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Bimestriel ( sauf Juillet - Août ) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XIV - n° 1 - Gennaio - Febbraio 2012 Ed. Resp.: Catania Francesco Paolo, Bld de Dixmude , 40/ bte 5 (B) 1000 Bruxelles - Tél & Fax: +32 (0) 2 2174831 - Gsm: +32 475 810756 Belgique - België P.P. - P.B. 1099 BRU X 1/1605 P912772 Bureau de Dépôt: Bruxelles X Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli. [ Thomas Jefferson ] La lezione siciliana

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Bimestriel ( sauf Juillet - Août ) di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno XIV - n° 1 - Gennaio - Febbraio 2012 Ed. Resp.: Catania Francesco Paolo, Bld de Dixmude , 40/ bte 5 (B) 1000 Bruxelles - Tél & Fax: +32 (0) 2 2174831 - Gsm: +32 475 810756

Belgique - België

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1099 BRU X

1/1605

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Bureau de Dépôt: Bruxelles X

Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli. [ Thomas Jefferson ]

La lezione siciliana

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L’ignoto marinaio

Eugenio Preta

I l 23 gennaio nella chiesa del sacro cuore di Sant'Agata di Militello, quell'ignoto marinaio ha trovato finalmente la sua Isola e, nel silenzio di candelabri e fiori dipinti, si è acquietato

il suo errabondo andare per piazze e contrade, quella sua voglia di girare e rigirare l'Isola ogni volta come quando da Milano vi ritornava per una parentesi di serenità, un ritorno alle origini: Sant'Agata Militello, il suo mare, il passio e lo sconforto dei giovani dopo lo smog e le nebbie di un Nord parsimonioso e frenetico, ma lontano. E nel nostro bimestrale L'ISOLA, braccio culturale de L'ALTRA SICILIA, a cui anni fa venne a mancare l'abbecedario salesiano di don Rizzo, maestro di infinite letture e classici greci e latini e divieti e tanto affetto nelle spire di un'adolescenza lenta da venire e veloce poi ad andarsene, con la scomparsa dei riferimenti che il tempo cancellava lasciandoci disarmati e soli davanti allo scorrere della vita, oggi si vede privata di un altro punto polare di riferimento culturale, un maestro di vocaboli e parole, ricercatore e forgiatore di una lingua siciliana vera, non artefatta né fasulla come quella di tanti inventori di storie che oggi hanno scoperto nel dialetto neanche poi universale dei paesi inventati, la fortuna dei loro scritti. Con Vincenzo Consolo scorrevano sulle pietre vive del quotidiano le acque scarse e forse inquinate dei torrenti delle piane siciliane sotto sbalze fino ai muri a secco, nella sperimentazione linguistica che trovava in termini mutuati dai classici, antichi, aulici e barocchi, l'origine di un linguaggio poetico forgiato nella modernità delle rivolte contadine prima e nei gas di scarico dei forconi oggi, certamente nuovo e di una beltà trascendente il tempo e lo spazio e le mode. Tanti scritti, per noi sempre pochi pero', ormai chiusi nella scansia dei ricordi, nei ripiani di una biblioteca che si piegano oggi sotto il

peso di voluminose raccolte di parole, molte superflue ma alcune preziose e irrinunciabili come quelle di Pirandello, Bufalino, Consolo, D'Arrigo, D'Anna, Tomasi di Lampedusa, Lucio Piccolo e per la formazione di una coscienza critica e di una accennata conoscenza linguistica sperimentale. E' strano, oggi che il carro funebre del maestro di retablo attraversa autostrade e trazzere alla fine per ritornare a casa Consolo, che si sia interrotto quel blocco dei Tir che ha lasciato immaginare il risveglio delle coscienze e che quei "forconi" indispensabili si siano trasferiti verso il nord, quasi in controsenso a questo viaggio del maestro, quasi a non voler imbarbarire con le accezioni del quotidiano quel cammino finale verso il sacro e l'incondizionato Restano perciò, in un piano più in basso, le proteste e le rivendicazioni della gente, fuori posto nella tristezza di un giorno particolare che ci riporta a ripensare ad una lingua che vorremmo anche noi possedere e forgiare come ha fatto Vincenzo Consolo, al barone Piraino, alla sua Mandralisca, allo spasimo di Palermo, all'ulivo e l'olivastro, a retablo, alle pietre di pantalica, a nottetempo casa per casa, alle descrizioni dello stretto più nitide delle foto di Ferdinando Scianna e rivive per un attimo anche Gesualdo Bufalino e quella vita che, diceva, sentiva forte tra le dita, per malconcia che fosse, ma che lentamente scivolava via. La nostra Isola, oggi, si ferma un attimo, mentre bruciano le candele di quella cerimonia finale. Nel continuo girare e rigirare i luoghi della nostra terra, come diceva Vincenzo Consolo, e nella voglia e nella smania che non ci lascia mai stare fermi in un posto, restiamo trepidi e spaventati mentre sospettiamo sia questo una sorta di addio, una specie di tenzone finale, un voler vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.

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P allavicino Trivulzio immediatamente, l’otto ottobre, vieta e fa chiudere quelli già esistenti associazione, club e circolo di qualsiasi genere. Nello stesso tempo indice il plebiscito

con il proclama: “Il popolo delle province continentali dell'Italia meridionale sarà convocato il giorno 21 del corrente mese di ottobre in comizi, per accettare o rigettare il seguente plebiscito: "Il popolo vuole l'Italia una e indivisibile, con Vittorio Emanuele, re costituzionale, e suoi legittimi discendenti". Il voto sarà espresso per sì o per no, per mezzo di un bollettino stampato. Sono chiamati a dare il voto tutti i cittadini, che abbiano compiuto gli anni ventuno". Per capire bene l’opera del Pallavicino Trivulzio basta leggere la commemorazione di Federico Paolo Sclopis(16) al Senato: “(…) Né, l’anno appresso, furono punto da meno gli entusiasmi e gli aiuti di lui alla portentosa spedizione dei Mille. Chiamato a Napoli dal Garibaldi, vi assunse l’ufficio di Prodittatore. Trovò divisi gli spiriti. Altri bolliva di voglie repubblicane: altri di regi amori. Altri portendeva la unità dell’intera nazione: altri il federalismo. E questi oravano per la proroga dei poteri del dittatore: e quelli per la convocazione di una Costituente: e molti per la immediata designazione di un Principe. E chi al Principe eletto avrebbe dato la Corona: e chi la sola Reggenza. Era urgente pigliare un partito terminativo. A ciò la formula del plebiscito, indetto dal Prodittatore pel 21 ottobre: « Il popolo vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi discendenti? » La più meravigliosa maggioranza di voti, da un capo all’altro dell’ex-Reame, ha affermato la formula. Da quel dì si è potuto annunziare al mondo civile che «l’Italia è risorta». Issofatto il conte di Cavour scriveva per telegramma al Pallavicino «L’Italia esulta per lo splendido risultato del plebiscito, che al suo senno, alla sua fermezza, e al suo patriottismo è in gran parte dovuto. Ella si è acquistato così nuovi e gloriosi titoli alla riconoscenza della nazione»(17). E il Re gli ha conferito, massimo degli onori, il Collare dell’Annunziata. Nella primavera del 1862, pregato da Urbano Rattazzi, il Pallavicino andò Prefetto a Palermo, dove gli antichi autonomisti ponevano ogni giorno a pericolo la pace pubblica. Niuno meglio di lui, apostolo efficacissimo della unità, potea bastare ad infrenar i riottosi: e poiché a tale intento occorreva, innanzi ogni cosa, sinceramente e saldamente attuare le libertà statutarie, a tutt’uomo e’si ingegnò di incarnarle in ogni membro, in ogni ramo della Amministrazione.(…)”(18) Basta andare a ritroso nel 1857 per trovarlo insieme a La Farina e Daniele Manin a Torino dove fondarono la Società nazionale italiana(19), una associazione avente l’obiettivo di orientare l’opinione nazionale verso il Piemonte di Cavour(20) . Andiamo ancora dietro con il tempo per trovare Garibaldi che incontra gli autori di un programma ben definito già in origine, soprattutto con Cavour: “Nel 1854 ha molti e proficui incontri con gli affiliati di varie Officine Londinesi, fra cui la Loggia “PHILADELPHES” di Londra, che raccolgono molti esuli europei, tutti esponenti della democrazia e del “libero pensiero”. Garibaldi frequentando questi fratelli si convince della necessità di collaborare con tutti i massoni in genere e con i moderati in

particolare per la realizzazione del “Programma Italiano”. Ed è il fratello Felice Foresti a combinare l’incontro tra Garibaldi e Camillo Cavour, Gran Maestro “in pectore” della risorgente Massoneria Italiana, con il presidente della Società Nazionale Giorgio Pallavicino Trivulzio (21), carbonaro e Massone a sua volta e con Costantino NIGRA, cui il Grande Oriente Italiano ha affidato la carica di Gran Maestro(22).” (23) Ecco l’apporto chiarificatore da parte della Loggia Grande Oriente d’Italia - Massoneria Universale – Comunione d’Italia sul ruolo della Società Nazionale: “Ciò che non si poteva realizzare politicamente con la Società Nazionale si poteva tentare grazie alla mediazione della massoneria, e cioè unificare sotto un unico progetto formazioni e partiti programmaticamente distanti ma uniti da una comune aspirazione all'indipendenza nazionale e all'emancipazione del popolo italiano. Esisteva un forte parallelismo tra il processo di unificazione del Paese e lo sviluppo della massoneria italiana nel periodo compreso tra la metà del 1859, quando l'Italia era considerata solo un'«entità geografica» composta da sette stati sovrani e la liberamuratoria era praticamente inesistente, e la fine del 1861, quando Vittorio Emanuele II regnava su uno stato ormai unificato e le officine torinesi organizzavano la «prima costituente massonica», cui presero parte i rappresentanti di 21 logge italiane.(24) Il plebiscito in Sicilia aveva i connotati di una festa, o di una farsa, dove vi era stata sfarzosità di tricolori e di “SI” come ha ben illustrato De Roberto, quella era l’atmosfera, è inutile negarlo. Così: “Già i sì colossali erano tracciati sui muri, sugli usci, per terra; al portone del palazzo il duca ne aveva fatto scrivere uno gigantesco, col gesso; e il domani, in città, nelle campagne, frotte di persone li portavano al cappello, stampati su cartellini di ogni grandezza e d'ogni colore.”(25)

Così scrive Ippolito Nievo da Palermo il 16 ottobre alla madre Adele Marin Nievo: “(…) -oggi l’annessione è proclamata doversi fare col plebiscito per sì o per no- tutta Palermo è pieno di sì - (…)”(26). Il 23 ottobre del 1860 scrive alla cugina Bice Melzi Gobio: “(…) Qui siamo in mezzo al gran frastuono dei sì. L’Italia una e indivisibile ha travolto le teste di questi buoni Palermitani, i quali non fanno altro che correre gridando sì sì che paiono dannati. In 32000 votanti non abbiamo che 20 no, figurati!”(27)

La spiegazione di questa manifestazione di giubileo per il sì la troviamo in quello che scrive da Palermo il 5 Dicembre del 1860 ad Andrea Cassa, in una lettera rimasta nel cassetto: “(…) Ora il Re è venuto a darci un po’ di vacanza e a toglierci il perpetuo noioso ronzio delle mosche Siciliane che lasciano per la speranza d’un piatto più dolce il solito pane quotidiano. Che gente, Andrea, che gente! E’ proprio vero che le cose vanno vedute alla lontana per farsene una giusta idea - ed io che essendo in Lombardia dava tanto su i corni ai nostri materialisti Lombardacci, qui trovo invece che meritano uno per uno la corona civica. Sarà forse colpa del Borbone o del diavolo ma non si può campare un giorno in Sicilia senza mandar a quel paese la razza umana e chi le somiglia! Miracolo e fortuna che tanto senno rimase loro da grattarsi la

LA FARSA TRAGICA DEL PLEBISCITO

e la “sicilosincrasia” (2)

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rogna peggiore e aiutar noi che venivamo a guarirla! Così spero che miglioreranno, e quel lucido intervallo passato ci deve dare qualche lusinga di crederlo. Imposte e leva, leva ed imposte - questo è il miglior mezzo d’educazione; e ce lo (la lettera, che non venne spedita, si interrompe qui.)” (28) Ecco chi ha promosso il plebiscito: le mosche siciliane sono li cutrara, coloro che fingendo un interesse ideologico in realtà nascondevano un fine di vile interesse economico. Già ho scritto su questo argomento: “La storia del Popolo Siciliano ha una delle pagine più terribili e più ignobili, mai scritte, conosciuta come La rivolta contro i cutrara (29). E’ una delle tante manifestazioni di sofferenza della neo colonizzazione piemontese ai danni del Popolo Siciliano, il quale subito ha avvertito il giogo e subito si è ribellato. Castellammare del Golfo sicuramente aveva degli uomini che si definivano liberali e appoggiavano la causa della liberazione dell’oppressione borbonica. (…) Il Popolo di Castellammare del Golfo rispose positivamente all’esortazione garibaldina, ha creduto alla liberazione, al cambiamento, ha creduto alla rivoluzione. Le aspettative furono subito deluse e chi ha parlato di libertà e di nobili principi in realtà aveva degli interessi personali di arricchimento, tradendo la propria Terra e il proprio Popolo. Nasce così, subito, quella classe politica che servì al potere piemontese per colonizzare la Sicilia, in cambio di vantaggi per se per i loro parenti e amici. Ancora oggi con nuove e vecchie etichette, ma vecchie maschere, blaterano parole di giustizia, libertà per poi farsi gli interessi propri. Questi sono i cutrara! I cutrara sono i politici che hanno esortato il popolo alla rivolta e poi lo hanno tradito. Pertanto la rivolta contro i cutrara non è una manifestazione di una classe sociale contro un’altra, come alcuni storici tentano di fare passare, ma di sofferenza politica alla neocolonizzazione italiana, come ve ne furono in altre parte della Sicilia, fino alla rivolta del Sette e Mezzo di Palermo. Tutte soffocate con estrema ferocia dalle truppe garibaldine e sabaude.” (30) ( 2 - Continua )

Alphonse Doria

16. Federico Paolo Sclopis, conte di Salerano nato a Torino, 10 gennaio 1798, dove morì l’8 marzo 1878, è stato un giurista e politico italiano. Come giurista ebbe un ruolo di rilievo nella redazione dello Statuto Albertino.

17. Isaia Ghiron I benemeriti della unità e della indipendenza d’Italia. Milano, Ed. Battezati, 1877, pag. 61.

18. Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 4 febbraio 1879. 19. L’Associazione fu ideata e pilotata totalmente da Cavour e il Garibaldi ne era il

vicepresidente onorario. Il partito d'azione mazziniano, era completamente in calo dando spazio alla Società nazionale si clandestinamente nella maggior parte degli stati preunitari italiani mutando di fatto il movimento risorgimentale confederale traviandolo in quello unitario alla luce del sole nel Regno di Sardegna. Organizzò e fornì supporto per la Spedizione dei mille. Raggiunto lo scopo: l'unità d'Italia l'associazione declinò lentamente, le sue mansioni passate al governo italiano, così nel 1862 l'associazione venne sciolta definitivamente.

20. Rivista del Grande Oriente d’Italia n° 1/2011 Hiram 2011 direttore Gustavo Raffi.(http://www.montesion.it)

21. Assunse la carica dopo la morte del Manin, nel dicembre 1857. 22. Dal 3 ottobre 861 al 31 gennaio 1862 23. Giuseppe Garibaldi Libero Muratore 1807 – 1882 Roma, 31 gennaio 2007 E.V.

A G D G A D U GRAN LOGGIA D’ITALIA DEGLI ANTICHI LIBERI ACCETTATI MURATORI MASSONERIA UNIVERSALE DI RITO SCOZZESE ANTICO ED ACCETTATO OBBEDIENZA DI PIAZZA DEL GESU’ PALAZZO VITELLESCHI SEDENTE IN ROMA R L “Giuseppe PAPINI” N° 1396 OR di ROMA Pagina 3

24. 1860-1885 - La Rinascita della Massoneria nell'Italia unita (presa visione il 4 agosto 2011 ore 19,28 www.grandeoriente.it)

25. IL CICLO DEGLI UZEDA: L’Illusione, I Vicerè, L’Imperio - A cura di SergioCampailla edizione 1994 I MAMMUT della Newton Compton editori s.r.l. Roma - Pagina 423

26. Impressioni di Sicilia di Ippolito Nievo Ibis Como – Pavia 1992 Pagina 58 27. Ibidem Pagina 60 28. Ibidem Pagine 75 e 76. 29. Giorni 1, 2 e 3 del gennaio 1862 30. CUTRA pubblicato su L’ISOLA Editore Francesco Paolo Catania Bruxelles

(Belgique) – Bimestrale anno XIII - n° 2 - ( Marzo / Aprile ) 2011. Pagina 6.

C orreva l’anno 827 d.C, gli arabi, avevano già conquistato la Spagna con l’Andalusia ed avendo

ancora sete di conquiste si gettarono a capofitto nel Tirreno portando la loro guerra santa in Sicilia (e non solo). Quando gli arabi iniziarono la conquista della Sicilia i bizantini non ne furono molto entusiasti ma alla fine dovettero cedere. Inizialmente, avendo trucidato un bel po’ di persone, i siciliani erano molto diffidenti nei loro confronti, ma pian pianino gli arabi si dimostrarono come una popolazione di grande tolleranza religiosa e civile.

Ma iniziamo la nostra leggenda….

N on avendo molta fiducia nei musulmani, i siciliani si guardavano bene dall’osannare i nuovi conquistatori.

L’ostilità era così tanta che il re arabo Miramolino doveva fare qualcosa per evitare scontri. Uno dei suoi più grandi consiglieri era la figlia Nevara la quale era convinta che con la forza non si sarebbe ottenuto nulla poiché si prendono più api con un ramoscello fiorito che con una grossa botte di aceto. (Che donna!) In realtà la principessina dava questi consigli al padre perché era innamorata di un giovane nobile siciliano (ovviamente bello. Tranne Polifemo e i ciclopi poi sono tutti belli nelle nostre storie), quindi la signorina voleva portare la pace e la saggezza per un doppio scopo. Miramolino, ascoltando il consiglio della figlia, permise agli isolani di continuare a lavorare la terra e di commerciare, ma, per fare capire loro che gli arabi erano sempre quelli che avevano il potere proibì di portare armi e non potevano essere più alti di loro. Per questo motivo non volle che la popolazione siciliana montasse a cavallo. Vada per le armi, che volendo, si possono anche nascondere, ma a cavallo ci si deve andare… “Né noi, né loro!” Una bella notte, offesi per l’affronto, i siciliani avvelenarono gli abbeveratoi e in pochissimo tempo morirono tutti i cavalli dell’isola. Miramolino chiese quindi di fare arrivare delle navi piene di cavalli dal nord africa ma il destino volle che durante una tempesta le navi affondarono tranne una piena di asini. A quel punto gli arabi furono costretti a cavalcare gli asini e l’immagine era talmente ridicola che i siciliani iniziarono a prenderli in giro. Gli sceicchi sui somarelli...da qual momento in poi in dialetto gli asini vennero chiamati scecchi. Re Miramolino dopo la figuraccia permise nuovamente ai siciliani di poter montare a cavallo e di poter suonare le loro campane. Da questo momento in poi iniziò la pacifica convivenza tra i due popoli.

Alessandra Cancarè

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affaire acqua nella provincia più assetata d’Italia, quella di Agrigento, si consuma all’ombra dei Templi, ma

soprattutto delle pubbliche istituzioni, a partire dal dicembre 2007. E precisamente da quando l’avvocato Gaetano Armao, attuale assessore regionale all’Economia, viene chiamato ad esprimere un parere legale sulla controversa aggiudicazione del servizio idrico integrato nei 43 Comuni della provincia di Agrigento ad una società per azioni, denominata Girgenti Acque. Acque, fogne ed impianti di depurazione nell’Agrigentino, da quel dannato momento, dovevano diventare il business del secolo. Il valore dell’affare, in termini di guadagni netti, da realizzare ai danni dei cittadini agrigentini, è stimato in non meno di un miliardo di euro! L’azienda che è stata creata all’occorrenza per ‘pilotare’ questa operazione è era un mix, un miscuglio cioè, di aziende private e di enti pubblici. Ne fanno parte anche alcuni Comuni, come Agrigento, Favara, Aragona, Raffadali ed altri Comuni del consorzio pubblico Voltano, oltre che una società catanese denominata Acoset, anch’essa, con al suo interno, enti pubblici e privati. Insomma, si tratta di una società mista, peraltro squattrinata, senza la necessaria solidità economica, per affrontare la grande sfida: la gestione, per un terzo di secolo, di tutti i servizi idrici dell’Agrigentino. Girgenti Acque si sarebbe dovuta occupare della captazione e distribuzione dell’ acqua potabile, della gestione e del rifacimento delle reti idriche e fognarie, della costruzione dei depuratori per le acque reflue e della messa in funzione di quelli esistenti. In quattro anni nulla di tutto quanto previsto nel contratto di gestione, sottoscritto dall’Ato idrico di Agrigento e Girgenti Acque è stato realizzato. Anzi, nelle case, spesso, arriva acqua inquinata, mentre il mare di San Leone, la località balneare della città dei Templi, è tra i più inquinati d’Italia, a causa della mancata depurazione delle acque. Un disastro. Tant’è vero che è sorto una grande movimento pubblico, denominato il “Comitato degli Inquinati Agrigentini”, per perorare la causa dell’attivazione del depuratore di Agrigento. Tale movimento, più o meno inspiegabilmente, incontra delle comiche e paradossali resistenze di un noto ambientalista agrigentino, il consigliere comunale di Agrigento e componente della direzione nazionale di Legambiente, Giuseppe Arnone. Quest’ultimo difende l’indifendibile: e cioè Girgenti Acque che, da quattro anni, continua ad inquinare il litorale agrigentino ed a distribuire acqua inquinata dentro le case. Le bollette, nell’Agrigentino, sono tra le più care d’Italia. Le reti idriche continuano a perdere più del 50 per cento dell’acqua che esce dai serbatoi, con

gravi carenze nella distribuzione. Su tali reti, per il loro rifacimento, come previsto da contratto, non è stato speso un solo centesimo. Nulla si è visto dei 120 milioni di euro relativi ai finanziamenti europei, già previsti dal programma denominato Agenda 2000 (Programmazione 2000-2007). A questi finanziamenti, Girgenti Acque, avrebbe dovuto sommare, come da contratto, una sua compartecipazione del 30 per cento, cosa che puntualmente, dopo quattro anni non è avvenuta. Insomma, alle gravi inadempienze contrattuali di Girgenti Acque, vanno sommati anche i disastri ambientali causati nelle coste agrigentine, con gravissimo nocumento per la salute dei bagnanti. Sul mare inquinato di San Leone, già da qualche anno, le polemiche si sprecano. Spesso capita che, in maniera scorretta, non viene ufficialmente comunicato che il mare, a seguito delle analisi effettuate, non solo è inquinato, ma rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica. Ed è stato proprio l’insigne avvocato Armao, a dare il là, nel dicembre del 2007, alla stipula di quel tanto contrastato contratto firmato per conto, dell’Ato idrico di Agrigento, dall’allora presidente della Provincia, l’attuale deputato nazionale del Pdl, Enzo Fontana (vicinissimo all’ex ministro Angelino Alfano) e da Giuseppe Giuffrida, amministratore delegato di Girgenti Acque e dell’altra società, la già citata Acoset.

Il conflitto di interessi

In questa storia non manca il conflitto d’interesse. Sono oltre venti i sindaci agrigentini che presentano ricorso contro la stipula di un contratto capestro per trent’anni

che consente un’insolita aggiudicazione di un servizio pubblico. In altri termini, alcuni Comuni se la cantano e se la suonano in pieno conflitto d’interessi! Tra questi, il comune capoluogo Agrigento e gli altri enti locali facenti parte del consorzio pubblico Voltano che, a sua volta, fa parte di Girgenti Acque. Mentre tutti quanti assieme fanno parte dell’Ato idrico, cioè della struttura organizzativa che ha indetto la gara d’appalto. Un sistema di scatole cinesi che ha consentito alla città di Agrigento ed ai Comuni del Voltano di auto aggiudicarsi, in pieno conflitto d’interessi, una gara che loro stessi avevano indetto, in quanto componenti dell’Ato stesso! E’ come se, oggi, l’avvocato Armao firmasse, proprio a seguito di un suo parere, una delibera di aggiudicazione alla metà della giunta regionale di cui egli fa parte di un servizio pubblico del valore di qualche miliardo di euro la cui gara d’appalto è stata indetta dalla stessa giunta regionale!

… e volarono via 300 mila euro…

Giuseppe Giuffrida è l’amministratore delegato di Acoset e di Girgenti Acque (della quale fa parte la stessa Acoset). Il Giuffrida, candidamente, ebbe a dirci, nel 2008 che, per ‘chiudere’ l’operazione, avrebbe sborsato, per conto delle società che rappresentava, qualcosa come 300 mila euro. Possibile? E nelle tasche di chi sarebbero finiti questi soldi? Per pagare chi? Va detto che in, quegli anni, in Sicilia non mancavano certo avvocati amministrativisti che incassavano certe mega parcelle con la ‘benedizione’ della politica. In questi quattro anni di gestione dell’acqua, andata in scena senza la concessione regionale per prelevare l’acqua dalle fonti di approvvigionamento, Girgenti Acque ha dovuto rifornirsi presso due altri consorzi pubblici: Sicilacque (altra società dove la Regione siciliana ha una partecipazione di minoranza) ed il consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, quest’ultimo costituito interamente da sette Comuni. Entrambe titolari di regolare concessione, sia Sicilacque che il consorzio Tre Sorgenti, devono ancora ricevere da Girgenti Acque qualcosa come 30 milioni di euro, al punto che hanno dovuto fare ricorso ai Giudici Civili che, con tanto di emissione di decreti ingiuntivi, ha riconosciuto tale gravissima situazione debitoria di Girgenti Acque! C’è di più. Girgenti Acque ha avuto al proprio interno anche due società, una campana ed una sarda, alle quali è stato negato il rilascio della necessaria certificazione antimafia. Addirittura si è scoperto che il titolare della società sarda era figlio del titolare della società campana. Società, quest’ultima, caldeggiate da un alto funzionario dello Stato che, inizialmente, aveva assunto posizioni critiche nei confronti dell’aggiudicazione della gestione dei servizi idrici integrati in provincia di Agrigento, perché, come dicevamo, avvenuta in pieno conflitto d’interesse. Poi, però, più o

L’ex sindaco di Racalmuto finito sotto processo L’ex sindaco di Racalmuto finito sotto processo L’ex sindaco di Racalmuto finito sotto processo per aver scoperchiato le verità su Girgenti Acque.per aver scoperchiato le verità su Girgenti Acque.per aver scoperchiato le verità su Girgenti Acque.

Storia di un'ingiustiziaStoria di un'ingiustiziaStoria di un'ingiustizia

L’ amaro prezzo delle mie denunceL’ amaro prezzo delle mie denunceL’ amaro prezzo delle mie denunce

Uno scandalo enorme!!!

La Nestlè è una multinazionale Francese che ci ruba l’acqua di Santo Stefano di Quisquina e ce la rivende ad un prezzo mille volte superiore dentro alle bottiglie che recano l’etichetta, Acqua Vera che, tutti quanti conosciamo. E per costringerci a comprare acqua in bottiglia, la nostra stessa acqua, imbottigliata dai Francesi, la società di gestione Girgenti Acque, in tutti i comuni della provincia di Agrigento, ci rifornisce o ci vorrebbe rifornire di acqua inquinata! Girgenti Acque ci rifornisce di acqua non potabile, per costringerci a compare l’acqua della Nestlè, la nostra stessa acqua che ci rivendono, in provincia di Agrigento, ad un prezzo mille volte superiore alla normale acqua potabile che ci viene negata da Girgenti Acque!

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Basta con le teorie Gattopardiane sui Siciliani !

E E

meno inspiegabilmente, tale alto funzionario, non più operante ad Agrigento, cambia idea. Come già accennato, 30 milioni di euro di debiti sono stati riconosciuti dai Giudici Civili al Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì ed a Sicilacque. Riguardo alla mancata consegna degli impianti e del patrimonio, sempre da parte del Consorzio idrico Tre Sorgenti di Canicattì, il Tar ha riconosciuto tale scelta del tutto legittima. Recentemente, anche all’ultimo commissario regionale inviato dalla Regione siciliana per consegnare gli impianti di proprietà del Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì a Girgenti Acque, l’architetto Giuseppe Taverna, è stato impedito l’ingresso negli uffici consortili, e quindi il suo insediamento, attraverso un sit-in di protesta. Tutti i sindaci si sono presentati a quel sit-in, con in mano un ulteriore ricorso, contro questa illegittima eventuale consegna degli impianti e del patrimonio del Consorzio. Sempre nel corso del sit in sono stati esibiti i decreti ingiuntivi per oltre 8 milioni di euro, riconosciuti dai giudici al consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, ed i ricorsi vinti dallo stesso consorzio contro la tentata espropriazione da parte di Girgenti Acque. Siamo al paradosso: Girgenti Acque anziché pagare le ingenti somme dovute ai Comuni interessati, a seguito dei pronunciamenti dei Giudici Civili, avrebbe voluto andare oltre, violando anche quanto previsto dalle recenti normative, in materia di pubblicizzazione dell’acqua, a seguito del plebiscitario risultato ottenuto nel recente referendum a favore dell’acqua pubblica. Resta da capire, in questa storia, quel è il ruolo svolto dall’attuale governo regionale.

Il vero volto di Girgenti Acque

Ecco, allora, il vero volto di Girgenti Acque: una società che non ha i requisiti previsti dalla legislazione antimafia e debitrice di oltre 30 milioni di euro nei confronti di numerosi enti pubblici. Una società che si è aggiudicata, in pieno conflitto d’interesse ed avvalendosi, nelle maniera che abbiamo spiegato, di un contorto e controverso parere legale rilasciato dall’avvocato Gaetano Armao, attuale assessore regionale in Sicilia. Una società rappresentata attualmente da un amministratore delegato raggiunto da una condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. Una società, insomma, che si è caratterizzata per disservizi gestionali, per i mancati investimenti previsti, per violazioni contrattuali e per la presenza, al proprio interno, di società che violano la legislazione antimafia. Per non parlare, poi, della grave situazione debitoria. Il Giuffrida, in maniera maldestra, ha tentato, avvalendosi di intercettazioni ambientali, di bloccare l’azione di chi lo aveva denunciato, nel 2008, in tutte le sedi civili, amministrative e penali. Ha tentato anche di fare materialmente arrestare coloro i quali lo avevano denunciato. Tutto ciò si evince dal pronunciamento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, Alberto D’Avico. Paradossalmente, in maniera assai chiara ed evidente, proprio nelle stesse intercettazioni prodotte dal Giuffrida, ci sono chiare e lampanti prove dei suoi tentativi di corruzione, posti in essere nei confronti degli amministratori pubblici che lo avevano denunciato. Questo soggetto ha teso più di un tranello, cercando di mettere in difficoltà alcuni sindaci e l’allora presidente del Consorzio Tre Sorgenti di Canicattì, l’avvocato Calogero Mattina, i quali lo avevano denunciato in sede penale, civile ed amministrativa. Per consumare la sua vendetta e sviare il corso delle indagini, al fine di difendere i suoi illegittimi interessi, economici e non solo, così come sentenziato da più di un giudice, Giuffrida, nel 2008, presenta una denuncia contro due sindaci, quello di Licata e quello di Racalmuto (cioè contro l’autore di questo articolo) e l’allora presidente del Consorzio Tre Sorgenti, l’avvocato Calogero Mattina. Il risultato è che il 18 gennaio del 2012, cioè tra qualche settimana, verrà emessa una prima sentenza dal Tribunale di Agrigento, nel corso di un’udienza, davanti ad un Giudice Monocratico. In quel giorno ed in quella sede si dovrà stabilire l’esatto profilo di questo personaggio, ovvero Giuseppe Giuffrida, venuto da Catania ad Agrigento per consumare l’affaire del secolo, quello dell’Acqua, proprio nella provincia più assetata d’Italia. Affare che ad oggi sembra solo un vistoso ed intricato imbroglio pirandelliano, ordito da un uomo che, in un batter d’occhio, nel giro di poco più di un anno, è stato defenestrato dalle società di gestione dei servizi idrici di Catania e da quella di Agrigento. Forse non pochi sono stati i demeriti di quest’uomo, che dall’Est all’Ovest, avrebbe voluto conquistare l’intera Sicilia! Facendo leva sulla sete, non solo d’acqua, ma di denaro e di posti di lavoro, ha agito a colpi di illegittimità amministrative, di denunce temerarie e di violazioni della legislazione antimafia. Ora Giuffrida è pur sempre difeso, chissà perché, dal presidente di Confindustria Agrigento, Giuseppe Catanzaro, proprietario della più grossa discarica di rifiuti solidi urbani che c’è in Sicilia. Discarica, lo ricordiamo, strappata al Comune di Siculiana. Una brutta storia fatta di denunce poi rivelatesi palesemente calunniose a seguito di una irrevocabile sentenza della Magistratura. Ma questa è un’altra storia.

Salvatore Petrotto

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Adverbes, Conjugaison, L’apostrophe

LINGUA E DIALETTU

Un populu mittitilu a catina spughiatilu attuppatici a vucca è ancora libiru. Livatici u travagghiu u passaportu a tavula unnu mancia u lettu unnu dormi, è ancora riccu. Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrubbanu a lingua addutata di patri: è persu pi sempri. Diventa poviru e servu quannu i paroli non figghianu paroli e si mancianu tra d’iddi. Mi nn’addugnu ora, mentri accordu la chitarra du dialettu ca perdi na corda lu jornu. Mentre arripezzu a tila camuluta ca tissiru i nostri avi cu lana di pecuri siciliani. E sugnu poviru: haiu i dinari e non li pozzu spènniri; i giuelli e non li pozzu rigalari; u cantu nta gaggia cu l’ali tagghiati. Un poviru c’addatta nte minni strippi da matri putativa, chi u chiama figghiu pi nciuria. Nuàtri l’avevamu a matri, nni l’arrubbaru; aveva i minni a funtana di latti e ci vìppiru tutti, ora ci sputanu. Nni ristò a vuci d’idda, a cadenza, a nota vascia du sonu e du lamentu: chissi non nni ponnu rubari. Non nni ponnu rubari, ma ristamu poviri e orfani u stissu.

Ignazio Buttitta

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Storie Siciliane:

leggende, curiosità, miti... Il VICERE’ E LA BARONESSA

V erso la fine del XVI secolo divenne viceré, don Marcantonio Colonna. Quando giunse a Palermo era già anziano; ma si

innamorò perdutamente della nobildonna Eufrosina Valdaura moglie del nobile Calcerano Corbera e baronessa del Miserendino. Il marito e il suocero se la presero a morte con il viceré e durante un ricevimento pronunciarono minacce nei suoi confronti. Fu uno sbaglio. Il viceré temendo per la sua vita, non volle correre rischi e prese i suoi provvedimenti. Anzitutto fece arrestare il suocero della baronessa per debiti non pagati, che, detenuto nel carcere della Vicaria, morì in breve tempo. Restava ancora il marito. Un bel giorno fu invitato per una gita di piacere che si fece su di una galera del viceré e fece scalo a Malta. Un bel mattino il Corbera fu trovato ucciso. Dopo un breve periodo di lutto la baronessa celebrò i suoi amori con il viceré, che fece arredare alcune stanze su porta Nuova per i loro incontri amorosi e, per manifestare il suo amore, regalò al popolo una grande fontana nei pressi di piazza Marina, adorna di sirene, putti e creature marine dove spiccava l’immagine di una sirena bellissima che dai seni stillava acqua per gli assettati. In quella sirena tutti riconobbero l’effige della baronessa Eufrosina del Miserendino.

SUOR CECILIA

R acalmuto (AG) ha dato i natali ad una nobilissima figura di un’autentica eroina del nostro tempo, suor Cecilia Basarocco.

Le tremende giornate dell’11 e del 12 luglio del 1943 - i giorni dello sbarco anglo-americano sull’Isola - la sorpresero come unica guida dell’ospedale di Niscemi presso Gela, dove era sbarcata la VII armata americana. Tutto il personale dell’ospedale si era dato alla fuga, e suor Cecilia era rimasta sola, a curare i feriti ed ad accudire i soldati siciliani, e a dodici soldati tedeschi, che si erano rifugiati anch’essi nell’ospedale di Niscemi. Quando, poche ore dopo, le avanguardie americane raggiunsero l’ospedale di Niscemi, suor Cecilia ottenne che i militari siciliani potessero raggiungere le loro case; ma le cose si aggravarono per i militari tedeschi, che considerati delle spie, furono condannati all’immediata fucilazione. Gli sventurati furono schierati al muro dell’ospedale, col plotone d’esecuzione pronto a far fuoco. In quel momento accade qualcosa d’incredibile; l’intrepida suora si pose con le braccia aperte, dinanzi ai dodici condannati, e gridò agli americani: "Sparate, sparate anche su di me, e che Iddio vi perdoni!". Nessuno degli americani ebbe il coraggio di far fuoco; e i soldati tedeschi, salvati dall’eroismo di questa nostra coraggiosa suora, furono avviati al campo di prigionia.

LA LEGGENDA DELLA BELLA ANGELINA

P er spiegare il toponimo del comune di Francavilla di Sicilia (ME), una leggenda popolare racconta di una nobile fanciulla

francavillese, Angelina, di cui si era innamorato il delfino di Francia; il quale, durante il Vespro, venne a rapirla nottetempo, per questo Angelina raccomandava alla sua fedele ancella Franca di vegliare (Franca, vigghia!), per essere pronte al momento dell’atteso segnale di partenza. La leggenda, in realtà, non è che un tentativo di spiegare etimologicamente il toponimo di Francavilla, che in siciliano suona appunto Francavigghia.

LE ESILARANTI STORIE DI GIUFA’

Giufà e la luna

iufà una notte, passando vicino ad un pozzo, vide la luna riflessa nell'acqua. Pensando che fosse caduta dentro decise di salvarla.

Prese un secchio lo legò ad una corda e lo buttò nel pozzo. Quando l'acqua fu ferma e vide la luna riflessa nel secchio cominciò a tirare con tutta la sua forza. Il secchio, salendo rimase, però, impigliato nelle parete del pozzo. Allora Giufà si mise a tirare ancora con più forza e tirando, tirando spezzò la corda e finì a gambe all'aria e cadde a terra. Alzando gli occhi verso l'alto, per cercare un appiglio per rialzarsi, vide nel cielo la luna. La sua soddisfazione fu grande e disse a se stesso ad alta voce: Sono caduto per terra e mi sono un pò ammaccato, ma, in compenso, ho salvato la luna dall'annegamento!

Giufà e la marmitta

U n giorno, Giufà chiese in prestito una marmitta ad un vicino, perché aveva degli invitati.

All'indomani Giufà restituì la marmitta insieme ad una piccola pentola. Il vicino, stupito, domandò: - Perché mi dai, pure, una pentolina che non ti ho prestato? Giufà, con fare misterioso, disse: - La marmitta ha figliato! Il vicino di casa, cercò di approfittare dell'occasione e si prese le due pentole. Dopo qualche settimana, Giufà andò dal vicino per chiedere nuovamente la marmitta. Il vicino gliela prestò e già pensava alla convenienza di ricevere indietro marmitta e pentola, come in precedenza. Questa volta, però, Giufà non si fece vedere per molti giorni, tanto che il vicino decise di rifarsi dare la pentola: - Giufà, dammi la marmitta! Ne ho bisogno subito! Giufà, con molta calma rispose: - Povera marmitta! Mi dispiace dirtelo, ma la tua pentola è morta! Ti ho voluto risparmiare un dolore! Il vicino ribadì: - Dimmi, Giufà, in che modo una marmitta può morire! Giufà disse: - Nello stesso modo in cui può figliare! (messana.org)

Giufà e i due briganti

U n giorno due briganti, armati fino ai denti, sbarrarono la strada a Giufà e, brandendo un lungo coltello, lo minacciarono: - O la

borsa o la vita! A Giufà, impaurito da morire, tremarono le gambe. Si sedette e chiese da bere. Ma, i due briganti lo minacciarono con più forza e uno di loro disse con voce tremenda: - Tira fuori i soldi, che acqua a te non ne diamo! Giufà cercò, allora di giocare d'astuzia. Si calmò e disse: - Siete proprio fortunati. Ho un sacco di soldi con me. Ma, lo voglio dare solo ad uno di voi. Perciò, mettetevi d'accordo e ditemi a chi devo dare il denaro. Un brigante disse: - I soldi toccano a me! Io ti ho visto per primo L'altro bandito precisò: - Ma, sono stato io a dire che l'uomo giusto a cui rubare potevi essere tu!! Su questa affermazione i due briganti cominciarono a litigare, ognuno presentando il proprio punto di vista I due briganti cominciarono a discutere fra loro e gridare sempre più forte. Giufà colse al balzo l'occasione e disse: - Visto che non vi mettete d'accordo, darò i denari a quello che è più forte fra voi due! Un brigante minacciò dicendo: - Se voglio posso stendere per terra il mio compagno con un solo pugno! L'altro, punto sul vivo, alzò la voce e disse: - Potrei spaccargli la testa con un solo pugno, perché sono il più forte. Dalle parole, i due briganti passarono ai fatti e se le diedero di santa ragione. Alla fine, i due briganti strapiombarono a terra morti stanchi e insanguinati. Giufà approfittò della situazione e, mentre si curavano le ferite, scappò via a gambe levate. Scappò talmente lontano che non lo trovarono più. (messana.org)

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Vieni in Sicilia...Vieni in Sicilia...

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......te ne innamorerai !

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Questi prodotti sono il risultato di una lavorazione assolutamente artigianale che impiegano agrumi di Sicilia

senza alcun utilizzo di conservanti. Il gusto e la fragranza dei nostri agrumi con tutte le proprietà benefiche sono racchiuse

qui come in uno scrigno.

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Politica siciliana… attenti al ladro !

C he la si possa pensare allo stesso modo, o diversamente, … è strettamente soggettivo!

Non è strettamente soggettivo, invece, … anzi, direi che è decisamente oggettivo, i l riconoscere, un pò dappertutto in Italia, il risveglio (semmai si fosse realmente sopito!), lo sviluppo, la pulsazione di uno spirito indipendentista, secessionista, a u t o n o m i s t a , l o c a l m e n t e individualista, egoista, anche razzista se del caso, … ma questo

dipende esclusivamente dalle persone, dai luoghi, … ne rappresenta di fondo l’elemento nuovamente soggettivo …! Che piaccia o meno, comunque la si possa pensare, … è un dato di fatto, non può essere negato né celato. D’altra parte, se lo stesso presidente Napolitano ha ritenuto di dover intervenire così veementemente sulla questione … Non ha importanza come la si possa pensare, l’ho detto, l’ho ripetuto e lo ribadisco! Semplicemente non mi interessa, come a nessuno dovrebbe interessare! Ognuno di noi è sacrosantamente libero di pensarla come vuole, di avere, di difendere e di portare avanti le idee in cui crede o che più gli aggradano, nella misura in cui non leda e non offenda le altrui di idee. Guai, se qualcun altro immaginasse o, peggio, tentasse di impedirglielo! Guai! Non si è e non si diventa una persona migliore o peggiore per le idee che, sacrosantamente e liberamente, riteniamo di avere, di difendere, di portare avanti! Men che meno se si tratta di politica, … la politica sarà anche importante, … ma sarà sempre la più importante … tra le cose meno importanti! Almeno per me! Solo una cosa è o, meglio, sarebbe davvero importante in politica, … avere delle idee “pure”, non legate al tornaconto personale! Checché possiamo dire o per quanto possiamo lamentarci, … i siciliani siamo un popolo (perché un Popolo lo siamo davvero, anche se in molti non lo credono!), … i siciliani siamo un popolo … di “babbi”, siamo sempre stati capaci di sceglierci una classe politica, quella classe politica che dovrebbe rappresentarci, che dovrebbe difendere e portare avanti, in ogni sede, le nostre istanze ed i nostri bisogni, in una parola … che dovrebbe averci a cuore, … siamo capaci di sceglierci, dicevo, una classe politica (o, meglio, sarebbe dire di politicanti!) che in molti casi sa rappresentare, difendere e portare avanti solo i propri, di interessi. Una classe politica che ama apparire e parlare, … parlare, … parlare, descrivendo come qualcosa di grandioso il nulla che fa, spacciandolo per il tanto che, invece, non riesce o non ha interesse a fare! Ladri di voti! E la cosa più grave è … ca cci criremu …! Se quello spirito indipendentista e secessionista, o anche solo autonomista, che anche in Sicilia esiste e cova, in gran parte, ancora e fortunatamente, allo stato “puro”, … se questo spirito dovesse, per assurdo, crescere ulteriormente, … sarei pronto a scommettere, sarei disposto a mettere sul piatto le palle, … sarei certo che tanti politici e politicanti nostrani, molti dei quali magari colpevoli dello sfacelo in cui ci siamo ridotti, … tanti politici e politicanti nostrani abbraccerebbero l’indipendentismo, il secessionismo, l’autonomismo … A sentirli, sono certo che direbbero di essere sempre stati, nel profondo del loro cuore, indipendentisti, secessionisti, autonomisti … E tanti babbasunazzi tra noi applaudirebbero e, cosa ben più grave, sarebbero disposti a firmar loro nuove cambiali in bianco … Se magari, per una volta, riuscissimo a scegliere …!

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terra di meraviglie la Sicilia, è terra di vulcani e di storia, di cultura e di natura; di paesaggi unici e di colori magici. È terra di sogni è terra

di odori e di vita, è unica nella sua varietà infinita. C'è tutto in Sicilia: fiumi, laghi, coste rocciose e spiagge sabbiose, pianure e colline. È una terra circondata dal mare ed altre isole, ciascuna unica e irripetibile. Basterebbe solo questo per vivere bene di turismo; turismo intelligente che non assale l'lsola solo due mesi I'anno ma la visita anche in inverno, per fare rinascere una economia concreta e rispettosa del territorio. Eppure non si capisce e si continua a distruggere e a volere distruggere la splendida Sicilia. [Anna Giordano]

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Q uesta volta – lo giuro – non eleggerò la Sicilia ad oggetto principale dei miei interventi. Mi

voglio sforzare a parlare d’Italia, questo medio-grande stato di cui, nel bene e nel male, facciamo parte da 150 anni e passa. Sulla prima ho già detto abbastanza e tornerò nel prossimo futuro: ho detto e ripeto che la sua Autonomia, prima che nella Costituzione, è nel suo diritto naturale, e che va difesa davanti a tutti e con coraggio, anche davanti al “tabú” dell’Unione Europea. Ma di questo, appunto, oggi non parliamo. Parliamo di Europa in quanto tale, quindi, e parliamone a viso aperto, senza la coltre di fumosa retorica che avvolge da sempre questo termine, al quale il nostro Capo dello Stato, da molti ritenuto un gentiluomo puro, estremo difensore delle istituzioni repubblicane nate dalla Resistenza, sembra sin troppo affezionato. Confesso subito di avere cambiato idea in questi dieci anni di euro. Ebbene sí, in questo almeno mi sento un pentito. Dieci anni fa salutai ingenuamente l’avvento della moneta unica come di quelle istituzioni europee che ci avrebbero potuto salvare tanto dal malaffare o dal centralismo italico, quanto ancorarci ad istituzioni di grande civiltà giuridica e solidità economica. Mi sbagliavo, lo ammetto, o credo sinceramente di essermi sbagliato, esattamente come si continuano a sbagliare anche tanti amici che conosco e che ancora sono prigionieri di questa ingenuità. Del resto si dice che “solo gli stupidi non cambiano mai idea”, e non vorrei trovarmi in questa infelice compagnia. A dieci anni di distanza, possiamo dire che nessuno degli auspici con i quali fu salutato l’avvio della moneta unica si è avverato, anzi che stiamo assistendo ad un vero e proprio incubo. L’Europa in sé, pur con alcuni limiti strutturali, sarebbe una grande risorsa. Una grande area del globo ha avuto (non so se ha ancora) la possibilità di creare una nuova superpotenza, sufficientemente autonoma da tutte le altre, che contribuisca a costruire un mondo equilibrato e multipolare. Credo però che le scelte fatte in questi ultimi decenni dalle élite al potere abbiano vanificato per sempre questa possibilità. E di questo non resta che prendere atto e seppellire un cadavere ormai in stato avanzato di decomposizione. I motivi del “dissenso” o dello “scetticismo” nei confronti delle dodici stelle sono innumerevoli. Si potrebbe fare un articolo per ognuno di essi. Qui vorrei limitarmi, si fa per dire, a quello che viene riconosciuto come il principale risultato tangibile dell’Unione Europea: l’euro. Ebbene, così come è stato pensato, non solo non può funzionare, ma è destinato, prima di morire, di

portare con sé alla morte la maggior parte delle economie europee, a partire ovviamente dalle piú deboli. Perché l’euro “delendum est”? Non è un bene che l’Europa disponga di una valuta unica e forte? In astratto non esiste un vantaggio, sempre e comunque, dall’unione monetaria di due o piú territori fra di loro. Si può anche affermare quanto segue: se un sistema economico è omogeneo, con facilità di spostamento al suo interno dei fattori della produzione (essenzialmente capitale e lavoro), allora la divisione monetaria è un male, che rallenta

inutilmente le transazioni interne e non fa sfruttare le economie di scala; se invece un sistema economico è disomogeneo, con aree dotate di maggiore e minore produttività degli investimenti, e con difficoltà nello spostamento dei fattori, la moneta unica consente soltanto una piú rapida accumulazione di redditi e capitali nella parte piú ricca del sistema, a detrimento di quella povera, che diventa ancora piú povera. Se ci pensiamo è ciò che è successo con l’unità d’Italia. Non c’era una Questione Meridionale prima del 1860, ma soltanto un processo di industrializzazione che nel Mezzogiorno era partito in ritardo rispetto ad “alcune” zone del Centro-Nord (essenzialmente la sola Lombardia) e che si alimentava della differenza istituzionale e monetaria per finanziare la propria crescita. All’indomani dell’Unità l’area del Centro-Nord, abbattendo le frontiere interne, divenne un’area omogenea e piú ampia rispetto a quella meridionale, con un vantaggio, in termini di rappresentanza politica, che presto si tradusse in termini

anche economici. Laddove sarebbe servito un lungo periodo di armonizzazione delle economie si introdussero di colpo le legislazioni piemontesi, furono abbattute le dogane interne e fu estesa la circolazione della lira (il cui valore aureo intrinseco era piú modesto di quello del Ducato napoletano) alle regioni meridionali. L’unione monetaria per il Mezzogiorno fu lo strumento principale della creazione e del consolidamento della Questione meridionale. La moneta unica, in quel caso, “creò” un paese polarizzato, dal quale, in sostanza, non siamo potuti piú uscire. La definitiva scomparsa degli istituti pubblici di emissione meridionale del Paese, circa cinquant’anni dopo, dopo una lunga storia di soggezione che comunque ne aveva progressivamente ridimensionato l’originario primato, avrebbe completato l’opera. Abbiamo quindi sotto gli occhi la dimostrazione scientifica, l’esperimento galileiano, che dimostra come l’unione monetaria tra sistemi economici disomogenei non crea sviluppo ma consente soltanto un’accumulazione polarizzata di

Confesso subito di avere cambiato idea in questi dieci anni di euro. Ebbene sí, in questo almeno mi sento un pentito. Dieci anni fa salutai ingenuamente l’avvento della moneta unica come di quelle istituzioni europee che ci avrebbero potuto salvare tanto dal malaffare o dal centralismo italico, quanto ancorarci ad istituzioni di grande civiltà giuridica e solidità economica. Mi sbagliavo, lo ammetto, o credo sinceramente di essermi sbagliato, esattamente come si continuano a sbagliare anche tanti amici che conosco e che ancora sono prigionieri di questa ingenuità. Del resto si dice che “solo gli stupidi non cambiano mai idea”, e non vorrei trovarmi in questa infelice compagnia.

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capitale di alcune regioni a discapito di altre. Perché dovrebbe essere diverso con l’Europa? Eppure con l’unione monetaria europea è ancor peggio. Infatti l’Italietta nordista e razzista ha cooptato a sé le classi parassitarie e collaborazioniste del Mezzogiorno (salvo poi usarle come “capro espiatorio” presso gli stessi meridionali, vedasi l’ultima uscita di Mieli, “vecchia” di 150 anni almeno, sulla necessità di “commissariare” il Sud, col plauso di tanti siculi e meridionali beoti). Questa cooptazione ha, per cosí dire, limitato i danni. L’Italia, nonostante tutti i propri difetti genetici, è stata costretta, almeno in piccola parte, a redistribuire un po’ di redditi attraverso stipendi pubblici, commesse, e in genere una finanza centralizzata, la quale, sebbene finalizzata strutturalmente al semicolonialismo settentrionale, doveva, almeno nella facciata, trattare tutti i cittadini come aventi pari dignità. La redistribuzione di elemosine da un lato, unitamente agli sprechi “garantiti” a favore delle “pagliette” locali, e la relativa facilità di spostamento dei lavoratori (in fondo, dal Quattrocento circa, la lingua ufficiale del Regno di Napoli era l’italiano) consentivano al sistema di tenere, sia pure al prezzo di un lento e continuo degrado del Mezzogiorno, depauperato poco per volta di ogni risorsa sociale, umana, naturale, finanche culturale. Tutto questo in Europa non è neanche possibile. Abbiamo una moneta unica, sí, ma sistemi fiscali a compartimenti stagni. Non esistono, in pratica, trasferimenti tributari degni di nota che consentano perequazioni dagli stati o regioni piú ricche a quelle piú povere. E i piú ricchi, tedeschi in testa, non vogliono saperne neanche lontanamente di una qualche riforma federale in tal senso. Attenzione! Si parla di unione fiscale in queste settimane, ma nel senso sbagliato di uniformare le aliquote e gli ordinamenti (mossa inutile in presenza di sistemi economici diversi) e di punire gli “abusi”, ma nessuno affronta il problema di una vera unione federale che raccolga almeno un tipo di tributi in tutta Europa per distribuirlo in funzione dei bisogni come si farebbe in una vera nazione unica. Nessuno ne parla, anzi si va nel verso opposto anche all’interno degli stati. Il federalismo consiste, almeno nel passato approccio leghista, nel tenersi ognuno le proprie risorse, e quindi nell’acuire le differenze regionali anziché ridurle. Se avessero ragionato cosí in Germania dopo il 1990, adesso si troverebbero ad affrontare una gigantesca Questione Orientale, paragonabile alla nostra Questione Meridionale. Ma lí, almeno quando parlano di Germania, per fortuna loro hanno avuto un approccio completamente diverso. Tenere la moneta unica con le finanze separate in sistemi economici disomogenei è una cosa che NON SI PUO’ FARE! Vorrei pregare i miei amici e colleghi macroeconomisti a intervenire pubblicamente per dire ancor piú chiaramente che le cose stanno in questi termini. E che l’omogeneizzazione fiscale, in queste condizioni, cioè senza introdurre i vasi comunicanti all’interno dell’Unione, non fa che esasperare il disagio e le differenze. Ma c’è di piú. La moneta, infatti, non solo è errato che sia unica se non è unico il sistema economico e se non ci sono trasferimenti fiscali compensativi. È anche errato che sia affidata all’emissione dei privati, anziché del pubblico. Non voglio fare il nazionalista: sia anche la BCE ad emettere la nuova moneta da immettere periodicamente nel sistema. Ma la immetta la BCE, non una banca commerciale qualunque! Oggi, con i vari accordi di Basilea, l’Eurosistema (cioè il concerto della BCE con le altre banche centrali) decidono (forse) il quantum di moneta da

immettere nel sistema, ma poi lo fanno immettere dalle banche private. La recente vicenda dell’immissione di liquidità alle banche (all’1 % di interesse) affinché queste lo prestino poi agli stati al 7, 8, 9 %, la dice lunga sul costo sociale e sulla sostenibilità di questa struttura. A parte il fatto che il sistema è cosí malato che, neanche così le banche immettono nuovo denaro nel sistema, perché a quanto pare, una volta ottenuto il prestito dalla BCE, lo hanno depositato quasi tutto infruttuoso nella BCE stessa. Ma, per quel poco che immettono, dove mai c’è scritto che le banche, anziché prestare il denaro che ricevono in deposito, lo creano direttamente dal nulla, peraltro poi investendolo in rovinose avventure speculative? La rovinosa dittatura della speculazione nel linguaggio europeo, politicamente corretto, diventa chissà come sinonimo di “democrazia”, di “indipendenza delle autorità monetarie”. Parole ormai completamente prive di senso. L’Ungheria oggi è sotto i bombardamenti NATO (bombardamenti finanziari, s’intende, fa sempre parte del club del primo mondo, mica è una Libia qualsiasi), non perché “fascistoide”. L’ha detto chiaramente al TG Mentana l’altra sera: è l’indipendenza della Banca Centrale che ha fatto saltare sulla sedia tutto il mondo occidentale. Qual è il crimine commesso dal Governo ungherese? Avere posto, nientepopodimeno, la banca centrale sotto il controllo del governo. Ma che fa scherziamo? Ma chi c…. crede di essere questo governo che gode della fiducia dei due terzi degli ungheresi? Le banche centrali, attraverso tante partecipazioni incrociate ai piú sconosciute, devono essere indipendenti, sí, dai poteri politici, ma assolutamente dipendenti, tutte, dalla Federal Reserve, e, dietro di essa, dalla ristrettissima cerchia di una ventina di famiglie plurimiliardarie che controllano le principali banche d’affari globali, nonché le agenzie di rating famigerate, e per mezzo di queste i famosi “mercati”, che tanto anonimi non sembrano poi cosí tanto. Ahinoi! Questa fine ha fatto l’Europa! Questa è l’Europa che dovremmo difendere. E come sono cambiati i tempi. Nel 1936 Mussolini pubblicizzò (in gran parte) la Banca d’Italia, pagando fior di miliardi agli eredi del Conte Bombrini ed altri accoliti che “fecero” l’Unità d’Italia (altro che Mazzini e Garibaldi) a suon di milioni, per farli uscire dal capitale dell’istituto di emissione. Ma quella era una dittatura. È vero. Ma è anche vero che l’Italia uscita dalla Resistenza neanche si sognava di “riprivatizzare” l’Istituto di Emissione. E negli stessi anni, almeno nella facciata, i laburisti in Inghilterra facevano la stessa cosa che Orban ha fatto oggi in Ungheria. Ma erano altri tempi. Dai primi anni Ottanta la Banca d’Italia non può piú finanziare il debito pubblico (perché lo Stato si deve consegnare direttamente, incaprettato mani e piedi, allo strozzinaggio internazionale) e dai primi anni ’90, silenziosamente, la Banca d’Italia è tornata con un capitale a maggioranza privato. Ma in Ungheria non lo sanno che dal 1990/92 nel mondo comandano ormai soltanto le banche, e che l’Unione Europea è uno dei loro piú docili strumenti? Ecco, mi fermo qua. Questa Europa, fatta cosí non mi piace. Non mi pare né eticamente, né economicamente sostenibile. E quelli che la rappresentano stanno tradendo l’Italia, il patto fatto in decenni di politica con imprenditori e lavoratori, per onorare invece fino all’ultimo centesimo i bond fittizi creati a beneficio degli speculatori e usurai internazionali. Non è Alto Tradimento questo?

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Le assurde pretese del Nord trovano nei partiti estremi di Sicilia gli ausiliari più velenosi.

D a una parte, socialisti, comunisti, azionisti, hanno fatto sempre la propaganda più clamorosa sulla povertà della

Sicilia, sulla impossibilità di essa a vivere senza la ricchezza del Nord, senza l'aiuto del Nord, poi, quando non si possono più nascondere i fatti, quando la realtà non può essere più celata, allora essi cambiano subito le carte del giuoco! Certo la ricchezza del Nord esiste solo in funzione dello sfruttamento del Sud e della Sicilia specialmente. E' un fatto che emerge oggi incontenibile. Gli estremisti che lo hanno sempre negato, sono costretti ad ammetterlo, appena si è profilata la tenue speranza che lo sfruttamento del Nord venga meno e questo sia lasciato alle sole sue possibilità economiche. Allora gli estremisti sono ridotti all'ultima trincea e non rimane ad essi che l'affermazione più impensabile, che, cioè, la povera Sicilia ha il dovere di continuare a consentire a spogliarsi per far sì che la ricchezza del Nord non venga meno. Proprio così ! Tutti sappiamo quanto sia irrisorio il progetto di autonomia per la Sicilia, varato dalla consulta regionale a Palermo. Un parlamentino di 90 frati zoccolanti e questuanti, che potranno sottomettere al governo italiano le loro suppliche! Libertà doganale? Niente! Moneta propria ? niente! Zona franca ? niente. I Borboni erano meno avari ! Una cosa sola ha valore in pro' della Sicilia nel sullodato progetto: « l'accantonamento presso il Banco di Sicilia, delle valute estere, provenienti dalle esportazioni, dalle rimesse dei nostri emi-grati, dal turismo nell'Isola, e dai noli di navi siciliane, onde la Sicilia possa far fronte con queste valute ai propri bisogni ». Chi contrastò questo articolo, in seno alla Consulta di Palermo ? Il ragioniere comunista Li Causi, che si dichiarò «contrario a che si crei un privilegio per i siciliani, i quali hanno una possibilità maggiore di ricevere valute estere che non gli abitanti delle altre

regioni d'Italia », e concluse che « i siciliani hanno il dovere di contribuire, almeno in questo (!!), al risanamento della finanza italiana »! E' necessario dunque che i siciliani non ricevano se non cartastraccia! Ricevere moneta buona, in cambio dei loro buoni prodotti, sarebbe un privilegio, e, perché no?, un delitto ! L'articolo del progetto un solo privilegio mirava ad eliminare: il privilegio del Nord che, impadronendosi della valuta estera spettante alla Sicilia, mantiene le proprie industrie, acquistando le materie ad esse necessarie, mentre la Sicilia, restando priva di buona moneta, è nell'impossibilità di acquistare merci estere e deve rassegnarsi a rivolgersi a Torino, a Milano, col disastro che ognuno ha subìto ! Ma i comunisti siciliani vogliono che questo sfruttamento continui. Nemici della plutocrazia, a chiacchiere, difendono con le unghie e coi denti la plutocrazia settentrionale. I comunisti, in tutti i loro giornali, in tutti i loro discorsi non avevano assordato il mondo con la eterna litanìa che la Sicilia è povera ? che ha bisogno dell'aiuto del Nord ?, della generosità del Nord ? Per bocca di Li Causi, essi confessano che erano fandonie! Quando si viene ai fatti, quando si entra nella pratica, Li Causi è costretto a riconoscere che « la Sicilia ha maggiore possibilità di ricevere valute estere », e fa toccare con mano che la Sicilia è meno povera nel Nord, che ad essa il Nord deve possibilità di vita per le proprie strutture parassitarie, e Li Causi si batte affinché l'Isola resti nel suo attuale servaggio economico! Certo, il governo italiano, espressione delle cricche nordiche, la Costituente, essenza quinta dell'affarismo milanese, e dipendente da esso attraverso mille strade e carrobi, faranno in modo che l'articolo in parola non sia mai approvato, o che, comunque, venga sempre eluso: ma, ad ogni modo, il comunista Li Causi ha mostrato anche ai ciechi ciò che da lui e dai suoi seguaci può attendere la Sicilia. Mèglio di così la Sicilia non potrebbe essere difesa ! I terroni sono ben sostenuti! Così la corda sostiene l'impiccato! "

tratto da "QUEL CHE SI PENSA IN SICILIA" di LUCA COSMERIO (pubbl. 1947)

La Lezione Siciliana

Antonio Milazzo

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POTETE STRAPPARE UN SICILIANO DALLA SICILIA, MA NON STRAPPERETE MAI LA SICILIA DAL CUORE DI UN SICILIANO!

Noi siamo i figli di coloro che, in un supremo anelito di libertà e di amore, per primi cacciarono i tiranni

e ci ribellammo alla miseria e con fede generosa

credemmo nell'ingenuo mito di un'Italia Madre,

per trovare invece frode, tradimento, nuovi tiranni

e peggiori servitù e miserie.

[Attilio Castrogiovanni]

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Per farci conoscere il vostro parere indirizzate le vostre lettere a: L’ISOLA - Bld. de Dixmude, 40 / bte 5 B - 1000 Bruxelles

Un grido di dolore e rabbia !!!

I n molti pensano che una Sicilia più autonoma, più indipendente sarebbe donata in pasto alla mafia. Altri pensano che noi Siciliani siamo incapaci di governarci e che l’autonomia non

l’abbiamo saputa sviluppare, come l’hanno fatto in Valle D’Aosta, Friuli o Trentino Alto Adige. Altri dicono che la rovina della Sicilia sono i Siciliani. Io piango, perché sono un Siciliano che purtroppo non vive in Sicilia e vede come i Siciliani si arrendono, fanno i vigliacchi, preferiscono emigrare a studiare, lavorare o vivere fuori dalla propria terra e se ne fregano della Sicilia. Io non mi arrendo, io sono Siciliano ed i miei antenati non si arresero davanti ai francesi, si ribellarono e formarono il primo parlamento del mondo. Io non mi arrendo, perché sono Siciliano e i miei antenati si ribellarono per 4 volte alla tirannia borbonica. Io non mi arrendo, perché sono Siciliano e i miei antenati lottarono per avere una autonomia. E io non mi arrendo, perché sono Siciliano, e se i miei antenati non si arresero davanti i francesi, i borbonici e gli italiani, dopo 65 anni di incompiuta autonomia io non mi arrendo. Io non voglio che gli studenti, ricercatori, professori, dottori…se ne vadano al Nord Italia o all’Estero. Io come Siciliano non mi arrendo e se ci deve essere un Siciliano che deve emigrare e il Siciliano ladro, mafioso. In una Sicilia governata da Siciliani orgogliosi di essere Siciliani, governata da Siciliani che si sono ribellati davanti chi li opprimeva, la mafia mai potrà approfittarsi dei siciliani, perchè la mafia sarà rispedita al remittente! il mafioso sarà l’emigrante non il Siciliano lavoratore. Io vi chiamo vigliacchi a voi Siciliani che non avete fiducia nella vostra famiglia, nel vostro popolo, vi chiamo ignoranti, perché non avete mai voluto studiare la vostra propia storia, vi chiamo ascari perchè ci avete tradito. Parlare di quello che potrà essere la Sicilia se ha l’indipendenza o l’Autonomia non attuata da 65 anni è sognare per un mondo migliore per i Siciliani, negare di sognare in un domani migliore è accettare il nostro presente, presente che tutti voi conoscete, un presente dove la mafia fa i suoi interessi, un presente dove i siciliani che vogliono lavorare se ne vanno via, un presente in cui le nostre tradizioni, lingua e coltura si perdono perchè pensiamo che sono non utili. Non volete una Sicilia migliore? non volete sognare di avere un futuro migliore? e che minchia di comportamento è questo! sempre facendoci pestare dal resto, e assumendo che niente si può fare. Per rispetto dei vostri antenati che hanno lottato per una Sicilia migliore, non vi dico di ribellarci, ma di avere fede in noi stessi.

Michelangelo La Spina

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