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LA LEZIONE , La fissione nucleare Gli elementi transuranici Il 10 maggio 1934 nell’articolo E. Amaldi, O. D’Agostino, E. Fermi, F. Rasetti, E. Segrè Radioattività beta provocata da bombardamento di neutroni ” (Note e Memorie pagine 649-650) i fisici del gruppo romano scrivevano: “ l’Uranio liberato dai prodotti dotati di attività beta che lo accompagnano e susseguentemente irradiato dà un effetto intenso con più periodi: uno di circa 1 minuto, uno di 13 minuti, oltre a periodi più lunghi […] Si è cercato di riconoscere con operazioni chimiche se l’elemento che si disintegra col periodo di 13 minuti fosse un isotopo di qualcuno degli elementi più pesanti .” La mancata corrispondenza tra il radon (86) e l’uranio (92) “fa sorgere l’ipotesi che il principio attivo dell’U possa avere numero atomico 93 (omologo del renio); il processo in questa ipotesi potrebbe consistere in una cattura del neutrone da parte dell’U con formazione di un U 239 il quale subirebbe successivamente delle disintegrazioni β .” fig.1 Vetrina del museo di fisica di Roma ospitante parte del materiale utilizzato dal gruppo Fermi Lo schema logico del ragionamento fisico del gruppo ricalcava quello della teoria del decadimento beta. La trasformazione di un neutrone in un protone con emissione di elettrone e neutrino comportava il passaggio all’elemento successivo della tavola periodica. Del resto tutte le altre reazioni nucleari indotte conosciute (emissione di particelle alfa, protoni e positroni) potevano spostare di poche unità la posizione dell’elemento irradiato nella tavola periodica. Tutti gli elementi vicini all’uranio erano stati controllati e dunque era plausibile la scoperta di un nuovo atomo. Inoltre questa sostanza radioattiva mostrava le stesse caratteristiche del gruppo del renio. La diffusione della scoperta di un nuovo elemento artificiale “situato al di fuori della serie degli elementi conosciuti sulla Terra” avvenne nel giugno 1934. Il direttore dell’Istituto fisico, Orso Maria Corbino, in un discorso all’Accademia Nazionale dei Lincei affermava: “Il nuovo elemento è radioattivo e subisce ulteriori disintegrazioni ancora non sicuramente definite. Per la posizione che esso occupa, la legge di Mendeleijeff attribuisce al nuovo elemento delle proprietà omologhe a quelle del manganese e del renio, ed effettivamente le reazioni chimiche che ne permettono la separazione sono conferme al comportamento previsto."( Prospettive e risultati della fisica moderna, Ricerca Scientifica, 5(1), 1934, pp. 609-619). Il successivo approfondimento delle misure “Sulla possibilità di produrre elementi di numero atomico maggiore di 92” (pubblicato con i nomi dei soli E. Fermi, F. Rasetti, O. D’Agostino) riportava la misura di tre tempi caratteristici della radioattività indotta nell’uranio, il primo di dieci secondi, il secondo di 40 secondi e il terzo di tredici minuti, oltre a due più lunghi che non venivano indicati. Si escludevano le somiglianze chimiche dell’elemento con periodo tredici minuti con tutti i primi vicini all’uranio (ad

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LA LEZIONE , La fissione nucleare

Gli elementi transuranici

Il 10 maggio 1934 nell’articolo E. Amaldi, O. D’Agostino, E. Fermi, F. Rasetti, E. Segrè “Radioattività beta provocata da bombardamento di neutroni” (Note e Memorie pagine 649-650) i fisici del gruppo romano scrivevano: “ l’Uranio liberato dai prodotti dotati di attività beta che lo accompagnano e susseguentemente irradiato dà un effetto

intenso con più periodi: uno di circa 1 minuto, uno di 13 minuti, oltre a periodi più lunghi […] Si è cercato di riconoscere con operazioni chimiche se l’elemento che si disintegra col periodo di 13 minuti fosse un isotopo di qualcuno degli elementi più pesanti.” La mancata corrispondenza tra il radon (86) e l’uranio (92) “fa sorgere l’ipotesi che il principio attivo dell’U possa avere numero atomico 93 (omologo del renio); il processo in questa ipotesi potrebbe consistere in una cattura del neutrone da parte dell’U con formazione di un U239 il quale subirebbe successivamente delle disintegrazioni β .”

fig.1 Vetrina del museo di fisica di Roma ospitante parte del materiale utilizzato dal gruppo Fermi

Lo schema logico del ragionamento fisico del gruppo ricalcava quello della teoria del decadimento beta. La trasformazione di un neutrone in un protone con emissione di elettrone e neutrino comportava il passaggio all’elemento successivo della tavola periodica. Del resto tutte le altre reazioni nucleari indotte conosciute (emissione di particelle alfa, protoni e positroni) potevano spostare di poche unità la posizione dell’elemento irradiato nella tavola periodica. Tutti gli elementi vicini all’uranio erano stati controllati e dunque era plausibile la scoperta di un nuovo atomo. Inoltre questa sostanza radioattiva mostrava le stesse caratteristiche del gruppo del renio.

La diffusione della scoperta di un nuovo elemento artificiale “situato al di fuori della serie degli elementi conosciuti sulla Terra” avvenne nel giugno 1934. Il direttore dell’Istituto fisico, Orso Maria Corbino, in un discorso all’Accademia Nazionale dei Lincei affermava: “Il nuovo elemento è radioattivo e subisce ulteriori disintegrazioni ancora non sicuramente definite. Per la posizione che esso occupa, la legge di Mendeleijeff attribuisce al nuovo elemento delle proprietà omologhe a quelle del manganese e del renio, ed effettivamente le reazioni chimiche che ne permettono la separazione sono conferme al comportamento previsto."(Prospettive e risultati della fisica moderna, Ricerca Scientifica, 5(1), 1934, pp. 609-619).

Il successivo approfondimento delle misure “Sulla possibilità di produrre elementi di numero atomico maggiore di 92” (pubblicato con i nomi dei soli E. Fermi, F. Rasetti, O. D’Agostino) riportava la misura di tre tempi caratteristici della radioattività indotta nell’uranio, il primo di dieci secondi, il secondo di 40 secondi e il terzo di tredici minuti, oltre a due più lunghi che non venivano indicati. Si escludevano le somiglianze chimiche dell’elemento con periodo tredici minuti con tutti i primi vicini all’uranio (ad

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eccezione del protoattinio). Infine gli autori concludevano: “La possibilità di un numero atomico 94 o 95, non sarebbe facile da distinguere dalla precedente.” (Note e Memorie pp. 704-705).

Gli annunci di Fermi sugli elementi transuranici non produssero moltissimi articoli (una rassegna dell’epoca è il volumetto: Lawrence L. Quill, Transuranic elements, 1938). Il nuovo campo di ricerca fu occupato dai principali centri europei di radiochimica: Berlino e Parigi. Otto Hahn (autore nel 1933 e nel 1936 di due importanti manuali in lingua inglese di radiochimica) nel 1934, dopo molti anni di interruzione, rinnovò la collaborazione con Lise Meitner, proprio a partire dal tema del protoattinio e degli elementi transuranici. Tre anni di ricerca della coppia, coadiuvata dal giovane Strassmann, portarono nel 1937 a una sintesi più volte esposta dagli autori in articoli e conferenze (figura 2). L’uranio irradiato da neutroni poteva decadere in tre modi, producendo elementi più pesanti dell’uranio: Eka-Re, Eka-Os, Eka-Ir, Eka-Pt e forse Eka-Au. La prima serie di reazioni beta era caratterizzata da un primo tempo di dimezzamento di 10 secondi; la seconda serie di reazioni aveva un tempo di 40 secondi (a cui seguiva una seconda reazione beta con tempo caratteristico di 16 minuti); infine una terza avveniva solo con neutroni lenti in un particolare intervallo di energia. I valori riportati dal gruppo di Berlino coincidevano per le prime due reazioni con quelli proposti da Fermi (10 s e 40 s; solo il tempo di 13 minuti - 15 minuti si differenziava leggermente dai 16 minuti di Hahn). La terza reazione era invece una novità, anche se i ricercatori di Berlino erano dubbiosi sul prodotto di reazione, isolato facendo precipitare il prodotto attivo e scartando, come negli altri casi, il filtrato.

fig.2 Il riassunto delle ricerche di Hahn e Meitner sugli elementi transuranici del periodo 1934-1937 pubblicato da Lise Meitner sulla rivista Scientia

Nelle tre serie venivano creati, secondo gli autori, gli elementi tra il 93 e il 96 e solo il 97 era in dubbio. Rimanevano alcune questioni in sospeso. Come era possibile che uno stesso isotopo, l’uranio 239, potesse portare a tre diverse serie di processi di decadimento beta. Al proposito la soluzione escogitata da O. Hahn e L. Meitner fu quella di utilizzare il concetto di isomeria nucleare osservata in altri elementi. Inoltre l’estrema lunghezza della prima catena di reazioni era assai singolare.

fig.3 Tavolo da lavoro di Otto Hahn e Lise Meiner, conservato al Deutsches Museum e attribuito per anni al solo Hahn

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Per quanto riguarda il gruppo Fermi, vale la pena solo ricordare che il nome Ausonio per l’elemento 93 venne scritto immediatamente nel primo quaderno di laboratorio delle ricerche nucleari (M. Leone, N. Robotti, Fermi e la presunta scoperta dei transuranici).

Le voci critiche sull’esame del protoattinio del 1934 come quelle di A. von Grosse e M. Agruss (del Kent Chemicall Laboratory di Chicago) erano state ormai superate. E l’ipotesi di Ida Tacke Noddack, sempre dello stesso anno, non fu nemmeno presa in considerazione. La chimica, del renio e del masurio, sottolineava la necessità, nel suo lavoro sull’elemento 93, di esaminare gli elementi chimici lontani dall’uranio poiché “quando elementi pesanti sono bombardati da neutroni è concepibile che il nucleo si rompa in alcuni grandi frammenti, che potrebbero essere isotopi di elementi conosciuti, ma non immediatamente vicini all’elemento irradiato.”

Il riferimento fisico alla rottura del nucleo, verificabile con la strumentazione dell’epoca, da parte di una dottoressa in chimica di orientamento politico vicino ai nazisti, non venne testato né dal gruppo Fermi, né tantomeno da Hahn. Un’entusiasta Corbino, nel 1936, nella Nuova Antologia, annunciava la scoperta dopo il radio artificiale, dell’Ausonio e dell’Esperio. Lo stesso Fermi, nel 1938, curava la voce Ausonio della prima appendice dell’Enciclopedia Italiana, con le parole: “Elemento chimico di numero atomico 93. La serie degli elementi che si trovano in natura termina con l’uranio, di numero atomico 92. L’ausonio è il primo degli elementi transuranici, si può produrre artificialmente per bombardamento dell’uranio con neutroni. Si ottiene così un notevole numero di elementi radioattivi artificiali, tra i quali si possono identificare, con separazioni chimiche, alcuni isotopi degli elementi 93 e 94. L’ausonio fu prodotto e riconosciuto per la prima volta a Roma nel 1934 da E. Fermi, F. Rasetti e O. D’Agostino.”

fig.4 Fermi a Stoccolma nel 1938 per il premio Nobel

E nel dicembre dello stesso anno Fermi, nella lezione per il conferimento del premio Nobel per la fisica, scriveva: “A Roma siamo soliti chiamare gli elementi 93 e 94 con i nomi di Ausonio e Esperio. E’ noto che O. Hahn e L. Meitner hanno investigato molto attentamente i prodotti del decadimento dell’uranio irradiato e sono stati abili nel separare elementi fino al numero atomico 96.” Nello stesso lavoro, in una nota aggiunta prima della stampa, il fresco premio Nobel, segnalava: “La scoperta di Hahn e Strassmann di bario tra i prodotti di disintegrazione dell’uranio bombardato, ha come conseguenza del processo la divisione dell’uranio in due parti approssimativamente uguali, impone necessariamente di riesaminare il problema degli elementi transuranici molti dei quali potrebbero essere [semplicemente] i prodotti dalla divisione dell’uranio.” (Note e Memorie, volume primo, p. 1040)

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La scoperta della fissione

Nel biennio 1934-35 la ricerca nucleare d’avanguardia si svolse principalmente a Roma, Berlino e Parigi. Un altro centro si preparava però a diventare il futuro polo

della chimica e della fisica nucleare mondiale: Berkeley in California. Sotto la guida del fisico E. O. Lawrence, macchine acceleratici di dimensioni crescenti (ciclotroni) erano state assemblate e si preparavano a diventare la fucina per gli ultimi elementi mancanti nella tavola periodica e per la vera scoperta dei transuranici.

fig.5 Ciclotrone da 27 pollici dei Laboratori di Berkeley

Nel 1935 P. H. Abelson a Berkeley confermò la creazione di transuranici dall’irradiamento di uranio, esaminando i “nuovi elementi” anche con analisi spettrografiche ai raggi X.

Nel 1936 E. Segrè, professore a Palermo dal 1935, in uno dei suoi viaggi in California, riportò in Italia del molibdeno (Z=42) irradiato, ormai sostituito nel nuovo ciclotrone di Berkeley da 27 pollici. L’idea dell’allievo di Fermi, rivelatasi esatta, fu quella di analizzare il molibdeno (Mo) per ricercare l’elemento 43. Nel 1937 a Palermo E. Segrè in collaborazione con il chimico C. Perrier fu il primo ad analizzare le proprietà chimiche del misterioso masurio (Ma) attribuito ai Noddack. Oggi tale elemento è considerato artificiale ed è indicato col nome tecnezio, modifica di tecneto proposta da Segrè nelle sue successive ricerche a Berkeley dove si trasferì dopo il licenziamento conseguenza delle leggi razziali del 1938. Ancora un’attività frutto principalmente di idee semplici (come quella di Fermi di impiegare particelle prive di carica per bombardare i nuclei e produrre radioattività indotta) aveva portato uno degli allievi di Fermi, che si era accontentato di lavorare sugli scarti irradiati delle prime macchine acceleratici, a raggiungere risultati importanti.

Nel campo teorico la fisica nucleare registrò negli anni Trenta la nascita del modello del nucleo di Bohr, analogo alla goccia di un liquido. In quest’ambito, fisici, come H. Bethe, forse il principale teorico della nascente fisica nucleare, e E. Wigner, discussero la possibilità della disintegrazione di un elemento in due parti (Heilbron p. 432) con la convinzione della probabilità quasi nulla di un simile evento. La cecità dei fisici fu rimossa dai chimici. Irène Curie e Paul Savitch nel 1937 individuarono, dopo un’esposizione molto lunga dell’uranio al bombardamento neutronico, un prodotto di reazione con periodo di 3,5 ore.

fig.6 Misura del periodo del nuovo elemento nelle esperienze di I. Curie e P. Savitch del 1937-38

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Nel luglio 1938 i chimici di Parigi esposero in un lavoro approfondito le loro perplessità nel far rientrare questo transuranico negli schemi di Hahn, Meitner e Strassmann.

fig.7 Le tre serie di isomeri dell’uranio ottenute dai chimici di Berlino nelle esperienze coi neutroni secondo Curie-Savitch

fig.8 Schema dei periodi di dimezzamento delle esperienze di Hahn, Meitner e Strassmann sui transuranici riassunte da Irene Curie e Paul Savitch nel 1938

L'elemento R3,5 h aveva caratteristiche chimiche simili a quelle delle terre rare molto

vicine al lantanio, inspiegabili secondo la chimica e la fisica dell’epoca. L’anomalia rispetto agli schemi dei ricercatori di Berlino portò Hahn e Strassmann (Lise Meitner, ebrea austriaca, aveva lasciato la Germania proprio nell’estate del 1938) a studiare il misterioso elemento che aveva fatto la sua comparsa tra i transuranici. Le nuove ricerche dei chimici di Dahlem invece di chiarire la questione moltiplicarono il numero di radioisotopi prodotti dall’irradiazione dell’uranio con neutroni. Hahn e Strassmann credettero di identificare tre diverse catene di decadimento di isomeri del radio che seguivano lo schema: radio attinio torio. L’unica possibile spiegazione teorica della → →formazione di radio dall’uranio era quella di ipotizzare un doppio decadimento alfa e Hahn ne parlò anche con Bohr durante una visita a Copenaghen.

La svolta cruciale fu però compiuta alla fine del 1938 quando il tentativo di separare, tramite cristallizzazione frazionata, il radio dal bario, utilizzato per far precipitare i radioisotopi, non diede nessun risultato. Dal punto di vista chimico il bombardamento dell’uranio aveva prodotto isotopi del bario. Nella notte del 19 dicembre (nove giorni dopo il premio Nobel a Fermi) Hahn scriveva a Lise Meitner esule in Svezia. “Ci sentiamo sempre più spinti verso una conclusione assurda: i nostri radioisotopi non si comportano come radio, ma come bario. Siamo ovviamente convinti che l’uranio non possa spaccarsi in bario” (Nigro p. 318). Tre giorni dopo Hahn e Strassmann inviarono il loro articolo (pubblicato il 6 gennaio 1939) famoso per le frasi: “Come chimici siamo obbligati ad affermare che i nuovi prodotti sono isotopi del bario […] Ma come chimici nucleari, che lavorano molto vicino al campo della fisica, non possiamo risolverci a compiere un passo così drastico, che va contro tutte le esperienze precedenti in fisica nucleare.”

Il 28 dicembre Hahn inviava un’altra lettera alla sua amica in Svezia. “Dovresti aver ricevuto il manoscritto del nostro lavoro […] forse l’uranio si è frantumato in Ba e Ma. […]Se la mia opinione è esatta i transuranici Ausonio e Esperio, sparirebbero.” (Nigro p. 319).

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Il riferimento al masurio del passo precedente nasceva dalla comprensione dell’errore commesso nell’interpretazione dei risultati sui transuranici che comportava lo spostamento di periodo degli elementi: come il radio si era trasformato nell’omologo bario di minore numero atomico, così l’ausonio ekarenio poteva essere l’omologo del renio di minore peso atomico (il masurio). Lise Meitner, in vacanza con il nipote Otto Frisch (fisico presso il laboratorio di Bohr), rispondeva il primo gennaio del 1939. ”Abbiamo letto attentamente il vostro lavoro e, su di esso, abbiamo riflettuto: forse è possibile, dal punto di vista energetico, che un nucleo pesante si rompa.” (Nigro p. 319).

Il giorno successivo i Fermi giunsero a New York (dopo il Nobel Fermi e la sua famiglia erano stati ospiti di Bohr a Copenaghen e la notte di Natale si erano imbarcati). Il 3 gennaio Otto Frisch a Copenaghen parlò con il grande fisico danese che confermò le idee di Lise Meitner e del suo allievo sul modello a goccia del nucleo. Telefonicamente i due parenti prepararono l’articolo sulla disintegrazione del nucleo, la “fissione”, termine che secondo Frisch fu adottato dall’analogia con la duplicazione di una cellula e suggerito dai biologi di Copenaghen. Il lavoro fu spedito il 16 gennaio. In esso i due autori valutavano un’energia cinetica complessiva dei prodotti della reazione di 200 MeV. I due isotopi che davano ciascuno una catena di disintegrazione erano il bario e il kripton (Z=92-56). Inoltre i fisici supponevano che i due brevi periodi di 10 secondi e 40 secondi attribuiti fino ad allora all’uranio 239 non fossero altro che tempi caratteristici degli isotopi del masurio.

fig.9 Interpretazione del processo di fissione nel modello a goccia del nucleo

Una seconda nota del solo Frisch seguì dopo una settimana. Pubblicata su Nature, riguardava l’evidenza sperimentale dei prodotti di fissione creati dal bombardamento di neutroni su uranio e torio, ed era effettuata con camera di ionizzazione. Nel frattempo Bohr si era imbarcato per New York, dove giunse il 16 gennaio (tra gli altri fu accolto anche da Fermi). La novità non fu immediatamente rivelata da Bohr che aspettava la pubblicazione degli articoli di Frisch e Meitner.

Leon Rosenfeld, secondo Pais, fisico che faceva parte del gruppo Bohr, espose pubblicamente e all’insaputa del maestro, le prime notizie sulla fissione a Princeton. Il vaso di Pandora aperto non poteva essere più richiuso, centinaia di ricercatori immediatamente cercarono di ottenere risultati nel nuovo campo di ricerca. Il 26 gennaio sia Fermi che Bohr riferirono in un convegno di fisica teorica a Washington i primi risultati sulla fissione. In seguito, un intervento di Fermi alla radio americana sul tema, senza citazioni di Lise Meitner e Otto Frisch, provocò un litigio tra i due premi Nobel. Così Fermi nel suo primo articolo americano del febbraio 1939 The fission of uranium, fece ammenda citando più volte Bohr, Frisch, Meitner.

Il fisico italiano si preparava intanto a valutare il numero di neutroni emessi nel processo di fissione. Il fisico danese ipotizzava che l’isotopo dell’uranio 235 fosse il nucleo fissile (come lo stesso Fermi riportava nel suo articolo sulla fissione).

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fig.10 Fermi e Bohr negli Stati Uniti nel gennaio 1939; fig.11 Una fotografia dei prodotti di fissione dell’uranio nel 1939

fig.12 Sequenza di eventi che si succedono, nei tempi indicati, in un tipico processo di fissione indotto dall'urto di un neutrone contro un nucleo di uranio 235. Da sinistra, 10-14 s dopo che il neutrone

incidente è penetrato nel nucleo (in blu sono rappresentati i neutroni, in bianco i protoni), questo, reso instabile, si spezza in due frammenti costituiti da nuclei, anch'essi instabili, di elementi più leggeri (per es., stronzio, bario, cesio ecc.): nel distaccarsi, i due frammenti acquistano una notevole energia cinetica (che costituisce circa l'80% dell'intera energia liberata dalla reazione) e, dopo altri 10-14 s, emettono due o tre neutroni (i quali possono, colpendo altri nuclei, generare una reazione di fissione a catena); dopo altri 10-12 secondi, con l'emissione di raggi gamma inizia il processo di decadimento radioattivo dei frammenti, che può perdurare, a seconda della loro natura, da pochi secondi a interi anni con emissione di altri raggi gamma e di raggi beta (elettroni)

Epilogo: il nettunio

Intanto, in California, Emilio Segrè nello stesso anno mancava la scoperta del vero ausonio.Se le prime due serie di decadimenti beta indicate da Hahn e Meitner, che iniziavano con periodi di 10 secondi e 40 secondi, erano sicuramente prodotte da isotopi di elementi leggeri, la terza invece che avveniva con neutroni lenti, periodo di 23 minuti ed energia dei neutroni ben definita, poteva essere considerata una reazione con la produzione di un elemento con Z=93?

Nei laboratori di Berkeley con il ciclotrone da 37 pollici Edwin Macmillan nel 1939 esaminò i prodotti di decadimento dell’uranio irradiato, trovando un’attività prossima al valore indicato dai chimici di Dahlem a cui ne seguiva un’altra, molto intensa, di periodo prossimo a due giorni. Segrè raffinò i valori del collega in 23 minuti e 2,3

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giorni e identificò , come afferma Heilbron, l’attività del corpo di periodo 2,3 giorni con una terra rara (giustamente) quindi concluse (sbagliando però) che doveva essere il prodotto della fissione e non un elemento transuranico. L’elemento di periodo 2,3 giorni era in realtà un isotopo dell’elemento 93. Solo nel 1940 Abelson e Macmillan lo scoprirono, nettunio fu il nome che gli venne assegnato, quando finalmente divenne chiaro che gli elementi più pesanti dovevano essere riuniti in un secondo gruppo analogo alle terre rare.