercizio del diritto dei popoli alla pace, è indispensabile che la politica degli Stati tenda all’eliminazione delle minacce di guerra, soprattutto di quella nucleare all’abbandono del ricorso alla forza nelle relazioni internazionali e alla composizione pacifica delle controversie internazionali sulla base dello Statuto delle Nazioni Unite;

4. Fa appello a tutti gli Stati e a tutte le organizzazioni internazionali affinché contribuiscano con ogni mezzo a garantire ai popoli I’esercizio della pace tramite I’adozione di misure appropriate a livello nazionale ed internazionale.

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L’invocazione della pace, Shanti, è molto importante per il

credente indù,sia quando prega, sia nella vita quotidiana. La

pace è sentita come dono di Dio e va cercata nello spirito. La

pratica dello yoga, della disciplina dell’autocontrollo mirano

a raggiungere stabilmente la pace interiore. Nelle relazioni

interpersonali la pace è attuata attraverso l’ahimsa o non-

violenza e si traduce nel non provocare mai del male ad alcun

essere vivente.

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Il principio cardine del buddhismo è la compassione verso

ogni essere vivente, che significa vivere nell’ahimsa, cioè

astenersi dall’uccisione. La pratica della meditazione è rivolta

a coltivare la pace interiore da cui deriva la pace esteriore.

Per il raggiungimento della perfetta armonia, che è lo scopo

di ogni essere vivente, un corretto rapporto con la pace è

essenziale.

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Nell’islam la pace è così importante da essere uno dei nomi di

Dio. Realizzare la pace sulla Terra significa obbedire alla volontà

di Dio. Anche nell’islam, come in tutte le religioni, la

realizzazione della pace perfetta è solo nel Paradiso. A livello

personale la pace si realizza osservando l’insegnamento morale

del Corano. Sul jihad che secondo la tradizione può assumere la

forma di una guerra che un buon musulmano deve combattere

quando si tratta di difendere i valori religiosi dell’islam, è in

atto una riflessione critica.

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La pace è dono di Dio da una parte e frutto della collaborazione

tra gli uomini dall’altra. La pace esige il superamento degli

antagonismi e dei conflitti nella società. L’osservanza dei

comandamenti che ogni credente deve attuare consente di

realizzare la pace. La pace perfetta tuttavia è solo nel tempo finale

quando ritornerà il Messia: così si esprimono i profeti Isaia al

capitolo 2 e Michea al capitolo 4 dell’Antico Testamento.

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L’insegnamento della Chiesa cattolica sul tema della pace e della non-violenza è contenuto principalmente nel Discorso della Montagna (Mt 5,39-48): il versetto 5 parla di “beati i miti [...]“, il versetto 9 di “beati gli operatori di pace [...]“e il versetto 44 esorta ad amare i nemici. Il comportamento stesso di Gesù all’ingresso in Gerusalemme a dorso di un’asina (Mt 21,1-5), è carico di significato simbolico: Gesù non vuole essere un Messia terreno, in armi, che sconfigge i romani con la forza. Gesù entra nella città sacra della pace, nel segno della pace, come il Messia di cui parla Isaia (Is 2,2-5 e 9,11) e realizza la visione del re che viene a stabilire un regno di pace (Zc 9,9-10).

Nel momento della grande sofferenza nell’orto degli ulivi, Gesù rimprovera Pietro che aveva usato la forza staccando un orecchio a un soldato e lo invita a rimettere la spada nel fodero (Mt 26,52) poiché coloro che pongono mano alla spada periranno di spada.

Il Magistero della Chiesa esprime in molti documenti l’invito alla pace: Pacem in Terrisdi Giovanni XXIII, Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, Populorum Progressio di Paolo VI e i tanti messaggi di pace rivolti al mondo il primo giorno dell’anno. È utile riportare uno stralcio dell’intervista rilasciata da papa Benedetto XV al giornale francese Libertè il 23 giugno 1915, nel quale appare con chiarezza la posizione della Chiesa cattolica rispetto alla guerra: “Dio vuole che la pace regni fra gli uomini. Un Papa non può volere e predicare altro che la pace”. Fu lo stesso papa a definire la Grande guerra come “l’inutile strage”!

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Genocidio : Metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo

sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e dei documenti culturali.

Pacifismo : Dottrina diretta a dimostrare la possibilità, l’utilità e il dovere dell’abolizione della

guerra; atteggiamento non-violento ispirato da profonda repulsione per qualsiasi soluzione non

pacifica delle con­tese internazionali, in polemica specie con i motivi della propaganda nazionalista.

Guerra totale : Lotta armata tra Stati o coalizioni per la risoluzione di una controversia

internazionale, motivata da veri o presunti conflitti e interessi ideologici ed economici. Non è

ammessa dalla coscienza giuridica moderna.

Jihad : La parola non significa “guerra santa”, come comunemente, ma erroneamente, si crede. Essa

significa, piuttosto, “sforzo” interiore, lotta per raggiungere un determinato obiettivo spirituale.

Nell’accezione più vera il jihad rappresenta lo sforzo intimo e personale che ogni credente deve

compiere per riuscire a conformare il proprio comportamento alla volontà di Dio. I fondamentalisti

identificano però questo sforzo con la guerra, legale, obbligatoria e comune, contro i non musulmani.

Mujaheddin : E’ il termine che nel mondo arabo identifica il combattente del jihad, o

semplicemente, come patriota.