La nostra visione del mondo e le possibili criticità

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La nostra visione del mondo e le possibili criticità Carmine D’Arconte Seminario sulla Comunicazione Velletri 31 maggio-1 giugno 2003

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La nostra visione del mondo e le possibili criticità

Carmine D’Arconte Seminario sulla Comunicazione

Velletri 31 maggio-1 giugno 2003

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Anche Dio si è dovuto “sforzare” per avvicinarsi all’uomo Ognuno di noi ha un suo modo di vedere e concepire il mondo ed è in base a

tale visione, assolutamente personale, che agisce, ama, odia, vive. E’ facile scoprire che le varie visioni del mondo sono spesso molto diverse, al

punto di diventare a volte inconciliabili. Chi ha ragione? Qual’è la visione giusta? Esistono verità assolute ed universali

valide per tutti? Come gestire le differenze ed evitare gli scontri?

Lo stesso oggetto viene visto in modo diverso a seconda della “visuale” di ognuno.

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La visione che ognuno di noi ha del mondo è parte integrante di noi stessi, anzi è forse la parte più importante e più intima di ogni persona; la nostra individualità come essere pensante si estrinseca e si concretizza proprio in questa visione che è nostra, soltanto nostra.

E’ normale pertanto che ogni individuo sia profondamente “attaccato” alla sua visione della realtà (non esserlo significherebbe non amarsi, non autostimarsi ecc. ecc.); è anche normale, come reazione emotiva, essere contenti e soddisfatti se in un confronto con gli altri incontriamo solidarietà e condivisione e sentire invece disappunto e irritazione in caso di non accettazione o contestazione.

L’attaccamento alla propria visione in sé non è un problema, anzi è segno di stima e fiducia in sé stessi; tuttavia, proprio perché è parte integrante di noi stessi, non è pensabile di poterla mettere da parte con disinvoltura come se fosse un abito o una maschera per indossare qualcosa di diverso; in sostanza, almeno entro certi limiti, ne siamo come “prigionieri”

Di conseguenza, a volte, trascinati dall’attaccamento a noi stessi, è naturale essere portati a pensare che la nostra visione del mondo sia l’unica possibile o. peggio ancora l’unica vera, l’unica giusta; si tende cioè ad “assolutizzare” il nostro punto di vista ritenendo normale che vada bene anche agli altri. Se così non è, a volte l’incontro di visioni diverse più che ad un confronto costruttivo può portare all’insorgere di stati conflittuali irriducibili.

Lasciamo per un momento il problema della visione del mondo che può suonare agli spiriti più pragmatici come un’astrazione e confrontiamoci con qualcosa di molto più semplice come la guida della macchina e poniamoci la domanda: “Si deve guidare tenendo la destra o la sinistra?” La risposta immediata (e imprecisa) sarebbe con tutta probabilità “la sinistra” per un inglese e “la destra” per un francese. Una risposta possibile, decisamente meno intelligente ma abbastanza comune, potrebbe essere invece: “Che domande! Lo sanno tutti che si guida a sinistra (o a destra)!”.

Noi sappiamo che la risposta corretta può essere una sola: “ nella maggior parte dei paesi si guida a destra mentre in alcuni – Inghilterra, Malta, Giappone ecc.- si guida a sinistra; è importante sottolineare che non esiste una soluzione migliore, sono due modi diversi di risolvere lo stesso problema entrambi perfettamente logici e corretti frutto di una scelta tra due alternative possibili.

Da notare tuttavia che a fronte di questa scelta, ognuno ha consolidato le proprie capacità di guida sviluppando automatismi specifici che consentono ormai di guidare in assoluta tranquillità senza sforzo e senza tensione; se però ci troviamo in un paese dove vige una scelta diversa rispetto al nostro, guidare può diventare faticoso e richiedere comunque un certo sforzo e attenzione cosciente.

Ad un francese che sperimenta tale sforzo per esempio nel traffico londinese, può venire spontaneo lamentarsi di una scelta difforme dal suo standard o, cosa ancora peggiore, magari dopo aver rischiato un incidente, esclamare furente: “ Ma perché qui devono guidare dalla parte sbagliata?” Dal semplice esclamare al convincersi che effettivamente a Londra si guidi dalla parte errata il passo è abbastanza breve e, in tal senso, si può rilevare che i nostri automatismi tendono a

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distorcere il nostro giudizio (è molto più facile definire giusto ciò che risulta consueto e facile da realizzare piuttosto che l’inverso).

Paul Watzlawick1, in Istruzioni per rendersi infelici, nel capitolo “Questi pazzi stranieri”, descrive magistralmente le problematiche e le serie criticità che inevitabilmente insorgono quando uscendo dal nostro paese, o anche dal nostro contesto abituale, ci si confronta necessariamente con costumi, usanze, abitudini, visioni del mondo a volte radicalmente diverse; qui l’autore, con il suo consueto approccio apparentemente paradossale, esorta comunque a non preoccuparsi, l’importante è “supporre semplicemente, malgrado tutte le prove contrarie, che il proprio comportamento sia in ogni caso naturale e normale. Ogni comportamento diverso, nella stesa situazione, diventa così insensato o per lo meno stupido”.

Per arrivare a estendere questo tipo di approccio da semplici usanze e abitudini, già foriere di considerevoli criticità, ad aspetti e concetti di gran lunga più importanti quali la felicità, la morale, l’amore, il bene, il male ecc., il passo è breve e comporta peraltro un’ulteriore grandissima complicazione data dal fatto che, al crescere del livello di astrazione e di complessità, acquista sempre maggiore rilevanza l’elemento soggettivo al di là e in aggiunta alle peculiarità etnologiche del paese di appartenenza; è chiaro che in tal modo il gap tende facilmente a diventare sempre più profondo con spazi di conciliazione sempre più ridotti.

Parlando per esempio del concetto di felicità, Paul Watzlawick riporta che già Terenzio Varrone2 aveva elencato ben 289 modi diversi di definirla e che nel settembre del 1977 gli ascoltatori di un programma di Radio Assia hanno constatato l’impossibilità di quattro rappresentati di diverse discipline di trovare un accordo sul significato del termine, malgrado gli sforzi di un eminente, paziente e capace moderatore3.

Ribadiamo tuttavia che il problema non è la diversità di opinioni ma il considerare le proprie idee come le uniche vere, le uniche possibili.

In sostanza, come avviene di norma nei bambini, c’è il pericolo che anche gli adulti continuino di fatto a ritenersi al centro dell’universo e a trovare normale che tutto il resto graviti intorno a loro.

Si badi che non sto banalmente evidenziando aspetti egoistici ed egocentrismi di singoli “cattivi” da considerare come eccezioni da non imitare; mi riferisco invece ad una sorta di miopia intellettuale generalizzata per cui l’uomo, in modo assolutamente ingiustificato, tende a porsi al centro del creato.

E’ sulla scorta di tale “miopia” che è stato creato o per meglio dire inventato di sana pianta il sistema astronomico che porta il nome di Tolomeo4 dove la terra rappresenta il centro di ogni cosa e l’intero Universo gli gira intorno.

In realtà oggi sappiamo non solo che è la terra a girare intorno al sole ma che l’intero sistema solare è lontano ben 30.000 anni luce5 circa dal centro della Via

1 Watzlawick P. (1983), Anleitung zum Ungluecklich sein, R.Piper & Co. Verlag, Muenchen 2 Marco Terenzio Varrone, soprannominato Reatinus, scrittore latino (116-27 A.C.);www.rietiscuola.net 3 Watzlawick P. (1983), Anleitung zum Ungluecklich sein, R.Piper & Co. Verlag, Muenchen, pag. 10 4 Tolomeo ( 100-178 dc ca.) astronomo e matematico, sviluppò un sistema planetario che rappresentò l’unico modello del mondo fino al XVI secolo- vedi allegatI 5Anno luce = spazio percorso dalla luce in un anno pari a circa 10.000 trilioni di chilometri (trilione = 1000 miliardi)

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Lattea, una delle galassie che esistono numerosissime (se non infinite) nell’Universo.

E’ sempre per la stessa ragione che siamo portati a pensare che l’uomo rappresenti il culmine della creazione o, addirittura, il fine ultimo dell’Universo, pensiero respinto come ridicolo già da Lucrezio nel De Rerum Natura (libro V) e poi da Montaigne nei Saggi (capitolo 12).

E’ ovvio che a questo delirio di antropocentrismo ha dato un buon contributo anche la religione affermando che l’uomo è fatto ad immagine di Dio peraltro imponendo con la forza la sua visione e le sue idee e reprimendo brutalmente la libertà di pensiero (si pensi al martirio di Giordano Bruno o alle vicende di Galileo).

Va ora compreso che già il singolo individuo cede facilmente alla tentazione di pensare che se gli altri non la vedono nello stesso modo può solo significare che non hanno capito, che sbagliano e che comunque, prima o poi, dovranno cambiare; nei gruppi però la situazione è decisamente peggiore e, in tale contesto, è abbastanza normale il passo successivo, infinitamente più grave, dove l’egocentrismo viene portato alle conseguenze estreme e ciò che è diverso viene giudicato “non compatibile” e quindi da eliminare (Nietsche giustamente evidenziava a tale riguardo che la follia, rara nei singoli, è la norma nel gruppo)

La visione egocentrica, sublimata di fatto o solo apparentemente nelle forme più varie (dal sentimento religioso, a quello politico, alle dottrine eugenetiche ecc.), ha avuto nella storia conseguenze addirittura devastanti ed ha causato milioni di morti, sofferenze e mali a non finire; si pensi all’Inquisizione e alle crociate, alle conversioni forzate, alla schiavitù, al razzismo, allo sterminio degli ebrei ecc. ecc.

La nostra non è una visione ingenua; è ovvio che molti hanno consapevolmente causato, sostenuto, vissuto e approfittato di tali tragedie cogliendo un’occasione di profitto senza preoccuparsi del resto; ma crediamo anche che molte persone, in buona fede, siano state realmente convinte di essere i portatori dell’unica verità da difendere con ogni mezzo dagli eretici e dagli infedeli.

Le crociate e i suoi “massacri”

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Per esempio nel vergognoso massacro di massa perpetrato dalla civile e cristiana Europa ai danni delle popolazioni indigene dell’America dopo il 1492, sono convinto che molti missionari abbiano sinceramente sentito il dovere di portare l’unica religione vera ai barbari idolatri senza rendersi conto che, in realtà, stavano rischiando di aggiungere, alle spaventose violenze fisiche già subite, anche quelle spirituali deprivando le popolazioni del diritto, inalienabile in una società civile, alla propria identità religiosa.

A fronte dell’esistenza di n modi diversi di vedere il mondo sorge spontanea una

domanda e cioè: “ma esistono verità assolute e universali che in quanto tali siano necessariamente valide per tutti?”.

La risposta sembrerebbe essere negativa (il condizionale è d’obbligo per non incorrere in un’evidente contraddizione) ed una riprova di tutto rispetto viene dagli ultimi sviluppi della scienza.

La fisica di Newton, orgoglio degli illuministi, che ha consentito tanti e tali progressi e che ha portato alla formalizzazione di leggi ritenute a suo tempo assolute e universali, cessa di essere valida quando entriamo nella fisica subatomica o quando sono in gioco oggetti che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce (come nel caso degli acceleratori di particelle).

Per esempio la fisica classica ci ha insegnato che la massa è una grandezza assoluta a differenza del peso che è variabile a seconda del contesto (un uomo sulla Luna pesa circa un quarto di quanto pesa sulla Terra).

Al contrario, secondo la teoria della relatività, la massa, nel caso di oggetti che viaggino a velocità estremamente elevate, si comporta come una grandezza relativa in quanto tende ad aumentare fino a diventare infinita al raggiungimento della velocità della luce; da notare incidentalmente, cosa ancora più incredibile, che nelle stesse condizioni il tempo rallenta!

Un altro esempio di rilievo ci viene dalla geometria che abbiamo studiato a scuola: “Per più di 2500 anni il quinto postulato di Euclide 6 è stato considerato nel contempo vero (una descrizione dell’effettiva realtà) e indimostrabile (perché troppo evidente, da accettare per intuizione) 7”l.

In realtà tale postulato è solo indimostrabile ma non è affatto “vero”; infatti due studiosi, Lobacevskij e Riemann, partendo da ipotesi diverse hanno costruito due geometrie (iperbolica ed ellittica rispettivamente) che godono di altrettanta coerenza rispetto a quella Euclidea.

I risultati a cui arrivano le tre geometrie sono ovviamente diversi; per Euclide la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre uguale a 180 gradi, mentre per Lobacevskij è sempre inferiore e per Riemann sempre superiore.

6 Per un punto P, posto al di fuori di una retta R, passa una ed una sola parallela alla retta data. 7 Nicola, U.; (2001) Atlante illustrato di Filosofia, pag. 234

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La geometria euclidea e quella iperbolica di Lobacevskij arrivano a due conclusioni diverse circa il valore degli angoli interni di un triangolo.

Chi ha ragione? Qual è la geometria vera? La risposta corretta è che “sono

domande senza senso!”; non c’è una verità assoluta in nessuna delle tre geometrie, sono tutte e tre sistemi perfettamente logici e coerenti da usare al meglio a seconda delle circostanze.

Euclide, Bernhard Rieman (geometria ellittica) e Nikolai Ivanovich Lobachevsky (geometria iperbolica)

Per esempio mentre per le comuni necessità terrestri la geometria di Euclide è

sicuramente la più utile e la più adatta, quando si ragiona in termini planetari, ad esempio per programmare le orbite di una nave spaziale intorno alla terra, occorre porsi nel mondo ellittico descritto da Riemann. Lo stesso Einstein si è servito di tale geometria nei calcoli astronomici della relatività.8

Oltre all’impossibilità di formulare principi assoluti e universali esiste anche una altro problema che ha particolare rilevanza ai nostri fini e cioè l’impossibilità di conoscere e comprendere la realtà esterna per quello che effettivamente è.

In tal senso un contributo fondamentale viene dalla filosofia con Immanuel Kant che, nella Critica della Ragione Pura è stato il primo a focalizzare una particolare criticità del processo di apprendimento e cioè che: “i nostri sensi e la

8 Nicola, U.; (2001), Atlante illustrato di Filosofia, Demetra; pag. 234

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nostra mente apprendono sì dal mondo esterno ma in questo processo ci mettono anche parecchio del loro”9. E ancora sempre Kant: “siamo noi stessi che introduciamo l’ordine e la regolarità nei fenomeni che chiamiamo Natura”.10

Spazio curvo e geometrie non Euclidee Heisenberg nel 1927 ha formulato il famoso principio di indeterminazione che,

in estrema sintesi, afferma che l’analisi di un fenomeno da parte del soggetto altera inevitabilmente il fenomeno stesso.

In modo più rigoroso tale principio “stabilisce l’impossibilità di determinare la traiettoria di una particella elementare poiché il quanto di luce necessario per illuminarla onde determinarne la posizione, altera in maniera imprevedibile la particella stessa e il suo moto. Col principio di indeterminazione di Heisenberg si viene a negare, anche in Fisica, la concezione classica che intendeva il mondo indipendente dalle azioni dell’osservatore, il quale invece, nell’atto di conoscerlo vi partecipa e lo modifica11”

Quanto abbiamo sopra riportato “sono tutte svolte decisive nell’affermazione di un’idea rivoluzionaria sul piano epistemologico: la conoscenza scientifica è sempre una conoscenza relativa al punto di vista dell’osservatore e tale punto di vista è storicamente condizionato sia da fattori interni alla comunità scientifica, sia da fattori esterni. Le leggi di natura non appaiono più come leggi universali, valide in assoluto in ogni tempo e in ogni luogo (omissis). Il sapere, quindi, non è indipendente dal soggetto conoscente, ma è costruito in relazione a scelte compiute dal soggetto stesso”.12

Il colpo di grazia, per così dire, per una defenestrazione dell’uomo dal suo presunto ruolo di centralità nell’Universo, viene infine dal cosiddetto “Principio antropico”.

9 Kant I., citato in Savater F., (1999); Las Preguntas de la Vida, Ariel; pag 128 10 Kant I., citato in Boncinelli E., (1999); Il Cervello la Mente e l’Anima, Mondatori, pag. 4 11 Corbetta P., (2000), Metodologie e Tecniche della Ricerca Sociale, Il Mulino pag 29 12 Bagnasco A.; Barbagli M; Cavalli A.; (1999) Corso di Sociologia, pag 247

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Tale principio è stato enunciato agli inizi degli anni sessanta da Robert Dicke ed è stato sottoscritto e ripreso da Stephen Hawkings in Brief history of Time. Il principio suona a prima vista come qualcosa di assolutamente banale e cioè: “Posto che ci siano osservatori nell’Universo, questi deve possedere le caratteristiche che consentono l’esistenza di tali osservatori13”

Immanuel Kant, Werner Heisenberg e Stephen Hawking In realtà, se nella sua apparente banalità tale principio non fa che evidenziare

un fatto assolutamente ovvio, le conseguenze di questa ovvietà sono di grande portata in quanto ci condannano per sempre all’impossibilità di conoscere, sia pure in modo imperfetto e con i limiti già prima evidenziati, qualsiasi parte dell’Universo dove vigano condizioni tali da non ammettere sia l’esistenza dell’essere umano che di strumenti di analisi e studio da lui prodotti.

Su Giove un uomo di 70 kg sulla Terra (temperatura e mancanza d’aria a parte) verrebbe schiacciato dai circa 300 kg del suo peso; che potrebbe succedere su Sirio? Esistono sonde che potrebbero resistere ad un’attrazione gravitazionale così forte?

Chi o che cosa mai potrà mai entrare all’interno del sole? Chi o cosa potrà mai vedere cosa avviene all’interno di un buco nero superato l’orizzonte degli eventi?14

Al di là di tali esempi facilmente comprensibili ma in fondo limitati dato che evidenziano soltanto difficoltà/impossibilità di osservazione ma sempre nell’ambito del mondo di cui facciamo parte, il punto è che non è dato neppure immaginare quanta parte dell’Universo ci sia effettivamente preclusa per sempre; come rileva Savater15 “ci è possibile comprendere e conoscere qualcosa del nostro mondo perché ne possiamo e di fatto ne facciamo parte e quindi possiamo osservarlo; se fossimo

13 Savater F., (1999); Las Preguntas de la Vida ; Ariel, pag 129 14 E’ il punto limite di non ritorno dove i fotoni sono prigionieri e non possono sfuggire all’esterno né penetrare

all’interno del Buco nero. Bernardi G.(1996) I Buchi Neri, Newton, pag. 56 15Savater F., (1999); Las Preguntas de la Vida; Ariel , pag 130.

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del tutto incompatibili con la sua comprensione non lo sapremmo neppure perché non avremmo mai avuto la possibilità di esistere”.

Buco nero e “orizzonte” degli eventi Ritornando al nostro tema possiamo concludere che: • Non esistono, a quanto sembra, leggi assolute valide in ogni luogo ed in ogni

tempo (neppure nelle scienze) • La realtà vera non è conoscibile • Delle n parti dell’universo possiamo tentare di capire qualcosa solo in ambiti

estremamente limitati e cioè solo in quelli tali che consentono la nostra esistenza. Gli altri ci sono preclusi, probabilmente per sempre.

Tutto questo, oltre a riempirci di umiltà, dovrebbe farci capire quanto sia

assolutamente insensato pensare che la nostra visione del mondo possa essere l’unica vera!

Ci dovrebbe spingere, pur amando noi stessi e le nostre convinzioni, ad essere sempre pronti a metterci in discussione partendo da un principio tanto semplice quanto fondamentale che non possiamo pensare di essere perfetti e che di conseguenza qualsiasi cosa abbiamo fatto poteva essere realizzata in modo migliore (non siamo perfetti, al più solo perfettibili!).

Dovrebbe farci capire che la capacità di metterci costantemente in discussione ed essere capaci di rispondere e reagire in modo sempre ottimale, diventa una necessità sempre più rilevante in quanto le situazioni e i contesti che ci si presentano, anche se simili, non sono mai esattamente identici e di conseguenza

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richiedono da parte nostra approcci parzialmente o totalmente diversi, spesso, innovativi e/o creativi.

Dovrebbe infine spingerci a considerare l’altro e il diverso non già come un limite conflittuale al nostro ego ma, al contrario, come una indispensabile opportunità di arricchimento tramite un costante e costruttivo confronto; non fare questo, infatti, può portare a sprofondare nella peggiore delle solitudini, quella che ci fa invecchiare e morire nello spirito nell’aridità più completa, sia intellettuale che affettiva, senza scambi, senza confronti, privi della linfa vitale che gli altri ci possono offrire, preda di un arrogante, sterile ed ingiustificato compiacimento narcisista.

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Allegati

Sistema aristotelico-tolemaico

Rappresentazione che, a differenza del sistema copernicano pone la Terra immobile al centro dell' universo, facendone il centro dei moti dei pianeti. Il sistema tolemaico, che risale all'antichità e che, prima di Tolomeo enne enunciato da Aristotele nel IV secolo a. C., può essere così schematizzato: Terra (come si è detto immobile al centro dell' universo), Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Le sfere dei pianeti erano racchiuse dal cielo delle stelle fisse, corpi celesti che non presentavano alcun tipo di movimento; tale cielo ruotava grazie all'impulso datogli dal primo mobile - il nono cielo, velocissimo e privo di stelle - attraverso Dio.

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Astronomy Picture of the Day Discover the cosmos! Each day we feature a different image or photograph of our fascinating universe, along with a brief explanation written by a professional astronomer. September 8, 1995

The Milky Way's Center Credit: NASA, Cosmic Background Explorer (COBE) Projectt Explanation: NASA's COBE satellite scanned the heavens at infrared wavelengths in 1990 and produced this premier view of the central region of our own Milky Way Galaxy. The Milky Way is a typical spiral galaxy with a central bulge and extended disk of stars. However, gas and dust within the disk obscure visible wavelengths of light effectively preventing clear observations of the center. Since infrared wavelengths, are less affected by the obscuring material, the Diffuse infrared Background Experiment (DIRBE) on board COBE was able to detected infrared light from stars surrounding the galactic center and produce this image. Of course, the edge on perspective represents the view from the vicinity of our Sun, a star located in the disk about 30,000 light years out from the center. The DIRBE experiment used equipment cooled by a tub of liquid helium to detect the infrared light which, composed of wavelengths longer than red light, is invisible to the human eye. Tomorrow's picture: The Last Moon Shot

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