La Mafia e Il Sistema Politico

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  UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO  FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA “La mafia e il sistema politico” Seminario permanente sulla mafia Prof. Salvatore Lupo Maria Neubauer Maria Meister  Luglio 2006  

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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI PALERMO

FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA

La mafia e il sistema politico

Seminario permanente sulla mafia Prof. Salvatore Lupo

Maria Neubauer Maria Meister

Luglio 2006

Indice

1. 2. 3. I. II. 4. 5. I. II.

Prefazione La mafia schizzo di una forza strapotente Scambi fra politici e mafiosi Scambio di valori: la societ condizionata Scambio di favori: i politici condizionati Mafia e fascismo Lera dei corleonesi I Da Cosa nostra a Cosa nuova? Lascesa dei Corleonesi La seconda guerra di mafia

3 3 7 7 10 10 16 16 17 18 20 26 26 27 29 34 36

III. 6. 7. I. II. III. 8.

Il caso esemplare: Giulio Andreotti Lera dei corleonesi II Successi giudiziari e rivolta della societ civile Il terrorismo corleonese Dalla sommersione alle ultime notizie

Conclusione

Bibliografia

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1.

Prefazione

Scrivere sui legami tra mafia e politica in Sicilia unimpresa difficile. Ancora di pi se ci si trova davanti a nomi, affari, concetti, modi di pensare e agire tutti sconosciuti. Prima di venire in Sicilia, le nostre conoscenze sulla mafia se si pu definirle cos erano tanto superficiali che neanche conoscevamo Provenzano, Riina, Falcone o Borsellino. Quindi, partendo dagli inizi, in questo nostro lavoro tentiamo di analizzare il fenomeno mafia da diverse prospettive e cerchiamo di comprendere i complessi meccanismi con i quali mafia, societ e politica si scambiano favori e valori. Nel corso del nostro lavoro ci soffermeremo sugli avvenimenti pi importanti nella lotta o nel favoreggiamento della mafia, cercando una risposta al problema definito da Tranfaglia:

Il problema, gi [fin dai primi anni Sessanta] non era dunque conoscere ma agire: e se non ag per oltre ventanni dovevano esserci ragioni corpose, legate a forti interessi, non solo economici, che lo impedivano.1

Negli ultimi anni lo Stato italiano agisce ininterrottamente per sconfiggere il fenomeno mafioso, sebbene quasi esclusivamente agisca con le forze dellordine e della giustizia ripartendo numerevoli successi. A questi successi incoraggianti dedicato lultimo capitolo.

2.

La mafia schizzo di una forza strapotente

In una prima approssimazione, pur tenendo conto delle sue dimensioni diverse e dei criteri proposti degli studiosi, vogliamo definire la mafia come unefficace organizzazione segreta con una struttura gerarchica, un filtro allingresso e una straordinaria capacit di adattarsi a circostanze diverse (i.e. sopratutto congiunture politiche), allo scopo dellarricchimento dei suoi membri e alleati servendosi di violenza spietata (minacciata e praticata), di infiltrazione, sia nella pubblica amministrazione sia nelle liste dei partiti, e usando un network potente, composto da personaggi chiavi del sistema politico ed economico, a danno della societ civile (fra questi: appalti sovrapagati, malasanit, pessime infrastrutture, sottosviluppo economico, impieghi pubblici mafiosi, stragi) e dei sui singoli membri (pizzo, prezzi alti, timore, libert imprenditoriale limitata).

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Tranfaglia Nicolo (1991), La mafia come metodo, Bari: Laterza e Figli, p. 103.

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I criteri giuridici che definiscono il fenomeno mafioso sono dal 1982 fissati nellart. 416 bis (La Torre-Rognoni) del codice penale:

L'associazione di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omert che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivit economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per s o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a s o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Facciamo per un passo indietro, evadendo, per, il problematico discorso della sicilianit e del dominio spagnolo. Il termine mafia deriverebbe quasi sicuramente dallarabo afah (proteggere, tutelare), ma si ritrova nei testi solo secoli dopo la fine della dominazione araba. La commedia popolare I mafiusi di la Vicaria del 1862 sarebbe il primo testo dove la parola appare. In seguito, nel 1865, il termine compare in un rapporto del prefetto di Palermo che parla di mafia per designare unassociazione malandrinesca, nella cornice di unaccusa di complicit in un delitto di mafia. In tempi pi recenti il termine mafia o mafioso subiva un uso abbondante, applicato a qualsiasi comportamento di corruzione, clientelismo, criminalit organizzata o semplicemente a una diffusa illegalit.2 I rischi di un appiattimento del genere stanno nella sottovalutazione del fenomeno da parte della pubblica opinione cio, come ricorda Salvatore Lupo: Se tutto mafia, nulla mafia3 o forse ancora peggio, in una rispettosa mistificazione di essa. Bisogna perci osservare con maggiore attenzione le caratteristiche della mafia come gruppo sociale, pi che come comportamento o mentalit (stereo)tipizzati. Un primo criterio costituente la struttura gerarchica dellorganizzazione mafiosa. Mentre i capimafia valutano lesigenza di agire e prendono le decisioni strategiche, lesecuzione demandata ai gradi pi bassi.4 Esistono di conseguenza anche grandi differenze economiche e sociali tra i mafiosi e allinterno delle singole cosche. Allegoricamente la cellula dellorganizzazione mafiosa (siciliana) si chiama cosca, riferendosi al carciofo: il torso corrisponderebbe al capo e le foglie ai subordinati. Nella mafia italo-americana le cosche sono chiamate famiglie. Entrambi i termini indicano relazioni stabili e finalizzate, che e qua termina lapplicabilit della metafora durano oltre la vita dei singoli membri. In modo simile

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Cfr. F. Demarchi, A. Ellena e B. Cattarinussi (a cura di, 1987), Nuovo Dizionario di Sociologia, Cinisello Balsamo (Milano): Paoline, p. 1139 e Lupo, Salvatore (1996), Storia della mafia, Roma: Donzelli, p. 13. 3 Lupo Salvatore (1996), cit., p. 13 4 Cfr. Nuovo Dizionario di Sociologia (1987), cit., p. 1142.

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Gallo interpreta la mafia (contemporanea) come una contrasociet simmetrica marcata da una struttura totalitaria organizzata quasi militarmente, in grado di assicurarsi obbedienza assoluta verso i capi allinterno, e, - oltre a ci che abbiamo accennato gi prima di preservarsi efficacemente dagli attacchi degli apparati repressivi dello Stato dallesterno.5 Se definiamo la mafia una organizzazione implichiamo per definizione una sua finalit determinata. Quali sono dunque gli obiettivi dei gruppi mafiosi? Mi pare utile ordinare questi fini seguendo il pensiero del sociologo Gary S. Becker su due livelli. Presupponendo che al livello superiore tutti gli uomini cercano di soddisfare due bisogni generali, il benessere fisico e il riconoscimento sociale, questo deve valere anche per gli uomini donore. I fini strumentali invece, sottomettendosi a questi, rendono immediatamente visibile la nota distintiva del comportamento mafioso. Il principale fine strumentale dei mafiosi e non solo la ricchezza, servibile sia per luno sia per laltro bisogno generale. Il mafioso cerca di raggiungere guadagni sempre crescenti attraverso la sfruttante dominazione di diversi mercati, legali e illegali.6 I modi di organizzare lo stesso sfruttamento sono distinguibili con i termini power syndicate e enterprise syndicate introdotti da Alan Block. Il primo comprende la signoria territoriale, l'estorsione (e la protezione), la forza militare e vede come scenari i mercati, le pescherie, le macellerie, i cantieri regionali o in parte nazionali. Idealtipicamente il secondo si riferisce alle attivit imprenditoriali sul mercato globale: la prostituzione, il gioco dazzardo, il contrabbando, i traffici a lungo raggio degli stupefacenti, delle armi e dei clandestini.7 Ci che secondo Arlacchi fa della mafia un imprenditore vincente sono lo scoraggiamento efficace della concorrenza, la compressione dei salari e le sue risorse finanziarie eccezionali. Da recenti dati pubblicati dallistituto Eurispes pare che Cosa nostra guadagni ben 8.005 milioni di euro l'anno dal traffico di droga, 2.841 milioni dai crimini legati alle imprese (appalti truccati, aziende pulite del riciclaggio del denaro sporco, ecc.), 176 milioni dalla prostituzione, 1.549 milioni dal traffico di armi e 351 milioni dall'estorsione e dall'usura. Sarebbe un giro d'affari di quasi 13 miliardi di euro.8 La mafia prospera nella coesistenza con uno Stato che mantiene aspetti di assolutismo e lascia spazio a politici comportandosi come protettori privati, invece di vigilare sui diritti.9

Cfr. Ibidem., pp. 1139-1141 e Lupo, Salvatore (1996), cit., pp. 33 e 265. Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V Legislatura, Camera dei deputati, Roma 1972, pp. 114 sgg. in Tranfaglia, Nicolo (1991), cit., p. 41. 7 Cfr. Lupo, Salvatore (1996), cit., pp. 262 s., p. 265 ed ivi Block, Alan (1980), East Side-West Side. Organizing Crime in New York, p. 129. 8 Cfr. Wikipedia, Cosa Nostra, http://it.wikipedia.org/wiki/Cosa_nostra (07/07/2006). 9 Arlacchi, Pino (1983), La mafia imprenditrice, pp. 114 sgg. in Tranfaglia, Nicolo (1991), cit., p. 67.6

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I mezzi utilizzati per garantire limpunit dei suoi affiliati, nonostante le tracce lasciate (navi, merci, telefonate, lettere, movimenti bancari), sono del tutto devianti, nel senso che violano le norme delle societ non soltanto sul piano morale ma, con effetti pi gravi, su quello giuridico-penale. Stiamo alludendo alle tangenti, allesercito militare dellorganizzazione mafiosa (al quale ricorre, quando lo ritiene necessario per assicurare il controllo economico e politico) e alla sempre pi efficace infiltrazione in strutture esecutive, amministrative e legislative.10 Contribuendo in questo modo attivamente a indebolire le gi insufficienti norme legislative e lapparato repressivo dello Stato, approfittando, inoltre, di strutture bancarie pronte a riciclare il denaro sporco.11 Per la disciplina interna la regola indispensabile per garantire la vita dellassociazione e pi punita nel caso di mancato rispetto quella dellomert, cio del silenzio assoluto su tutto ci che riguarda gli affari interni mafiosi.12 Per condurre a termine la descrizione del fenomeno mafioso vale la pena analizzare chi sono i soggetti che fanno parte dellassociazione. Per esempio, Leonardo Messina, giovane pentito di San Cataldo degli anni Ottanta, cos parla della mafia:La mia una famiglia che appartiene per tradizione a Cosa Nostra, ed io sono la settima generazione []. Non sono stato affiliato perch ero un rapinatore o perch ero capace di uccidere, ma perch per tradizione familiare ero destinato a farne parte. 13

Nel gruppo Inzerillo Giovanni Falcone osservava non solo il reclutamento dalle file dei famigliari, ma addirittura la chiusura sempre pi totale da una generazione allaltra per recuperare i valori tradizionali e garantire la maggior omogeneit e coesione tramite il matrimonio fra cugini.14 Di questi valori fanno parte i rituali e i giuramenti mafiosi, che rendono ancora oggi riconoscibile il legame storico tra mafia e massoneria o carboneria e disegnano la stessa come organizzazione segreta ed esclusiva. La nuova leva, il figlio maschio di parentela mafiosa, dopo aver superato una prova di coraggio, deve confermare la sua fedelt e la sua virilit con il sangue e solo con il sangue, cio con la sua morte, pu uscire dal patto.15

Cfr. Nuovo Dizionario di Sociologia (1987), cit., p. 1142. Cfr. Tranfaglia Nicolo (1991), cit., p. 100. 12 Cfr. Pezzino Paolo (1990), Una certa reciprocit di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Milano: Franco Angeli, pp. 11-12, citato in Tranfaglia Nicolo (1991), cit., p. 20. 13 Testimonianza resa allAntimafia, XI legislatura, 4 dicembre 1992, p. 513 in Lupo Salvatore, cit., p. 273. 14 Cfr. Tribunale di Palermo. Sentenza istruttoria contro Spatola + 119 (G.I. G. Falcone), pp. 480, 506 e 488 in Lupo Salvatore, cit., p. 285. 15 Cfr. Siebert Renate (1994), Le donne, la mafia, Milano: il Saggiatore, pp. 25-32.11

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In questo senso liniziazione corrisponde a una palingenesi che fa di un delinquente il membro onorato di una societ con le sue norme, evidentemente in gran parte opposte a quelle della societ ufficiale.16 Racconta, ancora una volta, Leonardo Messina:

Non che uno si alza e entra in Cosa Nostra. un tipo di atteggiamento, ti seguono da bambino, ti crescono, ti insegnano a sparare, ad uccidere, a mettere le bombe. Sei un robot, sei un destinato. In Cosa Nostra si entra come avvicinati, un periodo che pu durare ventanni, cinque o un anno, dipende anche dalle persone, qualcuno ti dice che lora. Ma gi quando ti chiamano tu sai gi che quella Cosa Nostra perch tu hai gi servito da dieci anni questi uomini. C sempre una persona che ti guida, ogni uomo donore ha circa cinque, dieci, quindici persone vicine I primi omicidi in Cosa Nostra si fanno da avvicinati. Quando si fa una riunione del paese per affiliare degli uomini come se fosse una festa.17

La cosa diversa per lesercito, che una volta si reclutava dai ceti contadini delle campagne, oggi in misura sempre crescente dalle aree demarginazione giovanile, ricolme doperai, studenti, laureati, generalmente disoccupati. E a questo punto la controversa domanda dellimportanza (o irrilevanza) dello sviluppo economico della regione dorigine per la sopravvivenza della mafia oramai agente su dimensioni mondiale ha un retroscena reale: nel Mezzogiorno con la sua alta disoccupazione e la relativa emarginazione piuttosto facile trovare energie umane (i picciotti) per sostenere i programmi despansione del potere mafioso. Un datore di lavoro, anche se criminale, per qualcuno una possibilit considerevole, visto la scarsit dellassistenza sociale per chi non ha mai trovato un lavoro legale. Nelle benestanti regioni italiane del centro-nord unemergenza comparabile non esiste.18

3.

Scambi fra politici e mafiosiI. Scambio di valori: la societ condizionata

Secondo Renate Siebert la complessit e la pericolosit specifiche della mafia consistono ben oltre il mero dato criminale in quella capacit di manipolare codici culturali e dati della tradizione al fine di creare consenso. Cos le minacce, il ricatto, la proposta di protezione e le offerte dordine sociale di fronte alle debolezze dello Stato e della societ civile consentono alla mafia di presentarsi ai giovani, come alternativa concreta. Infatti, a quelli16 17

Cfr. Lupo Salvatore, cit., pp. 37 sgg. Commissione parlamentare antimafia, 1993b, p. 48 in Siebert Renate (1994), cit., pp. 29 sgg. 18 Cfr. Nuovo Dizionario di Sociologia (1987), cit., pp. 1142 sgg.

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appartenenti agli strati sociali emarginati essa offre un senso di appartenenza, un linguaggio comune. I giovani dei ceti medi spesso guardano la mafia con indifferenza.

Un ex studente di un istituto tecnico industriale di Palermo, disoccupato, mentre gioca a biliardino in una sala di videogame di Via Sciuti, racconta:

La mafia unorganizzazione come lo Stato che per d pi lavoro: se tanta gente in mezzo alla strada come me, perch lo Stato toglie lavoro alla mafia e la mafia toglie lavoro alla gente e cos siamo tutti nella merda, mafia, Stato e gente. Con chi sto io? E con chi devo stare? Con chi mi d un lavoro: se domani viene un mafioso e mi da un lavoro, io me lo prendo, e cos pure se viene lo Stato e mi offre un lavoro, io me lo prendoFalcone e Borsellino? Mi sento indifferente perch ho gi tanti problemi per i fatti miei, che non mi metto a fare le passeggiate ai cortei. Le fanno quelli che stanno bene, che se lo possono permettere di passeggiare. Non so nemmeno a che cosa servono tutte queste pagliacciate.(Salemi, 1993, pp. 153-4.).19

Marino vede questa forma culturale del privato, dominante sul pubblico, come frutto della lunga vicenda storica di una societ che ha coltivato a tutti i livelli un culto quasi ossessivo del potere e della roba. proprio questo laspetto generale della mentalit mafiosa di stampo siciliano, che rende la mafiosit poco comparabile con altri fenomeni desclusiva natura delinquenziale, formatasi in Cina, in Giappone, in Russia o nellAmerica latina.20

Renate Siebert afferma che il controllo sociale mafioso nel Mezzogiorno avvolge e penetra tutto: la vita quotidiana, gli spostamenti, le frequentazioni, le scelte matrimoniali, il mercato del lavoro e gli investimenti. Si pu dire che gli avvisi, in caso di trasgressione, si presentano concreti ma anche simbolici, gli uni come gli altri usati al fine di generare paura e angoscia. Renate Siebert decide tra gli avvertimenti piccoli, quasi impercettibili e fra quelli vistosamente colpevoli e intimidatori. Tra gli ultimi individua anche il silenzio e il rifiuto di testimoniare. Tra i primi, invece, annovera codici comportamentali, modi di dire e di pensare che danno legittimazione alla violenza.21

La paura collettiva di una comunit produce labitudine allomert, che garantisce sempre il successo dei tentativi mafiosi. Se accetta di pagare per garantire la propria sicurezza, da quel momento limprenditore si subordina e dipender in tutto e per tutto da chi lo estorce.

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Cfr. Siebert Renate (1996), Mafia e quotidianit, Milano: Il Saggiatore, p. 19. Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), Storia della mafia, Roma: Newton & Compton, pp. 335 sgg. 21 Cfr. Siebert Renate (1996), cit., p. 19.

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Qualunque cosa il criminale compie sotto i suoi occhi, egli non ha visto n sentito niente. Erasso fa un esempio sconvolgente per dimostrare la portata della cos istituzionalizzata complicit: Se un giorno gli vede vendere davanti alle vittime del suo negozio una dose di eroina alla figlia dei suoi migliori amici, non potr denunciarlo.22

Lomert, cio il colpevole silenzio, il rifiuto della comunicazione, unarma strategica tanto importante per la mafia. Violarla suscita una risposta immediata, spesso equivale a una sentenza di morte. 23

Siebert cita anche Paolo Jedlovski che sottolinea come il controllo nella vita quotidiana sia continuo. Consiste soprattutto nel fatto che nellatteggiamento in cui si vive quotidianamente, si comporta come ci si comporta, si comporta come si dice, si fa come si fa, perch il pensiero quotidiano agisce da antidoto allangoscia di morte. La difficolt da parte della societ civile sia quella di prendere atto della pericolosit della mafia, e non ritirarsi dietro un Cos , cos sar e cosi sempre stato, abituarsi alla convivenza espressa spesso nel La mafia c; certo, spiacevole, ma tant. 24

Il problema che la guerra contro la mafia sembra una guerra contro un nemico invisibile. Lo scudo protettivo del si dice, si pensa, si fa ostacola, secondo Siebert, la comprensione che il nemico, anche se sta fuori di noi, nel contempo, radicato dentro di noi. Infatti la mafia riveste parzialmente i caratteri di un nemico invisibile perch unisce allattivit criminale e illegale comportamenti e atteggiamenti atti a creare coesione e integrazione.25

Renate Siebert scrive anche sullamicizia come valore simbolico di carattere strumentale. Unoccasione per fare e disfare alleanze tra persone fornite di poteri complementari (o loro mediatori) sono i banchetti, dove si coltiva la componente emozionale dellamicizia.26

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Erasso, Tano (1992), Contro il racket, Bari: Laterza in ibidem, p. 40. Ibidem, p. 46. 24 Cfr. Ibidem, p. 70, 71, 69. 25 Cfr. Ibidem, p. 97. 26 Cfr. Ibidem, p. 35.

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II. Scambio di favori: i politici condizionati Un elemento del sistema politico spesso studiato la cura della propria riproduzione attraverso meccanismi di clientelizzazione del consenso. A questo fine vengono usati i poteri legali e quelli illegali allinterno di un rapporto di scambio. Il contatto fra gli esponenti politici e quelli mafiosi, destinato non solo a rendere possibile una coesistenza dellaccordo, ma addirittura a una amalgamazione.27 Come implica il termine scambio, la relazione fra la mafia e il sistema politico si base sul favore bilaterale. I politici non sono soltanto protettori che garantiscono impunit e appalti necessari alle cosche come la proboscide allelefante28 ma ricevono reciprocamente voti, capitali, contatti, vantaggi personali. Avrebbe dichiarato Claudio Martelli, allora vice segretario nazionale del Psi e poi ministro della Giustizia nel governo Andreotti, a proposito del contatto con Angelo Siino, a quel tempo ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, di non ricordare di avere incontrato Siino anche se durante una campagna elettorale tutto possibile.29 Considerando questo, i politici, come i proprietari, gli imprenditori, i professionisti legati alla mafia non sono clienti, o non sono soltanto clienti, come gli acquirenti di unauto, sono alleati complici in un rapporto pi complesso. Secondo Santino non si pu mica parlare di vittime per chi accetta lingiunzione mafiosa, e tanto meno per chi ricerca laiuto della mafia, per avere la possibilit di disporre di denaro facile, di condurre attivit illegali e legali in comune, di avviare rapporti con politici ed amministratori.30

4.

Mafia e fascismo

Tranfaglia nella sua opera La mafia come metodo nota che cera un tipo di silenzio mantenuto dalla storiografia italiana per quanto riguarda la mafia nel periodo fascista, che fu rotto soltanto in tempi recenti da alcuni lavori, come, per esempio, quello di Christopher Duggan, che ha scritto La mafia durante il fascismo.31 Anche Salvatore Lupo nella sua Storia della mafia ha scavato pi profondamente sulla storia della mafia tra let liberale e

Cfr. Nuovo Dizionario di Sociologia (1987), cit., p. 1146. Cfr. Fiandaca, G., Costantino, S. (1994), La mafia, le mafie, p. XI in Santino, Umberto (1995), La mafia interpretata. Soveria Mannelli: Rubbettino, p. 37. 29 Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., p. 312. 30 Santino Umberto (1995), cit., pp. 38, 46, 47. 31 Duggan Christopher (1986), La Mafia durante il fascismo, Roma: Rubbettino.28

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fascista.32 Christopher Duggan nel suo lavoro si occupa tra laltro della vicenda del prefetto Mori, che secondo la vulgata fascista sarebbe intervenuto fortemente contro i mafiosi. Questa leggenda sembra essere entrata profondamente nellopinione pubblica, anche perch a lungo non sono state realizzate ricerche su questo tema.33

Lupo, ma anche Duggan sottolinea le violenze che caratterizzano lazione repressiva del regime in quegli anni. Ma le opinioni di entrambi divergono per quanto riguarda lefficacia della campagna del cosiddetto prefetto di ferro Mori. 34 Duggan afferma nella sua opera che la campagna di Mori contro la mafia fu inconsistente, inoltre, ci fu anche uninconsistenza fatale nel metodo di affrontare il problema meridionale dal parte del regime fascista. Duggan ipotizza che la repressione e i metodi di Mori abbiano forse creato lesigenza della mafia.35

Secondo Nicola Tranfaglia il tentativo della dittatura fascista di porre fine al fenomeno mafioso in Sicilia fallito.36 Gi nel 1929 Mori viene licenziato da Mussolini e viene adottata una tattica assai pi morbida e compromissoria tra i gruppi di potere che si contendono lisola. Nella seconda met degli anni Trenta e subito dopo lo scoppio della guerra, la criminalit di nuovo presente e operante. Peraltro, insiste Tranfaglia, la campagna repressiva fascista ha colpito cos duramente gli strati pi umili della popolazione da creare condizioni veramente favorevoli per la ripresa del fenomeno mafioso.37

Vogliamo analizzare pi precisamente la Storia della mafia di Salvatore Lupo, che nel capitolo Un primo dopoguerra scrive sulla mafia durante let fascista. Nel 1924 a Gangi lamministrazione comunale viene definita della polizia come fascista-mafiosa e verso il fascismo, per Lupo si orientarono anche i gruppi di Cascio Ferro a Bisacquino e quello di Santo Termini. Spesso i mafiosi conservarono il loro appoggio ai notabili fiancheggiatori del governo fascista. Infatti i notabili, grandi o piccoli, saltarono sul carro dei vincitori dei fascisti. Venivano imbarcati anche personaggi molto squalificati. La forzatura sembrava evidenziare il collegamento tra sistema politico e criminalit.38

32 33

Lupo Salvatore (1996), op. cit. Cfr. Tranfaglia Nicola (1991), La mafia come metodo nellItalia contemporanea, Bari: Laterza e Figli, p. 5. 34 Cfr. Ibidem, p. 15. 35 Cfr. Ibidem, p. 16. 36 Cfr. Ibidem, p. 14. 37 Cfr. Ibidem, p. 17. 38 Cfr. Lupo, Salvatore (1996), cit., p. 177.

11

Lupo cita un disperato appello di V. Franco, un uomo destinato a essere assassinato dal procuratore del re:

Se poi vero quello che dice Pietro Palazzolo, e cio che lui il padrone non solo di Gangi ma anche dellItalia perch tutti sono sudditi suoi a cominciare dai Ministri fino allultimo questurino, se questa disgrazia veramente esiste in Italia come quasi mi sembra, ed allora scusi di averLa disturbata.39

Visto che la mafia fu legata al parlamentarismo, il governo fascista dovette lottare contro essa per superare la debolezza e lo scarsa apparenza del fascismo sullisola. In una lettera di G. Faraci dal 5 aprile 1923 si trova la seguente contestazione:

Se si vuole salvare la Sicilia scrive il segretario del fascio di Alcamo bisogna spezzare questo strano genere di organizzazione che la Mafia; se il fascismo vuole rendersi benemerito della Sicilia deve risolvere questo problema, ed allora potr essere sicuro di piantare nellisola tende ancor pi solide di quanto abbia fatto nel settentrione debellando il bolscevismo.40

La tendenza antimafiosa quindi tornava verso destra. Mussolini fece un viaggio nellisola nel maggio del 24 e osserv come non dovesse pi essere tollerato che poche centinaia di malviventi dannegessero la popolazione della Sicilia che Mussolini defin magnifica.

Lupo cita anche la leggenda gi menzionata prima del cosiddetto prefetto di ferro Cesare Mori. Cesare Mori viene nominato prefetto di Palermo il 23 ottobre del 1925. Egli sembrava la persona giusta per un governo in cerca di effetti propagandistici, visto che era un uomo in grado di uccidere personalmente un brigante e di scrivere un libro abbastanza orribile (C. Mori, Tra le zagare oltre la foschia, Firenze 1923). Mori nel 1920 riusc ad appoggiare il movimento contadino ottenendo il plauso dei proprietari. Il prefetto di ferro tenne per parecchi mesi la mafia quasi in suo pugno finch un deputato fece in modo che fosse trasferito (Lettera cit. di G. Faraci, p. 8.). Salvatore Lupo descrive Mori come attentissimo a cercare punti di contatto e un codice di comunicazione con la cultura vera o presunta delle masse.41

Per Mori se esistesse unomert buona, dovrebbe coincidere con i valori nazionali e fascisti. Si dovrebbe eliminare la superfetazione delinquenziale.

39 40

Lettera di V. Franco cit. da Span, Faccia a faccia cit.; p. 33 in ibidem, p. 177. Lettera di G. Faraci, 5 aprile 1923, in ACS, Carte Bianchi, b. 2 in ibidem, p. 178. 41 Ibidem, p. 179.

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Secondo Lupo quello che Mori ritiene di aver capito dei codici culturali siciliani somiglia molto a quello su cui si basa il fascismo. Nel suo libro Con la Mafia ai ferri corti Mori scrive:

La omert ha in se stessa i mezzi specifici per combatter le proprie degenerazioni. Quindi richiamarsiquesto intendo dire alla fierezza per reagire alla prepotenza; al coraggio per reagire al delitto; alla forza per reagire alla forza; al moschetto per reagire al moschetto.42

Il 1926 viene ricordato come anno delle grandi retate, furono fatti centinaia di arresti per una cifra totale che nel 1928 arriv a undicimila persone imprigionate, di cui cinquemila nella sola provincia di Palermo. Veniva utilizzato un grosso nucleo di forza, che si spostava da paese a paese, a Bagheria per esempio cerano 800 carabinieri che arrestarono 300 persone. Molti ricercati di quel tempo si rifugiarono in sofisticati nascondigli sotterranei. Lo stato infatti si doveva guadagnare il rispetto, dimostrandosi pi mafioso dei mafiosi affinch realizzasse la riconquista dei valori folklorici. La forza fu esercitata contro i latitanti attraverso la pubblica macellazione dei loro animali, la vendita dei loro beni, la deportazione delle loro famiglie, e anche la violenza sulle loro donne.43

Alla fine del 1926 viene spedito da Mori un voluminoso dossier su illeciti commessi da Cucco, numero uno del fascismo palermitano. Nel gennaio seguente, dopo che veniva sciolta la federazione del partito il ducino fin sotto processo dopo una fulminea autorizzazione parlamentare. Cucco aveva stretto legami elettorali compromettenti, ma le accuse contro di lui non compresero reati di mafia, ma invece irregolarit amministrative e professionali abusi di potere. Poi alla met degli anni venti i fiancheggiatori liberali, che resero possibile la vittoria furono liquidati. Dopodich si pass allattacco contro le posizioni nobiliari interne al partito. I giochi si risolsero allinterno di circoli ristretti.44

Fu motivata in tutta la Sicilia, anzi in tutta Italia, leliminazione di personaggi scomodi. La liquidazione prima menzionata del personale politico promossa dal fascismo port ad una vera revanche agraria. Mori da Cucco viene descritto come un uomo in piena fregola aristocratica che passa da un salotto allaltro e da un ricevimento ad una festa. Il rapporto tra fascismo e Sicilia voleva essere un rapporto diretto tra Stato e classi sociali, senza

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Mori, Con la mafia ai ferri corti, p. 242 in ibidem, p. 179. Ibidem, p. 180. 44 Ibidem, p. 181.

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intermediari. Di intermediari si capisce i gabelotti parassiti, mentre i produttori, ovvero i proprietari furono assolti da Mori in quanto vittime di uno stato di necessit.45

Lambasciatore inglese Graham nello scorgere Sgadari riteneva un capintesto della mafia, tra i corifei di Mori. Il caso di Gangi sarebbe stato quello di maggiore continuit del potere locale nel ventennio attorno alle famiglie dei ricconi.46 Lupo sottolinea che nei giardini come nel latifondo la perpetuazione dei sistemi tradizionali durante tutto il periodo fascista, anche se cerano situazioni ambientali tranquille, rappresentava la smentita di ogni presunto stato di necessit. Ai tempi di Mori cera una commissione che decideva quali erano i centri effetti. La polizia impiegava metodi che lambasciatore inglese Graham defin energetic and ruthless cio, pestaggi e torture.

Lo scopo del fascismo sarebbe stato quello di inseguire i notabili sin dentro al meccanismo formativo del loro potere, affinch le cooperative e i circoli fossero sciolti.47 Per quanto concerne le azioni dei funzionari di Mori, Lupo cita la voce di un contadino:Se il prefetto Mori avesse anche udito la nostra parola che siamo gli interessati, e non semplicemente le vostre chiacchiere, a questo scompiglio non si sarebbe arrivati.48

Lupo ribadisce che loperazione antidemocratica e quella filoproprietaria coincidono con lidea generale cara ai fascisti, democrazia = mafia. comunque difficile credere che gli undicimila imprigionati fossero stati tutti mafiosi.

Salvatore Lupo cita anche un passaggio di Con la mafia ai ferri corti in cui Mori descrive la potenza terrificante della mafia:

Occorre aver letto nelle pagine dei processi, riguardanti le piccole o le grandi associazioni, gli associazioni, gli assassinii, le depredazioni, gli incendi, le violenze, gli stupri, le vendette selvagge e atroci [] , consumate di giorno, in pieno meriggio, nelle pubbliche piazze anche di questa citt, i morti a terra, gli uccisori al sicuro, [] per avere una pallida idea della delinquenza mafiosa.49

Ibidem., p.182. Ibidem., p.184. 47 Ibidem., p. 188. 48 Ricorso del 19 ottobre 1927 in ACS, PS, G1, b.141; nello stesso sfondo le b. 33. (Ribera), 56 (Sommatino), 107 (Mistretta); per Corleone, Duggan, cit., p. 96 in ibidem, p.188. 49 Mori, Con la mafia ai ferri corti, pp.15 sgg. in ibidem, p. 189.46

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Lupo mette poi laccento sul fatto che i provvedimenti amministrativi non furono introdotto dal fascismo e che proprio su di essi si fonda la capacit dello Stato liberale di controllare la mafia. Sottolinea anche che difficile valutare loperazione nel suo complesso. Salvatore Lupo non concorde con il ragionamento di Christopher Duggan, che sembra ipotizzare che la mafia stata inventata dal fascismo. Secondo Lupo nel lavoro di Duggan manca anche la distinzione tra lazione preffetizia e quella di polizia. Quellultima i mafiosi la ricorderanno come un incubo.

Rispetto alle operazioni contro la mafia esistono delle tesi contrapposte. Alcuni sono davviso che Mori ce lha fatta ad annientare la mafia, che poi rinata nel 43. Altri invece insistono che il prefetto di ferro fu fermato quando stava per avere successo, oppure ci sono altri che sono dellavviso che lazione fu fatta solo contro la piccola delinquenza.50

Tranfaglia, invece, nella sua opera Mafia, politica e affari, pone laccento sul fatto che il fascismo si sostitu sostanzialmente alla mafia. Cos si spiega per Tranfaglia il successo del prefetto Mori. Il fascismo aveva garantito con la potenza del suo apparato statuale un sistema economico. In quel sistema economico la Mafia aveva il ruolo di mallevadore e di gendarme. Secondo Tranfaglia a Mori non fu difficile colpire gli esecutori delle decisioni mafiose visto che erano senza protezione omertosa. Cos il fascismo si era impadronito del potere utilizzando gli strumenti della mafia, spacciandoli come strumenti indispensabili per il buon andamento delle campagne. Il fascismo, infatti, aveva creato con i medesimi uomini della mafia dei corpi paramafiosi che volgevano lo stesso compito affidato prima del suo avvento ai campieri o ai guardiani. Questi nuovi campirei e nuovi guardiani degli agrumeti furono riuniti in una cerimonia retorica, nella quale era richiesta la fedelt al regime.51 Tranfaglia ribadisce anche che non vero che nel periodo fascista esistesse lordine assoluto. La verit, invece, per Tranfaglia che la stampa non era libera in quel periodo, che non raccontava tutto e per questo non si sapeva quante rapine, quante estorsioni e quanti sequestri di persona in quel periodo avvenissero.

Per quanto riguarda il prefetto Mori e la sua autobiografia, valuta Tranfaglia, che Mori afferma di aver colpito le bande organizzate delle Madonie, ma non riesce a dire niente di serio sulla mafia. Cos per Nicola Tranfaglia si spiega perch la mafia non scomparsa, visto che nel periodo fascista ha potuto vegetare allombra del potere senza bisogno di compiere50 51

Cfr. Ibidem, p. 190 sgg. Cfr. Tranfaglia Nicola (1992), Mafia, politica e affari. 1943-91. Roma-Bari: Laterza, p.9.

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gesti particolarmente clamorosi. Cos lalta mafia usc quasi indenne dalla repressione fascista.52 Il prefetto Mori arrivato persino ad affermare che il proprietario terriero, in quanto fornito di beni patrimoniali estesissimi, non pu essere considerato mafioso, anche se, per ipotesi, colluso con la mafia. Tranfaglia ribadisce che se questo fosse vero, bisognerebbe dimostrare che i gruppi sociali pi forti in Sicilia fossero stati i campieri, i soprastanti e i gabellotti e non i baroni e i grandi proprietari terrieri.53

I metodi usati della polizia fascista, il sistema delle torture per fare confessare imputati spesso innocenti, Tranfaglia li giudica come vergognosi. Questi metodi ebbero il triste risultato di aumentare e alimentare lodio contro lo Stato.54

5.

Lera dei corleonesi II. Da Cosa nostra a Cosa nuova?

Esiste una favola siciliana che dice cos: Cera una volta una mafia buona, che rispettava un codice donore, non uccideva bambini e donne, assicurava lordine al posto di uno Stato poco capace. Con la benedizione della Chiesa creava beni collettivi, regolamentava e proteggeva il mercato, trovava lavoro a chi si rivolgeva al suo padrone ovviamente un servizio del genere doveva essere pagato o ricambiato con favori. Insomma: si trattava di una mafia che arricchiva la societ, costituita di veri uomini, uomini donore. Poi vennero i corleonesi che ignoravano i vecchi patti e forzavano con atti terroristici lo Stato al fine di ostacolare il sistema, una volta equilibrato. Questa leggenda possiede, sfortunatamente, ancora una mirabolante robustezza come bene culturale in Sicilia e altrove, nonostante le battaglie dei magistrati esemplari, limpegno degli storici, le testimonianze dei pentiti e soprattutto delle vittime. Cos scrive Salvatore Lupo:Avidit e ferocia [] sono al contrario caratteristiche della mafia di ieri come di quella di oggi, entrambe capaci di massacrare innocenti, donne e bambini, in barba ai codici onorifici. Le diverse quantit e qualit della violenza si collegano piuttosto alle congiunture politiche (ad esempio ai due dopoguerra), ovvero ai vari salti generazionali che rinnovano la leadership e i quadri, dando luogo a conflitti interni di tipo ciclico e non epocale.55

52 53

Cfr. Ibidem, p. 156. Cfr. Ibidem, p. 154. 54 Cfr. Ibidem, p. 156. 55 Lupo Salvatore (1996), cit., p. 22

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Le prime commissioni parlamentari dinchiesta tentarono invece di cercare mutamenti di tipo epocale. Quella presieduta dallOnorevole Cattanei distingue, nella sua relazione del 1972, tre mafie. La prima viene caratterizzata come agricola o feudale (i cui capi nel dopoguerra erano Calogero Vizzini, Genco Russo e Michele Navarra), la seconda come una mafia di transizione, rappresentata da Luciano Leggio (detto Liggio o Lucky Luciano), operando in campagna come in citt, mentre la terza si sarebbe trasferita completamente in citt, intervenendo sui mercati, nelledilizia e nel contrabbando (gli esponenti pi noti erano i fratelli La Barbera e i Greco di Ciaculli). In seguito si parla piuttosto di due salti di qualit, uno negli anni Cinquanta con il trasloco in citt, laltro tra gli anni Sessanta e Settanta, quando la mafia ottenne un potere politico ed economico, fino ad allora sconosciuto, tramite il contrabbando di tabacco e, successivamente, della droga.56

A dispetto di questi avanzamenti nel potere e nel possesso, la mafia avrebbe sempre mantenuto i suoi tratti essenziali. I salti di qualit non si esplicherebbero attraverso un cambiamento allinterno, ma piuttosto con un adattamento allo sviluppo esterno della politica, delleconomia e della societ in Italia e nel mondo.57 Il rischio di occuparsi troppo della classificazione (e delle origini incerte del fenomeno) comporta, secondo Spampanato, la perdita di vista della storia della mafia riportando invece la storia delle idee sulla mafia.58 Ricordando questo, vediamo quindi la linea tattica o meglio le linee tattiche - seguite della mafia fornita di un nuovo potere, presto sotto il comando dei corleonesi.

II. Lascesa dei Corleonesi

Il conflitto nei vertici di Cosa nostra spuntava, secondo la ricostruzione storica di Giuseppe Carlo Marino, da due diverse strategie criminali. Il Bontate seguirebbe la tattica della strumentalizzazione degli apparati statali, cercando cointeressi e complicit con essi tramite la corruzione (valga lequazione appalti per tangenti). Egli preferiva limitarsi alle entrate tradizionali fornite dal capitale pubblico e privato: dal racket, dal controllo della prostituzione, dal gioco dazzardo e dalle Usl, dagli ospedali e dai cimiteri. Ma oramai lasse fondamentale si era spostata verso il narcotraffico. Lidea dei corleonesi, cio degli eredi urbanizzati della vecchia mafia agraria, a questo punto era quella della piena sovranit sul territorio e sugliCfr. Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V Legislatura, Camera dei deputati, Roma 1972, pp. 124 s. e le Conclusioni in Tranfaglia, Nicolo (1991), cit., pp. 37 sgg. 57 Cfr. Tranfaglia (1991), cit., p. 38. 58 Cfr. Spamanato (1987), Per una storia della mafia, p. 884 in Tranfaglia (1991), cit., p. 43.56

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affari, sentendosi pronti per lo scontro frontale con lo Stato vulnerabile e un mondo politico privo di prestigio. La visione strategica sarebbe stata il trionfo dun grande ed esclusivo mercato di produzione e di vendita delleconomia mafiosa. Per questo si abdic alla pacificazione tra le cosche, realizzata nel 1975. La clamorosa espulsione di Gaetano Badalamenti da Cosa nostra imposta da Riina nel 1977 e lassassinio di Giuseppe Di Cristina erano i primi segni della guerra. Nel 1978 si dava vita a una nuova Commissione, diretta da Michele Greco, il principale alleato del boss corleonese, Salvatore Riina. Con lintenzione di conquistare tutto il potere, cercarono di liquidare i capi della vecchia mafia cittadina. Infiltrando uomini di loro fiducia in tutte le famiglie del territorio, provocarono una nuova guerra di mafia a partire dal 1980.59

III. La seconda guerra di mafia

Il punto cruciale dello scontro, che port alla violenza e allo sconvolgimento delle regole dellonorata societ e quindi al ricambio della leadership, era l'arricchimento soltanto di alcuni degli affiliati. 60 Buscetta testimonia nellaula del maxiprocesso:

Il fatto che, non soltanto siano stati uccisi impunemente capifamiglia, ma soprattutto membri delle stesse famiglie abbiano preso il posto dei capi significa, senza che possano esservi dubbi di sorta, che i sostituti erano previamente daccordo per leliminazione dei capi.61

Il potere militare era adesso centralizzato nella Commissione e i corleonesi si davano da fare per modernizzare e razionalizzare il grande traffico degli stupefacenti. Sarebbe stata una riforma istituzionale attuata, invece che con leggi, con assassini brutali.62 Questa violenza elementare e feroce, tratto dellantico brigantaggio delle campagne, stava per diventare il marchio dello schieramento dei corleonesi urbanizzati. Al loro vertice cera Tot Riina, un quasi analfabeta, seppure dotato di quellacuta furberia che caratterizza non pochi contadini, che potrebbe spiegare la mancanza di una strategia sottile meno violenta.63

Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), Storia della mafia, pp. 281 sgg. Cfr. Lupo Salvatore (1996), cit., p. 288 61 Testimonianza Buscetta, p. 268 in ibidem. 62 Cfr. Rapporto sulla mafia degli anni 80. Gli atti dellUfficio istruzione del Tribunale di Palermo, Flaccovio, Palermo 1986 in Tranfaglia Nicolo (1991), cit., p. 71. 63 Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., pp. 284 e 286.60

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La tendenza politica in quellet craxiana-andreottiana era segnata da un non fare troppo gli schizzinosi e un isolamento degli attori coraggiosi nella sfida alla mafia, che qualcuno avrebbe pagato con la vita.64 Al livello nazionale invece, la Democrazia cristiana (Dc), di Benigno, Zaccagnini e Ciriaco De Mita, portava avanti una politica rinnovatrice della morale, con effetti di rottura anche in Sicilia. L vennero alla luce nuovi leader antimafiosi, come Leoluca Orlando, e man mano lisolata antimafia intellettuale e morale degli anni Sessanta si espanse nella societ, accendendo, come reazione ai grandi delitti, la protesta civile.

I corleonesi reagirono con unoffensiva crudele, aperta su tre fronti, condannando traditori e nemici a morte. Allinterno di Cosa nostra eliminarono le forze dei badalamentiani e dei bontatiani. Tra i big caddero Bontate, Giuseppe Di Maggio e Salvatore Inzerillo. I sopravvissuti della vecchia guardia si salvarono allestero (oltreoceano) tra questi il Badalamenti e il Buscetta. Il secondo fronte era costituito dai politici tentennanti. Il 9 marzo 1979 fu ucciso il segretario regionale della Dc Michele Reina. Cadde pure Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), linnovatore che annunci di far luce sui traffici mafio-tangentizi e avviare una glasnost nellamministrazione regionale. Aprirono contemporaneamente il fronte contro i principali nemici nelle istituzioni statali. La prima vittima fu il procuratore capo Pietro Scaglione (1971). Lo seguirono funzionari della Magistratura e delle forze dellordine (vedi lista p. 25), con una fase particolarmente acuta nel 1983.65

Gi alla fine del 1982 viene assassinato il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa; cos scrive Nicolo Tranfaglia:

il 4 settembre 1982 la mafia [] aveva dato una dimostrazione non soltanto della sua scelta di attaccare direttamente i rappresentanti dello Stato ma anche della sua capacit di sopportarne le ripercussioni e la prevedibile reazione della societ civile e di quella politica.66

Dalluccisione di Stefano Bontate e di Totuccio Inzerillo, nellaprile del 1981, sino allautunno del 1981 il numero delle vittime della guerra di mafia super i mille, ai quali si aggiunsero almeno trecento cosi di lupara bianca.67

Cfr. Ibidem, p. 288. Cfr. Ibidem, pp. 289-291 e 384. 66 Tranfaglia Nicolo (1991), La mafia come metodo, p. 69. 67 Bolzoni Attilio, Dagli Usa tornano gli scappati e adesso tremano i Corleonesi, La Reppublica (21/06/2006, p. 13.65

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La reazione dello Stato, cio dei governi Spadolini, Craxi e De Mita, con Andreotti sempre in posizione chiave, fu una resistenza ambigua e contraddittoria: tra limpegno generoso di alcuni suoi esponenti e le resistenze di ampie parti corrotte del suo apparato ufficiale.68 Temendo la perdita del sostegno elettorale della base mafiosa la corrente andreottiana e i socialisti craxiani tentarono di persuadere Cosa nostra a cessare gli attacchi (summit Andreotti-Riina).

6. Il caso esemplare: Giulio Andreotti

Lanno 1992 stato un anno terribile, marcato da quattro colpi micidiali. Venivano uccisi due grandi nemici della mafia, cio Falcone e Borsellino. Venivano uccisi anche Salvo Lima e Ignazio Salvo. A questi delitti segu una reazione statale che port al dispiegamento dellesercito in Sicilia e allarresto di molti boss. Successivamente giunse anche lincriminazione di Giulio Andreotti, il pi eminente uomo politico dellItalia repubblicana. Andreotti stato chiamato in giudizio per associazione mafiosa.

68

Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., pp. 284, 286 e 292.

foto: Angelo Formica, diario 1952006, p. 63.

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Lex presidente del consiglio e del Senato avrebbe commissionato a Cosa nostra lomicidio del giornalista romano Mino Pecorelli. Sarebbe anche coinvolto nel delitto di Dalla Chiesa. Le cause di questo delitto, secondo Lupo, per dovrebbero essere ricercate secondo gli inquirenti palermitani non tanto nellostilit della mafia ma piuttosto in un complotto politico originato dal delitto Moro. Lupo ribadisce che viene dallinterno di Cosa nostra alla met degli anni novanta per la prima volta una risposta, informazioni sul rapporto tra mafia e politica che sembrano confermare quanto di peggio era stato ipotizzato dallopinione pubblica. Sottolinea anche che lopinione comune dei mafiosi rappresenta per se stesso un elemento significativo, visto che allinterno di quella organizzazione segreta che presente in pi continenti, deve esistere, sempre per Lupo, un qualche strumento accettabile e comunemente accettato di comunicazione. Anche laddove non si creda che venga realmente rispettato lobbligo di dire il vero tra affiliati. Cos il capomafia spiega ai collaboratori le proprie relazioni con i politici secondo i codici tra mafiosi e medesimi.

Nella corsa degli anni Settanta-Ottanta la repressione comincia a colpire Cosa nostra in un modo tale che questultima prova a convincere il partner democristiano a bloccare la macchina della giustizia. Il modo pi ovvio sarebbe stato il controllo del voto. Andreotti incontr Bontate, che cos esclam:In Sicilia comandiamo noi, e se non volete cancellare completamente la DC dovete fare come vi diciamo noi. Altrimenti vi leviamo non solo i voti della Sicilia, ma anche quelli di Reggio Calabria e di tutta lItalia meridionale. Potete contare solo su quelli del Nord, dove tutti votano comunista, accetatevi questi.69

Nelle elezioni del 1987 veniva indicato di votare per il garantismo dei socialisti e dei radicali, contro linaffidabilit dei democristiani. Nelle carceri palermitane si votava compattamente in questo senso. Anche in alcuni quartieri popolari il risultato era quello ricercato. A livello cittadino, provinciale e regionale, invece, il successo dei socialisti corrispondeva allandamento nazionale del voto. Si accompagnava al successo della Dc, anche qui secondo il trend generale e in barba al boicottaggio di Cosa nostra. Lupo pone a questo proposito laccento sul fatto che nel caso di Cosa nostra non si tratta di un partito e che non ottiene il consenso per se stesso. Questo porta la palla nel campo della politica, alle opinioni, agli scambi materiali e simbolici.

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Processo Andreotti, p. 737 in Lupo Salvatore (1996), cit., p. 258.

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Lupo afferma inoltre che in un certo senso si potrebbe anche dire che molti dei temi che secondo gli inquirenti palermitani sono stati oggetti di illiceit, sotterranea e inefficace trattativa tra Cosa nostra e Andreotti nel corso degli anni Ottanta, sono adesso parte del paese, ufficiale e legale programma di Forza Italia, che rivolto al popolo italiano e quindi anche alle lobby mafiose. Per Lupo, Cosa nostra sembrava in ogni caso incapace di giostrare la propria influenza elettorale prescindendo dallinput di un partito, e a maggior ragione per condizionare la politica. Ci spiega come per la mafia di questi ultimi quindici anni la via al terrorismo abbia rappresentato sempre una strada possibile.

Ignazio Salvo e Salvo Lima, che erano grandi mediatori tra la mafia e Andreotti, sarebbero stati puniti per le loro incapacit di garantire la protezione che Riina e consorti si aspettavano.70 Nel 1993 i corleonesi Brusca e Bagarella progettavano di colpire quel cornuto di Andreotti, perch aveva girato le spalle agli amici.

Carlo Alberto Dalla Chiesa si rec da Andreotti rispondendo a una richiesta dello stesso senatore che gli pareva naturale date le sue presenze elettorali in Sicilia. Dalla Chiesa annot nel suo diario il 6 aprile 1981 che non avrebbe avuto riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori. Dalla Chiesa notava tre livelli per quel che riguarda il rapporto tra Andreotti e Cosa nostra. Come primo quello di Andreotti stesso, infatti il senatore con la mafia avrebbe intrattenuto una relazione mediata, strumentale e indirizzata al consenso elettorale. Come secondo livello distingueva quello degli andreottiani, cio i grandi elettori, come per esempio Lima, il presidente della regione DAcquisto, il sindaco di Palermo Marteluci e, come terzo, quello dellelettorato dei grandi elettori, le famiglie di mafia distinte, appunto, da quelle politiche.71

Lupo cita anche il senatore ex comunista Emanuele Macaluso, che ribadisce come Andreotti non facesse politica, bens strumentalizzava ci che gli si proponeva. Andreotti stesso, durante il processo infatti, neg di essere stato lui a convocare Dalla Chiesa. Nel diario Dalla Chiesa si evidenzia come Andreotti, sollecitato, si pronunci sulle malefatte dei suoi seguaci. La questione dei conflitti inframafiosi attorno al narcotraffico porta immediatamente alla figura di Michele Sindona.

70 71

Cfr. Lupo, Salvatore (1996), cit., p. 260. Cfr. Lupo, Salvatore (1996/edizione di 2004), cit., p. 308.

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Michele Sindona viene sostenuto da Andreotti e dagli andreottiani anche dopo lincriminazione da parte della giustizia italiana e anche dopo lassassinio dellavvocato Ambrosioli che stato ordinato da lui. Sindona veniva da antichi rapporti con i Gambino di New York e per questo si inseriva benissimo nella connessione sicula-americana alla ribalta nella seconda guerra di mafia. Sindona sembrava rappresentare per il gruppo Bontate-Inzerillo il canale finanziario.

Andreotti voleva spiegare a Dalla Chiesa che cerano due ali della mafia, cie quello siculoamericano, legato al commercio della droga, e quello politico, che il gruppo pericoloso era il primo, e a lui toccava tutelare il secondo, attraverso Lima e i Salvo. Macaluso ritiene che la droga abbia creato un collegamento tra classe politica e mafia, terrorizzando la prima e rendendo audace la seconda. Secondo Lupo, per, il tentativo di attribuire ogni colpa alla droga anche il segno della necessit che alcuni esponenti politici hanno di salvarsi, in cattiva fede, come Lupo pensa che sia il caso dAndreotti. In buona fede secondo Lupo il caso di Macaluso.

Secondo Salvatore Lupo sbagliato ridurre la storia dItalia o della Sicilia ai rapporti tra mafia e politica. Ma certamente questi ultimi devono essere considerati una storia dItalia e non certo tra le minore. Una parte di essa viene dalla droga, unaltra parte dalla profondit della vicenda siciliana, unaltra dal sistema politico. Secondo Lupo Andreotti dovrebbe dire di aver appoggiato Sindona per una tutela dei rapporti tra Italia e Vaticano, di aver conosciuto i Salvo per ragioni elettorali e di aver lasciato Lima alla sua politica regionale senza capire molto. Per essere credibile, secondo Lupo, Andreotti avrebbe dovuto ammettere di non essersi reso conto di quanto i Lima, i Salvo, i Nicoletti fossero condizionati e ricattati. Dovrebbe anche conoscere il ruolo attribuito ai Salvo gi dallistruttoria del maxiprocesso. 72

Secondo Tranfaglia, Andreotti sicuramente luomo politico che ha avuto, prima e dopo il crak della borsa, maggiori contatti con Sindona. Senza dubbio Andreotti ha costituito il punto politico di riferimento principale per Sindona. Tranfaglia cita lavvocato Strina:Per quanto riguarda specificamente a chi potesse pensare di rivolgersi il dottor Sindona, quando diceva di dover ottenere un mutamento di situazione anche sul piano politico, certamente in primo luogo pensava allonorevole Andreotti.73

72 73

Cfr. Lupo, Salvatore (1996), cit., p. 264. Cfr. audizione del 02/12/1981 in Tranfaglia N. (1992), Mafia, politica e affari. Roma-Bari: Laterza., p. 261.

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Nellaudizione dell11 novembre 1981 Andreotti ha ammesso che, almeno fino al 1974, aveva stima di Sindona e ha chiamato in causa a questo proposito la Banca dItalia. Aveva affermato, infatti, che lautorizzazione alla fusione era stato un elemento da lui considerato come un giudizio favorevole della situazione delle due banche. Era stato anche Andreotti a caldeggiare la nomina di Barone al Banco di Roma, che in qualche modo segna linizio delloperazione di finanziamento di questo istituto nei confronti delle banche sindoniane che ormai cominciavano a trovarsi in difficolt. Cos, secondo Tranfaglia, il rapporto tra Andreotti e Sindona stato un rapporto particolarmente stretto, ma anche un rapporto di stima, almeno fino al 1974. Una lettera di Sindona infatti dice che tale rapporto di amicizia e di stima proseguito anche dopo. Negli atti processuali ci sono numerose perplessit circa quante volte Andreotti avrebbe incontrato Sindona. Secondo Andreotti ci sarebbe stato soltanto un incontro nel 1973. Andreotti negava, inoltre, di aver incontrato Sindona a New York. Sindona e Magnoni affermano, invece, che questo incontro avvenne. Tranfaglia cerca anche di dare le motivazioni che giustificherebbero un interesse cos intenso e ampio nei confronti della vicenda di Sindona. Tranfaglia menziona a proposito lopportunit avuta da Andreotti non solo di seguire la questione collegata alla Societ generale immobiliare, ma anche le possibilit avute di interessarsi della questione della Banca privata italiana. Unaltra motivazione era forse lopportunit di sfatare la tesi di Sindona che ci sarebbe stata una cospirazione in suo danno. E, evidentemente, non cera modo migliore per rendere inattendibile questa tesi che interessarsi in modo attivo dei progetti. Come altra motivazione accenna allopportunit di colpire la Banca dItalia ed evitare che questultima fosse coinvolta in una polemica dannosa.74

74

Cfr. Tranfaglia Nicola (1992), cit.,p. 265.

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20/08/1977 09/03/1978 26/01/1979 21/07/1979 25/09/1979

06/01/1980 04/05/1980 06/08/1980 30/04/1982 12/08/1982 03/09/1982 25/01/1983 13/06/1983 13/06/1983 29/07/1983 29/07/1983 05/01/1984 28/07/1985 05/08/1985 12/01/1988 14/01/1988 25/09/1988 26/09/1988 06/08/1989 09/05/1990 09/08/1990 21/09/1990 29/08/1991 23/05/1992 19/07/1992 15/09/1993

Giuseppe Russo, colonnello dei carabinieri Peppino Impastato, militante della sinistra extraparlamentare Mario Francese, giornalista Boris Giuliano, vicequestore Cesare Terranova, giudice Lenin Mancuso, maresciallo Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana Emanuele Basile, capitano dei carabinieri Gaetano Costa, procuratore della repubblica Pio La Torre, segretario regionale del Pci Paolo Giaccone, medico legale Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, prefetto di Palermo Gian Giacomo Ciaccio Montalto, giudice Mario DAleo, capitano dei carabinieri Pietro Morici, carabiniere Rocco Chinnici, giudice istruttore Mario Trapassi, maresciallo Giuseppe Fava, giornalista Giuseppe Montana, capo della squadra mobile di Palermo Antonino Cassar, vicequestore Giuseppe Insalaco, ex sindaco di Palermo Natale Mondo, agente di polizia Antonino Saetta, giudice Mauro Rostagno, assistente sociale Nino Agostino, agente di polizia Giovanni Bonsignore, funzionario regionale Antonino Scopelliti, giudice di Cassazione Rosario Livatino, giudice Libero Grassi, imprenditore Giovanni Falcone, giudice Paolo Borsellino, giudice Giuseppe Puglisi, sacerdote di Brancaccio

1896-2005

oltre 600 nomi di vittime innocenti certificate

fig.: Innocenti caduti nella lotta alla mafia comandata dai corleonesi

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7. Lera dei corleonesi III. Successi giudiziari e rivolta della societ civile La rivolta legalitaria di fine secolo, iniziata dalla Procura di Milano con le sue indagini contro la corruzione sistematica nominata Tangentopoli, portava la primavera anche al sud. Dal 1982 al 1986 sono state denunziate 14.870 persone per associazione di stampo mafioso e sequestrati beni per un valore totale pari a quasi 780 miliardi di lire. Magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe di Lello, forzarono le frontiere contro settori statali paralizzati da colpevoli complicit e da omertosi silenzi. Uniti nel pool antimafia della Procura di Palermo, costituito nel 1983 seguendo lidea di una cooperazione investigativa modellata dallassassinato Rocco Chinnici, elaborarono una metodologia tutta nuova.75 Di conseguenza, tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987, ebbe luogo il maxiprocesso, presieduto dal giudice Alfonso Giordano. Nellaula bunker dellUcciardone di Palermo furono processati 456 imputati, una parte sostanziosa dellesercito di Riina. Il processo si concluse con una sentenza coraggiosa, confermata nel 1992 dalla Corte di Cassazione: 19 ergastoli, 2665 anni di carcere, 11,5 miliardi di multe e 114 assoluzioni.76 Una novit pure questa, resa possibile grazie allesclusione

dellammazzasentenze Corrado Carnevale, che prima sistemava le sentenze, nel senso di annullare gli ergastoli ai boss mafiosi in almeno otto processi.77 Come laltro elemento sostanziale della primavera, Marino indica la mobilitazione della societ civile, che reagiva al discredito morale per il quale tre quarti della classe politica italiana presente in Parlamento avrebbe dovuto affrontare i rigori dei magistrati. Ispirata di politici come Elda Pucci (lady di ferro) e il suo successore come sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, si costruivano alleanze degli onesti, dei coraggiosi e degli indignati, al di l delle frontiere o, meglio, degli steccati, di un senescente sistema di partiti che non riusciva a liberarsi dal dominio di uomini come Andreotti e Craxi.78 Marino giudica poi che il successo dellaltra Sicilia sia stato quello di imporre alla borghesia mafiosa, incluso gli andreottiani, di dimostrare la loro fedelt allo Stato in un impegno legalitario, anche se piuttosto superficiale e corretto da richieste di garantismo. La gran parte di loro si mostr, appunto, capace di una sopportazione passiva alla rivolta legalitaria. Quando, allinizio degli anni Ottanta, la stagione

75 76

Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., pp. 294 sgg. Cfr. Siebert Renate (1996), Mafia e quotidianit, p. 118. 77 Cfr. Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., pp. 274 sgg. 78 Ibidem, p. 301.

della primavera si stava concludendo, si faceva persino avanti unaccusa alla Magistratura di avere intenzione di criminalizzare lintera Sicilia.79

II. Il terrorismo corleonese

Gi dubitando dellarrivo di tempi migliori, Riina e i suoi cercarono di modificare e proprio la situazione, e a vantaggio dei picciotti sottoposti al carcere duro. La conferma della sentenza del maxiprocesso, grazie alla sospensione di Carnevale, costrinse Tot Riina ad attaccare lo Stato per rigenerare il suo potere. La sua tattica fu quella di rafforzare gli strumenti militari di Cosa nostra e punire i responsabili del suo isolamento: Lima, assassinato il 16 marzo 1992, e Andreotti, liquidato politicamente. Le stragi contro gli eccellenti (e superprotetti) giudici Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992, e Paolo Borsellino, il 19 luglio 1992, evidenziarono le capacit militari della criminalit diretta dai corleonesi. Marino ipotizza alcune complicit nella pubblica amministrazione:Falcone, infatti, non sarebbe mai stato cos ingenuo da rendere facilmente accessibili le informazioni sugli orari dei suoi spostamenti. Il giorno della strage era atterrato a Palermo a bordo di un aereo militare. Chi aveva fornito agli assassini tanto precise informazioni su un volo riservato da rendere possibile la perfetta sincrona di tutte le operazioni previste dal complesso piano stragistico? [] Anche allinterno di Cosa nostra non pochi pensavano che dietro certe stragi, da quella del luglio 1983 di cui era stato vittima il giudice Chinnici fino alle stragi Falcone e Borsellino, ci fossero agenti deviati dei Servizi [segreti].80

Il 26 settembre 1997 la Corte dassise del tribunale di Caltanissetta condann per la strage di Capaci Tot Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Cal, Leoluca Bagarella, Giuseppe Madonna, Bernardo Provenzano e Filippo Graviano. Nella sentenza vi furono 24 ergastoli, 26 anni di carcere al dichiarante Giovanni Brusca e pene detentive tra i quindici e i ventuno anni per gli altri imputati minori.81

Il 15 gennaio 1993, lo stesso giorno dellinsediamento di Gian Carlo Caselli alla guida della Procura di Palermo, le forze dellordine arrestano il ricercato imprendibile Salvatore Riina, dopo unindicazione del suo uomo di fiducia Balduccio Di Maggio. Fino a questo giorno il latitante godette di una quasi libert: poteva circolare con un certo agio in citt, servirsi dei

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Ibidem., pp. 303, 315, 318 sgg. Giordano, Tescaroli, 1998 in ibidem, p. 322. 81 Ibidem.

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pubblici ospedali, sposare Ninetta Bagarella in una villa nelle campagne di Cinisi (nel 1974), iscrivere regolarmente i propri figli nelle scuole statali, dotarsi di un regolare libretto di lavoro, frequentare ristoranti e circoli aperti al pubblico. Successivamente venne arrestato Giovanni Brusca, il cervello dellala terroristica, nella sua base di San Giuseppe Jato, a pochi chilometri da Palermo (20 maggio 1996).82 Fino al suo arresto, il terrorismo mafioso, per, continu. Il 27 maggio 1993 a Firenze unautobomba con 250 chili di tritolo uccise cinque persone, fece crollare la torre del Pulci e sfregi alcune preziose opere diate nella Galleria degli Uffizi. Lo stesso giorno, a Roma, due bombe danneggiarono la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio in Velabro. Il 15 settembre 1993 fu assassinato padre Pino Puglisi, che aveva tentato una penetrazione culturale negli ambienti giovanili, unesperienza di liberazione collettiva dallegemonia mafiosa.83 Cos si esprime Renate Siebert:Un forte senso di morte accompagna la nostra convivenza sociale e politica, la nostra quotidianit in questa fase della nostra Storia. Dire mafia e pensare morte tuttuno.84

Fallirono, invece, i piani di devastare il parco fiorentino dei Boboli, dove la bomba non esplose, e di assassinare il popolare giornalista e conduttore televisivo Maurizio Costanzo per la sua campagna antimafia (attentato del 14 maggio 1993). Dalle rivelazioni di Giovanni Brusca escono piani ancora pi malvagi per terrorizzare lItalia, che fortunatamente non furono effettuati: la diffusione di dosi di veleno mescolate alla marmellata delle merendine per bambini nei supermercati alimentari, posare migliaia di siringhe di sangue infetto dallAids sulle spiagge del litorale adriatico per mettere in ginocchio il turismo e fare saltare i templi greci di Selinunte.85 Riina avrebbe dichiarato: Se non fai la guerra, come fai a trattare la pace?.86 Le intenzioni terroristiche vennero rivelate dal pentito catanese Maurizio Avola:

ricattare lo Stato per costringerlo a rinunziare alla legge sui pentiti e al carcere duro per i boss, ma anche destabilizzare il quadro politico istituzionale, dare il colpo di grazia a una classe politica morente e favorire lavvento di un nuovo ceto politico come interlocutore pi disponibile al dialogo con Cosa nostra.87

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Ibidem, pp. 326 sgg. Ibidem, p. 325. 84 Siebert Renate (1994), cit., pp. 14 sgg. 85 Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., p. 325. 86 Ibidem, p. 332. 87 Ibidem, p. 323.

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Giuseppe Carlo Marino, a questo punto, vede la fine dellera corleonese, perch il destino di quelli che si oppongono a tutti sarebbe inevitabilmente il carcere.88 Tuttavia, le dichiarazioni degli uomini dellantimafia riportati da Marino stesso e dalla cronaca a partire della cattura del superlatitante corleonese Bernardo Provenzano l11 aprile 2006 finora non sostengono questa asserzione.

Il 11 aprile 2006, sotto la questura di Giuseppe Caruso, viene arrestato Bernardo Provenzano, capo di Cosa nostra e latitante da 43 anni.

III. Dalla sommersione alle ultime notizie Guido Lo Forte, il sostituto procuratore, aveva rilevato che, finita lera Riina menti raffinatissime siano al lavoro per dare vita ad una Cosa nuova, retta da Bernardo Provenzano (nato il 31 gennaio 1931 a Corleone), mente raffinatissima (cos assicurano vari pentiti, come il prizzese Tullio Cannella). Provenzano progettava un incuneamento della mafia nelle strutture del potere e unorganica ricostituzione dei rapporti con la politica. In seguito il suo soprannome cambia da u Tratturi a u Ragiuniere. Provenzano avrebbe rilanciato il classico ruolo della mafia di gran mediatrice tra i presunti interessi siciliani e i poteri nazionali. Gian Carlo Caselli, che lotta infaticabilmente contro lindifferenza suscitata da una mafia poco visibile, diffida dal pericolo che si stia formando una nuova mafia supersegreta superorganizzata.89

88 89

Ibidem, p. 326. Ibidem, pp. 332 sgg.

foto: Olycom, Diario 1952006, p. 25.

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Per la massima segretezza, il padrino di Corleone aveva scelto la comunicazione attraverso pizzini, cio foglietti spediti da postini come Bernardo Riina, in sacchetti camuffati come spazzatura. Contenevano richieste di raccomandazioni o di aiuto per ottenere lappalto, laccordo sul pizzo da pagare (messa a posto), strategie. I nomi degli interlocutori sono nascosti da numeri e sigle. ovvio che Provenzano, fino al giorno dellarresto, comandava, riuscendo a mandare e ricevere messaggi, indicando le sue preferenze per certi lavori.90

Con loperazione Grande Mandamento del gennaio 2005, un centinaio di favoreggiatori di Provenzano finirono in carcere, ma lui riusc a scappare. Racconta il questore Caruso:

A Provenzano erano rimasti i vecchi amici, suoi compari di Corleone ed i familiari. Per mesi li abbiamo seguiti con discrezione, a tutte le ore del giorno e della notte. Cerano quei sacchetti con viveri e vestiti che passavano di mano in mano, gli agenti con enorme pazienza hanno cercato di indivuare tutta la catena. [] Marted abbiamo visto quel braccio uscire dalla masseria. E prendere quello stesso sacchetto che seguivamo da giorni. Ero in contatto telefonico con [il capo della squadra mobile] Gualtieri, gli ho detto: andate. Se andava bene prendevamo Provenzano, se andava male un altro latitante.91

Non sapete il danno che state facendo avrebbe avvisato Provenzano nel momento della sua cattura.92 Le indagini continuano lo stesso e portano altri successi, innanzi tutto il maxi blitz del 20 giugno 2006 dal nome Gotha. Il colpo contro la nuova elite di Cosa nostra stata resa possibile per mezzo di una sorta di testo unico delle indagini antimafia.93 Il medesimo indica attori, metodi e affari di Cosa nostra a Palermo, individuati grazie alle intercettazioni, soprattutto quelle delle riunioni nel garage di fianco alla villa di Antonino Rotolo, uno dei padrini pi influenti di Palermo, in viale Michelangelo:

Il rito degli incontri era preparato con la cura dimostrata da altri padrini prima di lui. Mai, ovviamente, un appuntamento telefonico. Sempre un circuito di pizzini, poi il prelievo della persona che aveva richiesto lincontro da parte di un terzo in un luogo lontano, larghi giri, cambi di auto e poi lingresso nel residence di viale Michelangelo. L per la prima volta fu visto entrare due anni fa anche Nicola Mandal, il boss di Villabate, che aveva in custodia un pezzo della latitanza di Bernardo Provenzano. E loperazione Gotha ebbe inizio.94

Cfr. Arena R., Gargano L., Nel covo le lettere degli altri latitanti, Giornale di Sicilia (20/04/2006), p. 4. Cfr. Gargano Leopoldo, Io, Provenzano, la vera Palermo, Giornale di Sicilia (21/04/2006), p. 2. 92 Ibidem. 93 Cfr. Ziniti Alessandra, Sventata una guerra tra clan, La Repubblica (21/06/2006), p.II. 94 Bellavia Enrico, Mille sistemi per beffare le microspie. Nel box di lamiera il bunker del boss, La Repubblica (21/06/2006), p. III.91

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Eseguendo lordine del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dei sostituiti Roberta Buzzolani, Maurizio de Lucia, Nino Di Matteo, Domenico Gozzo e Michele Prestipino, la squadra mobile diretta da Piero Angeloni cattura 45 ricercati, in sette riescono a sfuggire (attualmente, dopo la consegna alle forze dellordine di Pino Savoca, linfluente boss e fedelissimo di Lo Picolo, mancano ancora quattro latitanti).95 Compiuta lazione, lattuale procuratore nazionale antimafia ed ex capo della Procura di Palermo, Pietro Grasso, vede le mafie italiane seppure ancora potenti in difficolt di liquidit e di uomini. Tornati a comandare sarebbero quelli della vecchia guardia.96 Gi prima, il capomafia di Trapani Matteo Messina Denaro (Alessio o il latitante di Castelvetrano) si lamenta in un pizzino trovato nel covo di Provenzano della rigidezza degli sbirri: A Marsala ci stanno arrestando anche le sedie Ci mancano i rincalzi dei rincalzi.97 Fesserie valuta invece Caruso di picciotti purtroppo ce ne sono ancora in abbondanza.98 Tuttavia, dopo gli arresti di 400 favoreggiatori dei Lo Piccolo, Salvatore (capo mandamento di Tommaso Natale, latitante da 23 anni) e di suo figlio Sandro (condannato allergastolo, latitante da sei anni), nelle operazioni San Lorenzo, quasi lo stesso numero colpiva il clan Provenzano nel corso degli anni, sembra possibile una sebbene, forse, temporanea difficolt di energie umane.99

Le indagini antimafia portarono alla luce pure nuovi legami tra mafia e politica. Pietro Grasso, il procuratore nazionale antimafia, rivela che Cosa nostra avrebbe cambiato il suo rapporto con la politica: sono diventati pi diffidenti, puntano a candidati sicuri come amici stretti se non addirittura parenti.100 Cosa nostra avrebbe, pertanto, gi scelto i propri candidati alle prossime elezioni comunali e provinciali di Palermo. Essendo, per, divisa nella scelta fra lUdc o Forza Italia (FI). Il conflitto nascerebbe dallo slancio di due candidati dal volto pulito. Luno Marcello Parisi, sostenuto non solo dallo zio mafioso Angelo Rosario Parisi, ma anche dal deputato regionale di FI Giovanni Mercadante, medico e nipote del boss Masino Cannella, arrestato il 10 luglio 2006 (egli avrebbe inoltre ripetutamente assistito Provenzano durante la latitanza).101 Racconta Antonino Cin (medico di Tot Riina e

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Cfr. Ziniti Alessandra, Sventata una guerra tra clan, La Repubblica (21/06/2006), p.II e Palazzolo Salvo, Si consegna il boss Savoca, La Repubblica (07/07/2006), p. VI. 96 Bolzoni A., Grasso: La mafia alle corde ora si infiltra nellantimafia, La Repubblica (23/06/2006), p. 27. 97 Arena R., Dai bigliettini di Provenzano nuovi indizi sul numero 60, Giornale di Sicilia (17/05/2006), p. 8. 98 Gargano, Leopoldo, Io, Provenzano, la vera Palermo, Giornale di Sicilia (21/04/2006), p. 2. 99 Cfr. Arena R., Gargano L., Nel covo le lettere degli altri latitanti, Giornale di Sicilia (20/04/2006), p. 4. 100 Bolzoni A. (23/06/2006), cit., p. 27. 101 Palazzolo Salvo, La campagna elettorale dei boss. I nostri uomini al Comune. La Repubblica (21/06/2006), p. IV e Lorello M., Ziniti, A., Mercadante indagato per mafia. Deputato con i voto dei padrini, La Repubblica (22/06/2006), p. III.

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probabilmente cosciente dei segreti delle stragi del 92, capo mandamento di San Lorenzo, anche lui ora in carcere) a Rotolo:Mi sono visto con Giovanni Mercadante. Gli ho fatto una premessa. Sono finiti i tempi che ci potevate prendere per fessi, qua non ci esce tu mi dai e io ti do, anche perch ti ho eletto, ti vai a guadagnare venti milioni al mese.102

Laltro il nipote di Francesco Bonura, il quale puntava sullUdc. Dalle intercettazioni nel box di Nino Rotolo sappiamo che la decisione ancora non era definitiva: Riferite cos istru Rotolo ai suoi Nino mi ha detto che al novantanove per cento siete orientati con lUdc, per dovete ancora decidere. Attualmente i due Parisi sono in carcere, con laccusa di associazione mafiosa, mentre Mercadante dichiara, il 20 giugno 2006, di non aver saputo delle parentele di Marcello Parisi e che Cin lavrebbe visitato solo per essere curato: mai avrebbero parlato di politica.103

Mentre lUdc non reagisce, lopposizione e Forza Italia si mostrano (davanti ai giornalisti) sconvolti e decisi a impegnarsi per smacchiare le proprie liste. Cos si esprime Francesco Cascio, vicepresidente uscente della Regione:Credo anchio che il problema dei voti di mafia, per quanto sono convinto che oggi non incida pi con grandissimi numeri, sia comunque da affrontare in una discussione di partito. Ma insieme ad altri due problemi. I voti comprati e i voti promessi in cambio di posti di lavoro. A cominciare proprio da questultima campagna elettorale. Come stata aperta uninchiesta a Siracusa, mi auguro che venga aperta anche a Palermo.104

Si riferisce allindomani delle elezioni, quando a Siracusa si dava inizio a uninchiesta, al momento a carico di ignoti, che riguarderebbe casi di voto di scambio (compravendita di voti al prezzo di almeno 50 euro ciascuno) e atti di pressioni sugli elettori.105 Il coordinatore regionale di Forza Italia Angelino Alfano dichiara che il suo partito reagirebbe voltando dora in poi le liste come un calzino, essendo cento volte pi attenti alle candidature. Gli si chiesto se i certificati penali, dunque, non bastino pi, risponde: La mafia cerca di insinuarsi sempre pi nella politica? Noi rispondiamo dicendo che non baster non essere mafiosi, ma essere antimafiosi.106102 103

Palazzolo Salvo, La campagna elettorale dei boss. La Repubblica (21/06/2006), p. IV. Ibidem. 104 Bonanno A., Contatti e relazioni pericolose La Repubblica (21/06/2006), p. IV. 105 Romano A., Inchieste giudiziarie e ricorsi sulle regionali del 28 maggio. La Repubblica (15/06/2006), p. III. 106 Bonanno A., Alfano: Passeremo le liste ai raggi X ma gli altri partiti facciano lo stesso, La Repubblica (22/06/2006), p. II.

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Contemporaneamente Salvatore Cuffaro, presidente della Regione siciliana dal 2001, si deve difendere davanti ai giudici del tribunale. Sarebbe stato in contatto con Cosa nostra tramite il suo amico Mimmo Miceli, che amico del boss di Brancaccio (Palermo) Giuseppe Guttadauro, da anni di nuovo in carcere, al quale il 15 giugno del 2001 arriva lavviso che viene intercettato in casa sua. Linformazione si sarebbe distribuita attraverso la catena Riolo Borzacchelli Cuffaro Miceli Aragona Guttadauro, con la conseguenza di annientare le indagini antimafia di due anni.107 Vi ancora da chiarire il rapporto del presidente con lingegnere Michele Aiello, il prestanome probabilmente pi importante di Bernardo Provenzano, a proposito delle opere pubbliche (strade interpoderali) e del tariffario per i rimborsi per la radioterapia effettuata nella clinica Villa Santa Teresa a Bagheria (costi gonfiati del duemila per cento: nel 2003 i costi annui erano di 50 milioni di euro, nel 2005 i costi annui qualit e quantit uguale, ma sotto sequestro erano di 6,5 milioni euro108). Dal 16 maggio 2006 il presidente viene giudicato nel processo sulle talpe per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra e rivelazione di segreto dufficio (primo interrogatorio il 13 giugno 2006).109 La sua strategia di difendersi si fonda sui non ricordo, se lavessi saputo, non sono scemo e ricordano male (gli altri): Se avessi saputo che Angelo Siino era un boss non sarei andato a casa sua a chiedergli i voti.110 Descrive linterrogatorio la giornalista Alessandra Ziniti:

Quello che Cuffaro non riuscito a spiegare il perch i tanti coimputati che sostengono quello che a suo dire falso, dovrebbero accusarlo. Campanella, Aiello, i Bruno, Aragona, Siino, Riolo, Miceli, Zangh, Vassallo, Raso: Hanno motivo di risentimento nei suoi confronti?, ha chiesto il pm. No, ha risposto il governatore. 111

Cuffaro neanche fu in grado di spiegare la frase finalmente ricavata dalle intercettazioni a casa Guttadauro, pi importante per laccusa nei suoi confronti: Ragiunivero ragiuni ava Tot Cuffaro, espresso dalla moglie del boss in dialetto siciliano dopo un agitato scambio di battute tra Guttadauro e i suoi familiari alla ricerca delle microspie.112

Cfr. Bianchi Stefano Maria, Nerazzini Alberto (2005), La mafia bianca. Milano: Bur, pp. 70 sgg. Cfr. Ziniti A., Sanit, cos Aiello gonfiava i conti, La Repubblica (28/06/2006), p. V. 109 Cfr. Arena Riccardo, Cuffaro, un unico processo per le due accuse, Giornale di Sicilia (03/05/2006), p. 6 e Le talpe nella Dda. Oggi lesame di Cuffaro, Giornale di Sicilia (13/06/2006), p. 13. 110 Ziniti, Alessandra: Cuffaro in aula: Mai prese tangenti, La Repubblica (21/06/2006), p. IV. 111 Ibidem. 112 Cfr. Ziniti A., Una frase incastra il governatore, La Repubblica (22/06/2006), p. II.108

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Nella campagna elettorale Cuffaro dichiar non solo che ama la Sicilia e i siciliani, ma altres che la mafia fa schifo, e diretto a Provenzano: Mi fa schifo anche lui.113 Viene rieletto il 29 maggio di questanno, trionfando sulla sua concorrente Rita Borsellino, sorella del giudice ammazzato della mafia nella strage di via DAmelio nel 1992.

Come cercheranno di sopravvivere i boss di Cosa nostra?, chiede il giornalista Attilio Bolzoni a Pietro Grasso. Cos risponde il magistrato:

Mimetizzandosi. Anche dentro lantimafia. Lultima frontiera della mafia proprio quella: infiltrarsi nellantimafia. A un commerciante considerato amico loro, i boss di Palermo hanno consigliato di iscriversi ad unassociazione antiracket.114

8. ConclusioneCosa nostra sembra, quindi, essere in difficolt. Secondo il questore di Palermo Giuseppe Caruso sarebbe addirittura il momento di farla finita con la mafia.115 Almeno sembra evitata una nuova guerra di mafia, provocata da contrastanti opinioni dei clan riguardanti il ritorno dei figli e nipoti dei grandi capi scappati nell81 negli Usa dalla condanna a morte dichiarato dai corleonesi e dallordine della Commissione, ufficialmente ancora in vigore, di uccidere tutti gli scappati se mai un giorno fossero ritornati in Sicilia.116 Nino Rotolo sarebbe gi stato alla ricerca di acido per squagliare i cadaveri. Come probabili successori di Provenzano al vertice di Cosa nostra vengono fatti due nomi: Salvatore Lo Piccolo, che favorisce laccoglimento degli Inzerillo e che secondo il questore Caruso continuerebbe la strategia della sommersione, e Matteo Messina Denaro, con il quale potrebbe avvenire un cambiamento di rotta.117 Tutti e due sono al momento ricercati con un grande sforzo, noto come il modello Palermo. Spiega Pietro Grasso: la tecnica investigativa che ci ha insegnato Giovanni Falcone, andare avanti sempre con i piedi di piombo.118

Chiappasi Giovanni, Cuffaro promette: Lavoro ai precari. Lotta alla mafia? Non bastano i lenzuoli, Giornale di Sicilia (15/05/2006), p. 6. 114 Bolzoni A. (23/06/2006), cit., p. 27. 115 Cfr. Gargano Leopoldo: Io, Provenzano, la vera Palermo, Giornale di Sicilia (21/04/2006), p. 2. 116 Cfr. Bolzoni Attilio, Dagli Usa tornano gli scappati e adesso tremano i Corleonesi, La Repubblica (21/06/2006), p. 13. 117 Cfr. Gargano Leopoldo, Io, Provenzano, la vera Palermo, Giornale di Sicilia (21/04/2006), p. 2. 118 Bolzoni A., Grasso: La mafia alle corde ora si infiltra nellantimafia, La Repubblica (23/06/2006), p. 27.

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Difficile immaginare che Cosa nostra possa arrendersi senza combattimento. Difficile immaginare pure che possa accadere a quella parte della societ consenziente nei confronti della mafia. Difficile immaginare, ancora, come possa rapidamente formarsi una nuova classe dirigente in una realt che osserva Marino , dal punto di vista dei suoi attuali problemi sociali ed economici, sta attraversando una delle pi acute fasi di sofferenza della sua storia.119 Tranfaglia prevede che se il rapporto tra Stato e cittadini non cambier, la mafia sar sempre in grado di assicurarsi omert e giovani leve da avviare agli affari e agli omicidi.120 Ci vorrebbe, dunque, una nuova cultura di massa, di politica, di economia. Ci vuole fiducia nelle istituzioni e rappresentanti dello Stato, invece accontentarsi o fuggire. Bisogna sostenere le forze dellordine e della giustizia nella loro lotta coraggiosa.

119 120

Marino Giuseppe Carlo (2002), cit., p. 338. Tranfaglia Nicolo (1991), cit., p. 103.

foto: Maria Meister e Diario 1952006 (Addiopizzo), p. 34. montaggio: Maria Meister

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BibliografiaMonografie Bianchi Stefano Maria, Nerazzini Alberto: La mafia bianca. Milano: Bur, 2005. Demarchi F., Ellena A. e Cattarinussi B. (a cura di), Nuovo Dizionario di Sociologia, Cinisello Balsamo (Milano): Edizioni Paoline, 1987. Gallino Luciano: Dizionario di Sociologia. Seconda edizione riveduta e aggiornata. Torino: UTET, 1993. Lupo Salvatore: Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri. Nuova edizione riveduta e ampliata. Roma: Donzelli editore, 1996. Marino Giuseppe Carlo: Storia della mafia. Dall Onorata societ a Cosa nostra, sullitinerario SiciliaAmerica-mondo, la ricostruzione critica di uno dei pi inquietanti fenomeni del nostro tempo e delle eroiche lotte per combatterlo. Roma: Newton & Compton editori, 2002. Santino Umberto: La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi. Soveria Mannelli: Rubbettino Editore, 1995. Siebert Renate: Le donne, la mafia. Milano: il Saggiatore, 1994. Siebert Renate: Mafia e quotidianit. Un manuale per capire. Un saggio per riflettere. Milano: il Saggiatore, 1996. Tranfaglia Nicola: La mafia come metodo nellItalia contemporanea. Bari: Laterza e Figli, 1991. Tranfaglia Nicola: Mafia, politica e affari nellItalia repubblicana. 1943-91. Roma-Bari: Laterza, 1992. Wikipedia: Cosa Nostra. http://it.wikipedia.org/wiki/Cosa_nostra, 07/07/2006.

Articoli Arena Riccardo, Gargano Leopoldo, Nel covo le lettere degli altri latitanti, Giornale di Sicilia (20/04/2006), p. 4. Arena Riccardo, Cuffaro, un unico processo per le due accuse, Giornale di Sicilia (03/05/2006), p. 6. Arena Riccardo, Dai bigliettini di Provenzano nuovi indizi sul numero 60, Giornale di Sicilia (17/05/2006), p. 8. Arena Riccardo, Le talpe nella Dda. Oggi lesame di Cuffaro, Giornale di Sicilia (13/06/2006), p. 13. Bellavia Enrico, Mille sistemi per beffare le microspie. Nel box di lamiera il bunker del boss, La Repubblica (21/06/2006), p. III. Bolzoni Attilio, Dagli Usa tornano gli scappati e adesso tremano i Corleonesi, La Repubblica (21/06/2006), p. 13. Bolzoni Attilio, Grasso: La mafia alle corde ora si infiltra nellantimafia, La Repubblica (23/06/2006), p. 27. Bonanno A., Contatti e relazioni pericolose. Gli azzuri tornano a tremare. La Repubblica (21/06/2006), p. IV. Bonanno A., Alfano: Passeremo le liste ai raggi X ma gli altri partiti facciano lo stesso, La Repubblica (22/06/2006), p. II. Chiappasi Giovanni, Cuffaro promette: Lavoro ai precari. Lotta alla mafia? Non bastano i lenzuoli, Giornale di Sicilia (15/05/2006), p. 6.

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Gargano Leopoldo: Io, Provenzano, la vera Palermo, Giornale di Sicilia (21/04/2006), p. 2. Lorello M., Ziniti, A., Mercadante indagato per mafia. Deputato con i voto dei padrini, La Repubblica (22/06/2006), p. III. Palazzolo Salvo, La campagna elettorale dei boss. I nostri uomini al Comune. La Repubblica (21/06/2006), p. IV. Palazzolo Salvo, Si consegna il boss Savoca, La Repubblica (07/07/2006), p. VI. Romano A., Inchieste giudiziarie e ricorsi sulle regionali del 28 maggio. La Repubblica (15/06/2006), p. III. Ziniti Alessandra, Sventata una guerra tra clan, La Repubblica (21/06/2006), p.II. Ziniti Alessandra, Cuffaro in aula: Mai prese tangenti, La Repubblica (21/06/2006), p. IV. Ziniti Alessandra, Una frase incastra il governatore, La Repubblica (22/06/2006), p. II. Ziniti Alessandra, Sanit, cos Aiello gonfiava i conti, La Repubblica (28/06/2006), p. V.

Fonti usati per la figura p. 25 Marino Giuseppe Carlo (2002), op. cit. Palermoweb: www.palermoweb.com/iniziative/falcone1.asp, 07/07/2006. Polizia di Stato: Vittime della Mafia (21/05/2005). http://www.poliziadistato.it/pds/primapagina/mafia/giornata_memoria.htm

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