LA LIRICA IN MUSICA DI ADA NEGRINEGRI ADA... · 6 costruirà il mito della propria infanzia. Ada...

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1 Università degli Studi di Milano Facoltà di Lettere e Filosofia LA LIRICA IN MUSICA DI ADA NEGRI Relatrice: Chia.ma Prof. GiULIANA NUVOLI Laureanda: ROBERTA BUZZI Anno Accademico 2010-2011

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Università degli Studi di Milano

Facoltà di Lettere e Filosofia

LA LIRICA IN MUSICA DI ADA NEGRI

Relatrice:

Chia.ma Prof. GiULIANA NUVOLI

Laureanda:

ROBERTA BUZZI

Anno Accademico 2010-2011

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INDICE

1. PREMESSA pag.2

2. CAPITOLO I: La vita, le opere

♦ Nota biografica pag.4

♦ La serva, l’operaia, la maestra pag.6

♦ Fatalità e le altre opere: leggere Ada Negri pag.18

3. CAPITOLO II: Poetessa musicata

♦ Il criterio dei compositori: eroine domestiche alla deriva pag.31

♦ Parole in musica pag.37

♦ Un confronto con Salvatore di Giacomo pag.60

4. CAPITOLO III: Musica e parole

♦ Quattro liriche musicali da camera su testi di Ada Negri pag.73

♦ Motivi musicali attraverso la penna della poetessa pag.100

5. CONCLUSIONI pag.116

6. BIBLIOGRAFIA pag.118

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PREMESSA

Lo scopo di questo percorso vuole essere quello di mettere in luce alcuni dei temi

chiave presenti nella prima raccolta (Fatalità) della poetessa lodigiana attraverso la

ricezione e gli effetti che questi hanno negli ambienti artistico-borghesi nei primi

decenni del secolo scorso.

Numerose sono, infatti, le trasposizioni musicali di compositori italiani da camera sui

testi poetici della Negri, proprio perché veicoli di quelle tematiche, posture, attitudini

spesso frequentate dalla schiera dei musicisti “transizionali” tra Ottocento e

Novecento.

Tutti i maggiori compositori, poeti, librettisti di questo periodo possiedono una

copia, nel caratteristico formato de poche, di Fatalità (composto da sessantun liriche

brevi), dai membri dell’intellighenzia coeva, a Luigi Illica, librettista prediletto da

Puccini.

A tutt’oggi però manca un contributo che discuta organicamente il corpus di

intonazioni e trasposizioni musicali di cui è stata eletta oggetto la metà circa delle

poesie che compongono questa prima raccolta negriana; certo la presente tesi non

vuole prendersi né l’onere né la presunzione di adempiere a un tale compito,

semplicemente vuole cercare di identificare il denominatore comune che spinge

questi artisti a diffondere anche tramite la loro musica i versi della poetessa.

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CAPITOLO I

La vita, le opere

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Nota biografica

Ada Negri nasce a Lodi il 3 Febbraio 1870 da una famiglia di umili origini; la madre

Vittoria Cornalba è tessitrice e il padre Giuseppe Negri vetturino.

Dopo appena un anno dalla sua nascita Ada resta orfana del padre, avvezzo ad uno

stile di vita improntato all’abuso di sostanze alcoliche; così madre e figlia si

trasferiscono nella portineria del palazzo dove la nonna materna (la nonna Panni)

lavora come custode presso la nobile famiglia Barni.

In portineria Ada passa molto tempo sola, osservando il passaggio e i comportamenti

delle persone, da qui, sul rapporto tra la sua famiglia e quella nobile dei Barni

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costruirà il mito della propria infanzia. Ada però non è figlia unica, ha un fratello più

grande Annibale, “Nani”, che la madre ormai vedova non può portare con sé in

portineria per divieto dei Barni. Nani viene affidato da Vittoria a suo fratello, “lo zio

maestro”, che non può avere figli dalla moglie; Annibale però si porterà dietro per

tutta la sua breve vita il sentimento dell’abbandono materno, arrivando a definirsi

“orfano di una madre viva”, ed è forse per questo suo vuoto che seguirà una strada

inconcludente, fatta di scelte sbagliate, diventando per Ada uno “spostato”. 1

Inizia proprio all’interno della sua famiglia quel particolare rapporto di quasi

negazione del mondo maschile, ispirato probabilmente dalle fallimentari unioni

familiari uomo/donna cui ha da sempre assistito.

La madre Vittoria, per garantirsi un guadagno sicuro, cambia lavoro e trova impiego

in fabbrica; è grazie ai suoi sacrifici se Ada frequenterà la Scuola Normale femminile

di Lodi, dove conseguirà il diploma di insegnante elementare.

Il suo primo impiego è al Collegio Femminile di Codogno nel 1887; ma la vera

esperienza di insegnamento che cambia la sua vita e la sua produzione artistica verrà

intrapresa a partire dal 1888 presso la scuola elementare di Motta Visconti, paesotto

in provincia di Milano nel quale Ada trascorrerà il periodo più felice della sua vita.

Al mestiere di maestra è contemporaneamente legata la sua attività di poetessa: in

questo periodo compone le poesie poi pubblicate nella raccolta del 1892, Fatalità.

Questo libro avrà un grande successo, portando Ada a conquistare grande fama, tanto

che, su decreto del Ministro Zanardelli, le viene conferito il titolo di docente ad

1 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazia Deledda, Ada Negri, Matilde Serao pp.105/177, I ed., Rizzoli

Editore, Milano 1997

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honorem presso l’Istituto superiore “Gaetana Agnesi”. Così si trasferisce con la

madre nel capoluogo lombardo. 2

La serva, l’operaia, la maestra

UN VERO MITO DI FONDAZIONE Peppina Panni al servizio del vecchio conte

della Famiglia Cingia-Barni nel palazzo di corso di Porta Cremonese, conosce e in

seguito sposa il cocchiere dei signori, Tommaso Cornalba, rafforzando così la sua

posizione di bene di famiglia; lì partorisce i due figli Annibale e Vittoria per poi,

dopo poco, seppellire rapidamente il marito e trasferirsi al servizio del conte figlio

quando questi sposerà una famosa cantante lirica, Giuditta Grisi. Ada invece nelle

sue memorie dirà qualcosa di diverso, di più prestigioso, riguardo la carriera di

servizio di sua nonna: Peppina sarebbe arrivata a casa Barni in quanto fedele

domestica della cantante Grisi. Seppur sempre umile, per Ada questa è la vera favola

genealogica della sua vita; un’origine di fantasia come via di fuga, di salvezza, ma

anche come scelta di diversità. Non importa se ha ragione, circa la storia fantastica di

Peppina; Ada ha costruito questo sogno aggirandosi come un animale in gabbia

all’interno della portineria, il luogo deputato all’esercizio della servitù; un luogo per

chiedere nomi, salutare rispettosamente, accogliere umilmente o rimandare con

sdegno.3

LA FIGURA DELLA MADRE Vittoria è artefice di uno dei principali prodigi

dell’infanzia di Ada; o meglio, è la sua voce a compiere questo prodigio. La sera

nonna e madre mandano a letto presto la piccola Ada; lei, ogni sera, finge di

addormentarsi e invece si mette ad ascoltare la voce della madre che proviene dalla

stanza accanto. Vittoria canta, alle volte recita poesie, legge i romanzi d’appendice

2 http://it.wikipedia.org/wiki/Ada_Negri

3 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao, I ed., pp. 105/126, Rizzoli

Editore, Milano 1997

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pubblicati a puntate da un quotidiano, e Ada se ne ricorderà sempre; amori, delitti,

intrighi, formano i primi passi della sua conoscenza. Del padre di Ada, morto da

tempo, Vittoria non parla mai; del marito ricorda solo la morte e la piccola figlia

crede che quella morte sia stata un sollievo sia per lei che per la madre: chi è inutile è

dannoso, chi è dannoso deve morire; e Giuseppe Negri è morto per tempo, < Per due

bimbi piccoli, è ben più provvida una madre vedova, ma attiva e sana, che non lo

siano cento padri beoni >. Quello che Ada ne sa è che c’era stata un’ottusa fatalità,

né amore né scelta, nell’incontro tra Giuseppe e la ragazza che sua madre Vittoria era

stata; per certi amori la vera essenza è la fretta. E Ada ormai aveva maturato quasi la

sensazione di essere la fidanzata e sua madre il suo fidanzato.

La Vittoria mamma di due figli, vedova di marito, e tornata a vivere con la madre,

rientra nella schiera di quelle donne che vivono o imparano a vivere dimentiche del

proprio sesso, ignorandone i desideri e le inquietudini. Il ricordo del matrimonio si

protrae nella vita come quelle cicatrici di guerra che tornano a farsi sentire come

malesseri nelle giornate di cattivo tempo; a Vittoria ora bastano la sua instancabile

attività, l’affanno e la routine della fabbrica. E questa modalità di vivere condiziona

Ada durante il periodo infantile e per tutta la sua adolescenza.

E’ come se le tre donne siano -e, in fondo, siano state- sempre ognuna nel grembo

dell’altra, lasciando il mondo al di fuori: la fragile Peppina sarebbe la moglie,

Vittoria il robusto e coraggioso marito, e Ada la loro creatura, che grazie all’idolatria

materna, posta su un piedistallo, diventa una bambina solitaria che imbraccia le armi

del rancore nei confronti del mondo.4

Dal momento che Vittoria entra in fabbrica, smette di essere una donna e diventa

4 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazie Deledda, Ada Negri e Matilda Serao, I ed., pp. 130/177, Rizzoli

Editore, Milano !997

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operaia; nei ritmi e nei rumori degli ingranaggi, Ada vede il corpo degli operai

subire una modificazione: il corpo delle femmine diventa brutale come quello degli

uomini e il corpo dei maschi diviene fragile come quello delle donne. La fabbrica è il

luogo della potenza e del comando, prescindendo dalle figure dei padroni, i veri capi

sono gli ingranaggi e gli edifici stessi. La fabbrica è come una prigione, ma una

prigione che dà da vivere.

LA FORMAZIONE DI UN PENSIERO

Ada non è bella ed è povera; una ragazza senza padre, con la madre operaia e con

nessun’altro che si occupi di lei nell’Italia del 1880. Nell’infanzia riesce a coltivare

un sentimento, unico e decisivo: l’odio; e questo odio la proteggerà dalla paura e le

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darà un modo di partecipare alla storia del suo tempo tutto particolare. La

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caratteristica principale di questa sua partecipazione alla vita è una sorta di fanatica

ingenuità, che la porta a considerare la storia come una leggenda in divenire e ad

interpretare la modernità, il nuovo e più in generale i cambiamenti, come un

segretissimo senso di rivendicazione, come la possibilità della protesta e della

ribellione. E per Ada questa ribellione sarà radicale: non si tratta solo di rifiutare il

mondo di provenienza, ma il destino stesso.

L’entrata in fabbrica della madre coincide con il suo conseguente allontanamento da

casa; per non essere di peso alla vecchia nonna Ada viene mandata all’asilo delle

monache. Già da piccolissima diffida degli altri perché gli altri diffidano di lei.

Quando sarà abbastanza grande per andare a scuola, anche questo luogo non le

ispirerà altro che diffidenza5.

Gli anni in cui Ada cresce sono quelli in cui nel nuovo Regno d’Italia l’istruzione

viene riorganizzata, si aprono le sue porte sia per i poveri che per le donne. La Legge

Coppino che rende obbligatoria l’educazione elementare è del 1876; e sappiamo già

come Ada dalle novità ricavi un ben temperato sentimento d’insubordinazione, anche

se silenzioso, perché sa che non le conviene essere apertamente ribelle e per questo

sviluppa una precocissima arte dell’impassibilità. Vive la scuola senza rapporti con

nessuno perché non sopporta nessuno; vede la scuola come un contro-veleno, l’unica

alternativa contro la fabbrica e la servitù. E’ per questo che studiare da maestra è

l’unica via di fuga per non diventare né serva come la nonna né operaia come la

madre.

La scuola per Ada è anche una specie di palestra in cui rafforzare l’armatura del

5 Mauro Pea, Ada Negri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970

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proprio corpo: qui sperimenta una mimica corporea che serve inoltre come scudo del

proprio cuore. Per Ada scuola significa questo: stare attenta a non ridere quando il

coro delle altre scolarette piange.

A giudicare dagli scritti in cui Ada Negri parla della sua infanzia e adolescenza, i

sentimenti che trapelano prevalentemente sono il disprezzo più che il timore di tutti e

di tutto ciò che la circonda e che non appartenga esclusivamente al suo dominio

mentale. Ma la fabbrica dove lavora sua madre, al contrario della sua scuola, diviene

un luogo per cui provare sia timore che rispetto. Ad Ada sembra di capire che in

fabbrica i rapporti tra chi comanda e chi ubbidisce non sono approssimativi come nel

palazzo dei Barni o come a scuola: la disciplina tra gli operai è ferrea, le mancanze

sono punite a seconda della maggiore o minore gravità6.

L’EDUCAZIONE DI UNA FIGLIA Vittoria non pensa mai a Ada come ad una

ragazza da educare in quanto tale; lei che ha disconosciuto il proprio sesso, ora

disconosce quello di sua figlia, o per lo meno preferisce non pensarci. Il ciclo

femminile Ada non sa cosa sia, qualcuno gliene ha parlato, una volta, vagamente, ma

lei non ha prestato attenzione, per disinteresse. Ma il pomeriggio di un giorno di

primavera, mentre sta imparando una poesia per la scuola, ne riceve la visita

inaspettata; d’un tratto ha l’impressione di sprofondare dentro sé stessa, di essere

risucchiata dentro il proprio corpo; così, disorientata, vede il suo sangue rosso,

denso, carico di un odore straniero e selvaggio mai pensato; è terrorizzata, forse

morirà dissanguata, o forse di lei troveranno solo quella macchia rossa perché sta per

liquefarsi in essa. Ada piange di rabbia e di disgusto perché crede che quella

6 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao, pp. 105/177, I ed., Rizzoli

Editore, Milano 1997

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deplorevole novità del suo corpo la metta al livello di tutte le donne dementi nate per

servire.E invece Ada non vuole essere né uomo né donna; vuole solo essere uno

spirito, libero come un fantasma o forse come un uccello, così scopre dentro di sé un

nuovo rancore, un nuovo desiderio di riscatto.

E’ Zola a farle da padre; lui fornisce ad Ada le parole e le idee adeguate per pensare

ai tanti “spostati” e disgraziati che conosce e trasformarli così in “ribelli”. Ada ha

capito ormai da tempo che quei pochi libri letti saranno per lei l’unica sua dote per il

suo matrimonio con il mondo.

Attraverso Vittoria Ada non avrebbe capito praticamente nulla della fabbrica.

Vittoria non ha molta coscienza di sé, né tantomeno della sua classe sociale; lei sta in

fabbrica come una fatalità e Ada arriva a definirla come una “collaboratrice” dei

padroni senza riuscire a spiegarsi se questa constatazione sia un bene o un male. Ma

Vittoria, in fabbrica, non è né cattiva né buona, è semplicemente aggrappata alla

propria sopravvivenza; lei è solidale con sua madre e con sua figlia perché del loro

destino e della loro esistenza partecipa direttamente.

Cresciuta così Ada non riesce a percepire la vita della madre separata dalla sua; dopo

la fine del suo sfortunato matrimonio, quando prenderà casa a Milano per sé e per la

figlia Bianca, Ada chiamerà la madre a finire la sua vita con loro. E di nuovo in tre,

come in passato, saranno quasi felici; la nonna, la madre e la figlia, una famiglia tutta

al femminile, non danneggiata dalla presenza maschile, come aveva avuto nella sua

infanzia.

Ma quello che all’origine unisce Ada e Vittoria con una forza di molto superiore alla

tenerezza e alla fiducia è il sacrificio di Nani, il primogenito; egli è la vittima

sacrificale sull’altare della sorella minore, e la madre sa per certo che a salvarsi sarà

la bambina.

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Ada a proposito del fratello, è murata nella più impenetrabile insensibilità; anzi,

quando nei suoi ricordi Ada traccia il ritratto dello “spostato” da giovane, prende

come modello di atteggiamenti e di gesti proprio suo fratello. Dopotutto lei forse non

crede nemmeno che Nani sia suo fratello: non si somigliano; lui ha avuto tutte le

fortune ma gli si sono rivoltate contro: l’amore della madre in abbandono, la bellezza

estetica in diversità, la bravura nello studio nella sconfitta di chi interrompe gli studi

che ama.

Nonostante ciò, la lezione amorosa di Nani non passa inosservata ad Ada, né lei può

rimanere muta a riguardo. Ancora adolescente, suo fratello ha già un’amante; Nani fa

parte di quella specie di persone che conoscono l’allegria solo nella sua forma

estrema, esagerata e dannosa: l’euforia. Ada prova a chiedergli se è davvero

necessario mettersi a fare all’amore, ma lui le ride in faccia perché, dice, queste sono

cose che lei non può capire. Invece Ada capisce, e si ritrae di sua spontanea volontà

da quel movimento di corpi che lei vede come una malattia, e ne evita il contagio. Ha

ragione sua madre a preferirla a quel primogenito che si precipita da solo verso la

propria fine7.

LA MAESTRA E LA POETESSA La favola di Ada è questa: nella realtà lei è

cresciuta in una sorta di penombra della civiltà, sa che i poveri non possono essere

altro che corpi; ma in qualche modo deve far fruttare i doni e i beni che sua madre le

ha regalato, l’immenso tesoro datole dalla voce materna, la preziosa tela sonora che

l’ha difesa. E’ così che comincia a scrivere versi; vuole, magari anche

inconsciamente, ricompensare la voce della madre.

7 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao, pp.105/177, I ed., Rizzoli

Editore, Milano 1997

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Spesso scrive di notte quando non riesce a dormire, o quando si sveglia di

soprassalto accanto al quieto corpo della madre sfinita dal lavoro in fabbrica; ma

scrive anche di giorno, perché da quando la nonna è morta, e la mamma distante

perché al lavoro, Ada ha scoperto un’inaspettata ricchezza, forse la più promettente

di tutte: la solitudine.

Ora è quasi sempre sola: lei non cerca nessuno, e nessuno cerca lei; se non fosse per

le ore “perse” a scuola, questa sua nuova indipendenza le darebbe una gioia assoluta.

La solitudine cura le sue vecchie ferite e le sue recenti seccature, è una medicina per

l’anima e per il corpo, una salvezza.

Si mette in cerca anche di nuovi luoghi solitari: a volte va in chiesa perché le piace il

clima fresco e l’odore di incenso, ma non riesce a pregare; già perché per pregare

serve umiltà, ma Ada l’umiltà non l’ha mai voluta imparare, l’ha sempre tenuta

lontano come una malattia, per dedicarsi invece con zelo e passione a costruire e

proteggere la sua superbia. Ma più di tutto le piace il cimitero perché ha altri

vantaggi: nella stessa terra dove ora giace sepolta la nonna portinaia si trova da

qualche tempo anche la signora Barni; sottoterra non può più rivolgerle ordini,

rimproveri e insulti.

Niente la frena ormai durante le sue solitarie fantasticherie; le sue ore di letture e

riflessioni le sembrano molto più utili delle ore trascorse a scuola, anche se adesso è

alla Normale. Per Ada, dopotutto, questa scuola di avviamento al lavoro ha solo

funzione di salvataggio, non di formazione; Ada non crede nella vocazione, e si

rende conto che comunque gli studi, così faticosamente condotti, a scopo di libertà

non sarebbero riusciti che a farne una serva o un’operaia di altro genere: del metodo

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scolastico.

I pomeriggi di solitudine permettono alla ragazza Ada di misurare i propri

sentimenti; a parte l’amore che prova per la madre, sicuro e intenso, Ada è stupita

dalla brevità degli altri, dalla loro aridità. Si rende conto che forse nessuna ragazza è

più sola di lei, ma che nessuna potrebbe mai rimpiangere quella sua solitudine dorata

più di lei.

Tra le compagne di scuola non aveva che sentito bisbigliare di amore, ma questo a lei

non interessava8.

C’è un solo interlocutore nella sua solitudine: la sua immagine confusa riflessa da un

vecchio specchio rovinato; Ada prende spesso l’abitudine di dialogare con quel volto

impreciso.

Quando inizia a scrivere, questo atto per lei non ha nulla a che vedere con l’arte, né

tantomeno con l’ipotesi di una possibile strada verso la propria emancipazione.

Scrivere per Ada è un puro e semplice atto di giustizia, e sarà questo il suo destino di

scrittrice. Non smette più di scrivere, Ada.

Il 20 dicembre 1891 esce sulla prima pagina del <<Corriere della Sera>> un articolo

firmato da Sofia Bisi Albini, nota letterata e giornalista di fine secolo; cominciava

così:<<Sta a Motta Visconti […] Ma chi è Ada Negri? […] >>.

Chi è Ada Negri? La Albini ha capito che quella presuntuosa ragazzotta lodigiana è

un caso letterario, un caso sociale e, specialmente, un caso giornalistico; prosegue:

<<Perché nessuno l’ascolta?...>>.

In attesa che arrivi la fama, Sofia Bisi Albini scrive: <<Lascia che io dica prima un

poco della melanconica verità; essa è un onore per te, e alla tua povertà un giorno tu

8 Mauro Pea, Ada Negri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970

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ripenserai con dolcezza e con gratitudine perché ad essa devi in gran parte quello che

sei>>9. Ed ecco che la piccola leggenda di Ada Negri è confezionata.

Al compimento dei diciotto anni, il 3 febbraio 1888, la Scuola Normale di Lodi le

rilascia la patente di maestra; ora potrà diventare veramente una maestra, guadagnare

di più di quello che le davano al Collegio Femminile di Codogno, ora potrà riscattare

sua madre dalla fabbrica.

Ma quel certificato è di più di questo per Ada: è un documento che la rilegittima alla

vita, quello che guadagnerà le sarà dovuto; e finalmente le sarà dovuto qualcosa, non

più solo concesso o regalato.

Così come sua madre Vittoria aveva pensato che servire le macchine era meglio che

servire un padrone in carne e ossa, così ora Ada crede che servire lo Stato sia ancora

meglio che servire le macchine della fabbrica, perché questo Stato come entità è

ancora più impersonale. Ad Ada del nuovo Stato Italiano non importa nulla; è solo

un padrone con cui non si ha a che fare personalmente e dal quale bisogna cercare di

ricavare il più possibile.

Ada non ama il lavoro in generale, ma quando arriva a Motta Visconti, per la prima

volta nella sua vita, resta piacevolmente sorpresa.

Le piacciono i ragazzi a cui insegna e lei piace a loro; oltre ai bambini selvaggi e ai

loro genitori, le piacciono i suoi padroni di casa. Ha trovato una sistemazione, i

panettieri del paese le fanno pensione, e tutte le mattine si sveglia con il profumo di

pane appena sfornato.

Tutto l’odio e il rancore accumulati durante gli anni passati in portineria, l’ABC

interiore del suo risentimento sono diventati la metrica dei suoi versi, e lei ne è libera

9 Elisabetta Rasy, Ritratti di signora. Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao, p.162, I ed., Rizzoli Editore,

Milano 1997

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finalmente, persino l’amore ora la spaventa di meno, e accetta anche che qualcuno la

corteggi. Stare vicino a un uomo per Ada è come ascoltare gli odori e i rumori della

natura; quando viene toccata da un uomo, ha come la sensazione che la pelle le si

incendi, e cerca di limitarne i danni ma non pensa veramente al matrimonio perché

lei, figlia di una nonna e di una madre, non sa bene che cosa sia il matrimonio.

A spezzare la clausura del suo cuore, sono però le donne; altre voci si aggiungono a

quella solitaria di Vittoria, e la comunità femminile della Motta dà per la prima volta

ad Ada il sentimento di non essere da sola.

Nell’estate del 1890 Vittoria si licenzia dalla fabbrica e raggiunge la figlia a Motta

Visconti. Dopo due anni di insegnamento la maestra Negri è conosciuta e benvoluta,

gli abitanti le hanno trovato una casa dove può alloggiare con al madre, ed è la prima

casa che non devono alla carità di nessuno.

Ada è diversa ora, le sue poesie stanno a metà tra un comizio e un romanzo

d’appendice perché ora è diversa la sua vita.

Fatalità, con la prefazione di Sofia Bisi Albini, formato ridotto, è un successo

straordinario: sette volte edito, tradotto in Francia e Germania, riconosciuto in tutta

Europa. In esso Ada è assistita da una costante mancanza di fantasia che le regala la

sincerità, l’ordine e perfino lo stile.

Parla prevalentemente di sé sotto travestimenti poco azzardati, del povero mondo che

seppur nella sua fredda muraglia difensiva ha amato come sempre si ama, nonostante

l’orrore e il dolore, il mondo di quella derelitta schiera femminile che ha conosciuto,

vite di donne.

Parla dei maschi, semplicemente vuoto abbandono, minaccia, come suo padre e suo

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fratello. Sono parole di vendetta e di difesa, ma racconta specialmente la ragazza che

è stata: selvatica, testarda e superba. Usa parole-trincea, parole-salvezza per cercare

di ricostruire la sua passione solitaria10.

I suoi versi frugano l’attualità con la leggerezza cadenzata di una canzone, ma non

sono banali, anzi, sono animati dalla passione rancorosa che Ada custodisce in sé.

Con metrica sbrigativa, a parlare con sé stessa o di sé stessa è la ragazzina davanti a

quel vecchio specchio: <<Crebbi così, racchiusa in un dolore / torvo, senza parole; /

crebbi col buio intorno e qui nel cuore / una feroce nostalgia del sole.>> (da Va’).

Trova per sé avventurose definizioni: <<Io son la rozza figlia / dell’umile stamberga;

/ plebe triste e dannata è mia famiglia>> (da Senza nome).

Rifiuta l’amore: <<Su la mia bocca giovanile e pura / bacio è sventura>> (da Non

posso).

Accanto alla tendenza all’autoritratto, compaiono anche fangosi acquarelli del

mondo: <<O grasso mondo di borghesi astuti / di calcoli nudrito e di polpette, /

mondo di milionari ben pasciuti, / e di bimbe civette>> (da Sfida)11.

10 Elisabetta Rasy, Ritratti di Signora. Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao, pp. 165/172, I ed., Rizzoli

Editore, Milano 1997

11 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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Fatalità e la altre opere: leggere Ada Negri

PRIMI VERSI POETICI Del 1892 è la prima raccolta poetica Fatalità; un

successo straordinario, sette edizioni Treves, traduzioni in Francia e Germania,

riconoscimenti in tutta Europa; tanta fama che il ministro Zanardelli le conferisce il

titolo di docente ad honorem presso l’istituto superiore Gaetana Agnesi di Milano.

Questo esordio poetico si basa su una solida struttura metrica e su un’intonazione

populista ed umanitaria, segno di un preesistente spirito combattivo di natura

socialista vincolato ad una netta inclinazione femminista, che fanno di Ada Negri

una poetessa sociale, la poetessa del quarto stato.

Sullo sfondo della sua lirica possiamo rintracciare gli esempi di Verga, De Amiciis e

della Scapigliatura, ma in primo piano emerge la reazione personale, vigorosa, e

talvolta in contenuta dell’autrice per il destino immutabile dei poveri.

I versi frugano l’attualità con i termini e le figure del feuilleton, con una leggerezza

cadenzata e colorita che ricorda una canzonetta, e non sono banali perché la passione

del rancore che la Negri custodisce in sé li anima, e accanto ad autoritratti più o

meno mascherati compaiono fangosi acquerelli del mondo.

Tre anni dopo invia all’editore milanese il suo secondo libro, che in parte delude le

aspettative, e lo intitola Tempeste. scrive Pirandello: << Ada Negri, con la fama che

le hanno costituita, non poteva intitolare diversamente un suo libro di versi: o

tempeste, o uragani, o terremoti, o fulmini, o ira di Dio >>12.

Da allora non smette mai di scrivere poesie (e in seguito prose).

Negli anni della prima guerra invia da Zurigo Esilio, volume accolto da

12 Anna folli, LA GRANDE PAROLA. Lettura di Ada Negri, p.111, in Penne Leggere, Guerini, Milano 2000

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duecentocinquanta recensioni. Le Solitarie, il libro di Mara, Stella Mattutina, sono

tutte raccolte che alimentano la sua fama e ne allungano l’eco a coprire successi più

calmi come Finestre alte, I canti dell’isola, Le strade.

Nel secondo dopoguerra non si usa già più parlare di lei, cancellata insieme

all’amicizia protettiva del Duce, ai premi che ha ricevuto: il premio Mussolini e –

prima donna a riceverlo - l’onore dell’Accademia d’Italia.

Strano destino quello della Negri che, già nell’epoca in cui vive, agli inizi della sua

carriera poetica, ha da un lato il pieno favore dei lettori, il riconoscimento di

professori, giornalisti, editori, una grande fortuna scolastica nonché il plauso di

Carducci e della critica ufficiale; dall’altro il dissenso di Croce.

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IL PERSONAGGIO POETANTE Accostandosi alla lettura dei versi della poetessa

lodigiana, già quando questi fanno il loro ingresso nel panorama letterario nazionale

negli anni Novanta dell’800, il pubblico non può che immedesimarsi, trascinato dal

pathos dell’autrice; si, perché ad assicurarle una buona fetta della sua popolarità è

stata proprio la sua identità muliebre.

In più, il lettore di oggi che si accosta a Fatalità resta immediatamente colpito da

quel modo di poetare così distante ormai dalla nostra contemporaneità; i tratti del

discorso poetico negriano sono pochi ma significativi: un piglio energico ed assertivo

e una ricerca continua di modulazioni altisonanti, spesso in contrasto con una

componente stilistica goffa e approssimativa.

Ma ciò che ancor più colpisce il lettore contemporaneo è l’effusione dell’io poetico,

un’autrice che si pone sulla pagina come gigantesco soggetto poetante. Anche

all’esordio nel 1892 gioca un ruolo fondamentale questa esibizione di femminilità

fortemente atipica nel quadro delle coeve produzioni poetiche; invece dell’immagine

di una donna rassegnata e dolente, il lettore si trova di fronte ad una voce che, si,

esibisce una specifica provenienza e appartenenza di genere e di classe, ma che lo fa

ostentando quasi paradossalmente il proprio essere donna e povera con uno sfrenato

senso di superiorità. E’ come se la Negri si mostrasse e mostrasse il suo mondo di

miseria popolare attraverso la penna di una poetessa fieramente intrepida.

Ecco qui servito un altro cliché rovesciato: celebrare in chiave eroica le sofferenze,

poiché la parola poetica si fa carico di cantarne le glorie.

Ci troviamo davanti a quello che Anna Folli ha definito il “binomio popolo-arte”13,

vero cardine della poetica negriana, e che possiamo spiegare meglio ricorrendo

direttamente ai suoi versi:

Arte, per te combatto: avvenire, t’attendo.

E il rigoglio d’affetti che, qual avvampa fervendo,

m’arde la mente e il cor,

ne la gemmata veste de la strofa volante

13 Elisa Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada Negri, p.24, LED Edizioni Universitarie, Milano

2010

23

io getto al mondo e al cielo, qual fascio rutilante

di fulmini e di fior!...14

questa strofa è presa da Largo, poesia che suggella Fatalità in qualità di vero e

proprio manifesto poetico, inneggiando – quasi - una concezione superomistica della

parola lirica, ma declinata al femminile. Viene espresso un sostanziale paradosso

costitutivo che sta alla base del pensiero della Negri: questa lirica vede la propria

sostanza fatta “di fulmini e di fior”, alternando accattivanti appelli e brusche sferzate

ai lettori, per coniugare il sentimento e la coscienza di inferiorità con uno sfrenato

desiderio di riscatto propri della scrittrice stessa.

E’ come se, in questo modo, Ada Negri intraprenda un percorso di autoaffermazione

muliebre attraverso un animatissimo antagonismo con la società, dal momento che

solo una natura plebea può garantire la purezza della poesia. Infatti, l’io poetico di

Fatlità prende forma da un confronto poetico con il proprio lettore: c’è un’esplicita

volontà di colloquio con il destinatario, ma assolutamente in senso oppositivo.

E Fatalità è una Sfida con i lettori:

O grasso mondo di borghesi astuti,

di calcoli nutrito e di polpette,e di bimbe civette;

o mondo di clorotiche donnine

che vanno a messa per guardar l’amante,

o mondo di adulterii e di rapine

e di speranze infrante;

e sei tu dunque, tu, mondo bugiardo,

che cuoi celarmi il sol degl’ideali,

e sei tu dunque, tu, pigmeo codardo,

che vuoi tarparmi l’ali?...

Tu strisci, io volo; tu sbadigli, io canto:

tu menti e pungi e mordi, io ti disprezzo;

14 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

24

dell’estro arride a me l’aurato incanto,

tu t’affondi nel lezzo.

[...]

Va, grasso mondo, va per l’aer perso

Di prostitute e di denari in traccia:

io, con la frusta del bollente verso,

ti sferzo in su la faccia15.

E’ sempre un’invettiva fatta per porre in risalto la figura della poetessa; e il

linguaggio di questa sua passione, nel perenne incontro/scontro tra appelli ed

apostrofi, possiede agli occhi della Negri l’efficacia di trasmettere ciò che le sta

veramente a cuore, ossia il furioso empito vitalistico.

E se la tecnica dell’apostrofe mostra tutta la sua validità nel dare vita agli impeti

battaglieri, la modalità enunciativa più efficace per illustrare la forza e l’intensità del

proprio fato è il dialogo. Infatti, oltre ad organizzare gli effetti e i risvolti drammatici

della rappresentazione poetica, la finzione dialogica permette alla poetessa di

scaricare parte della sua responsabilità enunciativa a garanzia di un carattere più

oracolare per la propria ispirazione.

Notevole è poi il fatto che nelle liriche contenute in Fatalità il ricorso al dialogo

renda responsabili dell’enunciazione una serie di figure diverse, senza che ne

scaturisca però un altrimenti conseguente effetto polifonico.

Anzi, ancora una volta ad uscirne dominante è l’assoluto protagonismo del soggetto

poetante; nei testi in cui ci si serve del dialogato serpeggia una specie di allucinata

autorappresentazione, dove l’immagine di sé è come se si arricchisse di sfumature

provenienti da una rappresentazione dall’esterno.

Non è, dunque, un caso che in molte situazioni le voci che interrogano l’io o che ne

preconizzano le sue sorti muovano da domini oscuri e ignoti, o che provengano dalla

misteriosa sfera naturale, ricorrendo anche all’immaginario gotico16.

15 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

16 Elisa Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada Negri, pp.11/82, LED Edizioni Universitarie,

Milano 2010

25

LE TECNICHE DEL POETARE E’ importante riconoscere come l’aspetto

prosodico delle liriche della Negri sia stato fondamentale per raggiungere l’enorme

popolarità di cui questa poesia ha goduto.

La scrittura della Negri, frutto di un’ispirazione violenta, istintiva ed immediata, e’ di

conseguenza irriflessa e inconsapevole, quasi goffa perché spontanea e priva del

“lavoro di lima”, ma, soprattutto, felicemente ignorante sia delle meditazioni

culturali che delle sottigliezze formali.

Sembra che la Negri possieda un innato e naturale senso del ritmo, e diventi poetessa

grazie alla sua limitata consapevolezza della cultura e della forma.

La strategia, il percorso auto promozionale intrapreso dalla poetessa vuole essere

teso ad accreditare quell’impressione di impeto, di ardore poetico incontenibile che

lei sta cercando di trasmettere con i suoi versi, forse rozzi e affrettati, ma

assolutamente forti, vigorosi e nati dalla sincerità più naturale17.

Nell’opera poetica di Ada Negri la pienezza sentimentale della sua ispirazione ed

intuizione lirica non è mai interamente controllata e dominata a livello formale ed

espressivo; ed è proprio questa presunta inconsapevolezza stilistico-formale,

percepibile all’interno dei suoi versi, a motivare e giustificare gli effetti di

coinvolgimento emotivo da parte del pubblico, e la conseguenta ondata di successo

presso di esso.

In quanto poesia femminile, scritta di pugno proprio da una rappresentante del gentil

sesso, l’opera della poetessa di Lodi non può che collocarsi al di fuori di ogni

riconoscibile tradizione letteraria: la sua forza e incisività sta tutta nell’immediatezza

dell’espressione, dopotutto la poetessa scrive il suo primo libro, Fatalità appunto, da

autodidatta, in completa estraneità rispetto al circuito delle belle lettere.

E, diciamo, questa esclusione, o anche autoesclusione, si trasforma in un motivo di

forza per l’autrice, un valore aggiunto per metterla in sintonia con il suo pubblico

elettivo, fatti di persone di recente scolarizzazione, avido di esperienze estetiche, ma

ignaro della propria collocazione all’interno del mondo culturale coevo.

17 Anna Folli, Scritture femminili tra Otto e Novecento, p.138, in Penne Leggere. Neera, Ada Negri, Sibilla

Aleranno, Guerini, Milano 2000

26

La compagine strofica entro cui organizza le sue liriche è giocata tutta sulla

semplicità strutturale, fatta di schemi regolari a base binaria come la quartina, e con

rime ravvicinate, alterne o incrociate.

Importante è rendersi conto di come la funzione principale e dominante, svolta a

livello della struttura, dall’assoluta figura centrale dell’io poetante venga

contemporaneamente garantita, a livello formale, dalla ristretta varietà degli schemi

ripetuti. In questo caso la leggibilità del testo è come certificata, accresciuta, dato che

i diretti interessati sono i fattori legati al ritmo, che consentono un’immediata

percettibilità sonora, favorendo al contempo la riconoscibilità della situazione

poetica e la scorrevolezza del percorso nella lettura.

Dando un’occhiata più analitica alle tipologie costruttive, a spiccare è in primo luogo

una preferenza nettamente sbilanciata nei confronti della quartina (ben 32 in

Fatalità); la tecnica compositiva sembra propendere per una scansione del discorso

in brevi raggruppamenti di quattro versi, rimanti due a due.

I motivi di questo usus metrico trovano fondamento nella predilezione per un canto

fortemente rimato: con la sua struttura scorrevole ma regolata al contempo, la

quartina a rima alterna o incrociata pare la forma più idonea ad organizzare ed

articolare le bollenti denunce e l’impeto ribelle della poetessa.

Tutti i componenti testuali inducono il lettore a percepire una solennità vibrante, e

questo effetto viene reso anche mediante l’impiego di elementi stilistici semplici, è

questo è uno dei caratteri della Negri più incisivi: veicolare situazioni di indiscussa

efficacia scenica attraverso forme elementari18.

L’impiego della quartina risulta così assai funzionale per una duplice esigenza: di

comunicabilità e di energia drammatica.

Le combinazioni tetrastiche garantiscono un continuum metrico-ritmico e di

contenuto, dal momento che rivestono anche un fondamentale ruolo di

orchestrazione dei temi più vari; sfogliando le pagine di Fatalità possiamo notare

come questo modulo metrico si adatti di volta in volta alla creazione di autoritratti, di

bozzetti schizzati a sfondo sociale, o di empiti panici.

18 Anna Folli, LA GRANDE PAROLA, Lettura di Ada Negri, pp.111/173, in Penne Leggere, Guerini, Milano

2000

27

Davanti ad una limitata variazione degli schemi principali, le liriche della Negri

esibiscono comunque un’insolita ricchezza di morfologie quaternarie: la poetessa

sperimenta quasi tutte le possibili combinazioni tetrastiche di endecasillabi e

settenari. La tendenza a sfruttare a fondo gli elementi di variazione ritmica si realizza

nella realizzazione di una ventina di combinazioni tetrastiche diverse. Anche nei casi

isolati in cui la disposizione delle rime si ripeta in più testi, l’autrice cambia

comunque la misura del verso, creando opposizioni di questo tipo:

endecasillabo/settenario, rima alternata/rima incrociata, uscita

piana/tronca/sdrucciola del verso, strofe pari/strofe dispari.

In questo modo si ricercano le sonorità più robuste e ritmate, quasi a carattere

percussivo (ad esempio, sostituendo da una quartina all’altra endecasillabi a settenari

o viceversa).

L’impressione è che la nostra poetessa lodigiana, nel suo primo esercizio poetico,

abbia cercato di variare il più possibile il proprio repertorio metrico nel tentativo di

evitare fin dall’inizio l’usura di una stessa formula, nonostante tenda sempre a

strutturare i propri componimenti su moduli binari, che riecheggiano la cellula base

della quartina.

Altra caratteristica strutturale e compositiva del macrotesto della Negri è data

dall’impiego di elementi iterativi con funzione perimetrale nelle poesie più

complesse, usati al fine conferire al testo coesione e tenuta scenica. Specialmente

nelle liriche più estese si nota un processo di rafforzamento e di esaltazione dei

fattori periodici riguardanti la prosodia, creando effetti di marcata ripetitività.

Questa radicata abitudine di strutturare il discorso in versi attraverso la

giustapposizione di morfologie elementari risulta essere anche la principale causa

della riluttanza all’utilizzo di moduli ternari, che renderebbero l’andamento del

discorso troppo legato.

Il carattere forse troppo schiettamente popolare della versificazione di Ada Negri è

sempre spia della volontà di perseguire l’efficacia comunicativa. In vista di questo

28

scopo/risultato la poetessa ricorre ai più vari espedienti, piegando le modalità di

ripresa strofica all’enfatizzazione di una pluralità di temi poetici19.

LA FUNZIONE DELL’ENDECASILLABO Indagando le strutture strofiche si

nota come emerga evidentemente la preferenza per i metri di derivazione classica

dell’endecasillabo e del settenario, il cui impiego occupa circa il 70% del totale. In

particolare è proprio il verso principe della tradizione poetica italiana a farla da

padrone.

Una posizione così chiaramente a favore dei versi classici e canonici, delinea una

precisa scelta di campo da parte della poetessa che decide consapevolmente di

inserire la propria opera nella scia di quelle secolari istituzioni metriche. E, alla luce

di tutto ciò, è paradossale la convivenza di tale assetto prosodico, spiccatamente

conservativo, con temi e contenuti di marcata attualità, quasi estranei alla tipologia

del genere lirico.

Nonostante questo, la ricerca di modulazioni ispirate, seppur sotto l’influsso di

un’intuizione istantanea e violenta, non implica affatto la rinuncia ai caratteristici e

sonanti ritmi oratori.

La Negri è anche attenta e oculata nel conferire ai propri versi un’aura di

istituzionalità e dignità poetica. In questa direzione, l’utilizzare misure classiche

vuole essere una risposta a quella parte di pubblico che si aspetta qualcosa di

piuttosto convenzionale all’interno dell’esperienza della poesia.

Strofe e versi formano così due distinti orizzonti di lettura: se all’organizzazione

strofica sono demandati gli effetti di facile cantabilità, le strutture versali assicurano,

d’altro canto, l’appartenenza ai testi della tradizione più riconoscibile.

E il piegare forme canoniche della tradizione ad esiti realistici coevi, appartiene alla

scommessa dell’autrice di una poesia che si vuole grandiosa e solenne cantando però

di popolane.

Sul versante prosodico è lontano da ogni dubbio che l’uso indiscriminato di

endecasillabi e settenari comporti inevitabilmente un’evasione dal codice metrico:

19 Elisa Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada negri, pp.64/70, LED Edizioni Universitarie,

Milano 2010

29

come accade alla quartina, la ripetizione invariata di una stessa struttura formale

finisce per svuotarne la funzionalità semantica.

Indirizzate verso la formalizzazione dei contenuti più svariati, le misure dominanti

vedono sbiadire a poco a poco il proprio ruolo di indicatori di genere: in

endecasillabi e settenari sono scritte sia le poesie di più accesa denuncia sociale, ma

anche le liriche di memoria, i bozzetti realistici come i canti di argomento amoroso.

Analogamente a quanto avviene con la costruzione delle strofe, anche la fattura

dell’endecasillabo segue un andamento principalmente giustappositivo e

accumulativo (costrutti chiastici, polisindeti…), ma nient’affatto slegato: tutti i

fenomeni metrico-retorici utilizzati vengono inseriti all’interno della medesima unità

versale, guadagnando in incisività e compattezza.

Oltre che facilitare la memorizzazione, le tecniche di parallelismo sono fondamentali

per assicurare la naturalezza della sintassi del periodo, che nell’opera della Negri

procede per sequenze paratattiche.

Ovviamente, anche le modalità di costruzione del verso hanno una duplice funzione:

se da un lato aiutano a semplificare il dettato, sono altrettanto utili per sortire un

afflato solenne e sostenuto del verso.

Ma quel qualcosa che rende possibile questo intreccio di chiarezza e musicalità,

enfasi e semplicità, e in maniera particolare il ricorso a fenomeni di ridondanza

semantica: anafore, sintagmi iterativi, costrutti ritornellanti o accumulatori. Sono

queste le accortezze che garantiscono simultaneamente la cantabilità semplice, la

carica emotiva ed il pregio estetico del discorso poetico20.

20 Elisa Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada Negri, pp.74/81, LED Edizioni Universitarie,

Milano 2010

30

CAPITOLO II

Poetessa musicata

31

Il criterio dei compositori: eroine domestiche alla deriva

L’interesse dei musicisti che attingono ai testi delle liriche della prima raccolta della

Negri non viene catturato dai componimenti impregnati di protesta sociale, né da

quelli in cui a prevalere sono gli accenti eroici di una mera e stoica

rassegnazione/accettazione del solito quotidiano… Anzi, preferiscono le poesie di

spiccata tendenza intimistica, dove si riesce a “toccare” con il cuore e con gli occhi la

sinestesia tra il mondo naturale ed il sentimento cosmico presente, sulla scia

dell’onda pascoliana, in veste di amplificazioni e proiezioni di emozioni soggettive

femminine, per lo più amorose, di mogli, madri o amanti.

Di conseguenza, i compositori spostano la propria attenzione dalle liriche che si

soffermano sulla miseria della condizione umana per eleggere invece a “testi per

musica” quelle voluttuose, sensuali (anche se forse troppo enfatiche e retoriche nella

stesura), e piene di sentimentali e subliminari abbandoni lirici. Perciò, per la

restrittezza dell’ambito tematico a cui i musicisti vogliono circoscrivere il proprio

raggio d’azione nella e sulla produzione di Ada Negri, nessuno potrebbe farsi un

completo quadro veridico di tutta l’ars poetica della maestra lodigiana basandosi sul

corpus delle sole liriche divenute oggetto/soggetto di trasposizione musicale21.

Le poesie prescelte dai compositori sono pervase da un popolareggiante tono

melodrammatico borghese. Le protagoniste sono donne comuni, forse plebee, forse

borghesi, talvolta di estrazione patrizia, come si apprende dall’onomastica delle

dedicatarie apposta dai librettisti sulle versioni musicali; ma la differente estrazione

sociale qui non conta già più.

La poetessa accomuna tutte queste eroine domestiche alla deriva, cogliendole nei

momenti di sfogo per l’infelicità dei destini di cui sono vittime; momenti in cui

crolla, cade, si sposta la corazza esteriore infrangendosi, cozzando, rivelando

l’interiorità segreta, celata, con accenti inuditi.

21 Mario Genesi, Le liriche per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, pp.6/7, in Archivio Storico Lodigiano

1995

32

Ada Negri ferisce, spostandone di scatto il sipario, emozioni, debolezze, confessioni;

poi le cicatrizza in un universale coinvolgimento panico nella natura esteriore,

rendendo impercettibili le già tenui palpitazioni delle sue protagoniste e facendo

partecipare in medias res il lettore/fruitore nello spleen che ne dilania l’anima. Con

queste poche righe ecco spiegata, da una parte, la tipologia di poesia prediletta dai

musicisti; dall’altra, la parzialità dell’approccio ad Ada Negri fornito dal solo corpus

-seppur cospicuo- delle sue liriche musicate.

Analizzando meglio, i motivi sociali e personali di questi sfoghi poetici restano

comunque sul fondo: sono di natura sociale e solidale (umanitaria, femminista,

proletaria, socialista), ma anche auto-biografica e personale (Ada scrive alcune

poesie a Motta Visconti, dove si trasferisce per lavoro all’età di 18 anni, lontana dalla

madre operaia, già da tempo orfana di padre; altre a Milano, dove avviene il fatale

incontro con il primo fidanzato Ettore Patrizi).

Per i compositori tra Ottocento e Novecento i testi di Ada Negri sono realistici e

speculari di alcune tematiche ad essi coeve. La stringatezza e concisione formale

oltre alla presenza di temi d’attualità quali la solitudine, la morte, i micro-drammi

della quotidianità storico-sociale-esistenziale, la religiosità intesa come consolatio

entro cui rifugiarsi in segretezza, gli amori clandestini e negati, o violentemente

troncati, o solamente vagheggiati… ecc, fanno optare questi maestri per la scelta di

musicare proprio queste liriche. L’effetto che scaturisce dalle esemplari e

rappresentative trasposizioni musicali è quello di sondare e tradurre in note la

femminilità negata, e di trasfigurarla poeticamente a rigore d’arte, accrescendo,

attraverso l’impiego di un organico cameristico, quella voluttà che affiora già dai

testi.

Perciò, la scelta del registro vocale dell’interprete della messa in musica cade

inevitabilmente sull’universo femminile: mezzosoprano o soprano, contralto; e lo

stesso accade per i nomi dei destinatari: solo dedicatarie, solo donne.

Non sempre, però, i compositori possono scrivere in musica “letteralmente” il testo

poetico prescelto: in certi casi devono apportare all’apparato testuale modifiche di

carattere compositivo. L’indubbio interesse suscitato dalle traduzioni musicali è il

33

constatare, lirica per lirica, brano per brano, il procedimento traspositivo adottato dal

singolo musicista.

Stupisce comunque, leggendo i versi, una visione estremamente stanca e disincantata

dell’esistenza. Le liriche musicali sui testi negriani nascono, infatti, in anni in cui sta

tramontando il vecchio melodismo empirico da “romanza da salotto”, da

“canzonetta”, che segue schemi compositivi piuttosto rigidi, metricamente e

formalmente delimitati e contornati… i compositori sono così costretti a guardarsi

intorno, magari all’estero per emularne i modelli, o a conformarsi alla stagione lirica

che sta esaurendosi nella sua ultima fase creativa: il Verismo, corrente nota anche

alla Negri, e non estranea nemmeno alla sua produzione.

Indagare la rassegna di liriche su testi di Ada Negri significa inoltre capire se il

musicista sia stato in grado di attuare una sufficiente coesione e rispondenza diretta,

istantanea, tra parole e musica. Fuori luogo risulterebbe in questa sede un elenco di

tutte le tendenze armoniche e musicali presenti in questo ambito; basti qui rilevare

una pluralità di atteggiamenti e stilemi compositivi e una mancanza di coerenza,

persino all’interno della produzione di uno stesso maestro.

E’ pur sempre possibile, però, rintracciare una comune caratteristica saliente che

pervade tutte le liriche musicate su testo della poetessa: è un intimo inespresso

afflato mistico religioso.

I musicisti che scelgono i testi poetici di Ada Negri per comporre le proprie liriche

vocali da camera, credono certamente di coronare con tali versi la loro ricerca di

poesie toccanti, efficaci, popolari, dalla struttura chiara, nitida e plastica ma dal

contenuto evocativo di immagini di vita vissuta, di sensazioni universali e, perché

no, portavoce di cause umanitarie. Inoltre tali testi sono particolarmente appropriati

per essere tradotti in musica grazie alla ricca presenza di assonanze, rime baciate,

alterne e al mezzo, e per la particolare e sapiente dosatura delle vocali. La simmetria

e l’isoritmia delle poesie della Negri suggeriscono ai compositori reiterazioni e

refrains musicali: ripetere da capo “sezioni” già udite, pur osservando una nitida

impostazione “tonale” a tutti gli effetti, esordendo la lirica in una tonalità scelta e

chiudendosi in quella medesima tonalità. Chi sceglie uno di questi testi per farne la

propria musicazione, si tiene lontano da ogni modulazione artificiosa e sistematica,

34

evita inusitati approdi tonali, pur mantenendo una ripartizione in “sezioni”

consecutive e ben distinte, talvolta caratterizzate dall’oscillazione fra una stessa

tonalità proposta prima in modo maggiore e poi in modalità minore22.

Le liriche da camera italiana sono di uno stile dimesso, assolutamente intimo e anti-

effettistico, quasi per fuggire dalla teatralità. Si potrebbe dire che ciascuna lirica

(puntualmente dedicata a una precisa e menzionata nobildonna, o borghese, o plebea,

signora o signorina) incarni l’animo della dedicataria, ne celebri un risvolto segreto

dell’intimità, privilegiando la componente della “narratività” a quella dell’effetto,

dell’inaspettato. E ciò contribuisce a veicolare sentimenti di tutti i giorni, feriali,

meno eroicizzati, dove le eroine, mute ed anonime protagoniste, si identificano quasi

con le uditrici presenti in sala per il concerto, o si confondono con le lettrici delle

liriche. Dunque non più eroine, ma donne, spesso vittime di destini infausti, di furtivi

incontri, di amori tragici e fatali.

Va inoltre precisato che negli anni in cui Ada Negri fa il suo esordio poetico,

all’interno dei libretti operistici della fulminea stagione “Verista” ed in quelli delle

contratte stagioni operistiche successive, i librettisti italici adottano l’uso del

florealismo “maledetto”, erede del simbolismo baudelairiano.

Diversamente dai librettisti coevi (o leggermente posteriori) la poetessa solo

raramente simbolizza direttamente la morte attraverso una metafora floreale; tutto ciò

ci permette di dedurre la posizione più “moderata” della Negri, la quale unisce

all’uso di figurazioni floreali, nei propri versi, tenui cenni del proprio dramma

amoroso e abbozzati ammiccamenti della propria spossatezza esistenziale.

Il dilagante simbolismo floreale nei libretti d’opera composti in esatta

contemporaneità alla produzione della Negri ci consente anche di individuare

un’affinità con la sua poesia: protagoniste di tutte queste opere e componimenti sono

donne accomunate da un infelice destino amoroso.

La poetessa si allinea con questo “filone”, racchiudendo in brevi gruppi di versi

epopee e destini femminili votati alla sconfitta.

22 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, pp.10/94, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

35

Alla luce di queste osservazioni, si comprende per quale motivo le attenzioni dei

compositori vengono carpite dalle liriche della raccolta Fatalità di Ada Negri.

Si deve alla tenacia del musicologo piacentino Mario Genesi il “repechage”

sistematico della vastissima (ma tuttora semi-sommersa) produzione musicale di

compositori italiani basata sui versi della poetessa lodigiana. Infatti, negli anni ’80

del Novecento Genesi appura che consisteva in varie centinaia il numero delle

trasposizioni per voce, violino e pianoforte di queste poesie, e inizia un progetto

sistematico con l’Archivio Storico Lodigiano al fine di inventariare, ma soprattutto di

analizzare e discutere criticamente, con un taglio prettamente musicologico questo

quasi sconosciuto corpus musicale. Genesi si rende conto che queste liriche “de

chambre” rientrano tutt’oggi nei repertori concertistici ancora frequentati; ciò

comprova l’inattesa fortuna “postuma” del genere poetico-letterario attraverso

l’immane produzione musicale.

In questo nostro primo capitolo invece, si è cercato di sottolineare quei motivi e

quelle tematiche che servirà più avanti approfondire per comprendere e commentare

alcune delle più rappresentative e significative poesie di Ada Negri, scelte per essere

musicate più di una volta e da più di un compositore23.

23 Mario Genesi, La produzione poetica negriana attraverso le trasposizioni musicali di compositori italiani da

camera, pp.45/108, in Archivio Storico Lodigiano 1996

36

Parole in musica

Il processo di trasposizione musicale di un testo merita di essere analizzato dal

momento che implica una “traslazione” inter-artistica, o inter-disciplinare, da un’arte

a un’altra, e, in questo caso, dalla poesia alla parola musicata su un tappeto sonoro

strumentale e resa canto.

Le liriche di Ada Negri, appunto, godono di un numero assai elevato di musicazioni,

e si è venuto così a creare una sorta di particolare genere di composizioni pianistico-

vocali fatto di quadretti intimistici, dove poesia e musica si mescolano fondendosi,

con il preciso proposito di non annebbiare né eclissare l’evanescenza e la delicatezza

dei testi della poetessa.

Non possiamo però dimenticarci di specificare che la fortuna di talune liriche della

poetessa lodigiana si deve proprio all’esemplarità delle corrispettive trasposizioni in

musica, eteree, mitigate, terse, evocative ed ispirate al pari dei versi poetici di Ada

Negri.

L’impressione di trovarsi di fronte ad un bozzetto e il carattere crepuscolare di

alcune pagine, grazie alla loro apparentemente scarsa elaborazione o incompiutezza,

mira invece a salvaguardare la caratteristica istantaneità d’ispirazione che ritroviamo

nei versi poetici.

Siamo davanti, dunque, spesso, ad una voluta e cercata frammentarietà; il genere

della lirica da camera intende rispecchiare in maniera quasi analitica la consecutiva

evoluzione dei diversi e successivi stati d’animo24.

La raccolta poetica del 1892 Fatalità contiene ben dodici liriche oggetto di reiterate

trasposizioni musicali:

- Storia breve

- Nevicata

- Nebbie

- Notte

- Te solo

24 Mario Genesi, La produzione poetica negriana attraverso le trasposizioni musicali di compositori italiani da

camera, p.47, in Archivio Storico Lodigiano 1996

37

- Portami via

- Strana

- Perché

- Pietà

- Canto d’Aprile

- Non posso

- Mistica

E saranno proprio queste poesie che verranno analizzate di seguito.

STORIA BREVE

Ella pareva un sogno di poeta;

vestìa sempre di bianco, e avea nel viso

la calma d’una sfinge d’oriente.

Le cadea sino ai fianchi il crin di seta;

trillava un canto nel suo breve riso,

era di statua il bel corpo indolente.

Amò – non fu riamata. In fondo al core,

tranquilla in fronte, custodì la ria

fiamma di quell’amor senza parole.

Ma quel desìo la consumò – ne l’ore

d’un crepuscol d’ottobre ella morìa,

come verbena quando manca il sole25.

ANALISI: quattro terzine di endecasillabi a rime ABC ABC DEF DEF;si presenta

come una lirica dall’assetto scritturale “lineare” dal quale possiamo cogliere il

motivo di fondo del testo stesso. Si tratta infatti di una chiara metafora dell’esistenza

25 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

38

della protagonista della poesia, la quale muore consunta dal desiderio amoroso. Le

prime due strofe sembrano quasi riecheggiare motivi stilnovistici relativi

all’immagine della donna: il vestito bianco, i lunghi capelli che paiono seta…

Da notare è l’atmosfera da rapsodi, aedi, e il tono evocativo delle prime due terzine

testuali, atte a dipingere, attraverso poche, icastiche pennellate il carattere della

protagonista.

NEVICATA

Sui campi e su le strade

Silenziosa e lieve,

Volteggiando, la neve

Cade.

Danza la falda bianca

Ne l’ampio ciel scherzosa,

Poi sul terren si posa

Stanca.

In mille immote forme

Su tetti e sui camini,

Sui cippi e nei giardini

Dorme.

Tutto dintorno è pace

Chiuso in oblìo profondo,

Indifferente il mondo

Tace…

Ma ne la calma immensa

Torna ai ricordi il core,

E ad un sopito amore

Pensa26.

26 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

39

ANALISI: cinque strofe di quattro versi ciascuna; tre settenari più un singolo verso

aggiunto al termine di ogni strofa al fine della riuscita semantica del testo. Esso

inoltre riveste un’importante funzione a livello ritmico, sottolineando l’enfasi a

vantaggio della memorabilità del qudro descritto. Questa lirica è la riprova di quanto

anche le liriche apparentemente più descrittive siano, invece, partecipazioni paniche

della natura ai tormentati sfoghi sentimentali femminili.

Qui, dopo ben quattro strofe dedicate autenticamente alla descrizione naturale –in

maniera quasi pascoliana- vediamo irrompere nell’ultima strofa, all’improvviso, il

riverbero amoroso, il ricordo giovanile di un mancato amore27.

NEBBIE

Soffro. – Lontan lontano

le nebbie sonnolente

salgon dal tacente

piano.

Alto gracchiando, i corvi,

fidati all’ali nere,

traversan le brughiere

torvi.

Dell’aere ai morsi crudi

gli addolorati tronchi

offron, pregando, i bronchi

nudi.

Come ho freddo! Son sola;

pel grigio ciel sospinto

un gemito d’estinto

vola.

E mi ripete: Vieni,

è buia la vallata.

O triste, o disamata,

vieni!...

27 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

40

ANALISI: come nella poesia precedente troviamo cinque strofe di tre settenari

ciascuna più un singolo verso finale, con funzione di completare lo schema metrico

delle rime (incrociate), sia per enfatizzare il discorso poetico. A prima vista potrebbe

sembrare una lirica descrittiva, ma nella macabra e oscura descrizione di un luogo

invaso dalla nebbia fa il suo ingresso, all’improvviso, il disperato e lacerante grido

della protagonista:

Come ho freddo! Son sola…

Ada Negri, non ricorrendo qui all’uso delle virgolette, ma inserendo così il discorso

diretto, lascia intendere come in realtà, sin dall’inizio, la poesia non sia altro che un

lungo monologo, un esteso sfogo della protagonista, quasi ricorrendo alla stream of

consciousness tecnique di James Joyce.

La poetessa pare narrare un’ esperienza di ipnosi, di oscuro rapimento sia panico che

estetico, in una landa padana. Il clima e l’atmosfera che ha cercato di creare sono

quelli cupi e indistinguibili tipicamente attribuiti dall’immaginario alla voce dei

trapassati, al coro dei morti, che alla Negri pare di distinguere e individuare -più con

l’udito che con la vista- nell’etere nebuloso. E questa voce indefinita sembra cercare

di attirare in un’altra dimensione la protagonista della lirica –forse l’autrice stessa-

mentre si sta aggirando mesta per un bosco causa il suo infelice destino amoroso.

NOTTE

Sul giardino fantastico

profumo di rosa

la carezza dell’ombra

posa.

Pure ha un pensiero e un palpito

la quiete suprema;

l’aria, come per brivido,

trema.

41

La luttuosa tenebra

una storia di morte

racconta a le cardenie

smorte?

Forse – perché una pioggia

di soavi rugiade

entro i socchiusi petali

cade. –

… Su l’ascose miserie,

su l’ebbrezze perdute,

sui muti sogni e l’ansie

mute,

su le fugaci gioie

che il disinganno infrange,

la notte le sue lagrime

piange28.

ANALISI: questa descrizione notturna consta di sei strofe, ciascuna composta da tre

settenari più un singolo verso finale rimante con il secondo settenario. Al calar della

sera l’aria brunita porta con sé un tremito collegato a una reminescenza; è come se la

natura compartecipi dell’umana sofferenza patita per il ricordo, svegliatosi con la

notte, di un passato amore ormai infranto: la pioggia naturale corrisponde al pianto.

28 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

42

TE SOLO

Qui… te solo, te solo. – Oh, lascia, lascia

ch’io sfoghi sul tuo cor tutti i singulti

da tant’anni nel petto accumulati,

tutti gli affanni e i desideri occulti…

Ho bisogno di pianto.

Sul tuo sen palpitante, oh lascia, lascia

ch’io riposi la testa affaticata,

come timido augello sotto l’ala,

come rosa divelta e reclinata…

Ho bisogno di pace.

Sul tuo giovine fronte, oh, lascia, lascia

ch’io prema il labbro acceso e trepidante

ch’io ti sussurri l’unica parola

che inebbrii nel delirio d’un istante…

Ho bisogno d’amore29.

ANALISI: tre quartine di endecasillabi con rima alternata tra il secondo e il quarto

verso, intervallate da tre settenari liberi; il primo endecasillabo di ciascuna quartina è

ideologicamente divisibile in due emistichi, il secondo dei quali si ripete identico in

ogni strofa. La protagonista torna con la mente a una passata storia d’amore, e

immagina di poter ripercorrere con il proprio amante momenti trascorsi insieme.

Ma ormai quegli attimi sono passati, adesso lei è sola, con le sue lacrime, con il suo

tormento, con il suo bisogno di essere amata.

29 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

43

PORTAMI VIA…!

Oh, portami lassù, lassù fra i monti

ove lampeggia e indura il gel perenne

ove anelando i ceruli orizzonti

l’aquila spiega le sonanti penne

ove il suol non è fango; ove del mondo

più non mi giunga l’odiata voce;

ov’io risenta men gravoso il pondo

di questa che mi curva arida croce.

Oh, portami lassù!... Ch’io possa amarti

libera in faccia all’acri montanine brezze,

fra i ciclami e gli abeti, e inebriarti

di sorrisi d’aurora e di carezze!

Qui grigia, umida nebbia eterna stagna

su la giovin ribelle anima mia;

voglio amarti lassù, de la montagna

nel silenzioso immortal…

… Portami via!...30

ANALISI: la sezione iniziale suggerisce “romanticamente” un dialogo fra due amanti,

che sin dall’esordio corrisponde all’ambivalenza del testo; qui la poetessa glissa ed

evita un’esatta definizione dei due personaggi, tralasciando di specificare se si tratti

di un dialogo tra due anime già trapassate situato in una sfera meta-umana -specie di

landa sperduta, sede quasi inviolata e inviolabile di ritrovo di spiriti- oppure di un

colloquio fra due creature umane. Il desiderio espresso dalla protagonista è quello di

ascensionalità e di verticalizzazione, quasi che voglia accedere ad una sorta di

30 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

44

Olimpo, di Empireo, di rifugio ultra-mondano, al da là delle nubi entro cui lei si

trova immersa –essendo invece a valle-.

All’inizio della seconda strofa troviamo un’astuzia metrico-stilistica molto cara alla

Negri: l’uso di bipartire l’endecasillabo, che punta a soddisfare le esigenze di

drammaticità e risonanza ritmica.

STRANA

Treman le foglie con brivido lento:

al bosco verde che bisbiglia e posa

narra una storia il vento.

E comincia così: C’era una volta…

E, trepitando all’alitante spiro,

il bosco verde ascolta.

Era un’errante e fervida gitana:

avea la bocca rossa e fulvo il crine,

e si chiamava: Strana.

Un giorno amò. – Fu spasmo e su dolcezza,

fu sorriso e delirio, ombra e splendore

di quell’amor l’ebbrezza.

Un altro giorno attese, ed ei non venne.

attese a lungo, palpitante e muta.

Non venne più… non venne.

Ed essa allor, chinando il volto assorto,

disse: A che serve trascinar la vita,

quando l’amore è morto?

… Un alito passò tra fronda e fronda.

45

D’infinito riposo a lei parlava

l’acqua limpida e fonda;

d’oblio parlava!... E su come lamento

un sussurro venia: -Tutto si spegne

quando l’amore è spento.

… La moritura si drizzò fremendo,

col teso pugno un’adorata, infida

larva maledicendo;

poi com’ebbra slanciossi. E sull’effuse

come, e sul niveo corpo disfiorato

la fredda onda si chiuse.-

Narra il vento così. La notte densa

cala, cinta di nubi, alla foresta

che rabbrividendo pensa.

Ed ecco, a poco a poco il vento sale,

punge, penetra, sibila, travolge,

fiero scotendo l’ale.

Ed è voce di pianto alta e suprema,

ed è lungo e gemente urlo d’angoscia,

e la foresta trema.

Son palpiti di fronte e son sussulti,

parole d’ira sibilate a volo,

aneliti, singulti…

Squallida e nuda, ad un ricordo avvinta,

46

via per la selva turbinando gira

l’anima d’una estinta;

e par che gema tra le foglie attorte:

-No, non v’è pace!... Amor che avvampa in vita

spasima nella morte.-31

ANALISI: diciotto terzine a rima alternata, quasi perfettamente divisibili per

contenuto; nelle prime sei terzine vengono presentati la protagonista e la natura del

suo amore: sfortunato perché disatteso e mal corrisposto; nella seconda parte della

lirica ha luogo la morte della protagonista stessa poiché “tutto si spegne quando

l’amor è spento”, e, in seguito, la compartecipazione antropomorfica della natura al

suo dolore, il girovagare dello spettro maledicente il fedifrago amante. Anche qui

ritroviamo il classico endecasillabo bipartito: la cadenza ossitona del primo membro

versale risulta potenziata dall’uso della pausa tipografica. Inoltre le costruzioni

chiastiche ben si prestano a coniugare i consueti effetti di energia, di scansione

ritmica e di sostenutezza oratoria.

PERCHE’

Piccola donna stanca

che al tuo balcone guardi primavera

risorge fra timida e leggera

fiori e nidi portando al tuo giardino…;

Piccola donna stanca,

perché tieni sul petto il capo chino,

mentre il riso dei cieli ed il tepore

ha una dolcezza che ti rompe il core?...

Perché? Perché?... 32

31

Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

32 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

47

ANALISI: la brevità di questa bipartita “scheggia” lirica intende cogliere un

momento, un attimo, di fuggevole e passeggero sconforto su un viso di donna, di

femmina, il cui turbamento interiore contrasta con lo straripante sboccio di una

primavera all’esterno. La poesia termina con un quesito reiterato: perché? Perché la

protagonista appassisce nel suo sconforto mentre sboccia la nuova stagione? Non a

caso la primavera simboleggia anche il periodo in cui, secondo l’immaginario,

nascono gli amori; qui invece è posta in netta antitesi con lo stato d’animo e la

situazione della donna.

PIETA’

Io t’invoco, O Signore,

che nel buio mi guardi.

Batte da lungi l’ore

la bronzea squilla. E’ tardi.

spiega la notte l’ale…

Io prego, inginocchiata,

convulsa al capezzale

di mia madre malata.

Pietà…

Sul terreo viso immoto

cala come un sudario.

Dio dell’ombra e del vuoto,

che salisti il Calvario,

che portasti la croce,

che cingesti le spine,

ascolta la mia voce,

allontana la fine,

Pietà…

48

Pietà di lei che soffre,

pietà di lei che muore,

che vuoi da me?... M’avvinghia,

o implacabil Dolore;

copri di strazi e d’onte

i miei tristi vent’anni,

scavami sulla fronte

le rughe degli affanni,

fa che d’amor, di gioie,

fa che di tutto priva

io sia, tranne di lagrime…

Ma che mia madre viva,

Pietà…!33

ANALISI: trattasi di una delle pagine più celebri della raccolta del 1892; è una

toccante lirica composta di tre ottave in settenari (anziché in endecasillabi), la terza

però ampliata a 12 versi in osservanza di una sorta di “progressione numerica”

aumentativa.

Le rime testuali sono alternate, ma non “alla siciliana” in senso stretto come avrebbe

voluto l’antico schema dell’ottava, ma piuttosto il componimento può essere

scindibile in sottogruppi di quartine con sporadica comparsa di versi sciolti interni. Il

tono è quello di un’invocazione accorata, quasi una preghiera che suona di supplica.

CANTO D’APRILE

O amore, amore, amor… tutto ti sento

divinamente palpitar nel sole,

nei soffii larghi e liberi del vento,

nel mite olezzo trepidante e puro

de le prime viole!

33 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

49

Come linfa vital, caldo e ferace

vivi e trascorri nei nascenti steli;

come le allodole canti; angelo audace

fra mille atomi d’or voli, e cospargi

di luce i mondi e i cieli.

O amore, amore, amor!... Tutto ti sento

nell’esultanza dell’april risorto;

dai profumi a le rose ed ali al vento

copri la terra di raggi e di baci…

Ma nel mio cor sei morto34.

ANALISI: si tratta di una lirica tripartita in cui accennato è lo stile “eroico”

tipicamente verista. Il testo poetico si sofferma e attarda in descrizioni silvane,

campestri, canori (Con le allodole canti…), dove ogni espressione usata è metafora

per esprimere le valenze d’amore.

Ciascuna delle tre strofe consta di una quartina di endecasillabi coll’aggiunta di una

quintina rimante con il secondo verso di ognuna di esse.

Abbiamo ancora un’opposizione tra la rinascita del mondo naturale con la primavera

e la morte del sentimento amoroso nel cuore della protagonista.

NON POSSO

Perché, quando con dolce e maliardo

labbro mi narri di tua vita errante,

l’innamorato e cerulo tuo sguardo

par che tutto mi sugga il cor pulsante?

No, non chiamarmi ai morti sogni e ai baci…

Non posso, taci!...

Quando, raccolta e pensierosa, ascolto

34 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

50

la voce tua che come un’arpa vibra,

perché sale una vampa a te sul volto,

corre un brivido a me per ogni fibra?...

No, non chiamarmi ai morti sogni e ai baci…

Non posso, taci!...

Altro fato m’incalza. – Oh mai, nell’ora

voluttuosa in cui tutto s’oblia

e nel delirio rapida s’infiora,

labbro d’amante mi dirà: “Sei mia.”

Su la mia bocca giovanile e pura

bacio è sciagura.

Tu mai non pensi l’amor mio?... Raggiante

luce sarebbe di gioia e di gloria,

riso di giovinezza trionfante,

inno di speme e canto di vittoria;

d’anima e di pensier, di mente e d’ossa

magica scossa.

E pur, vedi, ti scaccio e m’allontano,

rigida e casta, ne la notte fonda;

non mi chieder perché di questo strano

tirannico mister che mi circonda;

non richiamarmi ai morti sogni e ai baci…

Non posso, taci!...35

ANALISI: “non richiamarmi ai morti sogni e ai baci… non posso, taci!” questa è la

supplica finale delle prime due strofe e dell’ultima di questo componimento; la

protagonista non vorrebbe ricadere nel vortice dei ricordi del suo amore perduto, ma

35 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

51

per lei questa spirale è inevitabile nonostante vada contro la sua volontà. Il ritmo è

incalzante e cadenzato, come a scandire le tappe della storia amorosa ora vissuta

come dannosa reminescenza.

MISTICA

Ella amava le gotiche navate

dei templi solitari;

i ceri agonizzanti sugli altari,

il biascicar dei mistici

rosari.

Ella pregava sempre, pei dolori

che ancor non conoscea:

come un giglio era bella e nol sapea;

non di carne, ma d’etere

parea.

Una sera, nell’ombra di un’arcata,

uno sguardo l’avvolse.

Ella chinò la testa e non si volse,

ma nelle fibre un tremito

la colse.

Un’altra sera ancor, nel tempio vuoto,

ella incontrò quel viso.

Prometteva l’inferno e il paradiso…

Il cor le battè rapido,

conquiso.

Ad una voce su la bocca: Io t’amo,

le disse, ed ella pianse…

Un angelo dall’alto la compianse;

sull’altare una lampada

s’infranse.36

36 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

52

ANALISI: questa lirica è bibartita in due sezioni, ciascuna delle quali vuole cercare di

trasmettere e infondere nel lettore lo stato di rapimento estatico, quasi ipnotico, della

protagonista della poesia, e descrivere la sua labirintica, ripetuta e abituale

frequentazione degli oscuri meandri e bui angoli di una chiesa. Tutto ciò è comunque

già chiaramente accennato dal titolo del componimento stesso.

53

Un confronto con Salvatore di Giacomo

Accenni biografici: Salvatore di Giacomo nasce a Napoli il 12 Marzo 1860.

Avviatosi a seguire la professione del padre, dopo pochi esami abbandona gli studi di

medicina per assecondare la propria vocazione poetica e letteraria. Molto presto,

difatti, inizia a collaborare con riviste e giornali, pubblicando articoli e novelle. Nel

1893 diventa bibliotecario e negli anni seguenti arriva a ricoprire tale funzione in

varie biblioteche e istituzioni culturali di Napoli. Nel 1929, al culmine del successo,

è nominato Accademico d’Italia. Muore nella sua amata Napoli il 5 Aprile 193437.

Quasi un segno del destino il suo abbandono della facoltà di medicina; in questo

periodo, per vivere, lavora come correttore di bozze presso la tipografia editrice

Giannini e scrive sul “Corriere del mattino” per poi diventare nel 1883 cronista. E’

questa la fase decisiva della sua giovinezza perché, da un lato, fa incontri decisivi

37 http://www.portanapoli.com/Ita/Cultura/salvatore-di-giacomo.html

54

(come quello con Matilde Serao) che lo inseriscono nei più vivi ambienti napoletani,

e, dall’altro, la sua attività di giornalista e fotografo (a volte anche di cronaca nera) lo

avvicina alla Napoli più verace e sofferta, la Napoli fatta di drammi e miserie emerse

nel ventennio postunitario, quando Partenope perde i suoi privilegi di capitale

borbonica.

Ed è proprio grazie a questo repertorio di immagini e fatti, tratti qua e la da vicoli,

prigioni, tribunali, ospedali, inesauribili fonti della sua ispirazione/produzione, che di

Giacomo sottrae la letteratura napoletana al riduttivo bozzetto di stampo verista,

importandovi la più profonda anima di una città che arriva presto a identificarsi nella

sua poesia: temi e valori in cui i lettori cittadini non faticano a riconoscersi.

Ciò sembra spiegare il largo consenso di pubblico alle sue prime canzoni, musicate

in questi anni da validi artisti, quali Mario Costa per la petrarchesca Era de maggio e

il rinomato Francesco Paolo Tosti per Marechiare, la cui melodia la rende talmente

celebre in tutto il mondo da farla tradurre in molteplici lingue, tra cui persino il

latino:

<< Luna cum Claris Maris extas undis / aestuant pisce furiis amoris: / pura perlabens

variat micantes unda colores >> (<<Quanno sponta la luna a Marechiare / pure li

pisce nce fanno fanno a ll’ammore, / se revoteno ll’onne de lu mare, / pe la priezza

cagneno culore>>)38.

Di Giacomo si tiene lontano da mode e clamori della belle époque partenopea, quasi

estraneo alle tendenze letterarie del periodo (con il classicismo professorale di

Carducci, il decadentismo rurale di Pascoli, lo snervante estetismo di D’Annunzio),

per portare alla massima perfezione quel dialetto che assorbe dalla sua matrice

38 http://www.portanapoli.com/Ita/Cultura/cu_digiacomo.html

55

popolare echi ed antiche suggestioni di alta letteratura: dai lirici greci come Saffo per

passare attraverso le esperienze di Cortese e Basile. Salvatore di Giacomo dunque

realizza un’originale sintesi che pur nella sua struttura colta ha l’immediatezza della

lingua parlata: si tratta del dialetto digiacomiano, definito un napoletano

italianizzato.

La poesia del Di Giacomo, forse proprio perché voce di un popolo che attraverso il

canto e la naturale teatralità esprime sé stesso, rivela immediatamente una sua

intrinseca musicalità, tanto da portare la canzone napoletana –tra fine ‘800 e i primi

del ‘900- alle dimensioni di un vero fenomeno culturale.

In un anfratto sul mare della collina di Posillipo a Napoli un piccolo porticciolo di

pescatori, qualche ristorante e uno stabilimento balneare, fanno da cornice alla ormai

famosissima “finestrella” , resa celebre da una delle più note canzoni napoletane.

L’origine del toponimo sembra derivare dal latino mare planum, poi in dialetto

napoletano mare chiano e quindi MARECHIARO, così come riportato anche dalla

toponomastica ufficiale delle viuzze che da Posillipo conducono al mare.

E’ il 1885 quando il grande poeta scrive in alcuni suoi versi di una finestrella a picco

sul mare, adornata da un vaso di garofani; dietro quella finestra, nella sua stanza,

dorme Carolina, un innamorato la invoca con una serenata appassionata, mentre tra

le onde del mare sottostante i pesci amoreggiano al chiaro di luna e sotto le stelle.

Al poeta, che solamente immagina i luoghi non avendoli mai visti, questi versi

appaiono troppo scontati e sdolcinati tanto da non inserirli nelle raccolte da lui stesso

curate. Eppure l’immagine degli occhi della fanciulla, più lucenti delle stelle e

l’appassionato richiamo “Scetate Carulì che l’aria è doce”, colpiscono il musicista

Francesco Paolo Tosti che, a sua volta ispirato dalle melodie provate col flauto da un

ambulante, scrive una musica elegante e raffinata che, con le sue note struggenti

diventa subito una delle canzoni più popolari dell’epoca.

Così nasce la canzone Marechiare, che secondo molti può essere considerata al pari

di “ ‘ O sole mio” , un vero e proprio inno napoletano.

Rapidamente Marechiare, pubblicata dalla Ricordi di Milano, riscuote un successo

clamoroso, al punto che un oste, proprietario di una locanda a Marechiaro, si

impegna a ricreare nel dettaglio tutti i luoghi della canzone, e lo stesso Di Giacomo,

56

recatosi sulla spiaggetta, trova oltre alla finestra con il vaso di garofani, anche una

cameriera del locale di nome Carolina.

Per una strana e casuale ironia della sorte Salvatore di Giacomo, autore di numerose

liriche di maggior spessore, è ricordato proprio per questi versi, da lui i meno amati

di tutti.39

MARECHIARE

Quanno sponta la luna a Marechiare

pure li pisce nce fann’ a l’ammore,

se revotano l’onne de lu mare,

pe la priezza cagneno culore

quanno sponta la luna a Marechiare.

A Marechiare nce sta na fenesta,

pe’ la passione mia nce tuzzulea,

nu carofano adora int’a na testa,

passa l’acqua pe sotto e murmuléa,

A Marechiare nce sta na fenesta

Ah! Ah!

A Marechiare, a Marechiare,

nce sta na fenesta.

Chi dice ca li stelle so lucente

nun sape l’uocchie ca tu tiene nfronte.

Sti doje stelle li saccio io sulamente.

dint’a lu core ne tengo li ponte.

Chi dice ca li stelle so lucente?

Scetate, Carulì, ca l’aria è doce.

quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?

39 http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/digiacom.htm

57

P’accompagnà li suone cu la voce

Stasera na chitarra aggio portato.

Scetate, Carulì, ca l’aria è doce.

Ah! Ah!

O scetate, o scetate,

scetate, Carulì, ca l’area è doce.40

Altri versi sdolcinati hanno la fortuna di essere messi in musica, anche se non

altrettanto fortunati quanto i precedenti.

Sono quelli che raccontano di due giovani innamorati che rammentano le sensazioni

trasmesse da un giardino profumato di rose, accordati dal musicista tarantino-

napoletano Mario Costa:

ERA DE MAGGIO

Era de maggio e te cadéano ‘nzino,

a schiocche a schiocche, li ccerase rosse…

Fresca era ll’aria… e tutto lu ciardino

addurava de rose a ciento passe…

Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,

na canzone centavamo a doje voce…

Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,

fresca era ll’aria e la canzona doce…

E diceva: <<Core, core!

core mio, luntano vaje,

tu mme lasse, io conto ll’ore…

chisà quanno turnarraje!>>

40 Salvatore di Giacomo, La vita, la poesia, le canzoni, la prosa

58

Rispunnev’io: <<Turnarraggio

quanno tornano li rrose…

si stu sciore torna a maggio,

pure a maggio io stongo cca…>>

Si stu sciore torna a maggio,

pure a maggio io stongo cca.

E so’ turnato e mo, comm’a na vota,

cantammo ‘nzieme lu mutivo antico;

passa lu tiempo e lu munno s’avota,

ma ‘ammore vero no, nun vota vico…

De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,

si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana:

Ll’acqua, lla dinto, nun se secca maje,

e ferita d’ammore nun se sana…

Nun se sana: ca sanata,

si se fosse, gioja mia,

‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata,

a guardarte io nun starria!

E te dico: <<Core, core!

core mio, turnato io so’…

Torna maggio e torna ‘ammore:

fa de me chello che vuo’!

Torna maggio e torna ‘ammore:

fa de me chello che vuo’!>> 41

41 Salvatore di Giacomo, La vita, la poesia, le canzoni, la prosa

59

Personalità estremamente versatile, il Salvatore di Giacomo poeta storico letterato

studioso giornalista bibliotecario lascia un repertorio di immagini, parole e musiche

che condensano tradizioni, voci e sentimenti di una Napoli nobilissima di cui egli

forse tesse gli elogi come pochi altri, attraverso l’infinito amore che la sua gente

sempre gli mostra e che egli ricambia, spesso passeggiando fra quelle viuzze dove si

ferma ad osservare il popolo con la sua spettacolare congenita teatralità. E di Napoli

l’artista vagheggia nostalgicamente soprattutto il glorioso passato settecentesco, la

sua pittura lussureggiante, le armonie musicali e il melodramma di Metastasio, il

vivace teatro, negli anni in cui la città aveva il gran respiro di capitale europea. 42

E’ come se egli desse voce e solennità alla secolare poesia della sua città,

raggiungendo non a caso le massime espressioni in quelle che sono da sempre le sue

intrinseche forme d’arte: la canzone e il teatro, come mostrano e ci fanno intuire i

versi seguenti:

PIANNEFFORTE ‘E NOTTE

Nu piannefforte ‘e notte

Sona lontanamente

E ‘a musica se sente

Pe ll’arie suspirà.

E’ ll’una: dorme ‘o vico

Ncopp’a sta nonna nonna

‘e nu mutivo antico

‘e tanto tempo fa.

Dio, quanta stelle cielo!

Che luna! E c’aria doce!

Quanto na bella voce

42 http://www.portanapoli.com/Ita/Cultura/di_giacomo_voce_poetica_2.html

60

Vurria sentì cantà!

Ma solitario e lento

More ‘o mutivo antico;

se fa cchiù cupo o vico

dint’a all’oscurità.

Ll’anema mia surtanto

rummane a sta funesta.

Aspetta ancora. E resta,

ncantannose, a penzà.43

E’ il 1905 quando Di Giacomo – ormai famoso anche grazie ad un saggio rivelatore

di Benedetto Croce, che in seguito ne pubblica in volume anche le poesie – conosce

una giovane studentessa, la quale prende l’abitudine di recarsi alla sua biblioteca (la

Lucchesi Palli) per conoscere e capire da vicino il poeta da lei prescelto come

oggetto della propria tesi di diploma. Elisa Avigliano, questo il suo nome, una

ragazza alta e brunetta di lui più giovane di 19 anni; fra un incontro e l’altro si

accende di passione il cuore dell’artista a tal punto da rendere presto Elisa il suo

unico e tormento amore nella vita.

E’ un rapporto passionale, pieno di sospetti e gelosie dall’una e dall’altra parte,

scosso da liti e minacce di separazione, ma sempre struggente e vitale nel cuore di un

poeta che nella sua napoletanità è anche e fortemente meteoropatico e condizionato

dal morboso affetto materno.

<<La mia anima>> scrive alla sua Elisa << è sempre come un cielo ora annuvolato,

ora luminoso su cui rapidamente si avvicendano sole e nubi e devo ripeterti, ancora

una volta, che il buono e il cattivo tempo lo fai unicamente tu>>44, parole che

possono fare da preludio alla lirica che segue:

43 Salvatore di Giacomo, La vita, la poesia, le canzoni, la prosa

44 http://www.portanapoli.com/Ita/Cultura/di_giacomo_voce_poetica_2.html

61

MARZO

Marzo: nu poco chiove

e n’ato ppoco stracqua

torna a chiovere, schiove,

ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,

mo n’aria cupa e nera,

mo d’o vierno ‘e tempesta,

mo n’aria ‘e Primavera.

N’auciello freddigliuso

aspetta ch’esce ‘o sole,

ncopp ‘o tturreno nfuso

suspireno ‘e vviole.

Catarì!...Che buo’ cchiù?

Ntiénneme, core mio!

Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,

e st’auciello songo io.45

Malinconia di tempi passati, emozioni vissute, ricordi lontani, amori negati e

rimpianti: tutti temi comuni a due poeti così geograficamente opposti, l’una donna e

l’altro uomo, ma con molti elementi vicini.

Entrambi attingono al proprio patrimonio locale, alla propria esperienza più o meno

negativa e cercano punti di contatto, parallelismi, tra il mondo umano e quello

naturale, come se si trattasse quasi di una compartecipazione panica tra la persona (e

la sua emozione/sensazione) e l’ambiente circostante.

45 Salvatore di Giacomo, La vita, la poesia, le canzoni, la prosa

62

Due poeti che con i loro versi, anche inconsapevolmente, creano una personalissima

musica in poesia, tanto da ispirare numerosi compositori (contemporanei e non) a

realizzare melodie per poter tradurre in note le loro parole e così esaltarle, plasmarle,

ricontestualizzarle.

Ada Negri e Salvatore di Giacomo: due voci che prendono le prime mosse dalle loro

origini umili, nelle cui poesie, dati il carattere e l’impostazione di tipo sociale, si

riconoscono le persone comuni, eppure esaltate e ufficialmente riconosciute

dall’Accademia del Regime Fascista.

Due personalità, due culture apparentemente distanti, ma in realtà finemente

collegate da una sottile rete di riferimenti, temi e figure davvero simili che rendono

la lettura delle loro opere una sorte di percorso a tappe da vivere, scoprire e capire

pagina dopo pagina.

63

CAPITOLO III

Musica e Parole

64

Quattro liriche musicali da camera su testi di Ada Negri

COMPOSITORI E OPERE A CONFRONTO:

Tirindelli /Tosti, due modi per Strana

Pier Adolfo Tirindelli nasce a Conegliano di Treviso nel 1858; studia al

Conservatorio di Milano violino e composizione.

Fanno parte della sua produzione due poemi sinfonici, un concerto per violino e

orchestra, vari brani per violino e pianoforte ed una pleiade di canzoni, romanze e

liriche da camera, alle quali si deve la sua presenza nel repertorio contemporaneo

circuitante, grazie anche alla loro traduzione in lingua inglese.46

46 Alberto De Angelis, L’Italia musicale di oggi: dizionario dei musicisti, compositori, direttori d’orchestra,

concertisti, insegnanti, cantanti, scrittori musicali, librettisti, lituai, ecc., p.485, Ausonia Editrice/S.A.I. Industrie

Grafiche, Roma 1992 (seconda edizione ampliata)

65

STRANA

Questa lirica porta il numero “104845” nel Catalogo della Casa Editrice Ricordi.

Datata 1902, la melodia – come la definisce il compositore stesso Tirindelli – fa il

suo esordio con un tremolo “ambientale”, che sembra imitare gli archi dell’orchestra

nel voler ricreare mediante effetti musicali il tremolìo del fogliame boschivo.

Il canto esordisce declamando il testo poetico su tre note, a voler quasi simboleggiare

66

una tripletta ideale che ribadisca l’idea del fluttuare, dell’oscillare e del tremolìo

floreale:

47

La prima sezione della lirica (prime 21 battute) ha una funzione principalmente

preparatoria e descrittivo-evocativa, poiché non contiene melodie vere e proprie.

L’esordio della seconda sezione (Poco più mosso) ricorda molto da vicino l’attacco

del monologo della protagonista dell’opera, con un procedimento anaforico-

musicale.

Segue una terza sezione (Lento espressivo, da battuta 38) che possiamo definire

propriamente “melodica”.

Ci troviamo dunque dinnanzi all’emergere di una melodia in progressione

armonica48.

La sezione centrale (Slancio amoroso) scompare lasciando la scena (battuta 62) al

tetro e oscuro tremolìo iniziale, dove l’oscillare delle foglie rispecchia e rappresenta

il trepidante ansimare dell’animo femminile, ma anche umano in generale, in balìa

del soffio del vento del destino (metafora esistenziale già oggetto e soggetto di

numerose liriche italiane).

Pur avendo ripristinato Tirindelli la prima sezione, la lirica si chiude con

un’improvvisa ripresa della terza sezione in RE maggiore, il che rappresenta una

ripresa della tematica quasi trionfale. E’ questa una modulazione parzialmente

enarmonica, quasi a voler suggerire musicalmente: anche se la stagione dell’amore è

47 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.17, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

48 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.17, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

67

tramontata, il cammino della vita deve andare avanti.

In altre parole assistiamo a una specie di scompenso, di scissione, tra componente

testuale e componente musicale della lirica.

Si riporta di seguito il testo di questa lirica, omettendo le ripetizioni di incisi testuali

a cui ricorre il compositore, specificando che Tirindelli utilizza solo sei delle 18

terzine di cui consta l’originale della Negri (anche se si deve riconoscere un senso di

compiutezza all’utilizzo delle sole prime).

Treman le foglie con brivido lento:

Al bosco verde che bisbiglia e posa

Narra una storia il vento.

E comincia così: C’era una volta…

E, trepidando all’alitante spiro,

Il bosco verde ascolta.

Era un’errante e fervida gitana:

Avea la bocca rossa e fulvo il crine,

E si chiamava: Strana.

Un giorno amò. – Fu spasmo e fu dolcezza.

Fu sorriso e delirio, ombra e splendore

Di quell’amor l’ebbrezza.

68

Un altro giorno attese ed ei non venne.

Attese a lungo, palpitante e muta.

Non venne più… non venne.

Ed essa allor, chinando il volto assorto,

Disse: A che serve trascinar la vita,

Quando l’amore è morto? 49

49 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.23, in Archivio Storico

Lodigiano, 1995

69

70

Francesco Paolo Tosti nasce in provincia di Chieti nel 1846 e studia violino, armonia

e contrappunto e composizione presso il Conservatorio di Napoli.

Divenne presto insegnante di canto della principessa Margherita di Savoia, e

direttore dell’archivio musicale della corte.

La sua produzione (numericamente sterminata, dal momento che si contano circa

cinquecento unità) si concentra unicamente intorno al genere delle romanze per voce

e pianoforte; di questo genere può essere definito l’esponente più celebrato fra Otto e

Novecento.

STRANA

E’ da notare come Tosti nel 1893 estrapoli dal componimento poetico negriano solo

alcuni versi, specificando sulla partitura della lirica (per canto e pianoforte)

71

esplicitamente: “Frammento” (sottinteso: della poesia originale), mentre nove anni

dopo Tirindelli, si appropria del medesimo estratto non specificando affatto tale

indicazione.

Va detto che la versione di Tosti è piuttosto marginale e può essere definita una

“pagina minore” per la scarsa ispirazione, per l’eccessiva essenzialità della scrittura

musicale, la troppa semplicità compositiva e l’altissimo livello ermetico

rintracciabile nel carattere “abbozzato e preparatorio” che il compositore, forse

volutamente, ricrea nella sua versione di Strana.

Se non fosse per alcune note sfuggite all’armonia standard, canonica, e per talune

modulazioni inaspettate e dissonanti, si potrebbe perfino definire lo stile di questa

composizione “scolastico/accademico”, proprio come quello di un compito

d’armonia assegnato dai maestri del Conservatorio.

A tratti quasi ecclesiastico, ripetitivo, privo di autentico pathos; sembra che Tosti

conferisca appositamente un carattere di unicità, stranezza, imprevedibilità ed

anticonformismo allo stesso assetto scritturale e formale del brano, al fine di rendere

musicalmente l’idea del carattere della protagonista della lirica (e della poesia) gitana

di nome Strana.

Il senso di noia che, anche se breve, sprigiona questa pagina deriva in parte

dall’isometria delle note su cui è costruita la melodia. Anche l’iniziale precisazione

di Racconto le si addice davvero poco conoscendo la meravigliosa musicazione

tirindelliana della stessa pagina, a cui invece il nome di Racconto ben si confà.

Il mancato inserimento nel repertorio circuitante di questa lirica, si deve appunto alla

preferenza generale per la versione del Tirindelli50.

50 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.68, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

72

Strana di Tosti è edita da Ricordi; numeri di catalogo: “b 96782/83/84”

La lineare e semplice scrittura rivela, mediante una rete armonica assai ricercata, la

profonda conoscenza accademica del Tosti.

Come nota Mario Genesi: “Nel testo troviamo un accumularsi di sensazioni,

percezioni, narrazione, evocazione fulminea ed incisiva, il tutto coronato dalla

realistica “morale della favola”: di conseguenza nella musica abbiamo una

trasposizione ambientale modulante e frammentata, piuttosto che unitaria e compatta:

la componente armonica prevale su quella melodica”51.

La medesima sezione riappare ben tre volte di seguito, nelle prime due in modo

minore, per poi confluire, in corrispondenza della conclusione di questo “piccolo

poema”, in una scrittura musicale che segue una formula da camera più consueta,

ovvero più compatta, schematica e continuativa, proprio nel momento dell’epilogo

moraleggiante e didascalico con cui si chiude la poesia.

Dunque è bene ricordare che la ricercatezza, la stranezza, delle interconnessioni e

delle corrispondenze armoniche trova una valida ragion d’essere proprio nel titolo

della lirica.

51 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.69, in Archivio Storico

lodigiano, 1995

73

52

52 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.71, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

74

Tirindelli/Mauroner: Canto d’Aprile

Pier Adolfo Tirindelli; la musicazione di questa lirica di Ada Negri si presenta

serrata e compatta ed è pubblicata dall’Editore Ettore Brocco di Venezia, numero di

Catalogo 248-V a. il senso di unità viene impresso alla lirica sia dall’andamento

Allegro vivace con molta anima, sia dal suggestivo intersecarsi degli incisi melodici

fra parte vocale e pianistica; ma va specificato e sottolineato che la parte vocale

viene come raddoppiata e sostenuta da quella pianistica.

Un esempio di queste intersecazioni si ha nel tetracordo iniziale DO#4, SI3, FA#3,

LA3, che si fa portavoce di un accennato stile “eroico” tipico del Verismo,

eccheggiato in seguito in sequenze serrate di modulazioni improvvise in parte

enarmoniche.

La scrittura e tessitura della parte vocale evita appositamente le altezze proprie della

tessitura operistica, mantenendo invece un’estensione neutra, valida sia per

un’esecuzione sopranile che contraltile che mezzosopranile.

La lirica è tripartita: l’accompagnamento sembra scomparire proprio quando anche il

motivo tetracordale sembra dissiparsi con un’anabasi/catabasi melodica solistica che

si richiude su se stessa; in questo istante ecco nascere la sezione centrale della lirica

(Come fluido vital caldo e ferace).

L’intento della parte vocale è descrittivo; il testo poetico indugia, si attarda in

descrizioni boschive, silvane, campestri, canore (Con le allodole canti…), dove ogni

riferimento del testo è veicolo e metafora per esprimere le valenze d’amore.

La lirica e’ chiusa da un Presto con un’ultima ripresa del motivo tetracordale in

75

direzione ascendente; come denota Mario Genesi: -Per l’uso del “tempo tagliato” o

“a cappella” l’andamento di Amore, Amor!... è assai veloce.-

Essendo il testo originale della Negri in tre strofe, si può concludere che il

compositore ha adattato alla struttura testuale la tripartita struttura musicale; anche se

il procedimento non deve essere stato così lineare, il che si può evincere

confrontando il testo originale della poetessa ed il testo che appare effettivamente

associato alla musica, adattato dal Tirindelli con non poche ripetizioni al suo interno:

LIRICA ORIGINALE DI

ADA NEGRI

CANTO D’APRILE

O amore, amore, amor… Tutto ti sento

Divinamente palpitar nel sole,

Nei soffii larghi e liberi del vento,

Nel mite olezzo trepidante e puro

de le prime viole!

Come linfa vital, caldo e ferace

Vivi e trascorri nei nascenti steli;

Come le allodole canti; angelo audace

Fra mille atomi d’or voli, e cospargi

di luce i mondi e i cieli.

76

O amore, amore, amor… Tutto ti sento

Nell’esultanza dell’april risorto;

Dai profumi a le rose ed ali al vento

Copri la terra di raggi e di baci…

Ma nel mio cor sei morto53.

UTILIZZO DI TIRINDELLI

AMORE, AMOR…!

(CANTO D’APRILE)

O amore, amor, amor!... Tutti ti sento

Palpitare divinamente nel sole

Nei soffi larghi e liberi del vento,

Nel mite olezzo trepidante e puro

De le prime viole!

O amore, amor!... Tutto ti sento

Palpitar divinamente nel sole,

Amore, amor, Amore, amor, amor!...

Come fluido vital, caldo e ferace

Vivi e trascorri nei nascenti steli;

Con le allodole canti; angelo audace

Fra mille atomi d’or voli, e cospargi

Di luce i mondi e i cieli.

53 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

77

Amore, amor!... Tutto ti sento

Nell’esultanza dell’april risorto;

Dai profumi alle rose ed ali al vento

Copri la terra di raggi e di baci…

Amore, amor… Amore, amor!

Tutto ti sento palpitar

Ma nel mio cor sei morto

Amore, amor!...54

Comparando le due versioni testuali di Canto d’Aprile risulta chiaro come, per

esigenze di adattamento, il compositore si trova a dover ripetere almeno cinque versi

degli originari quindici di Ada Negri, portando il costrutto testuale a 21 versi in tutto.

Giuliano Mauroner nasce in provincia di Udine nel 1846; consegue la laurea in

medicina ed esercita la professione in Toscana, ma prende lezioni di violino fino ad

arrivare a specializzarsi in questo strumento.

Mauroner alterna L’attività esecutiva a quella della composizione musicale, e la sua

produzione di liriche per canto e pianoforte è sopraggiunta sino a noi grazie alla

capillarità delle edizioni a stampa fiorentine realizzate tra il 1890 e il 1919.

Addirittura egli vanta il primato per numero di intonazioni di testi poetici negriani

(ben 24 contro la paternità tirindelliana di 17 liriche musicate).

54 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.26, in Archivio Storico

Lodigiano, 1995

78

CANTO D’APRILE

In questo caso Mauroner utilizza in toto l’originario testo della lirica di Ada Negri,

mutuato dalla raccolta poetica d’esordio del 1892 Fatalità, sicuramente quella che

godette di maggior fortuna presso i compositori dell’epoca.

La scrittura pianistica di Canto d’Aprile, come fa notare il Genesi, rimanda in

maniera assai esplicita a pagine pianistiche romantiche come i notturni chopiniani.55

55 Mario Genesi, Il corpus di 21 liriche per canto e pianoforte del compositore udinese Giuliano Mauroner su

versi della poetessa Ada Negri, p.284, in Archivio Storico Lodigiano 2005

79

80

81

Sul tono di Re bemolle maggiore il compositore costruisce la cullante struttura

musicale della lirica, e il tempo indicato in chiave è Allegretto Appassionato.

Mauroner tripartisce la struttura musicale della lirica, in forma di cosiddetta canzona:

A – B – A156

riprendendo in maniera identica la musicalizzazione della prima strofa anche nella

terza, un procedimento musicale “suggerito” dall’ incipit anaforico della terza strofa

identico a quello della prima “O amore, amore, amor!... Tutto ti sento…; anche se la

conclusione della terza strofa richiede al solista vocale un acuto, originante a sua

volta una discesa melodica nel tentativo di tradurre in musica la correlata immagine

testuale:

Copri la terra di raggi e di baci…

Ma il commiato di voce e strumento è molto più sommesso e lasciato suggerire da

una sonorità in pianissimo, il che vuole chiaramente veicolarla dissociazione dell’io

narrante rispetto a quel panico e universale slancio amoroso:

Ma nel mio cor sei morto!

Per quanto riguarda la strofa centrale, pur essendo rintracciabili in essa sequenze

armoniche analoghe a quelle delle due estreme strofe simmetriche (prima e terza),

56 Mario Genesi, Il corpus delle 21 liriche per voce e pianoforte del compositore udinese Giuliano Mauroner su

testi della poetessa Ada Negri, p.287, in Archivio Storico Lodigiano 2005

82

nell’accompagnamento strumentale siamo guidati da un ribattuto accordale in

crome.

Tirindelli/ Della Rocca: Mistica

Pier Adolfo Tirindelli con la musicazione di Mistica realizza una splendida pagina

cameristica; il compositore qui sfodera un’incredibile maestria sia nella inventio

melodica che nel costrutto scritturale e nella definizione armonica del brano, sia nella

strumentazione, che qui non si limita al solito duo di pianoforte e cantante lirico

solista: questi sono affiancati dalle parti accessorie di violino, violoncello ed

harmonium.

Mistica è senza dubbio degna di essere avvicinata al ristretto numero delle più

celebri liriche e melodie del Novecento, sia per la frequentazione di cantanti lirici di

indiscussa fama, sia per la pubblicazione e divulgazione anche all’estero.

Questa lirica è bipartita in due ampie sezioni; la inventio melodica è basata su di un

inciso ripetuto in maniera ossessiva, quasi a simulare il perdersi in un labirinto, come

per descrivere anche tramite un procedimento melodico-musicale lo stato di

rapimento estatico, ipnotico se vogliamo, della protagonista della poesia:

MISTICA

Ella amava le gotiche navate

Dei templi solitari;

83

I ceri agonizzanti sugli altari,

Il biascicar dei mistici

Rosari.

Ella pregava sempre, pei dolori

Che ancor non conoscea:

Come un giglio era bella e nol sapea;

Non di carne, ma d’etere

Parea.

A questo punto Tirindelli ripete il primo emistichio del verso 6:

Ella pregava sempre, sempre, pregava sempre.

L’ossessiva ripetizione di questo inciso, reso in melodia con una base tetra-notale,

serve appunto al compositore per dipingere la labirintica, reiterata ed abituale

frequentazione, da parte della protagonista, degli oscuri meandri e degli angoli bui di

una chiesa.

Cruciale è l’importanza di questo modulo tematico-motivico: infatti il medesimo

inciso, nella parte pianistica con cui esordisce Mistica, serve al compositore per

ricavare la cantilenante parte vocale, attraverso la quale si vuole ritrarre lo stato di

rapimento della donna.

Ma Tirindelli, davanti agli occhi abbacinati della meditabonda e devota giovane

protagonista, riesce ad ottenere un’improvvisa rischiarita instaurando una specie di

84

concertino celeste ad accompagnare l’estatica eroina, colta da un colta da un deliquio

religioso-amoroso-fonico-uditivo: improvvisamente al duo voce-pianoforte si

uniscono gli strumenti accessori. L’inserimento degli archi non comporta una novità,

ma quello dell’harmonium a pedali vuole essere un tocco di “lirismo strumentale”,

per ricreare l’ambiente mistico di una chiesa all’interno della quale ha luogo questa

trasumana epifania, nonostante la lirica poi sarà eseguita in ambienti da camera e non

ecclesiastici.

Anche le tonalità e la dinamica mutano: da Lento in Sol minore a Più mosso/Molto

legato ed armonioso/Espressivo in Sol maggiore.

Ecco come si presenta in partitura la differenza tra le due parti della lirica:

85

57

57 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.31, in Archivio storico

Lodigiano 1995

86

Nonostante la cornice d’ambientazione non sia quella sacra, numerosi sono i

riferimenti a tale ambito anche nella parte testuale; nella seconda strofetta del testo

poetico, la poetessa menziona esplicitamente il paradiso, che viene promesso da uno

sconosciuto alla devota protagonista della scena lirica.

Anche nella seconda parte della lirica l’andamento delle tonalità basse sembra

attingere al formulario musicale ecclesiastico.

L’apparato strumentale assomiglia ad una coltre sulla quale si adagia il canto:

accordi spezzati in sedicesimi nella parte pianistica, uno suadente corale chiesastica

nella parte riservata all’harmonium, legatissimo, senza alcuna pausa, il tutto agisce

per tradurre la lievitazione dell’etere durante l’incontro amoroso tra i due

protagonisti.

Va sottolineato il fatto che assai spesso le parti accessorie di violino, violoncello ed

harmonium coincidono, fornendo un’unica melodia raddoppiata a varie ottave, con

un effetto timbrico che esalta il registro mediano-tenorile; il violoncello pare

assumere una funzione idealmente duettante con la protagonista vocale sopranile

della lirica.

Per quanto riguarda la parte dedicata all’esecuzione del violino, notiamo che la

scrittura, ora acutamente svettante, ora quasi volta ad accorare la protagonista

raddoppiando con improvvisi salti la parte sopranile, sembra quasi raffigurare

melodicamente l’angioletto che compiange la perduta eroina della scena.58

58 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, pp.33/35, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

87

Angelo Della Rocca pubblica la sua versione di mistica con la specificazione

tipologica di “leggenda romantica per canto e pianoforte”59 negli anni Novanta

dell’800.

Il testo è reso celebre soprattutto nella tersa musicalizzazione di Pier Adolfo

Tirindelli.

Della Rocca facilita la parte vocale rispetto all’assai ritmicamente intensificata parte

pianistico-strumentale. In primo luogo va constatato il massiccio ancoramento al

tono d’impianto di Si bemolle maggiore del brano; si osserva poi come l’estesa lirica

sia in realtà costruita dall’avvicendamento di due distinte sezioni più volte riprese al

suo interno.

Infatti la struttura della lirica risulta, grazie alla nitidezza della stesura musicale,

schematizzabile in sotto sezioni. La realizzazione fonica forse può giungere un po’

fredda musicalmente, ma riesce a configurare bene gli svolazzi degli angeli. Secondo

questa interpretazione musicale l’intera scena sarebbe ambientata all’interno di una

chiesa.

Una prolissa introduzione strumentale precede l’entrata del canto, caratterizzato

unicamente da semiminime e crome.

Tirindelli/Ponzone: Storia Breve

Pier Adolfo Tirindelli pubblica questa romanza presso la Casa Ricordi, con il

59 Mario Genesi, versioni musicate di liriche di Ada Negri, p.249, in Archivio Storico Lodigiano 2006

88

numero di catalogo 105784.

La melodia creata dal compositore ricorre a tutte le note della scala “minore

naturale”, così classificata secondo l’ottica tonale occidentale classica:

60

Per il diatonismo dell’inserto vocale d’esordio della lirica:

61

si potrebbe supporre che Tirindelli abbia fatto ricorso ad una sorta di neo-modalismo

atto a tradurre fonicamente l’aurorale ispirazione che alimenta la poetessa nella

descrizione femminile:

60 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.35, in archivio Storico

Lodigiano 1995

61 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.37, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

89

Ella pareva un sogno di poeta (verso 1)

Questa romanza è definibile quasi come una pagina dalla sottigliezza “aerea” dato

che la nota più grave è il Si bemolle; appunto, questa nota, essendo la più grave di

tutta la lirica, è raggiunta non casualmente in corrispondenza dell’accento tonico

della parola-chiave: amò.

Per penetrare un poco più a fondo nella costruzione compositiva di questa Storia

Breve, si deve specificare che il compositore osserva il principio del semplicismo e

della semplicità strutturativa.

L’irregolarità seguita nell’introduzione delle voci, rende l’idea di un cercato effetto

“rapsodico”, quasi volutamente improvvisato, dello stile musicale usato da Tirindelli.

La pagina è un’intima confessione solitaria, un libero sfogo che esalando dall’unità

fonica, dopo aver raggiunto l’apice fonico in corrispondenza dell’esatta metà della

lirica, ricade su se stesso (due sole voci al pianoforte, essendo il canto già cessato).

Da notare è una simmetria: il numero delle misure con una sola voce/parte è

direttamente proporzionale al numero di misure con il numero massimo di voci/parti

(cinque).

Inoltre, stupisce un dato di fatto: ricorre il numero 6 , in quanto proprio sei sono i

cambi di tempo previsti nelle sei sezioni consecutive. Mentre le prime cinque sezioni

sembrerebbero seguire una progressione aritmetica accrescitiva, l’ultima sezione la

interrompe bruscamente: qui, infatti, il numero delle misure diminuisce

improvvisamente.

90

Maria Ponzone costruisce la sua Storia Breve su un’atmosfera da rapsodi, aedi, e il

tono evocativo delle prime due terzine testuali (dedicate a descrivere e dipingere

icasticamente il carattere della protagonista femminile della lirica) viene resa in

musica grazie all’effetto dato dall’arpeggiato strumentale in ogni misura

dell’accompagnamento nella prima metà del componimento. Prescrivendo la

compositrice un accompagnamento prettamente accordale, l’attivazione di

quest’effetto arpeggiato dà proprio l’impressione di ascoltare un racconto.

Quando invece la compositrice mette in musica le due terzine conclusive, che

narrano del rifiuto amoroso e della morte della protagonista della lirica conseguente a

tale rifiuto (e a questo punto nel testo si nota il passaggio da un livello descrittivo a

uno cronachistico), la Ponzone sospende l’arpeggiando come per voler trasmettere

fonicamente in maniera diretta quanto narrato nel testo poetico all’ascoltatore

mediante un impatto diretto e non mediato.62

62 Mario Genesi, La produzione poetica negriana attraverso le trasposizioni musicali di compositori italiani da

camera epigonici romantico-impressionisti, p.93, in Archivio Storico Lodigiano 1996

91

Motivi musicali attraverso la penna della poetessa

Le corrispondenze tra arte poetica ed elemento musicale nella produzione di Ada

Negri sono riscontrabili per lo più in maniera quasi casuale. Infatti, nell’opera omnia

dell’autrice non si riscontrano direttamente specifiche sezioni incentrate sul filone o

sulla tematica della musica; solo sporadicamente, ed in modo quasi più implicito che

esplicito, incontriamo qualche lirica a fondo musicale63.

Una delle poesie più rappresentative in questo senso è Corale Notturno, contenuto

nella settima raccolta poetica I Canti dell’Isola; questa lirica è pervasa da

un’estasiante e sottilissima musicalità, sia nei costrutti che nel ritmo fluttuante

dell’incedere dei versi, che le conferisce una particolarissima componente fonica,

tanto da farla sembrare una sorta di inno.

CORALE NOTTURNO

Quando sarò sepolta nel paese di mia madre,

là dove la bruna confonde i fertili solchi terrestri coi solchi

del cielo

le rane ed i rospi dei fossi mi canteranno la nenia notturna.

Dagli acquitrini melmosi, filtrando fra il bianco umidor

Della luna,

63 Mario Genesi, Le liriche da camera per voce e pianoforte su testi di Ada Negri, p.72, in Archivio Storico

Lodigiano 1995

92

in soavi cadenze di flauti, in tremolii lunghi di pianto sciogliendomi

il cuore,

blandiranno il mio sogno, custodi della perenne malinconia.

Malinconia della patria, con sapore di terra bagnata e di grano maturo,

con quieto pudore di case ove accendon le madri pei figli

la lampada al desco,

con fumo di tetti, ansare di fabbriche, radici dei vivi e dei morti,

a me verrà, con me dormirà, portata da canti di rane e di rospi,

quando sarò sepolta nel paese di mia madre64.

Altrove, la nobile ed aristocratica melodia di un lied tedesco suonato al pianoforte

dalla figlia Bianca, permette alla Negri di istituire con la fanciulla –attraverso la

poesia- un legame segreto ma istantaneo e contemporaneo a quell’atto musicale,

mentre la poetessa ascolta, nascosta dalla penombra, come silente spettatrice.

Il tono di questa lirica tratta dalla raccolta Dal Profondo (1910) ricorda le

“corrispondenze” baudelairiane, dove il sottofondo fornito dalla musica è un

64 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

93

semplice pretesto per aprire un varco nella propria anima.

LIED

Suonavi al pianoforte un’ampia e lieve

melodia di dolcezza, un Lied tedesco.

Strillava il suon sulla mia febbre, fresco

sfaldandosi nel cuor come la neve.

L’invincibile arsura che mi strazia

s’abbeverò a gran sorsi alla tua fonte,

o figlia mia, che porti sulla fronte,

simile a stella, il segno della grazia.

Ero in ombra, addossata a una parete.

Tu non vedesti la marmorea faccia,

il muto amor che ti tendea le braccia,

l’amarissima bocca arsa di sete65.

Il cupo registro della fatalità di ogni giorno si alterna a quello, meno triste, degli

scorci realistici dei vicoli, degli interni di cortili, degli incroci viari della Lombardia.

65 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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E’ questo il caso de L’Organetto, tratto dalla raccolta del 1904 Maternità; mentre lo

strumento meccanico ricomincia a suonare grazie all’intervento di un “monco

veterano”, il suono emesso dalle canne riattiva nel cuore della poetessa antichi

ricordi risorgimentali. Ella riconosce in primo luogo l’incipit del celebre Inno di

Garibaldi (l’inno ufficiale delle camicie rosse garibaldine: Si scopron le tombe, si

levano i morti…). Poco dopo ode l’inno nazionale italiano di Goffredo Mameli; dal

vibrante suono di quest’inno scaturisce nella poetessa una sensazione di serenità, di

giubilo.

L’ORGANETTO

Amo le tue canzoni, o vecchio organetto scordato

Da un monco veterano per umili strade guidato.

A lui, che in Aspromonte pugnava fra i pallidi insorti,

tu canti ancor: “Si scopron le tombe, si levano i morti…” :

quando s’addensan l’ombre de’ plumbei tramonti pei cieli,

tu arridi a lui con l’inno fedel di Goffredo Mameli.

Amo i tuoi stanchi ritmi che sanno a la povera gente

portare un soffio, un raggio di queta gaiezza ridente;

che a le donne, seduti coi bimbi rachitici al seno,

dicon non so che sogno, non so che miraggio sereno.

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Rapsodo vagabondo, nel buio de’ freddi cortili

Getti, come d’incanto, l’effluvio de’ liberi aprili:

Nina, Rosetta, Bice discendono a salti le scale,

ansando un poco, smorte del lento terribile male

che sugge a goccia a goccia le vene del povero. – E tu

suoni per quella gioia le danze del tempo che fu:

oh, vana, oh, breve gioia di corpi a la vita anelanti,

chiusi doman fra il sordo fragor de le macchine urlanti!...

Rapsodo vagabondo, va dunque le tue serenate

cantando a le finestre d’anemica ruta infiorate:

getta i tuoi vecchi ritmi ne’ trivii ove il popolo muore,

così, come si getta sul fango del lastrico un fiore:

Beethoven de la strada, un vento di turbine, un’onda

d’oscura angoscia infrange talor la tua voce profonda.

Ne le tue rotte corde, nel buono ramingo tuo core

l’anima de la plebe passò col suo stanco dolore,

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e piange… - come il cieco vagante a tastoni entro il velo

d’ombra che gli contende l’azzurro implorato del cielo.66

Sempre dalle voci, dai suoni e dai rumori della quotidianità dei poveri quartieri

cittadini o delle campagne della provincia metropolitana, Ada Negri raccoglie i canti

che risuonano di sponda in sponda mentre nella pioggia della sera un barcaiolo serale

la traghetta verso l’esilio; ed Esilio è il titolo dell’omonima raccolta da cui è tratta la

lirica prescelta Nostalgia, che ricorda l’andamento dei poeti inglesi Coleridge e

Wordsworth:

NOSTALGIA

V’è alcun che canta: “O sole mio…” su l’acque

verdastre della Lìmmat. – Chi?... S’affonda,

o voce, il cuor nella tua scia profonda,

il triste cuore ove ogni voce tacque.

Freddo, pioggia, crepuscolo. Beffarde

sbucan le lune elettriche, fra aloni

di nebbia. Oscure ombre mi radon, suoni

rauchi movendo dalle lingue tarde.

66 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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“Ja”, “yes”. Ma “O sole mio…” dall’altra riva

chiama il canto che forse non ha bocca,

ch’è di fantasma; e l’anima mi tocca

con la carezza d’una mano viva.

Batto i denti, alla pioggia. E più il mantello

su me ravvolgo, e più mi sento ignuda:

mi sferza il dorso la ferocia cruda

del crosciante gelido flagello.

Bene risponde, col suo scampanare

a stormo, il sangue entro le arterie folli:

“Esilio, tu sei mio perch’io ti volli,

perché mi piacque le tue vie calcare.”

Esilio?... Ma qual è dunque, o tremenda

anima, la tua vera patria?... In quale

angol di terra addormirai tu il male

tuo, che piangere sempre io non t’intenda?...

S’io mi buttassi a fiume, tu faresti

forse silenzio, anima disperata.

Andrei, colla corrente. Andrei, placata

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all’improvviso, fin che il sol si desti,

il sole mio, sì bello e sì lontano

ch’io non lo vidi con quest’occhi ancora:

e con l’incendio de’ suoi raggi indora

sol chi per lui gettò l’ingombro umano.67

Lo scampanìo di una domenica di settembre al borgo, diviene festosa anafora poetica

in Campane, lirica tratta da Vespertina, una delle ultime raccolte negriane del 1931:

CAMPANE

Campane a gloria, in questa pia domenica

di settembre ch’è tutta voli d’api

sull’uve, e gioia d’uomini e di sole

nell’attesa che passi la Madonna.

Dov’è il mio velo bianco, e dove il nastro

Celeste delle Figlie di Maria?

Campane a gloria, sul villaggio adorno

di festoni vermigli a liste d’oro;

e dalla chiesa, con le oranti voci

67 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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dei fedeli, risponde un canto d’organo.

Dov’è la mia veste di sposa, e dove

la mia corona, e la fiorita via?

Campane a gloria immerse nell’azzurro,

mai scenderà su questo azzurro l’ombra,

mai cesseranno i vostri echi nel cielo,

ché la mia grande sagra ora comincia.

Dove il manto e la croce a me promessi

per la gran sagra, o mia malinconia?68

Sempre in Vespertina troviamo la serenata notturna che irrompe nella limpida notte

della poetessa ormai non più giovinetta, portandole alla memoria i rapimenti amorosi

passati anni e anni prima: a quel pensiero si scompone, è turbata, ma nonostante ciò

si abbandona sulla scia dei ricordi, complice una “…odorosa siepe di gelsomini”

(che suona come una rimembranza pasco liana), che le inebria sinesteticamente vista

ed udito, fino ad annebbiarle i contorni delle ricordanze giovanili:

CHITARRA DI NOTTE

Sommesso accordo, nell’oblio notturno,

mi destò, come un sogno al suo finire.

68 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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Forse è in fondo alla via: forse sul canto

della piazzetta. Sembra un rauco gemere

di colombe. Or più presso: or più lontano:

tace: riprende: allenta: empie la strada

di sospiri. Stanotte è luna piena,

gl’innamorati van con la chitarra

dove più sul candor nere son l’ombre

e le finestre spalancate al soffio

dei tigli in fiore.

Dolce sia la notte

a chi canta d’amore! Ma quei lunghi

strappi di corde turbano la mia

chiusa tristezza: mi rimembran cose

per me già morte, cose del passato.

Il passato! Che è mai, questo passato?

Ciò che non vive più, chi m’assicura

che visse un giorno? E pure, anima mia,

pure non posso non abbandonarmi.

Non è molt’anni, era una calda notte

di luna, la via tutta una carezza

bianca, il mio bene ed io con l’ombre nostre

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lungo il muro, un lamento di chitarra

nascosta dietro un’odorosa siepe

di gelsomini; e a quel lamento i suoi

baci ed il mio tremar nelle sue braccia69.

Dalla raccolta Luci e Ombre è tratta Musiche, poesia in cui emergono accenti

drammatici e toccanti, e dove la poetessa ricorre alla metafora musicale per veicolare

la propria esistenza (e l’esistenza umana in generale), la propria femminilità,

interiorità ferita, celata in segreto, quasi incompresa e impalpabile. Questa

“metarealtà” che scorre metaforicamente come un fiome in lontananza, e che solo

l’autrice percepisce, è proprio la musica:

MUSICHE

Musiche

strane in me stessa ascolto,

non mai udite

da orecchio d’uomini,

non singhiozzate

mai da nessun archetto

su voluttuose corde di violino.

69 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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Musiche mie,

mie soltanto,

nate quando io nacqui,

piante quando io piansi,

ritmate sul mio respiro,

vibranti del mio spasimo,

create dalla mia necessità.

Non potrò mai cantarle:

non v’ha per esse strumento né voce:

sono in me, dentro me morranno.

Tu potevi, solo, strapparmele.

Io t’avevo data una chiave,

una magica chiavetta d’oro,

perché le estraessi ad una ad una

dal mio amore per la tua gioia,

con il mio brivido più profondo.

Ma tu gettasti la chiave

in un pozzo senza fondo70.

70 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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Si può arrivare ad asserire che la tematica della musica sia quasi del tutto assente

dalle due raccolte d’esordio, compatte ed internamente chiuse, Fatalità e Tempeste,

comparendo solo a tratti nelle successive, dove la critica letteraria ha riconosciuto il

progressivo estinguersi e retrocedere della vena poetica ed il suo conseguente

inaridimento.

Il “piccolo mondo musicale” vissuto e sentito dalla Negri e che essa trasfigura,

elevandolo e lasciando che trapeli da sé, nel corpus delle sue liriche, è quello della

nuda e cruda quotidianità della borgata, della periferia, come nel caso de Il

Violinista, poesia contenuta nella quinta pubblicazione Esilio. Vi si celebra la mesta

epopea del suonatore di strada, ambulante, girovago e quasi zingaro, la cui figura

vuole essere specchio autobiografico, metaforico, della triste esperienza di vita della

poetessa medesima:

IL VIOLINISTA

Ti strappasti tu l’anima, per farne

corda che vibri al tocco dell’archetto?...

Da qual paese ignoto e maledetto

fin qui portasti le tue gambe scarne?...

Curvo, e quasi incorporeo nel tinto

frac slabbrato alle falde, coi capegli

lungo-spioventi intorno al bianco degli

zigomi aguzzi, hai l’umiltà d’un vinto.

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Par che ti sia d’orrore esser fra gli uomini.

ne’ tuoi occhi – acqua verde fra le ciglia –

sta la perenne triste meraviglia

d’esser vivo. Ma, se suoni, domini.

Nel caffè di sobborgo, ove Arlecchino

s’ammorba, in casco, in giacca, colle stanche

donne a lato, davanti a coppe bianche

di tossici o purpuree di vino,

tutti i gesti s’impietrano, la massa

ha un volto solo, pallido, contratto:

ogni favella si fermò di scatto,

poi che la tua gigante anima passa.

Donde la porti?... dal delitto, forse?...

Questo non è Chopin, non è Beethoven.

Sei tu, con la follia che dentro move

a turbine, e ti schiaccia fra due morse

talora, e strappa l’urlo; e in un singulto

lo spezza; e poi lo sgrana in razzi, in trilli

salenti in frenesia, come zampilli

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di sangue, verso un paradiso occulto.

Io che t’ascolto, piccola, celata

Fra Georg il minatore e Willy il fabbro,

Pur tengo, dietro questo chiuso labbro,

una pulsante forza imbavagliata.

Forza di melodia, che da un tormento

intimo viene, e che talor mi strozza

dentro così, che n’ho la gola mozza,

ma non la posso liberar nel vento.

Manca l’arco che il mio ritmo selvaggio

Accompagni con l’ebbra ala d’un’eco.

Quell’arco è il tuo. Forse tu pure un’eco

cerchi nel mondo, o nomade selvaggio.

O rapsodo, se tu Mònos ti chiami,

io son Una, son quella che tu vai

fra terra e cielo invan cercando, e mai

sinora ebbe pietà de’ tuoi richiami.

Ah, ch’io possa cantar fino a sentire

in un gorgo di sangue il cor spaccarsi,

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e per delizia l’anima restarsi

smemorata tra il vivere e il morire:

sospesa al tremolar delle tue corde

la voce, come su un azzurro abisso

di cieli: - e in religiosa estasi fisso

l’uomo al prodigio, od acclamante a orde!...

… Ma non per l’uomo.- Per la nostra gioia

titanica, soltanto: - per esprimere

il sogno, e in lui la verità sublime

che nulla muor, se pur la carne muoia.71

71 Ada Negri, Opera Omnia Poetica, Mondadori, Milano 1948

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CONCLUSIONI

Con questo mio breve itinerario poetico, letterario e musicale, ho voluto cercare di

mettere in luce quello che mi sembrava uno degli aspetti più inediti che riguardano

Ada Negri e i suoi versi, -ovvero quello della rivisitazione e della trasposizione degli

stessi in musica-.

E’ importante tenere presente che abbiamo parlato di una poetessa ormai poco

conosciuta, caduta in oblio sia presso il pubblico che presso i curatori dei testi di

letteratura a partire dal secondo dopoguerra. Oggi non si studia Ada Negri né alle

medie né al liceo, e a me più che altro è stata trasmessa come eredità locale: fin da

piccola, passando ogni giorno per Piazza San Francesco a Lodi, leggevo l’incipit

dell’omonima poesia dedicata dalla poetessa alla stessa piazza; ha composto versi

anche per il ponte di Lodi e per altri luoghi della nostra piccola città; e questo suo

aspetto “territoriale” mi ha sempre incuriosito, tanto da spingermi a “conoscerla di

persona” attraverso i suoi testi e la sua biografia.

E così ho cercato di scoprirla e interpretarla tramite una chiave nuova, quella appunto

della musica: far vedere come un’autrice che oggi può risultare semi-sconosciuta in

realtà a suo tempo sia stata una delle poetesse più conosciute e apprezzate tanto da

essere assunta come fonte di ispirazione per numerosissime operette da camera in

epoca a lei coeva; per numero di messe in musica dei propri testi tra Otto e

Novecento la Negri è superata solo dal D’Annunzio. Più volte è stata accostata, per

fama e successo, alle figure di due tra le più affermate donne di quei tempi, Grazia

Deledda ed Eleonora Duse. Eppure nella grande maggioranza delle antologie

108

letterarie a noi contemporanee Ada Negri non è neppure menzionata.

E’ stato un bene che io abbia diffidato dalle apparenze perché altrimenti non avrei

scoperto un personaggio così affascinante e complesso, e spero di aver reso, almeno

in minima parte, quegli aspetti autobiografici così presenti nei suoi componimenti

che raccontano e spiegano, verso dopo verso, la donna che è stata e quanto ha

significato per la sua epoca.

109

BIBLIOGRAFIA:

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Rizzoli Editore, Milano 1997

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- Elisa Gambaro, Il protagonismo femminile nell’opera di Ada Negri, LED Edizioni

Universitarie, Milano 2010

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Archivio Storico Lodigiano 1995, Tip. Senzalari

- M. Genesi, La produzione poetica negriana attraverso le trasposizioni musicali di

compositori italiani da camera epigonici romantico-impressionisti, in Archivio

Storico Lodigiano 1996

- M. Genesi, Intonazioni musicali di compositori italiani otto-novecenteschi su versi

della poetessa lodigiana Ada Negri, in Archivio Storico Lodigiano 2001

- M. Genesi, Il corpus delle ventun liriche per canto e piano del compositore udinese

Giuliano Mauroner su versi della poetessa Ada Negri, in Archivio Storico Lodigiano

2005

- M. Genesi, Versioni musicate di liriche di Ada Negri: dodici intonazioni di

compositori novecenteschi italiani del periodo 1890/1930, in Archivio Storico

Lodigiano 2006

- M. Genesi, Dodici intonazioni musicali italiane per voce o violino e pianoforte dal

tardo romanticismo al primo Novecento su poesie di Ada Negri: Bossi, Ratti,

Respighi, Sgambati, Tirindelli, in Archivio Storico Lodigiano 2008

110

- Ada Negri, Opera Omnia Poetica (con un’Appendice di liriche inedite), Mondadori,

Milano 1948

- Mauro Pea, Ada Negri, edito a cura del Comitato per la Celebrazione del Centenario

della Nascita, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1970

- Anna Folli, Penne leggere. Neera, Ada Negri, Sibilla Aleramo. Scritture femminili

italiane fra Otto e Novecento, Guerini, Milano 2000

- www.wikipedia.it

- www.portanapoli.com

- http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/digiacom.htm

- Salvatore di Giacomo, La vita, la poesia, le canzoni, la prosa