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La nuova disciplina delle Acque Il nuovo Testo Unico sulla Tutela delle Acque: aspetti innovativi e finalità

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La nuova disciplina delle Acque

Il nuovo Testo Unico sulla Tutela delle Acque:

aspetti innovativi e finalità

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IL NUOVO TESTO UNICO SULLA TUTELADELLE ACQUE: ASPETTI INNOVATIVIE FINALITA’

A seguito dell’emanazione delle direttive comunitarie n.91/271/CEE

concernente il trattamento delle acque reflue urbane e n.91/676/CEE

relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai

nitrati provenienti da fonti agricole, per tutelare interessi pubblici di

vario genere (salvaguardia ambientale, soddisfacimento del fabbiso-

gno idrico a scopo potabile, ecc.) è stato emanato il decreto legislativo

11 maggio 1999, n.152, entrato in vigore il 13 giugno 1999.

Tale decreto ha significativamente modificato il quadro di riferimento

normativo, abrogando la precedente legislazione in materia di tutela

delle acque (legge 319/76 e tutte le leggi satellite ad essa collegate),

definendo una nuova disciplina in materia di scarichi, introducendo

modifiche sostanziali al R.D. 1775/1933 ed alla legge 36/94, nonchè

integrando e rafforzando i principi di tutela e salvaguardia della risor-

sa idrica in armonia con i principi sanciti dalla legge 183/89.

E’ una riforma importante che coniuga i diversi e spesso contrastanti

aspetti che caratterizzano la materia delle acque: usi e tutela.

Lo schema della nuova normativa prevede 6 titoli.

Il titolo I individua in primo luogo le finalità del decreto: prevenzione

dell’inquinamento e risanamento dei corpi idrici inquinati; migliora-

mento dello stato delle acque e protezione di quelle destinate a parti-

colari usi; utilizzazione sostenibile e durevole delle risorse idriche, con

priorità per l’uso potabile; raggiungimento e mantenimento degli

obiettivi di qualità, intesi come la capacità naturale di autodepurazio-

ne dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e

vegetali ampie e ben diversificate.

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Di notevole importanza è la definizione data dal decreto (art.2, lett. z)

al concetto di inquinamento, inteso come “lo scarico effettuato diretta-

mente o indirettamente dall’uomo nell’Ambiente idrico di sostanze o

di energia le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salu-

te umana, nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico,

compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle acque”.

Viene data in tal modo una definizione giuridica ufficiale ad un feno-

meno particolarmente complesso sia sotto il profilo della causa che

dell’effetto.

Per raggiungere gli obiettivi sopra descritti il decreto traccia una serie

di strumenti attuativi: l’individuazione di obiettivi di qualità ambienta-

le e per specifica destinazione dei corpi idrici, la tutela integrata degli

aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino idrogra-

fico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni, il rispetto dei

valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di

valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo recettore.

Viene inoltre previsto l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collet-

tamento e depurazione degli scarichi idrici nell’ambito del servizio

idrico integrato di cui alla L. 5 gennaio 1994, n.36; l’individuazione di

misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone

vulnerabili e nelle aree sensibili; l’individuazione di misure tese alla

conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche.

Al titolo II il testo individua gli obiettivi di qualità ambientale per i

corpi idrici significativi, coordinandoli con le disposizioni già esisten-

ti e di origine comunitaria attinenti agli obiettivi di qualità per specifi-

ca destinazione.

Nel titolo III si inseriscono le disposizioni per la tutela qualitativa e

quantitativa dei corpi idrici, consistenti sostanzialmente in norme volte

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a disciplinare - direttamente o attraverso rinvio a futura normazione

regionale - le varie attività antropiche (civili, industriali, agricole)

incidenti sulla qualità o sulla quantità del corpo idrico. Rientrano in

tale parte, rispettivamente, la disciplina degli scarichi e le misure di

tutela quantitativa della risorsa.

Nel titolo IV sono disciplinate le attività dei pubblici poteri: attività

conoscitiva, programmatoria e definitoria degli interventi attraverso la

redazione del Piano di Tutela; attività di gestione del corpo idrico

costituita soprattutto da provvedimenti autorizzatori e di controllo.

Nel titolo V sono previste le norme penali e le sanzioni amministrati-

ve nelle quali è inserita la disciplina di liquidazione automatica del

danno ambientale; al titolo VI sono inserite le disposizioni transitorie

e abrogative.

Al testo seguono sette allegati in cui sono precisati i profili tecnici

della nuova disciplina, secondo criteri che a volte assumono efficacia

vincolante per l’azione regionale (fissazione di obiettivi di qualità e

limiti di emissione), a volte contengono indicazioni a contenuto pre-

scrittivo (metodologie di rilevamento, di analisi, di catalogazione dei

dati, ecc.) o a contenuto indicativo. Vengono altresì fissati i valori limi-

te e i parametri chimici-fisici, distinti in valori imperativi e valori

guida e riassunti in tabelle relative ai singoli recettori ambientali

(acque superficiali, laghi, acque sotterranee, suolo, sottosuolo) o a

tipologie di scarico (acque reflue domestiche, urbane, industriali).

GLI STRUMENTI ATTUATIVI DEL NUOVO T.U.

Il bilancio idrico

Un principio innovatore introdotto dal D.Lgs. 152/99 consiste nella

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pianificazione dell’uso delle acque onde salvaguardare la qualità della

risorsa e consentire un consumo idrico sostenibile. Lo strumento di

riferimento a tal fine è il bilancio idrico, previsto all’art.22 del Testo

Unico che sviluppa, sotto questo profilo, un concetto già introdotto con

la L. 183/89 e la L. 36/94.

Il decreto 152/99 stabilisce i parametri quantitativi di tale strumento

vincolando ad essi le successive valutazioni dei piani di tutela, volte ad

assicurare l’equilibrio del bilancio idrico sulla base dei fabbisogni,

delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravve-

namento delle falde e dei diversi usi cui la risorsa può essere destina-

ta. Di contro l’impostazione giuridico-amministrativa delle concessio-

ni di derivazione idrica, risalente al T.U. 1775/1933, era limitata all’ac-

certamento caso per caso, attraverso gli istituti della concorrenza e del

contraddittorio, della razionale utilizzazione del corso d’acqua, della

legittimità giuridica dell’istanza e della possibilità di rendere compati-

bili interessi di terzi con la nuova richiesta di utilizzazione.

In armonia con il processo di decentramento amministrativo iniziato

con la legge 59/97 e proseguito con il D.Lgs. 112/98, il nuovo T.U.

demanda al Governo centrale il compito di definire le linee guida di

indirizzo e coordinamento per la predisposizione del bilancio idrico di

bacino, sulla cui base spetterà alle Autorità di bacino competenti indi-

viduare criteri di determinazione di tipo regionale del Deflusso

Minimo Vitale (la L.183/89 introduce per la prima volta il concetto di

Minimo Deflusso Costante Vitale. Questo valore rappresenta il livello

del corpo idrico intangibile e come tale sottratto alla fruizione da parte

degli utenti legittimi o di fatto, al di sotto del quale non vi è più la

disponibilità d’acqua).

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Il Piano di Tutela

Oltre al bilancio idrico, il principale mezzo di cui le Regioni dispon-

gono per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dalla norma è il

Piano di Tutela, previsto all’art.44 del Testo Unico e definito “piano

stralcio di settore” del piano di bacino.

Nelle intenzioni del legislatore il Piano di Tutela rappresenta lo stru-

mento attraverso il quale si contemperano le opposte esigenze del sem-

pre più crescente fabbisogno idrico e della tutela quantitativa e qualita-

tiva di una risorsa purtroppo non inesauribile. Sotto tale profilo il piano

si pone come punto di arrivo di un insieme di attività - conoscitive, pia-

nificatorie, dispositive - che la Regione deve necessariamente compie-

re per raggiungere l’obiettivo: si pensi al rilevamento dello stato di qua-

lità dei corpi idrici ed alla conseguente loro classificazione ai fini della

individuazione dell’obiettivo di qualità ambientale o ancora alla indivi-

duazione delle aree sensibili o delle zone vulnerabili da nitrati di origi-

ne agricola o prodotti fitosanitari al fine di proteggere dagli agenti

inquinanti le risorse idriche ricadenti in tali aree.

Il Piano di Tutela delle acque dovrà essere approvato entro il 2004. La

prima tappa è riservata alle Autorità di bacino che entro il 2001

dovranno definire gli obiettivi su scala di bacino e fissare le priorità

degli interventi ritenuti necessari; nei due anni successivi la Regione

dovrà preparare i piani da sottoporre al parere vincolante delle Autorità

di bacino, che si pronunceranno entro 60 giorni.

La disciplina delle concessioni di derivazione

Quanto alla disciplina delle concessioni di derivazione, va in primo

luogo sottolineato che con l’entrata in vigore del T.U. sulle acque è

stato risolto il problema della indennizzabilità delle limitazioni.

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Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 152/99, infatti, l’imposizione di

un rilascio in alveo comportava richieste di indennizzo per il mancato

esercizio delle derivazioni. L’art.22 del nuovo T.U. ha previsto invece

che “Tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entra -

ta in vigore del presente decreto sono regolate dall’autorità conce -

dente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo

deflusso vitale nei corpi idrici come previsto dall’articolo 3, comma 1,

lettera i), della legge 18 maggio 1989, n.183, e dall’articolo 3, comma

3, della legge 5 gennaio 1994, n.36, senza che ciò possa dar luogo alla

corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione,

fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione”.

Altra innovazione in materia concerne la modifica dei criteri di scelta

tra diverse domande finalizzate all’utilizzazione della stessa risorsa.

L’art. 23, comma 2, che modifica l’art. 9 del T.U. 1775/1933, dispone

che tra più domande concorrenti è preferita quella che, da sola o in

connessione con altre utenze concesse o richieste, presenti la più razio-

nale utilizzazione della risorsa in relazione ai seguenti parametri:

• priorità dell’uso potabile o irriguo;

• ottimizzazione dell’utilizzo rispetto alla disponibilità;

• quantità e qualità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata.

Sulla base delle considerazioni che precedono sarà preferita quella

istanza che per lo stesso tipo di utilizzazione garantisca la maggior

restituzione dell’acqua in rapporto agli obiettivi di qualità.

Ulteriori sostanziali modifiche sono state apportate all’art.17 del T.U.

1775/1933 dall’art. 23, comma 6, del decreto. E’ infatti previsto che,

fatta salva la normativa transitoria di attuazione dell’art.1 L.36/94

(pubblicità indifferenziata di tutte le acque), per le derivazioni o utiliz-

zazioni di acqua in tutto o in parte abusivamente in atto alla data di

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entrata in vigore del decreto, la sanzione di cui all’art.17 del R.D.

1775/1933, così come modificato dal decreto legislativo in questione,

è ridotta di un quinto qualora sia presentata domanda in sanatoria entro

sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (scadenza poi ripor-

tata al 31 dicembre 2000 dal D.Lgs. 258/00).

La concessione in sanatoria sarà rilasciata nel rispetto della normativa

vigente e delle utenze regolarmente assentite. L’amministrazione con-

cedente, in pendenza del procedimento istruttorio, potrà sospendere in

qualsiasi momento l’utilizzazione se in contrasto con gli interessi dei

terzi e/o in contrasto con il raggiungimento o il mantenimento degli

obiettivi di qualità.

E’ stata poi sancita la temporaneità dei provvedimenti concessori, la

cui durata non può essere superiore ai trenta anni ad eccezione della

concessione di derivazione d’acqua ad uso irriguo, per la quale sono

previsti 40 anni e per l’uso idroelettrico per il quale dispone il decreto

79/99 (decreto Bersani).

In merito alla necessità di garantire un razionale utilizzo della risorsa

idrica ed evitare sprechi, il D.Lgs. 152/99 non ha trascurato il proble-

ma del risparmio idrico e del riutilizzo delle acque (artt. 25 e 26).

E ’ imposto agli utilizzatori o gestori della risorsa idrica l’adozione di

misure volte all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione del consu-

mo attraverso l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili. Le

Regioni e le Autorità di bacino approvano norme sul risparmio idrico in

agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta indivi-

duazione dei fabbisogni nel settore e sui controlli degli effettivi emun-

gimenti. Per quanto riguarda il riutilizzo della risorsa idrica, soprattut-

to a scopo industriale, è prevista la riduzione della tariffa in funzione

dell’utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata.

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ALTRI ASPETTI INNOVATIVI DEL T.U. SULLEACQUE

A conclusione delle novità introdotte dal D.Lgs. 152/99 si ritiene neces-

sario fare un breve cenno alle disposizioni riguardanti le dighe , gli sca-

richi e le sanzioni.

Le dighe

Al fine di assicurare il mantenimento della capacità di invaso e la salva-

guardia della qualità delle acque invasate e del corpo ricettore, l’art. 40

del decreto 152/99 prevede che venga presentato un progetto di gestio-

ne per le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe.

Il progetto dovrà definire:

• il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività di

manutenzione da eseguire sull’impianto;

• le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell’ecosistema

acquatico, delle attività di pesca e della risorsa invasata e rilasciata a

valle dello sbarramento.

Il progetto dovrà individuare anche le eventuali manovre degli org a n i

di scarico per assicurare la tutela del corpo ricettore.

Il comma 3 dell’art. 40 fa salve comunque le disposizioni fissate dal

D . P.R. 1 novembre 1959, n. 1363 (regolamento dighe) volte a garanti-

re la sicurezza della pubblica incolumità.

I criteri in base ai quali dovranno essere redatti i progetti di gestione

saranno definiti con decreto del Ministro dei LL.PP. e del Ministro

dell’Ambiente, di concerto con i Ministri dell’Industria, Commercio,

Artigianato, per le Politiche Agricole ed il Ministro delegato della

Protezione Civile, previa intesa con la Conferenza permanente per i

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rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome.

G l i s c a r i c h i

Il nuovo T.U. introduce una definizione di scarico omnicomprensiva,

intendendo con tale termine “qualsiasi immissione diretta tramite con -

dotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili

nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria,

indipendentemente dalla natura inquinante, anche sottoposte a pre v e n -

tivo trattamento di depurazione” con espressa esclusione dei rilasci di

acque previsti dall’articolo 40. E’ scarico, dunque, solo quello diretto in

corpi idrici ricettori (acque superficiali, sotterranee, suolo, sottosuolo,

fognature) convogliato e convogliabile tramite condotta.

Tale definizione appare di particolare delicatezza soprattutto se si con-

sidera che attraverso tale punto si attua il discrimine tra applicazione

della legge sui rifiuti e applicazione della legge di tutela delle acque. La

nozione di scarico va letta infatti in combinato con l’art. 36. Esso pre-

vede che il trasporto di acque reflue mediante autobotte o altri mezzi,

interrompendo il nesso funzionale e diretto dell’acqua reflua con il

corpo idrico ricettore e la riferibilità al titolare dello scarico, è soggetto

alla disciplina sui rifiuti.

Importante è poi il principio della preventiva autorizzazione allo scari-

co, introdotto all’art. 45 del decreto.

Il regime autorizzatorio viene definito sulla base di un nuovo sistema di

limiti di emissione, costituito dai limiti fissati centralmente (che ripren-

dono quelli già definiti dalla L.319/76 e dalle direttive 76/464 CEE,

riguardante le sostanze pericolose, e 91/271 CEE per le acque reflue

urbane) e dai limiti fissati dalle Regioni e dalle Province autonome,

nell’ambito dei Piani di Tutela, sulla base degli obiettivi di qualità.

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Le sanzioni

Le sanzioni previste sono di due tipi: amministrative e penali.

Quanto alle prime, si tratta di sanzioni pecuniarie da applicarsi nel caso

di danno ambientale e per il mancato rispetto dei limiti fissati dall’alle-

gato 5, da parte delle Regioni nei Piani di Tutela e da parte della A u t o r i t à

competente nell’ambito delle attività di cui all’art. 34, comma 1.

La competenza in materia di accertamento degli illeciti amministrativi e

l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie spetta alla

Regione o alla Provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la

violazione. Nei casi di cui all’art.54, comma 8, provvede il Comune,

fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche A u t o r i t à .

Di particolare importanza è il disposto dell’art.58 (danno ambientale,

bonifica e ripristino dei siti inquinati). Questo articolo pone l’onere degli

interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle

aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno, a carico di

chi, con il proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione

delle disposizioni del decreto 152/99, provoca un danno alle acque, al

suolo, al sottosuolo, ovvero provoca un danno ambientale.

Quanto alle sanzioni penali, l’art. 59 prevede la pena dell’ammenda o

dell’arresto, a seconda della gravità della violazione commessa.

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ANALISI DELLE PRINCIPALI INNOVAZIONIINTRODOTTE DAL D.LGS. 258/00

Con il D.Lgs. 258/00 sono state emanate norme integrative e corretti-

ve del D.Lgs. 152/99.

Le modifiche introdotte si sono rese necessarie per la migliore appli-

cazione del Testo Unico sulle Acque, considerata l’ampiezza e la por-

tata innovativa delle norme in esso contenute.

Di seguito vengono riportate, distinte per settori, le più rilevanti modi-

fiche apportate al decreto, mentre in appendice è riportato il testo coor-

dinato comprensivo di allegati, avvertendo che le norme integrative,

sostitutive o correttive introdotte dal D.Lgs. 258/00 sono evidenziate

in corsivo.

Definizioni

In primo luogo sono state inserite nuove definizioni all’art.2, in partico-

lare quella di “g e s t o re del servizio idrico integrato” che esplicita il rife-

rimento al nuovo soggetto previsto dall’articolo 11 della legge 36/94 e

chiarisce, altresì, che fino alla piena operatività della norma il riferi-

mento deve intendersi all’attuale gestore del servizio pubblico di raccol-

ta e depurazione delle acque reflue urbane o di uno solo di questi.

Altra nuova definizione è quella di ”fognatura separata”, resasi

necessaria dalla modifica dell’art.39, in cui è stato approfondito l’a-

spetto relativo alle modalità di smaltimento delle acque meteoriche.

Ancora, si segnala la voce “utilizzazione agronomica”, che ricom-

prende la complessiva gestione degli effluenti di allevamento e di

acque di vegetazione, nonchè i reflui provenienti dalle piccole aziend e

agroalimentari e chiarisce la finalità delle pratiche previste dalle defini-

zioni di “applicazione al terre n o” e di “effluenti di allevamento” .

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Competenze

Fermo restando il disposto dell’art.3 del D.Lgs. 152/99 in materia,

sono state meglio specificate alcune competenze in particolari settori.

Ad esempio, all’articolo 35 è stata prevista l’autorizzazione del

Ministero dell’Ambiente per la movimentazione di fondali marini deri-

vante dalla posa in mare di cavi e condotte di carattere internazionale,

sentite le Regioni interessate.

All’articolo 56 è stata sottolineata l’autonomia delle Regioni e delle

Province autonome nell’individuare i soggetti ai quali è demandata

l’irrogazione delle sanzioni amministrative in ossequio ai principi del-

l’autonomia e del decentramento, evitando così che il riferimento con-

tenuto nella precedente formulazione dell’articolo 56 fosse inteso

come non derogabile.

Quanto alla sorveglianza ed al controllo, si è sottolineata la competen-

za concorrente del Corpo Forestale dello Stato, quale forza di polizia

specializzata in materia ambientale

Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sot-

terranee destinate al consumo umano

La disciplina delle aree di salvaguardia è stata intesa, in armonia con

le direttive comunitarie in materia, nella sua globalità, come tutela

delle risorse idriche nell’ambito generale della tutela ambientale e non

più solo dal punto di vista del consumo umano. Pertanto sono stati

definitivamente abrogati gli artt. 4, 5, 6, 7 del D.P.R. 236/88.

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Bilancio idrico e concessioni di derivazione di acqua

Per quanto concerne il tema delle derivazioni affrontato al capo II del

titolo III del D.Lgs. 152/99, sono state apportate talune modifiche per

rispondere ad alcuni problemi applicativi.

In primo luogo si è resa necessaria una maggiore integrazione con

quanto già previsto dalle altre norme vigenti in materia ed in partico-

lare il R.D. 1775/33 come modificato dal D.Lgs. 275/93, in modo da

rendere fattibili alcune importanti incombenze come quella del bilan-

cio idrico di bacino prevista all’articolo 22. Si è infatti demandato alle

Regioni il compito di regolamentare gli obblighi di installazione degli

strumenti di misura delle quantità d’acqua prelevata nonché le moda-

lità di trasmissione dei dati raccolti alle Autorità di bacino preposte alla

pianificazione dei bilancio idrico.

Con la nuova formulazione dell’articolo 23 si è ribadito il principio

che tutte le concessioni per i prelievi di acque sono temporanee e rila-

sciate qualora non venga pregiudicata la tutela del corpo idrico. Anche

nei casi in cui sono state previste delle proroghe tacite per le piccole

derivazioni d’acqua, effettuate dall’ENEL, è stato comunque riaffer-

mato tale principio con la possibilità di revoca senza indennizzo o di

più stringenti modalità di prelievo per contemperare gli interessi azien-

dali con la tutela della risorsa idrica e ambientale.

Si è data inoltre risposta alla necessità di articolare meglio le norme

relative alle modifiche del R.D. 1775/33. In particolare, sono state uni-

ficate e prorogate fino al 31 dicembre 2000 alcune scadenze derivanti

da altre norme relative ai tempi di presentazione delle domande di con-

cessione di derivazione. Si sono rese più flessibili le norme riguardan-

ti i provvedimenti di cessazione di derivazione in essere non regolar-

mente autorizzate (comma 4, che modifica il comma 1 dell’articolo 17

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del R.D. 1775/33). Si è infine demandato alle Regioni il compito di

disciplinare le possibilità di libero utilizzo di acque superficiali, non-

ché la possibilità di regolamentare gli usi domestici previsti dall’arti-

colo 93 del R.D. 1775/33 (comma 9 ter).

Disciplina degli scarichi

Su questo tema sono state apportate modifiche sui seguenti punti:

• diluizione degli scarichi;

• disciplina particolare degli scarichi industriali contenenti sostanze

pericolose;

• definizione di limiti allo scarico in fognatura diversi da quelli di cui

alla disciplina generale.

In particolare, al primo punto è stato integrato e modificato l’elenco,

contenuto al comma 5 dell’articolo 28, delle sostanze pericolose per le

quali non è consentito diluire le acque di scarico che le contengono con

acque di raffreddamento o di lavaggio, ciò per completezza ed omoge-

neità con il comma 4 dello stesso articolo.

Sul secondo punto sono state apportate due tipi di modifiche:

• la prima riguarda le disposizioni contenute nell’articolo 34, commi

2 e 4; nell’articolo 33, comma 1; nell’articolo 46, comma 2; relativa

agli scarichi da assoggettare alla disciplina particolare prevista dalla

direttiva comunitaria 76/464 CEE circa alcuni cicli produttivi che sca-

ricano particolari sostanze pericolose. La disposizione originaria con-

tenuta nel D.Lgs. 152/99 dava una interpretazione troppo ampia della

disciplina comunitaria: estendeva infatti alcuni obblighi e alcune pro-

cedure autorizzative a tutti gli scarichi contenenti le sostanze pericolo-

se indicate in tabella 3A del D.Lgs. 152/99, mentre la direttiva comu-

nitaria riguarda solo alcuni cicli produttivi contenenti quelle sostanze.

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• la seconda modifica ha introdotto nell’allegato 5 al D.Lgs. 152/99

uno schema contenente le quantità annue di sostanze pericolose emes-

se nell’ambiente al di sotto delle quali può essere evitata la procedura

autorizzativa e di controllo prevista per i cicli indicati in tabella 3A.

Sul terzo punto sono state previste delle precisazioni sulla questione

dei limiti allo scarico in fognatura. Si è ritenuto opportuno sottoporre

all’approvazione di un soggetto pubblico i limiti stabiliti dal gestore

dell’impianto di trattamento delle acque reflue urbane, in considera-

zione dell’esistenza di sanzioni, anche penali, che sarebbero altrimen-

ti derivate dal superamento di detti limiti previsti in disposizione tabel-

lari disposte da un soggetto privato. In tal senso è stata apportata una

modifica all’articolo 33, comma 1, e all’allegato 5.

Altre modifiche in materia consistono in una diversa formulazione di

alcune parti dell’articolato, al fine di rendere più esplicita la norma. Si

tratta della modifica del secondo comma dell’articolo 28, che è stato

riscritto precisando meglio i casi nei quali le Regioni possono stabili-

re valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’allegato 5. Al

comma 7 sono precisati i criteri in base ai quali le Regioni possono

assimilare agli scarichi domestici altre acque reflue.

E’ stata inoltre chiarita la finalità per cui si può derogare ai limiti allo

scarico, prevista dal comma 10 dell’articolo 28. Si tratta di consentire

il superamento di limiti allo scarico solo per quelle sostanze, come ad

esempio i nutrienti utili alla produzione agricola, che sono direttamen-

te riutilizzate. Il tutto nel rispetto delle norme comunitarie.

Infine, all’articolo 45, comma 4, è stato eliminato il riferimento alla

necessità che la concessione edilizia sia subordinata al rilascio, da

parte dell’Autorità competente, della autorizzazione allo scarico.

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Scarichi di acque meteoriche

In tale ambito si è intervenuti nella definizione concettuale di cui

all’art.2, lettera i, precisando che le acque meteoriche rientrano nella

categoria di acque reflue urbane ove convogliate in reti fognarie, anche

separate, in aderenza a quanto disposto dalla direttiva 91/271/CEE.

In generale va detto che, anche alla luce della definizione di cui al cita-

to punto i, gli scarichi di reti fognarie che collettano acque meteoriche

devono comunque ritenersi oggetto di controllo, soprattutto se si con-

siderano i rilevanti problemi sia di carattere idraulico che di carattere

ambientale che questi scarichi possono comportare se mal progettati e

mal inseriti nel contesto locale.

La stesura novellata pone in capo alle Regioni il compito di definire

la normativa applicabile alle acque meteoriche.

Attesa la necessità di normare con maggiore puntualità le acque di

prima pioggia dilavanti le superficie scoperte di taluni insediamenti

industriali sulle quali possono esservi depositate sostanze pericolose,

si è ritenuto necessario, migliorando il dettato di cui all’attuale art.39,

comma 1, estendere i casi in cui le acque di prima pioggia e che dila-

vano superfici impermeabili non recapitanti in fognatura possano esse-

re sottoposti a particolare trattamento.

Autorizzazione al trattamento di rifiuti negli impianti di tratta-

mento di acque reflue urbane

La chiara distinzione effettuata con il D.Lgs. 152/99 tra disciplina

delle acque e dei rifiuti risulta rafforzata dall’art.36.

Resta immutato al comma 1 il divieto di utilizzo degli impianti di trat-

tamento delle acque reflue urbane per lo smaltimento dei rifiuti.

Al comma 2 si chiarisce in particolare che, in deroga al divieto gene-

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rale di cui al comma 1, nell’ipotesi in cui l’impianto di trattamento di

acque reflue urbane abbia una capacità residua di trattamento, in rela-

zione a particolari esigenze e per soli rifiuti compatibili con il proces-

so di depurazione, il gestore del servizio idrico integrato può smaltire

rifiuti. Per far ciò tuttavia deve munirsi dell’autorizzazione prevista dal

D.Lgs. 22/97, visto che ci si trova di fronte ad un’attività di smalti-

mento rifiuti che si aggiunge a quella di depurazione.

Un ampliamento dell’originale previsione del comma 3 è stato conse-

guito inserendo fra i rifiuti che il gestore è comunque autorizzato ad

accettare anche quelli costituiti da materiale proveniente dalla manu-

tenzione ordinaria dei sistemi individuali di smaltimento delle acque

reflue domestiche, come i pozzi neri, nonché i materiali derivanti dal

trattamento di acque reflue urbane prodotti in impianti che non dispon-

gono di adeguate linee di trattamento del materiale in questione.

L’integrazione è stata resa possibile dopo aver specificato che i mate-

riali da trattare devono provenire dallo stesso ambito territoriale otti-

male, in ossequio alle normative comunitarie e nazionali sui rifiuti che

prevedono procedure autorizzatorie semplificate per attività di auto-

smaltimento.

Nei casi previsti dal comma 3 sussiste l’obbligo di una comunicazione

all’Autorità competente ai sensi dell’art.45, con l’indicazione della

capacità residuale dell’impianto e delle caratteristiche dei materiali che

si intende trattare; tale comunicazione consente una valutazione del-

l’attività che risulta quindi sottoposta ad adeguato controllo.

Comunque è riaffermato il principio che le attività di smaltimento non

devono pregiudicare il riutilizzo delle acque reflue e dei fanghi.

Si è precisato al comma 5 che il produttore dei rifiuti di cui all’art. 36,

comma 3, lett. b, attesa la natura e l’origine domestica degli stessi, è

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tenuto solo all’obbligo previsto dall’art.10 del D.Lgs. 22/97; obbligo

che in caso di smaltimento con autospurgo (ad esempio) consisterà

nella restituzione del formulario che attesti la correttezza dell’opera-

zione avvenuta.

La previsione è motivata proprio dalle frequenti violazioni in questo

settore delle modalità di smaltimento che con questo semplice riscon-

tro si intende evitare.

L’integrazione del sistema dei controlli e sanzioni.

Per il raggiungimento delle finalità della tutela delle acque l’art.1 del

D.Lgs. 152/99 sottolinea la necessità di un adeguato sistema di con-

trolli e sanzioni. Si è ritenuto quindi necessario modificare alcune

norme per un più lineare raggiungimento di questo obiettivo. Si è così

chiarito all’art.28, comma 4, che il potere di ispezione dell’Autorità

competente al controllo non è limitato solo all’interno degli stabili-

menti ma, in base ai principi generali, può estendersi nell’ambito dei

singoli impianti o all’esterno degli stabilimenti.

Nell’ambito dell’analogo principio di consentire effettivi controlli è

stata rafforzata la sanzione prevista a carico del titolare dello scarico

che non consenta l’accesso dei soggetti incaricati di effettuare il con-

trollo, sostituendo la sanzione amministrativa prevista dall’art.54,

comma 9, con quella penale prevista dall’art. 59, comma 7 bis.

L’introduzione della nuova previsione normativa costituisce un più

valido ed equilibrato deterrente fermo restando che, come ribadito dal

testo, ove il soggetto intenda comunque impedire l’accertamento, lo

stesso va effettuato d’autorità con i poteri espressamente previsti dalla

disciplina relativa all’accertamento sia delle violazioni amministrative,

che delle notizie di reato. Ove l’attività dei soggetti incaricati del con-

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trollo venga impedita in modo violento, sono fatte salve le più gravi

ipotesi di reato.

Al principio di ragionevolezza, prevenzione ed adeguatezza dei con-

trolli è ispirata la scelta di sostituire la sanzione amministrativa, già

prevista dall’art. 54, comma 5, con la sanzione penale prevista dall’art.

59, comma 4 bis, già applicata per le altre violazioni di prescrizioni

relative allo scarico di sostanze pericolose (art. 59, comma 4).

Si è ritenuto poi di escludere dal testo l’indicazione relativa alle

“immissioni occasionali”, tenuto conto che la chiara definizione della

nozione di scarico prevista dall’art. 2 bb del D.Lgs. 152/99 e la for-

mulazione elaborata dalla giurisprudenza anche sot to il vigore

della L. 319/76 consentono di ricomprendervi tutte le immissioni

effettuate tramite condotta, anche solo periodiche, discontinue o

momentanee.

Quanto alle sanzioni penali di cui all’art. 59, è stato soppresso l’inciso

che limitava, per il superamento dei limiti di scarico di sostanze peri-

colose (allegato 5), la responsabilità del gestore di impianti di depura-

zione ai soli caso di dolo o colpa grave. E’ stato poi introdotto il

comma 6 bis sanzionando, con la pena di cui all’articolo 51, comma 1,

del D.Lgs. 22/97, la condotta del gestore che non ottemperi all’obbli-

go di comunicazione di cui all’articolo 36, comma 3, o non osservi le

relative prescrizioni e divieti.

La previsione infine dell’art. 59, dodicesimo comma, chiarisce quale

sia la sanzione applicabile ai casi di violazione del divieto di immis-

sione in mare dei fanghi, sia che la stessa avvenga con smaltimento tra-

mite navi, sia con scarico attraverso condotta; la sanzione riguarda

altresì qualunque smaltimento di rifiuti nelle acque marine senza l’au-

torizzazione prevista dall’articolo 18, comma 2, lettera p bis del D.Lgs.

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22/97. Ciò consente di superare alcune perplessità in ordine alla possi-

bilità di sanzionare tale smaltimento senza autorizzazione in base

all’articolo 51, comma 1, del D.Lgs. 22/97, apparendo peraltro limita-

ta la sola applicazione del divieto di abbandono.

Infine è stato previsto, a fronte della semplificazione nelle procedure

per l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento e di altre

acque reflue, che chi smaltisca tali reflui, completamente al di fuori

delle procedure o in violazione dei divieti o della sospensione dello

scarico, sia sanzionato con pena pecuniaria o detentiva contravvenzio-

nale. Si tratta in questo caso di un vero e proprio scarico non autoriz-

zato, come ha ritenuto anche la giurisprudenza.

A fronte dell’introduzione di questi più puntuali aspetti sanzionatori,

è stato introdotto all’articolo 62, comma 12, il principio più garanti-

sta e favorevole in base al quale, nel regime transitorio e per gli sca-

richi già esistenti, pur applicandosi la normativa previgente, sono

fatte in ogni caso salve le disposizioni più favorevoli introdotte dalla

nuova normativa.

Il campionamento

Quanto infine alla disciplina del campionamento, il principio cardine,

nell’ottica di un adeguato sistema di controlli, è quello della rappre-

sentatività del campione.

La modifica introdotta nell’allegato 5 rende la disposizione più ade-

rente a questo principio, tenendo conto anche dell’orientamento

espresso dalla Corte di Cassazione secondo la quale, con particolare

riferimento agli scarichi industriali, il principio del campionamento

medio non può essere unico ed esaustivo, atteso che vi sono scarichi di

minore durata, lavorazioni particolari o tipi di accertamento che richie-

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dono un campionamento diverso per essere rappresentativo. Di conse-

guenza la previsione di un campionamento medio nell’arco delle tre

ore è stata sempre sostanzialmente prevista come indicazione di mas-

sima, ma non esclusiva e vincolante.

D’altro canto, proprio per il principio generale della rappresentatività

del campione e dell’effettività dei controlli, non poteva non preveder-

si l’ipotesi di un campionamento istantaneo: si pensi, ad esempio, ad

uno scarico la cui composizione venga intenzionalmente modificata

nel corso del controllo.

Considerata quindi la necessità di fornire agli organi di controllo prin-

cipi dettagliati e tali da non ingenerare contrasti in sede amministrati-

va e giurisdizionale, il testo è stato modificato nel senso che, per una

ottimale esecuzione delle determinazioni analitiche, il campionamento

avviene tramite un campione medio nelle tre ore, ma l’Autorità prepo-

sta al controllo, con motivazione scritta espressa nel verbale di prelie-

vo e quindi valutabile anche a posteriori, può effettuare il campiona-

mento su tempi diversi.

Ciò al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scari-

co, tenendo conto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione,

delle caratteristiche dei ciclo tecnologico, del tipo di scarico continuo

o discontinuo e del tipo di accertamento in atto, come nel caso di

accertamenti di emergenza.

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