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LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN UN CONTESTO MULTICULTURALE Giancarlo Rolla Università di Genova Sommario: 1. Il multiculturalismo come elemento qualificante la forma di Stato. 2. L’evoluzione dell’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno religioso: pluralismo religioso e principio di eguaglianza. 3. La religione come libertà dell'individuo. 4. Le diverse varianti del principio di laicità. 5. Tecniche di codificazione della libertà di religione. 6. Tecniche giurisprudenziali di ponderazione tra la libertà religiosa e altri diritti e principi costituzionali 1. Il multiculturalismo come elemento qualificante la forma di Stato Un sistema costituzionale ispirato al principio multiculturale si fonda, innanzitutto, su di un elemento soggettivo e un carattere relazionale. Il primo si realizza quando il popolo comprende al suo, interno una molteplicità di gruppi minoritari: intesi – secondo la relazione della sottocommissione dell’ONU per la lotta contro le misure discriminatorie e la protezione delle minoranze- come gruppi numericamente inferiori al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri, essendo cittadini dello Stato, possiede caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e mostrano, almeno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare le loro culture, tradizioni, religioni, lingue. 1 Sulla base di questo riferimento giuridico, le minoranze che concorrono a formare il tessuto multiculturale di una società debbono possedere tre essenziali caratteristiche. Innanzitutto, in quanto espressione del principio pluralistico proprio degli ordinamenti democratici, debbono essere costituite da gruppi sociali tendenzialmente permanenti, distinti da quello che, all’interno dell’ordinamento considerato, esercita un ruolo preminente e contrapposto. In secondo luogo, l’adesione al gruppo sociale deve essere volontaria: conformemente a quanto sottolinea l’art.3 1 A sua volta, la Dichiarazione dell’UNESCO sulle politiche culturali del 1982 fa riferimento ad un gruppo sociale che possieda comuni caratteristiche distintive di natura spirituale,materiale,intellettuale.

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LA LIBERTA’ RELIGIOSA IN UN CONTESTO MULTICULTURALE

Giancarlo RollaUniversità di Genova

Sommario: 1. Il multiculturalismo come elemento qualificante la forma di Stato. 2. L’evoluzione dell’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno religioso: pluralismo religioso e principio di eguaglianza. 3. La religione come libertà dell'individuo. 4. Le diverse varianti del principio di laicità. 5. Tecniche di codificazione della libertà di religione. 6. Tecniche giurisprudenziali di ponderazione tra la libertà religiosa e altri diritti e principi costituzionali

1. Il multiculturalismo come elemento qualificante la forma di Stato

Un sistema costituzionale ispirato al principio multiculturale si fonda,

innanzitutto, su di un elemento soggettivo e un carattere relazionale. Il primo si

realizza quando il popolo comprende al suo, interno una molteplicità di gruppi

minoritari: intesi – secondo la relazione della sottocommissione dell’ONU per la lotta

contro le misure discriminatorie e la protezione delle minoranze- come gruppi

numericamente inferiori al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non

dominante, i cui membri, essendo cittadini dello Stato, possiede caratteristiche etniche,

religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e

mostrano, almeno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare le loro

culture, tradizioni, religioni, lingue.1

Sulla base di questo riferimento giuridico, le minoranze che concorrono a

formare il tessuto multiculturale di una società debbono possedere tre essenziali

caratteristiche. Innanzitutto, in quanto espressione del principio pluralistico proprio

degli ordinamenti democratici, debbono essere costituite da gruppi sociali

tendenzialmente permanenti, distinti da quello che, all’interno dell’ordinamento

considerato, esercita un ruolo preminente e contrapposto. In secondo luogo, l’adesione

al gruppo sociale deve essere volontaria: conformemente a quanto sottolinea l’art.3 1 A sua volta, la Dichiarazione dell’UNESCO sulle politiche culturali del 1982 fa riferimento ad un gruppo sociale che possieda comuni caratteristiche distintive di natura spirituale,materiale,intellettuale.

della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze

nazionali, secondo la quale ogni persona appartenente ad una minoranza ha il diritto di

scegliere liberamente di essere trattata come tale, senza che possa derivare alcuno

svantaggio da tale scelta e per l’esercizio dei diritti.

Infine, la minoranza deve costituire pur sempre una porzione, una frazione del

popolo; non si contrappone a una nozione unitaria di cittadinanza, ma ne rappresenta,

se mai, una specifica qualificazione.

L’adesione al principio multiculturale – formalmente codificata in alcuni

ordinamenti, come l’art. 27 della Carta canadese dei diritti e delle libertà che parla di

valorizzazione del patrimonio multiculturale dei canadesi o l’art.22 della Carta dei

diritti fondamentali dell’Unione che impone il rispetto delle differenze culturali,

religiose e linguistiche -2 non determina, di per sé, specifici diritti riconducibili 2 Non è un caso se il riconoscimento costituzionale del principio multiculturale si sia avuto innanzitutto il Canada, dal momento che la sua società si configura come un autentico e variegato patchwork, costituito da una pluralità di individui provenienti da culture profondamente diverse. Tale processo ha messo in discussione la tradizionale concezione duale della società canadese – nata da un patto tra “due popoli fondatori ”, tra inglesi e francesi sul piano linguistico, tra cattolici e protestanti dal punto di vista religioso, tra civil law e common law per quanto concerne il sistema giuridico – e favorito la sua trasformazione in “a home of diverse communities”.A questo proposito, il salto di qualità si ebbe con l’approvazione della Carta canadese dei diritti e delle libertà, la quale non si limitò a riconoscere i diritti universali riconducibili alla persona umana, ma tenne anche conto della storia: del suo passato (gli inherents rights dei gruppi aborigeni) e del suo presente e futuro (mosaico etnico, formato dalla coesistenza di molte comunità etniche). Per riferimenti dottrinali si veda: G.ROLLA, La tutela costituzionale delle identità culturali:l’esperienza del Canada, in Il Canada. Un laboratorio costituzionale, Padova, 2000,87 ss; IDEM, The two souls of the Canadian Charter of Rights and Freedoms, in International journal of canadian studies,vol. 36, 2007, 317 ss; S.GAMBINO (cur.), La protezione dei diritti fondamentali.Europa e Canada a confronto,Milano, 2004;Per contro, il cammino dell’Unione europea verso il riconoscimento costituzionale dell’eguale dignità delle differenti identità culturali e religiose è risultato lento, complicato, ed ancora lungi di essere pervenuto ad un approdo sicuro. Prima, la questione fu affrontata in relazione al divieto di discriminazione; quindi, il passaggio dal divieto di discriminazione all’obbligo di tutela delle differenze religiose è stato, tuttavia, costituzionalizzato soltanto con l’approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Tale modificazione della prospettiva non sembra che causuale, qualora si consideri che quando l ’Unione europea si è impegnata a costruire la propria identità, passando da un’unità prevalentemente economica (rappresentata dalla moneta unica, dall’affermazione del principio della concorrenza, dal patto di stabilità) ad una di natura costituzionale, non ha potuto non considerare tanto le sue innumerevoli radici culturali, quanto l’apporto che continuamente proviene da altre e nuove culture. In altri termini, la costituzionalizzazione dell’ordinamento comunitario non poteva disconoscere il suo intrinseco pluralismo culturale: realizzando un passo avanti nella prospettiva delle profetiche le parole di chi ritieneva ( quasi agli albori di questo innovativo “esperimento” istituzionale) che l’Europa costituisca ” l’accordo prezioso e difficile in cui le dissonanze concorrono,senza dissolversi ”.Per una interpretazione dell’art.22 della Carta dei diritti dell’Unione si rinvia a: G.ROLLA, La problematica del multiculturalismo en la Unión europea, in E.ALAVAREZ CONDE, V.GARRIDO MOYOL (dir.),Comentarios a la Constitución europea, Valencia, 2004, 815 ss; A.CELOTTO, art.21-22, in L’Europa dei diritti, Bologna, 2001, 176 ss

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all’identità culturale, ma individua piuttosto un criterio interpretativo e un principio di

relazione. Il primo impone di interpretare le disposizioni in coerenza e in modo

compatibile con il rispetto del pluralismo culturale; il secondo evidenzia che un

ordinamento si qualifica come multiculturale non tanto sulla base di elementi

pregiuridici – come la compresenza di diverse lingue, razze, religioni, concezioni

etiche e sociali- ovvero sociologici – come la globalizzazione o l’intensificazione dei

fenomeni migratori -, quanto in virtù della (duplice) relazione che si riesce a instaurare

all’interno della società e tra questa e lo Stato.

Con riferimento alla prima, il multiculturalismo presuppone che all’interno del

corpo sociale si affermi la consapevolezza della pari dignità delle espressioni culturali

dei gruppi che convivono all’interno di una società democratica e del diritto che ogni

individuo ha di formarsi secondo una cultura che riconosca come propria.3 Si

richiedono, in altri termini, relazioni ispirate a un naturale dovere di reciproco rispetto,

fondate su comuni regole di convivenza, basate sull’accettazione di una grande

diversità di culture. Come ha, significativamente, affermato il Presidente della Corte

suprema del Canada Dickson, “una società veramente libera può accettare una grande

varietà di credenze, di gusti, di intenti, di costumi e di norme di comportamento” e

“aspira ad assicurare a tutti l’uguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali”,

che devono “riposare sul rispetto della dignità e dei diritti inviolabili dell’essere

umano”4.

La seconda condizione affinché un ordinamento possa considerarsi

multiculturale è costituita dalla sua volontà di recepire la specificità di tale forma di

pluralismo, facendo di essa un tratto che concorre alla qualificazione della forma di

Stato: individuando in ciò un fattore di dinamismo, capace di favorire una nuova

tappa nell’evoluzione del costituzionalismo.

Lo Stato liberale di diritto, che si è plasmato nel nome dell’eguaglianza, si

proponeva essenzialmente di abolire i privilegi e di superare la divisione della società

3 Così: A.FERRARA, Multiculturalismo, in BOBBIO, MATTEUCCI, PASQUINO (cur.), Dizionario di politica, Torino, 2004, 671.

Più in generale sul tema: E. CECCHERINI, Multiculturalismo,in Digesto delle Discipline Pubblicistiche. Aggiornamento, Torino, 2008,1 ss; E.GALEOTTI, Multiculturalismo. Filosofia politica e conflitto identitario, Napoli, 1999; C.TAYLOR, Multiculturalismo.La politica del riconoscimento, Milano, 1993; W.KYMLICA, Multicultural cirizenship, Oxford, 1995; S.LUKES (cur.) Multicultural questions, Oxford, 1999.4 Vedi: R. v. Big M. Drug Mart Ltd,[1985], 1 R.C.S. 295.

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civile in ceti, riconoscendo a tutti gli individui la medesima capacità giuridica. Inoltre,

attraverso l’affermazione del valore della legge come norma generale e astratta, ha

configurato l’eguaglianza delle persone in termini di parificazione delle situazioni

giuridiche e di eguale trattamento innanzi alla legge: si consideri, ad esempio, l’art.6

della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 secondo cui la legge

“deve essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca”.

A sua volta, lo Stato sociale ha affermato una nozione più evoluta di persona,

instaurando un rapporto di complementarietà tra la sfera della libertà (che induce a

riconoscere liberismo ed eguaglianza formale) e quella dell’eguaglianza ( che si fonda

sulla solidarietà e sulla promozione sociale). Di conseguenza, si caratterizza per

l’impegno a offrire a tutti i cittadini quelle parità di opportunità e di condizioni che la

società, in ragione della sua struttura economica e sociale, non è in grado predisporre

autonomamente.

Mentre gli ordinamenti democratici - ammaestrati dall’esperienza della storia in

cui le diversità etniche, razziali, religiose, linguistiche, politiche sono state spesso

utilizzate per negare la pari dignità morale e giuridica di tutti gli individui- si sono

preoccupati sia di evitare che tali differenze si trasformino in cause di discriminazione;

sia di riequilibrare con azioni positive la posizione di sostanziale subalternità sociale e

politica di determinati gruppi. Inoltre, il passaggio da uno Stato “omogeneo” a uno

“pluriclasse” ha ampliato i confini del pluralismo, estendendolo dall’iniziale ambito

della libertà di manifestazione del pensiero a quello della rappresentanza politica.5

Oggi, la struttura multiculturale di alcune società richiede un nuovo stadio

nell’evoluzione del pluralismo, che tenga conto sia di una diversa prospettiva del

principio di eguaglianza, sia di nuovi significati da attribuire ai diritti costituzionali

dell’individuo.

Innanzitutto, occorre che un ordinamento costituzionale aperto alla prospettiva

multiculturale non solo riconosca l’eguale valore di tutte le culture, ma consideri anche

la presenza di “culture minoritarie” un bene prezioso da tutelare: il che implica

l’affermarsi di un diverso atteggiamento nei confronti delle differenze che frastagliano

la società. Alcune di queste, collegandosi a fenomeni di discriminazione politica,

economica e sociale ovvero a particolari condizioni di vulnerabilità e di debolezza

5 Si veda: M.S.GIANNINI, I pubblici poteri negli stati pluriclasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 1979, 389 ss.

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individuali, devono essere rimosse o attenuate; altre, invece, in quanto riconducibili al

pluralismo identitario che caratterizza gli individui e la stessa nozione di cittadinanza

si debbono valorizzare: cosicché la mancata considerazione del valore positivo delle

differenze determinerebbe una lesione del principio di eguaglianza, non potendosi

trattare in modo eguale situazioni sostanzialmente differenti.

Inoltre, perché si abbia un contesto istituzionale orientato al multiculturalismo

è necessario che siano previsti appositi istituti finalizzati a rappresentare il “mosaico

culturale” che compone la struttura sociale. I modi per conseguire tale risultato sono

molteplici, anche se – alla luce delle principali esperienze costituzionali – appaiono

prevalenti le soluzioni che, riconoscendo a determinate minoranze la possibilità di

fruire del proprio “style life”, esonerano gli appartenenti a determinati gruppi

dall’applicazione di determinate norme generali, introducono disposizioni

promozionali, favoriscono meccanismi di autogoverno ovvero ispirano la formazione

della rappresentanza politica al criterio della “mirror rapresentation”, riservando a

determinate minoranze la presenza all’interno degli organi legislativi o di governo.6

Infine, il multiculturalismo incide sulla struttura dei diritti fondamentali, tanto

sotto il profilo delle tecniche di riconoscimento, che per quanto concerne i meccanismi

di tutela. I diritti rappresentano un elemento qualificante il patto che si instaura tra i

cittadini e i poteri in ordine alle forme e alle istituzioni della convivenza; cosicché tra

questi e la forma di Stato si instaura un rapporto dialettico: per un verso, questi ultimi

(nel loro complesso) concorrono a qualificare un determinato ordinamento

costituzionale, divengono parte dei suoi “principi supremi”; per un altro verso,

l’evoluzione dei principi informatori del sistema costituzionale influisce

sull’individuazione e sull’interpretazione diritti riconosciuti agli individui.

Muovendo da siffatta prospettiva, si può notare che, in una fase evoluta dello

Stato sociale, i sistemi costituzionali attribuiscono una particolare attenzione al

riconoscimento dell’eguale dignità di tutte le differenze che sono parte integrante dello

sviluppo della personalità individuale o contribuiscono a definire l’identità di un

gruppo. Come ricorda la bella formulazione presente nell’art.2 della Costituzione

italiana, l’ordinamento deve riconoscere non solo i diritti fondamentali di natura

associativa ove il singolo svolge la sua personalità, ma anche i diritti che concorrono a

6 Per più ampi riferimenti sul punto si rinvia a: E.CECCHERINI, Multiculturalismo, op. et loc.cit.

5

formare la personalità del singolo, in quanto membro di un determinato gruppo

sociale.7

Proprio alla luce della formulazione costituzionale appena richiamata, l’

interrogativo se i diritti identitari abbiano una natura individuale o collettiva – che ha

diviso in modo appassionato la dottrina – non sembra richiedere una alternativa

schematica, dal momento che se, per un verso, essi concorrono a formare la

personalità e la coscienza individuali, per un altro verso, non si può dimenticare che

l’identità personale si forma attraverso “un processo di stratificazione e di sintesi di

alcuni elementi storici, linguistici, religiosi, razziali ed etnici condivisi da una pluralità

di persone in senso intergenerazionale”.8

Le caratteristiche del gruppo plasmano e conformano la personalità degli

individui che volontariamente vi appartengono e divengono un attributo

imprescindibile della loro identità: cosicché, libertà individuale e diritti associativi,

autonomia dell’individuo e pluralismo sociale non costituiscono profili

incomunicabili. 9

2. L’evoluzione dell’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno

religioso: pluralismo religioso e principio di eguaglianza.

L’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno religioso ha vissuto nel

tempo significative modificazioni, al punto che – se analizzato nel corso della sua

esperienza storica – può essere accostato ad un poliedro dalle molteplici facce: di volta

7 Per riferimenti dottrinali più ampi in tema di non inconciliabilità tra principio di eguaglianza e tutela delle differenza si veda:A.FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale,Bari,2001,51ss8 Così:E.CECCHERINI, op.et loc. cit. Sulla natura dei diritti identitari si veda, tra i molti contributi: E.CECCHERINI, Diritti individuali v. diritti comunitari, in G:ROLLA (cur.) Lo sviluppo dei diritti fondamentali in Canada, Milano, 2000, 163 ss; J.SOLOZABAL ECHAVARRIA, Los derechos colectivos desde la perspectiva española, in Cuadernos de derecho público, 2001, 96 ss; N.TORBISCO, Il dibattito sui diritti collettivi delle minoranze culturali.Un adeguamento delle premesse teoriche, in Rivista diritto pubblico comparato e europeo, 2001, 117 ss; P.COMANDUCCI, Diritti umani e minoranze: un approccio analitico e illuminista, in Ragione pratica,1994, 45 ss.9 Muovendo dal riconoscimento dell’esistenza di un forte pluralismo di culture presenti all’interno di un medesimo contesto costituzionale si possono individuare due distinte prospettive: escludendo l’ipotesi della assimilazione in quanto contraria con il riconoscimento del pluralismo e la tutela delle differenze, l’una si muove nella prospettiva dell’ibridazione o del meticciato (F.LAPLANTINE, Identità e métissage, Milano, 2004), l’altra riconosce il diritto alla differenza, il c.d. “mosaico” culturale. (W.KIMLICKA, La cittadinanza multiculturale, Bologna,1999). Per ulteriori considerazioni si veda anche:N.FIORITA, D.LOPRIENO, La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali, Firenze, 2009.

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in volta, i precetti di una confessione religiosa sono stati individuati quale elemento

qualificante la forma di Stato; si è affermata l’autonomia del diritto e delle regole

giuridiche dalla religione; si è teorizzata l’indifferenza e estraneità della sfera pubblica

rispetto al fenomeno religioso; si è individuato nell’atteggiamento di neutralità dei

pubblici poteri lo strumento più idoneo a favorire la coesistenza tra i diversi credi e tra

questi e i non credenti.

Tra le novità più significative che tale processo evolutivo ha introdotto si può

indicare, innanzitutto, la circostanza che, se in alcune fasi storiche l’attenzione nei

confronti della libertà religiosa era sostanzialmente assorbita dalla determinazione dei

rapporti interistituzionali con le confessioni, oggi la stessa deve convivere con la

crescente rilevanza attribuita ai profili individuali della religiosità: come è stato

precisato, se è indubbio che spesso la religiosità sia un fatto comunitario, tuttavia, deve

rimanere centrale l’attenzione per le garanzie di libertà del singolo e per il rispetto del

principio di eguaglianza tra i diversi credenti.10

Nel medesimo tempo, si assiste a un progressivo esaurirsi dell’influenza

esercitata da idee che in passato avevano caratterizzato le relazioni tra lo Stato e il

fenomeno religioso. E’ il caso, in particolare, del giusnaturalismo che considerava la

Chiesa del proprio paese una istituzione nazionale sottoposta alla sovranità del potere

civile, con la conseguenza che lo Stato poteva esercitare il potere di nomina o di veto

sulle scelta delle alte cariche ecclesiastiche, disciplinare la condizione giuridica degli

enti ecclesiastici, vigilare sul retto svolgimento della vita ecclesiastica, punire

penalmente le offese contro quella religione, controllare preventivamente alcuni atti

delle autorità religiose .11

Ma esso, dopo aver ispirato le scelte costituzionali di diversi ordinamenti

europei - si pensi, a titolo di esempio, alla Costituzione spagnola del 1812 e alla

Costituzione del Regno in Italia del 1848 che riconoscevano la Religione Cattolica,

Apostolica e Romana come la sola religione dello Stato - ha progressivamente lasciato

spazio all'affermarsi del principio della separazione tra le due sfere: secondo il quale

l'azione dello Stato si deve affrancare da ogni ingerenza religiosa e, nel contempo,

deve riconoscere la natura privata del fenomeno religioso. In altri termini, i precetti

religiosi non si devono sovrapporre ai principi cui si ispirano le Costituzioni e le 10 Così: S.LARICCIA, Coscienza e libertà, Bologna, 1989, 7311 Vedi:F.RUFFINI, Relazioni tra Stato e Chiesa, Bologna,1974.

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finalità pubbliche non debbono coincidere con i fini religiosi.

Come è stato precisato con efficacia, lo Stato ha un interesse a che le esigenze

religiose della comunità siano soddisfatte, tuttavia il potere pubblico non può

sostituirsi alle confessioni nel perseguimento di finalità che sono loro proprie, perché

si tratta di libere forme associative e il sentimento religioso presuppone una piena

libertà nello svolgimento delle attività individuali e collettive.12

In secondo luogo, si assiste al passaggio da un atteggiamento di tolleranza a

un'altro che riconosce l’eguale dignità delle credenze religiose e la loro libertà di

manifestarsi all'interno dell'ordinamento costituzionale. E’indubbio che, sul piano

storico, la tolleranza ha rappresentato un necessario antecedente del riconoscimento

della libertà religiosa, dal momento che si configura come un impegno a non

ostacolare, a non interferire nella formazione della coscienza religiosa; tuttavia, non si

può trascurare l’osservazione di Mirabeau all’Assemblea Nazionale secondo cui “la

parola tolleranza pare in certo qual modo tirannica essa stessa, poiché l’autorità che

tollera potrebbe anche non tollerare".13

Il riferimento all’eguale libertà piuttosto che alla tolleranza verso le religioni

rappresenta un indubbio salto di qualità delle codificazioni costituzionali: come

evidenzia in modo emblematico la traiettoria che ha caratterizzato in proposito

l’ordinamento italiano. La formulazione dell'art.1 dello Statuto del Regno - il quale,

disponeva che “gli altri (rispetto alla Chiesa cattolica) culti attualmente esistenti nello

Stato sono semplicemente tollerati, secondo gli usi e i regolamenti speciali che li

riguardano” - introduceva una doppia differenziazione all'interno delle confessioni

religiose: tra i cattolici e gli aderenti alle altre religioni , tra i culti allora esistenti

( sostanzialmente gli israeliti e i valdesi) e i "nuovi" culti. Mentre successivamente,

prima, la legge delle guarentigie del 13 maggio 1871,n.214, dichiarava all’art.2 la

libera discussione nelle materie religiose, quindi, l'art.8 della Costituzione

repubblicana ha affermato l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose.14

12 Così: S.LARICCIA, op.cit., 59.13 Intervento richiamato da:F.GROSSI, Note introduttive per uno studio sulla tolleranza e diritto di libertà religiosa, in Dignidad de la persona, derechos fundamentales, justicia constitucional, Madrid, 2008, 538.14 Sulla posizione, in generale, del fenomeno religioso nella Costituzione italiana si vedano, a titolo di esempio, i contributi di: B.RANDAZZO, Diversi e eguali.Le confessioni religiose davanti alla legge, Milano, 2008; G.DELLA TORRE, Il fattore religioso nella Costituzione, Torino, 1995; G.FLORIDIA, S.SICARDI, Dall’eguaglianza dei cittadini alla laicità dello Stato, in Scritti minori, Torino , 2008,1216 ss; R.BOTTA, Sentimento religioso e costituzione repubblicana, Torino, 1990,145; A.LANG, Alle

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Tuttavia, il mutamento delle formule normative non è di per sé sufficiente ad

affermare un effettivo pluralismo, se non è accompagnato, per un verso, dal formarsi

di una coscienza sociale orientata a non trasformare le inevitabili differenziazioni in

fattori di esclusione o in cause di discriminazione, per un altro verso, dal

riconoscimento dell’eguale dignità di ogni convinzione.

Il progressivo superamento del confessionalismo e del giurisdizionalismo a

favore del principio di laicità non implica un atteggiamento di indifferenza nei

confronti della religione; in altri termini, la secolarizzazione crescente della sfera

pubblica non diminuisce l’incidenza del fattore religioso o l’esigenza di religiosità, se

mai l’ atteggiamento di neutralità dei pubblici poteri nei suoi confronti è funzionale ad

assicurare agli individui e ai gruppi la libertà di culto, il divieto di discriminazioni.

Rispetto alla tolleranza il principio di laicità riconosce l’eguale dignità delle diverse

fedi religiose.15

A nostro avviso, il principio di eguaglianza - declinato nei diversi significati

che ha, a mano a mano, conseguito (parificazione delle situazioni giuridiche ed eguale

trattamento innanzi alla legge, divieto di discriminazione e azioni positive per offrire a

tutti gli individui quelle parità di opportunità e di condizioni che la società, in ragione

della sua struttura economica e sociale, non è in grado predisporre autonomamente,

riconoscimento delle differenze culturali) – costituisce l’architrave per una effettiva

garanzia della libertà religiosa.16 Così come non va trascurato che il costituzionalismo

tende a regolare la libertà religiosa secondo quella molteplicità di prospettive che

deriva dall’intera parabola evolutiva del principio di eguaglianza.

L’estensione del profilo dell’eguale trattamento da parte del legislatore al

fenomeno religioso emerge sia dalla formulazione dell’art.1 del Bill of Rights

nordamericano (“Il Congresso non può fare alcuna legge per il riconoscimento di

qualsiasi religione”), sia – in un periodo più recente – dall’art.8 della Costituzione

italiana (“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”).

Secondo siffatta prospettiva, la regola dell’eguale trattamento del pluralismo religioso

proietta sul piano dei diritti dei singoli e delle associazioni l’imparzialità di

origini del pluralismo confessionale, Bologna, 1990; F.FINOCCHIARO, Artt.7-8,Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione,Bologna, 1975, 321 ss.15 Cfr., S.FERRARI, Religione, società e diritto in Europa occidentale, in G.B.VARNIER (cur.) Fattore religioso, ordinamenti e identità nazionale nell’Italia che cambia, Genova, 2004, 37 ss.16 Si veda, in proposito, N.COLAIANNI, Eguaglianza e diversità culturali e religiose: un percorso costituzionale, Bologna, 2006.

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quell’atteggiamento di favor religionis che dovrebbe ispirare i comportamenti dei

pubblici poteri. Di conseguenza, il principio di eguaglianza costituisce non tanto una

garanzia di libertà, quanto di pari sottoposizione alla legge e alle limitazioni da essa

poste.

In numerose codificazioni costituzionali è presente, poi, il proposito di vietare

ogni trattamento discriminatorio: come evidenzia con chiarezza, ad esempio, la

formulazione dell’art. 3 della Costituzione tedesca secondo la quale nessuno può

essere discriminato o privilegiato a causa della fede e delle confessioni religiose.17

Così come è fondamentale l’apporto della giurisprudenza, propensa ad

instaurare uno stretto collegamento tra affermazione della libertà religiosa e divieto di

trattamenti discriminatori. Emblematico appare, in proposito, l’orientamento della

Corte suprema del Canada, ad avviso della quale imporre la domenica quale giorno

festivo sulla base di una motivazione religiosa costituisce “an unacceptable preference

by the state for the religious beliefs of some Christians”18, in conflitto con il dovere di

tutelare il multicultural heritage dei canadesi.

Anche la Corte costituzionale italiana ha precisato, con riferimento a norme

penali a favore del fenomeno religioso – come il vilipendio, la bestemmia, il

turbamento di funzioni religiose –, che se il legislatore ritiene di tutelare penalmente il

sentimento religioso deve farlo nella stessa misura a favore di tutti i culti religiosi: con

la conseguenza che tali norme devono estendersi a tutte le fedi, anche se inizialmente

erano previste solo a favore di determinate religioni.19 Solo ricorrendo a una specifica

tecnica decisionale di tipo interpretativo il giudice costituzionale ha potuto

contemperare il favor religionis dello Stato con la salvaguardia del principio di

eguaglianza.20

17 Nella medesima prospettiva si pongono, ad esempio, l’art.3 della Costituzione italiana, l’art.14 della Costituzione spagnola, l’art.13 della Costituzione portoghese.18 Così in: R.v.W.H.Smith Ltd, [1983] 5 W.W.R. 22519 Si considerino, ad esempio, le sentenze n.327/2002 ( in materia di turbamento delle cerimonie religiose), n. 440/1995 (in materia di bestemmie o parole oltraggiose), n.508/2000 (in materia di vilipendio) della Corte costituzionale italiana. Per una più ampia ricostruzione della giurisprudenza costituzionale si rinvia a:E. DI SALVATORE, Il sentimento religioso nella giurisprudenza costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale,2000, 4419 ss.20 Con riferimento alla tecnica delle decisioni interpretative si veda, a proposito della dottrina italiana: V. CRISAFULLI, Le sentenze «interpretative» della Corte costituzionale, in Rivista trimestrale diritto e procedura civile, 1967, 12 ss; G.SILVESTRI, Le sentenze normative della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale,1981, 1684 ss; R.PINARDI, L’horror vacui nel giudizio sulle leggi, Milano, 2007. Si veda anche, per più ampi riferimenti bibliografici: E.MALFATTI, S.PANIZZA, R.ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, 2007.

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Da ultimo, non va trascurato che il carattere multiculturale di alcune società

favorisce un nuovo stadio nel processo di configurazione del principio di eguaglianza

in materia religiosa, sintetizzabile in un diverso atteggiamento dell’ordinamento nei

confronti delle differenze che possono essere considerate parte integrante dell’identità

personale:21 nel senso che la disomogeneità culturale richiede trattamenti

specificamente differenziati.

Questi casi debbono essere affrontati dal legislatore e dal giudice non tanto in

termini di uniformità, quanto consentendo deroghe al principio generale

dell’eguaglianza innanzi alla legge, che appaiono motivate dall’esigenza costituzionale

di garantire la libertà e la personalità degli appartenenti a gruppi minoritari.

Un’esigenza che – come vedremo meglio nei paragrafi che seguono – influirà in

misura significativa sia sulle tecniche di codificazione, sia sui criteri decisionali

utilizzati dai giudici.22

Il riconoscimento costituzionale del principio di eguaglianza in materia

religiosa deve, tuttavia, convivere con disposizioni di favore o con la previsione di

speciali regimi a vantaggio di determinate confessioni religiose.

In diversi casi, la disciplina normativa (e la giurisprudenza) intende tener conto

della "storia" di ciascun ordinamento e delle convinzioni consolidate all'interno del

corpo sociale; così come asseconda la richiesta di alcune confessioni sia di affiancare a

un corpus giuridico comune - con valore erga omnes - un diritto speciale - frutto di

apposite intese bilaterali-, sia di differenziarsi nei confronti delle nuove aggregazioni

religiose di natura settaria.23

La tradizione induce diversi ordinamenti ad attribuire alle religioni

maggioritarie uno status costituzionale particolare, pur riconoscendo il principio della

libertà religiosa.

Emblematici esempi sono offerti, sulle due sponde dell'oceano, dalla Spagna e

dal Canada. Nel primo caso, la Costituzione del 1978 - pur negando l'esistenza di una

religione ufficiale a favore di un ampio pluralismo (nessuna religione avrà un carattere

21 Sulle nuovi profili dello status di cittadinanza : W. KYMLICKA, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of Minority Rights, Oxford, 1995. Con riferimento alla dottrina italiana: E.GROSSO, Le vie della cittadinanza,Padova,1997.22 Vedi, infra,par.623 Cfr., AA.VV., Secte et läicité, Paris, 2005; N.GUILLET, Liberté de religion et mouvements à caractér sectaire, Paris, 2003; G. MAGGIONI, I nuovi movimenti religiosi o sette, Milano, 1993; E.PACE, Le sette, Bologna, 1997.

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statale) - ha vincolato all'art.16.3 i poteri pubblici a tener conto delle credenze religiose

della società spagnola e a instaurare, di conseguenza, relazioni di cooperazione con la

Chiesa cattolica e altre confessioni.24 Tale disposizione, d’altra parte, è stata utilizzata

come parametro dal Tribunale costituzionale per ritenere non incostituzionale la

normativa che prevede la celebrazione istituzionale di alcune festività religiose, purché

non si traduca in un vincolo obbligatorio per i cittadini e il potere pubblico non

organizzi direttamente la celebrazione religiosa.25

Il Canada, a sua volta, pur in un contesto decisamente aperto alla prospettiva

del multiculturalismo e del pluralismo religioso,26 ha inteso riaffermare la sua origine

binazionale – uno Stato costituito da due popoli fondatori distinti per sistema

giuridico, per lingua e per religione – : cosicché l’art.29 della Carta canadese dei diritti

e delle libertà ha statuito che le disposizioni in essa contenute non abrogano, né

derogano i diritti e i privilegi garantiti dal British Nord America Act del 1867 in

materia di scuole separate e di altre scuole confessionali, tra i quali rientra la

possibilità di finanziare le scuole protestanti e cattoliche riconosciute ai sensi della

setion 93 del British Nord America Act del 1867.27

Anche nel Regno Unito l'approvazione dello Human Rights Act del 1998, che

riconosce la libertà religiosa, non ha messo in discussione l'esistenza di una Chiesa di

Stato - la Established Church of England - e i suoi privilegi storici, tra cui una

presenza di Lords religiosi all'interno della Camera dei Lord.28 E’ interessante

24 Gli accordi tra lo Stato spagnolo e la Santa sede furono ratificati il 4 dicembre del 1979. Per riferimenti dottrinali in ordine alla scelta della Costituzione si veda: J.AMOROS AZPICUETA, La libertad religiosa en la Constitución española, Madrid, 1984; J.M.PORRAS RAMIREZ, Libertad religiosa, laicidad, cooperación con las confesiones religiosas en el estado democrático de derecho, Madrid, 2006;J.LARENA BELDARRAIN, La libertad religiosa y su protección en el derecho español, Madrid, 2003; AA.VV., La libertad ideológica,Madrid, 2001; P.NICOLAS JIMENEZ, La nueva realidad religiosa espñola: 25 años de la Ley Organica de la Libertad Regiosa, Madrid, 2066; P.PARDO PRIETO, Laicidad y acuerdos del Estados con confesiones religiosas, Valencia, 200825 Vedi: STC 177/96.26 Si vedano gli artt.2, 15 e 27 della Carta canadese dei diritti e delle libertà. Per riferimenti giurisprudenziali si rinvia a: F.ASTENGO, La libertà religiosa in un ordinamento multiculturale,in G.ROLLA (cur.) L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese, Milano, 2008, 423 ss. Vedi anche: R. MOON, Law and religious pluralism in Canada,Vancouver, 2008. 27 Si veda. P.HOGG, Constitutiona law of Canada, Toronto, 2007, 684 e 938 ss.28 La sua specificità affonda le radici nella volontà, maturata nel corso del XVI secolo, di svincolare la Chiesa dalle dipendenze dal papato: con l’Act of Supremacy del 1534 si affermò la volontà di affrancarsi dai legami con Roma e di dar vita ad una Chiesa che riconoscesse come unico referente il Sovrano, che si proclamò capo della Chiesa di Inghilterra, con potere di nomina e destituzione dei vescovi. Spettava, inoltre, al Sovrano esaminare, reprimere, riformare errori, eresie o abusi. E si introdussero modifiche in alcuni aspetti dell’ecclesiologia. In sostanza si diede forma non tanto ad una

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evidenziare, anche, come l’art.79 della Costituzione islandese preveda la necessità di

un referendum in caso di modificazione della posizione giuridica della Chiesa

luterana.

Così come nel continente europeo - nonostante la funzione omogeneizzante

svolta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle

libertà fondamentali e dalla relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti

dell'uomo - la situazione si presenta sul punto assai variegata: a fronte di sistemi che

introducono la laicità tra i caratteri della forma di Stato (Francia, Turchia, mentre la

Costituzione portoghese individua la laicità tra i limiti alla revisione costituzionale) -

vi sono ordinamenti che riconoscono una posizione predominante ad una determinata

Chiesa (Grecia, Malta, Danimarca) o contengono richiami ad una fede religiosa

(Irlanda) ovvero prevedono disposizioni di favore nei confronti di uno specifico credo

(Portogallo, Austria). Mentre in Europa orientale diversi ordinamenti hanno

costituzionalizzato la posizione privilegiata di una Chiesa ovvero stipulato appositi

concordati con una determinata confessione religiosa.29

Anche in Italia i costituenti, mentre avvertirono l'esigenza di affermare l'eguale

libertà di tutte le confessioni religiose, ebbero la consapevolezza che non si poteva

azzerare né l’esperienza passata - i Patti lateranensi con i quali si era posto fine alla

c.d. "questione romana" e si erano regolati i rapporti tra i due ordinamenti - né il

rapporto privilegiato del popolo italiano con una religione - quella cattolica -; 30 d’altra

parte, lo stesso giudice costituzionale ha (un poco sorprendentemente) inserito tra le

disposizioni che danno sostanza al principio supremo della laicità dello Stato non solo

religione di Stato, quanto ad una Chiesa di Stato, la qualeè parte di un “constitutional weave which includes the Monarchy,Parliament, the law and faith”.Per alcuni riferimenti: L.ALTAMURA, Aggiornamenti sullo status costituzionale della Chiesa d’Ingilterra, in La Costituzione britannica, Torino, 2005, 2, 757 ss. Vedi anche: A.CAPRIOLI, L.VACCARO, Storia religiosa dell’Inghilterra,Milano, 1991.29 Con specifico riferimento agli ordinamenti dell’Europa orientale si veda:G.CIMBALO, Tutela individuale e collettiva della libertà di coscienza e modelli di relazione tra Stato e confessioni religiose nei paesi dell’Est Europa, in G.CIMBALO,F.BOTTI (cur.), Libertà di coscienza e diversità di appartenenza religiosa nell’est Europa, Bologna, 2008,16 ss.Per più ampie considerazioni relative al panorama europeo: J. CARVALHO, Religion and power in Europe : conflict and convergence, Pisa, 2007; J.MARTÍNEZ MILLÁN, Religión, política y tolerancia en la Europa moderna, Madrid, 201130 Per riferimenti al dibattito costituente a proposito dell’art.7 Cost. si veda: A.LANG , Alle origini del pluralismo confessionale, Bologna, 1990; F.FINOCCHIARO, Artt.7-8,Principi fondamentali, in Commentario della Costituzione,Bologna, 1975, 321 ss; IDEM, Eguaglianza giuridica e fattore religioso, Milano, 1958; G.CATALANO, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella Costituzione repubblicana, Milano,1968;

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l'art.8 (eguale libertà dalle confessioni religiose) e l'art.19 (libertà religiosa), ma anche

l'art.7 ( che attribuisce alla Chiesa cattolica una condizione privilegiata).31

Il principio di eguaglianza è derogato anche nei casi in cui l’ordinamento opera

una selezione tra i fini religiosi, prevedendo discipline diverse alla luce dei contenuti

tipici delle diverse fedi: ciò accade, ad esempio, nei casi in cui si differenziano in via

legislativa le confessioni religioni dalle sette o le religioni “storiche” da credi di

recente diffusione; ovvero si prevede un controllo di merito ai fini dell'iscrizione di

associazioni o gruppi religiosi in appositi registri.

Una cosa è verificare se l'attività religiosa si manifesta in modi contrari ai limiti

generali che le Costituzioni hanno posto all'esercizio di tale diritto - ad esempio, riti

contrari al buon costume, contrarietà all'ordine e alla sicurezza pubblica-; altro, invece,

è valutare i profili spirituali di un'associazione a fini religiosi, in modo da ledere sia la

sua autonomia, sia la libertà dei singoli aderenti. Interessante appare, in proposito, una

sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo in cui ha precisato che non compete ai

poteri pubblici entrare nel merito dei fini religiosi prescritti dalla Legge organica sulla

libertà religiosa per l’iscrizione in un apposito registro, poiché un controllo di

legittimità sulle credenze finirebbe per inficiare il principio di libertà religiosa.32

Da ultimo, si ha una deroga al principio di eguaglianza quando a una disciplina

di natura generale del fenomeno religioso si affianca una disciplina speciale: per cui,

per un verso, si sono codificate regole valide per tutte le religioni (in genere, divieto

di discriminazione e riconoscimento della libertà religiosa), mentre, per un altro verso,

si ammettono regimi bilaterali che regola, sulla base di apposite intese o concordati, la

condizione giuridica di una specifica confessione. 33

31 Come evidenziano, G.FLORIDIA, S.SICARDI, Dall’eguaglianza dei cittadini alla laicità dello Stato, in Scritti minori, Torino, 2008,1217 a proposito della sentenza 203/1989 della Corte costituzionale italiana.32 Vedi, STC 26/2001.33 In merito all’istituto delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose e alla relativa problematica della libertà religiosa si vedano, a titolo di esempio, i contributi di: M.CONDORELLI, Concordati e libertà delle Chiese, Milano, 1996; IDEM, Eguaglianza delle confessioni religiose e regime delle intese, Milano, 1996;B.RANDAZZO, Diverse ed eguali: le confessioni religiose davanti alla legge, Milano, 2008; G.LONG, Le confessioni religiose diverse dalla cattolica: ordinamenti interni e rapporti con lo Stato,Bologna, 1991; F.RUFFINI, Relazioni tra Stato e Chiesa, Bologna, 1974;D.LLAMAZARES FERNANDEZ, Libertad religiosa, aconfesionalidad, laicismo y cooperación con las confesiones religiosas en la Europa del siglo XIX, in Estado y religión e la Europa del siglo XXI, Madrid,2008, 13 ss; N.COLAIANNI, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art.8 della Costituzione, Bari, 1990.

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In tal caso, si è dinanzi ad una “contraddizione legale”, dal momento che la

normativa generale presuppone un atteggiamento di neutralità dei pubblici poteri nei

confronti del pluralismo religioso, mentre quella speciale li autorizza a esercitare un

potere di selezione, scegliendo tra le confessioni quella ( o quelle) con cui relazionarsi

e instaurare particolari relazioni. O meglio, in termini più propriamente giuridici, si

assiste alla coesistenza di criteri diversi quali la separazione e la coordinazione tra

sfera temporale e spirituale.

3. La religione come libertà dell'individuo

Nel costituzionalismo contemporaneo è abbastanza generalizzata - oltre che la

secolarizzazione del potere pubblico e il riconoscimento del pluralismo religioso – la

convinzione che la religione costituisca una libertà fondamentale. Siffatta tendenza fa

inevitabilmente “scivolare” il fenomeno religioso dalla sfera pubblica verso

quell’intima e morale dell’individuo: in tal modo, la religione modifica la sua

collocazione sistemica, nel senso che mentre in passato ha rappresentato uno dei

fondamentali elementi cui si è ricorso per conferire omogeneità al popolo di uno Stato

e per costruire l’identità nazionale – come emerge formalmente in quegli ordinamenti

che hanno costituzionalizzato e istituzionalizzato una determinata religione-34 oggi

rappresenta, piuttosto, uno dei profili essenziali del libero sviluppo della personalità.

Di conseguenza, si assiste a un ribaltamento di prospettiva: la religione non è

solo considerata nella sua dimensione sociale e istituzionale, ma diviene elemento

essenziale della coscienza individuale. Questa evoluzione favorisce - come è stato ben

evidenziato - 35 una trasformazione all’interno del fenomeno religioso, sintetizzabile

nella formula "believing without belongin", nel senso che acquista rilevanza la

sincerità della credenza personale piuttosto che la conformità di quest’ultima ai

precetti della religione ufficiale. Libertà di pensare e libertà di credere divengono

espressioni pari ordinate della centralità della coscienza individuale e, non

casualmente, alcune Costituzioni sottopongono la religione e la libertà di coscienza

alla medesima disciplina.36

34 Si pensi, ad esempio, all’art.1 dello Statuto albertino, all’art. 44 della Costituzione irlandese, all’art.50 della Costituzione del Perù, l’art.75 della Costituzione della Costa Rica.35 Cfr.,G.DAVIE, Religion in Britain since 1945. Believing without belongin London, 1994.36 Valga, per tutti, il riferimento all’art.2 della Carta canadese dei diritti e delle libertà, all’art.18 della

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Il passaggio dell’attenzione dalla dimensione sociale al profilo individuale del

fenomeno religioso è stato favorito in misura determinante dalla giurisprudenza, in

particolare dalle Corti supreme del Nord America. Se, per un verso, secondo le parole

della Corte suprema del Canada, la Carta dei diritti e delle libertà riconosce il diritto

“di credere ciò che si vuole in materia religiosa, di professare apertamente credenze

religiose senza timore di impedimenti e ritorsioni”, senza costrizioni o vincoli, giacché

“nessuno può essere costretto ad agire contrariamente alle proprie credenze o alla propria

coscienza”. 37 Per un altro verso, la giurisprudenza degli Stati Uniti d’America appare

attenta a scandagliare la sincerità e l’onestà della fede dell’individuo, senza

considerare necessario che la stessa sia riconducibile ai precetti imposti dalla dottrina

di un’autorità religiosa.

Emblematica è, in proposito, la decisione in cui la Corte suprema - dovendo

stabilire se il diritto all’esenzione dal servizio militare come obiettore di coscienza

sussista nel caso di un giovane che considerava ogni guerra moralmente sbagliata - ha

ritenuto non è necessario ricondurre un credo ad una specifica religione, essendo

sufficiente che il convincimento morale sia profondamente radicato nell’animo di una

persona per poter dire che l’avversione a ogni guerra abbia motivi religiosi.38 Un

orientamento che trova conferma in altre fattispecie in cui la Corte suprema ha deciso

sulla base della considerazione che “la garanzia del libero esercizio non si limita a

comportamenti condivisi da tutti i membri di una setta religiosa” (le Corti “non sono

arbitri dell’interpretazione dei testi sacri”), ma protegge l’intima convinzione della

persona, l’onestà della sua convinzione di essere di fronte ad un precetto religioso

obbligatorio.39

Un effettivo rispetto della libertà di coscienza, delle intime convinzioni

religiose degli individui necessita, tuttavia, di un contesto sociale retto da relazioni

ispirate a comuni regole di convivenza, dal riconoscimento della pari dignità delle

espressioni culturali dei diversi gruppi che convivono in una società democratica e

pluralistica: solo così si possono contrastare i pregiudizi - politici e sociali- , gli

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, all’art.9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, all’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.37 Vedi: Big M Drug Mart (1985) 1 R.C.S., par.95.38 Si veda, a titolo di esempio: 398 U.S. 333 (1970), 489 U.S. 829 (1989).39 Così in: 450 U.S. 707 (1981).

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stereotipi che perpetuano o promuovono l’opinione secondo la quale un individuo è

meno capace o meno degno a causa dei suoi elementi identitari – sia di natura

religiosa, che linguistica o etnica-.

In altri termini, il nesso tra libertà religiosa ed eguaglianza di trattamento non

può che basarsi sul riconoscimento del valore centrale del principio di dignità; solo in

tal modo, si può evitare che le inevitabili differenziazioni identitarie si trasformino in

fattori di esclusione o in cause di discriminazione.40 Come è stato efficacemente

sostenuto "scegliere una fede religiosa e praticarla liberamente è un diritto

riconosciuto dalle democrazie liberali contemporanee. Accettare una pluralità di

religioni e la libertà per ciascuno di scegliere rappresentano elementi essenziali del

pluralismo: il cui rispetto si traduce nell’assenza di una religione di Stato e nella

libertà di coscienza degli individui”.41

L’atteggiamento dello Stato nei confronti della libertà e del pluralismo

religioso sollecita ulteriori filoni di ricerca, consistenti nell’individuare sia i rapporti e

i tratti distintivi tra la religione e le altre libertà connesse alla libera formazione del

pensiero umano, sia il significato da attribuire alla nozione di neutralità o laicità dei

pubblici poteri.

In merito all’oggetto tutelato dalle disposizioni costituzionali in materia di

libertà religiosa, gli ordinamenti tendono a privilegiare la finalità religiosa rispetto al

carattere religioso di una organizzazione; così come il fine religioso deve essere

prevalente rispetto ad altre finalità che, pure, possono comprendere elementi di

religiosità. Si pensi, ad esempio, al caso di attività svolte da enti religiosi la cui finalità

primaria consiste nella formazione scolastica ovvero nella promozione di attività

ludiche, culturali e sportive; ovvero di associazioni di ispirazione solidaristica o

umanistica in cui la finalità religiosa non è preponderante.42

Inoltre, la religione – pur essendo una libertà specifica, dotata di un proprio

“statuto costituzionale” - entra necessariamente in relazione con altre libertà connesse

40 Sul significato e la portata normativa del principio di dignità si rinvia a: G.ROLLA, Profili costituzionali della dignità umana, in E.CECCHERINI (cur.) La tutela della dignità della persona, Napoli,2006, 57 ss. Adde: P.BECCHI, Dignità umana, in Filosofia del diritto.Concetti fondamentali, Torino, 2007,153ss.41 Si veda: D.G.LAVROFF, Les tendences actuelles dans les relations entre l’Etat et la religion , in Anuario iberoamericano de justicia constitucional, 2004,323.42 E’ interessante notare che secondo l’art. 3,2 della Legge Organica 7/1980 sulla libertà religiosa non rientrano nell’ambito della protezione offerta le attività, le finalità, le entità “relacionadas con…otros fines análogos ajenos a los religiosos”.

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al pluralismo delle idee (si pensi, ad esempio, alla libertà di manifestazione del

pensiero, alla libertà artistica, alla libertà di coscienza); 43 così come spesso si esercita

attraverso la fruizione di altri dritti costituzionali: come la libertà di riunione nel caso

delle processioni e dei riti, la libertà di comunicazione con riferimento al proselitismo.

Tuttavia, si differenzia da essi perché mentre per questi ultimi i fini che hanno

determinato l’agire del soggetto non necessariamente rilevano, nel caso della religione

i fini e i comportamenti costituiscono un tutt’uno non scindibile.44

Sono anche frequenti i casi in cui l’identità religiosa entra in conflitto con altri

diritti o doveri costituzionali, richiedendo al legislatore o al giudice una delicata e

difficile attività di bilanciamento.45

Un punto di differenziazione a proposito dell’oggetto della tutela costituzionale

della libertà di religione si registra tra gli ordinamenti che affermano una visione teista

della religione e quelli che, per contro, grazie ad un’interpretazione estensiva del

termine “religioso”, comprendono nella garanzia costituzionale anche manifestazioni

di culto minoritarie o eterodosse.

In proposito, è assai interessante l’evoluzione che ha contrassegnato

l’interpretazione del primo emendamento da parte della Corte suprema degli Stati

Uniti d’America.46 A lungo, il giudice – basandosi anche sugli orientamenti della

legislazione di attuazione della disposizione costituzionale – ha optato per

43 In particolare, l’attenzione della dottrina si è focalizzata sui rapporti tra libertà religiosa e di manifestazione del pensiero. Un yentativo di distinzione concettuale è stato compiuto dal giudice costituzionale spagnole, il quale ha precisato chel a libertà ideologica consiste nella facoltà di adottare una determinata posizione intellettuale nei confronti della vita e di rappresentare e esprimere la realtà secondo le proprie personali convinzioni (STC 120 del 1990; mentre la libertà religiosa esprime un insieme di credenze e di pratiche, tanto individuali come sociali, relative al sacro,al trascendente o al divino (STC 46 del 2001).

Cfr., J. JIMENEZ CAMPO, Libertad ideológica, in M.ARAGON REYES (coord.) Temas básicos de derecho constitucional, Madrid, 1995, III, 4056 ss.44 Cfr.,T.MARTINES, Libertà religiosa e libertà dei formazione della coscienza, in Opere, Milano, 2000, IV, 129 ss.45 Sul punto, con riferimento alle tecniche interpretative, si veda ,infra,par.6.46 Tra la molteplice dottrina in merito al primo emendmento si vedano, a titolo esemplificativo, i lavori di: F.CHURCH, The separation of church and state:writings on a fundamental freedom by America’s founders, Boston, 2004;K.CRAYCREFT, The American myth of religious freedom, Dallas, 1999; C.COOKSON, Regulating religion:the courts and the free exercise clause, Oxford,2001; J.HITCHCOCK, The Supreme Court and religion in American life, Oxford, 2004; J.RUBIO LOPEZ, La primera de las libertades: la libertad religiosa en los EE.UU. durante la corte Rehnquist (1986 – 20059. Una libertad en tensión, Pamplona, 2006; H.L.HALL, Conscience and belief:The Supreme Court and religion, New York, 2000; A.HELLMANN, W.ARAIZA, First Amendment law: freedom of expression and freedom of religion, Newak, 2006; S.GEY, Religion and the State, Newak, 2006; L.VANONI, God save the United States and this honorable court: il conflitto tra laicità e identità religiosa in America, in Diritto e società, 2005, 433 ss.

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un’interpretazione letterale, privilegiando una nozione restrittiva di religione: la quale

escludeva dalla protezione costituzionale concezioni religiose eterodosse, credenze

essenzialmente filosofiche o codici morali esclusivamente personali.47

Per contro, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, l’interpretazione del

primo emendamento si modifica sostanzialmente: facilitata anche dalle modificazioni

sociali e culturali del paese, in particolare dal passaggio da una fase di immigrazione

sostanzialmente omogenea dal punto di vista religioso ad un’altra spiccatamente

pluralistica. Di conseguenza, la Corte suprema, basandosi soprattutto sul principio di

non discriminazione e sulla conferma del principio pluralistico voluto dai “padri

costituenti”, abbandona, a poco a poco, una visione “ortodossa” della religione – basti

ricordare che in Reynold v.United States (1878) si faceva riferimento al dovere che

abbiamo nei confronti del Creatore, mentre in United States v. Macintosh (1931) si

parlava di “duty of obedience to the will of God” – svaluta progressivamente la

dimensione istituzionale della religione, mentre prende corpo una concezione della

religione come forma di credenza di carattere individuale.48

Un cambiamento di orientamento che ha consentito sia ai culti minoritari o

eterodossi di accedere a benefici prima riservati alle Chiese cristiane,49 sia agli

individui di poter far valere il diritto all’obiezione di coscienza o di fruire di

trattamenti differenziati anche sulla base delle proprie convinzioni morali. 50

Talvolta, le carte costituzionali accomunano nella disciplina e sottopongono ai

medesimi limiti la libertà religiosa, la libertà ideologica e quella di coscienza. 51 Tale

47 Una sorta di judicial deference nei confronti del legislatore, in base alla quale riteneva che la protezione offerta dalla costituzione si riferiva solo alle credenze di natura religiosa e non si estendeva anche a credenze sociali, etiche o filosofiche. Tale interpretazione restrittiva fu utilizzata, ad esempio, per individuare chi poteva giovarsi del Selective Training and Service Act del 1940 che esimeva dall’obbligo militare coloro che si oppongono alla guerra per motivi religiosi, sulla base di un “religious training and belief”. Orientamento, successiva confermato dal legislatore il quale, nella Legge di reclutamento militare del 1948, escludeva che il credo individuale potesse riguardare credenze essenzialmente politiche, sociologiche o filosofiche, o un codice morale esclusivamente personale.

48 Citare le due sentenze Reynold v.United States (1878 United States v. Macintosh (193149 Vedi, ad esempio: Washington Ethical Society v. Distrct of Columbia, 249 F.2d 127 (1957); Fellowship of Humanity v.County of Alameda, Cal.App.2d 673, 315 P2d 394 (1957).50 Così, ad esempio, in Thomas v. Review Board of the Indiana Employment Security Division, 450 U:S:707 (1981). Per ulteriori riferimenti: M.DICOSOLA, Tecniche di bilanciamento tra libertà di religione e laicità dello Stato.Il principio del duty of accomodation, in G.ROLLA (cur.) Eguali, ma diversi,Milano, 2006,149 ss.51 E’ il caso, tra l’altro, delle Costituzioni del Giappone, della Repubblica federale di Germania, della Svizzera, del Canada, della Grecia, del Portogallo, della Spagna,olte che della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

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scelta ha il pregio di evidenziare come si tratti di diversi profili che concorrrono alla

formazione della personalità dell’individuo; tuttavia, essa presenta anche il rischio di

alimentare una certa confusione, la quale fa perdere i tratti distintivi le singole

fattispecie: in particolare sembra trascurare le significative differenze esistenti tra

coscienza e religione.52

In primo luogo, la libertà di coscienza ha una natura necessariamente

individuale, mentre quella religiosa può riguardare sia il singolo, sia la formazione

sociale o la confessione cui partecipa. In secondo luogo, le due libertà sembrano

naturalmente soggette a limitazioni differenti, almeno nel senso che quelle previste per

il fenomeno religioso non si possono estendere alla libertà di coscienza. Quest’ultima,

infatti, deve rappresentare uno spazio intimo non raggiungibile dalla regolazione

giuridica, rappresenta – com’è stato efficacemente detto - una “zona di immunità”

all’interno della quale si forma la identità della persona e che l’individuo può riempire

autonomamente di contenuti.53

In altri termini – e a questo proposito si nota nei documenti normativi una certa

imperfezione linguistica – la garanzia costituzionale non si identifica tanto con il

diritto di comportarsi secondo coscienza, quanto con il diritto a formare liberamente la

propria coscienza: di conseguenza, la garanzia dell’ordinamento è rivolta a contrastare

o regolare tutti i fenomeni suscettibili di menomare tale libero processo di

formazione.54 Per contro, la libertà religiosa – al pari delle altre libertà – è conformata

dalle Costituzioni: mentre la coscienza si forma in se stessa, la religione è una figura

relazionale, la cui libertà si esercita attraverso comportamenti, attività e scelte che si

svolgano nell’ambito delle prescrizioni costituzionali.

Non è, a nostro avviso, corretto impostare il rapporto tra coscienza e religione

in termini di gerarchia; tuttavia, non può sfuggire che la coscienza, in quanto scoperta

delle proprie convinzioni orienta l’intimo atteggiarsi dell’individuo nei confronti dei

diversi temi (religiosi, etici, sociali, filosofici, politici) propri della vita sociale e

52 Si veda: G.DICOSIMO, Coscienza e costituzione. I limiti del diritto di fronte a convincimenti intimi della persona, Milano, 2000.53 Così: R.PALOMINO LOZANO, Religión y derecho comparado, Madrid, 2077, 140 ss.54 A tal proposito, alcune problematiche come quelle della presenza di simboli religiosi negli spazi pubblici o della sovraesposizione mediatica di determinate religioni dovrebbero essere affrontate non solo sul piano della libertà religiosa, ma anche e soprattitto con riferimenti al principio della libera formazione della coscienza , che alla luce della libertà religiosa.Per considerazioni sul punto si veda anche: D.LOPRIENO, La libertà religiosa, Milano, 2009, 129 ss.

20

rappresenta il presupposto - o il caput e il fundamentum, secondo le parole di un

autorevole autore - per l’esercizio di altre libertà. 55

Sempre in tema di libertà di formazione della coscienza si pone il problema se

essa comprenda al suo interno anche un diritto all’obiezione di coscienza, e, quindi, a

non esercitare attività o a non essere sottoposto a prestazioni personali che siano con

essa incompatibili. In merito, le soluzioni appaiono diversificate, anche se

riconducibili ad un’alternativa di fondo: tra chi considera la libertà di coscienza e

l’obiezione di coscienza diritti autonomi e indipendenti e coloro i quali ritengono che

la libertà di coscienza comprenda anche il diritto di operare conformemente agli

imperativi della stessa.56

Nel primo caso, si perviene alla conclusione che è nella discrezionalità

dell’ordinamento riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza: così come ritenuto,

ad esempio, dalla Commissione che, sulla base di una analisi letterale dell’art.9 della

Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali, ha sostenuto che gli Stati membri sono liberi nel regolare la materia

dell’obiezione di coscienza, non essendo tale diritto esplicitamente contemplato nel

testo della Convenzione.57

Nel secondo caso, invece, l’obiezione di coscienza rappresenta un corollario

consequenziale alla libera formazione della coscienza individuale, cosicché l’esistenza

di tale diritto prescinde da un formale richiamo di natura costituzionale o legislativo.

Compete, comunque, al legislatore di regolarne l’esercizio in modo da evitare che

confligga con altre libertà fondamentali o doveri costituzionali (difesa della patria,

fedeltà alla Repubblica, adempimento tributario). Così come spetta al legislatore

escluderla in alcune fattispecie o ammetterla nel rispetto di determinate condizioni in

altre.

55 Vedi: F.FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Bologna, 1988, 135.56 La dottrina in materia di libertà di coscienza è particolarmente vasta, per riferimenti generali si rinvia, tra gli altri, ai contributi di: J.M.CONTRERAS MAZARIO, La protección de la libertad de conciencia y de las minorías religiosas en la Unión europea: un proceso inacabado, in Derechos y libertades, n.11, 2002, 155 ss; M.NUSBAUN, Libertà di coscienza e religione, Bologna, 2009; A.SPADARO, Libertà di coscienza e laicità nello Stato costituzionale:sulle radici religiose dello Stato laico, Torino, 2008; A.TORRES GUTIERREZ, El derecho a la libertad de conciencia en Austria, Madrid, 2006; G.DI COSIMO, Coscienza e costituzione:i limiti del diritto di fronte ai convincimenti interiori della persona,Milano, 200057 Sul punto si veda:J.MARTINEZ-TORRON, La doctrina jurisprudencial de los organos de estrasburgo sobre libertad religiosa, in Estudios de derecho público, Madrid, 1997, II, 1545ss

21

4. Le diverse varianti del principio di laicità

La laicità, in quanto principio regolatore dei rapporti tra diversi soggetti, opera

su più piani: innanzitutto, nelle relazioni tra i poteri pubblici e le istituzioni religiose,

nel senso che presuppongono la neutralità politica di queste ultime e la neutralità

religiosa delle istituzioni politiche; quindi, tra i poteri pubblici e la libertà individuale;

infine, all'interno della stessa società, dal momento che costituisce una regola per la

convivenza delle diverse credenze e per rafforzare la natura pluralistica

dell’ordinamento.58

Con riferimento a questi profili si può consentire con le posizioni le quali

sostengono che lo Stato democratico non può che essere laico. Tale affermazione,

tuttavia, deve essere sottoposta a una duplice avvertenza: da un lato, non le si può

attribuire una portata generale, ma circoscritta agli ordinamenti che si riconoscono nel

processo evolutivo del costituzionalismo liberale;59 dall'altro lato, va comunque

considerato che il principio di laicità non possiede un significato univoco, incontrando

nelle esperienze costituzionali diverse varianti. Esse - pena scontare un certo

schematismo – possono essere ricondotte a due prototipi di riferimento (rappresentati

dalle esperienze degli Stati uniti d'America e della Francia) e ad alcune soluzioni

intermedie, che affermano la neutralità, ma non l'indifferenza nei confronti del

fenomeno religioso.

A proposito dell'esperienza nordamericana non si può trascurare che i padri

costituenti avevano, in materia religiosa, prospettive differenti, riscontrabili nel primo

emendamento del Bill of Rights, il quale contiene al suo interno due distinte clausole:

la free exercise clause, che afferma il libero esercizio della religione, e la

establishment clause che, ponendo il divieto di una religione ufficiale, considera la

religione una formazione associativa su base volontaria, che non può essere assunta

dal potere politico come elemento identificativo dello Stato.60

La concezione costituzionale di Jefferson e Madison si fondava sulla

58 Così: Y.BEN ACHOUR, La Cour européenne des droits de l’Homme et la liberté de religion,Paris, 2005, 50 ss59 In merito alla possibilità di comparare solo all’interno di ordinamenti omogenei, cioè appartenenti al medesimo “sistema giuridico” si rinvia a:G.ROLLA, Elementi di diritto costituzionale comparato, Milano, 2010, 2 ss.60 Cfr., M.A.GLENDON, R.F.YANES, Structural Free Exercise, in Michigan Law Review,vol.90 (1991), 479 ss.

22

protezione delle minoranze e dei diritti individuali, sul principio di eguaglianza, sulla

prevalenza della rule of low e sulla stabilità dell’ordinamento politico: ingredienti

ritenuti necessari per evitare che prevalessero le divisioni in fazioni e che nella lotta

delle une a scapito delle altre si allontanasse la realizzazione del bene pubblico. Ad

avviso degli autori dei Federalist papers tale risultato poteva essere conseguito

favorendo in materia religiosa il massimo pluralismo e assicurando la piena

eguaglianza di trattamento, senza introdurre specifiche regolazioni pubbliche del

fenomeno religioso. D'altra parte, la Costituzione federale del 1787 disciplina

marginalmente il fenomeno religioso, limitandosi a vietare che una professione di

fede religiosa possa essere imposta come necessaria per coprire un ufficio o una carica

pubblica degli Stati uniti (art.VI.3)

Per contro, le colonie concepivano tradizionalmente la libertà religiosa non

solo come libertà di culto, ma anche come supporto dei poteri pubblici ai sentimenti

religiosi prevalenti nella società. Erano, quindi, favorevoli a una disciplina

costituzionale della materia, al punto che, a giudizio di alcuni autori, il potere

legislativo degli Stati sollecitò, in sede di ratifica della Costituzione, l'introduzione del

primo emendamento eminentemente per proteggere la religione dall'ingerenza della

federazione. 61 Inoltre, la metafora del muro divisorio tra Stato e Chiesa, utilizzata per

interpretare il primo emendamento, fu formulata dai gruppi religiosi per proteggere i

fedeli dalle “corruzioni mondane”, piuttosto che dai pubblici poteri per contrastare

l'ingerenza della religione nella vita pubblica.62

D'altra parte per molto tempo, si ritenne - con il sostegno della giurisprudenza

della Corte suprema - che i limiti posti ai pubblici poteri dal primo orientamento

vincolassero soltanto la Federazione, mentre gli Stati erano liberi di riconoscere o

intervenire a favore di determinate religioni; solo dopo la seconda metà del secolo

scorso la formula del primo emendamento ha potuto applicarsi anche agli Stati, sulla

base del criterio che nessuno di questi poteva emanare o dar vigore ad alcuna legge in

61 Cfr.,M.MC CONNEL, The Origins of Historical Understanding of the Free Exercise Clause, in Harvard Law Review,103,1990, 1473 ss, M.SANDEL, Religious Liberty- Freedom of Conscience or Freedom of Choise, in Utah Law Review, 3, 1989, 599 ss; AA.AV., La conception américaine de la läícité, Paris, 2005.Sull’interpretazione del primo emendamento si veda anche:P.BETH HARRIS, Interpretazioni della libertà religiosa negli Stati americani pluralisti, in Nomos, 2001,2,77 ss; D.FARBER, The first amendment, New York,2003.62 Vedi: L.TRIBE, American Constitucional Law, New York, 1988, 1158 ss

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grado di restringere i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti.

In questo modo, la disposizione contenuta nel Bill of Rights vincolava gli Stati

a riconoscere sia il libero esercizio della religione, sia l’eguaglianza dei cittadini sotto

il profilo della loro fede religiosa, ma non ad attuare una rigida separazione delle

sfere: 63 il che ha prodotto una condizione di asimmetria, nel senso che il parametro

della clausola free exercise assume una portata generale, mentre quello relativo alla

clausola establishment vincola solo la normativa federale.

Pur essendo impossibile ricondurre ad unità la giurisprudenza della Corte

suprema degli Stati Uniti - in quanto non solo rivela oscillazioni a seconda della sua

composizione nel tempo, ma viene condizionata anche dalle trasformazioni del

pluralismo religioso e dalla specificità delle situazioni sottoposte al suo giudizio - si

può tentare una sintesi affermando che il primo emendamento è stato prevalentemente

interpretato per proteggere i diversi sentimenti religiosi da ingerenze dei poteri

pubblici, per affermare la natura privata (quindi, autonoma) e intima della religione,

nonché l'eguale diritto di tutti gli individui alla libertà religiosa.

Interessanti sembrano, a questo proposito, due decisioni, dalle quali emerge

l’approccio seguito dalla Corte suprema per interpretare il primo emendamento. Nella

prima, il giudice ha ritenuto incostituzionale il provvedimento di una scuola statale che

consentiva la diffusione a mezzo di altoparlante di preghiere cristiane prima delle

partite scolastiche, evidenziando tre profili di illegittimità. Innanzitutto, si produceva

una mescolanza impropria dell’autorità pubblica con la religione - capace di generare

la convinzione che vi sia una approvazione da parte dello Stato nei confronti di una

determinata religione; in secondo luogo si ledeva la concezione della religione come

libertà di natura negativa, attraverso una coercizione degli individui ( partecipanti o

assistenti all’evento sportivo); in terzo luogo, favorendo le preghiere della confessione

religiosa più diffusa (nella fattispecie quella evangelica) si comprometteva la

condizione di eguaglianza delle altre religioni minoritarie.64

Nella seconda sentenza, invece, il giudice ha considerato non incostituzionale

una legge che distribuiva finanziamenti pubblici per l’acquisto di materiale didattico

anche alle scuole confessionali, con la considerazione che il criterio utilizzato per la

ripartizione dei fondi (in base al numero degli alunni iscritti nei diversi istituti)

63 Cfr., ad esempio: Verson vs Board of Education,330 US.1 (1947).64 Santa Fè v Doe,120 Sct.2266 (2000).

24

risultava "neutro" nei confronti del dato religioso: il contributo, in altri termini, non

discriminava sulla base della identità religiosa, né la sua finalizzazione – consistente,

nella fattispecie, nell'acquisto di computer – poteva menomare la libertà religiosa, non

rappresentando di per sé lo strumento didattico un mezzo di indottrinamento

religioso.65

“Se il separatismo nel nord-america è sinonimo di armonia e di concordia tra le

Chiese, e tra Chiese e Stato, in Europa, innanzitutto in Francia, separatismo è

sinonimo di modernità e di conflitto insieme, di conquista di libertà e di

anticlericalismo, di evoluzione e di fratture sociali. Ciò è del tutto naturale, perché se

negli Stati Uniti si deve costruire una nuova società, senza pagare debiti al passato, al

contrario in Europa il separatismo deve per prima cosa distruggere ciò che lega lo

Stato al vecchio sistema e non ci si può inventare un pluralismo religioso che non c’è”. 66 Questo chiaro giudizio consente di apprezzare la specificità storica del “prototipo”

francese di laicità dello Stato. In altri termini, il progetto di relazioni tra Stato e Chiese

delineato dai costituenti nord americani, fondato sulla ricerca di un accordo sociale,

non poteva realizzarsi nel contesto storico dell’Europa. 67

In particolare, nel caso, francese, l’idea di laicità non poteva che forgiarsi

all’interno del processo storico che, scaturito dalla rivoluzione francese, diede vita allo

Stato costituzionale di diritto:basato sull’affermazione di limiti al potere politico in

funzione di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, su una concezione delle

libertà come non ingerenza da parte dei pubblici poteri e delle comunità intermedie.

Né l’interpretazione della libertà religiosa riconosciuta nell’art.10 della Dichiarazione

dei diritti dell’uomo e del cittadino – nessuno deve essere perseguitato per le sue

opinioni, anche religiose, purchè la loro manifestazione non turbi l’ordine pubblico

stabilito dalle leggi –poteva essere disgiunta da quella di altri principi ivi contenuti: in

particolare, dall’autonomia del singolo dal corpo sociale e dallo Stato che si rinviene

tanto nell'art. 3 (Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione.

Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un'autorità che da essa non emani

espressamente), quanto nell'art. 4 ( La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non

65 Mitchell v Helms 120 Sct. 2530 (2000).66 Così: C.CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico, Torino, 2010, 79.67 Per riferimenti dottrinali si veda: AA.VV., La laïcité, in Pouvoirs, n.75, 1995, 7 ss; C.CAVANA, Interpretazioni della laicità: esperienza francese ed esperienza italiana a confronto, Roma, 1998; T. ARECES PINOL, El principio de laicidad en las jurisprudencias española y francesa, Lleida, 2003;

25

nuoce ad altri: così l'esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo

quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi

diritti ).

Le due “anime” che secondo il Salvatorelli sono alla base della rivoluzione

francese – quella dell’individualismo liberale e l’altra democratica della sovranità

nazionale –hanno condizionato la posizione dei costituenti francesi nei confronti del

fenomeno religioso: e da esse hanno trovato alimento la laicizzazione completa dello

Stato e della vita pubblica e la separazione integrale della Chiesa e dello Stato.68

In questo contesto, la libertà e l’eguaglianza degli individui non può, quindi,

che fondarsi sulla separazione tra ambito pubblico e sfera individuale e, con

riferimento alla religione, la piena libertà dei cittadini presuppone la neutralità dello

Stato nei confronti di qualsiasi fede. Secondo siffatta prospettiva, lo Stato è laico, in

quanto non può esercitare pressioni sul corretto svolgimento della personalità

individuale che non siano legittimate dal principio democratico; così come deve

prevenire il pericolo che le decisioni pubbliche siano condizionate da posizioni

fideistiche e ideologiche invece che dal libero e spontaneo confronto delle idee.69

Nella tradizione costituzionale francese il principio di laicità è strumentale sia a

garantire la libertà di coscienza di ogni individuo,70 sia a riaffermare un’idea di

democrazia basata sull’eguaglianza di tutti i cittadini e su diritti strettamente

individuali: emblematico appare, in proposito, l’orientamento del Consiglio

costituzionale francese il quale, nel motivare la compatibilità della disciplina della

libertà religiosa regolata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea con il

principio costituzionale di laicità, ha precisato che deve essere fatto comunque divieto

di riconoscere dei diritti collettivi a qualsiasi gruppo che si identifichi su base

culturale, linguistica e religiosa.71

Diversi ordinamenti preferiscono, invece, perseguire una visione della laicità

intermedia rispetto ai due prototipi che abbiamo richiamato: secondo la quale,

utilizzando le parole di un autorevole autore, si codifica la separazione dello Stato

dalle Chiese, ma non dalla religione, di cui è riconosciuto il valore formativo della

68 Cfr., L.SALVATORELLI, Chiesa e Stato dalla rivoluzione francese ad oggi,Firenze, 1955, 4.69 Così: P.COSTANZO, La “nuova” Costituzione della Francia, Torino, 2009,107.70 Si veda, ad esempio: R.REMOND, La laïcité et ses contraires, in Pouvoirs,n.75,1995,7.71 Così, in sentenza n.2004-505 DC del 19 novembre 2004.

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personalità dell'individuo. 72 Si può parlare, in altri termini, di "laicità aperta" nel

senso che l'ordinamento riconosce la libertà religiosa e l’eguaglianza di tutte le

confessioni religiose, non fa propri principi appartenenti alla sfera religiosa,

rendendoli obbligatori e vincolanti, ma contemporaneamente garantisce un’apertura

dello spazio pubblico ai valori religiosi.

Si è alla presenza di un atteggiamento di favor nei confronti del fenomeno

religioso, che affida allo Stato il compito non solo di evitare discriminazioni e di

tutelare il pluralismo, ma anche di allargare le opportunità, senza, tuttavia, optare o

favorire una determinata visione religiosa.

Secondo questa prospettiva la neutralità dello Stato - intesa come “mancanza di

un orientamento ideologico che sia sentito come doverosità di trasmettere un

messaggio etico”- 73 qualifica lo Stato democratico e pluralista, nel senso che, se da un

lato, una preferenza dei pubblici poteri a favore di alcune religioni comprimerebbe la

libertà individuale,74 dall’altro lato, la neutralità non si identifica con l’ indifferenza,

ma con il rispetto per l'eguale dignità di tutte le credenze religiose, sia in senso

positivo che negativo (non credere).

Un contributo determinante alla precisazione del principio di laicità è offerto -

oltre che dalla dottrina - dalla giurisprudenza, la quale ha contribuito a metterne a

fuoco i lineamenti, precisando sia i comportamenti che risultano incompatibili con tale

principio, sia le azioni che appaiono opportune o necessarie per conferirgli sostanza.

Dall’attività della giurisprudenza emerge un poliedro dalle molte facce.

Innanzitutto, la laicità prevede che la coscienza religiosa degli individui sia

liberamente acquisita, il che esclude ogni ingerenza esterna nel procedimento di

formazione: sia che provenga dallo Stato o sia conseguenza di forme di proselitismo

aggressivo o altre tecniche di condizionamento.

Se, per un verso, è indubbio che la religione concorra alla formazione della

coscienza, per un altro verso, occorre evitare che l'attività religiosa menomi il processo

di libera formazione della coscienza. A questo proposito, ad esempio, è stato ritenuto

lesivo della libertà religiosa l’obbligo di pagare un’imposta locale finalizzata al

sostentamento della Chiesa ufficiale svedese per una persona non appartenente a tale 72 Cfr., F.RUFFINI, La libertà religiosa come diritto pubblico soggettivo,Bologna, 1992,336.73 Così: R.BOTTA, Sentimento religioso e costituzione repubblicana, Torino, 1990,145.74 Vedi: J.M. PORRAS RAMIREZ, Libertad religiosa, laicidad, cooperación con las confesiones religiosas en el estado democrático de derecho, cit.,108.

27

culto, con la motivazione che nessun individuo può essere obbligato a collaborare

direttamente con le attività di una confessione religiosa cui non appartiene.75 Si

collega, inoltre, alla medesima esigenza il divieto - in alcuni ordinamenti

espressamente codificato in Costituzione - di partiti o di organizzazioni religiose con

finalità politiche che nel loro programma non riconoscono l'autonomia del potere

politico e la sua laicità, ovvero che perseguano concretamente obiettivi non

compatibili con i principi democratici. 76

Inoltre, debbono ritenersi illegittime norme che pongano ad una generalità

obblighi specifici connessi ad una determinata religione: a titolo di esempio, si può

evidenziare come la Corte costituzionale italiana, da un lato, ha ritenuto che

l'insegnamento scolastico facoltativo della religione al di fuori del piano di studi non

contrasta con il carattere laico dell'ordinamento, in quanto la partecipazione è

conseguenza di una libera scelta, non di un obbligo;77 dall'altro lato, ha individuato

nella formula del giuramento nei processi una violazione della libertà religiosa, perché

in questo caso ci si trovava dinanzi ad una prescrizione obbligante da parte dei

pubblici poteri, capace di interferire con le determinazioni individuali nell’ambito

spirituale: “la religione e gli obblighi morali non possono essere imposti come mezzo

al fine dello Stato”.78

Ancora, la laicità presuppone un atteggiamento non di indifferenza, ma di

equidistanza e imparzialità nei confronti di tutte le fedi e le confessioni religiose; in

particolare, la tutela del sentimento religioso deve prescindere da dati statistici o da

elementi quantitativi - come la diffusione numerica nella società di una determinata

religione - e garantire tanto le posizioni di minoranza, quanto quelle maggioritarie.79

75 Vedi: Commissione (11581/85) Cedu. Nella medesima prospettiva si è mossa la Corte costituzionale italiana ritenendo incostituzionale l’obbligo per tutti gli appartenenti alla comunità israelitica di versare un contributo annuo all’Unione delle Comunità israelitiche ( sentenza 239/1984).76 Si pensi, ad esempio, all’art.8 della Costituzione della Tunisia del 2008 che vietava i partiti politici che basano i loro principi, obiettivi, programmi su di una religione, una razza, una lingua, un sesso o un territorio”, ovvero agli artt. 246 68 della Costituzione turca. Il primo, prescrive che nessuno può sfruttare o abusare di un credo religioso per obiettivi di influenza personale o politica; mentre il secondo vieta i partiti i cui Statuti o programmi contrastino con il carattere secolare dello Stato.A sua volta, l’art.51 della Costituzione del Portogallo nel mentre tutela la libertà dei partiti politici nel deginire i propri programmi e la propria ideologia, esclude che tali organizzazioni possano usare nomi o simboli che direttamente si richiamano a una religione o Chiesa.77 sentenza 203/197978 sentenza 334/1996 79 La Corte costituzionale italiana, nella sentenza n.329 del 1997 relativa al reato di vilipendio della religione cattolica, dopo aver affermato che non è ammissibile una diseguaglianza di trattamento tra le varie religioni, precisa l’esigenza di proteggere anche con norme penali il sentimento religioso si deve

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Tale concezione deve, talvolta, convivere con disposizioni costituzionali di natura

derogatoria: è il caso, ad esempio, della Costituzione spagnola, il cui art.16.3 richiede

che i poteri pubblici tengano conto delle credenze religiose della società spagnola,

oppure di altri ordinamenti che – come visto in un precedente paragrafo – codificano

rapporti di coordinazione con specifiche confessioni religiose.

Da ultimo, la laicità connota la qualità del contesto istituzionale e sociale

all'interno del quale si manifesta il pluralismo religioso: come è stato opportunamente

affermato, è compito dello Stato assicurare una condizione di convivenza all’interno

della quale si possano liberamente manifestare le convinzioni degli individui, cosicché

tutti potranno riconoscervi un ambito comune. I poteri pubblici non possono

identificarsi con una religione o intromettersi in questioni interne alle confessioni

religiose, tuttavia, si deve loro riconoscere un'attitudine positiva, finalizzata ad

assicurare il più ampio pluralismo: il che richiede una valutazione attenta delle

peculiarità dei gruppi religiosi minoritari al fine di garantire che non siano minacciati

nella loro esistenza e il riconoscimento - come è stato affermato - di "medidas

singulares de diferenciación positivas" (diritti promozionali, diritti derogatori).80

5. Tecniche di codificazione della libertà di religione

La libertà religiosa è riconosciuta e tutelata costituzionalmente da tutti gli

ordinamenti che fanno parte del costituzionalismo liberale e democratico; tuttavia,

l'esperienza comparata rivela differenti tecniche di codificazione.

Innanzitutto, si può distinguere tra le Costituzioni che comprendono i

manifestare indipendentemente dal tipo di fede. In questo caso, collegandosi al principio di eguaglianza, la Corte costituzionale ritiene che la laicità comporta una equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose; così come precisa – nella medesima sentenza - che la tutela del sentimento religioso deve prescindere da dati statistici (cioè la diffusione di una determinata religione), altrimenti non si avrebbe libertà se le posizioni minoritarie non venissero garantite al pari di quelle maggioritarie.Egualmente, nella sentenza n.508 del 2000, il giudice costituzionale ha affermato che la laicità comporta equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose e qualifica in senso pluralistico la forma dello Stato italiano, entro il quale debbono convivere, in eguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse.80 Così: M. PORRAS RAMIREZ, Libertad religiosa, laicidad, cooperación con las confesiones religiosas en el estado democrático de derecho, cit.,138 ss. Sull’ammissibilità di deroghe funzionali al tutela delle differenze religiose si veda: AA.VV, The legal status of religious minorities in the countries of the European Union, Milano, 1994; E.CECCHERINI, Multiculturalismo,in Digesto delle Discipline Pubblicistiche. Aggiornamento, Torino, 2008,1 s

29

molteplici profili del fenomeno religioso all'interno di un generale riconoscimento

della libertà di coscienza e di religione e quelle che distinguono, sotto il profilo della

disciplina, la natura individuale e istituzionale della religione.

Esempi del primo tipo si rinvengono, ad esempio, nell’art.2 della Carta

canadese dei diritti e delle libertà ovvero nell'art.9 della Convenzione europea per la

salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali; mentre il prototipo di

codificazione che distingue le "due facce" del fenomeno religioso è rappresentato dal

primo emendamento della Costituzione degli Stati uniti d'America.

Come è noto tale emendamento si compone di due distinte clausole - la free

exercise clause e la establishment clause – che la dottrina e la giurisprudenza hanno

sottoposto a criteri interpretativi differenti: estensivi nel caso della prima, restrittivi

con riferimento alla seconda. 81

La dimensione istituzionale della religione e la conseguente problematica dei

rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose è presente anche in diversi ordinamenti

costituzionali. A titolo di esempio, si può ricordare, per un verso, la Costituzione

spagnola, il cui art.16 riconosce, oltre alla libertà individuale di religione e al divieto di

discriminazione su base religiosa, la necessità di una “relación di cooperación”con i

diversi culti. Per un altro verso, la Costituzione italiana la quale - come meglio

preciseremo in seguito - possiede una struttura assai articolata che riserva ai rapporti

con le confessioni religiose due distinti articoli, relativi rispettivamente alla posizione

istituzionale della Chiesa cattolica e ai rapporti con le "altre" confessioni religiose.

Vanno, poi, considerati quei sistemi costituzionali che, attraverso la

formalizzazione di specifiche clausole, aprono il sistema costituzionale nazionale al

diritto internazionale, favorendo una progressiva osmosi tra ordinamenti nazionali e

sovranazionali Si tratta di un fenomeno che esprime la tensione universalistica che

anima la protezione della persona umana e certifica, in un mondo sempre più integrato,

la crisi di autosufficienza degli ordinamenti nazionali, superando i confini della

domestic jurisdiction.

Siffatta tendenza non è solo europea – come bene evidenzia la realtà

dell’America latina -, ma registra in tale ambito un mirabile livello di sviluppo grazie

81 Si veda in proposito: R.PALOMINO LOZANO, Religión y derecho comparado,cit., 193 ss.; M.A.GLENDON, R.F.YANES, Structural Free Exercise, in Michigan Law Review,vol.90 (1991), 479 ss.

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alla presenza di due Codificazioni di rango costituzionale – come la Convenzione

europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la Carta

dei diritti fondamentali dell’Unione europea – e alla rilevanza della giurisprudenza

della Corte europea e della Corte di giustizia.

In questi contesti, la tradizionale contrapposizione tra una concezione

dualistica del rapporto tra ordinamenti nazionali e sovranazionale ed una monistica –

che li vede come parti di un unico sistema costruito gerarchicamente sul primato della

fonte internazionale- sembra lasciare il passo ad una prospettiva multilivello che dà

vita ad ordinamenti tra di loro coordinati e integrati: in cui le relazioni da tempo

operanti nel sistema comunitario e che dovrebbero informare i rapporti

interistituzionali negli ordinamenti federali e di regionalismo evoluto, 82 tendono a

regolare anche i sistemi sovranazionali di protezione dei diritti. 83

Tale tendenza innesca dei fenomeni quanto mai interessanti e innovativi: ad

esempio, amplia le posizioni soggettive tutelate nei diversi ordinamenti, poiché la

normativa internazionale concorre alla configurazione legale dei diritti riconosciuti

dalle Costituzioni nazionali. Così come favorisce la creazione di un diritto “comune”

capace di costituire la base unitaria per la tutela dei diritti fondamentali in un

determinato ambito geografico, dal momento che i diritti “nazionali” debbono essere

interpretati anche alla luce delle omogenee disposizioni presenti nelle codificazioni

sovranazionali ed in conformità con l’interpretazione fornita dalle giurisdizioni

internazionali. Inoltre, si assiste a una certa omogeneizzazione dei livelli di tutela,

82 Tali caratteristiche sono sintetizzabili nell’armonizzazione delle normative, nella sussidiarietà in ordine alla competenza ad intervenire, nell’attribuzione al livello superiore di compiti di unificazione al fine di assicurare l’unitarietà del sistema, nella collaborazione nei processi decisionali. Come è noto, la nozione di sistema costituzionale multilivello è stato utilizzata a proposito delle relazioni tra lo Stato e le entità decentrate (sia federali, che regionali). In merito alle sue caratteristiche si rinvia a: G.ROLLA, L’autonomia delle comunità territoriali. Profili costituzionali, Milano, 2008, 28 ss.83 Sulla problematica di una protezione multilivello dei diritti fondamentali si veda, tra i molti: P.BILANCIA, E.DE MARCO (cur.), La tutela multilivello dei diritti, Milano, 2004; L.AZZENA, L’integrazione attraverso i diritti, Torino, 1998;A.RUGGERI, Dimensione europea della tutela dei diritti fondamentali e tecniche interpretative, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, Milano, 2010, 453 ss; E.DE MARCO, La tutela dei diritti nel quadro del costituzionalismo multilivello, in E. DE MARCO, Percorsi del “nuovo costituzionalismo”,Milano, 2008, 83 ss; A.D’ATENA,P.GROSSI, Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello: tra Europa e Stati nazionali,Milano, 2004;L.MOCCIA (cur.), Diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione europea, Milano, 2010; S.GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione europea, Milano, 2009; D.BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano ed europeo, Napoli, 2009; V.SCIARABBA, Tra fonti e Corti.Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e comparati degli sviluppi sovranazionali, Padova, 2008; G.DEMURO, Costituzionalismo europeo e tutela multilivello dei diritti:lezioni,Torino, 2009.

31

favorita - sotto il profilo sostanziale- dalla circolazione di principi giurisprudenziali e -

dal punto di vista delle tecniche ermeneutiche- dalla ricerca di un’interpretazione

conforme.84

Tale fenomeno coinvolge in misura significativa anche la libertà religiosa, dal

momento che si sta progressivamente rafforzando la formazione di un "diritto

internazionale della libertà religiosa".85 In ambito internazionale una posizione

rilevante è occupata dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu, la quale

- nonostante la difficoltà di trovare formule in grado di rappresentare una mediazione

accettabile tra sistemi politici (democratici e autoritari), giuridici (di common e civil

law), di orientamento religioso assai differenti - ha affermato che il diritto di religione

include la libertà di cambiare fede, di manifestare la propria religione isolatamente o in

comune, in pubblico e privato, di manifestare il proprio credo nell’insegnamento, nelle

pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti. Mentre, a sua volta, l’art.18 del Patto

internazionale sui diritti civili e politici nel 1966 considera ammissibili solo le

limitazioni previste dalla legge e necessarie per la tutela della sicurezza pubblica,

dell’ordine e della sanità pubblica, della morale pubblica e degli altri diritti e libertà

fondamentali.86

Tali codificazioni hanno influenzato le principali Carte regionali dei diritti –

europea, americana, africana – che, pur con significative differenziazioni e tecniche di

tutela, tendono a considerare parte integrante della libertà di religione la libertà di

aderire senza costrizioni ad una determinata religione; il diritto di culto, di riunione e

di assistenza spirituale, di insegnamento della fede e di proselitismo (purchè non

aggressivo); il divieto di discriminazione per motivi religiosi; il riconoscimento del

pluralismo religioso e dell’autonomia interna delle confessioni religiose.87

84 In tema di intepretazione conforme si veda: E.MALFATTI,R.ROMBOLI, E.ROSSI (cur.), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Torino, 2002; M.D’AMICO, B.RANDAZZO (cur.), Interpretazione conforme e tecniche interpretative, Torino,2009; G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006; P.FEMIA (cur.), Intepretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale,Napoli, 2006.85 Così: A.BARRERO ORTEGA, El derecho internacional de la libertad religiosa (atención singular al marco normativo europeo), in Revista europea de derechos fundamentales, 7, 2006, 147 ss.86 In ambito internazionale va considerata anche la Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o la convinzione dell’ ONU del 1981.87 Con riferimento all’Europa si veda: J.MARTINEZ-TORRON, La doctrina jurisprudencial de los organos de estrasburgo sobre libertad religiosa, in Estudios de derecho público, Madrid, 1997, II, 1545; J.PORRAS RAMIREZ, La Garantía de la libertad de pensamento, conciencia y religión en el Tratado constitucional europeo, in Revista de derecho constitucional europeo, 2004,4, 265 ss; J.F.RENUCCI, Article 9 of the european convention on human rights: freedom of thought, conscience

32

A proposito di quest’ultimo profilo della libertà religiosa non si può, tuttavia,

non rilevare – con riferimento all’ambito europeo – che a causa del difficile rapporto

con l’Islam si hanno esempi tutt’altro che trascurabili che incrinano il principio

dell’autonomia delle confessioni. Basti considerare, a titolo di esempio, l’esperienza

del Belgio ove, prima, un Arrètè Royal del 1988 ha dato vita ad un organo

rappresentativo delle comunità religiose islamiche (atto proprio degli ordinamenti

confessionali) e, quindi, quando questo è andato in crisi ha provveduto a nominare

direttamente una nuova commissione con un atto ritenuto incostituzionale dalla Corte

costituzionale perché contrario al divieto per lo Stato di regolare le procedure di

selezione delle autorità religiose.

Un tentativo di intervento nella vita interna delle comunità islamiche è stato

operato anche dallo Stato bulgaro, frustrato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in

quanto ritenuto contrario all’art.9 della Convenzione. 88 Mentre in Austria, sulla base

della leggi di riconoscimento dell’Islam del 1912, l’ordinamento statale qualifica tale

confessione come “corporazione privilegiata di diritto pubblico” e, pertanto, se da un

lato, ne riconosce l’autonomia interna, dall’altro lato, fissa alcuni principi

fondamentali inerenti alla vita religiosa. 89

Un’altra differenziazione inerente alle tecniche della tutela può essere

introdotta tra gli ordinamenti che individuano in positivo l’oggetto della tutela e quelli

che lo definiscono in negativo. In quest’ultimo caso il legislatore (costituzionale o

ordinario) precisa i profili esclusi dalla tutela – ad esempio, l’art.3.2 della legge

organica spagnola sulla libertà religiosa del 1976 esclude dalla tutela le attività e

finalità relazionate con fenomeni psichici o parapsicologici, la diffusione di valori

umanisti o spiritualisti o altri fini estranei a quelli religiosi.

Sempre in merito alle tecniche di codificazione si può evidenziare sia la

presenza di disposizioni che escludono l’ammissibilità di deroghe per motivi religiosi

agli obblighi posti dalla legge,90 sia di altre che, invece, attribuiscono la possibilità di

and religion, Strasburg, 2005; AA.VV., La liberté religieuse et la Convention européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 2004.

88 Supreme Holy Council of the Muslim Community v. Bulgaria,1997.89 Sulla problematica in generale si veda: A.PIN, Laicità e Islam nell’ordinamento italiano, Padova, 2010; W.SHADID,P.S.KONINGSVELD (ed.), Religious freedon and the neutrality of the State: the position of Islam in the European Union,Leuven, 2002.90 In proposito, l’art.1 della Legge messicana in materia di associazioni religiose e di culto pubblico del

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derogare a regole generali, se necessario per affermare una specifica identità

religiosa.91

Tuttavia, a nostro avviso, la distinzione più significativa riguarda la scelta se

specificare o meno i profili della personalità e dell’agire umano che vengono tutelati

attraverso il riconoscimento della libertà religiosa. In proposito è sufficiente porre a

raffronto la scarna, ma efficace schematicità del primo emendamento della

Costituzione federale degli Stati Uniti d’America e dell’art.2 della Carta canadese dei

diritti e delle libertà (ciascuno è titolare della libertà di coscienza e di religione) con la

dettagliata esemplificazione presente, ad esempio, negli artt.10 e 14 della Carta dei

diritti fondamentali dell’Unione europea.

Va, però, considerato che la tendenza alla specificazione non determina un

ampliamento sostanziale della sfera dei diritti tutelati, quanto – piuttosto - una

specifica tecnica di codificazione finalizzata a storicizzare i diritti della persona

riconosciuti in un determinato ordinamento ed in un preciso periodo storico. Non

sussiste, in altri termini, una diretta, necessaria connessione tra ampiezza dei cataloghi

ed effettività nel godimento dei diritti da parte dei singoli: un' analitica

positivizzazione non è di per sé indice di maggiore tutela dei diritti della persona.

Infatti, va considerato che affinché il riconoscimento si trasformi in tutela

occorre che i diritti siano non solo codificati, ma anche accettati e convalidati dalla

cultura giuridica e politica; in altri termini, l’idea di tutela si deve formare innanzitutto

all’interno della comunità, altrimenti si è in presenza di documenti che assumono la

forma delle Costituzioni proprie della tradizione liberale e democratica, ma non ne

possiedono l’ “anima”.

Le Costituzioni che si limitano a disciplinare i diritti considerati “essenziali ”

della persona, preferendo affidare al legislatore ordinario ed alla giurisprudenza il

compito di specificare le manifestazioni della personalità umana che il contesto sociale

considera meritevoli di riconoscimento e di tutela, sono in generale proprie di quegli

ordinamenti che hanno registrato un'evoluzione progressiva, senza subire cesure

1992,dopo aver affermato che si fonda sul principio storico della separazione tra lo Stato e le chiese, come pure sulla libertà delle convinzioni religiose, precisa che le convinzioni religiose non esimono in nessun caso dall’adempimento delle leggi del paese. 91 L’art.31 del Bill of Rights della Costituzione del Sud Africa ricnosce a tutti gli individui che appartengono a comunità culturali, religiose o linguistiche il diritto di praticare la propria religione, sia pre in accordo con le disposizioni del Bill of Rights.

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violente ed autoritarie: in cui la continuità costituzionale ha permesso a determinati

valori e principi riconducibili alla persona umana di penetrare in profondità nel tessuto

sociale, divenendo parte integrante della cultura di quel paese.

Per contro, la scelta di dettagliare il contenuto dei diritti costituzionali tutelati –

presente, soprattutto, nelle Costituzioni che sono state approvate in conseguenza di una

rottura politica e istituzionale ovvero sono state esposte a contraccolpi autoritari –

tende a soddisfare diverse esigenze. In primo luogo, si propone di storicizzare i diritti

della persona riconosciuti in un preciso periodo storico e di segnare una cesura nei

confronti del passato. In secondo luogo, la specificazione intende offrire parametri più

dettagliati per l’attività interpretativa dei giudici e per quella specificativa del

legislatore: ciò consente, per un verso, di aggirare l’inerzia delle assemblee legislative

e, per un altro verso, di limitare l’attività pretoria dei giudici.

In terzo luogo, la specificazione si propone di rendere trasparenti i diritti

esercitabili: come ha chiaramente precisato il “Comitato Simitis” – composto di otto

costituzionalisti e istituito dalla Commissione europea per porre le basi per la

codificazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione – i diritti dovrebbero

essere enumerati ed enunciati in modo che qualsiasi cittadino europeo sia in grado di

conoscerli e di esercitarli, in altri termini devono essere chiaramente “visibili”.92

Tuttavia, tanto i sistemi costituzionali che hanno dettagliato i diritti

conseguenti al riconoscimento della libertà religiosa, quanto quelli che hanno affidato

tale compito soprattutto alla giurisprudenza non presentano significative differenze in

merito alla loro individuazione: al punto che non pare forzato affermare che si stia

creando – almeno tra gli ordinamenti che si ispirano ai principi dello Stato

costituzionale di diritto - un “diritto comune” della libertà di religione.

A titolo esemplificativo, si segnala che ne fanno parte i diritti di: esercitare

pubblicamente il proprio culto, non professare alcuna religione, manifestare il proprio

credo sia in forma religiosa (attraverso riti) che civile ( ad esempio, partecipando ad

atti pubblici e mezzi di comunicazione), essere tutelati da atteggiamenti ostili da parte

della società che siano lesivi del principio di tolleranza, non rivelare le proprie

convinzioni religiose, aprire templi ed edifici religiosi, compiere attività di

proselitismo (purchè non si manifesti in forma di pressione tale da conculcare la libera

92 Si legga in: Commissione europea, Relazione del gruppo di esperti in materia di diritti fondamentali:per l’affermazione dei diritti fondamentali nell’U.E., Bruxelles,1999.

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determinazione degli individui), far valere le proprie convinzioni religiose anche nei

rapporti intersoggettivi, ivi compresi quelli interni alla famiglia ( si consideri, ad

esempio, il diritto dei figli di scegliere autonomamente la propria fede religiosa e, nel

contempo, il diritto della famiglia di scegliere l'educazione religiosa dei minori in

ambito scolastico) , non essere costretti a compiere atti a contenuto religioso o propri

di una fede diversa da quella professata (come giuramenti, rituali alimentari, giorno di

riposo lavorativo).

Infine, a conclusione di queste considerazioni relative alle tecniche di

codificazione della libertà religiosa, sembra utile evidenziare come il tema è stato

affrontato dai costituenti italiani, con particolare riferimento alla formulazione degli

artt.7, 8, 19 della Costituzione.93

In primo luogo, è forte ”il peso del retaggio storico, sia pure inquadrato in un

nuovo contesto pluralistico: il cristianesimo - come preciserà in seguito il giudice

costituzionale nella sentenza 203 del 1989 - è considerato parte del patrimonio storico

del popolo italiano. Il che giustifica la scelta – frutto di una mediazione difficile tra

diverse posizioni culturali – di individuare nel Concordato e nel principio pattizio il

metodo per regolare i rapporti con la Chiesa cattolica (i rapporti sono regolati dai Patti

lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono

procedimento di revisione costituzionale, art.7 Cost.). 94

In secondo luogo, i costituenti, nella relazione con gli altri ordinamenti

religiosi, si sono ispirati al principio della coordinazione. Viene, quindi,

costituzionalizzata la libertà delle confessioni, con la precisazione che la Costituzione

mentre non introduce differenze in ordine all'esercizio della libertà religiosa, ammette

una diversità di trattamento tra di esse: sia tra quella cattolica e le altre, sia tra le

confessioni con le quali lo Stato stipula l’intesa e le rimanenti. Si può affermare che

93 Si veda, per tutti: A.LANG, Alle origini del pluralismo confessionale, cit., 1990.94 La sovranità della Santa Sede fu riconosciuta, mettendo fine alla “questione romana”, con il Trattato fra la Santa Sede e l'Italia stipulato il 7 giugno 1929 ed eseguito con la legge n. 810 del 1929. Attualmente, i rapporti tra i due ordinamenti sono regolati dalla legge n. 121 del 1985.Appare, al momento, del tutto virtuale l'ipotesi residuale prevista dall'art. 7, 2 c. Cost. secondo la quale la modifica dei Patti potrebbe avvenire anche unilateralmente attraverso una legge che segua le medesime procedure previste dall'art. 138 Cost. per l'approvazione delle leggi costituzionali. Alcuni autori avevano interpretato questa disposizione costituzionale nel senso di ritenere che i contenuti del Concordato fossero stati costituzionalizzati. In realtà, ciò che i nostri costituenti vollero costituzionalizzare fu il principio pattizio — secondo il quale i Patti lateranensi possono essere modificati con il consenso delle parti —, non già le singole disposizioni in essi contenuti.

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l'eguale libertà delle religioni non preclude un diseguale trattamento tra gli

ordinamenti religiosi.95

Infine, si ha una chiara affermazione della libertà religiosa, modulata nei suoi

diversi stadi: divieto di discriminazione, libertà di atteggiamento nei confronti del

fenomeno religioso — riguardante quindi sia il credente che il non credente —, libertà

nel determinarsi secondo i dettami della propria coscienza. 96

6. Tecniche giurisprudenziali di ponderazione tra la libertà religiosa e altri diritti e principi costituzionali

Nei moderni sistemi costituzionali è assai difficile che la tutela di una

posizione soggettiva si realizzi utilizzando una sola disposizione costituzionale ovvero

facendo riferimento a un unico diritto. In genere, per individuare la norma applicabile

si rende necessaria una ponderazione tra differenti principi o diritti: attività non facile,

dal momento che è resa complessa sia dalla pluralità dei principi costituzionali in

gioco, sia dal fatto che tra di essi non sempre (anzi, quasi mai) pare possibile

introdurre una gerarchia, la prevalenza di uno sugli altri.

Si rende, quindi, necessario non tanto far prevalere un diritto (o principio) sugli

altri, quanto individuare regole e criteri che possano favorire un ragionevole

bilanciamento da parte del legislatore e dei giudici.

La circostanza che la soluzione delle questioni dipenda, molte volte, dalla

situazione di fatto, dalla sua concretezza, dovrebbe valorizzare il ruolo della

giurisdizione, la sua capacità di decidere in ordine a casi specifici, realizzando un ad

hoc balancing. Tuttavia, il lavoro interpretativo del giudice – specie in ordinamenti

95 Le “altre confessioni” che i costituenti avevano allora presenti erano i protestanti e gli ebrei. Ma la formulazione dell’art.8 Cost. ha subito una inaspettata espansione in conseguenza della proliferazione delle fedi religiose e del multiculturalismo. Come bene precisa A.LANG, Alle origini del pluralismo confessionale,cit., 367 si potrebbe sostenere che dopo il “confessionalismo” della fase anteriore alla Costituzione, i costituenti ipotizzarono un “pluralismo confessionale moderato”, mentre oggi ci si incammina nella direzione di “un pluralismo confessionale estremo” .

Nel corso di questi ultimi anni il Parlamento ha cercato di intensificare il processo di attuazione dell'art. 8 Cost., raggiungendo intese con alcune delle principali confessioni religiose acattoliche ed approvando le conseguenti leggi. Attualmente risultano regolati dalla legge i rapporti con le Chiese della Tavola valdese (legge n. 449 del 1984 integrata dalla legge n. 409 del 1993), con l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventizie del 7 giorno (legge n. 637 del 1996), con le Assemblee di Dio in Italia (legge n. 517 del 1988), con l'Unione delle comunità ebraiche italiane (legge n. 638 del 1996), con l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia (legge n. 116 del 1995), con la Chiesa evangelica luterana in Italia (legge n. 520 del 1995).96 Per riferimenti dottrinali relativi all’art.19 Cost. italiana si rinvia a: F.FINOCCHIARO, Art.19-20.Rapporti civili,in Commentario della Costituzione,Bologna, 1977, 238 ss.. Vedi anche: D.LOPRIENO, Libertà religiosa, Milano, 2009.

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nei quali non opera il principio dello stare decisis e non trova un riconoscimento

formale il valore del precedente – potrebbe esporre il sistema ad eccessive oscillazioni,

dilatare oltre misura la possibilità di soluzioni differenziate tra fattispecie omogenee.

Per sopperire a tali inconvenienti sembrerebbe, quindi, opportuno orientare

l’interpretazione del giudice all’interno di un sistema di parametri, di criteri già

individuati direttamente dal legislatore, attraverso la predisposizione di puntuali

disposizioni normative in grado di realizzare un definitional balancing ovvero di

statuire i casi di esenzione dall’applicazione di una regola generale.97

Tuttavia, l’intervento legislativo - per non violare (con riferimento all’oggetto

del presente lavoro) i principi di laicità, di non discriminazione, di pluralismo e di

libertà - dovrebbe risultare content neutral, in un certo senso “neutro” rispetto al

contenuto del diritto: cioè non dovrebbe far propria una determinata soluzione ispirata

a una precisa premessa ideale, conformemente all’opinione di settori della dottrina

favorevole ad una regolazione di temi “complessi” che si concentri più sui profili

procedurali che quelli di contenuto e dia rilevanza all’autonomia dei singoli e dei

gruppi. 98 Qualora il legislatore non sia in grado di soddisfare siffatti requisiti della

normazione, sarebbe allora preferibile una soluzione “astensionista”, la quale opti per

non regolare la materia nel timore di legittimare determinati valori a scapito di altri:a

nostro avviso, infatti, il vuoto legislativo sembra preferibile alla codificazione di

norme rigidamente orientate sotto il profilo dei valori di riferimento.99

Tuttavia, ferma l’opportunità di ricorrere a forme di definitional balancing alle

condizioni sopra specificate, rimane fondamentale ( e non eliminabile) l’opera di

bilanciamento dei giudici: cui è riservato il compito di far venire meno le eventuali

97 Alcuni esempi di deroghe previste dalla legge e motivate dal punto di vista religioso riguardano: il matrimonio tra zio e nipote nella comunità ebraica (Marriage State Act del Rhode Island), esenzione dei sikh dal casco protettivo nella guida dei motocicli( Road Traffic Act del 1988). Altri esempi di natura giurisprudenziale riguardano, ad esempio, la poligamia per i mormoni negli Stati Uniti d’America (Reynolds vs USA(1878) ovvero il riconoscimento delle determinazioni de Tribunali rabbini in Canada (Arbitration Act, 1991).Tuttavia non mancano casi nei quali il motivo religioso non è automaticamente idoneo a giustificare una deroga. Si veda da ultimo, la sentenza Alberta v. Hutterian Brethren of Wilson Colony della Corte suprema del Canada - (2009) 2 S.C.R.567. Per considerazioni sulle peculiarità di questa sentenza si rinvia a: E.CECCHERINI, La giurisprudenza della Corte suprema del Canada 2008- 2009, in Giurisprudenza costituzionale,2010, 4247 ss.98 Si veda, anche per ulteriori riferimenti dottrinali: P.VERONESI, Il corpo e la Costituzione, Milano, 2007. Vedi anche: D.CARUSI, S.CASTIGNONE, In vita, in vitro, in potenza: lo sguardo del diritto ull’embrione, Torino, 2011.99 Cfr.,C.CASONATO, C.PICIOCCHI, P.VERONESI (cur.), Forum biodiritto 2008.Percorsi a confronto, Padova, 2009.

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lacune dell’ordinamento, di temperare gli effetti distorsivi che possono provenire da

una rigida applicazione di norme generali e astratte, di favorire - attraverso

l’ammissione di deroghe alla regola generale- soluzioni concrete più eque.

A quest’ultimo proposito, nella realtà di oggi possono essere numerosi i casi in

cui applicare in modo impersonale una regola generale può, in determinate fattispecie,

generare effetti fortemente distorsivi, danneggiando in modo ingiustificato e

discriminando gli appartenenti a minoranze o a gruppi portatori di una distinta identità

culturale. Così come, con riferimento al fenomeno religioso, sono frequenti le

fattispecie la cui soluzione necessita di una non agevole ponderazione tra diversi diritti

costituzionali: come nel caso, ad esempio, dei rapporti tra libertà religiosa, da un lato,

e tutela della salute, diritto alla istruzione, iniziativa economica privata, principio di

eguaglianza, dall’altro lato.

Va, inoltre, perché anche la giurisprudenza partecipa del più generale processo

di circolazione giuridica, sia sotto il profilo sostanziale che di tecnica ermenutica: in

relazione al primo, si registra una crescente tendenza dei giudici ad utilizzare rationes

decidendi ricavate dalla giurisprudenza dei Tribunali costituzionali o delle Corti

supreme di altri paesi, nonché – nel caso degli ordinamenti multilivello - dei giudici

sovranazionali (come la Corte europea e americana dei diritti dell’uomo).100 Per quanto

concerne la seconda, poi, si assiste alla comune utilizzazione di criteri interpretativi

ritenuti funzionali alla ponderazione: tra i quali spiccano il ricorso al criterio

dell’accomodamento ragionevole, al principio di proporzionalità, al ragionamento per

test.

Il criterio dell’accomodamento ragionevole - formatosi in particolare negli

ordinamenti di common law – abilita il giudice a trovare, in caso di conflitto tra

differenti posizioni soggettive costituzionalmente garantite, un equilibrio tra una

100 Tale propensione non è però eguale in tutti gli ordinamenti: prendendo ad esempio il continente nordamericano, è possibile contrapporre l’atteggiamento della Corte suprema del Canada – ampiamente favorevole all’utilizzo della giurisprudenza straniera - a quello della Corte suprema degli Stati Uniti d’America, tradizionalmente restia a ricorrere allo strumento comparativo. Tuttavia, si tratta, a nostro avviso, di un fenomeno crescente, alimentato soprattutto dalla diffusione di dichiarazioni costituzionali in materia di diritti che si ispirano ai medesimi criteri: particolarmente presente in ambito europeo, dove la funzione di unificazione della giurisprudenza – o meglio, di creazione di tradizioni costituzionali comuni - è svolta da due giudici sovranazionali come la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo.Con particolare riferimento al sistema europeo di protezione dei diritti si rinvia a: G.ROLLA, Il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali e i rapporti tra le giurisdizioni, Milano, 2010.

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regola generale ( cioè, universale) e l’esigenza di ammettere una deroga alla stessa:

esso consente di esonerare gli individui appartenenti a determinati gruppi forniti di una

spiccata identità culturale dall’applicazione di una norma generale, derogando alla sua

applicazione erga omnes. 101

In tal modo, gli interpreti cercano di preservare l’esercizio di un diritto

individuale dal rischio della “tirannia della maggioranza” e, quindi, di correggere una

possibile discriminazione indiretta insita nella regola generale, qualora si appurasse

che essa costringa le minoranze ad allinearsi sul modello egemonico della

maggioranza. Per tale ragione, alcuni autori hanno considerato la ricerca di un

accomodamento uno strumento giurisprudenziale volto alla salvaguardia delle identità

e alla gestione delle diversità etnoculturali.102

L’interesse per tale tecnica di argomentazione deriva, a nostro avviso, dal fatto

che le questioni oggetto del giudizio non vengono affrontate in termini meramente

astratti, ma verificando nel concreto gli effetti che un determinato comportamento

ispirato da motivi religiosi genera all’interno della comunità. In altri termini, essa

spinge il giurista a ragionare non tanto sulla base di principi, quanto con riferimento al

best interest dell’ordinamento costituzionale.

Alcuni esempi – desunti dalla numerosa giurisprudenza del Regno Unito, della

Corte suprema del Canada e degli Stati Uniti d’America - consentono di meglio

esplicitare l’efficacia di siffatto criterio di ponderazione, allorché considera la libertà

religiosa nel contesto dei diversi settori della vita sociale.

In ambito commerciale, in tema di individuazione dei giorni festivi ai fini delle

attività lavorative, la Corte suprema del Canada del Canada ha ritenuto – con una

decisione che ha costituito un vero e proprio leading case – che la scelta della

domenica quale giorno festivo da parte del Lord’s Day Act viola il diritto dei non

cristiani a lavorare di domenica, dal momento che tale normativa ha una finalità

101 In proposito si rinvia a: M.DICOSOLA, Tecniche di bilanciamento tra libertà di religione e laicità dello Stato.Il principio del duty of accommodation, in G.ROLLA,Eguali,ma diversi.Identità ed autonomia secondo la giurisprudenza della Corte Suprema del Canada, Milano, 2006, 135 ss.; . D.LOPRIENO , S.GAMBINO, L’obbligo di “accomodamento ragionevole” nel sistema multiculturale canadese, in G.ROLLA, L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese, Milano, 2008, 217 ss. ; F.ASTENGO, La libertà religiosa in un ordinamento multiculturale, ivi, 423 ss.102 Per riferimenti si veda: D.LOPRIENO,S.GAMBINO, L’obbligo di “accomodamento ragionevole” nel sistema multiculturale canadese,op.cit.

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chiaramente religiosa; 103 per contro, nel risolvere un altro caso, ha ritenuto che il

Retail Business Holiday Act, il quale vietava di tenere aperti gli esercizi commerciali

in una serie di giorni, tra i quali la domenica, fosse legittimo, in quanto non animato da

finalità religiose, ma di mera organizzazione delle attività commerciali. 104

In materia di diritti dei lavoratori, la Corte suprema degli Stati uniti d’America

ha ritenuto illegittimo il licenziamento di una dipendente la quale, in seguito ad una

conversione, sosteneva di non potere per motivi religiosi lavorare dal tramonto del

venerdì al tramonto del sabato: secondo il giudice, il datore di lavoro aveva violato la

libertà religiosa del dipendente nel momento in cui ha rifiutato di accettare una diversa

riorganizzazione dell’orario.105 Con riferimento, poi, al diritto all’istruzione la Corte

suprema, dovendo valutare se la normativa statale che prevede l’obbligo scolastico

sino a sedici anni configura una possibile lesione della libertà religiosa di alcune

famiglie di fedeli Amish che si rifiutavano di mandare a scuola i propri figli dopo la

terza media, decide in favore delle famiglie: e la ratio decidendi si basa sulla duplice

considerazione che l’interesse pubblico all’istruzione di base va bilanciato con la

libertà religiosa e che lo Stato non ha dimostrato, nel caso di specie, la prevalenza

dell’interesse a sottoporre i figli delle famiglie Amish a due anni di istruzione

obbligatoria in più di quanto accettato dalla comunità religiosa.106

In tema, quindi, di salute pubblica, il giudice inglese, dinanzi alla reazione di

una comunità religiosa Hindu, che considerava lesivo della libertà religiosa l’ordine

dell’amministrazione pubblica di abbattere tutti i bovini che risultino positivi al

batterio della tubercolosi (ivi compreso il toro sacro di tale comunità ), ha ritenuto che

l’uccisione del bovino fosse sproporzionata rispetto allo scopo, non essendo stato

adeguatamente considerato il valore religioso dell’animale e la possibilità scientifica di

sottoporlo a cure.107

Mentre, in una fattispecie del tutto diversa, la Corte suprema del Canada ha

ritenuto giustificata la deroga ad un regolamento condominiale (che vieta la presenza

di oggetti sui balconi) a favore dei proprietari di un appartamento – ebrei ortodossi – i

quali invocavano un obbligo religioso di costruire sul terrazzo e di vivere in capanne 103 Vedi: R. v. Big M Drug Mart Ltd (1985) 1 S.C.R. 295104 Così; R.v.Edwards Books (1986])2 S.C.R.713105 Vedi: Hobbie v. Unemployment appeals commission of Florida et al., 480 U.S. 136 (1987)106 Cfr., Wisconsin v. Yoder et al., 406 U.S. 205 (1972)107 Vedi: R (on the application of Suryananda as a representative of the Community of the Many Names of God) v Welsh Ministers, (2007)EWHC 1736.

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tradizionali (succahs) durante i nove giorni in cui si svolge una festa ebraica. In questo

caso, il giudice ha ritenuto che la regola generale prevista dal regolamento del

condominio, se applicata in modo astratto, avrebbe leso la libertà religiosa dei

proprietari ebrei; così come ha considerato che una deroga motivata da finalità

religiose e temporalmente circoscritta (nove giorni all’anno) non avrebbe intaccato il

valore della proprietà degli altri condomini. 108

Numerosi sono, infine, i casi in cui il criterio dell’accomodation è stato

utilizzato per risolvere controversie che attenevano al’esercizio della libertà religiosa

in ambiti pubblici, sopratutto scolastici o dedicati ad attività educative.

In merito, ha suscito una vasta eco la sentenza “Multani” della Corte suprema

canadese: nella fattispecie, la Corte si trovava a dover risolvere un contrasto che

coinvolgeva, da un lato, un Consiglio scolastico che contestava la violazione del

regolamento che vietava di portare armi negli ambienti scolastici e, dall’altro lato, la

famiglia di un ragazzo che – essendo un Sikh ortodosso- portava sempre con sé, in

base alle sue convinzioni religiose, il "kirpan", un pugnale rituale. Nel risolvere la

questione, il giudice ha ritenuto che tale divieto era suscettibile di violare la libertà

religiosa dello studente: sia perché tale divieto, nel caso specifico, appariva

spropositato in ragione della presenza centenaria e pacifica della comunità Sikh sul

territorio canadese; sia in quanto il possibile timore dei compagni nel vedere un`arma

doveva essere contemperato con l’alto valore educativo costituito dalla tolleranza nei

confronti delle usanze religiose altrui nell’ambito della costruzione della società

multiculturale.

Nel mettere a confronto il diritto alla sicurezza nella scuola con quello

individuale alla salvaguardia della propria identità religiosa, il giudice ha considerato

che “a total prohibition against wearing a kirpan to school undermines the value of this

religious symbol and sends students the message that some religious practices do not

merit the same protection as others”: propone, quindi, un accomodamento il quale, pur

conservando la vigenza della normativa generale, consente allo studente di portare il

kirpan a certe condizioni, in modo da “dimostrare l’importanza che la società canadese

accorda alla protezione dalla libertà di religione ed al rispetto delle minoranze che la

compongono”. 109

108 Cfr., Syndicat Northcrest v. Amselem (2004) 2 S.C.R. 551.109 Cfr., Multani v Commission scolaire Marguerite-Bourgeoys, (2006) 1 S.C.R. 256, 2006 SCC 6,

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Sempre in tema di presenza di simboli o di comportamenti religiosi in ambito

scolastico si può segnalare la decisione della Court of Appeal del Regno Unito, la

quale ha annullato la decisione di un’autorità scolastica che obbligava una ragazza

islamica ad indossare l’uniforme prevista dal codice di condotta della scuola, pena

l’esclusione dalle lezioni. Ad avviso del giudice, l’applicazione rigida ed impersonale

della normativa interna alla scuola appariva lesiva dell’identità religiosa

dell’adolescente mussulmana, mentre opportunamente le autorità scolastiche

avrebbero dovuto valutare se, in una società libera e democratica, il rispetto della

disciplina scolastica fosse ragionevolmente in grado di giustificare la limitazione

dell’esercizio della libertà religiosa.110 In altri termini, la formula “dura lex, sed lex”

non deve essere intesa in modo assoluto, le autorità scolastiche non debbono decidere

solo ed unicamente sulla base dell’esistenza di un codice di disciplina interna (che “si

ritiene vada rispettato per la ragione stessa della sua esistenza”), ma verificando nel

concreto gli effetti che il portare o meno un simbolo religioso genera all’interno della

comunità scolastica.

Non sempre, tuttavia, l’applicazione del criterio dell’accomodamento

ragionevole si traduce nel riconoscimento di un potere derogatorio rispetto alla regola

generale: talvolta, al termine del ragionamento argomentativo, l’esigenza di rispettare

quest’ultima si rivela come prevalente.

A titolo esemplificativo si può richiamare – con riferimento alla giurisprudenza

degli Stati uniti d’America – la propensione della Corte Rehnquist ad assumere un

atteggiamento restrittivo nei confronti dell’accomodation, per frenare il rischio – in

una realtà particolarmente pluralistica – che ogni coscienza costituisca “una legge a sé

stante” 111. Cosicchè in caso il gudice ha negato il diritto all’esenzione dell’obbligo di

togliersi il copricapo religioso da parte di un ufficiale di religione ebraica, 112 ovvero

ha ritenuto, con riferimento all’ambito dell’obiezione di coscienza, che non può

consentirsi che la mera adozione di una nomenclatura religiosa possa fungere da

scudo protettore di pratiche antisociali, contrarie alle esigenze di sicurezza, salute e

ordine pubblico.

par.78.110 Vedi: R (on the application of SB) v Governors of Denbigh High School, (2005) EWCA Civ 199.111 Vedi: Employment Division v Smith, 494 U.S. 872 (1990).112 Cfr., Goldman v Weinberger, 475 U.S. 503 (1986).

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In Canada, poi, ha suscitato interesse una recente sentenza della Corte

suprema del Canada relativa al possibile effetto discriminatorio che una normativa

della Provincia dell’Alberta - che imponeva a tutti l’obbligo della foto sulle

patenti di guida- avrebbe potuto avere nei confronti delle comunità di hutteriti

residenti nella Provincia.113

Sul punto va premesso, per un verso, che tale minoranza religiosa,

ricavando dalla Bibbia il divieto di ritrarsi in foto, riteneva la disciplina

provinciale lesiva della loro libertà religiosa; per un altro verso, che in passato le

autorità dell’Alberta avevano riconosciuto la discrezionalità di rilasciare permessi

di guida senza foto a chi ne facesse richiesta per motivi religiosi, ma tale deroga

fu successivamente abrogata al fine di contrastare il fenomeno crescente dei furti

di identità. 114 Tale finalità della legge, ad avviso della maggioranza dei giudici

della Corte, era pienamente coerente con la previsione dell’art.1 della Carta

canadese dei diritti e delle libertà, che doveva essere considerata (anche alla luce

delle esigenze di sicurezza pubblica) preminente rispetto alla concessione di

deroghe.

I giudici utilizzano con frequenza anche il principio di proporzionalità,

soprattutto, nelle fattispecie in cui si deve contemperare l’esercizio della libertà

religiosa con altri diritti ovvero verificare l’applicabilità delle restrizioni previste da

clausole costituzionali: come nel caso, ad esempio, dell’art.1 della Carta canadese dei

diritti e delle libertà secondo cui non possono essere imposte restrizioni ai diritti

enunciati nella Carta, se non nei casi stabiliti dalla legge nei limiti della

ragionevolezza e di cui si possa dimostrare la giustificazione nel quadro di una

sociaetà libera e democratica.115 Ovvero dell’art.9 della Convenzione europea per la

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale ammette limiti

alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione che risultino necessari in una società

democratica per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine pubblico, la tutela

della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà

113 Per riferimenti si rinvia alla nota n.95114 Vedi:Operator Licensing and Vehicle Control Regulation,2003.115 Per riferimenti dottrinali si veda, da ultimo: S.RODRIQUEZ, La Corte suprema del Canada e l’art.1 della Carta dei diritti e delle libertà. Una “free and democratic society” in continua evoluzione, in G:ROLLA , L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese, cit., 241 ss.

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altrui.116

In tutti questi casi, l’interprete deve ricercare un ragionevole e proporzionato

equilibrio tra gli interessi e i diritti in conflitto, in modo da evitare che il godimento di

un diritto avvenga con modalità tali da comprimere “oltre misura” i diritti altrui o i

valori generali della collettività (cioè oltre quanto è indispensabile per esercitare un

proprio diritto o affermare un valore dell’ordinamento). 117

Tale principio è richiamato, in ambito comunitario, dall’art. 52 della Carta dei

diritti fondamentali dell’Unione europea, ove si afferma che eventuali limitazioni ai

diritti fondamentali possono essere apportate soltanto nel rispetto del principio di

proporzionalità e laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di

interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le

libertà altrui. La medesima clausola è presente – in forma esplicita - anche in alcune

Costituzioni europee. Ad esempio, l’art. 25 Cost. greca afferma che le limitazioni ai

diritti costituzionali devono rispettare il principio della proporzionalità; mentre l’art.

18 Cost. portoghese prevede che le restrizioni dei diritti, delle libertà e delle garanzie

devono limitarsi a quanto necessario per salvaguardare altri diritti o interessi

costituzionalmente protetti. Egualmente, l’art. 12 Cost. svedese vieta che le limitazioni

ai diritti ed alle libertà fondamentali vadano “oltre la misura necessaria con riferimento

al motivo che l’ha provocata”.

Tuttavia, indipendentemente da un’esplicita formalizzazione, il criterio di

proporzionalità può essere annoverato tra i principi generali del diritto costituzionale,

al punto che è stato autonomamente utilizzato dai giudici costituzionali: i quali hanno,

altresì, provveduto ad evidenziare le operazioni logiche in cui si sostanzia,

individuandole nella verifica della legittimità delle finalità per cui un diritto viene

limitato, nella sussistenza di un’effettiva relazione funzionale tra il contenuto della

limitazione e le sue finalità, nel carattere non irragionevole, arbitrario o inutilmente

oppressivo del limite, nella circostanza che, comunque, non si determini il totale

116 cfr., J.F.RENUCCI, Article 9 of the european convention on human rights: freedom of thought, conscience and religion, Strasburg, 2005.117 Si veda: C.BERNAL PULIDO, El principio de proporcionalidad y los derechos fundamentales,Madrid, 2003; T.DE LA QUADRA SALCEDO JANINI, El derecho constitucional comunitario in the age of balancing.Control de constitutionalidad e principio de proporcionalidad, in Cuadernos de derecho público, 2003, 207 ss; J.BRAGE CAMAZANO, Los limites a los derechos fundamentales, Madrid,2004, 215 ss; L.D’ANDREA, Ragionevolezza e legittimazione del sistema,Milano,2005.

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annullamento del diritto.

Anche in questo caso appaiono interessanti alcune decisioni prese dalle Corti

supreme del Canada e degli Stati Uniti d’America.

La prima riguarda un caso di divorzio religioso ebraico e, più nello specifico, il

quesito se una persona può invocare la propria libertà religiosa per sottrarsi alle

conseguenze giuridiche derivanti dal mancato rispetto di una clausola contrattuale. 118 I

due coniugi, entrambi ebrei osservanti, avevano concordato di presentarsi dinnanzi a

un tribunale rabbinico per ottenere il get, ossia il tradizionale atto di divorzio che in

virtù della legge religiosa deve essere accordato dal marito e senza il quale la sposa

non può essere essere “liberata” dal vincolo matrimoniale. Mentre il diverzio civile

viene prontamente concesso, quello religioso si perfeziona soltanto dopo molti anni a

causa del ritardo con il quale il marito concede il get; e per le conseguenze di siffatto

ritardo la moglie richiede i danni e gli interessi.

A nome della maggioranza il Giudice relatore evidenzia come la situazione

dicotomica della donna ebrea praticante in Canada – che è libera di divorziare

civilmente anche se il marito non vi acconsente, mentre per la legge religiosa ebraica

rimane sposata al marito a meno che questi non le conceda il divorzio - risulta

inaccettabile in un paese come il Canada, che se da un lato valorizza la differenza

culturale e religiosa e fa del multiculturalismo uno dei cardini fondamentali della

convivenza civile e democratica, dall’altro, pone dei limiti alla tutela delle differenze

quando queste non sono compatibili con i “valori” canadesi.

Un altro esempio è costituito dal reference sui matrimoni omosessuali. In

questo caso, la Corte suprema del Canada, nel riconoscere la legittimità di una

normativa che preveda il matrimonio tra persone dello stesso sesso, si preoccupa di

bilanciare il diritto delle coppie omosessuali con l’esigenza di rispettare la sensibilità

religiosa di chi sia eventualmente chiamato a celebrare matrimoni tra persone dello

stesso sesso. Nella considerazione che la celebrazione di riti religiosi è un aspetto

fondamentale della libertà religiosa e che, quindi, i ministri di culto potevano

lamentare la violazione di tale libertà se lo Stato avesse imposto loro di celebrare

matrimoni contrari al loro credo, il giudice canadese afferma che le istituzioni religiose

118 Il caso Bruker v. Marcovitz è richiamato e ampiamente analizzato da:F.ASTENGO, Libertà religiosa o eguaglianza tra i sessi?La Corte Suprema del Canada si pronuncia su un caso di divorzio, in G.ROLLA, Libertà religiosa e laicità.Profili di diritto costituzionale,Napoli, 2009, 67 ss.

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non possono considerarsi obbligate a celebrare matrimoni omosessuali.119

A nostro avviso, appare mossa dall’esigenza di ponderare in misura

ragionevole il rapporto tra la libertà religiosa e il divieto posto dall’establishment

clause del primo emendamento la decisione con la quale la Corte suprema degli Stati

Uniti d’America negò che la presenza in una piazza cittadina di un monolite alto sei

piedi con incisi i dieci comandamenti fosse contraria al principio di neutralità dei

pubblici poteri nei confronti del fenomeno religioso. Ciò in quanto tale monolite

costituiva soltanto uno dei 17 monumetni che ornavano la piazza: il chè conferiva al

complesso architettonico una dimensione più civica e storica, che religiosa.120

Frequentemente, il criterio di proporzionalità viene applicato in connessione

con la tecnica dei test di valutazione. Ricorrendo ad essa i giudici predeterminano i

procedimenti logici – gli steps argomentativi – che debbono progressivamente seguire

per stabilire se, in una determinata fattispecie, si sia prodotta la lesione di un diritto o

di un principio costituzionale .

Tale criterio interpretativo possiede – a nostro avviso – un duplice pregio:

assicurare una migliore uniformità di giudizio, dal momento che questioni simili

vengono decise sulla base di un medesimo parametro logico; rendere maggiormente

trasparente il processo logico attraverso il quale il giudice elabora la propria ratio

decidendi, in quanto nella motivazione debbono essere esplicitati i diversi passaggi

argomentativi che compongono il ragionamento giuridico.121

Ad esempio, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel decidere i ricorsi a

tutela dell’art.9 della Convenzione, valuta la legittimità delle restrizioni alla libertà di

religione sottoponendo, in genere, il comportamento dello Stato ad un triplice ordine

di verifiche: se è rispettato il principio del pluralismo delle idee, se la restrizione

introdotta costituisce non la regola ma un’eccezione, se non viene colpito il nucleo

essenziale della libertà religiosa. A sua volta, la Corte suprema degli Stati Uniti

d’America ricorre talvolta al c.d. Lemon Test, secondo il quale si deve affrontare la

questione oggetto del giudizio alla luce di una triplice verifica: che l’intervento

pubblico sia finalizzato ad affermare la laicità dell’ordinamento, che il suo effetto 119 Vedi: E.DI BENEDETTO, Il “Cvil Marriage Act”:un difficile equilibrio tra divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale e libertà religiosa, in G.ROLLA, Eguali, ma diversi,cit., 130 ss.120 Van Orden v.Perry, 545 U.S. 677 (2005).121 Cfr., G.ROLLA, Il fascino discreto di una Costituzione, in L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese,cit., XIX ss.

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principale non consista nel favorire o reprimere una determinata religione, che il

coinvolgimento dello Stato nella religione non sia eccessivo.122

Significativi sono anche i casi in cui i giudici, attraverso un’interpretazione

estensiva del significato originario di una disposizione, favoriscono l’estensione di un

diritto o di una facoltà ad altri soggetti inizialmente non previsti. In questo modo, si

realizza, attraverso una decisione di tipo interpretativo, un allontanamento dalle

interpretazioni originaliste.123 Interessante è, in proposito, il ragionamento utilizzato

dalla Corte suprema statinitense allorchè, al fine di rendere la normativa che esentava

dal servizio militare gli obiettori per motivi religiosi compatibile con il principio di

eguaglianza innanzi alla legge, fa propria una concezione soggettiva della religione:

comprendendo anche gli obiettori mossi da credenze non tradizionali o animati da

convinzioni etiche onorabili e sincere che occupano nel soggetto una posizione

paragonabile a quella che occupa Dio nelle persone religiose.124

122 Cfr., Lemon v.Kurtzman, 403 U.S. 602 ( 1971).123 In merito al dibattito sull’interpretazione “originalista” della Costituzione: S.CALABRESI, Originalism: a quarte-century of debate, Washington, 2007; D.GALDFORD, Thr American Constitution and the debate over originalism, New York, 2005.124 United States v. Seeger,380 U.S. 163 (1965). Si veda anche la sentenza della Court for the District of Columbia: United States v. Kuch, 288 F supp. 439 (1968).

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