Intervista Elizabeth Strout - I Ragazzi Burgess e l'America di oggi - Gazzetta Del Sud 20 Ottobre...

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Domenica 20 Ottobre 2013 Gazzetta del Sud 10 . Cultura e Spettacoli Francesco Musolino Con la raccolta di racconti “Olive Kitteridge” vinse meri- tatamente il Premio Pulitzer – segno che negli Usa, diver- samente che in Italia, le short stories sono davvero impor- tanti – e dopo ben cinque an- ni di ricerca, la scrittrice Eli- zabeth Strout ritorna in libre- ria con “I ragazzi Burgess”, edito da Fazi (pp. 448, Euro 18,50 trad. Silvia Castoldi). Qui la Strout sfoggia una pro- sa pungente e cristallina per raccontare le vicende dei tre ragazzi Burgess, ovvero il ce- lebre avvocato, Jim, il malin- conico Bob e Susan, la sorella divorziata e madre di Zach che ha lanciato una testa di maiale in una moschea du- rante il Ramadan. Proprio le inspiegabili azioni di Zach spingeranno i tre fratelli a riunirsi e lenta- mente, ritrovandosi nel mon- do rurale tanto caro alla Strout e lontano dalla rarefa- zione degli affetti cittadina, emergeranno devastanti ve- rità circa l’incidente che co- stò la vita del padre, segnan- do per sempre le loro esisten- ze. Ma la Strout non si limita a tratteggiare un grande affre- sco sulla solitudine che pos- siamo incontrare in ambito familiare; pagina dopo pagi- na, dona voce alla comunità somala che sta cercando di ri- costruirsi una vita a Shirley Falls, nel Maine, fra l’indiffe- renza e il razzismo generale. Il risultato è un romanzo in cui il lavoro artigianale dell’autrice è visibile in ogni pagina, in ogni riga, in ogni singola parola. Non a caso Elizabeth Strout è considera- ta una delle voci della lette- ratura americana più since- re. La Gazzetta del Sud l’ha intervistata in occasione del suo nuovo tour italiano (oggi al Palazzo Ducale a Genova, domani al Circolo dei Lettori di Torino). Questo libro è il frutto di diversi anni di ricerca e scrittura. Com’è nato l’inte- ro progetto? «La storia mi è arrivata lentamente, ma ho subito ca- pito che avrebbe riguardato principalmente l’amore tra questi fratelli, una forma d’amore turbata e sconvolta dal passato comune. Ma mi è servito molto tempo perché A colloquio con la scrittrice statunitense Elizabeth Strout, Premio Pulitzer, in questi giorni in Italia «Sì, è una società razzista» La famiglia, la solitudine, la comunità: i temi dell’affresco de “I ragazzi Burgess” ho dovuto intraprendere una vasta ricerca prima di comin- ciare a scrivere. Inoltre, do- vevo capire come raccontare la storia. C’erano numerosi fattori che mi interessavano: come funziona la memoria, come affrontare il passato, come interagiamo con il trau- ma (e questo include come i somali, a loro volta, conside- rano i traumi) e il fatto che in America c'è sempre la spe- ranza che si possa reinventa- re la nostra vita, fuggendo dal passato». Con “I Ragazzi Burgess” ritorna a Shirley Falls... «Sì, ho fatto tappa alla cit- tà immaginaria di Shirley Falls, che era già apparsa sia nel primo che nel secondo ro- Edward Hopper, “Secondo piano al sole”, 1960 manzo. Mi piace l’idea di tor- nare allo stesso paesaggio, utilizzare lo stesso tessuto che ho intrecciato per molti dei miei personaggi. In fondo è come una storia nella sto- ria, al di là dei personaggi racconto anche questo luogo. Un luogo che ha molto da raccontare sulla strada che stiamo percorrendo». Ad esempio? «Beh, rispetto agli altri ro- manzi qui sono scomparsi i mulini, non ci sono più, come è accaduto per la maggior parte dei mulini nel New En- gland. Anche i cambiamenti di un luogo, non solo quelli dei personaggi, possono dirci tanto dei tempi che vivia- mo». L’episodio di Zach, che lancia una testa di maiale in una moschea, è tratto dalla realtà ma è interes- sante come lei lo abbia in- serito in un contesto in cui è difficile dire chi siano buoni e chi invece i catti- vi... «Sì, il fatto è realmente ac- caduto ma io ho provato a fa- re in modo che il giovane Za- ch fosse simpatico ai lettori, perché mi affascina l’ambi- guità del comportamento umano. Ma ovviamente il suo è un gesto terribile che vole- vo anche condannare dura- mente. Volevo puntare l’at- tenzione sul fatto che Zach non riesce a capire davvero perché ciò che ha fatto è così dannoso, sia per sé che per la comunità. Lui non conosce abbastanza il mondo per da- re il giusto peso al suo agire e questo può essere molto peri- coloso». Accanto ai personaggi principali, con l'avanzare della narrazione, Lei dona voce anche ai comprimari, caratterizzandoli forte- mente. In particolare, aver narrato il punto di vista della comunità somala evi- denzia un lavoro di ricerca molto interessante. «Sentivo che era molto im- portante assumere il punto di vista di alcuni personaggi so- mali in modo che il lettore potesse comprendere in che modo il gesto di Zach avesse colpito la loro comunità, vi- vendo le reazioni sulle perso- ne interessate in modo diret- to. Abdikarim è veramente angosciato per la morte del figlio maggiore, si sente vec- chio, stanco e molto trauma- tizzato. Lui vede in Zach qualcuno che può, davvero inaspettatamente, amare. Mi sono serviti anni di ricerche per cercare di ricreare il pun- to di vista della realtà soma- la». Parlando di Pam, della levità con cui spazza via le preoccupazioni, mi è venu- ta in mente la Daisy del Grande Gatsby. È un para- gone azzardato? «Penso che Pam sia proba- bilmente più intelligente del- la Daisy de “Il Grande Gat- sby”. Lo dico perché hanno tempi narrativi diversi e di Daisy non si riesce ad essere certi di quanto sia realmente intelligente. Ma Pam era molto interessata alla scien- za e alla ricerca, tuttavia le mancava la fiducia nei suoi mezzi per andare avanti. Piuttosto ciò che rende veri- tiero il suo raffronto è il fatto che entrambe queste donne sono molto inquiete e sem- brano sempre alla ricerca di qualcosa di più di ciò che pos- seggono». Tutto il libro viaggia sul confine fra tolleranza, con- vivenza e razzismo. L'Ame- rica è un paese razzista og- gi? «Sì, gli Stati Uniti sono una società razzista. Mi fa male ammetterlo ma è assoluta- mente vero. Certo, è anche vero che abbiamo fatto gran- di progressi, in particolare negli ultimi cinquant’anni, ma il razzismo è ancora mol- to presente contro le popola- zioni dalla pelle scura, con- tro gli ebrei e adesso anche contro i musulmani. Ciò det- to, questo è un Paese costrui- to sulle differenze e ci sono molti cittadini che dedicano le loro risorse per aiutare tut- te le popolazioni. Come in ogni società ci sono infiniti problemi, ma negare il razzi- smo presente nella società americana sarebbe pericolo- so, oltreché sbagliato». Cosa significa per lei aver vinto il Premio Pulit- zer? «Ha significato tantissimo per me. Testimonia il mio ap- porto alla registrazione, me- diante la letteratura, di un pezzo di America, utilizzan- do il linguaggio in un modo forte, capace di trasmette la storia ai lettori». “Dodici”, ambientato nel quartiere di Rebibbia, è il quarto libro del popolare disegnatore romano Zerocalcare alle prese con gli... zombie Federico Pucci Dodici sono le ore rimaste a Zero- calcare, al suo amico Secco e alla misteriosa Katja per uscire da Re- bibbia. Ed è proprio il quartiere romano a essere al centro della storia contenuta in “Dodici” (Bao Publishing, pp. 96, euro 13), il quarto libro pubblicato dal popo- larissimo disegnatore romano Michele Rech, in arte Zerocalcare (che ha venduto centomila copie dei primi tre). Il protagonista per la prima volta non è l’alter-ego dell’autore, ma Secco, pronto ad abbandona- re il quartiere di provenienza per sopravvivere. Ma uscire da Rebib- bia incolumi non sarà un’avven- tura facile, e non solo per il perico- lo dei morti viventi. «Non vedo gli zombie come metafora di qualco- sa in particolare - spiega Zerocal- care - zombie può essere l’uomo comune, il vicino di casa». Un uni- verso familiare pronto a sconvol- gersi come nell’invasione «gentri- ficatrice» dei quartieri periferici, esplicitamente citata dal perso- naggio di Ermete: «Come al Pi- gneto, quando i residenti storici sono stati allontanati ed è arrivata una nuova fauna più adatta alla movida - dice l’autore - l’arrivo de- gli zombie sconvolge un posto». Rebibbia, luogo di residenza dello stesso autore, diventa così personaggio centrale nei fla- shback autobiografici che descri- vono la vita in un «quartiere che ti abitua ad aspettare, forse perché il carcere di Rebibbia è la più gros- sa fabbrica d’attesa d’Europa». L’avventura di Secco e Katja è quindi anche un viaggio di sco- perta personale, come nella mi- gliore tradizione dei film di zom- bie: fra i modelli i film di George A. Romero, la serie “The Walking Dead” e il videogioco “Resident Evil”. Percorso autobiografico fra riferimenti pop, “Dodici” è però soprattutto un fumetto d’azione: lo dimostra un tratto più aggressi- vo, l’uso più regolare del colore e il ricorso a inquadrature d’ispira- zione cinematografica, elementi che concorrono a mantenere la tensione alta anche in un contesto comico, come dimostra il colpo di scena finale. «Questo lavoro è un esperi- mento preparatorio - racconta Ze- rocalcare - in vista di una storia più lunga, che raccoglierà tutti gli elementi dei miei libri preceden- ti».3 «Anche i cambiamenti dei luoghi ci dicono moltissime cose dei tempi che viviamo» Leggere Calvino nella città “visibile” La bellezza ci salverà Anna Mallamo P rendete un luogo di- menticato, invisibile a suo modo. Prendete un gruppo di giovani, i più invisibili di tutti, oggi. Prendete un gruppo di cittadi- ni assortiti per età, gusti, attitu- dini: invisibili in una città invi- sibile. Aggiungete Italo Calvi- no, in dosi massicce. Tutto quel che vi piace, di Italo Calvino (di cui martedì scorso sono stati festeggiati i novant'anni dalla nascita e speriamo i prossimi novecento di permanenza nel- le nostre letture): partigiani e castellani, cammellieri e cava- lieri, Marco Polo e Marcovaldo. Perché Calvino è inesauribile e nutriente, come i veri classici. Così in una sera d'autunno un pugno di viaggiatori (ché i lettori son sempre viaggiatori di un altrove) è salpato: alla lu- ce dei lampioni, sui gradini ospitali della Scalinata Santa Barbara (un pezzo di Messina restaurato e restituito, pieno della poesia della città vec- chia), senza poltroncine, catte- dre e telecamere, ciascuno ha letto il suo pezzetto di mappa, indicato la sua personale dire- zione. Ed è successa quella co- sa consueta ma miracolosa che succede sempre, quando si le- va la voce di un poeta o di uno scrittore: si è creata una comu- nità. La scalinata, i lettori, i passanti, i curiosi, i gatti, la si- gnora che s'affacciava dalla fi- nestra incerta se tirarci una ba- cinella d'acqua e poi è rimasta lì ad ascoltarci. La ragazza che ci ha fatti ridere con un brano de “Gli amori difficili”; la spala- trice di nuvole che ci ha parlato della città di Fedora, che con- tiene, come sogni o tumori, le città possibili che non furono mai; il ragazzo arditamente ti- mido che s'è vinto e ci ha avvin- ti parlandoci di una taverna dei destini incrociati. Non è stato bello solo per- ché era Calvino, ma anche per- ché lo stavamo condividendo: la lettura, atto privatissimo e intimo, può essere straordina- riamente sociale e collettivo. E dio sa quanto la città invisibile di Messina – che assomiglia a decine delle città descritte da Calvino, città piagate dalla spe- culazione, dall'incompetenza e dunque dalla bruttezza eppure custodi di desideri, energie e speranze, città infelici che cul- lano semi di felicità possibile anzi necessaria – ne ha biso- gno, di atti sociali e collettivi di condivisione e bellezza. Leggere è un atto sociale, un atto etico e persino un atto po- litico: la polis fugace eppure persistente dei lettori è stata convocata per la sua assemblea e s'è riunita, s'è mostrata, s'è ri- conosciuta. È diventata visibi- le. Non facciamola scomparire di nuovo. 3 Dedicata alla poetessa scomparsa Niente fondi: chiusa la Casa-museo Merini MILANO. Era stata inaugurata solo il 21 marzo 2011 ma la Casa Museo di Alda Merini, poetessa milanese scomparsa nel 2009, ha già chiuso i bat- tenti lo scorso 2 settembre. Motivo: la carenza di fondi per pagare il personale di cu- stodia. L’edificio - di proprietà co- munale - è in via Magolfa 32 (non distante dalla storica re- sidenza della poetessa, sem- pre in zona Navigli) dove, in una palazzina ristrutturata, è stata ricostruita la casa della poetessa e dove si sono svolti anche alcuni corsi di poesia. I problemi di bilancio dell’am- ministrazione avrebbero reso impossibile per il Settore Bi- blioteche (a cui la Casa Mu- seo fa riferimento) continua- re a pagare il “distacco” (e quindi gli straordinari) del custode che ne garantiva l’apertura per tre ore al gior- no, cinque giorni la settima- na: dalle 15 alle 18, dal lune- dì al venerdì. 3 L’“happening” calviniano a Messina (FOTO PAOLA SANFILIPPO) Elizabeth Strout

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La mia intervista alla scrittrice america, vincitrice del Premio Pulitzer, Elizabeth Strout.L'America di oggi razzista, le ricerche per il suo libro nella comunità somala, i cambiamenti nel New England e il ruolo del passato e della rimozione del dolore...

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Domenica 20 Ottobre 2013 Gazzetta del Sud10.

Cultura e Spettacoli

Francesco Musolino

Con la raccolta di racconti“Olive Kitteridge” vinse meri-tatamente il Premio Pulitzer– segno che negli Usa, diver-samente che in Italia, le shortstories sono davvero impor-tanti – e dopo ben cinque an-ni di ricerca, la scrittrice Eli-zabeth Strout ritorna in libre-ria con “I ragazzi Burgess”,edito da Fazi (pp. 448, Euro18,50 trad. Silvia Castoldi).Qui la Strout sfoggia una pro-sa pungente e cristallina perraccontare le vicende dei treragazzi Burgess, ovvero il ce-lebre avvocato, Jim, il malin-conico Bob e Susan, la sorelladivorziata e madre di Zachche ha lanciato una testa dimaiale in una moschea du-rante il Ramadan.

Proprio le inspiegabiliazioni di Zach spingeranno itre fratelli a riunirsi e lenta-mente, ritrovandosi nel mon-do rurale tanto caro allaStrout e lontano dalla rarefa-zione degli affetti cittadina,emergeranno devastanti ve-rità circa l’incidente che co-stò la vita del padre, segnan-do per sempre le loro esisten-ze.

Ma la Strout non si limita atratteggiare un grande affre-sco sulla solitudine che pos-siamo incontrare in ambitofamiliare; pagina dopo pagi-na, dona voce alla comunitàsomala che sta cercando di ri-costruirsi una vita a Shirley

Falls, nel Maine, fra l’i n d i f f e-renza e il razzismo generale.

Il risultato è un romanzo incui il lavoro artigianaledell’autrice è visibile in ognipagina, in ogni riga, in ognisingola parola. Non a casoElizabeth Strout è considera-ta una delle voci della lette-ratura americana più since-re. La Gazzetta del Sud l’haintervistata in occasione delsuo nuovo tour italiano (oggial Palazzo Ducale a Genova,domani al Circolo dei Lettoridi Torino).

Questo libro è il frutto didiversi anni di ricerca escrittura. Com’è nato l’i n t e-ro progetto?

«La storia mi è arrivatalentamente, ma ho subito ca-pito che avrebbe riguardatoprincipalmente l’amore traquesti fratelli, una formad’amore turbata e sconvoltadal passato comune. Ma mi èservito molto tempo perché

A colloquio con la scrittrice statunitense Elizabeth Strout, Premio Pulitzer, in questi giorni in Italia

«Sì, è una società razzista»La famiglia, la solitudine, la comunità: i temi dell’affresco de “I ragazzi Burgess”

ho dovuto intraprendere unavasta ricerca prima di comin-ciare a scrivere. Inoltre, do-vevo capire come raccontarela storia. C’erano numerosifattori che mi interessavano:come funziona la memoria,come affrontare il passato,come interagiamo con il trau-ma (e questo include come isomali, a loro volta, conside-rano i traumi) e il fatto che inAmerica c'è sempre la spe-ranza che si possa reinventa-re la nostra vita, fuggendodal passato».

Con “I Ragazzi Burgess”ritorna a Shirley Falls...

«Sì, ho fatto tappa alla cit-tà immaginaria di ShirleyFalls, che era già apparsa sianel primo che nel secondo ro-

Edward Hopper, “Secondo piano al sole”, 1960

manzo. Mi piace l’idea di tor-nare allo stesso paesaggio,utilizzare lo stesso tessutoche ho intrecciato per moltidei miei personaggi. In fondoè come una storia nella sto-ria, al di là dei personaggiracconto anche questo luogo.Un luogo che ha molto daraccontare sulla strada chestiamo percorrendo».

Ad esempio?«Beh, rispetto agli altri ro-

manzi qui sono scomparsi imulini, non ci sono più, comeè accaduto per la maggiorparte dei mulini nel New En-gland. Anche i cambiamentidi un luogo, non solo quellidei personaggi, possono dircitanto dei tempi che vivia-mo».

L’episodio di Zach, chelancia una testa di maialein una moschea, è trattodalla realtà ma è interes-sante come lei lo abbia in-serito in un contesto in cuiè difficile dire chi sianobuoni e chi invece i catti-vi...

«Sì, il fatto è realmente ac-caduto ma io ho provato a fa-re in modo che il giovane Za-ch fosse simpatico ai lettori,perché mi affascina l’a m b i-guità del comportamentoumano. Ma ovviamente il suoè un gesto terribile che vole-vo anche condannare dura-mente. Volevo puntare l’a t-

tenzione sul fatto che Zachnon riesce a capire davveroperché ciò che ha fatto è cosìdannoso, sia per sé che per lacomunità. Lui non conosceabbastanza il mondo per da-re il giusto peso al suo agire equesto può essere molto peri-coloso».

Accanto ai personaggiprincipali, con l'avanzaredella narrazione, Lei donavoce anche ai comprimari,caratterizzandoli forte-mente. In particolare, avernarrato il punto di vistadella comunità somala evi-denzia un lavoro di ricercamolto interessante.

«Sentivo che era molto im-portante assumere il punto divista di alcuni personaggi so-

mali in modo che il lettorepotesse comprendere in chemodo il gesto di Zach avessecolpito la loro comunità, vi-vendo le reazioni sulle perso-ne interessate in modo diret-to. Abdikarim è veramenteangosciato per la morte delfiglio maggiore, si sente vec-chio, stanco e molto trauma-tizzato. Lui vede in Zachqualcuno che può, davveroinaspettatamente, amare. Misono serviti anni di ricercheper cercare di ricreare il pun-to di vista della realtà soma-la».

Parlando di Pam, dellalevità con cui spazza via lepreoccupazioni, mi è venu-ta in mente la Daisy delGrande Gatsby. È un para-gone azzardato?

«Penso che Pam sia proba-bilmente più intelligente del-la Daisy de “Il Grande Gat-sby”. Lo dico perché hannotempi narrativi diversi e diDaisy non si riesce ad esserecerti di quanto sia realmenteintelligente. Ma Pam eramolto interessata alla scien-za e alla ricerca, tuttavia lemancava la fiducia nei suoimezzi per andare avanti.Piuttosto ciò che rende veri-tiero il suo raffronto è il fattoche entrambe queste donnesono molto inquiete e sem-brano sempre alla ricerca diqualcosa di più di ciò che pos-seggono».

Tutto il libro viaggia sulconfine fra tolleranza, con-vivenza e razzismo. L'Ame-rica è un paese razzista og-gi?

«Sì, gli Stati Uniti sono unasocietà razzista. Mi fa maleammetterlo ma è assoluta-mente vero. Certo, è anchevero che abbiamo fatto gran-di progressi, in particolarenegli ultimi cinquant’anni,ma il razzismo è ancora mol-to presente contro le popola-zioni dalla pelle scura, con-tro gli ebrei e adesso anchecontro i musulmani. Ciò det-to, questo è un Paese costrui-to sulle differenze e ci sonomolti cittadini che dedicanole loro risorse per aiutare tut-te le popolazioni. Come inogni società ci sono infinitiproblemi, ma negare il razzi-smo presente nella societàamericana sarebbe pericolo-so, oltreché sbagliato».

Cosa significa per leiaver vinto il Premio Pulit-zer?

«Ha significato tantissimoper me. Testimonia il mio ap-porto alla registrazione, me-diante la letteratura, di unpezzo di America, utilizzan-do il linguaggio in un modoforte, capace di trasmette lastoria ai lettori».

“Dodici”, ambientato nel quartiere di Rebibbia, è il quarto libro del popolare disegnatore romano

Zerocalcare alle prese con gli... zombieFederico Pucci

Dodici sono le ore rimaste a Zero-calcare, al suo amico Secco e allamisteriosa Katja per uscire da Re-bibbia. Ed è proprio il quartiereromano a essere al centro dellastoria contenuta in “Dodici” (BaoPublishing, pp. 96, euro 13), ilquarto libro pubblicato dal popo-larissimo disegnatore romanoMichele Rech, in arte Zerocalcare(che ha venduto centomila copiedei primi tre).

Il protagonista per la primavolta non è l’alter-ego dell’autore,ma Secco, pronto ad abbandona-

re il quartiere di provenienza persopravvivere. Ma uscire da Rebib-bia incolumi non sarà un’avven -tura facile, e non solo per il perico-lo dei morti viventi. «Non vedo glizombie come metafora di qualco-sa in particolare - spiega Zerocal-care - zombie può essere l’uomocomune, il vicino di casa». Un uni-verso familiare pronto a sconvol-gersi come nell’invasione «gentri-ficatrice» dei quartieri periferici,esplicitamente citata dal perso-naggio di Ermete: «Come al Pi-gneto, quando i residenti storicisono stati allontanati ed è arrivatauna nuova fauna più adatta alla

movida - dice l’autore - l’arrivo de-gli zombie sconvolge un posto».

Rebibbia, luogo di residenzadello stesso autore, diventa cosìpersonaggio centrale nei fla-shback autobiografici che descri-vono la vita in un «quartiere che tiabitua ad aspettare, forse perchéil carcere di Rebibbia è la più gros-sa fabbrica d’attesa d’Europa».

L’avventura di Secco e Katja èquindi anche un viaggio di sco-perta personale, come nella mi-gliore tradizione dei film di zom-bie: fra i modelli i film di GeorgeA. Romero, la serie “The WalkingDead” e il videogioco “Resident

Evil”. Percorso autobiografico frariferimenti pop, “Dodici” è peròsoprattutto un fumetto d’azione:lo dimostra un tratto più aggressi-vo, l’uso più regolare del colore eil ricorso a inquadrature d’ispira -zione cinematografica, elementiche concorrono a mantenere latensione alta anche in un contestocomico, come dimostra il colpo discena finale.

«Questo lavoro è un esperi-mento preparatorio - racconta Ze-rocalcare - in vista di una storiapiù lunga, che raccoglierà tutti glielementi dei miei libri preceden-ti».3

«Anche i cambiamentidei luoghi ci diconomoltissime cosedei tempi che viviamo»

Leggere Calvinonella città “visibile”

La bellezza ci salverà

Anna Mallamo

P rendete un luogo di-menticato, invisibile asuo modo. Prendeteun gruppo di giovani, i

più invisibili di tutti, oggi.Prendete un gruppo di cittadi-ni assortiti per età, gusti, attitu-dini: invisibili in una città invi-sibile. Aggiungete Italo Calvi-no, in dosi massicce. Tutto quelche vi piace, di Italo Calvino (dicui martedì scorso sono statifesteggiati i novant'anni dallanascita e speriamo i prossiminovecento di permanenza nel-le nostre letture): partigiani ecastellani, cammellieri e cava-lieri, Marco Polo e Marcovaldo.Perché Calvino è inesauribile enutriente, come i veri classici.

Così in una sera d'autunnoun pugno di viaggiatori (ché ilettori son sempre viaggiatoridi un altrove) è salpato: alla lu-ce dei lampioni, sui gradiniospitali della Scalinata SantaBarbara (un pezzo di Messinarestaurato e restituito, pienodella poesia della città vec-chia), senza poltroncine, catte-dre e telecamere, ciascuno haletto il suo pezzetto di mappa,indicato la sua personale dire-zione. Ed è successa quella co-sa consueta ma miracolosa chesuccede sempre, quando si le-va la voce di un poeta o di unoscrittore: si è creata una comu-nità. La scalinata, i lettori, i

passanti, i curiosi, i gatti, la si-gnora che s'affacciava dalla fi-nestra incerta se tirarci una ba-cinella d'acqua e poi è rimastalì ad ascoltarci. La ragazza checi ha fatti ridere con un branode “Gli amori difficili”; la spala-trice di nuvole che ci ha parlatodella città di Fedora, che con-tiene, come sogni o tumori, lecittà possibili che non furonomai; il ragazzo arditamente ti-mido che s'è vinto e ci ha avvin-ti parlandoci di una taverna deidestini incrociati.

Non è stato bello solo per-ché era Calvino, ma anche per-ché lo stavamo condividendo:la lettura, atto privatissimo eintimo, può essere straordina-riamente sociale e collettivo. Edio sa quanto la città invisibiledi Messina –che assomiglia adecine delle città descritte daCalvino, città piagate dalla spe-culazione, dall'incompetenza edunque dalla bruttezza eppurecustodi di desideri, energie esperanze, città infelici che cul-lano semi di felicità possibileanzi necessaria –ne ha biso-gno, di atti sociali e collettivi dicondivisione e bellezza.

Leggere è un atto sociale, unatto etico e persino un atto po-litico: la polis fugace eppurepersistente dei lettori è stataconvocata per la sua assembleae s'è riunita, s'è mostrata, s'è ri-conosciuta. È diventata visibi-le. Non facciamola scompariredi nuovo. 3

Dedicata alla poetessa scomparsa

Niente fondi: chiusala Casa-museo MeriniMILANO. Era stata inauguratasolo il 21 marzo 2011 ma laCasa Museo di Alda Merini,poetessa milanese scomparsanel 2009, ha già chiuso i bat-tenti lo scorso 2 settembre.Motivo: la carenza di fondiper pagare il personale di cu-stodia.

L’edificio - di proprietà co-munale - è in via Magolfa 32(non distante dalla storica re-sidenza della poetessa, sem-pre in zona Navigli) dove, inuna palazzina ristrutturata, è

stata ricostruita la casa dellapoetessa e dove si sono svoltianche alcuni corsi di poesia. Iproblemi di bilancio dell’am-ministrazione avrebbero resoimpossibile per il Settore Bi-blioteche (a cui la Casa Mu-seo fa riferimento) continua-re a pagare il “distacco” (equindi gli straordinari) delcustode che ne garantival’apertura per tre ore al gior-no, cinque giorni la settima-na: dalle 15 alle 18, dal lune-dì al venerdì. 3

L’“happening” calviniano a Messina (FOTO PAOLA SANFILIPPO)

Elizabeth Strout