La mia intervista su 'Italia Oggi'

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VIILunedì 3 Ottobre 2011LunSCENARI & TENDENZE

Cosa cercano i giovani che si avviano alla professione forense e cosa si aspettano gli avvocati

Formazione, quale studio è meglio?Law fi rm o piccola boutique, la scelta non è di lana caprina

DI ANDREA ALTAVISTA

Potrebbe sembrare un pa-radosso, data la crisi del mercato del lavoro delle professioni legali. Eppure,

per un neolaureato o un avvocato in cerca del primo impiego, avere le idee chiare sulla tipologia di struttura con cui si vuole collabo-rare può facilitare e rendere piu effi ciente la ricerca di un lavoro che dia soddisfazioni personali e economiche.Law firm o studio di minori

dimensioni? Specializzarsi fin da subito o lasciare uno spiraglio generalista nelle proprie compe-tenze?Domande costanti a cui i pro-

fessionisti in erba danno spesso risposte differenti.«Spesso i neolaureati sono alla

ricerca di studi legali piccoli, bou-tique del diritto, dove imparare il mestiere dell’avvocato, in tutte le sue sfumature. Ciò che maggior-mente preoccupa chi approccia la professione forense è infatti maturare nei due anni di pratica obbligatoria una formazione per quanto possibile completa e adat-ta a superare lo scoglio dell’esame di stato, esame in cui soprattutto il diritto processuale e la pratica giudiziale possono avere una cer-ta rilevanza», spiega John She-hata, che dopo la collaborazione con Simmons & Simmons e CBA studio legale ha deciso di avviare un proprio studio legale.Shehata sottolinea tuttavia che

gli studi di minori dimensioni non sono spesso in grado di pagare i collaboratori più giovani. «Gli stu-di strutturati, soprattutto se di matrice anglosassone, invece, sono molto interessanti per la remune-razione che riescono a garantire ai praticanti: e un compenso aiuta sicuramente ad applicarsi di più», commenta l’avvocato.I punti a favore di una collabo-

razione con le law fi rm non fi ni-scono con la retribuzione mensile. «Queste strutture permettono ai giovani di “girare” tra i vari dipar-timenti, di passare qualche mese presso le sedi all’estero, o di tra-scorrere un periodo in secondment presso le aziende clienti: tutte op-portunità che consentono di matu-rare importanti esperienze dotate di un evidente valore intrinseco, anche in ragione della carriera e della crescita professionale», ag-giunge Shehata. Da considerare inoltre, che la

qualità della vita di un praticante in uno studio piccolo spesso non è migliore di quella di un trainee in una law fi rm, sotto il profi lo della durata della giornata lavorativa e del profi lo del lavoro svolto. Il tema fondamentale comun-

que, è cercare di affiancare un bravo avvocato che abbia tempo e voglia di seguire un giovane nella crescita professionale, e ciò sia che si opti per lo studio più piccolo, sia che si riesca a entrare a far parte di uno studio strutturato.

Marco Giacomello praticante dello studio legale Monducci-Perri-Spedicato, conferma che

chi si prepara ad affrontare i due anni di bottega prima dell’abili-tazione professionale si trova da-vanti a una diffi cile scelta.Accettare le lusinghe dei gran-

di studi generalisti che trattano cause di civile, penale, ammini-strativo e tributario, oppure fare una scelta mirata su un piccolo studio di avvocati molto esper-ti che tratta poche e specifi che materie. O ancora, optare per il classico studio legale all’italiana, dove il dominus è proprietario dello studio e lavora con una se-gretaria e un praticante che fa un po’ di tutto.«È chiaro che la grande law

fi rm ha il suo fascino. Un giovane praticante può pensare che tanti avvocati e tante materie, nello sti-le grande law fi rm, lo possano por-tare a sapere tutto e bene, soprat-tutto in vista del temuto esame di stato. Di contro, il piccolo studio specialistico, o come lo si defi ni-sce ora la piccola law boutique, ti permette di stare a contatto con grandi esperti in singole mate-rie. Maggiore rapporto umano e classico trasferimento di nozioni e competenze dal dominus al di-scente che, se fatto sul serio, for-ma in maniera davvero completa in materie alle volte complesse e di nicchia», spiega Giacomello, che elenca le differenze principali tra le due strutture. Per chi punta a questa carriera

infatti, una delle prime delusioni arriva sotto il profi lo della remu-nerazione.«Come è ormai noto la grande

maggioranza degli studi legali non pagano affatto il praticante.

Questo si traduce in due o tre anni di lavoro gratu-ito, salvo eventuali domi-ciliazioni che il praticante può seguire personalmen-te una volta conseguita l’abilitazione al patroci-nio dopo il primo anno di pratica», spiega il giovane professionista.Sotto il profilo retri-

butivo tuttavia, la diffe-renza tra gli studi c’è. Le law firm domestiche o internazionali con sede a Milano e Roma arrivano a pagare un praticante fi no a 1.500 euro al mese. «I piccoli studi non pa-

gano affatto i praticanti o al massimo al secondo

anno di pratica possono corrispon-

dere 300 o 400 euro al mese. Di contro si ha un rapporto diretto e alle volte molto umano con il dominus, che ti guida passo pas-so nell’apprendimento della pro-fessione, compito questo molto complesso se svolto in maniera adeguata», commenta Giaco-mello. Restano esclusi da questa

analisi gli studi piccoli ma estremamente specializzati, che sul fronte retribuzione adottano quella che Giacomel-lo defi nisce una tecnica nuova: «Se il praticante porta all’in-terno dello studio un cliente in completa autonomia, questo prende una grande fetta della fat-tura solo per aver fatto acquisire

allo studio il nuovo cliente. In que-sto modo si incentivano i nuovi le-gulei a trovare clienti, a mettersi a dialogare direttamente con loro e a capire davvero come funziona il rapporto lavorativo».Sul fronte delle soddisfazioni

professionali, la scelta dipen-de dagli interesse del profes-sionista in erba. Se durante l’università non è maturato un interesse specifi co, il grande studio può dare la possibilità di capire su quali settori foca-lizzare le proprie energie.«Se invece si è già indirizzati

verso uno specifi co settore, la law boutique è la scelta miglio-re nonché quella che permet-te di specializzarsi in singole materie stando a contatto sul campo con i migliori esperti. Ovviamente molte volte per ef-fettuare questa scelta, si deve cambiare città, con tutti i costi che ciò comporta, oltre al fatto che si deve diventare promoto-ri di se stessi, sapersi vendere e proporre di continuo, conti-nuare a crescere, specializzar-si e pensare sempre con tanta lungimiranza», commenta il praticante.Una volta effettuata la scel-

ta, lo scoglio da superare in Italia resta quello dell’esame di stato. Un banco di prova in cui le differenze della strut-tura con cui si collabora non contano.

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John Shehata

Marco Giacomello

SCENE DI ORDINARIA EMERGENZA IN CAMPANIAUn vigile del fuoco impegnato a spegnere un cumulo di immondizia dato alle 3 amme. A destra, Antonio Bassolino, governatore della Campania e commissario straordinario per l’emergenza dal 2000 al 2004

DI SARA SELIGASSI

Un formatore d’eccellenza per gli avvocati. È il presidente dell’Antitrust, Antonio Ca-tricalà. Che, nonostante da capo dell’Au-torità garante della concorrenza e del mercato, predichi in continuazione la libe-ralizzazione del mercato dei servizi profes-sionali, compreso quelli legali, contestando, per esempio, da sempre l’esame di stato per diventare avvocato e auspican-do soluzioni che sveltiscano la procedura e che consentano una rapida immissione nel mercato, alla fine pare non disdegnare del tutto l’esame di abilitazione.Secondo quanto svelato

nei giorni scorsi da ItaliaOg-gi (si veda il numero del 22 settembre scorso), il numero uno dell’Agcm da anni inse-gna in una scuola privata che prepara all’esame di stato aspi-ranti principi del foro. La scuola si chiama Ceida e, tra le altre cose, «consiglia» agli stu-denti di diversi corsi di apprendere i segreti della legge da un testo scritto proprio da Catricalà.

Eppure Il presidente dell’Antitrust non ha fatto mai segreto della sua avversione all’esame di abilitazione. Come qualche anno fa quando, intervenendo a un’ini-ziativa organizzata dalla Luiss, condensò in poche parole il suo credo. Il concetto, allora come ora, è che bisognerebbe ricom-prendere l’esame di stato per gli avvocati all’interno della sessione di laurea. Più nel dettaglio, Catricalà spiegò che sarebbe au-

spicabile «rendere i corsi di laurea im-mediatamente abilitanti sfruttando l’anno in più per fare la pratica e la stessa seduta di laurea per so-stenere l’esame di stato». «Il fat-tore tempo è essenziale», ha poi ribadito il numero uno dell’An-titrust in tante altre occasioni per giustificare la sua richiesta di abolizione dell’esame per come è strutturato ora.

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BUCCE DI BANANA

Catricalà dice basta all’esame di Stato ma intanto forma i futuri avvocati

Antonio Catricalà

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