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«EIKASMOS» XVIII (2007) La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide In quanto parte di festività civiche e religiose, non diversamente dalle recita- zioni epiche e dal canto corale, anche la poesia tragica aveva lobiettivo di procu- rare tevryi" al suo pubblico. Daltra parte, prima della tragedia, già lepica aveva contemplato il paradosso del piacere consistente nel pianto, o nel canto di conte- nuto luttuoso, in particolare nellottavo libro dellOdissea: la situazione emozionale del pubblico di Feaci che presta ascolto al racconto della guerra di Troia con distac- co, e riceve piacere puro dal soddisfacimento della sua curiosità, viene contrapposta al piacere ambiguamente misto a tristi ricordi che Odisseo evidentemente ricerca, quando di sua iniziativa chiede a Femio di cantare eventi la cui memoria era appun- to destinata a provocare in lui la pena di rivivere momenti duri o perigliosi 1 . Rispet- to allepica, tuttavia, la tragedia, e specialmente le sue sezioni corali, intensificano in modo nettissimo il numero e la rilevanza delle descrizioni metatrenodichedel pianto luttuoso come forma di canto loro propria («metatrenodiche», sono state giustamente chiamate 2 , in quanto forma di riflessione metaletteraria); inoltre queste descrizioni contrappongono più o meno enfaticamente lestetica del piacere para- dossale che dal lamento deriva, oppure la sua paradossalità/anomalia, al canto gio- ioso attraverso cui invece si esprimevano i generi letterari tradizionali 3 . In effetti tutti e tre i tragici maggiori usano per il canto di lamento prevalente nella tragedia la figura retorica del canto negato o canto parziale («canto senza lira» o «canto senza danza», etc.), sottolineando così la propria particolarità, ossia la loro diversità rispetto alla lirica generalmente festosa del canto nella poesia corale (in particolare quella epinicia o simposiastica) 4 , ma nello stesso tempo affermando la propria col- locazione, pertinente pur se speciale, allinterno della tradizione dei generi letterari. 1 Walsh 1984, cap. 1. La tevryi" che viene dal lamento e dal pianto è menzionata anche altrove in Omero, anche se non in connessione con il piacere della poesia: cf. Il. XXIII 10 e 98; XXIV 513; Od. IV 102, XI 212, XIX 213, 251 e 513; XXI 57; Tsagalis 2004, 174-177 e Saïd (in corso di stampa). 2 Il termine e una raccolta sistematica dei passi dai tre tragici maggiori si devono a Schauer 2002, cap. II.2.1.4. 3 Cf. Segal 1993, 16; vd. più di recente Loraux 1999 = 2001, capp. 5 e 6, e la sistematica analisi di Saïd (in corso di stampa). 4 Come nota Segal 1993, 21, in particolare in Euripide la Musa è «the index by which he can measure the distance of his tragic world from the happiness of men, both communally and individually the festive happiness that is associated with song in archaic culture».

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«EIKASMOS» XVIII (2007)

La mousa del lamento in Euripide,e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

In quanto parte di festività civiche e religiose, non diversamente dalle recita-

zioni epiche e dal canto corale, anche la poesia tragica aveva l’obiettivo di procu-

rare tevryi" al suo pubblico. D’altra parte, prima della tragedia, già l’epica aveva

contemplato il paradosso del ‘piacere consistente nel pianto’, o nel canto di conte-

nuto luttuoso, in particolare nell’ottavo libro dell’Odissea: la situazione emozionale

del pubblico di Feaci che presta ascolto al racconto della guerra di Troia con distac-

co, e riceve piacere puro dal soddisfacimento della sua curiosità, viene contrapposta

al piacere ambiguamente misto a tristi ricordi che Odisseo evidentemente ricerca,

quando di sua iniziativa chiede a Femio di cantare eventi la cui memoria era appun-

to destinata a provocare in lui la pena di rivivere momenti duri o perigliosi1. Rispet-

to all’epica, tuttavia, la tragedia, e specialmente le sue sezioni corali, intensificano

in modo nettissimo il numero e la rilevanza delle descrizioni ‘metatrenodiche’ del

pianto luttuoso come forma di canto loro propria («metatrenodiche», sono state

giustamente chiamate2, in quanto forma di riflessione metaletteraria); inoltre queste

descrizioni contrappongono più o meno enfaticamente l’estetica del piacere para-

dossale che dal lamento deriva, oppure la sua paradossalità/anomalia, al canto gio-

ioso attraverso cui invece si esprimevano i generi letterari tradizionali3. In effetti

tutti e tre i tragici maggiori usano per il canto di lamento prevalente nella tragedia

la figura retorica del canto negato o canto parziale («canto senza lira» o «canto

senza danza», etc.), sottolineando così la propria particolarità, ossia la loro diversitàrispetto alla lirica generalmente festosa del canto nella poesia corale (in particolare

quella epinicia o simposiastica)4, ma nello stesso tempo affermando la propria col-

locazione, pertinente pur se speciale, all’interno della tradizione dei generi letterari.

1Walsh 1984, cap. 1. La tevryi" che viene dal lamento e dal pianto è menzionata anche

altrove in Omero, anche se non in connessione con il piacere della poesia: cf. Il. XXIII 10 e 98;

XXIV 513; Od. IV 102, XI 212, XIX 213, 251 e 513; XXI 57; Tsagalis 2004, 174-177 e Saïd (in

corso di stampa).2

Il termine e una raccolta sistematica dei passi dai tre tragici maggiori si devono a Schauer

2002, cap. II.2.1.4.3

Cf. Segal 1993, 16; vd. più di recente Loraux 1999 = 2001, capp. 5 e 6, e la sistematica

analisi di Saïd (in corso di stampa).4

Come nota Segal 1993, 21, in particolare in Euripide la Musa è «the index by which he

can measure the distance of his tragic world from the happiness of men, both communally and

individually – the festive happiness that is associated with song in archaic culture».

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174 FANTUZZI

Del resto, prima che la tragedia si muovesse verso questa auto-definizione del

proprio canto in termini di assenza o di parzialità, altri generi letterari si erano

orientati in direzione analoga ma specularmente opposta, escludendo il lamento

funebre dall’orizzonte d’attesa dei loro lettori. Saffo, fr. 150 V., ouj ga;r qevmi" ejnmoisopovlwn †oijkivai / qrh'non e[mmen` <.......> ou[ k` a[mmi prevpoi tavde, afferma che

non è lecito, o meglio non si addice il threnos a chi frequenta le Muse. Evidente da

a[mmi che queste/i moisopoloi vanno identificate/i, in ordine progressivo di genera-

lità, con Saffo stessa e sua figlia (il nostro testimone, Massimo di Tiro, presenta le

parole del frammento come dette da Saffo alla figlia circa la prospettiva della

propria eventuale morte), o le fanciulle del tiaso, oppure più in generale gli ascol-

tatori della sua poesia o anche tutti i poeti che coltivavano lo stesso genere lette-

rario di Saffo – significati, questi, che sono tutti possibili, intendendo il tràdito

ametrico oijkivai o l’emendamento dovmwi in senso concreto oppure metaforico. In

ogni caso la frase di Saffo difficilmente andrà intesa come, soltanto, un altro esem-

pio dei precetti sulla limitazione degli eccessi nelle manifestazioni del lutto che

abbondano nella Grecia arcaica5: dopo la dichiarazione generale di validità del

principio per le/i moisopoloi, la precisazione «per noi» verisimilmente seleziona tra

le/i moisopoloi il gruppo delle ragazze di Saffo o gli ascoltatori della sua poesia o

più in generale chi pensi la poesia alla loro maniera. Perciò il frammento saffico da

una parte è in sintonia con altre affermazioni della poesia arcaica circa l’opportu-

nità di limitare nel tempo le manifestazioni del lutto (soprattutto Solone, fr. 27,1

Gent.-Pr., e Archiloco e Semonide, rispettivamente frr. 11 e 13; fr. 2 W.2)

6, d’altra

parte contiene anche una dimensione di esclusività di sapore a un tempo etico e

metaletterario, specificando come la trenodia, evidentemente coltivata da altri

(poeti e non), non si addica/non sia pertinente alla poesia di Saffo stessa o al suo

genere più in generale7. Abbiamo dunque in Saffo un messaggio piuttosto comples-

so, non solo etico/sociale, ma almeno in parte metapoetico e perciò analogo a quelli

che troviamo in Alcmane, PMGF 98 = fr. 129 Cal.: qoivnai" de; kai; ejn qiavsoisin/ ajndreivwn para; daitumovnessi prevpei paia'na katavrchn o Stesicoro, PMGF 232

<coreuv>matav toi mavlista / paigmosuvna" <te> filei' molpav" t` `Apovllwn, / khvdeade; stonacav" t` `Aivda" e[lace. In Saffo come in Alcmane e in Stesicoro il precetto

5Vd. anche più sotto pp. 193s.

6Cf. Aloni 1997, 249s.

7Cf. Hardie 2005, 21. ‘Esclusività’ può qui coprire una gamma di sensi che va da quello

minimale pertinente la prassi professionistica (come nota Ford 2002, 14 «dirges were ‘unfitting’[…] for this group in the sense that they were not what the group performed when appearing […]

in their customary social and religious contexts»), a quello di esclusività cultuale: cf. IG VII

2484,4 (II/I sec. a.C.) dove si parla di una tecnitw'n mousopovlwn suvnodo". Lanata 1966, 67

suggerì che attraverso moisopoloi Saffo si indichi «come appartente a una associazione cultuale,

le cui componenti hanno tra i loro legami anche quello del culto delle Muse». Tuttavia in nessuna

delle occorrenze della parola, a parte IG VII 2484, affiora una specifica valenza cultuale-religio-

sa: cf. Rodríguez Somolinos 1998, 276s.

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sarà servito in generale a frenare oppure suggerire diverse azioni (lamentare, fe-

steggiare, celebrare) in diversi contesti secondo i canoni di valutazione della socie-

tà, ma avrà anche richiamato specificamente un dettaglio dell’etica del tiaso saffico

o del galateo simposiale o celebrativo, precisando uno dei possibili temi da evitare/

adottare in ciascuna delle occasioni di vita e di poesia, e così rinforzando il senso

di esclusività dei partecipanti al simposio, alla festa o al tiaso8.

La dimensione della morte e del canto funebre, e della musica idonea a questi contesti,

era in effetti frequentemente contrapposta nella cultura greca alla gioiosità della danza e

della musica ‘abituali’. In particolare, almeno a partire dal lamento delle Erinni nell’Aga-

mennone eschileo (vv. 990-993), questa antitesi viene espressa attraverso l’opposizione tra

la lira (adottata come simbolo della musica abituale, ossia della musica che non sia mesta

espressione di lamento) e l’aulos (lo strumento tipico della musica dei cori tragici)9. Fra i

tragici, Euripide è l’autore che più ama richiamare la natura particolare del canto tragico,

e l’unico che lo fa problematizzando anche, assai di frequente, la particolarità dell’ispira-

zione che lo genera (canto e ispirazione del canto che si designano spesso con il termine

mou'sa10). Euripide presuppone in ciò il ruolo desacralizzato e ben poco pacifico con cui

rispetto all’epica si presentano le Muse nella tragedia: un ruolo indiretto, minore, quasi in

incognito, per cui la Musa tradizionale si riduce sempre più a una dimensione da iniziale

minuscola, divenendo in sostanza mera metafora della musica, del canto e dell’ispirazione

poetica11

; oppure, quando sembra giocare il suo ruolo tradizionale di divinità ispiratrice, lo

fa in un contesto che rende il suo intervento incongruo12.

8In effetti le libagioni conclusive dei simposi si accompagnavano regolarmente al canto di

peani: cf. Aesch. Ag. 246s. e Xen. Smp. 2,1.9

Notava già Diggle 1994, 101: «the lyre was an instrument for festive and joyful music, and

‘lyreless’ was applied to any music or activity which entails the reverse of festivity and joy». Cf.

anche Wilson 1999/2000, 433s. Vd., e.g., Stesich. PMGF 232 cit., Aesch. Ag. 990-993 to;n d` a[neuluvra" o{mw" uJmnwdei' / qrh'non `Erinuvo" aujtodivdakto" e[swqen / qumov" ed Eu. 331-333 u{mno" ejx`Erinuvwn, ... ajfovrmigkto", Soph. OC 1221-1223 “Ai>do" o{te Moi'r` ajnumevnaio" / a[luro" a[coro"ajnapevfhne, / qavnato" ej" teleutavn, Eur. IT 144-146 dusqrhnhvtoi" wJ" qrhvnoi" / e[gkeimai, ta'" oujkeujmouvsou / molpa'" ajluvroi" ejlevgoi", aijai', ktl. e Supp. 971-979 uJpoleleimmevna moi davkrua: /mevlea paido;" ejn oi[koi" / kei'tai mnhvmata, ... <loibaiv te nekuvwn fqimevnwn> / ajoidaiv q` a}"crusokovma" / `Apovllwn oujk ejndevcetai, ktl. (Apollo è il destinatario principale del peana per gli

dèi nell’età classica; sul threnos come musica del tutto speciale di Ade si vedano nella stessa tragedia

i vv. 75 coro;n to;n ”Aida" sevbei e 773 ”Aidou molpav", inoltre IT 178-185 cit. più sotto p. 182).10

Un elenco dei passi in Iakob 1998, 25s. Del resto, una maggiore attenzione per la coe-

renza della mousike tragica, in termini di genere letterario, caratterizza Euripide rispetto a Eschilo

e Sofocle: cf. da ultimo Battezzato 2005b, 163s.11

Cf. Lada-Richards 2002, 68s.12

Saïd (in corso di stampa): «dans Médée elle ne fréquente plus les aèdes, mais les femmes.

Dans Hypsipyle, le chant qu’elle invite l’héroïne à chanter n’est pas un chant de toile, mais une

berceuse accompagnée non par la lyre (comme le suggérerait le verbe krevkein), mais par des

crotales normalement associés à Cybèle et à Dionysos. Dans Andromaque les Muses agissent àl’opposé de ce que l’on attend d’elles: ces filles d’Harmonie, loin de susciter la concorde, font

naître au contraire la querelle entre des poètes qui sont les vrais ‘géniteurs’ des chants».

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176 FANTUZZI

L’Alcesti euripidea documenta a mio parere nel modo più significativo l’ope-

razione di ristrutturazione/appropriazione attraverso cui Euripide costruisce l’im-

magine della ‘musa’ del threnos in termini di anomalia/parzialità/cambiamento di

identità rispetto alla musica tradizionale – operazione che conferma il valore della

‘norma’ affermata da Saffo ma addita anche implicitamente la difficoltà di fare

poesia del threnos, e quindi l’impegnativa novità della poetica della tragedia, che

di poesia del threnos largamente si sostanzia.

Moisovpolo" «frequentante le Muse» di Sapph. fr. 150 V. (mousopovlo" nella

forma ionico-attica) è una parola piuttosto rara13

. Prima dell’epoca ellenistica, a

parte un’attestazione isolata nel post-euripideo Teleste, PMG 805(b),2, che è derogatoria

e non sembra avere rapporto diretto con le altre di cui discuteremo14

, troviamo il

termine, oltre che in Saffo, in due passi di Euripide che verisimilmente evocano, a

mio parere, il modello saffico.

Mentre sta per dare inizio alla ejkforav di Alcesti, ai vv. 422-424 Admeto

chiede agli uomini del Coro, nell’attesa dell’arrivo del corteo funebre, di «levare

in risposta un peana senza libagioni al dio infero» (ajnthchvsate / paia'na tw'ikavtwqen a[spondon qew'i, secondo il testo dato dagli scoli; oppure, se si accetta

ajspovndwi dei codici, di levare «un peana al dio infero che non riceve libagioni»15).

Un peana a un dio infero e in un contesto funebre è ossimorico e provocatorio,

come è stato notato da tempo16

. Tale carattere provocatorio è del resto richiamato

con ogni probabilità dall’autore stesso in ajntiv di ajnthchvsate, che nel nostro con-

testo esprimerà l’idea di un canto ostile-polemico, piuttosto che, semplicemente,

valere ‘intonare responsivamente’17; esso viene anche ulteriormente enfatizzato in

13Vista l’attestazione saffica, si potrebbe trattare in effetti di «an East Greek coinage applied

to professional musicians, perhaps given later currency at Athens by Hellanicus»: Hardie 2005, 15s.14

Forse anche questa singola occorrenza apparentemente a sé non è tuttavia veramente irrelata

rispetto all’uso saffico ed euripideo. Teleste chiama mavtan ajcovreuto" ... mataiolovgwn favma l’opi-

nione, messa in giro da alcuni poeti, per cui Atena avrebbe disprezzato e gettato via l’aulos che aveva

scoperto e suonato per la prima volta, quando si accorse che esso le deformava la bellezza delle

guance. Potrebbe non essere casuale che mousopoloi ricorra qui per definire i poeti «vaneggianti»(mataiolovgoi) che sostengono un’interpretazione assurda (mavtan) e ignara della giocosità della

danza (ajcovreuto"): è lecito infatti supporre che la frase di Teleste sia più o meno consciamente in

continuità polemica con la lunga tradizione delle definizioni tragiche ove, come ajcovreuto", la seriosa

anti-mousike del lamento si inquadra proprio attraverso aggettivi con alfa privativo che escludono da

essa questo o quello strumento o ingrediente di gioiosità intrinseca alla mousike tradizionale.15

Ma è evidente che «with Hades it would be merely decorative, whereas with paia'na it

has a precise meaning»: cf. Parker 2007, 141.16

Di «shock-effect» parla da ultimo Parker 2007, 140.17

Il verbo potrebbe infatti anche solo significare «levate un canto responsivo», ossia un

canto antistrofico (il peana, genere della poesia corale, doveva avere per lo più una struttura

strofico-triadica). Ma sono d’accordo con Dale 1954, 86s. che «Admetus means in effect sing a

paean of Alcestis which will be a kind of challenge, echoing upon the ears of the god». Consente

con questa esegesi Rutherford 2001, 120: «I think rather that Admetus instructs the corov" to sing

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a[spondon – se si accetta la variante dell’accusativo, in riferimento a paia'na – dato

che il peana, come documentava già anche il passo di Alcmane citato sopra, èspesso collegato alle libagioni.

È in effetti tradizionale e topica la contrapposizione tra il threnos ctonio da una parte,

e dall’altra il peana, canto olimpio, prevalentemente apollineo, oppure canto di vittoria o di

positiva celebrazione encomiastica, e risaputa è parimenti l’estraneità del primo agli dèi

inferi18. Tuttavia si danno alcuni casi di ossimori analoghi al nostro dell’Alcesti: cf. Aesch.

Ag. 644s. toiw'nde mevn toi phmavtwn sesagmevnon / prevpei levgein paia'na tovnd` `Erinuvwn,

Th. 866-870 hJma'" de; divkh provteron fhvmh" / to;n duskevladovn q` u{mnon `Erinuvo" / ajcei'n`Aivda t` / ejcqro;n paia'n` ejpimevlpein, Eur. Hel. 173-178 cit. più sotto

19.

Circa le ragioni per cui Euripide si spinge ad adottare tale ossimoro nel nostro

passo, fin dal mondo antico (cf. schol. Aesch. Ch. 151 ... kai; Eujripivdh": paia'natw'i kavtwqen ajspovndwi qew'i) il passo dell’Alcesti è stato collegato ad Eschilo, Ch.

149-151, dove Elettra chiede alle coreute di «decorare con fiori di lamenti» le

offerte che ha appena fatto sulla tomba del padre, e di farlo «cantando un peana per

il defunto» (paia'na tou' qanovnto" ejxaudwmevna"). Nel passo delle Coefore l’atteg-

giamento di lamento concerne il passato e l’oggettività della morte di Agamennone,

mentre «peana» guarda in avanti, alla vittoria che Elettra spera di ottenere nell’im-

presa di vendicare il padre, conforme alla combinazione di fiducia nella vendetta

e lutto per Agamennone che pervade tutta la trilogia eschilea20

. Analogamente, si

è detto a ragione, lo stasimo dell’Alcesti che immediatamente segue la battuta di

Admeto è più un encomio di Alcesti che una sua commiserazione funebre21

, secon-

do una retorica che trova riscontro ad es. nella celebrazione della gloria dei caduti

in battaglia (basta pensare ad es. a Simonide, PMG 531). In questa prospettiva io

credo vada vista l’immagine con cui inizia l’antistrofe del nostro stasimo dell’Alcesti,

dove troviamo la menzione dei mousopoloi (vv. 445-454):

pollav se mousopovloimevlyousi kaq` eJptavtonovn t` ojreivancevlun e[n t` ajluvroi" klevonte" u{mnoi",

a paiavn in response to death […]. The direct confrontation between paiavn and death here reflects

a more general antithesis between the forces of life and death, a major theme in the play».18

Cf. Aesch. fr. 161,1-3 R. movno" qew'n ga;r Qavnato" ... / oujd` a[n ti quvwn oujd` ejpispevndwna[noi", / oujd` e[sti bwmo;" oujde; paiwnivzetai, Soph. fr. 523 R.

2 (parla l’anima di Achille) ajkta;"

ajpaivwnav" te kai; melambaqei'" lipou'sa livmnh" h\lqon, Eur. IT 182s., su cui torneremo più sotto, Call.

H. Ap. 20s. oujde; Qevti" `Acilh'a kinuvretai ai[lina mhvthr, / oJppovq` iJh; paih'on iJh; paih'on ajkouvshi.19

Cf. Käppel 1992, 46-49.20

Garvie 1986, 8s. Si vedano anche i vv. 342s. della stessa tragedia, dove si prefigura il

banchetto che celebrerà la strage degli usurpatori: ajnti; de; qrhvnwn ejpitumbidivwn / paiw;n melavqroi"ejn basileivoi", neokra'ta fivlon komivseien.

21Rutherford 2001, 120.

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Spavrtai kukla;" aJnivka Karneivou perinivsetai w{ramhnov", ajeiromevna"pannuvcou selavna",liparai'siv t` ejn ojlbivai" `Aqavnai".toivan e[lipe" qanou'sa molpa;n melevwn ajoidoi'".

Presentare i poeti (definiti con il peculiare termine saffico) come impegnati nel

canto di una defunta sembra in effetti eccezionalmente in contrasto con l’afferma-

zione saffica della incompatibilità tra la poesia, o meglio la poesia di Saffo, e il

compianto funebre. Ma anche nel nostro passo, come nella battuta di Admeto sul

peana per gli dèi inferi, non si tratta tanto di negare l’idea già espressa da Saffo,

in virtù di una ‘correzione’ dettata da nuove prospettive culturali o dal gusto per la

variazione22

, quanto piuttosto di sottolineare l’eccezionalità paradossale della situa-

zione di Alcesti, ossia di una morte che di lì a poco (si noti il futuro mevlyousi) si

risolverà in una sorta di trionfo, e che quindi merita di diventare tema della voce

encomiastica dei poeti – sia pure di una voce alquanto particolare: dalla paradossale

ambiguità di Alcesti, credo io, deriva la precisazione che i poeti la celebreranno

kaq` eJptavtonovn t` ojreivan / cevlun e[n t` ajluvroi" klevonte" u{mnoi" (vv. 446s.),

dunque con canti intonati sulla lira (come si conviene a vincenti) e con inni senza

lira (e dunque accompagnati da strumenti come l’aulos, almeno nella tragedia fre-

quente simbolo della musica funerea)23

. Inoltre, poiché sappiamo di coroiv che

durante le feste spartane dei Gimnopaidia cantavano l’eroismo dei caduti in batta-

glia contro Argo per il possesso della Tireatide, è possibile che i vv. 448-450

euripidei, attraverso il loro riferimento ai canti per gli eroi che si tenevano durante

le Carnee, vogliano presentare Alcesti come una sorta di eroina24

.

In tre altri passi di Euripide (in uno dei quali ritorna ancora una volta il

safficheggiante mousopolos) l’ispirazione del lutto viene presentata nella forma

della aporia retorica: dove trovarla, una mousa che sappia dare adeguata espressio-

ne all’iperbole della sofferenza? Certo, l’aporia è intesa pure qui a segnalare anche

22Come sembra implicare Loraux 1999 = 2001, cap. 6.

23I commentatori moderni hanno dubitato del valore simbolico dei canti «senza lira»: cf.

Dale 1954, 90: «Euripides might here then mean either ‘sung and spoken poetry’ […] or ‘songs

sung to strings and to stringless instruments’ […], it is perhaps more likely that he is thinking of

the two instruments for accompanying melic poetry in his time, the lyre and the flute»; Parker

2007, 149 enfatizza che a[luro" «need not imply laments. Here, where it is contrasted with singing

to the accompaniment of the lyre, ‘with or without the lyre’ may be all that is meant. Nor was the

pipe necessarily an instrument for laments, although it could be so used»; affatto analoga la

posizione di Susanetti 2001, 215. Questa interpretazione minimalistica potrebbe essere giusta, ma

c’è il rischio di banalizzare quando si intende la distinzione «con lira» e «senza lira» come un puro

e semplice distinguo tecnico, soprattutto in un genere letterario come la tragedia, dove (come si

è detto già sopra) la musica «senza lira» ha una forte e comune valenza come simbolo funereo.24

Rutherford 2001, 57 e 120; cf. però Parker 2007, 150.

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179La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

il carattere non comune delle sofferenze che si devono andare a cantare. A diffe-

renza però di alcuni altri passi euripidei, eschilei e sofoclei che esprimono piùbrevemente e genericamente l’imbarazzo della scelta preliminare dei modi del canto

ed enfatizzano perciò soprattutto l’enormità/complessità della sofferenza25

, in que-

sti tre casi, parlando dell’ispirazione del canto di sofferenza, Euripide dà l’impres-

sione di sottolineare specificamente l’incapacità/difficoltà oppure anomalia/novitàdel canto poetico che fa fronte al compito di cantare la sofferenza. Ciò vale sia per

Ph. 1498-1503, quando Antigone entra in scena accompagnata dai corpi di Eteocle,

Polinice e Giocasta:

tivna proswido;nh] tivna mousopovlon stonaca;n ejpi;davkrusi davkrusin, w\ dovmo", w\ dovmo",ajgkalevswmai, trissa; fevrousa tavde swvmata suvggona,matevra kai; tevkna, cavrmat` `Erinuvo";

26

sia per le pene di Ipsipile nella tragedia omonima, fr. 752h,5-9 K.:

ta; d` ejma; pavqe _[ativ" a]n h] govo" h] mevlo" h] kiqavra"ejpi; davkrusi mou's` ajnoduromevnameta; Kalliovpa"ejpi; povnou" a]n e[lqoi;

27

25Intendo le interrogative retoriche come pw'" se dakruvsw; oppure povtera provteron ejpistevnw,

povtera mevlea peraitevrw; o tivni lovgwi ... tuvcan sevqen baruvpotmon ... prosaudw'n tuvcw;, o

ancora tiv pot` ajpuvsw, poivan ajcwv, poi'on ojdurmovn;, etc., che si possono trovare raccolte in

Schauer 2002, 223s. È significativo del gusto euripideo per l’enfasi sulla peculiarità del canto di

lamento che anche queste generiche e brevi domande aporetiche siano in Euripide comunque piùnumerose e di solito più articolatamente ampie che in Eschilo e in Sofocle.

26La stessa aporia è poi ripresa da Antigone nella stessa tragedia ai vv. 1515-1518 tiv" a[r`

o[rni" druo;" h] / ejlavta" ajkrokovmoi" a]m petavloi" / monomavtorsin ojdurmoi'" / ejmoi'" a[cesisunwidov". Cf. anche HF 1025-1027 (dal canto del Coro) aijai', tivna stenagmo;n / h] govon h] fqitw'nwjida;n h] tivn` ”Ai-/da coro;n ajchvsw;

27D’accordo con Bond 1963, 78 e con Cropp 2004, 236 credo che il v. 9 significhi sempli-

cemente: «would come to (my) troubles» e non «could come up to the level of (i.e. adequately

express) my troubles». Ipsipile vorrebbe quindi dire che si sente priva dell’accompagnamento

musicale al suo dolore (Bond), oppure che le riesce difficile trovare l’accompagnamento adegua-

to al suo dolore (Cropp); kiqavra" ... mou's(a) meta; Kalliovpa" designerebbe così la musica

strumentale accompagnata dalla Musa «Bella-Voce», vale a dire l’elemento vocale del canto. La

menzione di Calliope sarebbe un fatto eccezionale (nessuna delle Muse è mai altrimenti chiamata

per nome in Euripide), in sintonia con l’eccezionalità della musica e del canto opportuni a

esprimere le pene di Ipsipile.

Page 8: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

180 FANTUZZI

La stessa aporia si ripresenta (e la stessa impressione si ricava) in un passo

dove Elena introduce le sue eccezionali pene e rimorsi, nella tragedia che da lei si

intitola, vv. 164-178:

w\ megavlwn ajcevwn kataballomevna mevgan oi\ktonpoi'on aJmillaqw' govon h] tivna mou'san ejpevlqwdavkrusin h] qrhvnoi" h] pevnqesin; aijai'.pterofovroi neavnide",parqevnoi Cqono;" kovrai,Seirh'ne", ei[q` ejmoi'"† govoi" movloit` e[cousai Livbunlwto;n h] suvrigga" h]fovrmigga" aijlivnoi" kakoi'" †toi'" ejmoi'si suvnoca davkrua,pavqesi pavqea, mevlesi mevlea,mousei'a qrhnhvma-

si xunwidav, pevmyaiteFersevfassa † foniva cavrita" †i{n` ejpi; davkrusi par` ejmevqen uJpo;mevlaqra nuvcia paia'nanevkusin ojlomevnoi" lavbhi.

Anche qui, come nell’Alcesti, abbiamo il paradosso del peana per i defunti, ma non

giustificato dalla prospettiva del ritorno futuro alla vita di Alcesti, e dunque in un

contesto molto più cupo, simile semmai a quello dell’aporia del Coro nell’Eracle,

che in quanto Coro dovrebbe per sua natura danzare, ma nella luttuosa circostanza

presente non sa quale «danza da Ade» iniziare: vv. 1025-1027 aijai', tivna stenagmo;n /

h] govon h] fqitw'n wjida;n h] tivn` ”Ai-Éda coro;n ajchvsw;28

In effetti nell’aporia iniziale

del prosodio Elena dichiara di aver solo l’imbarazzo della scelta quanto al contenuto

di parole del suo goos, ma di non sapere però dove/quale ispirazione cercare per la

musica che lo deve accompagnare: evidentemente non è una musa scontata o tradi-

zionale quella che appunto dovrà risuonare a fianco del goos di Elena. In effetti le

divinità che Elena si risolve a invocare per i suoi trenodici mouseia sono le Sirene,

dee ctonie (v. 168) e residenti negli Inferi (almeno secondo Platone, Crat. 403d)29

,

e l’infera Persefone sarà la destinataria del peana funereo ispirato dalle Sirene.

28Bond 1981, 329 rileva che «a dance of lamentation was not a recognized part of fifth-

century burial practice», e che però «from early Byzantine times we have homilies from Chrysostom

and others against violent grief, including wild dancing by the mourners». Io penso tuttavia che

non dovremmo tanto chiederci se il passo euripideo rifletta o meno una prassi effettiva, e che esso

richiami invece un’ennesima volta la paradossale assurdità di una «danza dell’Ade»/«danza da

Ade» (per analoghe espressioni vd. sopra nn. 9 e 18).29

Anche nell’autoepitafio di Baucide ascritto a Erinna (AP VII 710 = F°5 Neri) le Sirene

Page 9: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

181La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

Anche il Coro si adeguerà a questo atteggiamento di Elena, e in procinto di

cantare le pene di lei individuerà nell’usignolo la specifica musa trenodica da in-

vocare in aiuto (vv. 1107-1116):

se; ta;n ejnauvloi" uJpo; dendrokovmoi"mousei'a kai; qavkou" ejniv-zousan ajnaboavsw,ta;n ajoidotavtano[rniqa melwido;najhdovna dakruovessan,e[lq` w\ dia; xouqa'n genuvwn ejlelizomevnaqrhvnwn ejmoi; xunergov",~Elevna" melevou" povnou"to;n `Iliavdwn t` ajei-

douvsai dakruoventa povtmon`Acaiw'n uJpo; lovgcai".

L’usignolo come simbolo/personificazione del lamento femminile, dopo il prototipo

Od. XIX 518-523, è topicamente assiduo nella tragedia30

. In particolare il passo dell’Elena

euripidea (del 412 a.C.) mostra sorprendenti analogie anche formali con la presentazione del

canto di Tereo negli Uccelli di Aristofane (del 414): cf. vv. 209-216 a[ge suvnnomev moi,pau'sai me;n u{pnou, / lu'son de; novmou" iJerw'n u{mnwn, / ou}" dia; qeivou stovmato" qrhnei'" /

to;n ejmo;n kai; so;n poluvdakrun “Itun, / ejlelizomevnh dieroi'" mevlesin / gevnuo" xouqh'".kaqara; cwrei' / dia; fullokovmou mivlako" hjcw; / pro;" Dio;" e{dra", ktl. Che sia Euripide

qui a modellarsi sulla commedia, e non viceversa come al solito, certo è un fatto oggetti-

vamente non comune31. Potrebbe trattarsi di una coincidenza, fondata sull’imitazione comu-

(frequenti simboli sepolcrali) saranno invocate perché riferiscano ai viandanti il messaggio inciso

sulla lapide.30

Vd. l’elenco dei passi in Eschilo, Sofocle, Euripide compilato da Schauer 2002, cap.

II.1.5.2; inoltre govo" ajhdovnio" (Aesch. fr. 291 R.) e ajhdovnio" klagghv (Nicom. Trag. TrGF 127

F 13). Cf. Loraux 1990, 87-100. In generale sul canto di lamento dell’usignolo cf. da ultimo

Spatafora 1995 e Rossi 1999, 38s.31

Così Dover 1972, 148s. e Sommerstein 1987, 212. Di Benedetto 2004, 41-43 ha di recen-

te suggerito di considerare che il travestimento di Penteo nelle Baccanti (912-944) sia ispirato al

travestimento del parente in Ar. Th. 213-268; in alternativa, mi suggerisce Massimo Magnani,

poiché ai vv. 134s. della stessa commedia Aristofane cita espressamente la Licurgia eschilea, e

nella tetralogia ci poteva essere una scena di travestimento (anche se dai pochissimi frammenti

non emerge nulla in questo senso), si potrebbe supporre che da questo modello muovessero piùo meno indipendentemente sia Aristofane, sia più tardi Euripide; oppure si potrebbe immaginare

che le Baccanti fossero state composte e rese pubbliche, almeno a una ristretta cerchia di colleghi

autori di teatro (tra cui Aristofane), prima della partenza di Euripide per la Macedonia (cf. Plut.

An seni resp. 785a, con l’aneddoto di Sofocle che legge ai giudici il primo stasimo dell’Edipo a

Colono, rappresentato postumo nel 401: se l’aneddoto fosse fededegno, e se la causa intentata

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182 FANTUZZI

ne di uno stesso modello, forse lirico – coincidenza che non si può escludere sia fortuita, ma

più verisimilmente costituisce prova della grande diffusione del motivo. Se inoltre ammet-

tiamo che la descrizione aristofanea dell’usignolo implichi almeno marginalmente uno spunto

scherzoso e derogatorio di critica alle stranezze e alla sovversione delle leggi tradizionali

che caratterizzava la ‘nuova musica’ nell’opinione di non pochi autori del dramma attico32,

allora Euripide potrebbe avere eccezionalmente adottato Aristofane come modello proprio

per veicolare la stessa enfasi sulla stranezza e la novità anomala del canto di lamento.

Significativo della peculiarità euripidea è comunque che negli altri passi di tragedia dove

questo motivo ricorre33, oppure anche in Aristofane, il canto dell’usignolo è sempre e solo

evocato come termine di paragone per il canto di lamento. Come è evidente da frasi del tipo se;ta;n ... mousei'a ... ejnivzousan ajnaboavsw ed e[lq` ... qrhvnwn ejmoi; xunergov", Euripide, invece,

trasforma l’usignolo in una sorta di musaica divinità ispiratrice che garantisce della possibilitàdel canto di lamento, e nello stesso tempo ne qualifica la diversità e ne richiama la difficoltà.

Analogamente in IT 178-185:

ajntiyavlmou" wjida;" u{mnwn t``Asihta'n soi bavrbaron ajcavn,devspoin`, ejxaudavsw, ta;n ejnqrhvnoi" mou'san nevkusin mevleon,ta;n ejn molpai'" ”Aida" uJmnei'divca paiavnwn

il Coro chiama «voce barbara di inni asiatici» la musica dei canti funebri (hJ ejnqrhvnoi" mou'sa), quella che è cantata da Ade e che non può avere nulla a che fare

con peani. Ancora, in Ph. 1302s., di fronte all’avanzata irresistibile delle Erinni, il

Coro preannuncia:

boa'i barbavrwi stenakta;n ijaca;nmelomevnan nekroi'" davkrusi qrhnhvsw.

Ovviamente queste definizioni sono possibili, in sé e per sé, anche solo alla

luce dell’origine orientale notoriamente attribuita al canto funebre, e delle connotazioni

di scompostezza comunemente attribuite agli Asiatici o in particolare alla musica

‘asiatica’34; ma non credo sia casuale il fatto che Euripide decida di definire la musa

funebre come «barbara», ossia almeno ontogeneticamente estranea alla ‘norma’della musica prevista dalla cultura greca.

dai figli di Sofocle fosse databile a qualche anno prima della sua morte – vedi Tilg 2004, 410 –si potrebbe trovare in esso un sostegno all’idea che non sempre i drammi erano composti nell’an-

no precedente la rappresentazione).32

Come vuole Barker 2004, 193-195.33

Una rassegna ora in Barker 2004, 189-191.34

Cf. e.g. Palmisciano 1998, 184s. e Loraux 1999 = 2001, 55.

Page 11: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

183La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

Anche nelle Troiane, ai vv. 119-121, si ripresenta come un paradosso il fatto

che «perfino» il canto delle proprie sciagure (mou'sa de; cau[th) può essere musa

agli sventurati, pur se certo è un tema che deve restare estraneo alle danze, e

lasciare così alla sua musa la dimensione di monca, eccezionale anomalia: l’anziana

Ecuba richiama il dolore per la rovina definitiva della sua città e famiglia, e in

particolare lamenta di come il suo vecchio corpo soffra per i disagi della prigionia,

e lei si debba rigirare sul suo scomodo giaciglio ora su un fianco ora sull’altro,

ejpiou's` aijei; dakruvwn ejlevgou".mou'sa de; cau[th toi'" dusthvnoi"a[ta" keladei'n ajcoreuvtou".

Un concetto puntualmente analogo tornerà, ripreso dal Coro, ai vv. 608s.:

wJ" hJdu; davkrua toi'" kakw'" pepragovsinqrhvnwn t` ojdurmoi; mou'sav q` h} luvpa" e[cei.

Nella celebre rhesis dove cerca di dimostrare che il destino dei Greci, pur vinci-

tori della guerra, è stato più triste di quello dei perdenti Troiani, stando almeno al testo

dei codici Cassandra interromperebbe tutto a un tratto l’elencazione degli svantaggi

subiti dai Greci stessi (padri che morivano senza i figli e donne che morivano senza

i mariti mentre i Greci penavano sotto Troia), con una sorta di aposiopesi, vv. 384s.:

siga'n a[meinon tajiscrav, mhde; mou'sav moigevnoit` ajoido;" h{ti" uJmnhvsei kakav.

Difficile essere certi dell’autenticità di questi versi, ma anche se fossero

interpolazione d’attore, essi rivelerebbero che nel IV sec. tali interpolatori avevano

verisimilmente ancora in mente il principio saffico, e in sintonia con esso il canto

di aijscrav e di kakav sarebbe esecrabilmente da evitare. Più tardi, quando le Troiane

del Coro si propongono di cantare la fine di Troia, invocheranno dalla Musa un

«inno tutto nuovo … un threnos», vv. 512-515:

ajmfiv moi “Ilion, w\Mou'sa, kainw'n u{mnwna\ison su;n dakruvoi" wjida;n ejpikhvdeion:nu'n ga;r mevlo" ej" Troivan ijachvsw, ktl.

La Musa viene probabilmente invocata qui, anche se poche altre volte è invo-

cata da Euripide e soprattutto negli altri due tragici maggiori35

, perché la storia della

35Per un’ottima riconsiderazione della sparuta presenza delle Muse nella tragedia, cf. Iakob

1998, cap. 1.

Page 12: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

184 FANTUZZI

guerra di Troia era stata il tema del più famoso tra i poemi epici, e la poesia epica

era tradizionalmente avvezza a invocare le Muse tradizionali; nello stesso tempo

però la natura della porzione specifica della storia che sta per essere cantata, vale

a dire la distruzione della città, provoca la specificazione che il canto che sta per

cominciare, in quanto luttuoso, necessita di k a i n o i; u{mnoi. Anche nel finale

della tragedia, con un gesto di orgoglio regale, Ecuba darà corso a una precisa

menzione delle Muse al plurale, richiamandole secondo la tradizione come epicamente

garanti della memoria del kleos degli individui presso i posteri, in rapporto al kleos

che la regina si sente di aver conquistato in virtù delle sue pene, vv. 1242-1245:

... eij de; mh; qeo;"e[streye ta[nw peribalw;n kavtw cqonov",ajfanei'" a]n o[nte" oujk a]n uJmnhqei'men a]nmouvsai" ajoida;" dovnte" uJstevrwn brotw'n.

Esiste però una differenza tra gli ultimi due passi citati delle Troiane. Le

connotazioni che la Musa/mousa = ispirazione della poesia/musica del threnos puòassumere presentano come abbiamo visto alcune sfumature differenziate, ma anche

evidenti tratti comuni: questa musa del pianto è regolarmente qualcosa di non ‘nor-

male’, e tradisce la sua diversità/parzialità soprattutto nell’essere riservata a divinitàinfere o ctonie oppure nell’essere parziale, o anomala, o nuova, rispetto a ciò che

è evidentemente presupposto come musica tradizionale. Quando, come abbiamo

appena visto, Ecuba decide di superare il livello del lamento di commiserazione o

autocommiserazione, e proclamare che almeno le sue vicende le procureranno la

gloria di essere cantata dai poeti, e di non essere ajfanhv"36, è alle Muse tradizionali

e plurali, epicamente depositarie del kleos, che la regina prontamente tornerà37.

36Interpreto il passo in sintonia con Scodel 1980, 142: «if there is irony in Hecuba’s echo

of Helen at Il. VI 357-58, it is not a bitter one. Hecuba’s statement almost exonerates the gods

for their destruction of Troy; the unnamed deity who brings about reversal of fortune gives the

victims at least a place in song. Where Homer’s Helen ruefully sees both her folly and her

position within poetic tradition, Hecuba balances what has actually happened with other possibilities

and seems to accept the necessity of history with resignation […]. Hecuba is an actor in tragedy,

and as such possesses a certain o[gko": the poet allows her to realize the fact. The audience, who

hear her speak of the place in tradition she has indeed attained, are made aware both of the

solemnity poetry can confer on its material and of the necessity of solemn events if poetry is to

exist». Cf. anche Easterling 1993, 19s. Diversamente, e a mio parere meno verisimilmente, Poole

1976, 283-285 vede in questi versi una sorta di ironia sulla vuotezza e l’instabilità della gloria

che la tragedia più volte denuncia; il Coro metterebbe poi a nudo la realtà dell’illusione di Ecuba

ai vv. 1322s., affermando che alla fine la terra di Troia sarà un giorno ajfanhv".37

Si veda la strategia opposta perseguita attraverso la presentazione delle Muse in Eur. HF

781-797, dove l’invocazione alle Muse (e alle Ninfe) fa presagire una situazione da epinicio pindarico,

finché l’apparizione improvvisa di Lyssa ristabilisce l’atmosfera tipica della tragedia: cf. Saïd (in

corso di stampa). Sulla poetica della mousike del lamento nelle Troiane, vd. ora Battezzato 2005a.

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185La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

Non c’è dubbio, in conclusione, che Euripide problematizzi la qualità della

musica del threnos più spesso che gli altri tragici, e che lo faccia assai spesso

attraverso l’indagine delle caratteristiche della sua fonte di ispirazione, la Musa/

mousa più o meno personificata. Mi attira perciò l’idea che l’autore del Reso –fosse egli Euripide, oppure un attento imitatore di Euripide – abbia dato il suo

ennesimo contributo al problema, sfruttando una possibilità che il mito gli metteva

a disposizione spontaneamente, poiché la madre di Reso, almeno nella tradizione

post-omerica, era una Musa, Euterpe secondo Pindaro (Omero non la menziona, ma

non necessariamente ignorava questa genealogia). Appunto il mito infatti permet-

teva all’autore di ‘reificare’ il problema di cosa sia la mousa del threnos nel piùconcreto dei modi, attraverso una sorta di personificazione ‘imposta’ dal mito,

presentando pragmaticamente sulla scena una Musa in lacrime per un figlio.

Del resto, trasformare un motivo ricorrente della tradizione tragica in una sce-

na concreta non era operazione estranea a Euripide o all’autore del Reso (forse

Euripide, oppure, credo più verisimilmente, un suo imitatore). Come è ben noto, il

motivo del confronto tra il canto di lamento e il canto dell’usignolo era stato un

motivo diffuso nella tragedia (e in Euripide: si veda più sopra pp. 181s.), ma sia

l’Euripide del Fetonte sia l’autore del Reso scelgono di trasformare questo termine

di confronto, che altrove è solo più o meno brevemente nominato, nel tema domi-

nante di una pur breve scena: la minuta descrizione del canto dell’usignolo, che il

Coro immagina in effetti di udire, campeggia infatti nel quadro dell’alba tracciato

dal Coro sia nella parodo del Fetonte, vv. 63-70 Diggle h[ _d _h _ me;n ajrtifanh;" / `Aw;"iJ _[ppeuvei] kata; ga'n, / uJpe;r d` ejma'" kefala'" / Pleiav[dwn pevfeuge corov"], /

mevlpei de; devndresi lept/a;n ajhdw;n aJrmonivan / ojrqreuomevna govoi" / “Itun “Itunpoluvqrhnon, sia in uno stasimo del Reso, vv. 546-556 kai; ma;n ajivw: Simovento"hJmevna koivta" / foiniva" uJmnei' polucordotavtai / ghvrui> paidolevtwr / melopoio;najhdoni;" mevrimnan. / h[dh de; nevmousi kat` “Idan / poivmnia: nuktibrovmou / suvriggo"ija;n katakouvw. / qevlgei d` o[mmato" e{dran / u{pno": a{disto" ga;r e[ba blefavroi"pro;" ajw'38

.

Specificamente nel caso del lamento della Musa, poi, preesisteva al Reso una

tradizione letteraria che poteva spianare la via al suo autore nell’introduzione di

questa scena, notoriamente non presente nel modellizzante decimo dell’Iliade39

. In

38La descrizione del canto dell’usignolo è più fine a se stessa nel Fetonte, e più funzionale

all’azione drammatica nel Reso. Come osserva giustamente Diggle 1970, 96, mentre nel Reso

«this description is closely related to the dramatic situation of the play and is punctuated by

excited dialogue attendant on the change of guard, the maids, in contrast, sing only of such sights

and sounds as may be expected to accompany the dawn and their description is offered in a

restrained and reflective style. The interest of the maids is in the activities in which they image

others are beginning to engage; and this theme of morning occupations provides the transition to

the second part of the song, where they go on to speak of the occupation in which they themselves

are engaged». Cf. anche Barker 2004, 190.39

Questo paragrafo e il successivo presuppongono le più dettagliate analisi di Fantuzzi 2006.

Page 14: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

186 FANTUZZI

generale, il Ciclo epico e la tragedia contenevano alcuni esempi di lamenti di madri

divine o semi-divine per la morte di figli alleati dei Troiani, a cui conseguiva

l’ottenimento di uno statuto di immortalità per questi stessi figli. Erano in effetti

pochi esempi: dato il ‘filellenismo’ tipico almeno dell’Iliade, non è ovvio che do-

vessero darsi nell’epos sulla guerra troiana descrizioni di madri in lutto per figli

combattenti tra i ranghi degli alleati di Troia, anche se grande rilevanza aveva il lutto

per alcuni Greci, e primamente quello di Teti per Achille nell’Etiopide, anticipato

con chiarezza nell’Iliade. Invece proprio nell’Etiopide sappiamo che Eos, madre di

Memnone, supplicava Zeus e ne otteneva la promessa dell’immortalità per il figlio

(Procli arg. 6-8 e 14s., PEG I 68s.), in un episodio che avrà costituito una pregnante

anticipazione del compianto di Teti per la morte di Achille, nonché del suo successo

nell’ottenergli una vita ultraterrena di relativa immortalità nell’isola di Leuke. Sem-

bra infatti certo, almeno per quanto si evince da Proclo, che la morte di Achille per

mano di Paride e l’intervento di Teti per il figlio si collocassero immediatamente

dopo la morte di Memnone e la preghiera di Eos, verso la fine dell’Etiopide (Procli

arg. 14-16 e 19-24, PEG I 68s.). Eschilo, per parte sua, scrisse due (o tre) tragedie

dove era messo in scena il lamento di madri di alleati dei Troiani: da una parte

Memnon e/o Psychostasia, dall’altra Cares o Europa. Nel caso di Memnone Eschilo

aveva sviluppato un tema e il punto di vista (attenzione per le pene degli sconfitti)

che si trovava in particolare già almeno nel modello epico appena citato, l’Etiopide40

.

Più in dettaglio, specificamente l’ispirazione per l’entrata in scena della Musa dall’alto

del theologeion (cf. v. 886 tiv" uJpe;r kefalh'" qeov", ...;) e con il cadavere del figlio tra le

braccia (v. 887) può essere stata dettata all’autore del Reso dalla Psychostasia di Eschilo,

dove sappiamo che attraverso la geranos Eos era presentata a mezz’aria e con il corpo di

Memnone tra le braccia, nella scena in cui implorava Zeus per ottenerne l’immortalità per

il figlio41. Quanto a Sarpedone, invece, la tragedia Cares o Europa aveva ‘continuato’ un

racconto di cui l’Iliade di Omero aveva narrato solo l’inizio, vale a dire come Sarpedone

cadesse per mano di Ettore e Apollo consegnasse il cadavere di Sarpedone a Hypnos e

Thanatos, pronti a portarlo dalla piana sotto Troia alla volta della Licia (XVI 676-683). Dal

fr. **99 R. (un lungo, anche se assai lacunoso frammento papiraceo dove Europa, eviden-

temente ancora ignara della morte di Sarpedone, e forse proprio mentre il figlio le sta per

venire riportato da Hypnos e Thanatos, ripensa alla sua relazione con Zeus e racconta con

angoscia dei suoi presentimenti allarmati sulla sorte del figlio) e inoltre da rappresentazioni

iconografiche che molto probabilmente riflettono questa tragedia e rappresentano l’arrivo

40Carmi intitolati da Europa scrissero anche Simonide (PMG 562) e forse Stesicoro (PMGF

195). Del primo si può dire però per certo che trattava anche (o solo?) dell’unione tra lei e Zeus

in forma di toro: dal fatto che, stando al testimone, Zeus metamorfizzato sarebbe stato chiamato

nel carme anche mh'lon e provbaton, oltre che tau'ro", si può desumere infatti che il racconto

dell’amore di Zeus non fosse un breve accenno retrospettivo, come invece era in Aesch. fr.

**99,1 R. Nulla lascia invece capire del contenuto del secondo la menzione nel testimone del

mito di Atena che avrebbe seminato i denti di drago da cui nacquero gli Sparti.41

Ritchie 1964, 132s.

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187La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

del cadavere di Sarpedone al cospetto di Europa42, ricaviamo che Europa stessa ebbe in essa

un ruolo di primo piano, e dobbiamo immaginare che un suo lamento sul cadavere del figlio

facesse molto verisimilmente parte di tale ruolo. La genesi letteraria del Reso sarà stata per

vari aspetti analoga. Anche se non possiamo escludere che il Reso abbia presupposto anche

altre fonti oltre a Omero, e da esse attinto43, certo è che, rispetto a Iliade X, la ‘Dolonia’ dei

primi duecento versi della tragedia riprende variando la storia della ‘Dolonia’ iliadica, ma

poi, oltre ad altri dettagli concernenti soprattutto l’eccidio di Reso, aggiunge il lamento della

Musa sul corpo del figlio (come verisimilmente, rispetto al sedicesimo dell’Iliade, faceva

Eschilo nella tragedia Cares o Europa) e la profezia circa la sua relativa immortalità come

eroe cultuale in Tracia. A prescindere dunque dalla possibilità che altre fonti siano messe

a frutto oltre all’Iliade, rispetto all’Iliade il Reso si pone come una ‘continuazione’, né piùné meno che Cares o Europa. Tra l’altro, se la tragedia eschilea presentava la morte di

Sarpedone come aition del suo culto eroico – come è plausibile, poiché un culto esistette di

sicuro attorno alla tomba di Sarpedone in Licia44

– anche questo dettaglio costituirebbe un

ennesimo parallelo tra la tragedia eschilea e gli sviluppi narrativi post-iliadici del Reso, dato

che appunto nel Reso la Musa anticipava, come si è visto, l’immortalità eroica di Reso (vv.

962-973).

Fermo restando dunque che la tradizione ciclica e tragica offrì certo ispirazione

al Reso per presentare il lamento della madre di Reso, esistono indizi del fatto che,

poiché tale madre era una Musa, l’autore del Reso stesso potrebbe essere stato

indotto ad approfittare della ‘concreta’ personificazione di un tema caro alla trage-

dia e in particolare a Euripide. Per prima cosa, indizi stilistici. I vv. 895-903 e 906-

914 della nostra tragedia sono una monodia costituita da strofe e antistrofe di

prevalente ritmo enoplio: 895 = 906 e 896 = 907 prosodiaci; 897 = 908 itifallici;

898 = 909 enopli; 899 = 910 tetrametri dattilici catalettici in syllabam = alcmanii;

900-901 = 911-912 enopli; 902 = 913 tetrametri dattilici catalettici in syll.; 903 =

914 enopli paremiaci. In essa riscontriamo dunque (897 = 908) un itifallico come

clausola interna, fatto non comunissimo, per cui si trovano comunque dei paralleli

in Euripide, Med. 991 e 992 = 996 e 997, Alc. 441 = 451. Ma è quest’ultimo passo

che costituisce il più importante termine di confronto, poiché il canto corale di

elogio funebre per Alcesti in Alc. 435-475 è «the closest parallel in extant Greek

tragedy to the metrical technique of the Muse’s monody»45. Ciò non solo perché lo

stasimo dell’Alcesti è una sorta di studio sul ritmo enoplio, precisamente come Rh.

895-90346

– a parte tale stasimo e i nostri vv. 895-903 del Reso, sono poche altre

le sezioni corali della tragedia greca costituite solo di versi appartenenti a questa

classe di ritmi. Soprattutto, lo stasimo dell’Alcesti e la monodia del Reso hanno in

42Cf. Robertson 1988, 113s. e Keen 2005, 68s.

43Andrebbe tuttavia evitato di postularne altre oltre a quelle già note: cf. Fantuzzi 2005.

44Cf. e.g. OGIS 552; [Arist.] Pepl. 641,58 R.

3; App. BC IV 78s.; Philostr. Her. 14; schol.

Il. XVI 673; Kossatz-Deissmann 1978, 63-65 e 74.45

Cf. Ritchie 1964, 318.46

Cf. Dale 1968, 172s.; Ritchie 1964, 317.

Page 16: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

188 FANTUZZI

comune due dei pochi elementi che sono in essi estranei al ritmo enoplio. Dell’itifallico

si è detto già. Ma anche i due alcmani di Alc. 463s. = 473s. devono essere confron-

tati con i quattro di Rh. 899 = 910 e 902-913, dato che in contesti simili troviamo

altrove tetrametri dattilici solo nel terzo stasimo di IT 1234-1283, dove tra l’altro

si tratta di dattilo-epitriti liberi47

. Difficilmente si potrà supporre che la coincidenza

nello stile della versificazione sia fortuita, vista l’innegabile affinità che collega i

contenuti e il tono dell’elogio di Reso, che la madre presenta enfaticamente come

solo in apparenza morto (cf. vv. 962-973) perché in realtà è destinato invece a

sopravvivere immortale come eroe, e l’elogio intessuto dal Coro per Alcesti, una

morta destinata ben presto a pronta resurrezione.

Un’altra spia delle intenzioni della monodia della Musa di presentarsi appunto

come concretizzazione della tanto problematica mousa del lamento si potrebbe

trovare nei vv. 948s., dove la Musa conclude la sua recriminazione contro le re-

sponsabilità di Atena nella morte di Reso, e il suo threnos in generale, con la frase:

kai; tw'nde misqo;n pai'd` e[cous` ejn ajgkavlai"qrhnw': sofisth;n d` a[llon oujk ejpavxomai.

Dunque la Musa del Reso, pur essendo una delle Muse tradizionali (aveva

anche fatto riferimento alle sue sorelle nel v. 942), e non un usignolo o una Sirena

o un’altra divinità degli Inferi, prima canta (vv. 895-903 e 906-914) e poi recita in

giambi (vv. 915-949) effettivamente un threnos per Reso, e lo inizia chiamandolo

con grande chiarezza ijavlemo" (v. 895), per poi concludere chiamandolo threnos

(v. 949 qrhnw'). Subito dopo aver così definito il suo canto, la Musa dichiara di non

aver intenzione di «condurre a sé» i sofistaiv (qui chiaramente nel senso di «po-

eti»): questa stessa Musa, con composizione ad anello, aveva esordialmente presen-

tato se stessa, vv. 890s., come hJ ... ejn sofoi'" tima;" e[cousa.

La nostra Musa affermerebbe dunque in pratica di non voler fare quello che

invece fa Antigone nel passo delle Fenicie citato più sopra (vv. 1498-1501): tivnaproswido;n / h] tivna mousopovlon stonaca;n ejpi; / davkrusi davkrusin, w\ dovmo", w\dovmo", / ajgkalevswmai, / trissa; fevrousa ...; Evidente infatti l’analogia, pur se

speculare, che collega il futuro ajgkalevswmai delle Fenicie con l’(oujk) ejpavxomaidel Reso, soprattutto se nel passo delle Fenicie si intendono proswidovn e mousopovloncome sostantivi, e dunque oggetti di ajgkalevswmai48

: si noti l’affinità, che potrebbe

47Cf. Dale 1968, 172s. e 1971-1983, I.89.

48Così suggerisce tentativamente Mastronarde 1994, 567, che interpreta: «what accompanist

or poet shall I summon for my groaning lament or summon to lamentation by my tears?». Prima

di lui le due parole erano state intese come aggettivi di stonacavn, nel qual caso il senso sarebbe

(trad. ancora di Mastronarde, o.c. 566): «what groaning lament of suitable tune or what artfully

musical groan am I to summon up to use amidst my tears?» – l’idea del ‘convocare’ si riferirebbe

allora al lamento (stonacavn) e sarebbe dunque solo metaforica.

Page 17: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

189La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

essere allusivamente ricercata, tra quest’ultimo verbo e il sintagma ejn ajgkavlai"adottato dal Reso.

Il senso superficiale del riferimento finale della Musa al non chiamare i poeti

al canto funebre (rafforzato come è dalla menzione iniziale della dedizione alla

Musa da parte dei sophistai/sophoi, «poeti»49) potrebbe essere che, pur essendo ella

onorata dai poeti, proprio in quanto dea della poesia, per cantare la Musa non ha

bisogno di ricorrere all’assistenza di poeti. Ma al di là di questo significato epider-

mico, e un po’ banale, la Musa potrebbe aver presupposto ancora una volta il prin-

cipio che era già stato sotteso al frammento saffico, su cui come abbiamo visto

Euripide aveva lavorato più di una volta. La logica sottostante l’affermazione della

Musa, e in particolare la scelta del verbo ejpavxomai, sarebbe allora molto più pregnante:

la Musa canta da sola, e non cerca di «tirare dalla sua parte» i poeti e averne

l’ausilio, perché i suoi poeti considerano il threnos un canto difficile/anomalo (come

ripetevano i tragici) o sconveniente (come aveva detto Saffo). Il verbo ejpavgein, alla

diatesi media, significa infatti, ‘procurarsi’, ‘chiamare come alleato’, ‘attirare a sé’o metaforicamente ‘dalla propria parte’, quindi anche ‘persuadere’, conquistando la

disponibilità di chi prima disponibile non era, ma negativo o riluttante: mi sembra

difficile trovare, o immaginare che il pubblico antico trovasse una qualche altra

giustificazione per la sfumatura di riluttanza o almeno estraneità che ejpavxomaiascrive ai poeti rispetto all’iniziativa del canto funebre della Musa

50, se non alla luce

49Come opportunamente nota Saïd (in corso di stampa) a proposito dei sofoiv di Rh. 890,

con questo termine Euripide non intende solo i poeti stricto sensu ma anche gli eroi civilizzatori

come ad es. il Taleta di Gortina quale è presentato nella Vita di Licurgo plutarchea 4,1) o il

Palamede euripideo, l’«usignolo delle Muse», del fr. 588 K.; presso Euripide infatti anche verbi

come mousovw (Ar. Lys. 1127, cf. Eur. fr. 482 K.) e il suo composto ejkmousovw (Ba. 825) prendono

il senso generale di ‘istruire’; all’opposto l’assenza delle Muse, in parole come ajpovmouso",a[mouso", ajmouvswto" o ajmousiva diventa sinonimo di assenza di cultura (Soph. fr. 819 R.

2; Eur.

Med. 1089 e fr. 1033 K.), stupidaggine (Aesch. Ag. 801), follia (Eur. Ion 526) o addirittura

disumanità (Eur. fr. 407 K.). E tuttavia (mi ha ricordato Maria Noussia) Orfeo e Museo – che la

Musa del Reso menziona come benefattori culturali di Atene proprio subito prima di asserire che

non avrebbe chiamato alcun altro sofisthv" per il compianto del figlio (vd. nota successiva) e che

quindi con ogni verosimiglianza il pubblico avrà identificato come due dei sofoiv non convocati

dalla Musa – erano sì eroi civilizzatori, e venivano ricordati dalla Musa proprio come tali, ma

erano anche entrambi ben noti all’opinione comune come citaredi ed eroi fondatori del canto ad

Atene. Parimenti era famoso soprattutto come citaredo il Thamyris rammentato ai vv. 915-925

per la sua insubordinata hybris verso le Muse. Sarà stato almeno in parte anche per la specializzazione

nel suonare la non-funerea lira da parte dei sophistai menzionati dalla Musa, se la Musa stessa

decide di dispensare i sofistaiv dal partecipare al lamento per Reso? Si ricordi del resto l’oppo-

sizione precisa che Egisto instaura ai vv. 1629-1632 dell’Agamennone eschileo tra i nhvpia uJlavgmatadel Coro e la gioiosità abituale al canto di Orfeo – oJ me;n ga;r h\ge pavnt` ajpo; fqoggh'" cara'i.

50Se ejpavgein non avesse sempre avuto alla diatesi media questo valore piuttosto marcato,

ma fosse attestato anche nel senso più generico di ‘procurare’ (senso che può certo avere all’at-

tivo), allora sarebbe facile avanzare la più piana idea che la Musa minacci qui Atena e la città

Page 18: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

190 FANTUZZI

della topica opposizione tra musica e canto tradizionali e threnos e della sua speciale

fortuna in seno all’immaginario euripideo pertinente la natura del canto tragico.

La Musa si guarda bene, dunque, dal coinvolgere i suoi poeti, ma nello stesso

tempo, per parte sua, compie fino in fondo la sua performance trenodica: in effetti

la tradizione aveva ampiamente legittimato l’idea che una Musa gestisse in prima

persona un threnos, e anche un threnos per un proprio figlio. In particolare potrebbe

essere inteso a richiamare questa legittimazione tradizionale il modo in cui Rh. 895

definisce il lamento funebre come ijavlemo". Ialemos era infatti il figlio di una Musa

– Calliope secondo la maggioranza delle fonti51

– e già un resoconto eziologico

all’inizio di un threnos di Pindaro (fr. 128c M. = 56 Cannatà Fera, a noi noto per

lo più attraverso la citazione che ne fa uno scolio al nostro passo del Reso) aveva

contrapposto peana per Apollo e Artemide, occasioni di canto per Dioniso, e le

varietà del canto di lamento funebre52

, e inoltre fatto risalire i tre nomi di queste

ultime ai funerali per tre figli di Calliope: ai[lino", uJmevnaio", e ijavlemo" sarebbero

stati, rispettivamente, i canti che «misero a dormire» i tre figli di Calliope, Linos,

Hymenaios, e Ialemos, così da costituire «ricordo per lei prolungato dei morti»53.

Chiamando esordialmente il lamento funebre con il nome di ijavlemo", e non, ad

esempio, threnos come invece in fine al v. 976, e inoltre enfatizzando il fatto che

esso era per il figlio (tevknon ... matro;" a[lgo", 896s.), la Musa avrà stimolato il

pubblico a mettere in parallelo il suo lamento per Reso con il lamento di un’altra

Musa, Calliope, per suo figlio Ialemos – né si potrà dubitare della trasparenza di

questo pur implicito riferimento, se ben due scolî al passo sono stati pronti a co-

glierlo ed esplicitarlo54

. Tra l’altro, stando alla testimonianza di Esiodo, fr. 305 M.-

W., sarebbe stato rituale che all’inizio e alla fine di banchetti e danze (ejn eijlapivnai"

sua protetta Atene (menzionate con astio rispettivamente ai vv. 938 e 941) di non produrre piùcon la sua ispirazione/educazione, e quindi di non ‘introdurre’ più ad Atene nessun altro sofov",

dopo Orfeo e Museo, di cui nei vv. 943-947 la Musa si rammarica di aver purtroppo già bene-

ficato la città (musthrivwn te tw'n ajporrhvtwn fana;" / e[deixen `Orfeuv", aujtanevyio" nekrou' /tou'd` o}n katevkteina" suv: Mousai'ovn te, so;n / semno;n polivthn kajpi; plei'ston a[ndr` e{na /

ejlqovnta, Foi'bo" suvggonoiv t` hjskhvsamen). Resta il fatto che il verbo è qui al medio, e che in

tale diatesi il valore di ‘procurare’ non risulta attestato: stando così le cose, dobbiamo supporre

che ejpavxomai fosse inteso in uno dei valori su elencati, che avrebbero ascritto ai sofistaiv una

iniziale riluttanza/estraneità all’azione intrapresa dalla Musa.51

Clio secondo schol. rec. Hes. Op. 86 e 153 Gaisf.52

Come nota Ford 2002, 16 «beneath the anthropological recognition of a kinship among

all laments, the basic generic distinction is between the gods with their endless songs and mortals

with their threnoi», e non per caso almeno l’eziologia dell’umano lamento funebre veniva ricer-

cata nella tristezza della Musa per l’umana mortalità di tre suoi figli.53 È verisimile che qui «imeneo» non designi, come di solito, il canto nuziale, ma appunto

una varietà di canto funebre: cf. Cannatà Fera 1990, 139-142.54

Uno, citato sopra, attraverso la lunga citazione da Pindaro, come si è detto sopra; un altro

attraverso un riassunto della presentazione della discendenza di Calliope in Asclepiade di Tragilo.

Cf. Bagordo 1995/1996, 140.

Page 19: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

191La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

te coroi'" te) «tutti i poeti e kitharistai» levassero il threnos (qreneu'si) in onore

di Linos, figlio della Musa Urania55

. Possiamo immaginare che il pubblico del

teatro attico ricordasse quest’ultima prassi rituale in onore di Linos che, resoconto

esiodeo a parte, pare abbia davvero avuto una qualche consistenza reale?56

Se sì, ladecisione della Musa di non coinvolgere sofistaiv nel lamento per Reso potrebbe

essere risaltata in ancor maggiore evidenza, e in particolare essere ancor più sentita

come una forte presa di posizione della poetica della musica tragica (la Musa del

Reso evita che i suoi poeti facciano quello che nella koine della tradizione i poeti

avrebbero fatto in onore di Urania!).

Figli a parte, l’epica aveva inoltre largamente legittimato l’idea che una Musa,

o le Muse come gruppo, potessero partecipare a un funerale e levare un lamento.

È sicuro che nel poema ciclico Etiopide le Muse erano presentate nell’atto di la-

mentare la morte di Achille, assieme a Teti (Procli arg. 20s., PEG I 69): kai; Qevti"ajfikomevnh su;n Mouvsai" kai; tai'" ajdelfai'" qrhnei' to;n pai'da.

La partecipazione delle Muse ai funerali di Achille era peraltro anche breve-

mente ricordata in Od. XXIV 58-62:

ajmfi; dev s` e[sthsan kou'rai aJlivoio gevronto"oi[ktr` ojlofurovmenai, peri; d` a[mbrota ei{mata e{ssan.Mou'sai d` ejnneva pa'sai ajmeibovmenai ojpi; kalh'iqrhvneon: e[nqa ken ou[ tin` ajdavkrutovn g` ejnovhsa"`Argeivwn: toi'on ga;r uJpwvrore Mou'sa livgeia,

e poi di nuovo in Pindaro, I. 8,57-60:

... oiJ parav te pura;n tavfon q` ~Elikwvniai parqevnoistavn, ejpi; qrh'novn te poluvfamon e[cean.e[dox` h\ra kai; ajqanavtoi",ejslovn ge fw'ta kai; fqivmenon u{mnoi" qea'n didovmen.

Del resto proprio ai funerali di Achille (e dunque a una prima, tradizionalmente

nota performance funeraria delle Muse) la Musa del Reso fa riferimento esplicito.

Anche se la morte di Reso era anteriore di parecchio a quelle di Memnone e Achille

(entrambe invece, come si è visto più sopra, vicine nella cronologia e messe in

parallelo nell’Etiopide), la nostra Musa in pianto profila un nuovo, vendicativo

parallelismo tra la morte di Reso e quella di Achille, in seno alla profezia della

partecipazione sua e delle sorelle ai funerali di Achille stesso (vv. 974-979):

55Cf. Palmisciano 1998, 185.

56Ci portano a crederlo gli epigrammi specifici in onore di Linos e in ricordo del lamento

per lui da parte delle Muse, di cui alcuni sono riportati negli scolî a Il. XVIII 570 (il primo, PMG

880, ripreso anche da Eust. ad Il. 1163,60-62), appunto per documentare le ajparcaiv trenodiche

con cui i «poeti» avrebbero ricordato la morte di Linos e il compianto delle Muse per lui.

Page 20: La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa ...

192 FANTUZZI

rJa'ion de; pevnqo" th'" qalassiva" qeou'oi[sw: qanei'n ga;r kai; to;n ejk keivnh" crewvn.qrhvnoi" d` ajdelfai; prw'ta me;n s` uJmnhvsomen,e[peit` `Acilleva Qevtido" ejn pevnqei potev.ouj rJuvsetaiv nin Pallav", h{ s` ajpevktanen:toi'on farevtra Loxivou swvizei bevlo".

Attraverso l’inserzione di questa acrimonia la profezia della Musa mi sembra

qui competere in modo preciso con il modello dell’Etiopide. Con leggera forzatura

dei passati racconti dell’episodio futuro della partecipazione delle Muse ai funerali

per Achille, forte del fatto che nella diacronia del mito il lamento per Reso veniva

prima di quello per Achille, la Musa del Reso colora il suo lamento futuro con il

tono della vendetta, ingrediente tipico di molti finali di tragedia57

. Sia che accettia-

mo oppure no in Rh. 974s. l’emendamento di Musgrave e di Valckenaer rJa'ion,

invece del baiovn della paradosis (come io comunque credo dovremmo), in ogni

caso la Musa dichiara che il suo lutto per il figlio è alleviato dalla certezza che

anche Achille dovrà presto morire, e a niente servirà l’aiuto di Pallade. La Musa,

madre di un alleato dei Troiani, esprime dunque una sorta di sfida verso la madre

di un nemico greco, e un aperto rancore verso Pallade, ritenuta responsabile della

morte di Reso. In sostanza la prospettiva del racconto tragico, incentrato sulla

morte di Reso figlio di una Musa, riscrive e nega secondo la sua logica la pacificitàsimpatetica della partecipazione delle Muse al funerale di Achille, che nel racconto

dell’Etiopide, focalizzato su Achille e Teti, sembravano prefiche solidali con Teti.

In conclusione, presentare una Musa che leva un compianto era affatto legit-

timato dalla tradizione epica, ma l’autore del Reso si prende pena di presentare una

Musa che leva un compianto propriamente tragico, in quanto appunto permeato

dall’auspicio della vendetta che caratterizza non poche conclusioni di tragedia.

Questa attenzione per la modernità tragica del tono troverebbe del resto riscontro

nella sottolineatura dell’effetto raggiunto dal lamento sul suo pubblico ai vv. 904s.:

o{son proshvkei mh; gevnou" koinwnivan / e[conti luvph" to;n so;n oijktivrw govnon.

Infatti tale sottolineatura, come è stato osservato già di recente58

, è una sorta

di omaggio alla poetica tragica, la quale perseguiva lo scopo che il pubblico iden-

tificasse la propria esperienza con quella dell’eroe sventurato sulla scena e si ap-

propriasse della sua pena: il pubblico interno della tragedia, il Coro, è talmente

toccato dal lamento della Musa da dichiararsi costretto a identificarsi con la pena

della Musa stessa – e da richiedere implicitamente ai pubblici esterni del futuro di

fare altrettanto.

C’è inoltre, proprio nel rilievo del Coro appena discusso, un dettaglio che non

si lascia giustificare solo in questa prospettiva. Quando dichiara di essere investito

57Cf. e.g. Saïd 1984 e Burnett 1998.

58Cf. Lada-Richards 2002, 81s.

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193La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

da grande empatheia per la sofferenza della Musa, il Coro precisa anche di esten-

dere l’intensità della sua partecipazione al livello che «è lecito a chi non è paren-

te» – non oltre. Questa precisazione, che sembra contraddire la ricerca tragica del

pathos, risponde invece a un’altra istanza che possiamo cogliere nella presentazio-

ne del threnos della Musa nel Reso.

Come è stato messo già debitamente in rilievo59

, molte tragedie greche sono

interessate a presentare il problema della ‘politica del lamento’, nelle sue più varie

sfumature. A partire dalla legislazione ‘soloniana’ e per tutto il V sec. esistette infatti

una tendenza della politica ufficiale (e maschile) della polis a favorire per il lamento

funebre (un rituale prevalentemente femminile60

) forme raccolte e gestite all’interno

della famiglia (ad es. evitando l’intervento di prefiche prezzolate), così da prevenire

l’ostentazione di ricchezza tra famiglie aristocratiche e le possibili tensioni conse-

guenti, nonché il rischio che eccessive manifestazioni di lutto aizzassero forme di

vendetta privata a danno della legge della polis, oppure gli sprechi che derivavano

dalle esequie particolarmente lussuose (ad es. dall’impiego di prefiche61

). Da una

parte la tragedia ospita dunque così spesso manifestazioni di lutto estreme ed enfa-

tiche, in dialettico contrasto con la disciplina di limitazione del lutto che caratterizza

in particolare la polis ateniese (la lacerazione delle guance, ad esempio, è una scena

di lamento che si incontra con topica frequenza nella tragedia); almeno nell’Antigone

di Sofocle e nelle Coefore e nei Sette contro Tebe di Eschilo affiora il ruolo rivolu-

zionario che il lamento funebre può avere quando sfugge al controllo del potere

politico e viene gestito dalle donne che ne sono peraltro le abituali attrici; e almeno

le Coefore di Eschilo mettono in scena un Coro di donne straniere, in contrasto con

il rifiuto delle prefiche da parte della legislazione soloniana o di Platone (vedi piùsotto). D’altronde però le Supplici euripidee sembrano riflettere con favore soprat-

tutto le ragioni del controllo politico sul lamento: danno infatti il massimo rilievo

agli ideali di Teseo, che avversa la celebrazione funebre individuale dei caduti contro

Tebe, e in sintonia con la linea politica ufficiale di Atene nel V sec., che favoriva la

59Fondamentale al riguardo Foley 1993, ampliato in Foley 2001, cap. 1 (alle analisi di questo

lavoro molto deve il presente paragrafo). Vd. anche Loraux 1990 e Morwood 2007, 241-244.60

Cf. da ultimo Dué 2006, cap. 1 (Men’s Song and Women’s Song).61

Come dice Plutarco, Sol. 21,4 «(Solone) proibì […] che si cantassero threnoi preparati

(pepoihmevna qrhnei'n) e si lamentassero estranei»; Demostene (43,62) cita come «legge soloniana»la norma secondo cui nessuna donna di età inferiore ai sessant’anni poteva entrare nella camera

delle esequie, oppure accompagnare il corpo quando veniva portato alla tomba, a parte quelle che

avevano con il defunto un grado di parentela più prossimo o pari a quello di seconde cugine.

Analogamente a Delfi le norme funerarie fissate dalla fratria dei Labidi (Sokolowski, LSCG

nrr. 77, 152-157C) intorno al 400 a.C. prescrivevano che dopo il funerale tutti dovevano lasciare

subito il luogo della sepoltura, «a parte coloro che partecipavano dello stesso focolare che il

morto (oJmevstioi), gli zii paterni, i suoceri e i loro figli, e i generi». Tra i contributi più recenti

alla cospicua bibliografia sulla legislazione circa le manifestazioni del lutto, cf. Garland 1989;

Humphreys 1993, cap. 5; Alexiou 2002, 10-23; Blok 2006.

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194 FANTUZZI

prassi di un’orazione pubblica comune per i caduti in guerra62

, opta per una celebra-

zione pubblica comune dei caduti, intesa a esaltare i valori civici impersonati dai

caduti stessi e a offrire un paradigma da seguire ai giovani della città; e Adrasto, che

nella sua orazione funebre seguirà il consiglio di Teseo, arriverà più tardi a rifiutare

alle madri dei caduti di entrare in contatto con i cadaveri dei figli, in base al principio

che tale contatto accrescerebbe il volume dei loro lamenti (vv. 941-947). Suggerisco

di considerare la possibilità che il threnos della Musa del Reso si volesse presentare,

nelle intenzioni dell’autore, non solo come aggiornato in termini di poetica della

tragedia, ma anche come paradigmaticamente ‘moderno’ e socialmente accettabile,

in linea, e.g., con l’impostazione di fondo delle Supplici euripidee.

Oltre che nella specificazione o{son proshvkei mh; gevnou" koinwnivan e[conti, que-

sta strategia di accettabilità sociale si può vedere all’opera in aujqigenhv", l’aggettivo

scelto per qualificare ijavlemo" al v. 895. Esso è stato spiegato dagli studiosi moderni

in rapporto ai due possibili sensi (locale e temporale) della prima parte del composto,

aujqi- (‘prodotto lì per lì’ ossia ‘sul luogo’ e/o ‘estemporaneamente’): analogamente

in Mou's` aujqigenhv" di Bacch. 2,11 resta ambiguo se l’aggettivo indichi la Musa della

poesia estemporanea e veloce63

, oppure la Musa del luogo (cf. Hdt. IV 49: il senso

sarebbe che Bacchilide ha composto il suo epinicio subito dopo la vittoria del laudandus

e/o sul luogo stesso dove si sono tenuti gli agoni), oppure ancora la Musa ‘compatrio-

ta’ (in riferimento alla nascita a Ceo sia di Bacchilide sia del laudandus). Nel Reso un

senso strettamente locale di ijavlemo" aujqigenhv" non è impossibile64

, ma non esistono

per confortarlo né indizi interni al testo, né testimonianze esterne sull’esistenza di una

specifica maniera ‘tracia’ del lamento65

. In un’accezione sempre locale ma più gene-

rale, aujqigenhv" potrebbe significare non ‘tracio’ ma ‘indigeno’, vale a dire ‘greco’, inopposizione ad es. alla Karikh; mou'sa che Plat. Leg. 800e menziona come nome della

poesia dei cantori prezzolati del lamento funebre (memisqwmevnou" wj/douv"), ossia di

quei professionisti stranieri (cf. Eschilo, Ag. 423s.), soprattutto donne, che non di rado

nella società greca operavano come prefiche a pagamento durante le esequie e che

Platone stesso vorrebbe bandire dalla sua città ideale. Contestualmente assai plausibile

è anche il senso locale-metaforico di ‘domestico’ o ‘familiare’, che tra l’altro stabili-

rebbe un preciso rapporto polare con i membri del Coro, e con la loro volontà (vv. 904s.,

già discussi sopra) di limitare il proprio lutto alla dimensione lecita per i ‘non parenti’:in contrapposizione a loro la Musa certo potrebbe dire di cantare un ‘lamento familia-

re’, in quanto madre di Reso (vv. 896s.). Con una sfumatura diversa, aujqigenhv"potrebbe voler dire ‘domestico’ per ricordare che lo ijavlemo" sarebbe propriamente

nato tra le Muse stesse, a opera di Calliope e in funzione del di lei figlio Ialemos. A

prescindere da tutti questi valori che gravitano attorno al senso locale di au\qi, anche

62D’obbligo sul tema il riferimento a Loraux 1981.

63Cf. Gelzer 1985.

64 «With lamentation of native strain», intende Kovacs 2002, 445.65

Come osservato già da Feickert 2004, 355.

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195La mousa del lamento in Euripide, e il lamento della Musa nel Reso ascritto a Euripide

il senso temporale di ‘estemporaneo’ è affatto ammissibile in rapporto a ijavlemo"aujqigenhv". In questo caso la madre di Reso avrebbe contrapposto il suo canto funebre

alla performance di canti ‘preparati’ in anticipo, ossia alla pratica di pepoihmevnaqrhnei'n che come sappiamo la legislazione ateniese ascritta a Solone aveva cercato

di bandire (vd. più sopra n. 61). In conclusione, a parte il senso strettamente locale di

‘tracio’, che peraltro non è supportato né da indizi testuali né da prove esterne, tutte

le accezioni più o meno probabili di aujqigenhv" sarebbero interpretabili come riflessi

più o meno indiretti delle restrizioni sulle pratiche del threnos funebre che vennero

imposte sia da leggi di Solone sia da norme analoghe in altre città greche del V secolo.

In conclusione, forte di una tradizione epica e lirica che più di una volta aveva

raccontato del lamento funebre delle Muse per Achille o per i loro figli, e dopo il gran

parlare euripideo della problematicità/anomalia della musa del lamento, l’autore del

Reso avrebbe concretamente messo in scena come era in effetti una Musa in lamento,

richiamando in modo espresso, attraverso la precisa menzione dei funerali di Achille,

la tradizione extra-tragica e in particolare il sostrato epico-ciclico soggiacente alla

sua tragedia iliadico-ciclica. Avrebbe parimenti colto l’occasione per una riflessione

meta-letteraria sulla poetica del lamento tragica e per spunti socialmente edificanti

circa l’ottima forma di moderno lamento funebre. L’operazione costituirebbe uno

degli esempi di manierismo euripideo che sono evidenti a vari livelli nel Reso (lessicale,

stilistico, metrico) – intendendo per ‘manierismo’ un’imitazione e al tempo stesso

distorsione di un modello o uno standard stilistico o dell’immaginario, alimentata da

un più o meno forte intellettualismo e orientata a produrre una sofisticata stilizzazione

del modello stesso. Tale manierismo ha spesso indotto ad ascrivere la paternità della

tragedia a un Euripide anziano, rielaboratore di se stesso, oppure a un Euripide gio-

vane, immaturo ancora nel calibrare l’espressione della proprie preferenze – ma potrebbe

anche, e a mio parere più verisimilmente, essere inquadrato in quel senso del ‘venire

dopo’ i grandi tragici del V sec. che animò la cultura ateniese del IV sec., e portò ad

esempio alla canonizzazione della triade Eschilo-Sofocle-Euripide, oppure alla prassi

dell’interpolazione, particolarmente estensiva nel caso di Euripide66

.

Columbia Univ., N.Y. e Macerata M A R C O F A N T U Z Z I

66 Questo lavoro ha avuto la fortuna di potersi confrontare con pubblici molto diversi, ma di

pari dottrina e acume. In una forma più breve, esso fu infatti presentato su invito dell’amico C. Brillante

nel novembre 2006 presso il Centro di Antropologia del Mondo Antico dell’Università di Siena,

quindi al convegno Euripides: The First Hellenistic Poet? Problems in Periodization, Poetics, and

Reception, organizzato da A.J. Romano presso il Dept. of Classics dell’Università di Chicago, Nov.

11-12, 2006, e cominciò a migliorare a seguito della proficua discussione che seguì a esso in

entrambe le occasioni. Più tardi, l’8 marzo 2007, in una forma più vicina all’attuale, ha costituito

una relazione per i “Seminari Degani”, presso il Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale

dell’Università di Bologna, e non poco ha dovuto agli interventi di C. Neri, di V. Tammaro, e del

mio primo maestro di filologia, R. Tosi. Penetranti suggerimenti mi sono venuti anche da L. Bat-

tezzato, F. Budelmann, M. Magnani, C. Tsagalis e, come sempre da vari anni, J. Diggle.

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Abstract

The rhetorical figure of negated song (‘ unmusical singing’, ‘lyreless Muse’, ‘unchorused dance’,or the like) is typical of the tragedians to express the paradoxical nature of the music/poetry of

tragic suffering and lament, which banished the merry joy otherwise inherent to other kinds of

songs or, more broadly, the Muses’ inspiration. Among the tragedians, Euripides is most forth-

coming about the nature of the inspiration superintending the dirge’s music. Epic tales of the

Muses participating in Achilles’ funerals legitimized the inclusion within the Rhesus of the

mourning for Rhesus by his mother, the Muse. But at least some hints in the Muse’s lament

suggest that this tragedy also took the opportunity to ‘develop’ Euripides’ passages concerning

the mousa of dirge, and, more broadly, to allude to the politics of the dirge, which is a typical

concern of tragedy.