La grande peste di Genova (1656/57) nelle testimonianze...

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La peste è la malattia più rappresen- tata nell’arte europea, e sicuramente tra le più catastrofiche della storia 1 . Il decorso della peste era fulminante e spaventoso: si moriva in pochi giorni, con i linfonodi ingrossati (i bubboni) e con attacchi di vomito sanguinolento, op- pure con sintomi simili a quelli della broncopolmonite e le terapie erano di tipo palliativo. La medicina del Medio Evo, così come quella del Seicento, non trovava un posto per la nozione di contagio nel suo strumentario teorico. Che ci fossero ma- lattie contagiose si sapeva per senso co- mune, e la medicina araba aveva anche elaborato un concetto di contagio, che ri- mase però poco seguito 2 ; le malattie con- tinuavano a venire attribuite a fattori in senso lato ambientali, accompagnati da una certa dose di fattori “psi- cosomatici”: dalle congiun- zioni di astri al clima, alla temperatura, fino ad arrivare alla qualità dell’aria (cattiva era naturalmente quella maleo- dorante emanata dai malati; “impestata”, appunto) e anche alle disposizioni d’animo delle persone. La reazione della me- dicina nei casi individuali era di tipo palliativo: si cercava di depurare l’aria delle città e delle camere dei malati con fu- migazioni aromatiche e si som- ministravano bevande. La raccomandazione prin- cipale era tuttavia di tipo pre- ventivo: fuggire dai luoghi infetti e tornare a epidemia fi- nita. Il quadro della medicina in tempo di peste era dunque di una totale impotenza terapeu- tica. Le reazioni a livello di sa- nità pubblica furono nono- stante tutto, se applicate rigorosamente, relativamente efficaci: durante la peste del Trecento nacquero d’urgenza numerosi ospedali 3 , che in qualche modo contribuivano a isolare i malati contagiosi, e fu inventata la quarantena delle merci e delle persone. La distruzione col fuoco degli oggetti personali dei morti di peste aveva, inoltre, l’effetto di uccidere le pulci che vi erano annidate e contri- buiva, anche se in misura non sufficiente, a diminuirne il numero. Dal punto di vista esistenziale, come si è visto la peste scatenava terrore a causa delle sue caratteristiche biologiche di “morte improvvisa”, oltre che ripu- gnante. E la possibilità di una morte im- provvisa scatenava a sua volta la paura di morire in stato di peccato mortale, oltre a esser vista essa stessa come un castigo di- vino. Un’ulteriore paura legata alla morte improvvisa e in massa era quella di es- sere seppelliti anonimamente e senza rito funebre. Queste paure della popolazione prendevano la forma di processioni in cui si implorava la fine del flagello e anche di ricerca di possibili colpevoli: gli ebrei fu- rono in più luoghi perseguitati come un- tori. Durante la peste del Trecento divennero inoltre visibili per le strade i gruppi dei flagellanti. L’assistenza ai ma- lati ricoverati negli ospizi, immediata- mente percepita come pericolosa, diventò essa stessa un metodo di espiazione, oltre che di carità. Genova, dopo la pestilenza descritta dal Boccaccio (che toccò anche il capo- luogo ligure) fu ripetutamente colpita dal morbo, ma l’epidemia pestosa più grave fu quella che si abbatté negli anni 1656/57 e che fu definita dall’annalista Casoni (di pochi anni posteriore alla grande peste anche se la sua opera fu data alle stampe solo nel 1831) “la maggior sciagura che abbia mai patito Genova” 4 Alcuni ordini religiosi, soprattutto i cappuccini e i camilliani, si dedicarono all’assistenza dei malati, rappresentando un modello di comportamento completamente opposto alla raccomandata “fuga”. Secondo la testimonianza di un medico del tempo, in- fatti, la cura più efficace, o meglio quella che lasciava un margine di sicurezza era quella suggerita dal motto: mox, longe, tarde, cede, re- cede, redi 5 , e proprio uno dei pittori più attivi a Genova negli anni precedenti la pesti- lenza del 1656, Giovanni Battista Carlone, con la sua numerosa famiglia fugge nel- l’ovadese, a Cadepiaggio vi- cino a Parodi Ligure, dove aveva dei possedimenti. 6 Una pala d’altare, custo- dita nella parrocchiale di S. Cristoforo di Gavi 7 , ad un’approfondita analisi ico- nografica si rivela una sorta di ex-voto di grandi dimen- sioni, realizzato per attestare la protezione divina (fig.1). Nella parte superiore della tela Cristo sta per scagliare tre dardi infuocati, che rap- presentano il morbo pestilen- ziale, ed è affiancato dalla 14 La grande peste di Genova (1656/57) nelle testimonianze figurative di Luisa Parodi 1 nuovo angela:Layout 1 29-03-2011 15:51 Pagina 14 Luisa Parodi www.accademiaurbense.it URBS, XXIV, 1, marzo 2011, pp. 14-22.

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La peste è la malattia più rappresen-tata nell’arte europea, e sicuramente trale più catastrofiche della storia1.

Il decorso della peste era fulminantee spaventoso: si moriva in pochi giorni,con i linfonodi ingrossati (i bubboni) econ attacchi di vomito sanguinolento, op-pure con sintomi simili a quelli dellabroncopolmonite e le terapie erano di tipopalliativo.

La medicina del Medio Evo, cosìcome quella del Seicento, non trovava unposto per la nozione di contagio nel suostrumentario teorico. Che ci fossero ma-lattie contagiose si sapeva per senso co-mune, e la medicina araba aveva ancheelaborato un concetto di contagio, che ri-mase però poco seguito2; le malattie con-tinuavano a venire attri bui te a fattori insenso lato ambientali, accompagnati dauna certa do se di fattori “psi-cosomatici”: dalle congiun-zioni di astri al clima, allatemperatura, fino ad arrivarealla qualità dell’aria (cattivaera naturalmente quella maleo-dorante emanata dai malati;“impestata”, ap pun to) e anchealle di sposizioni d’animo dellepersone. La rea zione della me-dicina nei casi individuali eradi tipo palliativo: si cercava didepurare l’aria delle città edelle camere dei malati con fu-migazioni aromatiche e si som-ministravano bevande.

La raccomandazione prin-cipale era tuttavia di tipo pre-ventivo: fuggire dai luoghiinfetti e tornare a epidemia fi-nita.

Il quadro della medicina intempo di peste era dunque diuna totale impotenza terapeu-tica.

Le reazioni a livello di sa-nità pubblica furono nono -stante tutto, se applicateri go ro sa men te, relativamenteefficaci: durante la peste delTre cento nacquero d’urgenzanu merosi ospedali3, che inqualche modo contribuivano aisolare i malati contagiosi, e fuinventata la quarantena delle

merci e delle persone. La distruzione colfuoco degli oggetti personali dei morti dipeste aveva, inoltre, l’effetto di ucciderele pulci che vi erano annidate e contri-buiva, anche se in misura non sufficiente,a diminuirne il numero.

Dal punto di vista esistenziale, comesi è visto la peste scatenava terrore acausa delle sue caratteristiche biologichedi “morte improvvisa”, oltre che ri pu -gnante. E la possibilità di una morte im-provvisa scatenava a sua volta la pau ra dimorire in stato di peccato mortale, oltre aesser vista essa stessa come un castigo di-vino. Un’ulteriore paura legata alla morteimprovvisa e in massa era quella di es-sere seppelliti anonimamente e senza ritofunebre. Queste paure della popolazioneprendevano la forma di pro cessioni in cuisi implorava la fine del flagello e anche di

ricerca di possibili colpevoli: gli ebrei fu-rono in più luoghi perseguitati come un-tori. Durante la peste del Trecentodivennero inoltre vi sibili per le strade igruppi dei flagellanti. L’as sistenza ai ma-lati ricoverati negli ospizi, immediata-mente percepita come pericolosa, diventòessa stessa un metodo di espiazione, oltreche di carità.

Genova, dopo la pestilenza descrittadal Boccaccio (che toccò anche il capo-luogo ligure) fu ripetutamente colpita dalmorbo, ma l’epidemia pestosa più gra vefu quella che si abbatté negli anni1656/57 e che fu definita dall’annalistaCasoni (di pochi anni posteriore allagrande peste anche se la sua opera fu dataalle stampe solo nel 1831) “la maggiorsciagura che abbia mai patito Genova”4

Alcuni ordini religiosi, so prattutto icappuccini e i camilliani, sidedicarono al l’assistenza deimalati, rappresentando unmodello di comportamentocompletamente opposto allaraccomandata “fuga”.

Secondo la testimonianzadi un medico del tempo, in-fatti, la cura più efficace, omeglio quella che lasciava unmargine di sicurezza eraquella suggerita dal motto:mox, longe, tarde, cede, re- cede, redi5, e proprio uno deipittori più attivi a Ge novanegli anni precedenti la pe sti-lenza del 1656, Gio vanniBattista Carlone, con la suanumerosa famiglia fug ge nel- l’ovadese, a Cade piaggio vi-cino a Parodi Li gure, doveaveva dei possedimenti.6

Una pala d’altare, custo-dita nella parrocchiale di S.Cristoforo di Gavi7, adun’ap profondita analisi ico-nografica si rivela una sortadi ex-voto di grandi dimen-sioni, realizzato per attestarela protezione divina (fig.1).Nella parte superiore dellatela Cristo sta per scagliaretre dardi infuocati, che rap-presentano il morbo pestilen-ziale, ed è affiancato dalla

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La grande peste di Genova (1656/57)nelle testimonianze figurative di Luisa Parodi

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Vergine e da San Giovanni Battista ingi-nocchiati sulle nubi in atteggiamento sup-plice. In basso un gruppo di santi,an ch’essi inginocchiati, volge lo sguardoal Salvatore ad impetrare la cessazionedella peste: S. Luigi di Francia, S.Rocco,S. Sebastiano, S.Carlo Borromeo, S.Ignazio e S. Nicola da Tolentino.

Nella parte inferiore del dipinto è raf-figurata in un paesaggio nebbioso unachiesa che è, molto probabilmente, lastessa parrocchiale di S. Cristoforo.

Dal recente restauro sono emersi i vi-vidi colori tipici del Carlone; la strutturacompositiva evidenzia il distacco fra ilgruppo dei santi e la divinità, distacco vi-sivamente percepibile anche per la lumi-nosità dorata che caratterizza la partesuperiore.

Una dettagliata analisi storico-docu-mentaria ha dimostrato che GiovanniBattista Carlone si era già cimentato inopere celebrative per la cessazione dellapeste.

Una tela, recentemente inserita nelsuo catalogo quale opera giovanile(1632), conservata nella chiesa di S. Lo-renzo a Lugano, presenta quasi lo stesso

impianto compositivodell’opera citata: in alto ladivinità, al centro i santi in-tercessori e in basso, qualesfondo un’immagine delluogo o del motivo per cuiviene implorata la grazia(fig.2).

La Madonna delle Gra-zie è implorata dai SantiLorenzo e Rocco inginoc-chiati su uno sfondo raffi-gurante la città sulle spondedel lago di Lugano ( città dicui S. Lorenzo è patrono).La tela fu eseguita a ricordodella peste debellata nel1494 per l’intercessionedella Vergine.8

Nell’Oltregiogo vi sonoanche altre testimonianzelasciate da pittori genovesiseicenteschi che testimo-niano la loro fuga dalla cittàper evitare il contagio pe-stoso; nella parrocchiale diRoccaforte Ligure si con-

serva un pala di attribuzione ancoraincerta, ma certamente di un pittoreligure, raffigurante la Madonna colBambino e i SS. Carlo Bor romeo9,Antonio da Pa do va, Sebastiano eRocco (fig.3) . Analizzando il di-pinto, dal punto di vista stilistico,sono stati proposti come data di ese-cuzione gli anni intorno al 1660.

La presenza, soprattutto, dei duesanti particolarmente invocati per lapeste e la probabile cronologia dellatela fanno pensare si tratti di un exvoto per la peste che nel 1657 scon-volse la città di Genova.10

Anche nella parrocchiale, dedi-cata a S. Martino, del borgo di Pa-sturana, è presente un dipintoriconducibile alla peste; Pasturana fucolpita dal morbo intorno al 1630, lapeste descritta dal Manzoni.

Nella tela, attribuita a Gioac-chino Assereto e alla sua bottega(fig.4), i SS.Rocco e Carlo Borro-meo sono in adorazione di Dio la cuipresenza si intuisce da una maggioreluminosità del cielo verso cui sonorivolti gli sguardi dei santi inginoc-

chiati su una nuvola rigonfia come un pa-racadute […] al cui riparo trovano postodue giovani trasognati che contemplanola visione, forse donatori anticonformisti(o miracolati) che vollero un’effigie fuoridai canoni consueti del ritratto di com-mittenza.11

Sotto la nube è raffigurato, quale ot-timo esempio di paesaggismo “reali-sta”del Seicento ligure, il borgo diPasturana sovrastato dalla mole del pa-lazzotto.

La convinzione secondo cui la pestefosse un castigo voluto da Dio ha fatto sìche fiorisse una intensa devozione a santiprotettori ed intercessori presso Dio a sal-vamento dal morbo.

La descrizione della divinità che, adi-rata per la corruzione del genere umano,si accinge a scagliare dardi apportatori dimorte, si trova sia in ambito pagano sianell’Antico Testamento.12

Il santo più antico investito del titolodi intercessore presso Dio e protettoredegli appestati è S. Sebastiano13 e le sueraffigurazioni che si ripetono numerosespecie in coincidenza con le pestilenze

151 . Giovanni Battista Car lone, La Vergine e iSanti Giovanni Battista,Luigi di Francia, Rocco,Sebastia no, Carlo Borro-meo, Igna zio e Nicola daTo lentino implorano daCri sto la cessazione dellapeste. Gavi, Chiesa di San Cristoforo

2 . Giovanni Battista Carlone, La Ma donna delle Grazie e i SantiLorenzo e Rocco. Lugano, Chiesa di San Lorenzo

3 . Pittore ligure, La Madonna colBambino e i Santi Carlo Bor romeo,Antonio da Padova, Seba stiano eRocco. Roccaforte Ligu re, Chiesa di San Giorgio

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si trovano anche in ambito letterario14.Anche a Bernardo Strozzi, pittore

nato a Genova nel 1582 ma che si spostòa Venezia a terminare la sua carriera, sidevono alcune tele rappresentanti ilSanto. Il S. Sebastiano curato dalle piedonne che si trova a Boston, databile al1631, fu dipinto quando ancora viva nelricordo dei veneziani era la pestilenza chesi abbattè sulla loro città negli anni1630/3115.

Il susseguirsi durante i secoli delleepidemie di peste ha fatto aumentare ilnumero di Santi promossi come protet-tori ed intercessori presso Dio.

Il santo maggiormente invocato, in-sieme a S. Sebastiano, è senz’altro S.Rocco; se il primo, piagato dalle frecce èquasi metafora di un male, di cui si ipo-tizza l’origine divina, il secondo presentale piaghe reali dovute alla peste che essostesso contrasse nel Piacentino, di ritornoda un pellegrinaggio alla città eterna16; leraffigurazioni dei due Santi in tele di ca-rattere devozionale legate al dilagare delmorbo sono numerosissime : in ambitogenovese sono da ricordare le due tavole

dipinte daLuca Cam-biaso per lachiesa di S.Maria dellaCastagna e perun oratoriodella zona oras c o m p a r s o ;quest’ultimodipinto (fig.5)è oggi in col-lezione pri-vata 17.

Dal puntodi vista icono-grafico, l’im-magine delcorpo ignudo di S. Seba stia no, segnatodal le ferite ma non alterato (che in pe-riodo rinasci men tale diventa an che pre-testo per la rappresentazione della fi guraumana secondo i ca noni di bellezza clas-sici) è figura pura e idealizzata del mar-tire che leva gli occhi al cielo e implora ladivina misericordia, ma l’immagine delcorpo piagato di S. Rocco documenta il

reale segno della peste18.“I due santi, l’antico e il mo-

derno, conviveranno ancora inuno stesso spazio figurativo siaperché ci si sentiva maggior-mente tutelati da più taumaturghicelesti che da uno solo, ma ancheper una sorta di slittamento se-mantico del loro ruolo: da quelloper così dire profilattico di S. Se-ba stiano in quanto la sua fun-zione è quella di scongiurare lapeste e quello terapeutico di sanRocco che ha il compito di farguarire chi ne è colpito.”19

Flaminio Corner alla metà delSettecento scrive che nel Conci-lio di Costanza “fu approvata[…] la venerazione del gloriosoSan Rocco, e la di lui interces-sione riconosciuta efficace pressoDio contro i pericoli del morbocontagioso [….]20

Nelle epidemie di peste è in-vocata anche S. Rosalia; il suoculto, nato a Palermo, ebbe unagrande risonanza in ambito geno-vese, e più specificatamente ri-

vierasco proprio in occasione della pesteche flagellò il ponente ligure nel 1631.La città di Nizza, a seguito del voto fattoalla Santa, nel 1655 eresse un altare nellaChiesa Cattedrale dove S. Rosalia ap-pare, accanto a S. Rocco, a supplicare laVergine perché cessi la terribile epide-mia21. Secondo uno schema ormai tradi-zionale, troviamo operante ValerioCastello che, scampato al morbo, dipingeper il nobile Gio Maria De Franchi S.Ro-salia in gloria (fig.6).

Nel dipinto compare il ritratto delcommittente “havendovi effigiatol’istesso Signore naturalissimo”22 cheriuscì a scampare alla terribile peste del1657 . Sempre di Valerio Castello è latela del Credito Bergamasco che nellaparte inferiore presenta oltre alla raffigu-razione del carro dei monatti e dei muc-chi di cadaveri appestati, come nell’altrasua opera sopra citata, il golfo di Genovacon la lanterna (fig.7). E’ quasi certo sitratti del dipinto,23 eseguito intorno aglianni 1656-57 per un ignoto committentegrato all’opera prodigata dai Padri Ca-milliani durante la Grande Peste, e ad essidonato per la loro chiesa genovese.24

Si affianca alla devozione alla santapalermitana il culto in onore di S. Nicolada Tolentino che per le sue doti tauma-turgiche viene anche invocato a difesadella peste.

Le raffigurazioni di S. Nicola da To-lentino, che presentano il santo come in-tercessore presso la divinità a scongiurarel’epidemia, risalgono alla prima metà delQuattrocento25. Corredato dei suoi pecu-

16 4 . Gioacchino Assereto e bottega, I Santi Rocco e CarloBorromeo implorano la protezionedivina sul borgo di Pa sturana. Pasturana, Chiesa di San Martino

5 . Luca Cambiaso, I Santi Seba-stiano, Rocco e Antonio Abate. Collezione privata

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liari attributi iconografici26, il Santo neldipinto quattrocentesco San Nicola salvaPisa dalla pestilenza nella chiesa pisanadi S Nicola, si presenta stante, con lamano destra impugna libro e giglio, conla sinistra un fascio di frecce sottrattedalla pioggia di dardi sulla sottostantecittà di Pisa.

Nella parte alta del dipinto è raffigu-rata la figura allegorica della peste. 27

Al 1445 risale un altro dipinto, S. Ni-cola salva Empoli dalla pestilenza delpittore Bicci di Lorenzo. Anche questa ta-vola è quasi totalmente occupata dal per-sonaggio, chiaramente riconoscibile peri suoi attributi, che frena con la mano lefrecce dirette verso la città, al posto dellafigura simboleggiante la peste compare,però, il Cristo che, sebbene con la sini-stra stia scagliando i dardi, sta anche be-nedicendo; « Con la sua duplice azione,Cristo è mostrato come punitivo e mi se-ricordioso, in quanto concede a Nicola lafacoltà di proteggere la città».28

Ancora dedicato al l’azione taumatur-gica del santo vi è un dipinto, conservatoa Genova nella chiesa dedicata a S. Ni-cola, opera di Gio vanni Andrea Car lone,che illustra il “miracolo di Cor doba”(fig.8) le gato anch’esso alla in tercessione

del santo ri-guardo ad unarovinosa pesti-lenza.

Si narra che il7 giugno 1602nella città di Cor-doba, funestatada una grave pe-stilenza, fu por-tato in pro-cessione un Cro-ci fisso che, in-contrandosi conla statua di S. Ni-cola si schiodòdalla cro ce e laab bracciò, po- nendo fine allaterribile epide-mia 29.

A Genova il contagiopestoso, di origine orien-tale, entrò portata da va-scelli di contrabbando,provenienti da zone con-tagiate, che sbarcaronodue tipi di merci, alcunigrano e cereali, altri lanestracci e panni di recu-pero. Con le merci dei ce-reali sbarcarono i topiappestati. Con i panni, lelane e gli stracci, sbarca-rono le micidiali pulci in-diane, che con i rattisono le vere responsabilidel tremendo contagio.30

La maggior partedelle opere figurative,scultoree ed architettoni-che, inerenti alle variepestilenze che hanno col- pito l’umanità sono di ca-rattere devozionale, comegli ex-voto per la guari-gione o per l’evitato con-tagio; nella Chiesa di S.Pietro in Banchi la Re-pubblica di Genova fece

erigere un altare dedicato all’Immacolataa ricordo dell’aiuto ricevuto dalla Verginein occasione della pestilenza del 1579. Inarea nord-europea vi sono opere architet-toniche de dicate al ricordo di epidemiepestose; famose in Austria le «colonnedella peste».

Scene di peste fanno da sfondo al di-pinto che Domenico Piola realizzò neglianni successivi alla Grande Peste: Ma-donna con angeli e S.Simone Stock, chesi conserva nella chiesa di N.S. del Car-mine ed è databile intorno al 165731. Latela (fig.9) presenta una iscrizione che necertifica la paternità dell’artista anche se,è quasi certo, vi è stata apposta in un mo-mento più tardo. Sembra potersi identifi-care nel dipinto citato da Ratti32.

Nella parte inferiore dell’opera si pos-sono scorgere alcuni edifici che assicu-rano l’ambientazione a Genova.

6 . Valerio Castello, La Vergine colBambino, Santa Rosalia eGio.Maria De Franchi. Genova,Chiesa di N.S. delle Grazie e SanGerolamo di Castelletto

7 . Valerio Castello, La Vergine colBambino e Santa Rosalia. Bergamo,proprietà del Credito Bergamasco

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Vi si può vedere la mole dell’Albergodei Poveri nelle fondamenta del qualetrovarono sepoltura circa 9000 vittimedella Grande Peste33. Evidente è la cupoladella chiesa appartenente al complessoappunto dedicata alla Vergine Immaco-lata come ex voto34.

Della decorazione ad affresco dellafacciata, ormai perduta, si conosce ilbozzetto preparatorio di Giovanni Batti-sta Carlone conservato nella quadreria diBanca Carige con L’esaltazione dell’Im-macolata (fig.10). La Vergine è suppli-cata dai SS. Giovanni Battista, Giorgio,Lorenzo e Bernardo, protettori della cittàdi Genova, disposti quasi a ricalcare il se-micerchio di luna sotto i piedi di Mariama la città ai loro piedi appare tenebrosaforse proprio in riferimento alla dramma-tica epidemia35 .

Anche ad Andrea Ansaldo si devonodelle raffigurazioni di scene di peste; unadi esse compare, in una tela ancora con-servata nella sua collocazione originaria,nella chiesa dei SS. Nicolò ed Erasmo aGenova-Voltri e un’altra in un affrescodella cappella dedicata a S. Carlo nellachiesa parrocchiale di Albisola Marina.

Per la chiesa di Voltri Ansaldo dipingela Processione di S. Carlo Borromeo(fig.11) che si svolge per le vie di Milanoappestata; l’intento è celebrare la figuradi S. Carlo patrono dei voltresi36.

In basso a destraviene raffiguratol’episodio del lattanteche tenta, ma invano,di succhiare ancora illatte dal seno dellamadre ormai morta;questa immagine, de-sunta da uno scritto diFederigo Borromeo,diventa ca ratteristicanelle de scrizioni pit-toriche secenteschedella pe ste37.

Alcune opere si ri- velano molto interes-santi perché al di là diuna funzione pretta-mente devozionale,so no connotate daun’im pronta di carat-tere più “laico”e

stanno ad illustrare la realtà quasi comeun do cumento dell’epoca.

Attribuita ad un pittore genovese, Do- menico Fiasella, scam pato al contagio, sideve la realizzazione di una tela recente-mente ritrovata sul mercato antiquario e

attualmente di proprietà della FondazioneFranzoni (fig.12); scrive R. Soprani nelleVite: “nella quale (tela) l’anno 1657,espresse al vivo l’atrocità del mal conta-gioso di cui rappresentò alcuni casimolto compassionevoli in quel temposucceduti38 .

Sembra documentato che la tela inquestione, di notevoli dimensioni ( 288 x175), in un primo tempo fosse stata espo-sta nell’atrio di Palazzo Ducale39, ma nonse ne conoscono al momento ulteriori no-tizie.

Sebbene per convalidarne l’attribu -zione al Fiasella sia necessaria una piùampia documentazione ed un’analisi sti-listica, che risulterebbe ulteriormentecomplicata dalle numerose e pesanti ridi-pinture, la tela presenta una singolare so-luzione compositiva che, dal punto divista iconografico, permette una partico-lareggiata lettura dei singoli episodi dicui si compone la scena.

Il formato della tela rende possibile losviluppo consequenziale di alcune im-magini, sia paesaggistiche, sia di edifici,che testimoniano trattarsi della città diGenova. Si scorgono, infatti, la lanterna,

8 . Giovanni Andrea Carlone, Il miracolo di Cordoba. Geno va, Chiesa di San Ni cola da Tolentino

9 . Domenico Piola, Ap parizione dellaMa donna a San Si mone Stock. Geno va,Chiesa di N.S. del Car mine

12 . Domenico Fiasella, La peste di Ge nova. Genova, Pinacoteca della Fon dazione Franzoni

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la chiesa di S. Domenico, ora distrutta maa quel tempo presente nel sito ove sorgeil teatro Carlo Felice ed un edificio, chenella sequenza proposta dal dipinto sitrova tra la lanterna e la chiesa di S. Do-menico, sembra potersi identificare conla Loggia di Banchi.

In alcune costruzioni si possono ve-dere loggiati e balaustre che testimonianoil carattere di molta architettura nobiliarecaratteristica dell’epoca e la citazione pit-torica della lanterna conferma senzaombra di dubbio che si tratti di un episo-dio successo a Genova.

Sul lato destro della tela è raffiguratoun personaggio che cala un cesto dalla fi-nestra per essere rifornito di cibo senzaentrare in contatto con alcuno. Per tentaredi arginare il contagio il Magistrato di Sa-nità ordinò, infatti, di chiudere la casadove era presente l’appestato, da cui nonpoteva più uscire nessuno e: “calare dallefinestre un ca nestro, una cesta o un sec-chio con una fune, et in quella, quelli difuori ponere la robba senza toccare funeo cesta…” 40.

In basso a destra, è riproposta l’im-magine della madre ormai morta al cuiseno il lattante tenta di succhiare. La

donna è raffigurata con evidenti segni chene distinguono la nobiltà e la ricchezza; ilmonatto alla sua destra, incurante del fe-tore, del pericolo di contagio, e delladonna (forse una della famiglia) che su diessa veglia, ne ruba gli ori e le suppellet-tili preziose che sono presso di lei 41.

Sempre in basso ma sul lato sinistrosi possono vedere le persone addette alloscavo per seppellire i cadaveri e nel cen-tro i monatti che trascinano e accumulanoi morti con fare cinico e noncurante; unodi loro fuma la pipa e reca con sé un fia-sco di vino.

Il Casoni nota infatti: “Mi è ancorastato detto che questi becchini […] com-mettevano moltissime insolenze e ruberie,e fossero quasi sempre ubriachi […] ve-derli seduti sopra i medesimi carri, anzisopra gli stessi cadaveri trinciar vivande ,e formaggi, tracannar vino…”42 .

In alto e in posizione centrale cam-peggia la figura allegorica della peste, unessere volante con sembianze femminili,di carnagione scura, nuda e col senovizzo.

Fonte iconografica di primaria impor-tanza per gli artisti a partire dalla fine delCinquecento, fu l’Iconologia di Cesare

Ripa, ben conosciuta anche a Genova. Laraffigurazione dell’allegoria della pesteche ci presenta il pittore in questo casosembra un misto fra la descrizione della“peste” e quella della “eresia” fatta dalRipa. Forse può essere considerata comeun ossequio all’allora imperante correntecontroriformistica e quindi anti-eretica43.

Nel dipinto si possono scorgere al-cuni personaggi appartenenti agli ordinireligiosi che più si prodigarono a soc-corso dei contagiati della Grande Pestedi Genova.

Alcuni monaci domenicani compa-iono sulla soglia della chiesa dedicata alloro fondatore; dietro la carretta carica dicadaveri che campeggia al centro dellatela, si scorge un padre cappuccino e alcentro si può vedere un religioso (e dal-l’abito sembrerebbe trattarsi di un padrecamilliano) che, pur turandosi il naso, im-partisce l’ultima benedizione ad un mori-bondo.

La presenza di un maialino con il col-lare che scorrazza per la strada, più chedenotare la carenza pressoché totale diigiene, ci informa sulla presenza nellacittà dei monaci dell’ordine di San t’Anto-nio Abate che, or mai da anni, avevano il

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per messo di al le vare i sui ni perché trae- va no dal loro gras so un guenti con pro -prietà curative per il “fuo co di S.An tonio”44. Inol tre il grasso di maiale erausa to, in sieme ad altri ingredienti, nellecure adot tate dai “bar bieri-chirurghi”proprio durante la Grande Pe ste 45.

In più punti del dipinto so no raffigu-rate le pire sulle quali si bruciavano i ca-daveri secondo un decreto del Magistratodi Sanità del 1657 che così sanciva, datala saturazione dei luoghi di sepolturafuori della città. Scrive il Ca soni: “Per di-vorare i cadaveri, fu bisogno, anco nellacittà, farne cataste nelle piazze e nellestrade magnifiche, e con pece e catrameapplicarvi il fuoco” 46 . Nel dipinto citatosi può, infatti, scorgere la raffigurazionedi un pontile fumante; data la sua posi-zione rispetto alla Lanterna è ipotizzabilesi tratti del Molo Vecchio 47.

Fra le misure igieniche in trodotte dalgoverno della Repubblica,vi fu il rimediodelle cosiddette “profumazioni”; eragiunta notizia che un gruppo di cappuc-

cini francesi ave-vano messo apunto, ri scuo-tendo un certosuccesso, una so-luzione per disin-fettare le case e lacittà.

«Giudicaronoi due Col legj, chesi do vesse chia-mare di Fran ciapersone at te a taliministeri, cheavessero già ve-duto, e provato ilcontagio. […]persone pratichea comporre, e ap-plicar pro fumi, con quantità grande dimedicamenti, droghe, e altri ingredientiper i profumi » 48 .

Questi co siddetti “profumi”altro nonerano che dei potenti e velenosi insetti-cidi. Il cappuccino Padre Maurizio da To-

lone, al quale va il me rito diaver intuito la ne ces sità di eli-minare i vettori della peste,scampato al mor bo che colpìGenova e tornato a Marsiglia,descrisse queste misure da te-nere in caso di epidemia pe-stosa 49. Esse si rivelarono,però, di scarsa efficacia, ancheperché adottate quando ormai ilmorbo era già troppo esteso.

Anche alla luce dellascienza moderna se ne può af-fermarne la utilità, condi-zionata ovviamente alla tempe-stività dell’attuazione; in certamisura si possono considerareantesignane delle moderne mi-sure preventive.

La diffusione della peste fu,dunque, sempre collegata, aGenova come altrove, a parti-colari indirizzi devozionali; al-cuni dei quali sostenuti dagliordini religiosi che più si pro-digarono all’assistenza agli am-malati, come il culto a S.Rosalia , palermitana, portata aGenova dai Camilliani. Maanche la committenza aristo-

cratica volle proporre ai fedeli alcune fi-gure di santi taumaturghi, come il gran-dioso S. Sebastiano marmoreo (fig.13)scolpito da Pierre Puget nel 1664-68 perla chiesa gentilizia della nobile famigliaSauli sulla collina di Carignano 50 .

Accanto all’immagine del martire lostesso scultore realizzò la statua di Ales-sandro Sauli, vescovo di Aleria in Cor-sica (fig.14), che durante la peste del1580 si era prodigato per gli appestatidella sua diocesi, unendo così il ricordodell’imperversare del morbo alla glorifi-cazione di un membro della famiglia 51 .

NOTE

1Gli sviluppi della peste a Genova negli anni1656/57 sono stati recentemente analizzati inROMANO da CALICE, La Grande Peste. Ge-nova 1656-1657, Genova 2004. Dal punto divista biologico l’uomo nella catena della tra-smissione della peste non è che una tappa occa-sionale e non necessaria: si tratta infatti di unamalattia dei roditori causata dal microrganismoyersinia pestis, che si propaga dal ratto all’uomose le pulce del ratto (Xe nopsylla Cheopis), in-fetta per averlo punto, passa sull’uomo. Nelleepoche delle grandi epidemie storiche non si sa-peva nulla di yersinia pestis (isolata alla finedel l’Ottocento, proprio durante l’ultima com-parsa della malattia in Europa, che coincise conl’epoca della batteriologia di laboratorio), maera stato correttamente osservato che la malattiaera legata al contatto con cose e persone infette,cioè che era contagiosa. Gli storici ritengono chele epidemie di peste si siano ripresentate con in-sistenza e con invariata virulenza perché dopoogni ondata epidemica il numero degli individui

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guariti, e quindi immunizzati, era troppo bassoper garantire un’immunizzazione diffusa nellapopolazione. Una spiegazione della scomparsadella peste dall’Europa si può ricavare da unamutazione del microrganismo yersinia: i ratti daun certo momento sono risultati immuni alla va-riante mutata, e quindi i loro parassiti, anche nelcaso che passino sull’uomo, non provenendo daanimali malati non diffondono la malattia. Lapeste è rimasta nelle lingue europee come me-tafora di flagello improvviso, diffuso e irrime-diabile.

2 Storia del pensiero medico occidentale.Antichità e Medioevo, vol. I, M. GRMEK (acura di), 1993 Roma-Bari, p. 195.

3 A Venezia si deve la nascita dell’istituzionedel “lazzaretto” e di strutture atte alla quaran-tena delle merci.

Il primo lazzaretto fu fondato nel 1423 nel-l’isola di S. Maria di Nazareth, da cui il nomederiva dopo alcuni volgarizzamenti: Nazareth,Nazaretum, Lazaretum e infine “lazzaretto”. Ve-nezia e i lazzaretti mediterranei, N.E. VANZANMARCHINI (a cura di), catalogo della mostradi Venezia, Mariano del Friuli (Go) 2004, pp.22-23.

4 CASONI, Successi del contagio della Li-guria negli anni 1656-57 , Genova 1831, p.9.

5 Vale a dire mox cede,vai via al più presto,longe recede rifugiati lontano, tarde redi, ritornatardi….; Scienza e miracoli nell’arte del Sei-cento –Alle origini della Medicina Moderna, S.ROSSI (a cura di), catalogo della mostra diRoma, Milano 1998, p.52.

6 « La famiglia possedeva, infatti, nella zona[…] diverse proprietà immobiliari, tanto da farassumere la denominazione di “Car lona”, an-cora oggi attuale, alla località da essi abitata»,A. CABELLA TONCINI, La Pittura, in La Par-rocchiale dei Santi Rocco e Sebastiano di Pa-rodi Ligure tra medioevo ed età contemporanea,C. PAOLOCCI (a cura di), Genova 1995, p. 38;“la maggior parte delle famiglie benestanti […]si sono ritirate dalla città ed anno schivata lamorte” CASONI, 1831, p. 40.

7Il restauro della tela risale al 2005, D.SANGUINETI, Giovan Battista Carlone; laPala restaurata della Chiesa Parrocchiale di S.Cristoforo, in “URBS Silva et Flumen”, XIX,n°2, 2006, p.130.

8 M.BARTOLETTI, L. DAMIANI CA-BRINI, I Carlone di Rovio, 1997, p.165;L. DA-MIANI CABRINI, Seicento Ritrovato. Pre senzepittoriche “italiane” nella Lombardia Svizzeratra Cinquecento e Seicento, catalogo della mo-stra di Rancate, L.DAMIANI CABRINI (a curadi), Milano 1996, pp. 124-125.

9 Carlo Borromeo fu arcivescovo di Milanonegli anni della peste del 1576, distinguendosiper la sua abnegazione.

10 F. CERVINI, L’altra Liguria. Pittori ge-novesi fra l’Oltregiogo e il Po, in Maestri ge-novesi in Piemonte, catalogo della mostra di

Torino, P. ASTRUA, A.M. BAVA, C.E. SPAN-TIGATI (a cura di), Torino 2004, p. 54.

11 P. ASTRUA, A.M. BAVA, C.E. SPANTI-GATI ( a cura di ), Torino 2004, p. 52.

12 Ad esempio tra le varie citazioni vetero-testamentarie riguardanti la peste l’episodioche vede protagonista il re Davide castigato daDio con tre giorni di pestilenza tra la sua gente,è stato scelto da P. Puget come incisione perl’antiporta del trattato sulla peste del P. Mauri-zio da Tolone F.FRANCHINI GUELFI, La scul-tura del Seicento e del Settecento. Statue earredi marmorei sulle vie del commercio e delladevozione, in Genova e la Francia. Opere, arti-sti, committenti, collezionisti, P. BOCCARDO,C. DI FABIO, P. SENECHAL (a cura di), Mi-lano 2003. Nel primo libro dell’Iliade è partico-larmente evidenziato il ruolo del morbopestilenziale come castigo divino.

13 Egli subì il martirio nei primi secoli delcristianesimo sotto la persecuzione di Dio cle-ziano, e la forma di supplizio cui fu sottopostofu di essere legato ad un albero e trafitto dafrecce. S. Sebastiano fu curato da S. Irene e so -lo dopo altri tormenti trovò la morte nel circo.Il suo cadavere fu poi gettato nella Cloaca. S.Sebastiano apparve poi in sogno a S. Lucina persvelare dove si trovavano le sue spoglie che fu-rono tumulate nelle catacombe che da lui pre- sero il nome.

S. Sebastiano divenne così anche co-pa-trone, insieme ai SS. Pietro e Paolo, della città diRoma.

L’immagine della “freccia” come simbolo dieventi negativi che possono travolgere l’uomo,compare nell’iconografia della Madonna di Mi-sericordia. Una tavola conservata nella chiesa diS. Maria dei Servi a Genova, dipinta da Barnabada Modena presenta, infatti l’immagine dellaVergine che apre il manto sotto cui trovano ri-fugio i suoi fedeli, che fa da scudo ad una piog-gia di dardi.

14 Da studi recenti pare controversa la veri-dicità del martirio di S. Sebastiano tramite lefrecce; è però certa la sua esistenza.

Lo studioso Hippolyte Delehaye sostieneche la vita leggendaria di S. Sebastiano fu com-posta solo in torno al 486 d. C; .K. RESSOUNI-DEMIGNEUX, La vita “immaginata” di SanSe ba stiano, Guido Reni- Il tormento e l’estasi, P.BOCCARDO, XAVIER F. SALOMON (a curadi), catalogo della mostra di Genova, Milano2007, p. 17.

15 F. SPADAVECCHIA, S. Sebastiano cu-rato dalle pie donne, olio su tela, cm 167 x 118,Fine Arts Museum, Boston, scheda n. 71, Ber-nardo Strozzi, catalogo della mostra di Genovae Venezia, E. GAVAZZA, G. NEPI SCIRE’, G.ROTONDI TERMINIELLO (a cura di), Milano1995, p. 240; se ne conserva una replica nellachiesa dei SS. Benedetto e Scolastica (vulgo S.Beneto) a Venezia.

16 S. Rocco nell’arte. Un pellegrino sulla

Via Francigena, catalogo della mostra di Pia- cenza, Milano 2000.

17A. MANZITTI, I SS. Rocco, Sebastianoed Erasmo, olio su tavola, cm 149 x 144, S. M.della Castagna – Genova-Quarto ( proprietàdella confraternita di S. Rocco), scheda n. II 16,L. MAGNANI, I SS. Rocco, Sebastiano e Anto-nio Abate, olio su tavola, cm 140 x 122, colle-zione privata, scheda n. II 15, in LucaCambiaso - un maestro del Cinquecento euro-peo, catalogo della mostra di Genova, P.BOC-CARDO, F. BOGGERO, C. DI FABIO, L.MAGNANI (a cura di ), 2007 Milano, pp.236-237 e 234-235.

18 Il bubbone pestoso, raffigurato con rea-listica crudezza, ha dato la possibilità agli stu-diosi di storia della medicina di poter analizzaree conoscere meglio lo sviluppo e la cura del lamalattia nei secoli passati.

Solo in ossequio alla decenza il bubboneche, in effetti dovrebbe trovarsi nella zona in-guinale, è tradizionalmente posizionato al l’in-terno della coscia che S. Rocco mostra ai devotiquale monito alla penitenza ma anche come in-vito alla confidenza in Dio Salvatore.

19S. MASON RINALDI, Le immagini dellapeste nella cultura figurativa veneziana, in Ve-nezia e la peste -1348/1797, catalogo della mo-stra di Venezia, Venezia 1980, p.215.

20 F. CORNER, Ecclesia venetae…, decasnona e decima, VI, Venetiis 1749, p. 375.

21 Le notizie sulla vita della Santa sono in-certe e forse addirittura leggendarie, mancandoprove documentarie. La venerazione popolarevuole S. Rosalia eremita, nel XII secolo, pressouna grotta del monte Pellegrino dove furono rin-venute nel 1624 le sue presunte spoglie. F.FRANCHINI GUELFI, S. Rosalia in Ligu ria.Una devozione venuta dal mare, in “La Ca sana”,Speciale Sicilia-supplemento al n. 1/2001, annoXLIII, Genova, pp. 22-29; Tigul lio antico - Allariscoperta del culto di S. Rosalia. Arte, storia,tradizioni, B. BERNABO’ (a cura di), Genova2002.

22 Così il biografo dell’artista. R.SOPRANI,Vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi,Genova 1674, p.234.

23Per la scheda redatta sul quadro da M. Ca-taldi Gallo si veda La Chiesa di Nostra Signoradelle Grazie e S.Gerolamo fra storia e arte, C.OLCESE SPINGARDI (a cura di), Genova2004, pp.28-29; Valerio Castello 1624-1659.Genio moderno. Catalogo della mostra di Ge-nova, M.CATALDI GALLO, L.LEONCINI,C.MANZITTI, D.SANGUINETI (a cura di),Milano 2008, pp.247, 391 n.98.

24 Comparso sul mercato antiquario e pro-veniente dalla Francia dove era giunto a seguitodelle spoliazioni napoleoniche, appartiene ora alCredito Bergamasco ma è in deposito pressol’Accademia Carrara. C. MANZITTI, ValerioCastello, Torino 2004, pp. 211-212.

10. Giovanni Battista Carlone, L’Immacolata con i Santi Giovanni Battista, Giorgio, Lorenzo e Bernardo. Genova, Collezioni della Banca CARIGE

11. Andrea Ansaldo, La processione di San Carlo Borromeo. Genova, Chiesa dei Santi Nicolò ed Erasmo di Voltri.

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25 “Del nobile sacrificio che facean dellalor vita nella teribile pestilenza del 1656”,F.ALIZERI, Guida illustrativa del Cittadino edel Forestiero per la Città di Genova e sue adia-cenze, Genova 1875, p. ; a S. Camillo si devel’istituzione dei Chierici Regolari Ministri degliInfermi; P. SANNAZZARO, Camillo de Lellis,in Dizionario degli Istituti di Perfezione, II,Roma 1974-1997, coll. 5-10; ad essi si deve laparticolare devozione a S.Rosalia. Una statua li-gnea che rappresenta S.Rosalia morente pressoil monte Pellegrino, si conserva nella chie sa de-dicata alla S.Croce e S.Camillo a Genova. F.FRANCHINI GUELFI 2001, pp. 22 – 29.

25 S. Nicola da Tolentino nasce a S. Angeloin Pontano nel 1245 e muore a Tolentino nel1305; nel 1446 è canonizzato da papa Euge-nio IV.

26L’abito nero dell’Ordine Agostiniano a cuiappartenne, con un sole raggiato sul petto (le-gato al fatto secondo cui ancora fanciullo ebbe lavisione dell’ostia raggiante come il sole al mo-mento della elevazione, durante una celebra-zione eucaristica), il libro, il crocifisso e ilgiglio.

27 M. BURRESI, S .Nicola salva Pisa dallapestilenza, 1420 circa, tempera e oro su tavola,165 x 80cm, Pisa, chiesa di S. Nicola, scheda n.5, in Immagine e Mistero. Il Sole, il Libro, ilGiglio. Iconografia di S. Nicola da Tolentinonell’arte italiana dal XIV al XX secolo, catalogodella mostra della Città del Vaticano, M. GIAN-NATIEMPO LOPEZ (a cura di), Roma 2005, p. 3.

28 L. MARSHALL, S. Nicola salva Empolidalla pestilenza, Tempera su tavola, 150 x 64cm, Empoli, chiesa di S. Stefano, scheda n. 6 inGIANNATIEMPO LOPEZ 2005, p. 36.

29 Scheda n.57 in GIANNATIEMPOLOPEZ 2005, p. 162; è probabile che la tela siastata commissionata come ex-voto dal padre An-tero.

30 ROMANO da CALICE, 2004, p.76.

31 T. GAZZOLO, La Chiesa di Nostra Si-gnora del Carmine a Genova, 1997 (ristampa)Geno va, p. 44; D. SANGUINETI, Dome nicoPiola e i pittori della sua “casa”, Soncino2004, scheda I.28, fig. 161, p. 384.

32 “[…] a’ padri carmelitani di S. Anna v’àpinto quello di San Simeon Stok che riceve loscapulare”C.G. RATTI, Storia de’pittori, scul-tori ed architetti genovesi – secondo il mano-scritto del 1762, M. MIGLIORINI (a cura di),Genova 1997, p. 47.

33 “si decise di gettare i morti nelle fonda-menta del costruendo Albergo dei Poveri”, RO-MANO da CALICE, Genova 2004, p.87.

34 E. PARMA, De peculio meo…Arte e pietànell’assistenza genovese, in Genua abundat pe-cuniis-Finanza,commerci e lusso a Genova traXVII e XVIII secolo, catalogo della mostra, Ge-nova 2005, pp. 137-149.

35 E. CASTELLI, L’Immacolata con i SSGio vanni Battista, Giorgio, Lorenzo e Ber nardo,scheda n.48, in G. ROTONDI TERMINIELLO,Il patrimonio artistico di Banca Carige – dipintie disegni, Cinisello Balsamo 2008.

36 Ansaldo muore nel 1638 e non potè,quindi, illustrare la “Grande Peste” di Genova;F. FRANCHINI GUELFI, La devozione am bro-siana in Liguria: la storia, le immagini in Am-brogio- Le immagini e il volto. Arte dal XIV alXVII secolo, catalogo della mostra di Milano,Venezia 1988, pp. 144-145. L’illu strazione chequi si riproduce è stata cortesemente concessadall’Archivio Fotografico della Banca CARIGES.p.a., che ringrazio.

37 Un pittore genovese del Seicento. AndreaAnsaldo 1584-1638. Restauri e confronti, cata-logo della mostra, F. BOGGERO ( a cura di ),scheda n. 5, fig. n. 23 e nota n.8.

38SOPRANI 1674, p.250; il dipinto è citatoanche nella monografia dedicata a DomenicoFiasella come certamente esistito, sebbene almomento della pubblicazione del libro non sene conoscesse l’ ubicazione. P.DONATI, Dome-nico Fiasella “ il Sarzana”, Genova 1974, p. 50.

39 ROMANO da CALICE, 2004, p.236.40 Ms. Campasso in ROMANO DA CA-

LICE 2004, p.11.41“Non vi è più distinzione, né di sesso né di

merito: uomini, donne, secolari e religiosi, ric-chi e poveri di ogni conditione, tutti alla rinfusa“. ANTERO M. MICONE DA S. BONAVEN-TURA, Li lazzaretti della Città, e Riviere di Ge-nova nel MXCVII, Genova 1658; in ROMANOda CALICE, 2004, p.95;“non pativano peròscrupoli quando avevano da prendere li pen-denti dalle orecchie di qualche donna”AN-TERO M. MICONE DA S. BONAVENTURA,Li lazzaretti della Città, e Riviere di Genova nelMXCVII, Genova 1658; in ROMANO da CA-LICE, 2004, p.

42 CASONI, 1831, .p. 73.43 “Una vecchia estenuata, di spaventevole

aspetto […] Getterà per la bocca fiamma affu-

micata […] le mammelle asciutte e assai pen-denti[…] colla mano destra mostri di spargereserpenti” figurazione dell’ ERESIA secondoRipa, p. 350, tomo II; la descrizione dellaPESTE in pp. 375-376, tomo IV; C. RI PA, Ico-nologia, accresciuta da Cesare Orlandi, Perugia1764-1767.

44 Suor Maria Francesca Raggi, testimoneoculare in quanto monaca nel convento di S.Brigida, nel popoloso quartiere di Prè, scrive:Nelle strade pubbliche si trovano monti di ca-daveri, anche pascolo degli stessi porci; in RO-MANO da CALICE, 2004, p. 93.

45 Le cure ai bubboni attuate dai barbieri-chirurghi si rivelarono molto dolorose e presso-ché inutili; “ Passando al medicinale; dico inprimo luogo che in questo contagio si è perprova conosciuto che i medici non avevano al-cuna cognizione del modo di curare questa sortedi morbo” CASONI, 1831, p. 59.

46 CASONI, 1831, p. 36 . 47 CASONI, 1831, p. 47.48 CASONI, 1831, p. 37.49 PADRE MAURIZIO DA TOLONE, Trat-

tato politico da praticarsi ne’ tempi dipeste….composto dal Padre Mauritio da ToloneSacerdote Cappuccino…,Genova 1661 (ed.cons. Genova 1721) ; vedi qui anche nota 11; laRepubblica di Genova donò, quale ringrazia-mento per il sollecito aiuto prestato dai PadriCappuccini francesi, una statua raffigurante laVergine, conservata nella Cattedrale di SaintMaximin, FRANCHINI GUELFI, 2003, p. 171.

50 L. GEORGET, in Pierre Puget (Mar si glia1620-1694). Un artista francese e la cultura ba-rocca a Genova, catalogo della mostra di Ge-nova, Milano 1995, pp. 112-117.

51 Alessandro Sauli fu beatificato nel 1742e canonizzato nel 1904; nella basilica di Cari -gnano anche un quadro attribuito a DomenicoFiasella e datato 1630, illustra l’opera del ve- scovo..

13 . Pierre Puget, San Sebastiano.Genova, Basilica di Santa MariaAssunta di Cari gnano

14 . Pierre Puget, Sant’AlessandroSauli, Genova, Basilica di SantaMaria Assunta di Carignano

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