La nuova impresa agricola tra sfide ed opprtunità · dalla tendenziale oscillazione dei prezzi in...
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La nuova impresa agricolatra sfide ed opprtunità
Prof. Roberto Pasca di Magliano
Universsità di Roma “La Sapienza”
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1. Introduzione
Le trasformazioni in atto nel modo di far impresa in agricoltura appaiono di dimensione tale da far emergere
come obiettivo predominante quello dell’orientamento al mercato, seppur con i necessari adattamenti connessi alla
rigidità del fattore terra, ai condizionamenti tecnologici e ai rischi climatici. Trasformazioni queste che riguardano sia
l’assetto strutturale (allocazione delle risorse in base alla produttività dei fattori) sia le modalità di gestione
(massimizzazione del profitto), in una logica tutta mirata a catturare i fattori influenzanti la competitività sul fronte dei
costi e della qualità.
Molte sono le ragioni che, indipendentemente dai benefici ottenuti in forma di aiuti o sussidi, hanno spinto
l’impresa verso comportamenti sostanzialmente simili a quelli di qualsiasi altra impresa. Il motivo principale va
identificato nella crescente introduzione di innovazioni tecniche ed organizzative che hanno contribuito a ridurre il
tradizionale condizionamento rappresentato dal peso dei costi fissi trasformandoli in costi variabili, migliorando quindi
flessibilità e capacità di adattamento al mercato. Le nuove tecnologie dell’Information Technology rivoluzionano i
sistemi di produzione, ampliano la portata di azione dell’impresa ed estendono in modo impressionante le sue
conoscenze.
Un altro elemento di spinta è attribuibile all’ampliamento dei mercati, conseguente alla riduzione dei tanti
protezionismi che di fatto indeboliscono gli stimoli all’ammodernamento, finendo per sacrificare lo spirito stesso
d’impresa e la sua naturale predisposizione al rischio.
Lungo questo cammino, le imprese agricole italiane vanno anche rassomigliandosi nel comportamento e nelle
scelte degli itinerari di crescita dell’impresa, determinando di fatto lo snaturamento del preteso ruolo discriminante
delle diverse figure professionali. In altri termini appare sempre più difficile -e molteplici sono i segnali in proposito-
poter distinguere le imprese agricole in base alla figura dell’imprenditore. L’impresa si identifica con l’imprenditore che
la gestisce. L’imprenditore è tale solo se persegue gli obiettivi tipici dell’impresa, indipendentemente dalla sua
provenienza professionale. Laddove il risultato economico non provenga dal mercato, è difficile definire un’unità
produttiva come impresa, proprio perché comportamenti e scelte non riflettono, in tal caso, indici (prezzi) di scarsità
delle risorse: l’allocazione delle risorse e la scelta dei mix di produzione non rifletterebbe appieno le istanze del
mercato.
L’impresa, anche l’impresa agricola, si sviluppa nell’economia di mercato solo se riesce a cogliere tutte le
opportunità della domanda ed a soddisfarle innovando processo produttivo, modalità di impiego dei fattori e sistemi di
gestione. Tutto ciò può essere realizzato da qualsiasi persona giuridica, individuale o societaria, come da qualsiasi
figura professionale, coltivatore diretto, imprenditore a titolo principale o qualsiasi altra figura.
Se poi il sistema di produzione agricola subisce, rispetto a qualsiasi altra impresa, rigidità maggiori per
l’inamovibilità del fattore terra, non va d’altra parte trascurato che l’ampiezza di orizzonti dell’attività agricola è ampia
e variegata. Essa copre ambiti che riguardano non solo la trasformazione agro-industriale, ma specialmente un ricco
indotto di attività che incontrano il crescente interesse del mercato (turismo e attività connesse alla valorizzazione del
territorio) e una generazione di servizi di interesse collettivo (beni non reciprocali), come la difesa dal degrado
ambientale, la prevenzione di dissesti, la valorizzazione paesaggistica, il mantenimento degli insediamenti nelle aree
rurali. Le ricadute dell’attività produttiva agricola sono più ampie di quelle manifatturiere e si estendono a campi di
notevole rilievo sociale, come dimostrano la storia del paesaggio agrario e peraltro i dati sulla crescente importanza
della multifunzionalità.
Tutto ciò basta per motivare su più fronti la validità dell’impresa agricola e giustificare
politiche agrarie finalizzate e diverse dalle politiche economiche generali. Alla perdita di specificità
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dell’attività agricola rispetto alle altre attività economiche per effetto dell’omologazione del modo di
“far impresa”, non ne segue necessariamente il superamento delle politiche economiche mirate al
settore agricolo. Queste mantengono in pieno la loro “specificità”, anche se vanno radicalmente
ridisegnate per far fronte alle nuove esigenze di crescita dell’impresa competitiva.
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2. Nascita e sviluppi dell’impresa agricola: uno sguardo d’insieme
La nascita dell’impresa agricola ha preceduto in un certo senso l’avvio dell’economia di mercato, che negli
anni della rivoluzione industriale determinò lo sviluppo dell’impresa industriale. La rivoluzione agraria ha preceduto,
infatti, quella industriale, introducendo un nuovo modo di produzione grazie alla diffusione di tecnologie innovative di
tipo labour saving. Queste alimentarono quel processo di esodo dalle campagne che mise a disposizione del nascente
settore industriale una forza lavoro a basso costo.
Prima dell'introduzione delle innovazioni agronomiche, l'agricoltura si reggeva su un precario equilibrio di
sussistenza: il prodotto veniva realizzato da un'abbondante forza lavoro poco produttiva che consumava ciò che
produceva. L'aumento delle rese ad ettaro, seguito poi dalla crescita della produttività del lavoro, liberò gradualmente
per altri impieghi forza lavoro rurale, resa ridondante per l’applicazione delle nuove tecnologie.
Questo fenomeno, apparentemente negativo, riuscì invece ad innescare un ampio processo di sviluppo,
trasformandosi inaspettatamente in un fattore di crescita economica e sociale.
L'introduzione delle nuove tecnologie agronomiche, non solo favorì la crescita delle produzione agricola, ma
modificò radicalmente le forme di conduzione, imprimendo un carattere capitalistico all’impresa che, per crescere,
doveva realizzare nuovi investimenti e disporre di lavoro specializzato.
Di qui il secondo ed importante fenomeno provocato dallo sviluppo agricolo: lo spopolamento delle campagne
e la crescita abnorme delle città. Ciò ha generato un effetto moltiplicativo sullo sviluppo sia del settore industriale che
di quello agricolo. Nei centri urbani il reddito pro-capite andava aumentando per effetto dello sviluppo industriale;
contestualmente, il desiderio di migliorare la povera dieta alimentare accresceva i consumi alimentari, stimolando
una rapida crescita della produzione agricola.
Mentre, quindi, il primo impulso allo sviluppo dell'agricoltura è stato generato da una crescita autonoma
dell'offerta attraverso l'introduzione di nuove tecnologie agronomiche, il successivo e più persistente stimolo allo
sviluppo venne guidato dalla lunga e continua ascesa della domanda di generi alimentari, secondo uno schema di
sviluppo trainato dai consumi, piuttosto usuale nel capitalismo moderno. Si susseguirono ondate di innovazioni
agronomiche, meccaniche ed anche organizzative, che determinarono nel breve-medio periodo la formazione di surplus
produttivi e la conseguente esigenza di ricercare nuovi mercati di sbocco.
L'agricoltura si andava così affrancando da un sistema sostanzialmente chiuso di autoproduzione per aprirsi alle
nuove regole dello scambio e del mercato.
Fu questo un lungo periodo di sviluppo, che abbracciò la seconda metà del secolo scorso e gran parte del
nostro secolo; una fase ciclica intervallata da crisi profonde ma localizzate, delimitate nella loro durata e spesso
determinate da scelte erronee di politica agraria (come le campagne autarchiche o i velleitari tentativi di pianificare
l'impresa efficiente). In questo secondo periodo la crescita della domanda guidò e stimolò ulteriori progressi tecnologici
in agricoltura nella direzione di un continuo aumento della produttività della terra, nella certezza di poter contare su
un’illimitata crescita dei consumi alimentari. Fu anche un periodo di profonde trasformazioni non solo produttive ma
anche strutturali dell'agricoltura, la quale sia avviava ad assumere caratteristiche nuove di tipo capitalistico nella
direzione di una progressiva integrazione con il settore industriale e commerciale.
Nel nostro paese, dopo i progressi agronomici maturati negli anni '30, l'agricoltura visse una nuova stagione
di sviluppo sul finire degli anni '50, grazie all'introduzione di una gamma di tecnologie, meccaniche e chimiche in
particolare, che stravolsero i modi di produzione. La produzione comincia a crescere in modo significativo, specie nei
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comparti dei seminativi e degli allevamenti, percorrendo anche in Italia sentieri di crescita che si erano affermati nelle
grandi agricolture europee. La diffusione delle innovazioni apriva nuove prospettive all'impresa e alla famiglia che
subiva letteralmente il fascino dei progressi della tecnica. La produzione riusciva a crescere continuamente
indipendentemente dai consumi, i quali invece, per effetto del miglioramento delle condizioni generali di vita,
cominciavano a rallentare la loro corsa. Cominciava, in altri termini, ad emergere a livello macroeconomico una
tendenza all'eccesso di produzione che, in assenza di adeguate politiche agrarie, si tradusse in eccedenze strutturali. Ne
seguì un inevitabile rallentamento dei prezzi, che da allora rappresenterà una tendenza cronica del settore, innescando
continue sfide alla ricerca di strategie competitive. Man mano che si diffondevano le tecnologie e si conquistavano
nuovi obiettivi di produzione, i prezzi internazionali calavano e premevano sui mercati europei i grandi paesi
eccedentari, che al riparo dai conflitti bellici erano riusciti ad ammodernare i propri sistemi di produzione.
Avviandoci alla conclusione di questa breve prospettiva storica, possiamo affermare che se le trasformazioni
tecnologiche fecero compiere all'agricoltura europea i primi passi verso lo sviluppo, affrancando definitivamente le
popolazioni dalla povertà e contribuendo ad innescare una vasta e diffusa crescita economica, successivamente furono
responsabili delle formazione di eccedenze strutturali.
Le innovazioni sono state e sono tutt’oggi fonte di distorsioni nei comportamenti d’impresa e di
preoccupazione da parte dei consumatori.
La sottovalutazione del fenomeno, che già molto tempo addietro Adam Smith aveva paventato in termini di
"dominio della tecnologia", trovò probabilmente terreno fertile nella persistenza di forme di conduzione troppo ancorate
alla produttività della terra e poco a quella del lavoro, con la conseguenza di orientare le scelte prevalentemente su
obiettivi di massimizzazione della produzione più che di massimizzazione del profitto.
Notoriamente, in un’economia di mercato, la crescita dell'impresa competitiva si realizza sotto la spinta della
produttività del lavoro, che assicura un'allocazione efficiente delle altre risorse adeguando costi e ricavi marginali e
spinge l'imprenditore ad innovare continuamente processi produttivi e scelte di produzione. Le agricolture Nord-
americane e Australiane, certo agevolate dalla ricca disponibilità di terra, hanno puntato su quelle innovazioni che
meglio riuscivano a valorizzare la produttività del lavoro, riuscendo a difendere la propria competitività anche sui
mercati internazionali. La strategia orientata sulla produttività del fattore lavoro insegue costantemente soluzioni in
grado di ridurre i costi per unità di prodotto, poco curandosi della quantità prodotta e anche della qualità.
Laddove nelle scelte d’impresa predominano, invece, comportamenti orientati al massimo sfruttamento della
terra (tradizionale risorsa scarsa nel vecchio continente), si privilegia la quantità prodotta, che non necessariamente
coincide con soluzioni di ottimo economico né massimo livello qualitativo. In tal caso le scelte di produzione
risentono solo parzialmente dell’andamento della domanda e finiscono per sfociare in eccedenze strutturali, difficilmente
vendibili.
Due sono i fenomeni che descrivono adeguatamente le conseguenze negative subite dalle
agricolture intensive del fattore terra:
• La propensione al consumo decrescente per i generi alimentari. L'evoluzione dei modelli di consumo,
associata alla crescita delle condizioni di benessere e di reddito disponibile, premia inevitabilmente i
consumi extra-alimentari rispetto a quelli alimentari per motivi fisiologici e di preferenza. La crescita dei
consumi alimentari rallenta e cominciano ad apparire le prime difficoltà di sbocco. Quel fenomeno, che va
sotto il nome di legge di ENGEL, rappresenta una sorta di "campanello di allarme" per l’impresa
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suggerendo l’attenuazione del ritmo di crescita dell'offerta o la diversificazione verso altri prodotti;
un'indicazione, cioè, opposta rispetto alle spinte del progresso tecnico orientato al fattore terra.
L'evidenza empirica fornisce ampie conferme di questa legge in tutti quei paesi che si avviano a superare
la soglia dell’autosufficienza alimentare.
Per sfuggire a tali strozzature di mercato, l’impresa dovrebbe accentuare la propria sensibilità verso altre
innovazioni che consentano di perseguire obiettivi coerenti con l’efficienza economica, come la
diversificazione e la segmentazione delle produzioni e il loro miglioramento qualitativo.
• L’instabilità dei prezzi di mercato. Un’altra componente di incertezza per l’agricoltura intensiva deriva
dalla tendenziale oscillazione dei prezzi in assenza di regolamentazione pubblica. A causa della minore
elasticità-prezzo dell’offerta rispetto alla domanda, una lieve variazione del prezzo (dovuta ad uno shock
esterno) si traduce nel tempo in un’oscillazione crescente, a causa dell’adattamento ritardato dell’offerta
alla domanda. L’impresa agricola subirebbe fluttuazioni crescenti nel livello del prezzo che, accrescendo il
grado di incertezza, stimola l’aumento dell’offerta.
Ben si comprende, quindi, come il tema delle innovazioni abbia attratto l’interesse degli
studiosi nel tentativo di spiegare le ragioni di una forse azzardata pretesa di “specificità” del
comportamento delle imprese agricole rispetto alle altre imprese.
3. Evoluzione del dibattito scientifico sulla "diversità" dell'impresa agricola
Il dibattito sull'impresa agricola affascina da sempre gli economisti agrari, tanto da coinvolgere la natura stessa
dell’economa agraria dai suoi albori fino ai giorni nostri. Il tentativo di interpretare le logiche che presiedono al
comportamento dell'impresa e che muovono l'imprenditore nelle sue scelte aziendali si è evoluto lungo una
speculazione scientifica che ha cercato da una parte di evidenziare le specificità del modo di produzione agricola e
dall'altro di reinterpretare, adattare e finanche modificare la teoria convenzionale dell'impresa. Ed è in tal senso che gli
studi di economia agraria, in particolare quelli riguardanti i sistemi di gestione, si sono evoluti nell'intento di
influenzare i comportamenti imprenditoriali verso schemi di controllo e di orientamento razionale delle scelte
strategiche.
L’affermarsi della tesi “normativa”
Le considerazioni e le argomentazioni dei primi studiosi dell’impresa agricola ebbero un’influenza rilevante
sulla società rurale e sulle scelte di politica agraria.
L’impostazione normativa e' stata inizialmente sviluppata per interpretare il comportamento del proprietario
fondiario nel suo obiettivo di realizzare la massima remunerazione possibile del proprio capitale fondiario, comparabile
con quella di eventuali impieghi alternativi. Con Serpieri si consolida un’interpretazione delle scelte d'impresa, o
meglio di azienda, orientata alla determinazione del beneficio fondiario.
La tesi che allora si affermò, influenzando non solo il sistema di gestione ma anche di valutazione dei beni
attraverso il catasto tuttora in vigore, offriva una spiegazione duplice dell'attività' agricola: da un parte orientata alla
salvaguardia e valorizzazione della proprietà terriera (da cui deriva il reddito fondiario) e dall'altra spinta alla produzione
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di beni vendibili (da cui il reddito agrario). La concezione iniziale orientata esclusivamente sull'azienda come proprietà
fondiaria, si andò gradualmente evolvendo verso una visione aperta anche ad altri tipi di impresa che utilizzavano la
terra come fattore di produzione. Lo sviluppo di queste nuove forme di conduzione, come l'affittanza capitalistica,
l'affittanza contadina, la proprietà coltivatrice, spinse gli economisti agrari ad adattare lo schema interpretativo di
Serpieri alle nuove esigenze.
Il dualismo strutturale
Le profonde diversità che caratterizzavano il comportamento delle aziende dotate di capitale proprio (fondiario e
monetario) rispetto alle altre agevolò la nascita del dibattito sul dualismo dell'impresa agricola, certo più veritiero
rispetto alla sterile discussione che animò le discussioni tra i sostenitori della visione normativa e di quella positiva
(Bandini). Alle forme di produzione contadina si affiancano quelle capitalistiche, aprendo nuovi orizzonti all'analisi del
comportamento aziendale. Ed in questa occasione che si sviluppa un profondo interesse scientifico verso lo studio delle
conseguenze che le diverse forme d'impresa possono avere sulle scelte economiche. La diversa predisposizione
all'utilizzo delle innovazioni (meccaniche, organizzative), il diverso accesso al mercato dei capitali, la diversa
predisposizione al rischio delineavano prospettive di comportamento in certo senso alternative:
• l'azienda contadina, caratterizzata dalla manualità dell'operatore (coltivatore diretto), orienta le proprie scelte al
reddito familiare, privilegiando tecniche labour intensive e sottovalutando il costo del lavoro familiare;
• l'azienda capitalistica, caratterizzata dalla divisione tra la figura del produttore e quella dell'imprenditore,
predilige tecniche capital intensive e dovrebbe mirare al massimo profitto, come reddito d'impresa.
Tra queste forme estreme si svilupperanno forme intermedie, in cui l'impegno lavorativo sulla terra
sarebbe stato variamente articolato con quello di imprenditore.
L'insufficienza interpretativa del modello convenzionale: l’approccio evolutivo
L'analisi della nuova impresa capitalistica attrae in particolare l’attenzione degli economisti
agrari, che cercano di spiegare le ragioni di un comportamento non proprio analogo a quello di una
qualsiasi altra impresa. L'elemento di disturbo e' rappresentato dal fattore terra, ossia dalla sua
rigidità e inamovibilità come caratteristiche responsabili di un comportamento di razionalità limitata,
per ciò stesso non perfettamente compatibile con quello di un'impresa industriale.
Su questi aspetti nasce un lungo dibattito, in parte ancora esistente, che è alla base della
pretesa specificità dell'impresa agricola, anche di quella capitalistica, con un taglio che tradisce -a
nostro avviso- le origini normative della disciplina.
Le due questioni di fondo riguardano i condizionamenti del progresso tecnologico e l’argomentazione della
razionalità limitata.
Paradossalmente il progresso tecnologico, specie quello connesso alle innovazioni agronomiche, sembra
alimentare un illogico ed insensato processo di scelta da parte dell’operatore agricolo. A fronte di un rallentamento della
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domanda, l'offerta agricola continua a crescere nella convinzione di poter neutralizzare l'inevitabile tendenza depressiva
dei prezzi con un'espansione della quantità prodotta. L'obiettivo dell'impresa si sposta, quindi, dalla massimizzazione
del profitto a quella della massimizzazione del ricavo totale, mettendo in moto un circolo vizioso in cui una
tendenziale situazione di eccesso di offerta preme costantemente sui mercati e determina flessioni dei prezzi agricoli
ancora più rapide. La corsa alla crescita delle rese, alla massimizzazione della quantità prodotta indipendentemente dalla
sua qualità, appare così una via obbligata per quell'impresa che privilegia un progresso tecnico unicamente rivolto
all'aumento delle rese. E così il progresso tecnico, da cui normalmente si attendono effetti benefici economici, può
diventare fattore di gravi e crescenti squilibri che deprimono le condizioni economiche dell'impresa agricola,
costringendola in una spirale di crescente dipendenza tecnologica ed economica dagli altri settori.
L’attenzione del dibattito si rivolge, quindi, all’incapacità del modello convenzionale di interpretare il
comportamento dell’impresa agricola, che sarebbe caratterizzata da una notevole eterogeneità nei comportamenti.
Il modello neoclassico assume, infatti, l’esistenza di un progresso tecnico neutrale non incorporato nelle dosi
dei fattori impiegate nel processo produttivo, che permette la valutazione separata della produttività generata da singoli
fattori (terra, capitale e lavoro) rispetto a quella provocata dal progresso tecnico. Questa, secondo le ipotesi
neoclassiche, imprime alla produzione una crescita a rendimenti di scala decrescenti, che solo nel tempo innalza le
possibilità di produzione per effetto dell’introduzione di nuove e più efficienti tecniche di produzione.
L’osservazione delle distorsioni provocate dalle innovazioni in agricoltura ha spinto gli studiosi alla ricerca di
migliori paradigmi interpretativi, che offrissero spiegazioni esaurienti degli effetti delle innovazioni.
L’approccio evolutivo introduce nella teoria dell’impresa due elementi di novità: il concetto
di varietà, che rispecchia le diversità insite nel modo di produzione agricola e quello della razionalità
limitata.
Il primo, la varietà, ha lo scopo di accreditare l’esistenza di modalità tra loro diverse di interpretare le scelte
d’impresa a seconda delle capacità insite nella figura dell’operatore agricolo. Il riferimento specifico può essere rivolto
alle due principali tipologie di azienda capitalistica e di azienda familiare o contadina.
La razionalità limitata descriverebbe invece il processo di formazione delle scelte d’impresa quando le
innovazioni spingono verso l’accumulazione di eccedenze strutturali. La spiegazione offerta si riferisce al
comportamento di un’impresa che adotta forme di conduzione di tipo intensivo.
• L’introduzione di innovazioni agronomiche, capital intensive, spingono all’intensificazione colturale e
inducono una bassa sensibilità della produzione ai segnali del prezzo, specie in periodi di sua flessione.
• La riduzione del prezzo per le produzioni divenute mature in una certa fase di sviluppo è peraltro una
tendenza ineluttabile per effetto del rallentamento della crescita della domanda (legge di Engel). Effetti-
prezzo e reddito si cumulano in una prospettiva di formazione di eccedenze produttive e di oscillazione dei
prezzi verso il basso.
• Le scelte d’impresa si orientano verso la crescita della produzione per due ragioni principali: a) per
alleggerire il peso dei costi fissi, espandendo l’impiego di fattori variabili, il cui costo si riduce per effetto
del progresso tecnico; b) per effetto di una sorta di illusione di compensare le perdite dovute alla flessione
del prezzo con un aumento dell’offerta. Ciò contribuisce ad accelerare la riduzione dei prezzi.
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• D’altra parte le scelte dell’impresa agricola non influenzano in modo significativo i mercati a causa della
prevalenza di forme di mercato non concorrenziali. L’agricoltura subisce i prezzi dei fattori produttivi
senza poter influenzare quelli dei prodotti venduti. Si trova nel complesso compressa in un mercato non
concorrenziale che, nei rapporti a monte con i settori fornitori di inputs, presenta una struttura di tipo
olipololistico e, nei rapporti a valle con il mercato dei prodotti, una struttura olipsonistica .
• Ne segue che all'obiettivo del profitto l'impresa capitalistica ed intensiva sostituirebbe la massimizzazione
del ricavo totale, ottenibile solo attraverso la crescita della produzione, data l'impossibilità di influenzare
il livello dei prezzi.
• Infine, la spinta all'intensificazione colturale trascina i costi marginali verso l’alto e può
tradursi in perdite inattese che, se durature, possono indebolire la struttura economica
dell’impresa fino a provocarne la sua espulsione dal mercato (marginalizzazione
produttiva).
In conclusione si arriva a sostenere che l'impresa agricola intensiva tende ad espandere produzione e rese, sia
in situazioni di prezzi crescenti, sia in periodi (peraltro più frequenti) di prezzi reali declinanti provocando, in tal
caso, l’espulsione delle realtà aziendali più deboli. Il sostegno pubblico dei prezzi esalterebbe queste distorsioni per
l'inevitabile stimolo alla crescita degli investimenti.
Solo nel lungo periodo la curva dell'offerta potrebbe diventare più elastica rispetto al prezzo e al reddito, come
conseguenza dell’introduzione di innovazioni orientate a modificare la struttura dei fattori fissi.
Questa tendenza metterebbe in moto un circolo vizioso spinto da comportamenti irrazionali che, accelerando la
tendenza naturale del mercato alla riduzione dei prezzi di molti generi alimentari, può provocare, in assenza di interventi
pubblici compensativi, la crisi delle imprese più deboli, incapaci di ridurre i costi per unità di prodotto; ossia:
riduzione dei prezzi relativi- aumento delle rese(e rallentamento dei consumi)
eccesso di offerta ulteriore riduzione dei prezzi marginalizzazione
Oltre a comportamenti distorsivi sul piano economico, la tendenza all’intensificazione colturale conduce
inevitabilmente ad un maggior sfruttamento delle risorse naturali e ad un crescente impiego di mezzi chimici ad elevato
impatto ambientale; elementi questi che l'allontanano dalla sostenibilità ambientale. Al contrario per tendere alla
sostenibilità ambientale, l'agricoltura dovrebbe accrescere le produzioni di qualità, utilizzare in modo equilibrato le
risorse tutelandone la disponibilità intertemporale, ed essere nel contempo profittevole. Dovrebbe in altri termini essere
in grado di valutare i margini di compatibilità tra obiettivo economico ed obiettivo ambientale, indipendentemente dal
perseguimento dell’obiettivo agronomico.
Le intuizioni del modello di crescita endogena
Una delle più significative critiche al modello convenzionale ed al tempo stesso una delle più brillanti
intuizioni sugli elementi che presiedono alla crescita di qualsivoglia tipo di impresa è dovuto alla teoria della crescita
endogena.
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La crescita dell’impresa si ritiene sia alimentata da un processo continuo di applicazione di innovazioni che
migliorano la qualità del lavoro (capitale umano), il quale diventa l’artefice primo della crescita della produzione per
effetto della ricaduta (spill-over) sulla produttività del lavoro derivanti dal suo miglioramento qualitativo, indotto
dalle innovazioni, e dagli effetti esterni (esternalità) che si propagano nella società civile e nell’ambiente circostante.
Per questo motivo la crescita del prodotto può procedere anche a rendimenti crescenti. Il progresso tecnico diventa
endogeno e incorporato nel fattore lavoro. Proprio per questa ragione, il tasso di crescita della produzione può essere
diverso a seconda del miglioramento del capitale umano e della ricettività dell’ambiente esterno.
La crescita endogena sembra offrire una spiegazione esauriente del fatto che non tutte le imprese, e non tutti
sistemi economici, si comportano allo stesso modo. Se le reazioni alle scoperte tecnologiche sono diverse, se diverso è
il loro impatto sul lavoro, diversi saranno anche i tassi di crescita.
Le diversità non dipenderebbero tanto dall’esistenza di modi diversi di produzione ma dalle diversità di
dotazione di capitale umano presenti in un’impresa in un certo momento.
4. La tendenza ad omologazione nei modi di produzione
La diffusione delle innovazioni, da un lato, e l'apertura dei mercati, dall'altro, spingono all'omologazione del
modo di far impresa sia all'interno del settore agricolo ma anche a livello intersettoriale. Laddove il processo non
appare ancora compiuto, è possibile comunque riconoscerne e verificarne empiricamente le tendenze in atto. I freni ed i
ritardi sono in parte dovuti a carenza di informazioni adeguate sulla ricaduta dell'applicazione delle innovazioni: una
sorta di asimmetria informativa che avvantaggia i produttori di tecnologie rispetto agli utenti.
Le nuove tecnologie dell’informazione offrono, infatti, alle imprese opportunità innovative che le spingono
verso un sentiero di crescita alimentato da un progresso tecnico endogeno, incorporato nella qualità del capitale umano.
Ogni impresa, secondo le forze e le conoscenze di cui dispone, persegue fondamentalmente l’efficienza economica con
capacità di ottenere risultati ovviamente diversi.
Anche l’impresa agricola si comporta allo stesso modo di qualsiasi altra impresa ed i residui vincoli che la
caratterizzano (terra e clima) appaiono notevolmente ridimensionati perché sempre più trasformabili in costi
variabili, grazie all’applicazione delle moderne tecnologie e alle strategie di difesa competitiva adottate dalle imprese
stesse. In molti casi, anzi, le apparenti componenti di rigidità si trasformano in elementi di ulteriore valorizzazione
per la loro capacità di generare, diversamente dalle attività industriali, effetti esterni positivi a favore della
collettività.
Di conseguenza, non più possibile ragionare in termini di divari strutturali tra le diverse
tipologie di impresa, con le efficienti azienda capitalistiche da un parte e le piccole ed inefficienti
aziende familiari dall’altra. Tutte le aziende che “fanno impresa” sono motivate dall’obiettivo del
massimo profitto, compatibilmente con la dimensione del proprio asset. Anche l’impresa-famiglia è
oggi un’unità di produzione e consumo, che impiega in parte lavoro familiare sulla base della sua
produttività, operando scelte aziendale in termini di costo-opportunità. In altri termina remunera il
lavoro interno come se fosse acquisito all’esterno dell’azienda.
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Lo scenario di riferimento in cui opera l’impresa agricola è quello del mercato, integrato da
misure di politica agraria.
Le differenze tra le imprese non riguardano il modo di produrre ma, come naturale, la capacità
di raggiungere condizioni di efficienza e di reddito comparabile, le quali si realizzano o meno
indipendentemente dalla forma di conduzione. Gli elementi discriminanti l’impresa-famiglia sono,
quindi,di due tipi:
• la dimensione economica dell’impresa, che consente di distinguere quelle tipologie
(povere di risorse, di pensionati, residenziali e comunque di piccola dimensione) per le
quali i sussidi e i trasferimenti rappresentano una parte determinante della formazione del
reddito globale dalle vere tipologie imprenditoriali per la quali gli introiti di mercato
rappresentano la parte più conisistente del reddito;
• la qualità del capitale umano investito nell’impresa, che permette di esaltare la
produttività del lavoro e la diversificazione delle attività aziendali.
Questo approccio all’eterogeneità dell’impresa-famiglia in base alla sua dimensione conduce
ad un’articolazione delle tipologie aziendale in due grandi categorie: piccole imprese da una parte,
scarsamente dotate di risorse fisiche e umane, e dall’altra di imprese medio-grandi, più in dotazione
di assets:
• Piccole imprese , comprendenti quelle unità ove l’imprenditore esplica la sua attività prevalentemente
all’esterno dell’azienda o è pensionato o, ancora, non esercita alcun lavoro agricolo (agricoltura
residenziale).
• Imprese medio-grandi, che differiscono tra di loro per le dimensione del fatturato o anche perché gestite da
società o cooperative.
Le componenti che insieme permettono all’impresa-famiglia di diventare “vera impresa” in termini di e risorse
a disposizione e la qualità del capitale umano effettivamente utilizzata a livello aziendale. In tal caso l’impresa trova la
sua strategia per competere sul mercato, scegliendo mix di produzioni e di attività sulla base del costo-opportunità,
ossia comparando la redditività degli investimenti rispetto ad altre possibili alternative.
5. I “segnali” della omologazione del modo di far impresa in agricoltura
Nelle agricolture avanzate la figura dell’operatore non appare più discriminante del modo di “far impresa”.
Quello che conta è la dimensione economica e la scelta di valorizzare il capitale umano, che alimenta la crescita della
produttività del lavoro e, quindi, la crescita economica dell’impresa.
Nell’agricoltura americana, ove le innovazione sono state più che in Europa orientate all’aumento della
produttività del lavoro, si verifica che ben 4 tipologie aziendali su 7, classificate nel 1997, dispongono di un reddito
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globale superiore alla media (circa 64 mila dollari), una sola tipologia (grandi aziende) raggiunge un livello quasi
doppio e quella delle aziende grandissime supera di ben quattro volte la media. Man mano che cresce la dimensione
economica, aumenta anche il reddito di provenienza agricola fino a rappresentare l’82,3% del reddito medio globale
(aziende di grandissime dimensioni). Tra le due variabili vi è quindi una correlazione positiva.
Invece, risulta abbastanza chiaramente che l’andamento del reddito extra-agricolo (compresi i trasferimenti) è
correlato negativamente con la dimensione economica, ossia l’incidenza del reddito extra-agricolo su quello totale
diminuisce all’aumentare della dimensione economica delle aziende (da un massimo del 137% per le aziende con risorse
limitate ad un minimo del 17,67% per le aziende di grandissima dimensione). Quest’ultima osservazione è a riprova
del fatto che solo per le aziende “fuori mercato” (le prime quattro tipologie) i trasferimenti pubblici sono la principale
voce di entrata, mentre per le imprese medio-grandi e grandissime (ultime tre tipologie) è il mercato a fornire i
maggiori introiti.
Tabella 1. Reddito medio aziendale per tipologia d’impresa (dollari)
Tipologie di impresa-famiglia
Redditomedio globale
Reddito medio daattività agricola (% sureddito globale medio)
Reddito medio extra-agricolo (compresi i
trasferimenti)(% su reddito globale
medio)
1. risorse scarse 8.605 -3.229 (-37,5) 11.833 (137,51)
2. pensionati 40.515 1.157 (2,9) 39.358 (97,14)
3. residenziale 65.758 -3.668 (-5,6) 69.426 (105,58)
4. piccola dimensione economica 34.132 1.216 (3,6) 32.917 (96,44)
5. media dimensione economica 50.964 22.048 (43,3) 28.916 (56,74)
6. grande dimensione economica 79.693 45.233 (56,8) 34.460 (43,24)7. grandissima dimensione econ.
(società e cooperative) 205.323 169.034 (82,3) 36.289 (17,67)
Tutte le imprese 52.562 6.204 46.357
Fonte: USDA, 1997
Anche in Italia le tendenze sono similari e dimostrano una stratificazione delle tipologie aziendali per
dimensione economica. Diversi sono stati gli elementi che hanno influenzato la profonda trasformazione subita
dall’impresa agricola nel suo cammino verso il mercato a partire dagli anni ’90, molto ben registrata dal disegno delle
nuova agricoltura italiana effettuato dall’inchiesta condotta dall’ISMEA nel 1995 sulle aziende con una dimensione
economica superiore a 4 Ude (pari a 6,7 milioni di lire). Tale criterio permette l’esclusione di quelle imprese con un
livello di attività del tutto marginale.
Nella successiva tabella 2 è riportato il peso percentuale di ciascuna tipologia d’impresa
nell’indagine campionario sulle aziende con più di 4 Ude. Dall’analisi dei dati emerge che la tipologia
d’impresa con un peso maggiore è quella “Media dimensione economica” (ben il 40% delle imprese
totali), seguita dalla tipologia “Grande dimensione economica” (26,1% del totale) ed infine da quella
“Piccola dimensione economica” (11,38%). Ruolo del tutto marginale hanno le tipologie d’impresa
13
“Pensionati” (2,39% del totale), “Risorse scarse” (7,02%), “Residenziale” (circa 8%) e infine
“Società e cooperative” (5%).
Tabella 2. Distribuzione delle imprese italiane per tipologia
TIPOLOGIA D'IMPRESA AGRICOLAFAMILIARE %
Risorse scarse 7,02
Pensionati 2,39
Residenziale 7,97
Piccola dimensione economica 11,38
Media dimensione economica 40,14
Grande dimensione economica 26,10
Società e cooperative 5,00
Totale 100,00
Nel complesso, risulta prevalente il peso delle medie e grandi aziende.
L’indagine interpreta il comportamento dell’impresa agricola come luogo di produzione e di consumo, ove
l’impresa agricola ha uguali opportunità di crescita economica e sociale se confrontata con quella degli altri settori
dell’economia. L’analisi considera che le scelte dell’impresa agricola siano fondate su criteri analoghi a quelli di
qualsiasi altra impresa, ossia sul costo di opportunità dell’allocazione delle risorse in agricoltura rispetto a possibili
alternative extra-agricole. L’interpretazione è analoga a quella adottata dall’USDA.
Dall’indagine risulta un quadro dell’agricoltura italiana articolato in 7 tipologie (tabella 3), in
gran parte confrontabili con analoghe articolazioni esistenti nei sistemi agricoli avanzati, 6 di queste
riferibili ad imprese-famiglia ed 1 ad imprese non familiari (società e cooperative). Queste tipologie
sono orientate a catturare le diversità strutturali, le condizioni sociali ed economiche dei diversi
gruppi.
14
Tabella 3. Definizione delle tipologie di Impresa agricola familiare
Risorse scarse
Piccole aziende con reddito familiare globale
derivante per la maggior parte da trasferimenti
e da attività agricola. Il reddito extra-agricolo
risulta di minore importanza.
Pensionati
Piccole aziende con titolari in pensione, dove
la totalità del reddito proviene da trasferimenti
(pensioni), mentre l’attività agricola provoca
una perdita di reddito
Residenziale
Piccole aziende dove gli operatori non sono in
pensione ma hanno occupazione primaria in
altre attività economiche.
Piccola dimensione economica
Piccole aziende con reddito derivante
principalmente da trasferimenti e parte da
attività extra-agricola.
Composizione del Reddito Globale Familiare ( Risorse scarse)
0
1020
30
40
5060
70
80
90
100
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito da
Trasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
Composizione del Reddito Globale Familiare ( Pensionati)
-20
0
20
40
60
80
100
120
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito daTrasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
Composizione del Reddito Globale Familiare (Residenziale)
0
10
2030
40
50
60
70
80
90
100
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito da
Trasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
Composizione del Reddito Globale Familiare (Piccole)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito da
Trasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
15
(continua Tab.3)
Media dimensione economica
Imprese medie con reddito derivante quasi
esclusivamente dall’attività agricola.
Grande dimensione economica
Imprese di grandi dimensioni dove il reddito
globale deriva principalmente dall’attività
agricola si riduce il reddito extra-agricolo
rispetto a quella di Media dimensione, ma
aumenta quello da trasferimenti.
Composizione del Reddito Globale Familiare (Medie)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito daTrasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
Composizione del Reddito Globale Familiare (Grandi)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Reddito Agricolo Reddito Extra-agricolo Reddito da
Trasferimenti
Tipologia di reddito
Pe
rce
ntu
ale
16
Per le categorie di imprese medie e grandi il reddito proviene prevalentemente dal mercato, in
misura secondaria da remunerazioni non legate all’impiego lavorativo (ossia sussidi) e solo in modo
marginale da remunerazioni dal lavoro effettuato all’esterno dell’agricoltura. Per le altre imprese
(piccole, marginali) il reddito proviene essenzialmente dai sussidi.
Nonostante la tendenza all’omologazione, tuttavia, l’impresa agricola italiana resta piccola e frammentata sotto
il profilo economico e strutturale, anche se è cresciuta la sua capacità tecnologica e produttiva. I divari territoriali
restano elevati: il Sud ha un valore aggiunto inferiore alla metà di quello del Nord (per precisione il 43%) e raggiunge
un profitto lordo inferiore al 30% di quello del Nord, in entrambi i casi si colloca nettamente al di sotto delle medie
nazionali. Il Centro non brilla, ma si assesta sui valori medi nazionali. Predomina ancora la forma di conduzione
tradizionale (imprenditore singolo, famiglia o società di fatto), che non sempre riesce a comportarsi come impresa.
Pur continuando ad espellere manodopera, il valore aggiunto per addetto raggiunge appena gli 8 milioni in
media a fronte dei 42 milioni di un’impresa manifatturiera. Sono in aumento le imprese medio-grandi e le società di
capitale (queste solo rappresentano il 3,6% delle aziende), le quali nel loro insieme raggiungono livelli di fatturato, di
margine operativo, di valore aggiunto circa sei volte più elevati rispetto alle altre aziende e superiori addirittura a quelli
industriali.
Anche nel nostro paese sembra emergere una chiara tendenza ad una eterogeneità legata alla dimensione
economica dell’impresa ed alla qualità del lavoro in essa impiegato.
6. Sfide competitive e strategie di crescita dell’impresa
Molte sono le sfide competitive che sovrastano le piccole e medie imprese, ossia quell’ampia categoria entro
cui ricade anche l’impresa agricola. Oltre a quelle tradizionali, dovute –lo ricordiamo- alla riduzione degli sbocchi nei
mercati avanzati, al rischio di nuove fluttuazioni dei prezzi, all’ingresso di nuovi competitori avvantaggiati da costi di
produzione più contenuti, se ne aggiungono altre che richiedono un affinamento delle strategie ed un tempestivo
adeguamento della politica agraria.
• Introduzione della moneta unica. Il passaggio all’Euro, unificando prezzi e costi, accentuerà
ulteriormente i divari di sviluppo per il semplice motivo che indurrà uno spostamento di investimenti ed
occupazione verso le aree ed i settori forti, dotati di maggiore produttività e capaci di ridurre i costi per
unità di prodotto. Le imprese non potranno più contare sulla svalutazione e dovranno necessariamente
puntare sulla produttività dei fattori e sulla qualità dei prodotti. La politica dovrà stimolare una più
efficiente allocazione delle risorse, ridurre i costi esterni migliorando l’efficienza della pubblica
amministrazione, potenziare la formazione ed i servizi per i capitale umano.
• La globalizzazione. L’introduzione e la diffusione di nuove tecnologie permette alle imprese di frazionare
i processi produttivi in luoghi diversi e agevola l’investimento estero in aree più attraenti per costi e
17
affidabilità. La globalizzazione delle tecnologie e della produzione richiede capacità di adeguare tecniche
di produzione e prodotti alle esigenze dei mercati locali e internazionali.
• La liberalizzazione dei mercati. La pressione internazionale per ridurre le barriere tariffarie e non tariffarie
agli scambi commerciali accentuerà la competizione internazionale, anche se renderà più visibili le
differenze tipologiche tra i prodotti.
• La lotta alla fame e alla povertà. Le pressanti necessità alimentari di più di 1/3 della popolazione
mondiale suggeriscono nuove vie per aprire la strada alla collaborazione e al partenariato tra le imprese
dei paesi avanzati e quelle dei paesi in via di sviluppo.
E’ necessario promuovere strategie innovative nelle scelte dell’impresa agricola, adeguando e innovando la
politica agraria.
Valutazione economica dell’impatto delle innovazioni
In generale il progresso tecnico tende sempre più ad adeguarsi alle esigenze della domanda effettiva di
innovazioni e cioè dei fabbisogni espressi dalla parte più avanzata dell'agricoltura; ma, come abbiamo visto, punta
sull'ottenimento di risultati agronomici sempre migliori, poco curandosi delle conseguenze economiche derivanti
dall'aumento dell'offerta.
La valutazione degli effetti economici dovrebbe rappresentare una preoccupazione prevalente per le imprese
agricole, le quali dovrebbero essere indotte ad adottare le innovazioni non tanto per i benefici attesi sul piano tecnico,
quanto per i vantaggi economici ad esse conseguenti in termini di riduzione di costi o anche di possibile aumento dei
ricavi Mentre però il singolo agricoltore è in grado di apprezzare direttamente gli effetti tecnici ed agronomici, non
sempre è altrettanto capace di valutarne le conseguenze economiche, le quali invece richiedono informazioni più
complesse sul comportamento di tutti gli operatori del settore.
Riduzione dei costi per unità di prodotto
La strategia più comune di crescita della competitività riguarda, secondo la teoria economica, la riduzione dei
costi per unità di prodotto, ossia la possibilità di realizzare produzioni competitive anche in regime di costi unitari
elevati (come avviene nei paesi avanzati) ma a condizione che la produttività fisica sia molto elevata. La combinazione
tra costi e produttività dei fattori si misura in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, che consente
all'impresa di seguire l’andamento della propria capacità competitiva.
L'esempio più illuminante è quello statunitense, ove livelli di remunerazione elevati (anche se
il costo totale del lavoro è più contenuto di quello medio europeo) si combinano con produttività del
lavoro ancora più elevate, conferendo al sistema notevoli margini competitivi.
18
Strategie del genere possono essere adottate solo da imprese mature e di elevate dimensioni,
in grado di ottenere, grazie alle economie di scala e all'organizzazione interna, una forte crescita della
produttività fisica del lavoro.
Valorizzazione della qualità
Un’altra strategia, complementare alla precedenza, consiste nel puntare sulla valorizzazione
della qualità per esaltare opportunità che già esistono e che non vengono opportunamente sfruttate
nelle agricolture più vocate, come quella italiana. Ci riferiamo in particolare alla qualità delle nostre
produzioni agricole, che pur se ampiamente apprezzata sui mercati non riesce a tradursi in aumenti
di reddito per i nostri agricoltori. Il valore aggiunto generato dalle nostre produzioni è spesso
catturato da imprese di trasformazione o catene di distribuzione, privando l’impresa agricola di fonti
aggiuntive di reddito e di occupazione che le sono proprie.
La gran parte delle produzioni agricole, in particolare quelle mediterranee, celano
caratteristiche qualitative peculiari che rispecchiano tipicità fatte di particolari vocazionalità
agronomiche e di ingegno umano frutto di ricche tradizioni locali. Dal grano duro, agli agrumi,
all’ortofrutta, all’uva da tavola e da vino, all’olivo da olio e da mensa si prospettano potenzialità
qualitative non ancora sufficientemente valorizzate che rischiano di perdersi nella difficoltà di
mantenere in vita sistemi di produzione complessi non sempre compatibili con le moderne tecniche
di coltura.
Viene da chiedersi per quale motivo l’impresa dovrebbe puntare sulla qualità quando non vi è
certezza di spuntare migliori condizioni sui mercati e quando (ma solo le più fortunate) riescono a
stipulare contratti di coltivazione con società di trasformazione e distribuzione che forniscono parte
dei mezzi di produzione e ritirano poi tutta la produzione. E, ancora, come “produrre qualità” in
presenza di una scarsa propensione associativa e di un basso potere contrattuale delle attuali
associazioni di produttori? Non sono certo ammissibili produzioni di qualità senza riscontro di
mercato o limitate a poche ed isolate nicchie.
La risposta a questi quesiti è abbastanza semplice, anche se l’attuazione è molto complessa.
La qualità rappresenta forse la principale opportunità che ha l’agricoltura moderna per
competere su mercati sempre più liberi e sempre più aggrediti da competitori che puntano sulla
19
quantità a bassi costi. La qualità diventa perciò l’elemento determinante e distintivo di un prodotto
sul mercato, introducendo un nuovo fattore di competizione molto apprezzato dal consumatore.
Qualità significa miglioramento organolettico e nutrizionale del prodotto, realizzabile
attraverso innovazioni di processo e di prodotto non facilmente imitabili. Le peculiarità dei
microclimi e delle tradizioni italiane non sono, ad esempio, esportabili né ripetibili in altri ambienti.
La qualità in altri termini, se riflettente condizioni reali delle aree di origine, diventa elemento
di diversificazione e di segmentazione di un prodotto sui mercati. Il consumatore si abitua a
considerare come prodotti diversi, beni caratterizzati da livelli qualitativi diversi, proprio perché
riflettono utilizzi diversi. Ed è per questo motivo che la qualità spunta sul mercato prezzi maggiori e
apre la strada alla valorizzazione delle produzioni, a condizione tuttavia che gli operatori riescano a
trattenerne i benefici.
La ragione del limitato successo della strategia orientata alla qualità va ricercata nell’elevato
rischio produttivo e commerciale ad essa associato; rischi che non hanno trovato adeguata copertura
locale, costringendo gli operatori a rinunciare a gran parte del valore aggiunto a favore di gruppi
industriali e distributivi meglio organizzati.
Trattenere i benefici potenziali delle nostre produzioni di qualità non è certo facile e ha
trovato ostacoli, oltre che nella scarsa predisposizione al rischio da parte degli operatori, nella
ridotta efficacia dell’azione pubblica nel suo complesso.
Sono proprio i comparti mediterranei (ortofrutta, olio) ad avere più bisogno di politiche
orientate alla valorizzazione della qualità per contrastare sia la riduzione della propensione al
consumo che accentua inevitabilmente la concorrenza sui mercati di sbocco, sia per l'agguerrita
concorrenza internazionale da parte di nuovi produttori a bassi costi di lavoro ed orientata su
produzioni facilmente imitabili e di basso livello di qualità. Diversamente dai comparti continentali,
il valore delle produzioni mediterranee nel nostro paese sono in rallentamento per effetto della
riduzione dei prezzi alla produzione (orticoli, agrumi, olio) o per incrementi di produzione eccessivi
rispetto alle capacità di assorbimento (frutta, vino).
La necessità di innovare profondamente le politiche economiche per le aree depresse
rappresenta l’occasione per richiamare l'attenzione delle imprese sulla necessità di investire in
qualità, esaltando per questa la competitività della nostra agricoltura.
20
Tra le possibili soluzioni, intendiamo soffermare l’attenzione su:
• una maggiore diffusione e riconoscimento internazionale dei marchi di qualità comunitari (dop, igp);
• la promozione della qualità totale di filiera, attraverso anche la diffusione dei marchi commerciali
(volontariamente promossi e adottati da singoli operatori o da gruppi organizzati di produttori agricoli);
• una capillare organizzazione e gestione dei sistemi di controllo e certificazione;
• un’introduzione di sistemi in grado di coprire i rischi di mercato e ambientali della qualità, incentivando
comportamenti coerenti e introducendo efficaci meccanismi di copertura assicurativa.
Esternalizzazione di fasi della produzione
L’analisi dei fattori interni ed esterni all'agricoltura è di fondamentale importanza per
l’impresa sia per decidere quali attività esternalizzare sia per cogliere occasioni innovative esterne da
inglobare nelle fasi di produzione.
L’accesso alle moderne tecnologie di produzione e di commercializzazione permette alle
imprese più innovative di partecipare attivamente alla competizione trasferendo all’esterno diverse
fasi che prima dovevano essere necessariamente svolte nell’ambito aziendale, imponendo dimensioni
aziendali molto elevate. Esternalizzando attività riguardanti fasi della produzione (contoterzismo), la
concentrazione dell’offerta, le modalità di commercializzazione (contrattazioni su base di standard
qualitativi), alcune operazioni di controllo delle procedure di produzione, l’impresa riesce a ridurre
l’incidenza dei costi fissi per trasferirli in costi variabili.
L’impresa diventa, quindi, più flessibile e può competere sul mercato anche restando di
piccole dimensioni.
Internalizzazione di servizi a valore aggiunto
L'impresa moderna, oltre ad esternalizzare diverse attività e servizi allo scopo di ridurre la
dipendenza dai costi fissi, internalizza molte funzioni tecnologiche ed organizzative allo scopo di
accrescere il valore aggiunto.
La funzione di internalizzazione interessa solo la parte più avanzata e dinamica delle imprese
(talvolta anche piccole), trainando la crescita dell'intero settore.
Le principali funzioni internalizzabili possono essere individuate nelle funzioni di seguito
esposte.
21
• Tecnologie a valore aggiunto. Il progresso tecnologico in agricoltura ha raggiunto livelli
molto avanzati che investono molteplici aspetti sia di processo che di valorizzazione del
prodotto. Esse interessano l'introduzione di sistemi informatizzati, di biotecnologie e di
sofisticate innovazioni organizzative, che consentono all'impresa di apportare notevoli
miglioramenti al processo produttivo, ridurre i costi, affinare i controlli, ridurre le esigenze
di cura colturale e valorizzare i prodotti finali, sia per il mercato finale che per la
trasformazione industriale.
In alcuni casi si prospettano però preoccupanti situazioni di rischio per la sicurezza
alimentare e per la tutela delle diversità, che inducono ad approfondire le esigenze di
regolamentazione anche a livello internazionale.
• Commercializzazione sulla base di standard di qualità. Tra i fattori che condizionano la
bassa competitività della nostra agricoltura, emerge in primo luogo la frammentazione e
polverizzazione delle aziende, che si manifesta in microdimensioni economiche del tutto
incapaci ad affrontare l’inasprimento della competizione conseguente alla liberalizzazione
degli scambi e all’attenuazione delle politiche protezionistiche. Questa miriade di piccole
aziende, pur impegnata in produzioni specializzate, non riesce a trattenere quote valore
aggiunto, che invece vengono lucrate dalla trasformazione alimentare e dalla distribuzione
commerciale. Il piccolo produttore è chiamato a sopportare costi rilevanti con scarsa
possibilità di recuperi di valore aggiunto. Tutti i tentativi fin qui esperiti sono stati ispirati
dalla logica della concentrazione della produzione, attraverso la diffusione della
cooperazione e delle associazioni produttori. Entrambi le soluzioni, specie nelle agricolture
più vocate, trovano tuttora seri ostacoli nella scarsa volontà del piccolo produttore a
conferire il proprio prodotto in conto vendita presso organismi terzi, senza alcuna certezza
di poter contare su prezzi più elevati. La politica delle cooperative o della associazioni
produttori si fonda infatti sulla presunzione che dalla concentrazione di grosse quantità di
prodotto ne possa derivare un maggiore potere contrattuale e quindi la possibilità di
ottenere migliori condizioni di mercato.
Purtroppo lo scarso spirito associativo, insieme con le diffuse incapacità gestionali degli
organismi collettivi, mettono in serio dubbio il loro ruolo nella valorizzazione di
produzioni ad elevate potenzialità di mercato. Resta, quindi, del tutto assente la presenza
di un sistema di controllo e valorizzazione della qualità dei prodotti, anche se la qualità
rappresenta una delle maggiori ricchezze dell’agricoltura meridionale e, quindi, l’elemento
di maggior rilievo su cui impostare strategia di recupero di vantaggi competitivi.
Un sistema più efficace di valorizzazione dovrebbe proporsi di sviluppare una strategia
alternativa fondata su tre aspetti-chiave:
1. definizione di standard di qualità riconoscibili e controllabili, per singoli prodotti;
22
2. responsabilizzazione del piccolo produttore sulla base di una sua adesione volontaria;
3. organizzazione di un sistema di contrattazione telematico fondato su standard e su quantità disponibili
di merce.
Capitale umano e finanziario
In mercati sempre più competitivi, ove le moderne tecnologie di comunicazione e di
produzione spingono verso la globalizzazione della produzione e impongono un aumento degli
scambi, anche l’agricoltura deve poter rispondere alle nuove sfide puntando sulla valorizzazione dei
fattori endogeni di crescita.
Diversamente dalle altre attività economiche, l’agricoltura viene investita dal processo di
globalizzazione prevalentemente per quanto riguarda il mercato dei fattori ed i flussi commerciali,
mentre è evidentemente meno esposta sul piano dei processi produttivi perché molto complessa –
se non impossibile – è la redistribuzione dei processi produttivi su scala mondiale. Tuttavia,
l’accesso e la disponibilità di fattori della produzione e, dall’altro, la possibilità di svolgere un ruolo
significativo nel commercio internazionale rappresentano elementi determinanti per perseguire
strategie di recupero competitivo.
La crescita dell’impresa e della sua competitività richiede, infatti, un maggior accesso a quei
fattori strategici, necessari per valorizzare appieno le risorse endogene del paese: innanzitutto il
capitale umano, le risorse pedo-climatiche, le tradizioni e quanto altro attiene la valorizzazione della
qualità e dell’ambiente locale.
L’accesso al mercato dei capitali, nelle sue forme consentite dalle moderne tecniche
finanziarie, diventa un elemento cruciale per promuovere gli investimenti in agricoltura: dalla
manutenzione, al miglioramento, all’acquisizione di attrezzature e alla creazione di infrastrutture
funzionali.
La ricerca di nuovi capitali e di nuovi strumenti per favorire l’accesso ai mercati trova
rispondenza nella notevole e crescente liquidità dei mercati monetari, la cui dimensione mondiale
supera di gran lunga le possibilità e le opportunità di investimento per ragioni attinenti la scarsa
redditività degli impieghi e spesso l’elevato rischio ad essi connessi. I capitali restano, quindi, in gran
parte liquidi, spostandosi sui mercati mobiliari alla ricerca di rendite finanziarie. Inoltre, la riduzione
dei tassi di interesse apre nuove opportunità di impiego anche in quei settori, come l’agricoltura, ove
i rendimenti sono tradizionalmente contenuti ed il capitale investito appare più tutelato.
23
Tuttavia l’esposizione al rischio delle attività agricole frena l’interesse della finanza
tradizionale, per cui le disponibilità di capitali restano spesso confinate alle poche disponibilità
restanti all’interno del settore stesso dopo la fuga verso impieghi alternativi più attraenti.
Solo con l’introduzione di nuove tecniche e servizi finanziari ed assicurativi sarà possibile
garantire all’agricoltura i capitali necessari per la crescita e, contemporaneamente, agli investitori o
alle società di servizio interessanti opportunità di rendimento.
I rischi di oscillazione dei prezzi potrebbero trovare attenuazione con l’introduzione di
innovazioni finanziarie tendenti alla stabilizzazione dei prezzi, attraverso la diffusione delle
contrattazioni a termine e dei derivati finanziari e delle contrattazioni telematiche fondate su
standard di qualità.
Inoltre, la carenza di capitale di rischio, che inasprisce i rischi di mercato, potrebbe trovare
sollievo nell’introduzione di fondi investimento in commodities o nell’introduzione di tecniche
innovative di finanziamento degli investimenti (project financing, merchant banking).
Nuove tipologie assicurative potrebbero, inoltre, risultare di particolare utilità non solo per
ridurre i rischi da eventi calamitosi, ma anche per introdurre forme alternative, compatibili con le
regolamentazioni internazionali, di garanzia dei redditi dei produttori.
Alcune di queste innovazioni sono immediatamente attuabili, non richiedendo particolari
provvedimenti legislativi, altre invece richiedono normative specifiche anche per incentivarne
l’introduzione.
Sviluppo eco-compatibile
Una delle prospettive più interessanti di sviluppo dell’agricoltura nei paesi avanzati va nella
direzione della cosiddetta agricoltura sostenibile sotto il profilo ambientale. Si entra nella fase più
avanzata di sviluppo del settore agricolo il quale, per sfuggire alle ristrettezze di mercato, adotta
innovazioni tecnologiche in grado di assecondare la dinamica dei consumi facendo nel contempo un
uso equilibrato delle risorse ambientali.
L'agricoltura si può certo considerare un settore a rischio, in quanto legata al fattore terra. Il
suo apporto quantitativo e qualitativo si manifesta sia in termini di consumo di risorse non
rinnovabili direttamente impiegate nel processo produttivo, sia in termini di deprezzamento di altre
risorse ambientali. In termini generali l’attività agricola può essere, quindi, fonte di conseguenze
24
negative sull’ambiente (esternalità negative) ed al tempo stesso apportatrice di effetti positivi
(esternalità positive). Ma i processi produttivi agricoli, trasformando risorse naturali, svolgono
importanti funzioni bioecologiche, per cui se ben gestiti offrono un contributo netto positivo alla
tutela dell’ambiente.
In altri settori economici, invece, i processi di produzione interferiscono con l'ambiente essenzialmente in termini
negativi attraverso il prelievo delle risorse dall'ambiente e l’immissione di scarti e residui inquinanti.
La sostenibilità in agricoltura si identifica con la relazione tra capitale naturale impiegato e la sua
rendita economica o, in altri termini, con la capacità di tutelare l’integrità del capitale naturale, pur rendendolo
disponibile per la produzione.
Per limitare l’impatto negativo sull’ambiente, è necessario perciò esaltare le funzioni riequilibratici
insite nella stessa attività agricola. A tal fine le scelte economiche d’impresa dovrebbero essere orientate a stimolare
modalità produttive rispettose dell’equilibrio ambientale, così da garantire:
• un impiego delle risorse rinnovabili tale che il tasso di utilizzo non sia superiore a quello di
rigenerazione;
• un’immissione di rifiuti nell'ambiente pari o minore alla sua capacità di assimilazione.
L’opzione ambientale non è però sempre compatibile con le esigenze di efficienza economica o almeno
lo può diventare solo in casi particolari, che riferiamo come “sostenibilità ambientale di breve periodo”.
In questa prospettiva alcune agricolture di Paesi avanzati si vanno orientando verso un’attenuazione dei
sistemi di produzione di tipo intensivo, cioè mirati all’esasperazione della produttività della terra, per ricercare nuovi
equilibri in grado di ridurre l'impatto ambientale; orientamento, questo che sta influenzando sempre più i
comportamenti imprenditoriali, anche perché apre a nuove possibilità di valorizzazione qualitativa dei prodotti e
all’impiego di tecnologie più convenienti sotto il profilo economico.
Le politiche agrarie di alcuni importanti Paesi (nell’UE, negli USA) cominciano ad introdurre incentivi
nella direzione dello sviluppo di un’agricoltura a minore impatto ambientale, non propriamente biologica, meglio
nota come agricoltura integrata.
La modifica delle scelte di produzione nella direzione di una possibile e graduale sostenibilità
ambientale potrebbe essere stimolata da una maggiore attenzione ad obiettivi di ottimizzazione economica, spesso
sottovalutati dalle imprese agricole che operano in realtà intensive.
Per promuovere la diffusione di sistemi colturali più rispettosi dell’ambiente sembrerebbe sufficiente
guidare l’impresa alla ricerca del profitto, nella convinzione che una maggiore attenzione ai problemi della
convenienza economica possa attenuare l’eccessiva attenzione fin qui rivolta alla produzione e all’intensificazione
colturale. Orientando, inoltre, l’impresa agricola al mercato si potrà anche promuovere l’esaltazione di valori
ambientali, anche come mezzo di valorizzazione del prodotto.
E’ questa ovviamente solo una strategia iniziale che può portare ad una riduzione dell'impatto ambientale, e
non immediatamente ad un'agricoltura sostenibile nel significato più completo del termine. Può, tuttavia,
25
contribuire ad innescare nuovi orientamenti nelle scelte dell'impresa agricola compatibili con la tutela ambientale e
con la sua redditività.
Sul piano delle scelte aziendali, l’attuazione della nuova strategia si manifesta con il ricorso a procedure di
ottimizzazione economica, vincolate da tecniche alternative di produzione, che confrontano innovazioni ad elevato
impatto ambientale con altre a minore impatto. Sul piano delle politiche agrarie, essa si realizza finalizzando gli
strumenti di intervento e di compensazione ad un graduale rientro verso il mercato e all’impiego di tecnologie eco-
compatibili.
I sistemi di produzione sostenibili combinano tecniche tradizionali di conservazione delle risorse con
moderne tecnologie secondo procedure che vanno definite e sperimentate negli anni per singola coltura, ma che
comunque rispondono ai criteri generali di "gestione della lotta integrata" ( Integrated Pest Management ), più
comunemente denominati “agricoltura integrata”.
Tali sistemi si concretizzano in processi produttivi che utilizzano tra l’altro: sementi certificate, pratiche
irrigue efficienti, lotta biologica unita ad una difesa chimica guidata da sistemi-esperti, tecniche moderne
nell'alimentazione e gestione del bestiame, maggior impiego degli avvicendamenti colturali, diversificazione
produttiva, minore sfruttamento della terra, ecc.
Le rese unitarie possono anche risultare inferiori rispetto al modello di agricoltura convenzionale, ma con
tutta probabilità si assiste ad una più spinta riduzione dei costi di produzione ed in ultima analisi a rendimenti netti
simili o maggiori. E’ in quest'ultimo caso che si verifica la cosiddetta “compatibilità tra tutela ambientale ed
efficienza economica”, la cui verifica presenta vantaggi non irrilevanti ai fini del perseguimento della sostenibilità
ambientale dello sviluppo agricolo.
Ove si verifichino situazioni di compatibilità l'impresa agricola, massimizzando il risultato economico,
può -se opportunamente informata e guidata- rispettare anche obiettivi di sostenibilità ambientale, almeno nel breve
periodo.
Nell'ambito dell'agricoltura eco-compatibile possono riconoscersi altre attività che, accanto alla funzione di
produzione alimentare, realizzano attività di vendita diretta sul mercato di servizi di tipo ricreativo, venatorio,
sportivo, turistico (multifunzionalità). Laddove il territorio è ben tutelato ed il paesaggio rispettato e curato,
vengono a crearsi le condizioni per una diversificazione della tradizionale attività agricola verso la trasformazione e
commercializzazione di prodotti di qualità, di artigianato così come verso la produzione di servizi turistici e
ricreazionali. A differenza dell’agricoltura ambientale, che esplica fondamentalmente attività a sostegno e
manutenzione dell'ambiente naturale, l’agricoltura multifunzionale interessa nuove attività che traggono linfa vitale
proprio da un ambiente ordinato e ben tutelato, riuscendo a riappropriarsi attraverso il mercato dei benefici
economici derivanti dai servizi che fornisce. Essa può, quindi, considerarsi un indotto delle attività di tutela
ambientale e non tanto un effetto esterno da esse generato. E proprio per queste ragioni non ha bisogno di particolari
sussidi per svilupparsi; piuttosto richiede azioni di guida, di promozione e di orientamento ad un corretto uso del
territorio finalizzato alla sua valorizzazione.
L'agricoltura multifunzionale diventa protagonista della strategia di sviluppo locale per la sua stretta
integrazione con il contesto economico territoriale. Il suo obiettivo non è unicamente quello di conservare le risorse
naturali, ma quello di valorizzarle, associando alla qualità dell’ambiente prospettive di fruizione sociale in grado di
generare ampi e diffusi benefici economici.
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7. Implicazioni di politica agraria
Diverse le deduzioni. Il pur cospicuo intervento pubblico finora profuso, di provenienza nazionale e
comunitaria, non è riuscito ad indurre quelle innovazioni, tecnologiche ed organizzative, che altrove sono riuscite a
trasformare radicalmente l’impresa agricola, favorendo la crescita della produttività del lavoro, e ponendola in grado di
ottenere soddisfazioni economiche adeguate agli standard di reddito atteso da un individuo o da una famiglia.
Se queste sono le condizioni delle nostre aziende, c’è molto cammino da fare e c’è bisogno di una politica
agricola nazionale che, nel rispetto dei vincoli comunitari, agisca con prontezza, efficacia ed adeguatezza di mezzi
finanziari per favorire la crescita della competitività dell’impresa. A tal fine la politica agricola nazionale dovrebbe
essere ridisegnata tenendo conto da un lato delle nuove e differenti esigenze d’intervento che emergono per le diverse
dimensioni economiche di impresa agricola, dall’altro dovrebbero individuare misure “orizzontali” volte a migliorare la
produttività del fattore lavoro (capitale umano) e la sua capacità di valorizzare risorse e attività.
L’azione pubblica deve uscire dalla lunga fase della concertazione per entrare nel concreto con provvedimenti
mirati a potenziare la fragile struttura competitiva delle nostre imprese, specie nelle molte aree sfavorite del paese.
Occorre dare concretezza agli impegni per lo sviluppo dell’impresa agricola adottati in principio dal Governo, tra cui –
lo ricordiamo- figurano:
• la legge di orientamento, per riformare profili giuridici obsoleti che ingabbiano l’impresa agricola in
assetti normativi obsoleti e per dar spazio ad una concezione liberale di far impresa come luogo ove
qualsiasi soggetto è abilitato a organizzare e trasformare le risorse a fini di lucro; per introdurre nuove
strumentazioni (società di capitale, derivati finanziari, contratti ambientali, distretti rurali) necessarie per
dar slancio alla crescita dell’impresa; per estendere l’attività agricola ai diversi ambiti aperti dalla
multifunzionalità, distinguendo i profili interessanti le attività indotte (agriturismo) da quelle riguardanti i
servizi generati per la collettività non remunerati dal mercato (beni reciprocali).
• la politica fiscale e previdenziale, per ridurre le imposte e gli oneri che penalizzano il lavoro (in
particolare l’Irap) e alimentano il sommerso, per estendere il ricorso alla tassazione a bilancio e la
detassazione degli utili reinvestiti;
• il sostegno dell’impresa giovanile, introducendo incentivi finanziari e fiscali;
• la valorizzazione della qualità, attraverso l’ulteriore estensione delle denominazioni di qualità e il loro
riconoscimento internazionale; attraverso anche la promozione di marchi commerciali di carattere
collettivo e volontario.
• La sicurezza alimentare, favorendo nuovi sistemi di controllo e certificazione
• La valorizzazione del ruolo di tutela ambientale, attraverso azioni mirate a favorire la diffusione
dell’agricoltura e di nuove imprese a presidio del territorio e difesa di fenomeni di degrado naturale e
riconoscendo remunerazioni del valore delle esternalità nette da essa generate.
• l’effettiva estensione degli strumenti della programmazione negoziata (patti territoriali, contratti d’area);
• il sostegno finanziario e regolamentare all’introduzione di innovazioni finanziarie ed assicurative (finanza
di progetto, mercati futures, merchant banking, assicurazioni multirischio), per far convergere nuovi
capitali in agricoltura e introdurre formule alternative di sostegno del reddito e di difesa dalle calamità;
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• la promozione, infine, di misure orizzontali volte alla valorizzazione delle risorse locali, quali la
diversificazione delle attività indotte dall’agricoltura e la formazione, la ricerca, ecc.
Occorre in conclusione ridisegnare la politica agraria sull’impresa e non sulla figura dell’imprenditore per
influire positivamente sui fattori influenzanti la competitività.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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