La moglie, il marito, la madre e il padre nel greco antico - da un articolo di P. Chantraine (1946)

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© Guiffrey Riccardo  Clarens (VD) - Sabato, 12 marzo 2016 1 Il marito e la moglie Uno dei meriti del linguista francese Antoine Meillet (1866  1936) è stato quello di segnalare l’importanza sociale del linguaggio: le strutture sociali si riflettono nel linguaggio. In particolare il vocabolario dei nomi di parentela è un vocabolario molto arcaico, e costituisce, proprio dal punto di vista dell’analisi delle strutture sociali, un dominio particolarmente interessante. Per esempio, il vocabolario indoeuropeo presenta termini molto ben definiti per designare i membri della famiglia da parte del marito, mentre per quanto riguarda la famiglia della moglie i termini disponibili sono incerti o ambigui: questo riflette una società di tipo patriarcale, in cui la donna entrava a far parte della famiglia del marito, ma dove il marito non aveva parentela con la famiglia della moglie. Questo breve saggio, interamente mutuato da u n interessantissimo articolo di Pierre Chantraine 1 , analizza in particolare, tra i termini di parentela, quelli che indicano il marito e la moglie, e quelli che indicano il padre e la madre.  L’esposizione si focalizza in particolare sulla lingua omerica: le citazioni dall’Iliade e dall’Odissea sono riportate integralmente, per facilitare la lettura e la comprensione del l’articolo. Talvolta ho aggiunto altri esempi, oltre a quelli presenti ne ll’articolo di Pierre Chantraine. Per le fonti diverse da Omero sono solo citati gli autori: per approfondire gli impieghi dei termini al di fuori della lingua omerica, si può fare riferimento all’articolo originale.  Se si utilizza l’articolo di Pierre Chantraine per i riferimenti ad altri autori, lirici, tragici, o iscrizioni greche, i seguenti link possono essere utili per la ricerca dei documenti citati: http://www.perseus.tufts.edu/hopper/  http://epigraphy.packhum.org/inscriptions/main  http://www.persee.fr/ web/revues/home/prescri pt/article/bch_0007-4217_ 1974_num_98_1_2101 http://www.persee.fr/ web/revues/home/prescript/a rticle/bch_0007-4217_ 1966_num_90_1_2232 Premessa Se cerchiamo di precisare quali siano i termini utilizzati nella lingua greca per indicare il marito e la moglie, scopriamo che i nomi più comuni, e che sono rimasti tali durante tutta la storia della lingua greca, sono i due termini generici ἀνήρ e γυνή. Il loro utilizzo è ampiamente attestato durante tutta la storia della lingua greca, già a partire da Omero: si veda per esempio in Odissea, XIX, 209 (κλαιούσης ἑὸν ἄνδρα παρήμενον), oppure in Iliade, VI, 460 (  Ἕκτορος ἥδε γυνὴ). Ma il marito e la moglie hanno un’importanza sociale solo se hanno dei figli, che assicurino la continuità della specie e del culto: sono quindi i termini padre e madre, πατήρ e μήτηρ, che giocano un ruolo essenziale, e questi sono stati soggetti ad una costante evoluzione. Cominciamo con i termini che individuano il marito e la moglie. πόσις Nell’indoeuropeo il marito e la moglie erano designati come il padrone e la padrona della casa. Per designare il padrone della casa l’indoeuropeo possedeva il tema *  poti - che serviva ad indicare il capo della famiglia, cui si riconduce il greco πόσις, con il significato specializzato di “sposo”. Questo termine compare per la prima volta in Omero (da *ποτις), con il significato di “marito”, nel senso più proprio:  rappresenta Ulisse in rapporto a Penelope, per esempio in Odissea, I, 363 : κλαῖεν ἔπειτ᾽  Ὀδυσῆα φίλον πόσιν;   rappresenta Zeus in rapporto a Era, per esempio in Iliade X, 5 : ὡς δ᾽ ὅτ᾽ ἂν ἀστράπτῃ πόσις Ἥρης ἠϋκόμοιο;  rappresenta Ettore in rapporto ad Andromaca, per esempio in Iliade VI, 484 : πόσις δ᾽  ἐλέησε νοήσας;   Nausicaa utilizza il termine πόσις quando dice che desidererebbe trovare un marito in tutto simile ad Odisseo, in Odissea VI, 244 : αἲ γὰρ ἐμοὶ τοιόσδε πόσις κεκλημένος εἴη;  all’inizio della Τειχοσκοπία (Iliade, III, 161-246), in III, 163 questo è il modo in cui Priamo si riferisce a Menelao, parlando con Elena : ὄφρα ἴδῃ πρότερόν τε πόσιν πηούς τε φίλους τε;  ma anche Alessandro è designato così in III, 329 : δῖος Ἀλέξανδρος Ἑλένης πόσις ἠϋκόμοιο.  La nozione di padrone della casa è certamente connessa a quella di sposo, di marito, ma in Omero πόσις non esprime mai in modo netto questo significato, come appare invece per esempio nei tragici. In greco, il senso preciso di πόσις è quello di sposo 1  Chantraine Pierre. Les noms du mari et de la femme, du père et de la mère en grec . In: Revue des Études Grecques, tome 59-60, fascicule 279-283,1946. pp. 219-250. L’articolo è in lingua francese, disponibile su web al seguente link : http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/reg_0035-2039_ 1946_num_59_279_309 0 

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8/19/2019 La moglie, il marito, la madre e il padre nel greco antico - da un articolo di P. Chantraine (1946)
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Il marito e la moglie
Uno dei meriti del linguista francese Antoine Meillet (1866 – 1936) è stato quello di segnalare l’importanza sociale del linguaggio: le
strutture sociali si riflettono nel linguaggio. In particolare il vocabolario dei nomi di parentela è un vocabolario molto arcaico, e
costituisce, proprio dal punto di vista dell’analisi delle strutture sociali, un dominio particolarmente interessante. Per esempio, il
vocabolario indoeuropeo presenta termini molto ben definiti per designare i membri della famiglia da parte del marito, mentre per
quanto riguarda la famiglia della moglie i termini disponibili sono incerti o ambigui: questo riflette una società di tipo patriarcale, in cui la donna entrava a far parte della famiglia del marito, ma dove il marito non aveva parentela con la famiglia della moglie.
Questo breve saggio, interamente mutuato da un interessantissimo articolo di Pierre Chantraine1, analizza in particolare, tra i
termini di parentela, quelli che indicano il marito e la moglie, e quelli che indicano il padre e la madre. L’esposizione si focalizza in
particolare sulla lingua omerica: le citazioni dall’Iliade e dall’Odissea sono riportate integralmente, per facilitare la lettura e la
comprensione dell’articolo. Talvolta ho aggiunto altri esempi, oltre a quelli presenti nell’articolo di Pierre Chantraine. Per le fonti
diverse da Omero sono solo citati gli autori: per approfondire gli impieghi dei termini al di fuori della lingua omerica, si può fare
riferimento all’articolo originale. 
Se si utilizza l’articolo di Pierre Chantraine per i riferimenti ad altri autori, lirici, tragici, o iscrizioni greche, i seguenti link possono
essere utili per la ricerca dei documenti citati:
http://www.perseus.tufts.edu/hopper/ 
http://epigraphy.packhum.org/inscriptions/main 
http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/bch_0007-4217_1974_num_98_1_2101 
http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/bch_0007-4217_1966_num_90_1_2232 
Premessa
Se cerchiamo di precisare quali siano i termini utilizzati nella lingua greca per indicare il marito e la moglie, scopriamo chei nomi
più comuni, e che sono rimasti tali durante tutta la storia della lingua greca, sono i due termini generici νρ e γυν. Il loro
utilizzo è ampiamente attestato durante tutta la storia della lingua greca, già a partire da Omero: si veda per esempio in Odissea,
XIX, 209 (κλαιοσης ν νδρα παρμενον), oppure in Iliade, VI, 460 ( κτορος δε γυν).
Ma il marito e la moglie hanno un’importanza sociale solo se hanno dei figli, che assicurino la continuità della specie e del  culto:
sono quindi i termini padre e madre, πατρ e μτηρ, che giocano un ruolo essenziale, e questi sono stati soggetti ad una
costante evoluzione.
Cominciamo con i termini che individuano il marito e la moglie.
πσις  Nell’indoeuropeo il marito e la moglie erano designati come il padrone e la padrona della casa. Per designare il padrone della casa
l’indoeuropeo possedeva il tema * poti - che serviva ad indicare il capo della famiglia, cui si riconduce il grecoπσις, con il
significato specializzato di “sposo”. Questo termine compare per la prima volta in Omero (da *ποτις), con il significato di “marito”,
nel senso più proprio:

 
rappresenta Ulisse in rapporto a Penelope, per esempio in Odissea, I, 363 :κλαεν πειτ  δυσα φλον πσιν;    rappresenta Zeus in rapporto a Era, per esempio in Iliade X, 5 : ς δ τ ν στρπτ πσις ρης κμοιο;
  rappresenta Ettore in rapporto ad Andromaca, per esempio in Iliade VI, 484 :πσις δ λησε νοσας; 
  Nausicaa utilizza il termine πσις quando dice che desidererebbe trovare un marito in tutto simile ad Odisseo, in Odissea
VI, 244 : α γρ μο τοισδε πσις κεκλημνος εη;
  all’inizio della Τειχοσκοπα (Iliade, III, 161-246), in III, 163 questo è il modo in cui Priamo si riferisce a Menelao, parlando
con Elena : φρα δ πρτερν τε πσιν πηος τε φλους τε; 
  ma anche Alessandro è designato così in III, 329 : δος λξανδρος λνης πσις κμοιο. 
La nozione di padrone della casa è certamente connessa a quella di sposo, di marito, ma in Omero πσις non esprime mai in
modo netto questo significato, come appare invece per esempio nei tragici. In greco, il senso preciso diπσις è quello di sposo
1 Chantraine Pierre. Les noms du mari et de la femme, du père et de la mère en grec. In: Revue des Études Grecques, tome 59-60, fascicule 279-283,1946. pp. 219-250. L’articolo è in lingua francese, disponibile su web al seguente link : http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/reg_0035-2039_1946_num_59_279_3090 
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legittimo. In Omero il termine πσις è accompagnato da vari epiteti, il più significativo dei quali èκουρδιος, che – quale che ne
sia l’etimologia – esprime, a proposito sia del marito che della moglie, l’idea di rapporto legittimo:
  in Odissea XXIII, 150-1 : οδ τλη πσιος ο κουριδοιο / ερυσθαι μγα δμα διαμπερς; 
  in Odissea XXIV, 195-6 : ς ε μμνητ   δυσος, / νδρς κουριδου; 
  in Iliade V, 414 : κουρδιον ποθουσα πσιν τν ριστον χαιν.
Altri attributi fanno parte dei classici attributi omerici, riferiti alle caratteristiche fisiche o ai poteri divini:
  in Iliade, X, 329: στω νν Ζες ατς ργδουπος πσις ρης;
  in Iliade, VII, 411: ρκια δ Ζες στω ργδουπος πσις ρης; 
  in Iliade, XIII, 153-4: ε τεν με / ρσε θεν ριστος, ργδουπος πσις ρης. 
In Omero nessuna moglie si rivolge però mai al marito utilizzando il termineπσις, che ha una valenza giuridica piuttosto che
sentimentale: la forma del vocativo non è mai attestata in Omero, e anche quando Andromaca si rivolge ad Ettore morto per un
ultimo addio, è il vocativo νερ che il poeta usa in Iliade XXIV, 725 (νερ π ανος νος λεο). 
Per quanto riguarda la diffusione del termine, l’antico termine πσις si trova attestato praticamente solo in Omero e nei poeti
che lo hanno imitato: altri usi si ritrovano presso Aristotele, o in frammenti ed iscrizioni. Poi il termine cade nell’oblio. 
πτνια 
Il termine che corrisponde etimologicamente a πσις per indicare la moglie, padrona della casa, è πτνια, termine molto antico
che si ritrova per esempio nel sanscrito patn , e che – come quest’ultimo – presenta una formazione del femminile molto arcaica.
Ma per quanto riguarda invece il significato, πτνια non costituisce esattamente il corrispettivo femminile di πσις; si tratta
invece di un termine di rispetto, talvolta associato a μτηρ:
  in Iliade, I, 357 : το δ κλυε πτνια μτηρ;
  in Odissea, VI, 30 : χαρουσιν δ πατρ κα πτνια μτηρ. 
Per di più, il termine è stato progressivamente allontanato – nel suo uso - dal suo senso originale,caricandosi di una valenza
religiosa:
 
è un epiteto di Era, la sposa di Zeus, in Iliade, I, 551 :τν δ μεβετ πειτα βοπις πτνια ρη;    ma anche, in modo piuttosto inatteso, di Ebe, in Iliade, IV, 2-3: μετ δ σφισι πτνια βη / νκταρ οινοχει; 
  di Eniò, la dea della guerra, in Iliade, V, 592 :ρχε δ ρα σφιν ρης κα πτνι  νυ; 
  di Calipso, in Odissea, I, 14 : νμφη πτνι ρυκε Καλυψ δα θεων;
  e infine di Circe in Odissea, VIII, 448 : ν ποτ μιν δδαε φρεσ πτνια Κρκη. 
Taluni utilizzi si spiegano con l’influenza di credenze religiose egee. La dea-madre dell’Egeo, dea della fecondità, è anche regina
delle fiere: Artemide eredita i suoi attributi e viene chiamata πτνια ϑηρν in Iliade, XXI, 470-1: τν δ κασιγντη μλα νεκεσε
πτνια θηρν / ρτεμις γροτρη. Altre divinità che si collocano in larga misura nella tradizione delle divinità egee, portano
ugualmente questo titolo di πτνιαι: Afrodite, la Terra, le Eumenidi ed altre ancora. In VIII, 47 anche il monte Ida riceve l’epiteto di
madre delle belve: δην δ  κανεν πολυπδακα μητρα θηρν. Sotto l’effetto delle antiche credenze egee, πτνια è divenuto
quindi in definitiva un termine religioso.
δεσπτης e δσποινα 
Da πσις e πτνια l’etimologia permette di avvicinarci a due nomi composti, che designano in modo esplicito il padrone e la
padrona della casa - δεσπτης e δσποινα - e che contengono tutti e due una forma di genitivo del nome della casa: si veda
per esempio in sanscrito dam páti  o pátir dán.
Il termine δεσπτης per ragioni metriche non si ritrova in Omero, ma – per esempio presso i tragici – designa il padrone della
casa, in particolare in rapporto con gli schiavi. Il termine non viene invece impiegato di frequente parlando di divinità. Il termine
femminile che gli corrisponde è δσποινα:
 
 
associato a γυν in Odissea, VII, 347 : πρ δ γυν δσποινα λχος πρσυνε κα ενν. 
Il termine viene a volte associato (in Sofocle, Platone, Eschilo) al nome di alcune dee. Per una evoluzione tutta speciale,δσποινα,
secondo Esichio, è divenuto in Tessaglia l’equivalente di γυν.
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λοχος 
L’evoluzione del significato del termine πτνια non permette di utilizzarlo come femminile di πσις. Per identificare la sposa Omero
utilizza il termine λοχος. L’etimologia del termine è evidente: è composto dalla radice di λχος, che significa “letto”, e designa,
quindi, colei che condivide il letto del marito. - viene da μα, “insieme”, e l’aspirazione iniziale è scomparsa per assimilazione.
Questo termine, propriamente ellenico, sembra risalire al greco comune. Nell’epopea omerica esso designa in modo preciso la
moglie legittima. In Odissea, XIV, 200-3 λοχος è contrapposta alla concubina:
[…] πολλο δ κα λλοι 
γνσιοι ξ λχου: μ δ νητ τκε μτηρ 
παλλακς. 
Inoltre il termine serve a designare:
  Clitemnestra in rapporto ad Agamennone in Iliade, I, 114 : κα γρ α Κλυταιμνστρης προββουλα / κουριδης λχου; 
  Era in rapporto a Zeus in Iliade, I, 546 : χαλεπο τοι σοντ λχ περ οσ;
  Andromaca in rapporto ad Ettore, sempre in Iliade, VI, 365-6 :φρα δωμαι / οκας λοχν τε φλην κα νπιον υν; 
  Penelope in rapporto a Odisseo, in Odissea, V, 209-10 : μειρμενς περ δσθαι / σν λοχον. 
Il senso appare non meno evidente in talune formule ricorrenti come Τρων λοχοι (Iliade, II, 355; etc.) oppure λοχοι κα νπια τκνα (Iliade, II, 136; etc.). Per quanto riguarda gli epiteti che normalmente accompagnano il termoneλοχος per sottolinearne
il senso:
  una “degna sposa” (αδοος), per esempio in Iliade, VI, 249-50 : νθα δ γαμβρο / κοιμντο Πριμοιο παρ αδος
λχοισιν; 
  una “sposa richiesta, sposata” (μνηστς, da μνομαι) in Iliade, VI, 245-6 : νθα δ παδες / κοιμντο Πριμοιο παρ 
μνηστς λχοισι; o in Odissea, I, 35-6 : ς κα νν Αγισθος πρ μρον τρεδαο / γμ λοχον μνηστν; 
  o ancora “sposa legittima”, κουριδη λοχος, da κουρδιος, come in Iliade, I, 113-4 : κα γρ α Κλυταιμνστρης 
προββουλα /κουριδης λχου ; o ancora in Odissea, XIV, 244-5 : μνα γρ οον μεινα τεταρπμενος τεκεσσιν /
κουριδ τ λχ κα κτμασιν.
Briseide spera di divenire un giorno la sposa legittima di Achille in Iliade, XIX, 297-8 :λλ μ φασκες  χιλλος θεοιο / κουριδην  λοχον θσειν. E Achille stesso la definisce in un’occasione sua sposa, la sua λοχος, in Iliade, IX, 335-6 : με δ π μονου 
 χαιν / ελετ, χει δ λοχον θυμαρα.
E se i tragici utilizzano ancora il termine λοχος, questo cade rapidamente in desuetudine : λοχος - come πσις - è un vecchio
termine omerico scomparso dal vocabolario corrente. 
δμαρ, αρ 
La lingua omerica possiede altri nomi per indicare la sposa : alcuni molto arcaici, altri meno antichi e dall’etimologia più chiara. Uno
dei più antichi è sicuramente δμαρ, che designa la sposa legittima e si trova sempre accompagnato dal nome del marito. In
Omero :
 
in Iliade, XIV, 503-4 : οδ γρ  Προμχοιο δμαρ λεγηνορδαο / νδρ φλ λθντι γανσσεται ;   in Odissea, IV, 125-6 : Φυλ δ ργρεον τλαρον φρε, τν ο θηκεν / λκνδρη, Πολβοιο δμαρ ;
  in Odissea, XX, 290 : μνσκετ  δυσσος δν οχομνοιο δμαρτα ;
  in Odissea, XXIV, 125 : μνμεθ   δυσσος δν οχομνοιο δμαρτα. 
Potrebbe essere, come si è pensato, un antico nome neutro, ma non è certo come analizzarlo : lo si è voluto accostare al termine
che indica la casa, δμος, e si è anche cercato di farlo derivare dalla radice diδμνημι, « sedurre, dominare, soggiogare », cosa
possibile. Termine ripreso dai poeti (Pindaro, Eschilo), e in particolare da Euripide, compare anche in testi giuridici :sembra dunque
un termine giuridico che designa la sposa nobile, legato alla forma di matrimonio conosciuta con il termine di γγησις. 
Un termine molto antico e molto raro è αρ. È attestato due volte nell’Iliade :
 
in IX, 327 : νδρσι μαρνμενος ρων νεκα σφετερων. 
Da questo termine deriva il verbo αρζω, che si riferisce essenzialmente ad una conversazione amorosa, come in Iliade, VI, 514-6 :
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 κτορα δον τετμεν δελφεν ετ ρ μελλε 
στρψεσθ κ χρης θι  ριζε γυναικ. 
κοιτις, παρκοιτις, κοτης e παρακοτης  Un altro insieme di termini – sicuramente creati in greco – sono impiegati nella lingua poetica e sono di chiara derivazione. Alcuni di
questi si possono far derivare da κοτη, « letto » (si veda κεμαι). Il più comune è κοιτις. Perfettamente simile ad λοχος nella struttura, il termine sembra però comportare alcune sfumature di significato un po’ diverse. Mentre λοχος designa, come si è
visto, la moglie legittima, κοιτις sembra un termine socialmente meno preciso, ma in compenso un termine più concreto e più
affettivo. Lo troviamo per esempio utilizzato a proposito di Penelope in Odissea, XXI, 325-6 ( πολ χερονες νδρες μμονος
νδρς κοιτιν / μννται) ; di Andromaca in Iliade, VI, 374-5 ( κτωρ δ  ς οκ νδον μμονα ττμεν κοιτιν) ; di Era, ancora in
Iliade XIV, 353 (πν κα φιλτητι δαμες, χε δ γκς κοιτιν). 
Ma gli epiteti con i quali il termine si accompagna non sono gli stessi diλοχος. Per esempio φλη o μμων:
  in Odissea, XIII, 42-3 : μμονα δ οκοι κοιτιν / νοστσας εροιμι σν ρτεμεσσι φλοισιν ;
  in Iliade, III, 138 : τ δ κε νικσαντι φλη κεκλσ κοιτις ;
  in Iliade, VI, 374 : κτωρ δ ς οκ νδον μμονα ττμεν κοιτιν / στη π οδν ν. 
Il termine si contrappone bene a παλλακς, « concubina », in Iliade, IX, 447-52 :
οον τε πρτον λπον λλδα καλλιγναικα 
φεγων νεκεα πατρς μντορος ρμενδαο, 
ς μοι παλλακδος περιχσατο καλλικμοιο, 
τν ατς φιλεσκεν, τιμζεσκε δ κοιτιν 
μητρ μν:  δ αν μ λισσσκετο γονων 
παλλακδι προμιγναι, ν χθρειε γροντα. 
Ma non equivale ad λοχος. I due termini si trovano poi accostati in Iliade, IX, 398-400:
νθα δ μοι μλα πολλν πσσυτο θυμς γνωρ 
γμαντα μνηστν λοχον κυαν κοιτιν 
κτμασι τρπεσθαι τ γρων κτσατο Πηλες: 
 κοιτις presenta volentieri un valore affettivo, per esempio nell’Iliade: 
  impiegato a proposito di Elena in III, 138 (τ δ κε νικσαντι φλη κεκλσ κοιτις); in III, 447 ( α, κα ρχε λχος δ 
κιν: μα δ επετ κοιτις); in VI, 350 (νδρς πειτ φελλον μενονος εναι κοιτις); 
  a proposito di Teti e di Peleo in XVIII , 87 (Πηλες δ θνητν γαγσθαι κοιτιν); in XXIV, 537 (κα ο θνητ ντι θεν
ποησαν κοιτιν). 
Varie formule accostano κοιτιν ad τιμζειν: nell’Iliade in IX, 449-50 (τν ατς φιλεσκεν, τιμζεσκε δ κοιτιν / μητρ μν);
in Odissea, XVIII, 144-5 (κτματα κεροντας κα τιμζοντας κοιτιν / νδρς); XXIV, 459-60 (κτματα κεροντες κα τιμζοντες
κοιτιν / νδρς ριστος). 
Non ci si stupisce infine di leggere κοιτις in scene amorose. Esempi dall’Iliade:
 
XIV, 353: πν κα φιλτητι δαμες, χε δ γκς κοιτιν.
 κοιτις è un termine esclusivamente poetico: i tragici lo utilizzeranno ancora, ma non sarà destinato, nel futuro, ad alcun avvenire.
Un doppione di κοιτις è il termine παρκοιτις, che presenta la medesima sfumatura affettiva. Alcuni esempi dall’Iliade: 
  XVIII, 184: ‘ρη με προηκε Δις κυδρ παρκοιτις; 
 
IV, 60-1: μφτερον γενε τε κα ονεκα σ παρκοιτις / κκλημαι;
  XVIII, 365 (sulla bocca di Era) : μφτερον γενε τε κα ονεκα σ παρκοιτις / κκλημαι;
  XXI, 479-80 : λλ χολωσαμνη Δις αδοη παρκοιτις / 480νεκεσεν οχαιραν νειδεοις πεσσι. 
Il termine di applica ugualmente a Leto, nell’Odissea, in XI, 580, che non può farsi passare per la sposa legittima di Zeus: Λητ γρ
λκησε, Δις κυδρν παρκοιτιν. Si trova utilizzato nella scena amorosa del Libro XIV dell’Iliade, tra Zeus ed Era. Vedi XIV, 346:  α
κα γκς μαρπτε Κρνου πας ν παρκοιτιν. 
Gli epiteti uniti al παρκοιτις sono in genere espressivi: nell’Iliade, IX, 590 (ζωνος παρκοιτις), III, 53 (θαλερν παρκοιτιν). 
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Ci spieghiamo che la moglie sia designata come colei che condivide il letto del marito, ma l’opposto è in effetti un po’ meno
naturale. Questo comporta che le forme κοτης e παρακοτης, derivate dalle corrispondenti κοιτις e παρκοιτις, sono
rare. Esistono tre esempi di κοτης, sempre con una sfumatura sentimentale, volentieri ironica:
  in Odissea, V, 120 Calipso si indigna nel vedere gli dei, gelosi, non accettare che le dee possano prendere nel loro letto un
 
in Iliade, XV, 91 Teti prende in giro Era, che sembra aver paura di Zeus: μλα δ σ φβησε Κρνου πς, ς τοι κοτης; 
  infine in Odissea, XXI, 87-8 non è senza ironia che Antinoo usa il termineκοτης parlando di Odisseo:  τε κα λλως /
κεται ν λγεσι θυμς, πε φλον λεσ κοτην. 
Nell’Iliade, in VI, 430 il termine composto παρακοτης esprime tutta la tenerezza e l’amore di Andromaca per Ettore: 
 κτορ τρ σ μο σσι πατρ κα πτνια μτηρ 
δ κασγνητος, σ δ μοι θαλερς παρακοτης: 
Un altro impiego del termine παρακοτης con lo stesso aggettivo si ha in VIII, 156, sempre nell’Iliade : των ν κονσι βλες 
θαλερος παρακοτας.
 κοτης si ritrova a volte nella poesia posteriore: Sofocle, e soprattutto Euripide.
Derivati di εν e λκτρον 
Per designare l’uomo o la donna, che si tratti o meno di una unione legittima, i poeti hanno ancora impiegato dei termini derivati
da εν, “letto”. Sono rari, ed espressivi: ενητρ (Eschilo), εντωρ (Eschilo, Euripide), εντης o ενητς (Euripide).
Non sono mai utilizzati in Omero.
Al femminile abbiamo εντειρα (Eschilo), εντρια (Sofocle).
Formato con un processo diverso, σνευνος si dice sia della donna (ξνευνος in Eschilo, e – al femminile e senza il preverbo
σν, ενις  – in Sofocle), che dell’uomo (Eschilo). Di qui si deriva al maschile συνευντης (Euripide) e al femminile
συνευντις (ξυνευντιν, ancora Euripide). E ancora μευντης (Euripide), μευνος ( Antologia Palatina), e il femminile
μευντις (Sofocle). Infine i semplici εντης (Euripide, Antologia Palatina) e, al femminile, εντις.
Molto raramente incontriamo i composti di λκτρον, μλεκτρος γυν (Euripide) e μλεκτρος come sostantivo (Igino,
 Antologia Palatina) in epigrammi funerari, così come σλλεκτρος (Euripide).
Il valore affettivo di questi termini è sovente notevole, ma hanno giocato un ruolo limitato nella storia della lingua greca.
νμφη e derivati
Un altro gruppo di nomi si è sviluppato intorno a νμφη, prestandosi in certa misura a fornire i nomi del marito e della moglie.
Νμφη è un vecchio termine che già presso Omero serviva a designare una ninfa, come nell’Odissea, in VI, 105 (τ δ θ μα 
νμφαι, κοραι Δις αγιχοιο), nell’Iliade, in VI, 420 (νμφαι ρεστιδες κοραι Δις αγιχοιο), etc. Nell’Odissea il termine è
particolarmente utilizzato a proposito di Calipso : in I, 14-5 (νμφη πτνι ρυκε Καλυψ δα θεων / ν σπσσι γλαφυροσι,), in V,
57 (φρα μγα σπος  κετο, τ νι νμφη / ναεν υπλκαμος:), etc.
Ma, a parte questi impieghi, νμφη è il termine proprio per indicare la fidanzata al momento del suo matrimonio, o la giovane
sposa. Si veda in Iliade, XVIII, 492-3 :
νμφας δ κ θαλμων δαδων πο λαμπομενων 
γνεον ν στυ, πολς δ μναιος ρρει: 
Il termine è anche impiegato per designare una giovane donna. E in più nell’Odissea, in XI, 38-9, si noti la contrapposizione con
παρθενικα :
παρθενικα τ ταλα νεοπενθα θυμν χουσαι. 
Comprendiamo bene che Iri chiami Elena νμφα φλη nell’Iliade in III, 130-1 : δερ  θι νμφα φλη, να θσκελα ργα  δηαι  Τρων θ πποδμων κα  χαιν χαλκοχιτνων.
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Oppure che l’ombra di Agamennone, quando evoca il ricordo di Penelope al momento della partenza della spedizione di Troia, la  
chiami νμφην, in Odissa, IX, 447-8 :
 μν μιν νμφην γε νην κατελεπομεν μες 
ρχμενοι πλεμνδε. 
Ci aspettiamo di meno l’utilizzo di νμφα nell’Odissea, in IV, 742-3, laddove Euriclea si rivolge a Penelope : τν δ ατε προσειπε
φλη τροφς Ερκλεια: / νμφα φλη […]. Ma l’appellativo è piacevole nella bocca della vecchia nutrice, che vede sempre in Penelope la giovane donna del passato. È infine con un significato molto poco chiaro, preciso, cheνμφη viene utilizzato nell’Iliade,
in IX, 560, a proposito di Alcione, ma, si noti, a proposito di una giovane di cui Apollo e Ideo si contendono i favori. Ecco IX, 559-60 :
κα α νακτος ναντον ελετο τξον / Φοβου πλλωνος καλλισφρου ενεκα νμφης. 
I diversi significati sin qui definiti si ritrovano nel corso della storia della lingua greca, presso autori come Aristofane, Eschilo,
Euripide, Saffo, Platone, Prassilla.
Da νμφη deriva un maschile corrispondente, νυμφος. In Omero assume il significato di giovane marito :
  in Iliade, XXIII, 222 : ς δ πατρ ο παιδς δρεται στα καων / νυμφου ;
  in Odissea, VII, 64-5 : τν μν κουρον ντα βλ ργυρτοξος πλλων / νυμφον ν μεγρ, μαν οην παδα λιπντα.
Il termine è ancora usato presso Platone, o presso i tragici, come Sofocle. O ancora Aristofane, Euripide, Eschilo. Il senso di νμφη appare dunque ora chiaro. Si adatta alla giovane fanciulla che diviene donna, alla sposa, alla giovane donna. Ci
spieghiamo anche perché il nome del giovane sposo sia derivato da νμφη, ma anche là dove viene tradotto come “sposo”, il
termine non è mai banale, e conserva sempre qualcosa del suo significato proprio.
Quindi né il termine νμφη , né il suo derivato νυμφος , erano adatti a diventare i termini correnti per designare il marito e la
moglie.
Il legame matrimoniale Se si eccettuano νρ e γυν, che sono termini vaghi ; πσις ed λοχος, che sono rapidamente caduti nell’abbandono, non
abbiamo incontrato fin qui che termini poetici o espressivi (κοιτις etc.) o termini il cui valore è assolutamente particolare (νμφη 
etc.). Nessuno si prestava ad esprimere il legame sociale che unisce il marito e la moglie. 
Per esprimere quest’idea, si è tentato di derivare delle forme nominali da γαμω. Un vecchio termine dal significato vago come
γαμβρς è stato utilizzato nei dialetti eolico e dorico per designare il marito : Saffo, Pindaro, Teocrito.
Un altro procedimento, che ha conosciuto maggiore fortuna, è stato l’utilizzo al femminile dell’aggettivo verbale di γαμω : da
notare che avendo l’aggettivo verbale in principio un valore passivo, è comprensibile che non sia stato adatto per il marito. Il
termine è γαμετ, e lo sviluppo dell’uso del termine si vede in Esiodo, Platone, Lisia, Senofonte, Menandro, Epitteto, nei papiri,
in Filodemo.
Il maschile γαμτης presenta molta minore importanza (Senofonte), ed appartiene soprattutto al vocabolario poetico (Eschilo,
Euripide). Da γαμτης è stato creato un femminile γαμτις. In un epigramma funerario si trova anche il termine συγγαμτης  ad indicare il marito.
L’idea di coppia, che per noi è strattamente associata a quella di matrimonio, non compare in nessuno dei termini visti sino a
questo punto. E questo certo non per caso. Nella struttura della famiglia indoeuropea la donna è considerata come madre di
famiglia, subordinata al padre e signora della casa (si vedano i vecchi terminiπτνια, δσποινα). Poi, con sfumature diverse, sono
stati utilizzati termini diversi che la designano come la compagna di letto dell’uomo (λοχος, κοιτις). L’idea dell’unione, che pone
in definitiva la donna sullo stesso piano dell’uomo, non poteva comparire che in seguito ad una evoluzione sociale e morale che
fece considerare la donna come la compagna dell’uomo, e questa nozione compare a partire dal V secolo a.C. Essa comporta un
valore sentimentale, ma assolutamente non giuridico.
Il termine che meglio l’esprime è σζυξ, che contiene la radice di ζεγνυμι, e che per la struttura è perfettamente analoga al
latino coniux . Il termine appartiene al vocabolario poetico e lo ritroviamo in Euripide. La forma tematicaσζυγος si trova presso
Eschilo, Euripide. Il termine non si incontra nella prosa. Il termine è sopravvissuto nel greco moderno. Nel vocabolario si ritrova un
altro composto equivalente a σζυξ : il femminile συνορος, ed il maschile plurale συνοροι.
Parlando di questi ultimi due o tre termini, abbiamo considerato termini che hanno giocato un ruolo molto limitato nel vocabolario
greco. Ma l’uomo e la donna sono sempre di più considerati come costituenti una coppia. Questo punto di vista compare nell’opera
di Aristotele. In data relativamante bassa è stato creato un termine che esprime l’idea che l’uomo e la donna sono compagni.
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Quando non ci serviamo del termine banaleνρ o γυν, e quando non mettiamo l’accento sulla nozione giuridica di
matrimonio legittimo (γαμετ), impieghiamo σμβιος, composto da σν e βος. Il termine figura in iscrizioni, specialmente
negli epitaffi, ed è sentito come meno banale di νρ o γυν : si può tradurre come compagno/compagna, o come sposo/sposa.
Anche nei papiri, sia al maschile che al femminile, dove σμβιος è stato rapidamente sostituito da συμβα. Σμβιος di trova
anche in testi letterari, Diodoro di Sicilia o nel Pastore diErma.
Come già detto, i termini più usuali per designare il marito e la moglie, termini che sono stati comuni durante tutta la storia del
greco, sono anche i più vaghi : νρ e γυν. Il vecchio termine πσις, che evoca il padrone di casa, non ha avuto che una limitata
fortuna ; il suo femminile πτνια, non ha conservato in greco il suo valore originale, ma è evoluto in una direzione del tutto diversa.
Il femminile corrispondente a πσις presso Omero è λοχος, e – come πσις  – anche λοχος è rapidamente uscito dall’uso
corrente.
Se lasciamo da parte qualche termine poetico o giuridico come γαμετ, l’invenzione più notevole è costituita dal termine σμβιος,
che esprime la nozione di comagno/compagna e fa intervenire l’idea di coppia. Ma nel complesso il greco antico non si è servito,
per designare il marito e la moglie, di termini comparabili ai nomi di parentela propriamente detti.
Il padre e la madre
Al contrario dei termini che definiscono il marito e la moglie, quelli che definiscono il padre e la madre presentano grande unità e
stabilità nell’ambito delle lingue indoeuropee. Questo perchè nella struttura sociale e religiosa della famiglia la nozione di matrimonio non è in primo piano, mentre essenziali sono le nozioni di padre e madre: il marito e la moglie sono rilevanti nella
compagine familiare solo in quanto sono padre e madre. In greco il termine per indicare il padre èπατρ, mentre quello per
indicare la madre è ματρ.
πατρ 
In greco πατρ presenta una valenza allo stesso tempo sociale e religiosa. Il padre è il capo della famiglia, ed è allo stesso tempo
il sacerdote della religione familiare. Il valore religioso del termine è essenziale e si osserva in una gamma molto estesa di impieghi.
Zeus è concepito come il padre di tutte le cose, non perchè le abbia generate, ma perchè ne è il padrone, così come il padre è il
padrone della famiglia. Viene spesso chiamato Ζε πτερ :
  da Teti, figlia di Nereo, in Iliade, I, 503-4 : Ζε πτερ ε ποτε δ σε μετ θαντοισιν νησα /  πει  ργ, τδε μοι
κρηνον λδωρ;    da Agamennone, in Iliade, II, 371-2 : α γρ Ζε τε πτερ κα  θηναη κα  πολλον / τοιοτοι δκα μοι συμφρδμονες
εεν χαιν. 
Ugualmente si spiega la formula omerica seguente, applicata a Zeus :πατρ νδρν τε θεν τε (per esempio in Iliade, I, 544 ; IV,
68; V, 426; etc.). La formula non implica che Zeus abbia materialmente, effettivamente, generato nè gli dei nè gli uomini. Ed è
anche al carattere religioso del termine che si collega il suo utilizzo per designare gli antenati : così anche in Iliade, VI, 209, associato
alla γνος πατρων, alla « stirpe degli antenati », nel discorso di Glauco a Diomede.
L’importanza del ruolo del padre nella società si osserva in taluni testi in cui il termine πατρ assume una valenza giuridica: per
esempio in Sofocle e in Erodoto.
È dunque comprensibile che πατρ rappresenti un termine di rispetto, e questo utilizzo è assai liberamente inteso. Il termine
πατρ si utilizza per esempio quando ci si rivolge con rispetto ad una persona di maggioreetà. All’inizio del Libro VII dell’Odisse, Atena, che ha assunto le sembianze di una fanciulla, è avvicinata ed interrogata da Odisseo: la fanciulla gli risponde chiamandolo
ξενε πτερ (Odissea, VII, 28 e 48). La stessa formula la troviamo sulla bocca di Laodamante, il figlio di Alcinoo, quando si rivolge ad
Odisseo e lo invita a partecipare alle gare: in Iliade, VIII, 145, δερ  γε κα σ, ξενε πτερ, περησαι θλων. Questo utilizzo
sembra non essere mai caduto in desuetudine, e lo si ritrova ancora nei papiri.
Un’ultima osservazione: se il termine πατρ non significa essenzialmente « colui che genera, che dà la vita », si comprende come
l’utilizzo metaforico si sia poco sviluppato in questa direzione (si vedano esempi in Pindaro, in Platone).
La frequenza di certi utilizzi, e la rarità di altri, permette di qualificare il termineπατρ come un termine il cui valore è
soprattutto sociale e religioso.
Lo studio dei derivati, conferma questa osservazione. Prima di tuttoπτρα (in Ionico e nella lingua epica πτρη) designa
l’ascendenza paterna. In Iliade, XIII, 354, a proposito di Zeus e di Poseidone, si legge  μν μφοτροισιν μν γνος δ  α πτρη. Lo stesso utilizzo in Erodoto e in Euripide. In taluni testi dialettali (Pindaro, iscrizioni)πτραι designa le grandi famiglie patriarcali. Il
termine di costruisce in relazione a πατρ esattamente come φρτρη si costruisce rispetto a φρτηρ (φρτηρ).
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Da questo termine occorre distinguere πτρα (πτρη), « patria », che si trova in formule omeriche sempre al sesto piede, al
genitivo o al dativo, come equivalente di πατρς, per esempio nell’Iliade, in I, 30 (μετρ ν οκ ν ργε τηλθι πτρης), in XII,
243 (ες οωνς ριστος μνεσθαι περ πτρης), etc. Di qui il termine è passato al vocabolario della poesia posteriore.
A fianco di πτρα è stato creato, con il medesimo significato di “clan, famiglia patriarcale”, una forma πατρι che si trova per
esempio in Erodoto, o nelle iscrizioni, insieme per esempio al derivato πατριτας (per esempio Iscrizione dei Labiadi).
Da πατρ sono stati derivati vari aggettivi. È probabile che il più antico siaπτριος: il termine non è omerico, senza dubbio per
caso, ma alcune forme come πατρων etc. non potevano entrare nell’esametro dattilico. Lo troviamo in Pindaro, Erodoto, Tucidide,
Aristofane. Il termine più antico si trova così confinato in un utilizzo tradizionale ben definito.Per dire “che appartiene al padre” si
utilizza generalmente πατριος, πατρος. In Omero se ne contano ventiquattro esempi: in Iliade, II, 46 :ελετο δ σκπτρον
πατρον φθιτον αε; VI, 215 :   ν μοι ξενος πατρς σσι παλαις; XXI, 44 : νθεν πεκπροφυγν πατρον κετο δμα.
In Odissea, II, 254 : ο τ ο ξ ρχς πατριο εσιν ταροι. 
Lo sviluppo di questo aggettivo a spese di πτριος si spiega con il fatto che questo termine si appoggia in greco su una forma
parallela derivata dal nome della madre, μητριος e μητρος (Erodoto, senofonte, e iscrizioni).
Il termine è evidentemente derivato da πτρως, « zio, fratello del padre », termine che si utilizza con uno stretto valore giuridico e
sociale. πατρος designa in origine quello che riguarda il ramo paterno.
L’aggettivo più recente è πατρικς, un termine propriamente attico. Si veda l’utilizzo in Tucidide, Platone. Poi nella koiné 
quest’ultimo tende a divenire il solo aggettivo derivato da πατρ. Si vede dunque come, nonostante la creazione di un nuovo
aggetivo come πατρικς, il gruppo del termine πατρ e dei suoi derivati sia coerente, con un valore giuridico e religioso ben
definito.
μτηρ 
μτηρ (μτηρ nei dialetti diversi dallo ionico e dall’attico) è il termine che designa la madre di famiglia, e presenta, come πατρ,
un’importanze essenziale. Il termine designa la donna in quanto madre, e padrona della casa. Tuttavia questo titolo non ha mai
comportato l’idea di un potere esercitato sugli altri, ed i suoi derivati non hanno mai avuto una valenza giuridica così definita come
quelli di πατρ. Il termine μτηρ appartiene al gruppo degli antichi termini di parentela indoeuropei.
In Omero il termine viene impiegato senza problemi nel caso di una donna o di una dea che abbiano dei figli : sia che si tratti di
Ecuba, che di Penelope o di Teti o di altri personaggi.Troviamo questo termine per designare la madre degli animali, come in
Iliade, II, 311-3 (νθα δ σαν στρουθοο νεοσσο, νπια τκνα, / ζ π κροττ πετλοις ποπεπτητες / κτ, τρ μτηρ
ντη ν  τκε τκνα), e XVII, 4-5 (ς τις περ πρτακι μτηρ / πρωτοτκος κινυρ ο πρν εδυα τκοιο). Il termine si utilizza
anche all’occasione come epiteto di un paese  : ancora nell’Iliade, II, 696 ( των τε μητρα μλων), oppure VIII, 47 (δην δ  κανεν
πολυπδακα μητρα θηρν).
La valenza religiosa si presenta però in condizioni un po’ diverse da quelle del termine πατρ. Nessuna divinità dell’Olimpo se vede
assegnare il titolo di μτηρ. In compenso questo titolo conviene perfettamente alla Terra e alle divinità di carattere ctonio (già in
Esiodo). Esiste un culto importante della madre degli Dei e della Madre-Terra (si vedano gli Inni Omerici alla Terra e alla madre degli
Dei). Sicuramente l’India antica ha onorato la madre Terra (màt pthv ), ma lo sviluppo del culto della Madre-Terra si spiega anche
in Grecia con l’influenza di un substrato religioso pre-ellenico. Conosciamo l’importanza, nella religione dell’Egeo, della grande dea
madre, dea della terra e della fecondità. Μτηρ è ugualmente un epiteto della dea Demetra, il cui stesso nome sembra contenere il
termine μτηρ e il cui personaggio continua sotto molti aspetti una divinità egea. Ed è sotto l’influenza dei culti ctoni indigeni che si
è esteso il significato religione di μτηρ.
Esattamente come πατρ, μτηρ rappresenta un termine di rispetto. Viene per esempio impiegato quando ci si rivolge ad una
donna avanti negli anni (Teocrito). Infine l’uso di μτηρ in senso figurato è più sviluppato di quello di πατρ. Poeti e, all’occasione,
prosatori se ne servono per parlare della patria : Pindaro, Eschilo, Isocrate. In maniera più generale comunqueμτηρ si trova in
senso figurato sia in poesia (Pindaro, Sofocle), che talvolta in prosa (Senofonte).
Le caratteristiche che abbiamo riscontrato si trovano confermate se studiamo i derivati.
Μτηρ presenta un valore giuridico meno importate di πατρ. Così μητρθεν « dal lato della discendenza materna » è molto meno
sviluppato del corrispondente πατρθεν (si vedano Pindaro, Erodoto, Sofocle).
Da un punto di vista formale, a πτρα corrisponde il termine μτρα. Ma il vocabolario giuridico non aveva bisogno di questo termine in quanto la famiglia è fondata sulla parentela in linea paterna e non in linea materna. Il derivatoμτρα è un termine
tecnico che designa la matrice presso i medici (Platone) o nel vocabolario culinario (Antifane).
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L’aggettivo derivato *ματριος, che potremmo attenderci in parallelo a πτριος, non esiste in greco, come in latino non esiste il
termine *màtrius : questo si spiega probabilmente con l’impossibilità per la donna, nell’antico diritto patriarcale, di possedere:
quindi non esiste un aggettivo derivato di questo tipo, nella struttura più antica della lingua. Comunque è stata creata una forma
μητριος, μητρος, confrontabile con πατρος. Il termine si trova una sola volta in Omero, in Odissea XIX, 410 (ππτ ν
βσας μητρον ς μγα δμα), e si riferisce alla dimora del nonno materno di Odisseo, Autolico: si tratta dell’episodio della
caccia al cinghiale, nel quale si è voluta vedere una interpolazione. Questo aggettivo è stato derivato daμτρως, termine che
indica lo zio materno, il fratello della madre, e si trova per esempio nell’Iliade in II, 662 (ατκα πατρς οο φλον μτρωα
κατκτα), o ancora in XVI, 717 ( σ, ς μτρως ν κτορος πποδμοιο). Si vedano anche le Leggi di Gortina o Pindaro.Μτρως è
stato creato in greco derivandolo da πτρως, in quanto questa forma non si osserva in alcuna lingua indoeuropea. È su questa
forma creata nella lingua greca che che si è formato l’aggettivo μητρος, che tende a divenire un equivalente del genitivo μητρς 
(di veda Eschilo). È comunque notevole che μτρως, costruito su πτρως, sembri aver acquisito maggiore importanza rispetto a
πτρως (non attestato in Omero), e che μητρος abbia aiutato la diffusione di πατρος. Il fatto si spiega con l’importanza dello zio
materno, con il quale si intrattengono rapporti di tenerezza e di familiarità.
Infine sul modello di πατρικς è stato formato, tardivamente, un aggettivo μητρικς, che troviamo presso Aristotele, nella
 Antologia Palatina e nei papiri.
Rimane da segnalare μητρυι « matrigna, suocera », forma attica che troviamo per esempio in Omero, nell’Iliade, in XIII, 697
(γνωτν μητρυις ριπιδος, ν χ  λες), la cui struttura è poco chiara. La cosa più singolare è che si è derivato da questa forma il maschile corrispondente μητρυις « patrigno, suocero » (Teopompo Comico, Iperide).
Vocabolario familiare: μαα, πππας, …  Questi sono i termini più importanti che si raggruppano intorno a πατρ e μτηρ, impiegati con la loro piena valenza sociale,
particolarmente chiara quando si tratta del padre, un po’ più vaga quando si tratta della madre. 
Di fianco a questo vocabolario più nobile, esiste un vocabolario familiare, che si caratterizza nella sua struttura per il vocalismoa, la
geminazione delle consonanti ed il raddoppiamento. Nonostante si conosca in genere assai male il vocabolario familiare, si possono
comunque mettere insieme alcuni fatti.
Si tratta di termini o di onomatopee mediante i quali il bambino si rivolgeva ai familiari, e in particolare si tratta di termini che
designano chi si occupa di lui, la madre, la nutrice, la nonna. Non si tratta di un procedimento tipico del greco, ma di un
procedimento che possiamo dire universale. Ma ne deriva che i testi non permettono sempre di apprezzare, di identificare il legame sociale che unisce il bambino a coloro cui si rivolge.
Il termina più importante è μαα, evidentemente ipocoristico di μτηρ. Si tratta di un termine familiare ed affettuoso, utilizzato
già nell’Odissea da Odisseo, Penelope e Telemaco quando si rivolgono ad Euriclea : in Odissea, XIX, 482 è Odisseo (μαα, τη μ 
θλεις λσαι) ; in XX, 129-30 è Telemaco (μαα φλη, τν ξενον τιμσασθ ν οκ / εν κα στ) ; in XXIII, 11 è Penelope
(μαα φλη, μργην σε θεο θσαν). O da Penelope parlando alla governante Eurinome, in XVII, 499 (μα, χθρο μν πντες, πε 
κακ μηχανωνται). Ma il significato del termine non è chiaramente definito. Si veda ancora l’Inno a Demetra, oppure Aristofane o
ancora Euripide.
Dal momento che il significato del termine non è altrettanto chiaramente determinato come lo è per il termineμτηρ, e dal
momento che lo si utilizzava volentieri come termine affettuoso per rivolgersi ad una donna in età, si comprende come esso sia
servito per designare la nonna (in Giamblico, o in iscrizioni).
Un fatto più notevole ha indirizzato, piegato la storia dello sviluppo del termine. Il suo significato lo rendeva adatto a designare la
levatrice : questo significato del termine μαα si trova attestato in Platone. Si è così sviluppata una nuova famiglia :μαιεομαι,
μαιευτικ, μαευσις e il nome d’agente μαιετρια che in questo senso tecnico fa concorrenza all’altro termine μαα 
(Sofocle). Conosciamo d’altronde l’importanza che termini come μαιεομαι o μαιευτικ hanno acquisito nella dialettica
socratica e platonica : si veda soprattutto di Platone il Teeteto.
Bisogna citare, nell’ambito di questa serie di termini familiari, la forma μμ : il termine può designare la madre (vedi
Etymologicum Magnum), ma sembra si debba più spesso mettere in relazione con la nutrice (iscrizioni e papiri). Esiste un termine
simile, μμς, documentato in Etymologicum Magnum ed Esichio, e in un papiro a proposito di una nutrice. Il termine è utilizzato
dai cristiani per designare la « madre » in un convento. Infine in Eronda abbiamo un termine familiare,μμα, che non designa nè
la nutrice nè propriamente la madre.
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Rimane μμμη, « mamma » (Ferecrate), ma anche « nonna » familiarmente (Plutarco). Presso Epitteto il termine designa il seno
materno materno : il verbo μαμμν è la parola usata dal bambino che domanda di mangiare (Aristofane). Esistono due forme
diminutive : μαμμα (Aristofane) e μαμμδιον (Plutarco).
Per i termini relativi al padre, osserviamo fatti abbastanza simili. Prima di tutto per indicare familiarmente il padre il greco ha
πππας con il vocalismo in a, la doppia e la geminazione interna, generalmente al vocativo, πππα, utilizzato già nell’Odissea, da Nausicaa, in VI, 57 (πππα φλ, οκ ν δ μοι φοπλσσειας πνην). Il termine sembra essere stato usuale in greco antico
(Aristofane). Secondo Etymologicum Magnum il greco siracusano aveva πς.
Da πππας si deriva il verbo παππζω, “chiamo papà”, documentato nell’Iliade in V, 408 (οδ τ μιν παδες ποτ γονασι 
παππζουσιν), o παππζω (Aristofane), e i dimunutivi παππας e παππδιον (entrame in Aristofane). È ancora a questo termine
che si collega un appellativo per il nonno, πππος.
Più difficile da derivare la forma ππα, che troviamo in Callimaco nel senso di « papà » (ne forniscono una etimologia Esichio e la
Etymologicum Magnum). Chiaro il senso di « padre adottivo » (nelle iscrizioni).
Un altro nome, ugualmente di carattere familiare con il suo vocalismo ina e la sua geminazione, e dal senso molto vago, èττα.
Lo troviamo già in Omero, sulla bocca di Telemaco quando si rivolge ad Eumeo, il che ne definisce bene il carattere. Per esempio in Iliade, XVI, 31 (σσεται οτως, ττα: σθεν δ νεκ νθδ κνω) ; XVI, 57 (ττα, πθεν τοι ξενος δ  κετο;) ; XVI, 130 (ττα, σ δ 
ρχεο θσσον) ; XVII, 6 (ττ,  τοι μν γν εμ ς πλιν) ; XVII, 599 (σσεται οτως, ττα: σ δ ρχεο δειελισας) ; XXI, 369 (ττα,
πρσω φρε τξα). Nell’Iliade l’espressione ττα γεραι è utilizzata due volte: in IX, 607-8 (Φονιξ ττα γεραι διοτρεφς ο τ με 
τατης / χρε τιμς); XVII, 561-2 (Φονιξ ττα γεραι παλαιγενς, ε γρ θνη / δοη κρτος μο), sempre a proposito di Fenice.
Eustazio dichiara il termine originario della Tessaglia ed intraducibile. In tutti questi esempi il personaggio che parla non si rivolge a
suo padre : il senso originale del termine doveva essere « padre adottivo »,conosciamo bene l’importanza dell’affidamento, cioè
della pratica di fare allevare un figlio da un altro uomo che non è il padre (si vedano gli esempi di Achille e Chirone). 
Su ττα si costruiscono i verbi τλλω ed τιτλλω.
In Omero viene anche utilizzato un termine dal senso ancor meno definito,τττα, con raddoppio e geminazione. Lo usa Diomede
rivolgendosi ad Agamennone : in IV, 412 (τττα, σιωπ σο, μ δ πιπεθεο μθ). Ancora Eustazio afferma che il termine viene
utilizzato quando un giovane si rivolge ad una persona più anziana, e che è intraducibile. Questa volta il significato è sicuramente
lontano da « papà ». Ma abbiamo anche, con il significato di « papà », il termineτατ, nella Antologia Palatina, e diversi termini
familiari attestati presso Eronda : τατ è utilizzato da un giovane che si rivolge alla madre ;τατ, la cui forma è oscura, utilizzato da
una schiava che si rivolge alla propria padrona. E infineταταλζω, “chiamo con un vezzeggiativo, coccolo”. 
Questi termine, come τττα e τατ, non si declinano, e non hanno un significato chiaro e determinato, essendo solo vezzeggiativi,
appellativi che si usano per tenerezza.
Teocrito ci offre ancora un ulteriore termine, πφς, « papà caro », utilizzato da una madre che si rivolge ad un figlio parlandogli
di suo padre. Il termine, secondo i lessicografi antichi, rientra in una famiglia di termini vezzeggiativi, di tenerezza, di cui ci si serve
tra fratelli e sorelle, o tra amanti : πφ, con i diminutivi πφον, πφδιον ed πφριον 
Quindi, per il padre come per la madre, abbiamo rilevato denominazioni varie, dal senso e dalla forma instabile, appartenenti ad un
linguaggio infantile e che riposano su onomatopee. Questi termini designano a volte altre persone che il padre e la madre.
Il padre e la madre che danno la vita
Resterebbero a questo punto da studiare alcuni termini che possono designare allo stesso tempo sia il padre che la madre, derivati
da radici che significano « generare » o « mettere al mondo ».
Dal sostantivo τκος, che appartiene alla radice di τκτω, è stato derivato τοκες. Il termine è attestato una trentina di volte in
Omero, delle quali una volta al duale, in Odissea, VIII, 312 (λλ τοκε δω, τ μ γενασθαι φελλον) ; le altre occorrenze sono al
plurale, per esempio in Odissea, I, 170 (τς πθεν ες νδρν; πθι τοι πλις δ τοκες;) e in Iliade, III, 139-40 (ς εποσα θε 
γλυκν μερον μβαλε θυμ / νδρς τε προτρου κα στεος δ τοκων). Il termine non si trova mai al singolare. Il termine è
talvolta avvicinato a τκτειν o a γενασθαι : in Odissea, VII, 54-5 ( ρτη δ νομ στν πνυμον, κ δ τοκων / τν ατν ο περ 
τκον  λκνοον βασιλα); o ancora in VIII, 313 (λλ τοκε δω, τ μ γενασθαι φελλον). Compare in particolare nella domanda che si rivolge all’ospite, per esempio in Odissea, I, 170 (τς πθεν ες νδρν; πθι τοι πλις δ τοκες;).
8/19/2019 La moglie, il marito, la madre e il padre nel greco antico - da un articolo di P. Chantraine (1946)
http://slidepdf.com/reader/full/la-moglie-il-marito-la-madre-e-il-padre-nel-greco-antico-da-un-articolo 11/11
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Il termine è ben attestato presso i tragici, generalmente al plurale (Eschilo), talvolta al singolare (Eschilo). Il termineτοκες è anche
attestato presso Erodoto, sia al singolare che al plurale. Nella prosa attica il termineτκος ha assunto il significato tecnico di
interesse sul capitale. Lo osserviamo in uno stile nobile, elevato, per esempio presso Tucidide e Demostene. Per esempio presso
Platone il termine compare nella Repubblica, in citazioni di Omero. Ancora in Senofonte, preso da Prodico. Poi il termine scompare:
non ci sono esempi nella κοιν, né esiste nel greco moderno.
Per designare i genitori si è formato un altro termine,γονες, derivato dal sostantivo γνος, appartenente alla radice di γγνομαι. Questo termine non è attestato nè nell’Iliade, nè nell’Odissea. I primi esempi compaiono nell’Inno a Demetra e in Esiodo, e il
termine si adatta in particolare al padre. Il termine è ancora attestato presso i tragici: forse Eschilo, sicuramente Sofocle. Compare
in Erodoto, dove al singolare si riferisce piuttosto al padre, mentre al plurale designa i genitori. Stesso utilizzo, al singolare e al
plurale, nella prosa ionico-attica: in Platone, Senofonte, nelle iscrizioni. Il plurale è ugualmente ben attestato presso gli oratori e più
tardi nella κοιν. Sopravvive in greco moderno.
Dalla radice di γγνομαι si sono ancora derivati alcuni termini che hanno però conosciuto una mediocre fortuna e che appartengono
esclusivamente al vocabolario dialettico o poetico. Abbiamo γενετρ, termine raro, che si ritrova negli epigrammi. Lo pseudo-
Aristotele lo utilizza nel senso figurato di creatore. Con il suffisso –τωρ abbiamo γεντωρ, attestato anche questo per esempio
negli epigrammi: questo termine si trova però anche in vari testi letterari, in cui non sembra avere propriamente il significato di
padre, come in Erodoto, in Euripide e nello pseudo-Aristotele, presso quest’ultimo essendo utilizzato ancora in senso figurato,
come γενετρ.
Infine con il suffisso che si sviluppa nella lingua ionico-attica per i nomi d’agente, -της, troviamo γεντης nel senso di “padre” e
γενται per “genitori” negli epigrammi. Nella poesia attica Euripide ha γενταν per “padre”, ma γεντης comporta in generale
un valore religioso (si veda anche Eschilo). Il rapporto di questo termine conγγνομαι non è ben definito: nei tragici lo incontriamo
nel senso di “figlio” (Sofocle).  
A questi termini non corrispondono praticamente i femminili: troviamo soloγεντειρα, unico esempio antico in Pindaro, poi
usato in senso figurato dai prosatori della κοιν (Artemidoro, Plotino). In Euripide συγγεντειρα sembra significhi “sorella”. 
Se dunque mettiamo da parte γονες, i derivati dalla radice di γγνομαι non si sono prestati a definire i genitori: esiste solo qualche
termine poetico, sovente caricato di valenze religiose, che conserva qualcosa del senso di “generare” dell’aoristo γενατο etc.
Anche il femminile è per così dire inesistente.
n ultimo gruppo di derivati è potuto servire da sostituto al termine πατρ. È il gruppo di γενντωρ, γεννητς, tratto da
γεννω, che significa propriamente “generare”, e questo senso compare anche nei derivati. Γενντωρ è un epiteto che si applica a
Zeus, ma conservando il senso di “antenato”. Lo troviamo in Eschilo, in Euripide, ma anche in Platone.  Con