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LA NEWSLETTER DI MISTERI D’ITALIA

Anno 2 - N.° 24 23 SETTEMBRE 2001

Continua l’aggiornamento del sito

www.misteriditalia.comwww.misteriditalia.it

E’ on line la nuova sezione di MISTERI D’ITALIA interamente dedicata ai FATTI DI GENOVA che oltre a ricostruzioni, testimonianze e retroscena conterrà atti giudiziari ed anche l’integrale delle audizioni e dei documenti del Comitato Parlamentare.

QUESTO NUMERO È IN BUONA PARTE DEDICATO ALL’ATTACCO TERRORISTICO SUGLI STATI UNITI ED ALLE SUE PROBABILI,

DISASTROSE CONSEGUENZE.COME QUALCUNO POTREBBE ERRONEAMENTE CREDERE, NON SI

TRATTA DI UN TEMA ESTRANEO A MISTERI D’ITALIA. UNA SITUAZIONE DI GRAVE TENSIONE INTERNAZIONALE – CHE HA

EVIDENTI RIFLESSI SUL NOSTRO PAESE – CHIAMA IN CAUSA L’AZIONE DEGLI APPARATI STATALI (SERVIZI SEGRETI COMPRESI)

E MERITA QUINDI UN’ATTENZIONE ED UN’ANALISI COSTANTI.

LA REDAZIONE DI MISTERI D’ITALIA STA LAVORANDO ALLA CREAZIONE DI UNA SEZIONE SULLE PROBLEMATICHE DEL

TERRORISMO INTERNAZIONALE.

IN QUESTO NUMERO:

- Usa attack: l’altro scenario possibile di Alessandro Lattanzio- Usa attack (2): il paradosso dei mercati globali- Usa attack (3): i servizi segreti e la fretta di Berlusconi- Usa attack (4): il terrorismo ed il rischio Balcani- Usa attack (5): l’ONU, Arlacchi e gli aiuti ai Talebani- Usa attack (6): il solito servilismo della stampa italiana- Usa attack (7): una strana e mail circola su Internet - Dopo Genova: le vergognose conclusioni del Comitato parlamentare- Dopo Genova (2): 15 miliardi i danni dei black bloc. Meno del previsto.- Dopo Genova (3): il film di Davide Ferrario- Dopo Genova (4): l’impegno della Federazione della Stampa

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- Anarco-insurrezionalisti: perquisizioni in tutta Italia

DOCUMENTAZIONE:Amicizie pericolose: Osama bin Laden e gli americanidi Michel Chossudovsky

USA ATTACK: L’ALTRO SCENARIO POSSIBILE di Alessandro Lattanzio

L'11 settembre 2001 come il 7 dicembre 1941? Può sembrare un paragone possibile, ma non nel senso comunemente accettato in questi giorni: attacco a tradimento su New York e Washington da parte dei terroristi islamici, come attacco a tradimento è stato il blitz aeronavale nipponico su Pearl Harbour. Sì l'analogia esiste, ma ha un altro aspetto.Robert Stinnett è uno storico statunitense che ha scritto un libro intitolato "Il giorno dell'inganno", dove afferma che l'attacco giapponese agli USA non solo era stato scoperto dai servizi d'informazione della marina militare statunitense, ma anche volutamente lasciato incontrastato e perfino incoraggiato! Tutto ciò allo scopo di trascinare alla guerra, contro la Germania nazista e il Giappone militarista, un’opinione pubblica statunitense tendenzialmente isolazionista e neutralista. E documenti e prove a sostegno di tale accusa non mancano.Come non mancano indizi inquietanti sull'attentato contro gli USA.Esaminiamoli brevemente:- Quattro aerei di linea vengono sequestrati in contemporanea, decine di sospetti

terroristi riescono a superare i controlli aroportuali. Evento di per sé strano, ma ancor più strano è l'atteggiamento delle autorità aeroportuali e dell'aeronautica militare. Quando gli aerei vengono dirottati, le torri di controllo riescono a mettersi in contatto con la difesa aerea solo dopo mezz'ora dall'evento, o almeno dopo mezz'ora l'aeronautica viene avvertita dei dirottamenti. Cosa è successo?

- Gli aerei intercettori si alzano in volo ma, per il ritardo accumulato, non riescono a intercettare i velivoli, tranne nel caso del velivolo diretto a Camp David, che viene abbattuto. Riguardo a quest'ultimo caso, le autorità per motivi oscuri (o forse per motivi assai chiari), negano di averlo abbattuto, ma guardando le immagini del luogo dello schianto del velivolo - dove si vede solo un solco e ben pochi rottami sparsi – è facile dedurre l'esplosione in volo dell'aereo, forse perché centrato da un paio di missili aria-aria.

- I kamikaze non erano degli sprovveduti, dovevano essere riuniti in commando che comprendevano ciascuno uno o due piloti esperti. In effetti i piloti kamikaze non possono essersi formati nelle scuole di volo per diportisti della domenica. È probabile che fossero dei piloti militari e, magari, di linea che hanno accumulato le ore di volo e l'esperienza necessari per poter pilotare, anche se per mezz'ora, ma in modo sicuro gli aviogetti, scagliandoli scientificamente contro le Torri Gemelle e il Pentagono, creando i maggiori danni possibili, e 5.500 morti lo sono! Inutile che FBI, NSA e CIA si prodighino tanto a provare che fossero dei piloti dilettanti,

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non si sprecano così anni di tempo e milioni di dollari in risorse e mezzi per affidarsi a dei piloti della domenica!

- Subito dopo gli attentati si scopre, con un tempismo eccezionale, l'auto di un terrorista, che, guarda caso, ha nel bagagliaio, videocassette e libri scritti in arabo su come pilotare aerei di linea o su come calcolare il consumo di carburante avio.

- Sorprende che nel territorio statunitense centinaia di uomini affiliati al nemico pubblico numero uno, possano impunemente addestrarsi a fare esplodere il centro economico e politico-militare degli USA, l'unica superpotenza mondiale dotata del sistema di spionaggio elettronico Echelon, che spia anche i messaggi sms e le e-mail, ma non intercetta le comunicazioni del "nemico". E non vengano a dirci che gli Stati Uniti sono il paese delle libertà, e che perciò non vi sono limitazioni sull'attività dei singoli individui. Questo lo debbono raccontare ai membri del Black Panther Party, che venne distrutto fisicamente dalla polizia e dall'FBI.

- Non vanno dimenticati i legami tra la CIA e lo stesso Osama bin Laden, loro agente durante la guerra in Afghanistan, nonché miliardario grazie agli appalti che le forze armate statunitensi gli avevano affidato per la costruzioni delle loro basi militari in Arabia Saudita. Quanti sono gli amici su cui può contare all'interno dell'apparato d'intelligence statunitense? O meglio quanti 007 di Washington possono ancora contare su di lui? In effetti Bin Ladin è un uomo che procurava e procura parecchi fastidi a nemici e avversari degli USA: Russia, Cina, India, Iran, ecc. Come è possibile dimenticare tutto ciò?

- E come trascurare certe notizie e certi eventi di qualche mese o anno fa? Nel 1996 e nel 1997 davanti all'aeroporto di New York precipitarono due aerei, uno della TWA e un altro della EgyptAir. Non si seppe mai il perché, vennero avanzate spiegazioni che si basavano su possibili guasti tecnici. Ma poco convincenti. In compenso esiste una foto ripresa lo stesso giorno della scomparsa dell'aereo della TWA, in una località vicina all'area dell'incidente, dove appare la sagoma di un missile. Non vi sono state inchieste a tal riguardo. Qualche mese fa dai locali della FBI di Washington, se ben ricordo, spariscono ben 150 computer. Chi ha commesso il furto, non di certo dei ladri di polli! Ma soprattutto perché rubare i PC della polizia federale? Cosa avevano di importante? Non dimentichiamoci la scomparsa della assistente di quel deputato sporcaccione. Della ragazza non si è saputo più nulla. Anche questo è un caso? Una paranoia complottarda? Una coincidenza, che in eventi come questi abbondano in gran quantità?

Perché tutta questa messinscena? Semplice, almeno secondo me. Gli Stati Uniti devono sbloccare la situazione di stallo mediorientale, ovviamente a tutto vantaggio dell'alleato strategico della zona, lo stato-caserma israeliano. Ma come farlo senza distruggere le forze armate arabe (Siria, Palestina, Libano, Iraq) e islamiche (Iran e Pakistan). Si dirà che il Pakistan è alleato degli USA. Vero, ma è anche il principale fornitore di manodopera militare specializzata delle forze armate arabe. Sono loro che hanno costruito gli eserciti, le aviazioni e le marine dell'Arabia Saudita e degli altri emirati arabi del Golfo Persico. E inoltre ha il grave peccato di

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possedere l'arma nucleare. Un paese islamico, l'unico, a possedere l'arma "risolutiva". Una cosa che non sta poi tanto bene agli USA, secondo cui l’unico ad avere diritto alla Bomba Atomica nella zona è solo e soltanto lo stato di Israele. Ecco il perché delle minacce a Islamabad.

E come distruggere questo arsenale senza una guerra ad ampia scala? Guerra che non dispiace ai "concorrenti" degli USA. La Russia, la Cina, l'India (e l'Iran) sono contenti di schierarsi con gli USA, in questa crociata contro la barbarie terroristica islamico-integralista bandita dagli Stati Uniti. Perché? Semplice: il Pakistan e l'Afghanistan sono i perni della politica degli USA nell'area. E quindi nemici dei su citati stati. Non bisogna dimenticare che questi due stati hanno appoggiato le guerriglie separatiste in Russia (Cecenia e non dimentichiamoci della guerra del 1979-1989), in Cina (il terrorismo separatista degli Uiguri che opera nel Xinakiang, la provincia più occidentale della Repubblica Popolare), in India (Pakistan e bin Laden appoggiano e armano la guerriglia separatista mussulmana del Kashmir) e infine l'Iran, nemico numero tre di bin Laden, per motivi religiosi: Osama bin Laden è un fervente sunnita conservatore, e in quanto tale odia a morte l'Iran sciita rivoluzionario. Sono gli Stati Uniti che attaccando questi due paesi distruggono le basi politico-strategiche della loro presenza nel subcontinente asiatico. Inoltre c'è ben poco di cui vantarsi ne bombardare un paese raso al suolo come l'Afghanistan, dove la maggior parte dei suoi cittadini vive in tende e baracche, senza servizi e infrastrutture (i Talibani sanno solo distruggere e imporre l'oscurantismo), che vive grazie al traffico di oppio e agli aiuti di personaggi come bin Laden.

Ma come giustificare una guerra con decine o centinaia di migliaia di morti? Ci voleva un casus belli, e lo si è trovato. Comunque.

USA ATTACK (2): IL PARADOSSO DEI MERCATI GLOBALIL’attacco agli USA da parte del terrorismo è arrivato dopo diverse settimane di difficoltà delle borse di tutto il mondo. Incomprensibile, addirittura inspiegabile, appariva soprattutto un dato: il crollo registrato da alcuni titoli assicurativi europei, in particolare di quelli che sono considerati i leader delle riassicurazioni, ossia Munich Re, Axa e Swiss Re.In tre giorni, dal 4 al 7 settembre, il titolo Munich era passato da 309,01 a 269,97 euro, con un calo di quasi il 13%. E lo stesso stava succedendo agli altri due titoli. Un crollo decisamente amplificato rispetto alle difficoltà dell’insieme dei mercati finanziari mondiali. Ora, dopo gli attentati, è possibile ipotizzare che a speculare siano state proprio organizzazioni finanziarie vicine a formazioni terroristiche internazionali. L’ipotesi su cui sta indagando l’FBI assieme alla Security Exchange Commission è che qualcuno abbia deciso di vendere allo scoperto, nella consapevolezza che i mercati avrebbero reagito agli attentati proprio con un collo dei titoli assicurativi più

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penalizzati dai premi che avrebbero dovuto pagare per le distruzioni subite e le migliaia di morti provocate.L’organizzazione di bin Laden, Al Qaeda, dispone infatti di un proprio comitato finanziario che fino a pochi anni fa gestiva una propria società di trading, la Taba Investment. E a Lugano, un'altra società finanziaria, la Al Taqwa, è da tempo sospettata di gestire fondi personali di bin Laden. Su questa società indagano da diversi anni diversi organismi internazionali, compresi i servizi segreti americano ed israeliano. Senza però essere mai riusciti a venire a capo di nulla. Perché? Per il semplice fatto che l’area d’intervento di questa società spazia dal golfo Persico all’Europa, dagli Emirati arabi alla Gran Bretagna, dall’Arabia Saudita alla Svizzera: un insieme di aree di attività alla fine impenetrabile.Le regole del capitalismo e della globalizzazione si basano su una serie di compromessi tra cui trova piena cittadinanza la norma dei “paradisi”, ossia delle aree in cui il denaro gode di una totale segretezza bancaria. Allo smantellamento dei “paradisi” non si oppongono solo paesi che storicamente hanno fatto della segretezza la loro forza, come la Svizzera ed il Lussemburgo, ma anche la Gran Bretagna. E vi si oppone soprattutto l’amministrazione Bush che appena quattro mesi si è rifiutata di firmare la nuova convenzione dell’OCSE contro il riciclaggio e le frodi fiscali. Il paradosso è proprio questo: i dettami necessari ed indispensabili dei m ercati globalizzati finiscono con il favorire i nemici stessi di coloro che dal sistema della globalizzazione intendono ottenere smisurati profitti.

USA ATTACK (3): I SERVIZI SEGRETI E I DUBBI DI BERLUSCONIIl consiglio dei ministri dovrebbe decidere venerdì prossimo (28 settembre) le nomine dei nuovi vertici dei servizi segreti italiani. Il quadro delle sostituzioni vede il generale dei carabinieri Mario Mori, già responsabile del ROS dei carabinieri, alla guida del SISDE, il servizio segreto civile e il generale della guardia di finanza Nicolò Pollari al SISMI, il servizio segreto militare. Ma per Il SISDE ci sono altri due pretendenti: i prefetti di Milano e Firenze, Bruno Ferrante e Achille Serra. Se Ferrante non la spunterà sugli altri, in tempi più dilatati il prefetto di Milano andrà a sostituire Gianni de Gennaro ai vertici della polizia di stato.Ferdinando Masone resterà per almeno un altro anno a dirigere il CESIS, l’organismo di coordinamento dei due servizi segreti. Le nuove nomine erano attese già nella riunione del consiglio dei ministri di venerdì scorso (21 settembre), ma sembra che i servizi segreti stranieri abbiano chiesto di poter valutare quali interlocutori avranno nei prossimi mesi, dal momento che l’agenda prevede una stretta collaborazione delle intelligence occidentali in vista degli impegni antiterrorismo. Nel quadro dell’alleanza atlantica, l’Italia dovrà mobilitare le sue forze di spionaggio e di controspionaggio occupandosi soprattutto nell'area balcanica fino al mar Caspio,

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impegnandosi ad incrementare i rapporti con alcuni servizi segreti dei paesi nordafricani e mediorientali. Già previsto un nuovo finanziamento sia del SISMI che del SISDE (dispongono attualmente di un bilancio di circa mille miliardi di lire) che dovrebbe consentire l'assunzione di altri trecento agenti.

USA ATTACK (4): IL TERRORISMO ED IL RISCHIO BALCANINon è un mistero che da almeno tre anni gli americani - e i loro alleati della NATO nei Balcani - proteggano e riforniscano di armi le formazioni islamiche che si sono riconosciute in passate nelle milizie verdi della Bosnia e che si riconoscono oggi nell’UCK - l’Esercito di liberazione del Kosovo - e nelle altre formazioni sorte successivamente e che ancora conducono azioni di terrore e di pulizia etnica nella stessa provincia del Kosovo, nella Serbia del sud ed in Macedonia.Sembra di leggere nuovamente il copione che ha voluto gli americani al fianco delle milizie islamiche (in funzione anti-sovietica) in Afghanistan.In Kosovo americani e NATO sono addirittura arrivati a trasformare i guerriglieri del’UCK in una milizia armata, il TMK guidata da Agim Ceku, detto “il macellaio della Kraijna”, per i massacri compiuti ai danni dei serbi nella guerra di Croazia.Logico, quindi, che nell’intera penisola balcanica – alla luce degli avvenimenti dell’11 settembre – crescano allarme e preoccupazione.In un'intervista alla tv Politikal il ministro dell’Interno serbo, Dusan Mihajlovic, ha affermato che l'organizzazione di bin Laden “dispone di due basi in Bosnia Erzegovina, due in Kosovo ed è presente in Albania e Macedonia. Conosciamo gli uomini che dirigono le filiali dell'organizzazione mondiale di bin Laden nei Balcani – ha aggiunto il ministro, precisando che il suo dicastero dispone di “numerose informazioni sulle attività del terrorista più ricercato al mondo” ed è disponibile ad offrire a Washington “tutto l'aiuto possibile”.Intanto una commissione parlamentare della Bosnia ha appurato che 420 arabi, definiti “tutti cittadini di Paesi islamici a rischio”, hanno ricevuto, almeno fino al 1995, la cittadinanza bosniaca. Durante la guerra bosniaca un certo numero di mujaheddin, secondo alcuni dati circa quattrocento, vennero dai paesi islamici a combattere nelle file dell'esercito di Sarajevo. Alcuni sono rimasti nel paese anche dopo il conflitto. Due anni or sono il settimanale bosniaco Dani aveva ipotizzato che Osama bin Laden avesse chiesto il rilascio di un passaporto presso l'ambasciata bosniaca di Vienna. Dani ha rilasciato la stessa notizia la settimana scorsa. Dopo la smentita del ministero degli Esteri bosniaco, sulla vicenda è intervenuta l’autorevole agenzia di stampa tedesca DPA che ha fornito un'ulteriore versione della faccenda: l'ambasciata bosniaca a Vienna avrebbe in realtà rilasciato un passaporto a nome di bin Laden, ma il documento non sarebbe mai stato ritirato dall’interessato. Il passaporto sarebbe quindi stato distrutto per evitare imbarazzanti interrogativi.

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USA ATTACK (5): L’ONU, ARLACCHI E GLI AIUTI AI TALEBANIDa quasi un anno travolto dalle critiche che gli vengono mosse a livello internazionale (vedi le Newsletter di Misteri d’Italia n. 15 e 18), Pino Arlacchi – un sociologo calabrese, ex senatore DS, già consulente dei ministri dell’Interno democristiani Scotti e Mancino, oggi all’ONU per il coordinamento della lotta alla droga – è entrato nel mirino dell’amministrazione americana dopo gli attentati dell’11 settembre.Il rappresentante americano all’ONU Richard Holbrooke, che da tempo è un acerrimo critico delle iniziative assunte dal direttore dell’ufficio di Vienna – Arlacchi, appunto – lo accusa, fra l’altro, di aver finanziato il regime afghano dei Talebani con una trentina di miliardi di lire donati ai signori di Kabul in cambio della promessa di ridurre le superfici coltivate ad oppio.Arlacchi si è difeso, sostenendo che quei soldi furono distribuiti direttamente ai contadini, smentito in questo dagli stessi protocolli firmati dall’ONU che stabilivano di “operare in stretta collaborazione con le autorità provinciali” e quindi proprio con i Talebani.Sempre a sua difesa, il sociologo afferma anche che in Afghanistan, dopo la sua iniziativa, la produzione di oppio si sarebbe arrestata.Fermo restando che se bastassero appena una trentina di miliardi per impedire la produzione di droga, il problema del narcotraffico mondiale sarebbe risolto con pochi spiccioli, gli investigatori della DEA – il dipartimento della giustizia americana che si occupa proprio di lotta al traffico di narcotici – replicano che la diminuzione (e non certamente la cessazione) della produzione di eroina proveniente da Kabul dipende solo dalla volontà del governo afghano di controllare direttamente la coltivazione e la vendita degli oppiacei (prima gestite autonomamente da gruppi di guerriglieri assoldati da alcuni sceicchi) che rappresentano l’unica risorsa economica nazionale.Attraverso il Pakistan ed i legami della criminalità locale con la mafia truca, l’oppio trasformato in eroina invade l’Europa d il Nord America, fornendo dollari alle casse dei Talebani.Il mandato del sociologo italiano in seno all’ONU scadrà nel febbraio del 2002. Il governo italiano ha già rassicurato gli americani, affermando che per tale incarico non ha alcuna intenzione di chiedere la conferma dello stesso Pino Arlacchi.Il problema è che già si fa il nome del suo sostituto: l’attuale capo della polizia Gianni De Gennaro, reduce dai trionfi di Genova.

USA ATTACK (6): IL SOLITO SERVILISMO DELLA STAMPA ITALIANA

Il 12 settembre scorso, all'indomani dell'attacco agli Stati Uniti, è apparso sul quotidiano britannico The Indipendent un bellissimo articolo di Robert Fisk. E' una riflessione intelligente che ci sarebbe piaciuto leggere su una qualsiasi delle testate della grande stampa italiana. Se si escludono i quotidiani di sinistra (Il Manifesto, Liberazione, L'Unità), ancora una volta la grande stampa italiana ha scelto di non pensare, non riflettere, non approfondire, non andare al di là dell'apparenza.

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Un esempio per tutti: per farlo La Repubblica si è dovuta affidare alla penna di una scrittrice americana. Che penoso esempio di servilismo e di provincialismo.

Pubblichiamo di seguito gli articoli di Robert Fisk e di Susan Sontag.

Da The Indipendent del 12 settembre 2001 LA CRUDELTA' DEGLI UMILIATI di Robert Fisk

Dunque siamo giunti a questo. Tutta la storia moderna del Medio Oriente - il crollo dell'Impero ottomano, la dichiarazione Balfour, le menzogne di Lawrence d'Arabia, la rivolta araba, la fondazione dello Stato di Israele, le quattro guerre arabo-israeliane e i 34 anni della brutale occupazione israeliana di terre arabe: tutto cancellato nel giro di poche ore, quando coloro che sostengono di rappresentare una popolazione schiacciata e umiliata hanno restituito il colpo, con la malvagità e la spaventosa crudeltà di un popolo condannato. E' giusto, è morale, scrivere queste parole tanto presto, senza prove, quando l'ultimo atto di barbarie prima di questo - quello di Oklahoma City - si rivelò poi opera di americani purosangue? Io temo che lo sia. Gli Stati Uniti sono in guerra e, a meno che io non mi sbagli, ora il programma è che muoiano molte altre migliaia di persone nel Medio Oriente e forse anche in America. Alcuni di noi avevano messo in guardia sulla "deflagrazione imminente". Ma non avevamo mai neanche lontanamente immaginato questo incubo. E poi, certo, viene da pensare a Osama bin Laden, ai suoi soldi, alla sua teologia, alla sua terrificante dedizione all’obiettivo di distruggere la potenza americana. Ero seduto di fronte a bin Laden mentre mi descriveva in che modo i suoi avessero l'esercito russo in Afghanistan, e pertanto a distruggere l’Unione Sovietica. E' la sconfinata fiducia in se stessi di questi uomini che ha consentito loro di dichiarare guerra agli Stati Uniti. Ma questa non è la guerra della democrazia contro il terrore, come nei prossimi giorni si chiederà al mondo di credere. Ha a che fare anche con i missili americani che si schiantano sulle case dei palestinesi, gli elicotteri statunitensi che sparano missili su un'ambulanza libanese nel 1996, i proiettili d'artiglieria americani che si abbattono su un villaggio chiamato Qana, e la milizia libanese - finanziata e rifornita di uniformi da Israele, alleato dell'America - che si fa strada nei campi profughi a forza di distruzioni, stupri e massacri. No, non ci sono dubbi sul male assoluto, indescrivibile di quanto è avvenuto negli Stati Uniti. Il fatto che i palestinesi abbiano potuto festeggiare il massacro di ventimila, forse 35mila persone innocenti, non è soltanto un sintomo della loro disperazione, ma anche della loro immaturità politica, del fatto che non capiscono che cosa significa ciò di cui hanno sempre accusato i loro nemici israeliani: che cosa significa un atto sproporzionato. Per anni abbiamo preso per minacce senza costrutto le dichiarazioni roboanti, le promesse di colpire il cuore dell'America e di tagliare la testa del "serpente americano". Come poteva un gruppo di piccole organizzazioni violente e di regimi arretrati, conservatori e antidemocratici mantenere promesse tanto assurde? Adesso lo sappiamo.

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Nelle ore che sono seguite alla devastazione di martedì, hanno cominciato a tornarmi in mente le altre inaudite aggressioni contro gli Stati Uniti e i loro alleati, che adesso sembrano microscopiche in confronto con le perdite umane di martedì. Gli attentatori suicidi che il 23 Ottobre 1983 uccisero 241 militari americani e cento paracadutisti francesi non programmarono forse i loro attacchi con precisione impensabile? Trascorsero appena sette secondi fra l'attentato dinamitardo contro la caserma dei marines e la distruzione di quella francese, situata a cinque chilometri di distanza. Poi ci furono gli attacchi alle basi americane in Arabia Saudita e il tentativo dello scorso anno - andato quasi a buon fine, come ora sappiamo - di affondare l'unità della marina americana Cole nel porto di Aden. E con quanta facilità abbiamo trascurato, senza capirla, la nuova arma dei Medio Oriente, che né gli americani, né altri occidentali potevano eguagliare: l'attentatore suicida, nutrito di disperazione. Ora, com'è inevitabile - e immorale - ci sarà il tentativo di oscurare i torti storici e le ingiustizie che stanno dietro la tempesta di fuoco di martedì. Ci parleranno di "terrorismo cieco e sconsiderato" dove la parola "sconsiderato" è essenziale per non farci capire fino a che punto, nella terra dove nacquero le tre grandi religioni del mondo, gli Stati Uniti siano ormai odiati. Chiedete ad un arabo che ne pensa dei venti, trentamila morti innocenti: vi risponderà, come deve rispondere ogni persona per bene, che si tratta di un crimine indicibile. Ma vi chiederà perché non abbiamo usato la stessa terminologia a proposito delle sanzioni che hanno distrutto la vita di forse mezzo milione di bambini iracheni, perché non ci siamo infuriati per i 17.500 civili uccisi nell'invasione israeliana del Libano del 1982. I motivi di fondo dell'incendio scoppiato nel settembre scorso in Medio Oriente - l'occupazione israeliana di terre arabe, l'esproprio dei palestinesi, i bombardamenti e le esecuzioni patrocinate dallo Stato - vanno tutti offuscati perché non forniscano la minima giustificazione al selvaggio massacro di martedì. No, non è colpa di Israele, anche se possiamo star certi che cosi affermeranno Saddam Hussein e gli altri grotteschi dittatori come lui. Ma quel che è sicuro è che la maligna influenza della storia, e la nostra parte del suo fardello, devono restare nell'oscurità insieme agli attentatori suicidi. Sono state le nostre promesse infrante, forse persino la distruzione dell'Impero ottomano da parte nostra, a condurre inevitabilmente a questa tragedia. Sono così tanti anni che Washington finanzia le guerre di Israele, che lei stessa ha creduto che non le sarebbe costato nulla. Non è più così. Ora vorrà naturalmente ribattere colpo su colpo al “terrorismo mondiale” e forse le bombe cadute su Kabul la notte scorsa sono state l'inizio. Da oggi chi può permettersi di puntare il dito contro gli americani per aver usato il termine deteriore e talvolta razzista di "terrorismo".Otto anni fa ho contribuito a realizzare una serie televisiva che cercava di spiegare perché tanti musulmani fossero giunti a odiare l'Occidente. La notte scorsa mi sono tornati in mente alcuni dei musulmani che si videro allora sullo schermo: le loro famiglie erano state bruciate da bombe e armi di fabbricazione americana e loro dicevano che solo Dio, e nessun altro, li avrebbe aiutati. Teologia contro tecnologia, attentatori suicidi contro la potenza nucleare. Adesso abbiamo capito che cosa vuol dire.

Fonte: Internazionale n.403

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Da La Repubblica del 17 settembre 2001 IL SOSTENIBILE PESO DELLA VERITA' di Susan Sontag

A un'americana, e newyorkese, come me, triste e sgomenta, l'America non è mai apparsa così lontana dal riconoscere la realtà come quando si è trovata di fronte alla mostruosa dose di realtà di martedì scorso. La sconnessione tra quel che è successo e i possibili modi di comprenderlo, da un lato, e le sciocchezze ipocrite, le falsità belle e buone che, dall'altro, vengono spacciate in America da quasi tutti i politici e i commentatori televisivi è allarmante, deprimente. Sembra che le voci autorizzate a seguire un evento di tale portata si siano coalizzate in una campagna mirata ad infantilizzare il pubblico.Dov’è chi riconosce che non si è trattato di un "vile" attacco alla "civiltà", o alla "libertà", o all’”umanità” o al "mondo libero", ma di un attacco all'auto-proclamata superpotenza del mondo, sferrato in conseguenza di specifiche azioni e alleanze americane? Quanti americani sanno che l'America continua ancora a bombardare l'Iraq? E se la parola "vile" va proprio usata, forse sarebbe più pertinente riferirla a chi uccide dall'alto del cielo, al di fuori del raggio di possibili reazioni, piuttosto che a chi è pronto a morire per uccidere gli altri. Quanto al coraggio (una virtù moralmente neutra): qualunque cosa si possa dire di coloro che hanno perpetrato la carneficina di martedì, non erano vili. I leader americani sono decisi a convincerci che tutto è ok. L'America non ha paura. Il nostro morale è intatto. “Loro” saranno stanati e puniti (chiunque siano questi: “Loro”. Abbiamo un presidente robot, pronto ad assicurarci che l'America resta ancora a testa alta. E, a quanto pare, le varie e numerose personalità pubbliche che si sono opposte con forza alle politiche estere adottate da questa amministrazione si sentono libere soltanto di dirsi unite nel sostenere il presidente Bush. Ci è stato detto che tutto è, o sarà, ok, anche se si è trattato di un giorno la cui infamia resterà viva e adesso l'America è in guerra. Non è vero che tutto è ok. E non si è trattato di una Pearl Harbor. E' necessario riflettere a fondo, e forse lo si sta facendo a Washington e altrove, sulla colossale inefficienza del sistema di intelligence e contro-intelligence americano, sulle opzioni possibili alla politica estera americana, soprattutto in Medio Oriente, e su ciò che costituisce un efficace programma di difesa militare. Ma chi ricopre cariche pubbliche, chi vi aspira, chi le ha già ricoperte - con la spontanea complicità dei principali mezzi di comunicazione - ha stabilito che non si può chiedere al pubblico di sopportare troppo il peso della realtà. Le ovvietà autocelebratorie e unanimemente applaudite dei congressi di partito sovietici ci sembravano spregevoli. L'unanimità dell'untuosa retorica di cancellazione della realtà che quasi tutti i politici e i commentatori americani hanno profuso in questi ultimi giorni sembra, bè, indegna di una democrazia matura. I leader e gli aspiranti leader americani ci hanno fatto capire che considerano il proprio compito pubblico un compito di manipolazione: di costruzione della fiducia e gestione del dolore. La politica, la politica di una democrazia - che

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comporta il disaccordo, che promuove la sincerità - è stata sostituita dalla psicoterapia. Certo, piangiamo tutti insieme. Ma cerchiamo di non essere stupidi tutti insieme. Qualche brandello di consapevolezza storica potrebbe aiutarci a capire cosa è appena successo, e cosa può ancora succedere. “Il nostro paese è forte” ci viene ripetuto continuamente. Io, per parte mia, non la trovo un'affermazione del tutto consolatoria. Chi dubita del fatto che l'America è forte? L’America ha il dovere di non essere soltanto questo.

USA ATTACK (7): UNA STRANA MAIL GIRA SU INTERNET

Su segnalazione di Giuseppe Scano:

c'è una e mail che gira su Internet, e dice così:

1) Aprite Word , e scrivete con il carattere Times New Roman quanto segue : Q33 ( sigla di uno degli aerei abbattutosi su uno dei grattacieli ) e poi NY (cioè la sigla di New York): ovvero scrivete Q33NY.2 ) Una volta scritta la sigla Q33NY, dovete selezionarla e andarla a modificare con il carattere WingDings . Vi troverete sotto gli occhi qualcosa di strano...

Controllare per credere

DOPO GENOVA: LE VERGOGNOSE CONCLUSIONI DEL COMITATO PARLAMENTARE

Ne escono un po’ tutti con le ossa rotte i 36 componenti del Comitato Parlamentare per l’indagine conoscitiva sui fatti di Genova. Se si escludono alcuni uomini e donne di buona volontà (tra tutti citiamo l’ex Verde Marco Boato, il diessino Antonio Soda, Graziella Mascia di Rifondazione), sia i rappresentanti della maggioranza che quelli dell’opposizione di centro-sinistra si sono assisi nel Comitato con due solo preoccupazioni, uguali e contrarie: i primi volevano salvare (e se possibile santificare) il ministro dell’Interno Scajola. I secondi – brillantemente impersonificati dall’ex presidente della Camera Luciano Violante - miravano solo a salvare la testa del capo della polizia De Gennaro. Operazione compiuta sul primo fronte. E che a giorni si dimostrerà, invece, fallita per il secondo. Chi ne ha fatto le spese in entrambi i casi, come sempre, è stata la ricerca della verità.

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Il gioco più facile lo aveva, ovviamente, la maggioranza, forte dei suoi numeri (di maggioranza, appunto) e del fatto che lo scaricabarile nella catena di comando della Polizia di Stato avrebbe, comunque, avvantaggiato Scajola, come è stato. A dire la verità il presidente del Comitato, il forzista Donato Bruno, si è dimostrato fin troppo zelante, scrivendo delle conclusioni a dir poco vergognose, che devono aver fatto arrossire lo stesso ministro dell’Interno. Sapete quali sono state le conclusioni cui è giunto Bruno? Che a Genova tutto è andato per il meglio. Ancora (se possibile) più imbarazzante la figura fatta, invece, dall’on. Violante. L’onnipresente capo della rappresentanza dei DS nel Comitato, aveva in mente la soluzione di un solo problema: come salvare (e se possibile) riabilitare, quel “poliziotto che tutto il mondo ci invidia” (definizione dell’ex procuratore di Palermo Caselli) che risponde al nome di Gianni De Gennaro che – se la realtà non è una finzione – in quanto Capo della Polizia sarebbe dovuto essere il responsabile numero uno del disastro dell’ordine pubblico a Genova.Sapete qual è stata la domanda cruciale che Violante ha rivolto a De Gennaro durante la sua audizione? Eccola:

Violante: Forse sarebbe opportuno che il capo della polizia, prima di tutto, spiegasse quali sono le funzioni del capo della polizia, perché non tutti qui le conoscono, altrimenti rischiamo di fare alcuni errori di valutazione.

Ed ecco la risposta del capo della polizia.

De Gennaro: Innanzitutto, il direttore generale della pubblica sicurezza ha, sì, una funzione di coordinamento, ma vorrei ricordare, se possibile, che non c'è - come ha detto prima il senatore Bobbio - una linea verticistica di comando. Il nostro non è un sistema di organizzazione gerarchico, come altri sistemi e altre istituzioni naturalmente hanno. (…) io ho sottolineato che non ho nessuna autorità: sono il prefetto e il questore ad avere l'autorità. Tuttavia, con molta lealtà e con molta correttezza, credo di aver detto, nella mia relazione, che le scelte sono state sempre condivise anche a livello centrale, in ragione proprio del ruolo del capo della polizia, il quale ha quattro compiti: il primo, recita l'articolo 4 della legge n. 121, è quello dell'attuazione della politica e dell'ordine della sicurezza pubblica; il secondo è quello del coordinamento tecnico delle attività delle forze di polizia; il terzo è quello della direzione e amministrazione della Polizia di Stato; il quarto è quello relativo alla direzione e gestione dei supporti tecnici. In effetti, su alcune cose non sono in grado di rispondere, soprattutto sulla parte investigativa, né di fornire elementi certi che, laddove non fossero coperti da segreti di indagine, possono essere forniti sicuramente dagli ufficiali di polizia giudiziaria. In questo senso credo di aver correttamente indicato il ruolo del capo della polizia. Ovviamente, nella mia veste di direttore generale della pubblica sicurezza, assumo ogni responsabilità di quelle che sono state le scelte fatte nell'ambito delle attribuzioni che la legge mi conferisce. Signor presidente, non posso assumere responsabilità su fatti per cui non ho attribuzioni da parte della legge.

Avete capito benissimo. Il capo della polizia – nel pensiero di Gianni De Gennaro – non conta nulla. Contano solo i prefetti ed i questori.

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Risultato: che ce ne facciamo di un capo della polizia che conta come il due di briscola? Nulla. Tant’è che il Polo ha già deciso di licenziarlo. De Gennaro avrebbe salvato la faccia e forse anche la poltrona se solo si fosse assunto le sue responsabilità. Proprio quelle che competono al Capo della Polizia. E invece…

DOPO GENOVA (2): 15 MILIARDI I DANNI DEI BLACK BLOC. MENO DEL PREVISTO

Smentisce tutte le più fosche previsioni il bilancio definitivo dei danni subiti dalla città di Genova dopo i raid dei Black Bloc.Si era arrivati a parlare di danni per oltre 100 miliardi, ma i 15 già stanziati dal ministero dell’Interno copriranno tutti i risarcimenti chiesti dalle persone che hanno subito danneggiamenti.

DOPO GENOVA (3): IL FILM DI DAVIDE FERRARIOLa sequenza più inquietante è questa: di fronte a un drappello di celerini che indietreggia, avanza un uomo a volto coperto vestito di nero. Alza la visiera del casco, sembra parlare con i poliziotti, mentre un agente con manganello gli passa vicino quasi sfiorandolo. Siamo in via Tolemaide a Genova il 20 luglio scorso. E’ una scena del documentario girato nei giorni del vertice G8 dal regista torinese Davide Ferrario. In tutto una cinquantina di minuti che documentano quelle giornate infuocate. Ci sono immagini della devastazione operata dai black bloc, mentre una voce fuori campo, commentando la loro furia distruttrice, evidenzia anche l’assoluta libertà d’azione delle tute nere, a poche centinaia di metri dalle forze dell'ordine in assetto antiguerriglia: la prova definitiva che i black bloc hanno agito a Genova del tutto indisturbati e forse godevano di ampie complicità tra le forze dell’ordine.

DOPO GENOVA (4): L’IMPEGNO DELLA FEDERAZIONE DELLA STAMPA

La Federazione nazionale della Stampa, insieme a Informazione Senza Frontiere (Isf), ha deciso di inviare alla Federazione Internazionale dei Giornalisti (Ifj) e alle altre associazioni internazionali che si battono per la libertà di stampa un dossier sui fatti di Genova, messo insieme da Isf con la raccolta di una vasta documentazione (testimonianze, articoli, riflessioni). L'obiettivo della Federazione nazionale della Stampa è quello di tenere viva l'attenzione sui drammatici fatti di luglio e sollecitare le istituzioni internazionali ed europee, politiche e giuridiche, ad intervenire nei confronti delle autorità italiane.

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ANARCO-ISURREZIONALISTI: PERQUISIZIONI IN TUTTA ITALIAUn centinaio di perquisizioni in numerose città italiane all'alba del 18 settembre scorso hanno fatto ripartire le indagini giudiziarie sugli anarco-insurrezionalisti ritenuti responsabili di numerosi attentati, compresi i pacchi bomba spediti - ed in alcuni casi esplosi - durante il G8 di Genova. I circa sessanta indagati sono accusati di associazione eversiva e sono ritenuti collegati alla sequela di attentati inaugurata nel 1997 dalla bomba scoppiata a Palazzo Marino a Milano, per la quale e' stata condannata Maria Cadeddu, la donna ritenuta la postina della rivendicazione. Serie proseguita con le bombe ai tralicci della Val di Susa; nel 1998 con i numerosi pacchi esplosivi spediti a politici e giornalisti; nel 1999 con le bombe alla stazione di Milano Musocco dei Carabinieri e all'Ufficio del Turismo greco e nel 2000 con gli ordigni trovati inesplosi nella basilica di Sant'Ambrogio e sul Duomo di Milano. A questa serie di attentati, ora il PM milanese Stefano Dambruoso, titolare delle indagini, collega anche i pacchi-bomba spediti prima e durante il G8. Un, indagine, quella di Dambruoso e della Digos milanese, che e' stata caratterizzata anche da polemiche scoppiate quando era ormai divampata l’inchiesta sulle violenze a Genova da parte delle forze dell'ordine. L’ex capo dell'Ucigos, Arnaldo La Barbera, a margine della sua audizione davanti al Comitato parlamentare di indagine sui fatti genovesi, rivelò, che prima del G8 la polizia aveva chiesto l'arresto di una cinquantina di persone alla Procura di Milano, la quale non ritenne di girare la richiesta ad un GIP. Le perquisizioni hanno riguardato centri di aggregazione dell'area cosiddetta anarco-insurrezionalista e abitazioni private a Milano, Trieste, Torino, Aosta, Nuoro, Cagliari, Grosseto, Cuneo, Firenze, Modena, Pisa, Catania, Oristano e Venezia.

DOCUMENTAZIONE:AMICIZIE PERICOLOSE: OSAM BIN LADEN E

GLI AMERICANI

di Michel Chossudovsky, docente di Economia all’Università di Ottawa, centro per la ricerca sulla

Globalizzazione (CRG)

Il seguente testo traccia la storia di Osama bin Laden e dei legami della Jihad Islamica con le opzioni della politica estera degli USA durante la Guerra Fredda e le sue conseguenze.

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Primo sospettato nell'attacco terroristico a New York e a Washington, bollato dalla FBI come “terrorista internazionale” per il suo ruolo nell'attentato alle ambasciate USA in Africa, il saudita Usama bin Laden venne reclutato durante la guerra sovietico-afghana sotto gli auspici della CIA, per combattere gli “invasori sovietici"1.

Nel 1979 “la più grande operazione occulta nella storia della CIA” fu lanciata come risposta all’invasione sovietica dell'Afghanistan, avvenuta a sostegno del governo filo-comunista di Babrak Kamal2: “Con l'attivo incoraggiamento della CIA e dell'ISI (Inter Services Intelligence) del Pakistan che cercava di trasformare la jihad afghana in una guerra globale pagata da tutti gli stati mussulmani contro l'Unione Sovietica, circa 35,000 radicali mussulmani provenienti da 40 paesi islamici raggiunsero i combattenti dell'Afghanistan tra il 1982 e il 1992. Decine di migliaia, inoltre, andarono a studiare nelle madrasa Pakistane. Infine più di 100,000 radicali mussulmani stranieri furono direttamente influenzati dalla jihad afghana”3. La jihad islamica era supportata dagli Stati Uniti e dall'Arabia Saudita con una significativa parte delle risorse generate dal commercio di droga nella Mezzaluna Dorata: “Nel Marzo 1985, il Presidente Reagan firmò il National Security Decision Directive 166, che autorizzava gli aiuti militari e le operazioni occulte in favore dei mujahidin, e chiarì che la guerra segreta in Afghanistan aveva un nuovo obiettivo: la sconfitta delle truppe sovietiche in Afghanistan tramite le operazioni coperte e la ritirata dei sovietici.La nuova assistenza occulta degli USA iniziò con un vertiginoso aumento delle forniture di armi - un costante aumento dalle 65.000 tonnellate annuali nel 1987, inoltre un flusso incensante di specialisti della CIA e del Pentagono che viaggiavano verso il quartier generale segreto dell'ISI Pakistano sulla principale strada per Rawalpindi in Pakistan. Qui gli specialisti della CIA incontravano gli ufficiali dell'intelligence Pakistano per aiutarli a pianificare le operazioni in favore dei ribelli afghani”4.La CIA, usando l'ISI militare del Pakistan, giocò un ruolo chiave nell'addestramento dei Mujahidin. In cambio la CIA sponsorizzava l'addestramento alla guerriglia integrata con l'insegnamento del Corano: “I temi predominanti erano che l'Islam fosse una ideologia socio-politica completa, che il sacro Corano era stato violato dalle atee truppe sovietiche, e che il popolo islamico dell'Afghanistan avrebbe riottenuta l'indipendenza rovesciando il regime di sinistra appoggiato da Mosca”5.

1 Hugh Davies, International: “Informers' point the finger at binLaden”; “Washington on alert for suicide bombers”, The DailyTelegraph, London, 24 August 1998. Si veda anche Fred Halliday, "The Un-great game: the Country that lost theCold War, Afghanistan”, New Republic, 25 March 1996. 2 Ahmed Rashid, “The Taliban: Exporting Extremism”, ForeignAffairs, November-December 1999.3 Steve Coll, Washington Post, July 19, 1992. Dilip Hiro, “Fallout from the Afghan Jihad”, Inter Press Services, 21 November 1995. Weekend Sunday (NPR);

4 Eric Weiner, Ted Clark; 16 August1998.Ibid.Dipankar Banerjee; “Possible Connection of ISI With Drug Industry”, India Abroad, 2 December 1994.5 Ibid. Vedi Diego Cordovez and Selig Harrison, “Out of Afghanistan: The Inside Story of the Soviet Withdrawal”, Oxford university Press, New York, 1995. Vedi anche The review of Cordovez and Harrison in International Press Services, 22 August 1995.

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L'APPARATO PAKISTANO D'INTELLIGENCE L'ISI Pakistana fu usata come un tramite. La CIA appoggiava di nascosto jihad, operando attraverso la ISI Pakistana e la CIA non canalizzava direttamente i suoi aiuti ai Mujahidin. In altre parole, per condurre al successo queste operazioni coperte, Washington fu attenta a non rivelare lo scopo ultimo della jihad, che consisteva nel distruggere l'Unione Sovietica. Come disse Milton Beardman, agente della CIA “Noi non dovevamo addestrare gli arabi”. Secondo Abdel Monam Saidali, del Centro Studi Strategici di Al-aram, in Cairo, bin Laden e gli “arabi afghani” avevano ricevuto un “addestramento assai sofisticato che era stata permesso dalla CIA”6. L'agente della CIA Beardman conferma, a tal riguardo, che Osama bin Laden non era consapevole del ruolo che egli svolgeva per conto di Washington. Nelle parole di Osama bin Laden (citate da Beardman): “né io, né i miei fratelli abbiamo mai avuto sentore degli aiuti statunitensi”7. Motivati dal nazionalismo e dal fervore religioso, i guerriglieri islamici erano inconsapevoli di combattere l'Armata Rossa per conto dello Zio Sam. Mentre vi erano contatti ai massimi vertici della gerarchia dell'intelligence, i leader dei ribelli islamici nel teatro delle operazioni non avevano contatti con Washington o con la CIA. Assieme alla CIA - che appoggiava e riforniva la guerra con massicci quantitativi di aiuti militari USA - l'ISI pakistana aveva sviluppato una “struttura parallela che aveva grande influenza su tutte le decisioni di governo”8. L'ISI aveva uno staff composto da militari e da ufficiali dell'intelligence, burocrati, agenti occulti e informatori, stimati in 150.000 unità9. Inoltre le operazioni della CIA avevano anche rinforzato il regime militare del Pakistan guidato del Generale Zia Ul Haq: ”Relazioni tra la CIA e l'ISI si erano accresciute in continuazione in seguito all'eliminazione da parte del General Zia di Bhutto e l'avvento del regime militare. Durante buona parte della guerra afghana, il Pakistan era assai più aggressivamente anti-sovietico che gli stessi USA. Subito dopo l'invasione militare sovietica dell'Afghanistan nel 1980, Zia Ul Haq inviò il capo dell'ISI a destabilizzare gli stati dell'Asia centrale sovietica. La CIA approvò tale piano solo nell'ottobre 1984. La CIA era assai cauta dei pakistani. Sia il Pakistan che gli USA adottarono una politica di inganni con prese di posizione pubbliche per la negoziazione di soluzioni, mentre in privato erano d'accordo che una escalation militare sarebbe stata la strada migliore”10.

IL TRIANGOLO DELLA DROGA DELLA MEZZALUNA D'OROLa storia del traffico di droga in Asia Centrale è intimamente collegata con le operazioni coperte delle CIA.

6 Alfred McCoy, “Drug fallout: the CIA's Forty Year Complicity inthe Narcotics Trade”. The Progressive; 1 August 1997.7 Ibid.8 Ibid.9 Douglas Keh, “Drug Money in a changing World”, Technical document no 4, 1998, Vienna UNDCP, p. 4. Vedi anche: Report of the International Narcotics Control Board for 1999, E/INCB/1999/1 United Nations Publication, Vienna 1999, p49-51. E Richard Lapper, “UN Fears Growth of Heroin Trade”, Financial Times, 24 February 2000.10 Report of the International Narcotics Control Board, op cit, p49-51. Vedi anche: Richard Lapper, op. cit. International Press Services, 22 August 1995.

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Prima della guerra sovietico-afghana, la produzione di oppio in Afghanistan e Pakistan era diretta unicamente verso piccoli mercati regionali. Non vi era una produzione locale di eroina11. A tal riguardo, lo studio di Alfred McCoy conferma che in due anni di operazioni della CIA in Afghanistan, “il confine Pakistan-Afghanistan divenne il maggior produttore mondiale di eroina, fornendo il 60% della domanda USA. In Pakistan, la popolazione eroinomane passò dallo zero del 1979 al 20% della popolazione nel 1985, il più alto tasso di incremento registrato al mondo”12. Gli agenti della CIA controllavano tale commercio. Quando i mujahidin occupavano un territorio in Afghanistan, essi ordinavano ai contadini di coltivare il papavero come forma di tassa rivoluzionaria. Attraverso il confine con il Pakistan, i leader afghani e i gruppi locali sotto controllo dell'Intelligence del Pakistan gestivano centinaia di laboratori dell'eroina. Durante questo decennio la DEA (la U.S. Drug Enforcement Agency) di Islamabad non riuscì a imporre alcuna contromisura. Ufficiali USA avevano rifiutato di investigare sui carichi di eroina gestiti dai propri alleati poiché la politica sul narcotraffico USA in Afghanistan era subordinata alla guerra antisovietica. Nel 1995, l'ex direttore della CIA delle operazioni afghane, Charles Cogan, ammise che la CIA aveva sacrificato la guerra alla droga per combattere la guerra fredda. “La nostra missione principale era di arrecare il maggior danno possibile ai sovietici. Non avemmo mai le risorse o il tempo necessari per dedicarci ad investigare sul traffico di armi, e non credo che dobbiamo rammaricarci per questo. Ogni situazione comporta delle conseguenze (…) e le conseguenze erano in termini di droga, sì. Ma l'obiettivo principale era stato raggiunto. I sovietici avevano lasciato l'Afghanistan”13.

ALLA FINE DELLA GUERRA FREDDAAlla fine della guerra fredda, le regioni dell'Asia Centrale non sono strategiche soltanto per le loro estese riserve di petrolio: esse producono tre/quarti dell'oppio mondiale, rappresentando così un provento di miliardi di dollari per i gruppi affaristici, le istituzioni finanziarie, le agenzie d'intelligence ed il crimine organizzato.Il ricavato annuale del traffico di droga della mezzaluna d'oro (tra i 100 e i 200 miliardi di dollari) rappresenta all'incirca un terzo del ricavato del traffico mondiale dei narcotici, stimato dall'ONU nell'ordine dei 500 miliardi di dollari14.Con la disintegrazione dell'Unione Sovietica, una nuova ondata nella produzione di oppio era stata scatenata. (Secondo le stime dell'ONU, la produzione di oppio in Afghanistan nel 1998-99 - in coincidenza con la destabilizzazione delle ex repubbliche sovietiche - raggiunge la cifra record di 4600 tonnellate. Il potente business delle mafie nella ex-URSS, alleate con il crimine organizzato, conta sul controllo strategico delle rotte dell'eroina.

11 Ahmed Rashid, “The Taliban: Exporting Extremism”, ForeignAffairs, November- December, 1999, p. 22.Quoted in the Christian Science Monitor, 3 September 1998)12 Tim McGirk, “Kabul learns to live with its bearded conquerors”, The Independent, London, 6 November1996.Vedi: K. Subrahmanyam, “Pakistan is Pursuing Asian Goals”, India Abroad, 3 November 1995.

13 Levon Sevunts, “Who's calling the shots?: Chechen conflict finds Islamic roots in Afghanistan and Pakistan”, The Gazette, Montreal, 26 October 1999.14 Ibid.

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L'ISI, che aveva una estesa rete d'intelligence militare, non venne smantellato alla fine della guerra fredda. La CIA continuò a supportare la jihad islamica anche fuori dal Pakistan. Nuove operazioni coperte furono attuate nell'Asia centrale, nel Caucaso e nei Balcani. L'apparato militare e d'intelligence del Pakistan servì essenzialmente come “catalizzatore della disintegrazione dell'URSS e l'emergere di sei nuovi paesi mussulmani dell'Asia centrale”.Intanto le missioni islamiche della setta dei Wahabiti provenienti dall'Arabia Saudita si erano stabilite nelle stesse repubbliche mussulmane e all'interno della Federazione Russa, usurpando il ruolo delle istituzioni secolari dello stato. Nonostante la sua ideologia anti-americana, il fondamentalismo islamico era largamente utile alla strategia di Washington nell'ex URSS. Dopo la ritirata delle truppe sovietiche nel 1989, la guerra civile in Afghanistan continuò intensamente. I Talibani erano sostenuti dai Deobandi pakistani e dal loro partito politico la Jamiat-ul-Ulema-e-Islam (JUI). Nel 1993, JUI entrò nella coalizione di governo del primo ministro Benazzir Bhutto. Furono stabiliti legami tra il JUI, l'esercito e l'ISI. Nel 1995, con la caduta del governo del Hezb-I-Islami di Hektmatyar, a Kabul, i Talibani non solo instaurarono un governo islamico rigido, ma arrivarono a controllare anche “centinaia di campi di addestramento in Afghanistan e le fazioni del JUI”. E il JUI, con il supporto del movimento saudita Wahabita, giocò un ruolo chiave nel reclutamento di volontari nelle guerre nei Balcani e nell'ex-URSS. Il Jane Defense Weekly conferma a tal riguardo che “metà delle truppe Taliban e del loro equipaggiamento provengono dal Pakistan, grazie all'ISI”. Ciò avvenne dopo la ritirata delle truppe sovietiche: entrambe le parti nella guerra civile esplosa in Afghanistan continuarono a ricevere appoggi occulti da parte dell'ISI. In altre parole, appoggiate dell'intelligence militare del Pakistan che era a sua volta controllato dalla CIA, lo stato islamico dei Talibani ha largamente servito gli interessi geopolitici degli USA. Il commercio di droga della Mezzaluna d'oro è stato, inoltre, usato per finanziare e equipaggiare l'esercito mussulmano bosniaco (partendo dagli inizi degli anni '90) e l'UCK in Kosovo. Negli ultimissimi mesi è stata raggiunta la prova che mercenari mujahidin combattono nelle fila dell'UCK (l’Esercito di ligberazione del Kosovo. NDR) impegnato in assalti terroristici contro la Macedonia. Senza dubbio, ciò spiega perché Washington abbia chiuso gli occhi sul regno di terrore imposto dai Talebani e sulla lampante violazione dei diritti delle donne, la chiusura delle scuole per bambine, il licenziamento delle impiegate dagli uffici del governo e il rafforzamento della legge delle punizioni della Sharia.

LA GUERRA IN CECENIAPer quanto concerne la Cecenia, il principale leader dei ribelli Shamil Basayev Al Khattab fu addestrato e indottrinato nei campi sponsorizzati dalla CIA in Afghanistan e Pakistan. Secondo Yossef Bodansky, direttore della Task Force sul terrorismo e la guerra non convenzionale del Congresso USA, la guerra in Cecenia era stata pianificata durante un summit segreto della Internazionale hezbollah tenutasi nel 1996 a Mogadiscio, in Somalia. Il summit fu seguito da Osama bin Laden e da alti ufficiali dell'intelligence iraniano e pakistano. A tal riguardo, il coinvolgimento dell'ISI in Cecenia “ iniziò

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con la fornitura di armi e di esperti ai ceceni: l'ISI e i suoi alleati radicali incitavano alla lotta in questa guerra". Il principale oleodotto della Russia transita attraverso la Cecenia e il Daghestan. Nonostante la formale condanna del terrorismo islamico da parte di Washington, i beneficiari indiretti della guerra Cecenia erano proprio le compagnie petrolifere anglo-americane, che cercavano di controllare le risorse petrolifere e le pipelines vicine al Mar Caspio. I contingenti dei due principali eserciti dei ribelli ceceni (rispettivamente guidati da Shamil Basayev e da Emir Khattab) erano stimati in 35.000 effettivi, supportati dall'ISI pakistano, che inoltre giocava un ruolo chiave nell’oirganizzare ed addestrare l'esercito ribelle ceceno. Nel 1994 l'ISI aiutò Basayev e i suoi aiutanti addestrandoli alla guerriglia nella provincia di Khost in Afghanistan, nel campo di Amir Muawia, costruito nei primi anni '80 dalla CIA e dall'ISI e comandata dal famoso signore della guerra afghano Gulbuddin Hekmatyar. Nel luglio 1994, lasciato il campo di Amir Muawia, Basayev venne trasferito a Markaz-i-Dawar, un altro campo di addestramento in Pakistan, per un addestramento avanzato nelle tattiche di guerriglia. In Pakistan, Basayev incontrò i più alti gradi militari e agenti dell'intelligence del Pakistani: il ministro della Difesa, gen. Aftab Shahban Mirani, il ministro dell’Interno, gen. Naserullah Babar ed il capo della branca dell'ISI incaricata di supportare la causa islamica, gen. Javed Ashraf (ora in pensione). Questi accordi ad alto livello si rivelarono veramente utili a Basayev. Dopo il suo addestramento Basayev venne assegnato a guidare gli assalti contro le truppe federali russe nella prima Guerra Cecena, nel 1995.La sua organizzazione aveva anche sviluppato legami con organizzazioni criminali a Mosca e forti legami con la mafia albanese e l'UCK. Nel 1997-98, secondo il Servizio di Sicurezza Federale Russo (FSB): “i signori della guerra cecena hanno iniziato a comparare delle proprietà in Kosovo... utilizzando aziende di copertura regolarmente registrate in Jugoslavia”.L'organizzazione di Basayev è stata coinvolta nel racket internazionale, nel traffico di narcotici, nel sabotaggio di oleodotti russi, rapimenti, sfruttamento della prostituzione, traffico di dollari falsi, traffico di materiale nucleare, nonché nel crollo del 1997 della piramidi finanziarie della mafia albanese. Accanto all'esteso riciclaggio di narcodollari, i ricavati di varie attività illecite sono state incanalate verso il reclutamento di mercenari e l'acquisto di armi. Durante il suo addestramento in Afghanistan, Shamil Basayev strinse rapporti con il comandante mujahidin veterano saudita Al Khattab che aveva combattuto come volontario in Afghanistan. Non appena Basayev fece ritorno a Grozny, Khattab venne invitato (all'inizio del 1995) a costituire una base dell'esercito in Cecenia per l'addestramento dei combattenti mujahidin. Secondo la BBC, la presenza di Khattab in Cecenia era stata possibile “tramite l'Organizzazione di Aiuto islamico con base in Arabia saudita, un’organizzazione religiosa militante, fondata da miliardari che trasferivano fondi in Cecenia”.

CONCLUSIONIFin dalla Guerra Fredda, Washington ha consapevolmente appoggiato Osama bin Laden, mentre lo inseriva nella lista dei maggiori ricercati dall'FBI come il più pericoloso terrorista del mondo. Mentre i Mujahidin erano occupati a combattere la guerra degli USA nei Balcani e nell'ex-URSS, l’FBI conduceva una guerra interna contro il terrorismo, agendo

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in maniera indipendente dalla CIA che, invece, fin dalla guerra sovietico-afghana, appoggiava il terrorismo internazionale. Paradossalmente, mentre l’amministrazione Bush definiva la jihad islamica “una minaccia per l'America”, questa stessa organizzazione islamica era da tempo diventata uno strumento chiave delle operazioni di intelligence militari degli USA nei Balcani e nell'ex-URSS. Sull’onda degli attacchi terroristici a New York e a Washington, la verità prevarrà per impedire che l'amministrazione Bush, assieme alla NATO, imponga operazioni militari avventuristiche che minaccino l'umanità.

Copyright Michel Chossudovsky, Montreal, September 2001. Tutti i diritti riservati

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