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La grande guerra sul fronte italianoLe truppe d’assalto austroungariche
Alessandro Massignani
La stabilizzazione dei fronti e la guerra di posizione comportarono, oltre che la sperimentazione da parte di milioni di combattenti di una dimensione alienante della quotidianità nella guerra di trincea, anche l’impossibilità di decidere in tempi brevi il conflitto con tutte le implicazioni che ne seguirono. Le risposte a questa forma di guerra variarono da esercito a esercito e da fronte a fronte, seguendo la ricerca sia di nuovi mezzi tecnici da utilizzare nella lotta, sia di nuove formule dottrinali per l’impiego delle truppe.Sul fronte italiano, gli austroungarici introdussero alla fine del 1916 truppe appositamente addestrate (su modello tedesco, come era avvenuto nel 1915 sul fronte occidentale) per la guerra d’assedio, denominate Sturmtruppen. Benché si trattasse di recepire una formula esistente, gli austroungarici avevano comunque iniziato una riflessione sulla tattica in uso e le variazioni da apportare per renderla idonea alla situazione; con una certa inerzia, anche l’esercito italiano arrivò nell’estate 1916 a una nuova regolamentazione tattica cui seguì nella primavera 1917 l’introduzione di truppe d’assalto ispirandosi alle esperienze austroungariche che avevano raccolto nell’insieme successi incoraggianti. Le strade seguite dai belligeranti si diversificarono, con una maggiore specializzazione da parte italiana, dove gli arditi ebbero una propria distinzione organica e amministrativa, mentre nell’esercito austroungarico si tendeva a diffondere l’addestramento nella truppa in maniera capillare con opportune rotazioni. Nel 1917 si accentuò la tendenza a sopperire alle croniche carenze della massa della fanteria imperiale, sempre più logorata, con l’impiego di unità scelte e meglio addestrate nelle operazioni più importanti, o quantomeno in funzione di elemento trainante e modello di riferimento, con il successo in molte azioni di minore rilievo. Dato che in campo operativo l’esercito imperialregio aveva perso ormai l’iniziativa, esse influirono in maniera rilevante sul morale della massa delle truppe. Sebbene sia ignorato dalla storiografia austriaca e internazionale, il ruolo delle truppe d’assalto austroungariche fu di grande rilievo in molte importanti operazioni (dal contrattacco dell’Ortigara a Caporetto, al Piave, fino ad azioni di polizia nella fase finale della guerra), contribuendo in maniera determinante alla prosecuzione della lotta.
The deadlock on the fronts and the attrition war involved both the experience o f an alienating daily life fo r millions o f soldiers stuck up in trenches and dugouts and the impossibility to bring soon the conflict to and end, with all the consequences this situation implied. The responses to stalemate varied from army to army and from fron t to front, depending on the development o f new weapons as well as o f new tactical approaches.On the Italian front, by the end o f 1916 the A ustro-Hungarians introduced selected units specially trained fo r siege warfare, the so-called Strumtrup- pen, as previously done on the western fron t after German patterns. While reproducing an existing model, the Austro-Hungarians had been reflecting on current tactics and their possible adaptations to incumbent needs; with some delay, also inside the Italian army a tactical innovation totok place in 1916 that led by the following spring 1917 to the introduction o f assault troops in the wake o f significant success met with on the Austro-Hungarian side.The roads followed by the bellingerants were soon to differ, with more specialization on the Italian part, the “A rditi” enjoying an organic and administrative distinction o f their own, whereas the Austro-Hungarians tended to generalize special training over the whole combat ranks and file by convenient turnover. During 1917 a growing tendency may be observed to cover increasing shortage o f troops within the worn-out Imperial-royal infantry by employing special highly trained corps in crucial fie ld operations, at least as sprearhead elements or tactical terms o f reference. With repeated success in minor actions, since the Imperial-royal army had lost initiative on general scale, they greatly helped support the moral o f the troops. Though generally overlooked by both A ustrian and international historiography, assault tropps played an important role in a number o f major operations — ranging from the Ortigara counter-attack to Caporetto and to the Piave battle, up to police tasks during the last phase o f the conflict — contributing significantly to the continuation o f the war on the part o f the Double M onarchy.
'Italia contemporanea”, marzo 1995, n. 198
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Le strategie di superamento della guerra di trincea
L’immagine sedimentata della prima guerra mondiale è quella della guerra di trincea, con gli alienanti ingredienti quotidiani di sangue e di fango, sempreché si sorvoli su alcuni suoi aspetti ancora più sgradevoli, che la resero una esperienza di vita quotidiana definita da D’Annunzio aulicamente “la spelonca che sa di fogna e di sepolcro”1. Della guerra in trincea la memorialistica e la cinematografia ci hanno consegnato l’immagine di ripetuti attacchi falliti, spesso ordinati da ottusi comandanti in preda al timore di essere “silurati”. Se la ricerca di come la guerra era vissuta dai soldati è stata finalmente incentivata da una ripresa di studi, altri aspetti sono rimasti in ombra, per esempio l’analisi delle ragioni per cui la guerra di trincea aveva assunto quei caratteri, e il conseguente esame degli sforzi per superare tale stato di cose. In diversa misura il problema ha interessato nel dopoguerra le storiografie dei belligeranti, alla ricerca di giustificazioni o responsabilità del massacro, di volta in volta individuate nei comandanti, nei politici, nella mentalità o nell’influenza di qualche pensatore militare, quando non nella semplice “stupidità” . I militari di professione non avevano immaginato — salvo qualche eccezione — che la guerra avrebbe assunto il carattere di assedio, perché non vi erano stati grandi conflitti in Europa dopo la guerra francoprussiana e le esperienze di
conflitti come quello russogiapponese o angloboero avevano influito soltanto dal punto di vista teorico sulla dottrina tattica degli eserciti europei. D’altra parte, l’esperienza della guerra civile americana non aveva avuto una ricaduta nel dibattito militare in Europa per i suoi caratteri di guerra combattuta in larga parte da civili volontari al di fuori degli schemi tradizionali europei.
La spiacevole sorpresa di una guerra che andava per le lunghe e che persisteva nell’essere combattuta secondo modalità ritenute insolite non aveva scalfito la convinzione degli ufficiali ai gradi più elevati — che si erano formati nell’Ottocento, soprattutto studiando le campagne di Napoleone — che ben presto, superata la condizione di staticità, la “normale” guerra sarebbe ripresa. Ha acutamente osservato Pierluigi Scolè che il nostro addetto militare in Francia non capiva cosa succedeva nelle trincee perché le visitava quando non vi erano combattimenti, e questo stato di cose era generalizzabile all’intera classe militare nei gradi più elevati, che non aveva un diretto contatto con quello che avveniva in trincea2.
Di conseguenza, anche l’esigenza di adattarsi a una forma di guerra che non era stata prevista se non da qualche osservatore delle cose militari e che appariva tutt’altro che breve e una certa inerzia psicologica impedirono una risposta immediata. Tenendo conto inoltre dei tempi che i cambiamenti della mentalità dominante richiedevano all’inizio del secolo, è più agevole capire la difficoltà
L’autore desidera ringraziare enti e persone che hanno prestato il loro aiuto per agevolare la ricerca: l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito; Andrea Curami e Paolo Ferrari; Wolfgang Kuderna del Kriegsarchiv-Wien; Maximiliane Rieder dell’Institut für Zeitgeschichte, München; Christian Haager, Obmann del Kaiserjäger Bund di Innsbruck; Piccinini per il Kaiserschützen Museum di Innsbruck, ed infine Jack Greene, Los Osos, California.1 La citazione è utilizzata da Maravigna come didascalia di una foto di trincea, cfr. Pietro Maravigna, Guerra e vittoria, Torino, Utet, 1927.2 Sulle considerazioni appena fatte gli unici studi in Italia sono dovuti alla pionieristica opera di Scolè. Cfr. Pierluigi Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, tesi di laurea, Pavia, 1989-1990, pp. 63 e sg. Si veda anche il suo recente articolo sul capitano francese Laffargue, La tattica offensiva nella guerra di posizione: la parte di André Laffargue, “Il Risorgimento”, 1994, n. 1, pp. 149-161.
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di adattamento cui andavano incontro i generali che non erano presenti sul campo di battaglia.
Una risposta adeguata alla nuova situazione venne soltanto gradualmente e sotto diverse forme. Durante la guerra la procedura di attacco assunse due forme più comuni, quella della lunga preparazione, fino a diversi giorni di bombardamento, il cui potere alienante ci è stato consegnato dalla memorialistica oltre che dai recenti studi3, e l’impiego di vari mezzi per consentire poi alle fanterie di avanzare con il minor numero di perdite possibile, riassunto dal termine “battaglia di materiali”, in sostanza una evoluzione dell’arte dell’assedio favorita dalla dimensione industriale del conflitto. Chi però non poteva disporre di tante risorse dovette ricorrere a forme più agili e meno costose di attacco, o meglio ancora a contrattacchi, in genere però limitati per scopo e dimensioni, fondati essenzialmente sulla sorpresa e che richiedevano una maggiore abilità di esecuzione.
Secondo una opinione diffusa, gli anglofrancesi, ma anche gli italiani sul proprio fronte, potendo disporre di maggiori risorse rispetto all’avversario, cercarono una soluzione nell’innovazione tecnologica, sviluppando la produzione di grandi quantità di artiglierie, quindi di riserve immense di munizioni, e facendo leva su nuovi mezzi come carri armati, aerei, bombarde, ecc., mentre dal canto loro i tedeschi e gli austroungarici
dovettero far maggior conto sul “materiale umano”, dando vita a innovazioni sul piano delle procedure di attacco. Il quartiermastro generale dell’esercito tedesco Erich Luden- dorff aveva espresso queste considerazioni sulle scelte dell’alto comando tedesco nelle sue memorie, e più recentemente qualche storico ha ritenuto che l’eccessiva preoccupazione per le perdite abbia influito su operazioni di vasta portata come l’offensiva austriaca nel Trentino nel maggio del 19164. Anche se questa non è la sede per una discussione in proposito, è opportuno tenere presente che questa schematica interpretazione delle scelte dei belligeranti è stata messa in discussione, per esempio da Bruce Gudmunsson5, perché anche in campo alleato si è cercata l’innovazione nella tattica, mentre gli Imperi centrali dal canto loro misero in campo tutta una serie di nuove armi che costituivano tentativi di superamento della terra di nessuno. C’è chi infine ha trovato insoddisfacente la conclusione che l’evoluzione tattica tedesca fosse migliore di quella britannica, rivendicando a canadesi6 e britannici7 in generale una insospettata vitalità ideativa nel rispondere alla sfida della nuova forma di guerra.
La dicotomia tra la pratica che si andava imponendo nella guerra di trincea e i concetti che presiedevano alle regolamentazioni tattiche degli eserciti europei all’inizio del Novecento — largamente improntate all’offensiva — è più evidente se la si esamina da vicino. Emerge allora la prosecuzione della tattica
3 Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1985 (ed. orig. Cambridge, Cambridge U .P ., 1979).4 Così si esprime Manfried Rauchensteiner nel suo recente Der Tod des Doppeladlers. Österreich-Ungarn und der Erste Weltkrieg, Graz, Styria, 1993. Enfasi su questo punto viene posta dallo studio di Gerhard Arte, Die österreich-ungarische Südtirol-offensive 1916, Wien, ÖBV, 1983, p. 73.5 Bruce I. Gudmunsson, Stormtroops Tactics. Innovation in German Army 1914-1918, New York, Praeger, 1989, p. 172.6 Ian M. Brown, Not Glamorous But Effective: The Canadian Corps and thè Set-piece Attack 1917-1918, “Journal of Military History”, luglio 1994, pp. 421-444.7 Si veda lo stimolante nuovo volume di Paddy Griffith, Battle Tactics o f thè Western Front. The British Arm y’s Art o f Attack 1916-18, London, Yale U .P., 1994, che scrive a commento della evoluzione delle Sturmtruppen tedesche: “Tuttavia in questa evoluzione i britannici erano più avanti”. Il lettore che riesca a superare lo sciovinismo che pervade il volume, vi può trovare interessanti spunti di riflessione.
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delle formazioni in linea e colonna delle guerre napoleoniche con i necessari adattamenti suggeriti dalle esperienze delle guerre successive.
Più precisamente, alla vigilia della guerra la compagnia austroungarica in attacco avanzava su un fronte di tre plotoni per una larghezza di 300 metri circa, mentre un quarto restava in riserva8. L’attacco aveva due momenti: quello “distruttivo” e quello “decisivo”, cioè azione di fuoco prima e assalto poi, il tutto secondo VExerzierreglement del 1911 e il Dienstvorschrift 1911 (generalmente abbreviati rispettivamente E-3 e A-10), equivalenti alle nostre librette dottrinali. Essi si ispiravano fondamentalmente alle guerre austroprussiana (1866) e francoprussiana (1870)9, ma dalle ultime edizioni prebelliche si può desumere che la guerra russogiapponese aveva avuto una certa influenza, e infatti, accanto alle consuete forme di combattimento dette d’incontro (Begegnungsgefecht o Rencontre) e di attacco contro nemico disposto a difesa (Angriff gegen einen zur Abwehr entwickelten Gegner), era stato inserito anche il combattimento contro posizioni fortificate (Angriff auf befestigte Stellungen). Questa constatazione però non ci può fornire l’assicurazione che l’esercito fosse stato addestrato seguendo quei principi, e neppure che sul campo di battaglia le norme abbiano trovato puntuale
attuazione. Di fatto questo dipendeva dal grado di addestramento delle unità e dall’atteggiamento dei comandanti, cioè in buona parte dalla professionalità di questi ultimi. Secondo qualche autorevole testimonianza, l’addestramento all’attacco a posizioni fortificate restò spesso lettera morta, lasciando spazio nelle manovre al consueto e ben collaudato esercizio del combattimento d’incontro10 11. D’altra parte quanto riferiva il nostro addetto militare in Russia sulla guerra russogiapponese, e cioè che “Nel circolo degli ufficiali di Stato Maggiore esteri è molto criticata la mania russa di scavare trincee ovunque ed in grande quantità” , indica quale fosse la mentalità dell’epoca11.
Il capo di Stato Maggiore delle forze armate austroungariche, il generale Franz Conrad von Hòtzendorf, che aveva sempre nutrito un forte interesse per la tattica, ebbe larga influenza con i suoi scritti in materia. Un libro in particolare — apparso nel 1900 e più volte ristampato — costituì la base teorica dell’addestramento della fanteria dell’impero, ma non prendeva in considerazione ipotesi di attacco diverso di quello in terreno piano o coperto rispetto al fuoco avversario, assumendo che il nemico fosse privo di ripari campali. Interessante invece la previsione di combattimenti invernali, probabilmente collegata alla sua personale esperienza come comandante di truppe al confine con l’Italia12.
8 Erwin Steinböck, Bewaffnung und Kampfweise der österreichisch-ungarischen Infanterie im Ersten Weltkrieg, “Truppendienst”, 1979, n. 3, pp. 232-235; 1979, n. 4, pp. 325-327; 1979, n. 5, pp. 434-438.9 Stampati a Vienna da L.W. Seidel & Sohn nel 1912. La non semplice organizzazione delle forze armate della Duplice monarchia rifletteva la sua dualità: un esercito comune imperialregio (k.u.k.) e due eserciti nazionali austriaco (k.k.) e ungherese (k.u.). I reggimenti austriaci sono denominati Schützen e quelli ungheresi Honvéd.10 Peter Broucek, Taktische Erkenntnisse aus dem russisch-japanischen Krieg, “Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs”, voi. 30, 1977, pp. 191-220; 203; 214; si veda anche il commento all’evoluzione della regolamentazione austroungarica in Anton von Pitreich, Die Entwicklung unseres Kampfverfahrens vom Kriegsbeginn bis zur Gegenwart, “Militärwissenschatliche und Technische Mitteilungen”, 1935, pp. 401-416; 487-510; 577-594.11 Annotazione del giornale di campagna di F. Camperio, osservatore militare italiano presso l’esercito russo in Manciuria, del 4 luglio 1904, in Antonello F.M. Biagini (a cura di), Documenti italiani sulla guerra russo-giapponese (1904-1905), Roma, Ussme, 1977.12 Franz Conrad von Hötzendorf, Die Gefechtausbildun der Infanterie, Wien, 1900. Numerose le successive edizioni. Quelle consultate del 1913 e del 1917 sono sostanzialmente identiche. Curiosamente tra i terreni fortemente coperti Conrad citò anche le coltivazioni tipiche italiane, cfr. p. 232.
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Queste norme non erano dissimili da quelle degli altri eserciti dell’epoca, compreso quello italiano.
Patrimonio comune delle idee che ispiravano gli eserciti europei era la tendenza all’offensiva, sia sul piano strategico (si pensi ai vari piani Schlieffen o XVII francese), sia sul piano tattico13. L’enfasi sullo slancio come fattore di risoluzione del combattimento era presente in più di una normativa tattica europea; se è stato commentato che quella austroungarica prevedeva che “la fanteria si sarebbe lanciata all’attacco del nemico senza attendere l’appoggio dell’artiglieria”14 per sostenere la forte tendenza all’attacco, anche quella italiana prevedeva che “l’assalto deve essere eseguito impetuosamente” e che per essere decisivo “in tutti quelli che assaltano non dev’essere più che un solo pensiero: avanti, avanti sempre e ad ogni costo”15.
Questa fiducia nello slancio restava viva durante la guerra e spesso il fallimento degli attacchi veniva imputato unicamente alla sua mancanza.
Scarsa la comprensione delle possibilità della mitragliatrice: “Non sostituisce perciò né il fucile, né il cannone”, perché il suo ruolo poteva al massimo essere quello di “ausilio prezioso”, a dispetto di chi “va fantasticando che la potenzialità di ognuna di esse o di ogni sezione sia equipollente a quella di un plotone o due di fanteria”16.
Le truppe d’assalto italiane
L’esercito italiano godeva sul proprio fronte principale di una indiscussa superiorità numerica che gli consentì di assumere un atteggiamento offensivo senza però che sortissero adeguati risultati agli sforzi prodotti. Esso sperimentò sia il sistema dell’attacco preparato con grande uso di artiglieria e forte dispendio di munizioni, sia l’attacco di minori dimensioni affidato alle truppe d’assalto. Un contesto diverso quindi da quello in cui operarono gli austriaci, di difensiva strategica, nel quale d’altra parte l’esigenza delle truppe d’assalto era sorta nell’ambito della battaglia difensiva. L’unico studio sugli arditi italiani si deve alla pionieristica ricerca di Giorgio Rochat17, che fornisce anche informazioni sulle truppe d’assalto austriache e analizza il contesto in cui sorse e si sviluppò la formazione di truppe di élite. Ne risulta che in realtà non esisteva per gli arditi italiani — che inizialmente si erano ispirati alle truppe d’assalto austroungariche — soltanto una esigenza tattica, ma anche una di carattere morale e propagandistico. Già nel 1915 Cadorna aveva emanato varianti alle istruzioni tattiche in vigore allo scoppio della guerra perché superate dagli eventi. Di conseguenza, alle norme vigenti (il cui riassunto è spesso definito come “libretto rosso”) emanante nel 191518, che a differenza di quelle austroun-
13 Jack Snyder (a cura di), The Ideology o f thè Offensive. Military Decision Making and thè Disasters o f 1914, Ithaca, Cornell University Press, 1984.14 A. von Pitreich, Die Entwicklung unseres Kampfverfahrens von Kriegsbeginn bis zur Gegenwart, cit., p. 402.15 Ci riferiamo all’analisi comparata delle regolamentazioni italiana, tedesca, francese e austroungarica fatta da Felice Santangelo, Commenti alle nostre norme per il combattimento della fanteria (bozze dì stampa 1911) e norme analoghe sancite dai regolamenti francese, germanico e austro-ungarico, Torino, Tip. Oliviero & C., 1913, p. 398.16 F. Santangelo, Commenti alle nostre norme per il combattimento della fanteria, cit., p. 387.17 Giorgio Rochat, Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, Milano, Feltrinelli, 1980 e Gorizia, Editrice Goriziana, 1990 (seconda edizione).18 Filippo Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, voi. I, Roma, Ussme, 1984, pp. 504 e sgg. La circolare è pubblicata in: L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito negli anni 1914, 1915, 1916, Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 1932, all. 3, pp. 69-97.
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gariche non mettevano in conto l’attacco a posizioni fortificate, Cadorna fece seguire “una completa revisione dei criteri e dei procedimenti d’impiego della fanteria e dell’artiglieria”, una presa d’atto della battaglia di materiali in corso che però non rinunciava all’azione “violenta e risoluta” come mezzo per concludere a proprio favore la battaglia, insistendo particolarmente sulla determinazione dei fanti lanciati all’assalto, come se questi avessero potuto risolvere il problema con la semplice volontà19. Inoltre, la prima grande battaglia difensiva italiana nella primavera del 1916 nel Trentino aveva messo in luce carenze strutturali del nostro esercito, oltre a inadeguatezze concettuali. In effetti prima di allora l’enfasi era posta sull’attacco più che sulla difesa e in questa l’esercito di Cadorna aveva subito la superiorità tecnica e di preparazione del nemico, il quale poteva avvantaggiarsi di un anno di esperienza sui campi di battaglia europei, ben superiore a quella della guerra italo-turca. Non che mancassero idee: l’allora colonnello Grazioli propose per esempio l’impiego di una brigata mista libica e italiana per l’assalto e la rottura del fronte nemico “di viva forza”, facendo conto sulla sorpresa e impiegando militari “vergini della deprimente vita di trincea” assieme a un reggimento di colore formato da ascari libici, non si sa se per risparmiare vite italiane o per “far piazza pulita della
trincea conquistata, senza dar quartiere e senza far prigionieri, e ciò per terrorizzare i difensori”20. La proposta non ebbe seguito per problemi politici, per cui sul fronte italiano non vennero utilizzati soldati non nazionali, come invece scelsero di fare francesi e inglesi.
Dopo aver riassunto per tutte le armate dipendenti le impressioni a caldo della recente esperienza, Cadorna emanò delle norme per l’impiego della fanteria nella guerra di trincea, che, accanto alle nuove norme per l’impiego dell’artiglieria, costituivano il sommario delle esperienze fatte in oltre un anno di guerra21.
Ma la riflessione in proposito era ancora in atto, perché il Comando supremo chiese in agosto alla l a armata quali metodi avessero usato gli austriaci nell’azione offensiva “per lo studio delle norme tattiche più appropriate per avere ragione del nostro nemico”22. In effetti non solo gli insegnamenti del fronte francese ebbero limitata ricaduta sugli italiani23, ma anche le esperienze di casa propria sembravano non essere particolarmente fruttuose in tempi brevi. Nella normativa emanata da Cadorna in luglio l’attacco era ancora visto a ondate successive e la maggior garanzia di riuscita sembrava ancora essere la profondità del dispositivo di attacco. Accanto alla costante sottolineatura della essenzialità della “decisa volontà di vincere” come premessa indispensabile per
19 F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, voi. I, cit., pp. 655 e sgg.20 “Studio per la costituzione e l’impiego di un gruppo tattico speciale per l’attacco di viva forza (brigata mista d’assalto)”, senza data ma trasmesso a Cadorna il 1° maggio 1916, in Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito (Aussme), E l, racc. 145. Esistono diverse stesure nella primavera del 1916 dello stesso studio.21 L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito negli anni 1914, 1915, 1916, cit., all. 27, pp. 298 sg.; F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, voi. I, cit., p. 639 commenta giustamente che in quei mesi si registrò una evoluzione dei criteri d’impiego.22 Comando supremo a l a armata, lettera prot. n. 15.296 dell’ 11 agosto 1916: “Quesiti sui metodi tattici usati dagli austriaci”, in Assme, FI, 261, fase. 1.23 Questa constatazione si basa sulle ricerche di Giorgio Rochat, La preparazione dell’esercito italiano nell’inverno 1914-15 in relazione alle informazioni disponibili sulla guerra di posizione, “Il Risorgimento”, 1961, 1, pp. 10-12 per il periodo della neutralità e di P. Scolé, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, cit. per il periodo successivo.
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riuscire negli attacchi, si consigliava anche di distribuire a tutti gli attaccanti “qualche bomba a mano”24.
Quindi, ancora prima di essere sorpresi dalle operazioni delle Sturmtruppen austro- ungariche, gli italiani avevano valutato a vari livelli l’inadeguatezza delle norme dottrinali anteguerra nella guerra di trincea in corso, anche se persisteva la convinzione della provvisorietà di questo aspetto del conflitto. Questa impressione riceve conferme dalle istruzioni che venivano emanate; per esempio, ancora alla fine del 1916, dopo un anno e mezzo di guerra, il manualetto dell’ufficiale di complemento, curato dal generale Giuseppe Pennella, non rinunciava ai concetti tattici prebellici, ma inseriva ad uso dei giovani subalterni un capitoletto sulla guerra di trincea, dato che in questa “il combattimento si svolge con norme le quali si diversificano notevolmente da queste [in campo aperto] [...] e che è essenzialissimo di studiare bene a fondo, data l’applicazione continua che se ne fa25” .
La comparsa a fine anno di nuovi procedimenti austriaci di derivazione tedesca costrinse gli italiani a un loro esame che però non significò un cambiamento radicale nelle norme di impiego, comportando piuttosto la riflessione sulla utilità, d’altronde sancita dai risultati sul campo, di costruire reparti analoghi a quelli d’assalto austroungarici. In questo giocava anche un proprio ruolo il morale delle truppe, perché dalla documen
tazione emerge che i comandi soffrivano considerevolmente dell’iniziativa austroungarica nel campo delle piccole azioni, spesso condotte con successo proprio da truppe d’assalto26.
Questo spinse la 3a armata, schierata sul Carso, a tradurre e dare alle stampe le istruzioni per l’addestramento delle truppe d’assalto austroungariche, distribuendole ai reparti dipendenti. Cadorna lasciò infatti alle armate dipendenti il compito e l’autonomia per raccogliere quanto vi era di positivo nell’impiego delle nuove truppe austroungariche. Questa influenza dell’avversario non andò oltre l’impostazione generale, dato che le truppe d’assalto italiane ebbero alcune loro peculiarità, per esempio nella costituzione di specifiche unità, mentre nell’esercito austroungarico gli uomini delle unità d’assalto venivano inviati ai loro reparti di origine quando non erano impiegati. Lo stesso dicasi per l’uniforme e il trattamento economico e disciplinare; il soldato che prestava il servizio d’assalto (Sturmdienst) non disponeva di particolari accessori nell’uniforme se non i sacchi che servivano per portare a tracolla le bombe a mano. Spesso l’uso dell’elmetto viene associato alle formazioni d’assalto, ma in realtà questo accessorio aveva avuto diffusione in tutta la fanteria, anche se, laddove la disponibilità non era sufficiente, le truppe d’assalto avevano la precedenza nel suo utilizzo rispetto ad altri reparti. Una volta decisa la loro costituzione, in-
24 L'Esercito italiano nella grande guerra, voi. IV, Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito degli anni 1914-1915-1916, Roma, Ist. Poligr. dello Stato, 1932, p. 306. A fine anno finalmente il Comando supremo ravvisò la necessità dell’addestramento di tutti al lancio delle bombe a mano proprie e nemiche. Cfr. Id., Disposizioni relative all’impiego delle bombe a mano, allegato 33, pp. 347-350. Formalmente la circolare del Comando supremo è corretta e individua i punti che avrebbero potuto migliorare la qualità degli attacchi, ma a patto che la fanteria o almeno le truppe delle prime ondate e l’artiglieria di appoggio avessero ricevuto un adeguato addestramento.25 Giuseppe Pennella, Vademecum dell’allievo ufficiale di complemento, Roma, Tip. del Senato, dicembre 1916,pp. 20-1.26 Sulla costituzione dei reparti d’assalto cfr. la circolare n. 21.000 del 5 luglio 1917: “Addestramento dei riparti d’assalto”, in Aussme, F2 - 18, fase. 5. Nel documento si legge: “[...] (colpi di mano), ai quali appunto saranno più specialmente adibiti i riparti d’assalto”.
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vece, gli italiani dotarono i reparti d’assalto di proprie distinzioni nell’uniforme, come le fiamme nere (o cremisi per i reparti a prevalenza di bersaglieri), la giubba aperta da bersagliere ciclista e l’armamento particolare (pugnale, moschetto, bombe a mano). Inoltre l’addestramento venne impostato su due livelli: personale addestrato all’assalto da tenere presso i reparti e personale destinato alla formazione di reparti d’assalto veri e propri a livello battaglione. A differenza dell’esercito austroungarico, il Comando supremo italiano aveva disposto che la compagnia fosse il reparto minimo autonomo per i reparti d’assalto27.
I principi addestrativi non differivano granché da quelli austroungarici, dato che gli italiani utilizzarono lo schema base del nemico per il loro addestramento28, ma la differenza più rilevante rispetto agli avversari era nei concetti che si possono dedurre dalla diversa organizzazione: per gli italiani era importante sviluppare uno spirito di corpo, che necessariamente doveva avere come supporto qualche elemento di distinzione dal fante comune associato all’inferno immobile della trincea, sia nell’uniforme, sia nello spirito che si tendeva a formare, con l’intenzione di dar vita a un modello di riferimento29.
Benché Cadorna non avesse rilevato grandi novità nell’addestramento delle truppe d’assalto austriache, nel 1917 apparvero nuove istruzioni per l’attacco nella guerra di trincea, che precisavano: “[...] quando l’artiglieria inizia l’allungamento del tiro, la pri
ma ondata giunga presso la posizione nemica per aggredire l’avversario con lancio di bombe o con la baionetta, mentre è ancora nascosto nei suoi ripari”30.
Il procedimento non mancava di sollevare remore nella realizzazione pratica, la quale non poteva essere improvvisata. Infatti la circolare riconosceva che “qualche perdita, [...] con tale procedimento si potrà avere dalla propria artiglieria” .
Lo sviluppo degli arditi italiani prima di Caporetto avvenne con una certa lentezza, ma visti i “risultati veramente preziosi” che questi conseguivano, venne deciso di costituire un reparto per ogni corpo d’armata.
Accanto alla conferma della volontarietà del reclutamento delle truppe d’assalto, emerge dalla documentazione anche qualche pressione sui soldati dovuta al malinteso orgoglio dei comandanti desiderosi di fare bella figura proponendo un alto numero di volontari31.
Dopo Caporetto venne posta — almeno per quanto concerne la 3a armata — “ogni cura a che tali reparti siano sollecitamente riordinati e completati” . Al dicembre 1917 la 3a armata disponeva di quattro reparti (dal 19° al 22°) e si procedette di pari passo all’attiva propaganda per ottenere volontari prima di tutto dai bersaglieri, poi dalle compagnie di fanteria e mitraglieri. La ragione risiede probabilmente anche nel fatto che nel corso della battaglia di arresto i reparti d’assalto avevano prestato valido aiuto anche nella difesa, agendo come “pompieri” nelle
27 Circolare n. 117.050 del Comando supremo del 21 settembre 1917: “Equipaggiamento armamento composizione organica dei riparti d’assalto”, in Aussme, F2, racc. 18, fase. 5.28 In proposito si veda il programma austroungarico diffuso dal Comando supremo in L ’Esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del Capo di Stato maggiore dell’esercito, 1917-1918, Roma, Ussme, 1980, pp. 86-88 ed i commenti di G. Rochat, Gli arditi della grande guerra, cit., p. 24.29 G. Rochat, Gli arditi della grande guerra, cit., passim.30 Regio esercito italiano, Comando supremo, Riparto operazioni, Istruzione provvisoria sull’attacco delle minori unità dì fanteria nella guerra di trincee, circolare a stampa del 1917, p. 18.31 3a armata ai corpi dipendenti, lettera prot. n. 32.755 del 28 settembre 1917: “Riparti d’assalto” e n. 35.297 del 18 ottobre 1917 con lo stesso oggetto, in Aussme, F12, racc. 18, fase. 5.
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situazioni difficili32. Già nelle battaglie difensive della fine del 1917 sul Piave e sulla zona montana del Grappa e dell’altipiano, entrambi i contendenti fecero uso nelle situazioni più difficili di truppe d’assalto (torneremo oltre sul tema con un esempio austroungarico), sia in attacco che in difesa. Se ne può dedurre che l’addestramento impartito consentiva alla fanteria — naturalmente a una parte selezionata per qualità fisiche e idoneità psichica — di riuscire laddove la massa dei combattenti trovava impossibile esprimere lo slancio più volte invocato dalle circolari del Comando supremo.
I risultati comunque ottenuti dal limitato sviluppo del 1917 costituirono evidentemente la base della realizzazione nel 1918 di grandi unità d’assalto, arrivando fino al corpo d’armata d’assalto.
Gli arditi restavano comunque unità d’élite, al contrario delle Sturmtruppen, che non ricevevano l’attenzione della propaganda.
Se si analizzano i combattimenti nel corso dell’ultimo tentativo offensivo della Duplice monarchia, nel giugno 1918, si può constatare come i successi parziali e comunque significativi delle truppe austroungariche nella fase iniziale della lotta fossero ottenuti proprio da truppe d’assalto, mentre i contrattacchi italiani riusciti appaiono nella maggioranza dei casi condotti proprio da truppe d’assalto, una caratteristica eminente del fronte italiano.
Le truppe d’assalto austroungariche: l’organizzazione33
La storiografia anglosassone ha dedicato per scopi speculativi una considerevole attenzione alle Sturmtruppen tedesche e al loro significato nella evoluzione dei procedimenti tattici durante la prima guerra mondiale, cercando di individuare le ragioni — anche in campo sociale — alla base del successo nello sviluppo della regolamentazione tattica di quell’esercito34. Meno attenzione ha destato l’analogo procedere degli eserciti della Duplice monarchia, per quanto utili notizie, desunte dall’esperienza sul campo e da documenti austroungarici, fossero state fornite da Salvatore Farina nella sua storia delle truppe d’assalto italiane35.
Ma anche rAustria-Ungheria, fin dal rallentamento delle operazioni di movimento e dalle prime battaglie, constatò che i regolamenti tattici avevano rivelato la loro inadeguatezza davanti alla potenza di fuoco che la difesa era in grado di sviluppare. Tuttavia ogni cambiamento radicale delle procedure sembrava essere rinviabile perché ci si attendeva che il campo di battaglia tornasse ad assumere le caratteristiche fino allora conosciute.
Occorre però dire che fin dal 1915 si riscontrano tracce di azioni mirate al superamento della staticità delle linee con fulminei colpi di mano. Valga ad esempio l’impresa dei Landesschutzen tirolesi contro la testa di ponte russa di Zaleszczyki nel maggio del 19 1 536, condotta in maniera efficiente, rapi-
32 3a armata lettera prot. n. 40.675 del 19 dicembre 1917: “Battaglioni d’assalto”, in Aussme, F12, racc. 18, fase. 5.33 L’argomento delle truppe d’assalto austroungariche è stato introdotto in Alessandro Massignani, Jack Greene, Le Sturmtruppen sul fronte italiano. Nascita e affermazione delle truppe d ’assalto dell’esercito austroungarico (1916-1917), “Storia militare”, 1994, n. 15.34 Una approfondita analisi di queste opere è in Lucio Ceva, Riflessioni e notizie sui sottufficiali, “Nuova antologia” , aprile-giugno, 1992, fase. 2182, pp. 331-353.35 Salvatore Farina, Le truppe d ’assalto italiane. Con cenni sulle truppe d ’assalto straniere, Roma, Tip. “Lavoro fascista”, 1938, pp. 343-361.36 Eduard Czegka, Der Kaiserschiitzen-Handstreich auf Zaleszczyki am 8. Mai 1915, “Militàrwissenschaftliche Mitteilungen”, 1931, n. 1, pp. 1-25.
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da e tale da realizzare la sorpresa. Delle riflessioni in atto sui procedimenti tattici delle varie armi e soprattutto della fanteria troviamo traccia anche alPindomani dell’offensiva nel Trentino del maggio 1916 contro l’Italia — nota anche come Strafexpedition. In un documento riservato del I corpo d’armata austroungarico, schierato sull’altopiano di Asiago, si poneva forte accento sulla necessità che le truppe in attacco, comprese le riserve, si portassero a distanza di assalto (all’incirca 200 passi) dalle trincee nemiche durante il fuoco della propria artiglieria. Se questo, come si è già notato, era un fattore essenziale nella riuscita degli attacchi degli austroungarici contro le posizioni italiane, nondimeno la necessità del superamento del tratto scoperto e della conquista di settori molto articolati di trincee comportava l’elaborazione di procedimenti particolarmente accurati di attacco con l’uso di armi di vario tipo. Già nel corso dell’operazione un ufficiale italiano in quel settore del fronte aveva notato come la fanteria avversaria apportasse variazioni alla tattica d’attacco avanzando “a piccoli drappelli, a sbalzi periodici di poche diecine di metri”, sfruttando al massimo le asperità del terreno e senza sospendere il fuoco dell’artiglieria37.
Sempre nell’estate del 1916, il comando della l a armata italiana lamentò che l’avversario compiva azioni di sorpresa che ottenevano successi locali grazie alla scarsa vigilanza delle prime linee38. Si andava anche diffondendo nell’esercito austroungarico l’impiego di pattuglie particolarmente addestrate al lancio di bombe a mano che utilizzavano i migliori lanciatori serviti da appositi portatori.
Nella seconda metà del 1916 gli austroungarici avevano finalmente messo a frutto le esperienze negative delle grandi battaglie sul fronte serbo, russo e italiano. Occorreva trovare una risposta alla nuova forma di guerra di posizione per sbloccare la guerra di assedio. La forma di combattimento dell’attacco a posizioni fortificate, pur non essendo una novità, richiedeva truppe particolarmente addestrate. L’esercito di campagna non poteva essere sottoposto a tale necessario addestramento, per cui si cominciò a preparare un nucleo scelto e adeguatamente addestrato per ogni unità a livello di reggimento, con l’intenzione di estendere questo moderno addestramento, al punto da prevedere che avrebbe persino costituito la base di quello futuro in tempo di pace, anche perché l’Armeoberkommando si rendeva conto che addestrare in tempo di guerra tutto l’esercito era impresa disperata39.
Nel quadro della collaborazione tra tedeschi e austroungarici, che si spingeva fino alla intersezione di unità tedesche come “corsetti da busto” tra quelle dell’alleato (sorge spontaneo il parallelo con le abitudini adottate un quarto di secolo dopo da tedeschi e italiani), vennero organizzati dei corsi comuni di ufficiali, in specie sul fronte occidentale, per l’addestramento al combattimento. Nel novembre 1916 si svolgevano tali corsi per i sistemi di attacco e analoghe iniziative vennero adottate dal Comando superiore del fronte orientale. Un primo esempio di attacco austroungarico condotto secondo procedure nuove e organizzato sotto comando tedesco, era peraltro già avvenuto alla testa di ponte di Zarecze (sul fronte russo) il
37 Valentino Coda, Due anni di guerra con la Brigata Liguria, Milano, Sonzogno, s.d., p. 103.38 Operazioni l a armata gennaio-giugno 1917: n. 28.542 del 18 agosto 1916 del comando l a armata: “Azioni di sorpresa nostre ed avversarie”, in Aussme, Fondo EI, race. 17.39 “Sturmformationen - beabsichtigte Organisation zur Stellungnahme” in Armeoberkommando, Operationen (cioè atto riguardante le operazioni, d’ora in poi Aok, Op.) n. 42.363 del 30 giugno 1917, in Staatsarchiv-Kriegsarchiv Wien (di seguito Ka). Si veda anche “Referat über Benennung und Bezeichnung der Sturmtruppen”, in Ka, Aok, Op. n. 43.614.
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18 settembre 1916, dove 17 compagnie tedesche e sette austroungariche avevano catturato oltre 2.500 russi lamentando solo 18 morti e 150 feriti40. A impiego ultimato le unità partecipanti, provenienti da svariati reggimenti, erano rientrate alle unità di appartenenza.
Anche l’attacco della 121a divisione tedesca il 1° novembre dello stesso anno a Wito- niez, sempre contro i russi, in quanto condotto con un esemplare appoggio dell’arti- glieria austroungarica, pare essere stato un esempio di impiego più preparato41. Alcune notizie del tempo di guerra — peraltro prive di conferme — indicherebbero delle azioni analoghe presso la 55a divisione sul fronte russo42.
Alla fine del 1916, sull’esempio delle truppe d’assalto tedesche, e grazie ai corsi svolti da ufficiali austroungarici sul fronte occidentale e all’addestramento condotto anche all’interno di unità tedesche, la Duplice monarchia poteva mettere in campo delle pattuglie dette di “Sturmtrupps” oppure “Stoss- trupps” , cioè piccole unità a livello squadra, che dovevano agire in piccole azioni integrate con altre armi, e in particolare con l’artiglieria, in perfetto sincronismo. L’influenza dell’alleato tedesco era pesante non soltanto a livello di condotta strategica della guerra, specialmente dopo il disastro dell’offensiva di Brusilov (giugno 1916), ma anche a livello
tattico e normativo. La relazione ufficiale austriaca riferisce in proposito che le esperienze del fronte occidentale avevano costituito la base delle nuove norme organiche e addestrative con il travaso delle specifiche tedesche nell’esercito austroungarico43. La funzione delle truppe d’assalto, salvo operazioni minori isolate, doveva essere quella di “apripista” per il resto della fanteria che doveva occupare in forze le posizioni espugnate.
Come obiettivo generale il Comando supremo si proponeva di arrivare ad avere almeno una o due pattuglie per ogni compagnia di fanteria che fossero addestrate nel corso dell’inverno alla lotta corpo a corpo con mezzi moderni. In questa prima fase i sottufficiali — in analogia ai colleghi tedeschi — svolgevano un ruolo importante in quanto comandanti delle Sturmpatrouil- len44.
L’apparizione di truppe austroungariche addestrate in maniera particolare divenne più evidente nella primavera del 1917, e infatti in quel periodo, terminati i primi corsi organizzati per battaglioni di Sturmtruppen d’armata, le pattuglie austroungariche addestrate per l’assalto intensificarono le piccole azioni sperimentali. Occorre rilevare però che una istruzione per il loro addestramento era stata data alle stampe nel dicembre del 1916; si trattava delle Anweisungen fùr die
40 Österreich-Ungarns letzter Krieg (di seguito abbreviata Öuik), voi. V, Das Kriegsjahr 1916, Zweiter Teil, Wien, 1993, pp. 410-411.41 Öulk, voi. V, Das Kriegsjahr 1916, p. 460.42 Handbook o f the Austro-Hungarian Army in War. June, 1918, London, Imperial War Museum & Battery Press, 1994 (ristampa dell’originale 1918), p. 55.43 Öulk, voi. VI: Das Kriegsjahr 1917, a cura dell’Österreichisches Bundesministerium für Landesverteidigung und vom Kriegsarchiv, Wien, Verlag der militärwissenschaflitche Mitteilungen, 1936, p. 44.44 A proposito del ruolo dei sottufficiali tedeschi nell’evoluzione della nuova tattica, si veda L. Ceva, Riflessioni e notizie sui sottufficiali, cit., pp. 331-353. Una conferma del ruolo comparabilmente assai più limitato dei sottufficiali nell’esercito italiano si apprende anche dalla lettura di qualche disposizione di attacco come quella del VI corpo d’armata schierato sull’Isonzo in occasione di un’offensiva nella primavera 1916, che ricordava che “gli ufficiali debbono di massima restare in coda ai rispettivi riparti con la pistola in pugno”, cfr. n. 2.470 del 24 aprile 1916: “Concetti secondo cui indirizzare la preparazione della truppa e dei quadri per l’eventualità di ulteriori operazioni”, in Aussme, E l - Racc. 145.
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Ausbildung der Sturmtruppen45. In realtà si ha notizia di truppe, specialmente tra le più fidate, addestrate già a fine del 1916, come nel caso del 27° reggimento di fanteria im- perialregio, composto unicamente di personale reclutato in Stiria e quindi probabilmente con i requisiti per essere una delle prime unità interessate al nuovo addestramento. I corsi avevano una durata di sei settimane: la storia del 27° ricorda che nel febbraio alcune pattuglie erano tornate alle unità già preparate46. Però già nel mese di gennaio gli italiani erano stati sorpresi dall’attività di queste nuove formazioni, come si apprende da una circolare riservatissima di Cadorna del 31 gennaio 1917 alle armate dipendenti47.
Da questa si evince anche che le prime prove effettuate già tra la fine 1916 e l’inizio del 1917 sul fronte italiano avevano avuto tutte successo. Questo contrasta con quanto si legge spesso a proposito dell’impiego delle nuove tecniche d’attacco austroungariche in occasione del famoso contrattacco contro la
posizione di Flondar — sul fronte dell’Isonzo — del 4 giugno 1917, nella fase finale della 10a offensiva isontina. In realtà la storia delle operazioni, rimasta alquanto arretrata, nota raramente la presenza di truppe speciali nei combattimenti, mettendo in ombra il loro funzionamento e non potendo di conseguenza spiegare le ragioni di alcuni risultati48.
Un esempio relativamente conosciuto di reparto d’assalto austroungarico, nell’ambito di una generale carenza di fonti per la ri- costruzione della storia dei reparti, è costituito dal battaglione dell’ 11a armata impe- rialregia schierata nel Trentino, costituito da quattro compagnie che riunivano elementi di tutta l’armata, ciascuna delle quali aveva quattro plotoni, ognuno su quattro pattuglie Sturm di nove uomini ognuna49.
Il battaglione aveva la propria sede adde- strativa a Levico, non lontano da Trento, dove, come a Tenna e Aldeno, si svolsero fino alla fine della guerra corsi per truppe d’assalto50. I corsi specifici del battaglione
45 K.u.k. Armeeoberkommando Op. Nr. 36.300, Anleitung für Ausbildung der Sturmtruppen, Dezember 1916. Si tratta di un libretto di 56 pp. La definizione utilizzata per le Sturmtruppen era “formazioni speciali” della fanteria. Tra le poche carte disponibili sull’argomento nella biblioteca del Kriegsarchiv di Vienna c’è un regolamento pressoché coevo, emanato per il 6° battaglione d’assalto bavarese nel gennaio del 1917 dal suo comandante per l’esecuzione di un addestramento particolare dell’unità (Bayer. Sturmbatl. Nr. 6, Sonder-Ausbildung von Sturmabteilungen, Januar 1917) che, pur essendo improntato alle esperienze del fronte occidentale, sottolinea concetti comuni a quelli in via di applicazione in Austria-Ungheria, desumibili in particolare da schizzi uguali a quelli utilizzati dal manuale austriaco.46 Hermann Fröhlich, Geschichte des steirischen k.u.k. Infanterie-Regiment Nr. 27 für den Zeitraum des Weltkrieges 1914-1918, 2 voll., Graz, Selbstverlag des 27er-Kameradschaftsbünde, 1937, II, p. 184.47 Riservatissima n. 1975 del 31 gennaio 1917, in Museo 3a armata (Padova), Diario storico 3a armata, annotazione del 31 gennaio 1917.48 G. Rochat, Gli arditi della Grande Guerra, cit., pp. 45-46.49 l a compagnia dal 3°, 23° e 26° reggimenti Schiizen; la 2a proveniente dai quattro reggimenti reclutati in Bosnia- Erzegovina; la 3a dai reggimenti Kaiserschützen I e II e dai reggimenti fanteria 14° e 59° e la 4 a compagnia infine era costituita da elementi dei quattro reggimenti Kaiserjäger. Il tutto appoggiato da una batteria di obici da montagna, da una compagnia mitragliatrici, una batteria lanciabombe e mortai e un plotone pionieri con lanciafiamme. Cfr. Karl Karlik, Sturmbataillone der österreichisch-ungarischen Armee, Wien, s.d., p. 2. Avvertiamo il lettore che la numerazione dei reggimenti Kaiserschützen utilizza — unica eccezione — numeri romani anziché arabi.50 Dai verbali di pagamento delle requisizioni effettuate si desumono frequenze numerose presso lo Sturmlehrkurs di Levico, che appare essersi specializzato in diverse sezioni, come quella dei mezzi per combattimento corpo a corpo. A Levico i campi addestrativi paiono essere stati tre: Barco, stazione e Selva. Ad Aldeno sappiamo di sette corsi ai quali parteciparono Kaiserjäger. Cfr. Archivio Comunale di Levico (Trento), racc. 259, diversi 1918, 259 cart. 299, 457 e 488 e racc. 260, cart. 796.
La grande guerra sul fronte italiano 49
dell’ 11a armata iniziarono nel gennaio del 1917. Il personale era in forza al comando della 18a divisione di fanteria schierata in Valsugana e veniva addestrato da ufficiali e sottoufficiali addestrati a loro volta presso il battaglione d’assalto tedesco Ovest (Deutsche Sturmbaon West); il comandante era il capitano Proksh. Riguardo al trattamento economico, non risulta sia esistita una particolare indennità, ma venivano comunque assegnati premi in danaro, come nel caso del comando della suddetta 18a divisione, che metteva a disposizione 200 corone mensili come premio particolare per il personale delle truppe d’assalto51. Il 1° aprile 1917 la 5a armata schierata sull’Isonzo (o Isonzoar- mee, comandata dal feldmaresciallo Sveto- zar Boroevic von Bojna) riferiva al Comando supremo che anche nel proprio ambito era stato creato uno Sturmbaon composto da cinque compagnie, una per ogni settore di corpo, per un totale di 900 uomini52. Il gruppo di armate Kòvess aveva dato vita an- ch’esso a un battaglione d’assalto con sede a Nayaradszereda, formato da uomini provenienti da una cinquantina di reggimenti e battaglioni autonomi diversi, con sedi distribuite sull’intero territorio del gruppo d’armate53.
Nell’aprile del 1917, quando la presenza di queste formazioni cominciò a essere più evidente, la consistenza delle Sturmtruppen nell’esercito austroungarico era la seguente, per quanto concerne il principale fronte, cioè quello italiano:
— 5a armata: una compagnia addestramento per settore di corpo d’armata;
— 10a armata: una compagnia e due di addestramento;
— l l a armata: un battaglione su 4 compagnie, oltre ad un corso ad Aldeno; XX corpo: una mezza compagnia per brigata e nei Rayon I e II: soltanto due pattuglie.
Sugli altri fronti esistevano nel complesso due battaglioni e mezzo, oltre a unità addestrative, alcune delle quali erano distaccate presso battaglioni d’assalto tedeschi54.
Alla fine della guerra — a titolo di paragone — le truppe d’assalto tedesche erano costituite dai battaglioni dall’ 1 al 12 e dal 14 al 17, più le compagnie d’assalto dal 13 al 17, in totale sedici battaglioni e cinque compagnie55, mentre virtualmente ogni divisione austroungarica possedeva un proprio battaglione d’assalto.
L’organizzazione delle Sturmtruppen austroungariche non corrispondeva a uno schema fisso, ma consisteva in linea di massima di unità a vari livelli, plotone, compagnia, riunite in battaglioni che inizialmente dipendevano direttamente dal comando di armata, agendo in un certo senso da “pompieri” per situazioni difficili e mai per impieghi a massa.
Nel giugno del 1917 il Comando supremo di Baden indicò come segue la consistenza nelle diverse unità delle truppe d’assalto: per ogni compagnia una pattuglia (10 uomini); quindi per battaglione un plotone; quindi per reggimento 3-4 plotoni, cioè una compagnia; quindi per divisione un battaglione su 3-4 compagnie56.
51 K.u.k. Aok Nr. 316/5 del 31 gennaio 1917, in Ka, Neue Feld Akten (di seguito Nfa), 11.AK (Gstb.), cartone 831.52 K.u.k. 5 Aok Nr. 24/30 del 1° aprile 1917: “Sturmbaon und Sturmpatr. - Stände”, in KA, Nfa, HF u. HGK, 5. Op. AK (1917), cartone 1598.53 Aok n. 110.569 del 9 agosto 1918: “Sturmbaon des FI. Gr. Kmdos. FM. Baron Kövess”, in Ka.54 Aok Op. nr. 42.363 del 30 giugno 1917, in Ka, Aok.55 Hermann Cron, Geschichte des deutschen Heeres im Weltkriege 1914-1918, Osnabrück, Biblio, 1990 (ristampa dell’edizione del 1937), p. 127.56 Aok Op. n. 42.363 del 30 giugno 1917, in Ka, Aok.
50 Alessandro Massignani
Sull'Isonzo la formazione del battaglione della Isonzoarmee andava incontro a qualche difficoltà a causa delle situazioni particolari delle divisioni lì schierate e al fatto che mancavano località idonee per l’addestramento. Altre difficoltà nella costituzione delle unità d’assalto nascevano dalla carenza di armi e mezzi, ma in proposito l’Arme- oberkommando (Aok) pensava che quanto era disponibile era opportuno concentrarlo in mani capaci e ben addestrate.
Sul fronte russo sembra che l’introduzione sia avvenuta più lentamente. Il reggimento “Hoch und Deutschmeister”, per esempio, costituì dal 12 luglio 1917 “sull’esempio del battaglione del Sudtirolo [dello stesso reggimento] inizialmente nel primo, poi in tutti gli altri battaglioni del reggimento la stessa organizzazione”57.
Un altro reggimento scelto dell’esercito comune, il 73°, ricevette ordine l’8 dicembre 1916 di inviare proprio personale a frequentare un corso a Monterovere, sull’altopiano di Lavarone, per l’addestramento d’assalto sulla falsariga di quello tedesco. Ogni battaglione doveva avere almeno un ufficiale impiegato per questo addestramento, mentre ogni compagnia doveva fornire due sottufficiali e sei uomini. Questi ultimi rientrarono a fine gennaio in tempo per organizzare un colpo di mano utilizzando un tunnel scavato sotto la neve58.
Secondo il tenente Ernst von Verdroß del
battaglione d’assalto dei Kaiserjàger, allora comandante di plotone sul fronte italiano, che ci ha lasciato un diario insolitamente non conformistico59, la diversa provenienza dei militari delle diverse compagnie provocava qualche rivalità tra le varie nazionalità, come, a quanto sembra, nel caso dei rapporti tra slavi del sud e ungheresi. In ogni modo, benché le truppe bosniache abbiano tramandato nella tradizione orale una spiccata presenza nelle formazioni d’assalto, non esiste nessuna prova a nostra conoscenza che induca a pensare che esse venissero inserite di preferenza nelle unità Strumtruppen. Queste di regola erano infatti tratte da ogni reggimento della divisione. Ciò non toglie che ancora oggi si ricordi la particolare ferocia delle truppe bosniache e croate. Invece, anche in una recente storia popolare delle truppe reclutate in Bosnia-Erzegovina, l’addestramento all’assalto occupa ben poco spazio, a conferma del fatto che le truppe bosniache erano addestrate come gli altri reggimenti60. Sembra invece che sia stata curata l’omogeneità etnica delle compagnie. L’l l a armata aveva disposto infatti che per completare le compagnie del battaglione si dovesse ricorrere a truppe di diversi corpi designando la nazionalità in anticipo. Ne risultavano due compagnie tedesche, una slava e una ungherese61. Dato il tipo di terreno in cui l’armata operava, al corso d’assalto che si teneva a Levico vennero destinate an-
57 Max Hoen, Josef Waldstätten-Zipper, Josef Seifert, Die Deutschmeister. Taten und Schicksale des Infanterieregiments “Hoch und Deutschmeister" Nr. 4 insbesondere im Weltkriege, Wien, Druck und Verlag der öst. Staatsdruckerei, 1928, p. 756.58 Max Ritter von Hoen, Geschichte des ehemalihen Egerländer Infanterie-Regimentes Nr. 73, Wien, Amon Franz Goth, 1939, pp. 400 e sg.59 Ernst von Verdroß, Kriegserlebniße eines österreichischen Sturmzugskommandanten, estratto da “Schweizerische Monatschrift für Offiziere aller Waffen”, 1929.60 Werner Schachinger, Die Bosniaken kommen! Elitetruppen in der k.u.k. Armee 1879-1918, Graz, Stöcker, 1989. Occorre anche dire che l’autore è sensibile più alla descrizione, piuttosto retorica, dei combattimenti, che agli aspetti organizzativi. Che poi i bosniaci fossero tra i primi a macchiarsi di crimini di guerra, ricorre anche nei verbali di interrogatori: cfr. “Diario storico 3a armata”, Notiziario n. 673, p. 6, in Aussme, B l, voi. 13a.61 La compagnia d’assalto del 18° reggimento impierialregio, reclutato con personale austriaco, divenne oggetto di attenzione affinché fosse mantenuta la sua “forza d’urto” senza mescolarla nella riorganizzazione di fine 1917 con altre nazionalità. Cfr. Aok, Op. n. 46.549 del 24 ottobre 1917: “Sturmkompagnie des IR 18 - Stand”, in Ka, Aok.
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che truppe alpine per alta montagna, per un totale di otto ufficiali e 145 uomini destinati a costituire una Sturmhalbkompagnie, cioè mezza compagnia d’assalto di guide alpine62.
Con la successiva estensione dell’addestramento e quindi con la costituzione di battaglioni divisionali, i quali rappresentavano una tappa della diffusione dell’addestramento a tutta la fanteria, cambiarono anche gli organici che possiamo illustrare sulla base di alcuni esempi, come quello del famoso battaglione della 22a divisione Schützen, composto da quattro compagnie d’assalto, con la seguente provenienza:
l a compagnia, dal 3° reggimento Schützen;2a compagnia, dal 26° reggimento Schützen;3a compagnia, dal I reggimento Kaiser
schützen;4a compagnia, dal II reggimento Kaiser
schützen;
appoggiato inoltre da una compagnia mitragliatrici e da una di mezzi di combattimento corpo a corpo. Completava l’organico un plotone pionieri63.
Altro caso di battaglione particolarmente curato fu quello della divisione Edelweiss, costituito e addestrato su ordine dell’Aok di fine febbraio 1918 a Bruck-Kiralyhda con una forza di 20 ufficiali e 800 uomini e dipendente tramite il comandante della divisione direttamente dall’Aok64. I reggimenti 14°, 59°, 107° e 114° vennero istruiti per l’invio del personale specializzato65.
A ogni battaglione, dove erano state distribuite anche Hand-Maschinengewehre, cioè mitragliatrici “a mano”, venne assegnato infatti anche un plotone lanciafiamme
con sei armi da 15 litri del tipo M.18 (26 passi di gittata, appena 20 metri, 18 secondi di durata dell’effetto, possibilità di 36 lanci). Anche le mitragliatrici portatili vennero sviluppate, prendendo a esempio la nostra Villar-Perosa, la quale venne riprodotta con la ridotta cadenza di tiro di 800 colpi al minuto.
Ma l’arma principe fu la bomba a mano, che venne prodotta su campione tedesco, nelle forme con manico e a uovo, lanciabile da un esperto a 50 metri e con un notevole effetto. L’addestramento delle truppe d’assalto verteva sul lancio delle bombe a mano in rapida sequenza da posizioni e su obiettivi diversi. Un esercizio consisteva nel lanciare le bombe in buche a distanze e direzioni variabili, da fermi, in corsa, in piedi, in ginocchio. La “ripulitura” delle trincee avversarie avveniva con l’inondazione delle stesse di bombe a mano e con l’ausilio dei lancia- fiamme. Anche l’addestramento ginnico aveva un suo spazio.
Nel corso delle operazioni sul campo vigeva poi una serie di regole importanti, come l’assoluto silenzio, la mancanza di ordini gridati come segnali per l’attacco (in contrasto con i nostri “Savoia!”), che avveniva all’ora esatta dopo accurata regolazione degli orologi, il divieto di parlare sulle prime linee e per telefono delle operazioni d’assalto nei giorni precedenti. Inoltre non era consentito di occuparsi dei prigionieri, dei feriti, del bottino, se non delle armi per rivolgerle contro il nemico finché l’occupazione dell’obiettivo non fosse stata portata a termine.
Ancora nel settembre 1917, l’organizzazione delle truppe d’assalto dell’esercito im-
62 K.u.k. Aok Nr. 2046/26 del 28 ottobre 1917 e Nr. 317/67 del 4 giugno 1917, in Ka, Nfa, 11.Ak (Gstb.), cartone 831.63 K. Karlik, Sturmbataillone der österreichisch-ungarischen Armee, cit.64 Aok Op. n. 102.958 del 28 febbraio e 104.266 del 21 marzo 1918: “Sturmbaon der Edelweiß-Division Formierrung”, in Ka, Aok.65 Aok Op. n. 104.096 del 16 marzo 1918: “Beistellung von Personal für das Sturmbaon der Edelweiß-Division”, in Ka, Aok.
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perialregio non corrispondeva a uno schema prestabilito, bensì alle esigenze specifiche di ogni teatro di guerra. L’organizzazione futura, nell’ambito di una profonda trasformazione dell’intero esercito, veniva però delineata confermando la creazione di un battaglione per ogni divisione, laddove non fosse già stato fatto, avente una compagnia per ogni reggimento, il tutto perché “l’addestramento della fanteria tutta deve avvenire più rapidamente”66.
La positiva prova sul campo delle unità così addestrate aveva consigliato i comandi di espandere queste formazioni, talché nell’ambito della sola l l a armata si sarebbe arrivati a sette battaglioni. A questa riorganizzazione venne provveduto con lo scioglimento, nell’ottobre 1917, degli Sturmbatail- lone divisionali; il battaglione dell’ 11a armata sarebbe stato formato e addestrato con elementi tratti dai quattro reggimenti Kaiser- jàger. Infatti, poiché il complesso delle azioni delle Sturmtruppen aveva avuto successo, si previde che unità scelte come i reggimenti Kaiserjàger fornissero ben 60 ufficiali e 1.500 uomini per l’addestramento d’assalto, dando così origine a uno Sturmbaon Kaiserjàger. Questo fu protagonista di una serie di azioni coronate da successo che spiegano alcuni rovesci italiani sugli altipiani nel periodo della battaglia difensiva a seguito dello sfondamento di Caporetto.
Il 9 gennaio 1918 veniva ufficialmente sciolto il battaglione d’armata e istituito in sua vece l’Armee-Sturmlehrkurs, con la sanzione quindi di una tendenza in atto che confermava il ruolo delle truppe d’assalto quali istruttori della massa della fanteria
dell’esercito. Un tratto questo che le contraddistingue nettamente dagli arditi italiani, come giustamente hanno messo in luce ricerche sulla evoluzione tattica dell’esercito italiano67. Una differenza considerevole tra le Sturmtruppen austroungariche e gli arditi italiani risiedeva anche nel criterio di impiego, che restava a livello compagnia-battaglione per gli imperiali, mentre in Italia il Comando supremo pensava nel 1918 a corpi d’armata d’assalto. Infatti era intenzione del Comando supremo austroungarico che “L ’istruzione nel servizio d ’assalto deve diventare bene comune di tutta la fanteria”68, per quanto non poche difficoltà si frapponessero a questa realizzazione.
Non sempre però i comandi in sottordine comprendevano lo spirito e lo scopo dell’addestramento specifico delle truppe d’assalto, tanto che nel settembre del 1918 l’Aok dovette fornire precisazioni con una circolare ai comandi dipendenti, dove sembravano “esistere in più parti dubbi sull’impiego” . L’Aok avvertiva che il battaglione d’assalto divisionale non era il “13° battaglione della divisione”, non era cioè un altro battaglione da tenere unito, ma che doveva di regola essere suddiviso in compagnie tra i reggimenti: “In combattimento non si può quindi di regola parlare di Sturmbaonen”. A differenza dei corrispondenti arditi italiani, che costituivano corpo a sé stante, nei periodi di quiete le unità minori Sturm dovevano impegnarsi come istruttori di combattimento per il resto della fanteria. Inoltre la circolare precisava che non esisteva una “speciale” formazione d’assalto, e neppure uno “speciale” servizio d’assalto69. A titolo di esem-
66 Kriegsministerium Abteilung, 5, Nr. 11.000 res. von 1917, “Neuorganisationen während des Krieges, Evident bis 15. September 1917”, p. 23. Le parole virgolettate nel documento dell’Aok già citato Op. 42.363.67 G. Rochat, Gli arditi, cit., pp. 23 sg.; Pierluigi Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, cit., p. 185.68 Aok Op. Nr. 43.785 del 22 agosto 1917. L’enfasi è nell’originale, in Ka, Aok.69 Seguito all’Aok Op. Nr. 43.785 dell’ 11 settembre 1918: “Sturmbaone - Ständefestsetzung, Klärung von Zweifel”, in Ka, Aok.
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pio, potremmo citare il caso di personale distaccato al battaglione Sturm dell’ 11a armata da unità successivamente trasferite ad altra armata; il Comando supremo intimò all’ 11a armata di restituire questo personale alle unità di origine70.
Persino il distintivo previsto per le Sturmtruppen doveva essere portato unicamente dagli elementi che tra di esse avessero dato particolare prova di valore. Di fregiarsene davanti al nemico era del tutto fuori discussione71.
Il procedimento tattico delle Strumtrup- pen, che ricalcava il modo di operare delle analoghe truppe tedesche, tendeva a risolvere il problema di come superare la “terra di nessuno” in presenza di una reazione difensiva molto forte, in un ambiente paragonabile a quello della guerra d’assedio; in sostanza attaccando una fortificazione, conquistandola e mantenendola almeno contro i primi contrattacchi avversari.
In generale lo studio preliminare accurato del terreno del combattimento desunto anche dalle foto aeree costituiva il primo stadio di questa procedura che arrivava alla ri- costruzione sul terreno della situazione per poi sperimentarla nell’addestramento finalizzato a quella specifica impresa. Il superamento della terra di nessuno avveniva sotto il tiro della propria artiglieria, un espediente tutt’altro che nuovo, che però richiedeva sangue freddo e addestramento. La tempestività nella successione delle azioni, come l’avvicinamento, l’apertura dei varchi nei
reticolati e poi la ripulitura programmata delle trincee a colpi di bombe a mano con la cattura delle unità nemiche ancora nei ricoveri e l’eliminazione delle postazioni di mitragliatrici, avvenivano in rapido e pianificato susseguirsi delle fasi, in ciascuna delle quali ogni componente delle squadre d’assalto conosceva i propri compiti. Da parte austroungarica questo tipo di addestramento venne inteso — come giustamente rileva Rochat anche per l’esercito italiano — come il normale addestramento della fanteria che non era possibile impartire a tutti nel corso della guerra. Il conflitto infatti aveva comportato un rapido avvicendarsi della truppa e sempre meno tempo a disposizione per addestrarla. Di conseguenza da parte austroungarica si voleva arrivare a rendere gli uomini delle Sturmtruppen i portatori dei nuovi sistemi di combattimento di cui si doveva impadronire tutta la fanteria72.
Nel 1918 la riorganizzazione della fanteria in corso, con la riduzione dei reggimenti a tre battaglioni e la conseguente struttura divisionale a dodici battaglioni, impose anche la ristrutturazione degli Sturmbaone d’armata.
Ogni battaglione avrebbe fornito un plotone e la compagnia avrebbe avuto una forza di 135 uomini con quattro ufficiali e nove cavalli, mentre si cercava di dare una durata minima del corso di quattro-sei settimane, poiché in molti casi le esigenze belliche avevano limitato l’addestramento a soli otto-dieci giorni73.
70 Aok Op. Nr. 48.749 del 15 dicembre 1917, in Ka, Aok. La mutevole composizione non impedì che il battaglione d’assalto in questione si comportasse assai bene in molte occasioni. Il 26 dicembre 1917 venne segnalato all’imperatore per il valore in combattimento.71 Aok Op. Nr. 44.356 dell’agosto 1917, in Ka, Aok. Soltanto a fine ottobre 1918 venne proposto un distintivo paragonabile a quello dei piloti da dare agli appartenenti alle Sturmtruppen: cfr. Aok Op. Nr. 114.322 del 28 ottobre 1918.72 Aok Op. n. 43.785 del 22 agosto 1917: “Organisation der Sturmtruppen”, in Ka, Aok. Restava requisito minimo la presenza di due Sturmtrupps per compagnia, ognuna di otto uomini e un sottufficiale.73 Op. n. 3090 dell’11 aprile 1918: “Organisation der Sturmtruppen - Neue Stände”, in Ka, k.u.k. 2 Aok.
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Le truppe d’assalto austroungariche: i combattimenti
A differenza delle imprese degli arditi italiani, i combattimenti che coinvolsero le Strumtruppen austroungariche si confondono spesso nell’ambito di altre operazioni per una significativa rinuncia a farne un modello di impiego da parte dei comandi e della storiografia austriaca.
Spesso si trattava di azioni minori che coinvolgevano soltanto delle pattuglie e che quindi finivano per essere classificate anche dai comandi italiani come azioni minori di cui si faceva un riassunto periodico. Nella prima metà del 1917 queste azioni avevano irritato non poco non solamente Cadorna ma anche i comandi in subordine. Se ne trova traccia nelle carte della I a armata: una circolare del 22 maggio 1917 del comandante Pecori Giraldi imputava alla “poca vigilanza per parte specialmente delle vedette” e al mancato intervento dell’artiglieria, ma anche alla “mancanza assoluta di [...] spirito combattivo” la riuscita di fulminee azioni avversarie. Pareva intollerabile che “un nemico a noi inferiore numericamente e moralmente” potesse ottenere tali risultati. D’altro canto se le considerazioni di Pecori Giraldi sono franche e giuste, non si trova traccia di comprensione, né in questa circolare, né nelle carte relative alle inchieste originate da questi episodi, del diverso addestramento impartito in molti casi alle truppe nemiche che raccoglievano questi successi. Inizialmente non sempre le azioni delle truppe d’assalto furono coronate da successo, almeno per quanto si può desumere da un rapporto sulle esperienze avute nell’ambito della 5a armata sull’Isonzo o Isonzoarmee,
che lamenta molte azioni minori fallite o con esiti di scarso rilievo.
Non è facile stabilire quali siano stati i primi riscontri pratici dell’impiego delle nuove formazioni d’assalto, né interessa qui fornire una elencazione delle imprese delle Sturmtruppen. Un esame completo di alcune azioni significative risulta comunque difficile perché i rapporti di combattimento di parte austroungarica conservati al Kriegsar- chiv di Vienna sono riuniti in un fondo che risulta “in riordino” . Si deve pertanto ricorrere alle fonti italiane e a quelle a stampa per illustrare alcune rilevanti applicazioni relative alle tecniche apprese nei campi di addestramento delle Sturmtruppen.
Anche sul fronte trentino vi furono diverse azioni locali di tipo sperimentale, nelle quali è difficile capire il reale ruolo delle truppe d’assalto. Prendiamo l’esempio di un attacco invernale sul fronte dell’altopiano di Asiago, nei pressi del monte Forno, poco a sud del monte Ortigara, presidiato dal già citato 27° reggimento. Questa unità organizzò un attacco alle linee avversarie che ebbe luogo il 15 marzo 1917 sfruttando la sorpresa ma con un successo iniziale parziale, poi vanificato da una reazione molto efficace del battaglione alpini “Bassano”. Interessa qui notare la preparazione dell’attacco che comportò lo scavo di due gallerie nella neve per avvicinarsi al nemico, nonché, e soprattutto, l’addestramento del personale del 27° destinato all’azione secondo le istruzioni del servizio d’assalto, addestrato anche su posizioni assai simili a quelle da attaccare. Dal febbraio, da quando cioè le prime pattuglie furono pronte, vennero diramate istruzioni affinché venissero messe alla prova74. Agirono con colpi di mano in diverse occasioni
74 Hermann Frölich, Geschichte des steirischen k.u.k. Infanterie-Regiment Nr. 27 für den Zeitraum des Weltkrieges 1914-1918, cit., voi. II, p. 185-186. Secondo S. Farina, Storia delle truppe d ’assalto italiane, cit., p. 348, si è trattato del primo impiego di Sturmtruppen. Contrasta però con questa ipotesi la lettera di Cadorna del 31 gennaio 1917.
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nella medesima area, come il 15 aprile (Corno della Segala) e il 15 maggio (Busa della Crea). Alla fine di marzo anche il famosissimo reggimento “Hoch und Deutschmeister” costituì una mezza compagnia d’assalto formata da “gente ben scelta” . Un’azione nella notte del 6 marzo da parte di pattuglie d’assalto del reggimento a est della località di Pedescala era però fallita essendo mancata la sorpresa.
Dicevamo che non sempre queste prime azioni erano coronate da successo. Un altro esempio è quello dell’attacco nella notte tra il 24 e 25 maggio 1917 alla posizione di quota 1.472 del monte Maio nel settore del IV/14° fanteria austriaco (altro famoso reggimento a reclutamento austriaco, con sede a Linz), a opera del 3° plotone della 4a compagnia che subì gravi perdite sotto il fuoco dell’artiglieria italiana. Altrove tuttavia le cose andarono meglio. Nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1917 si svolse un attacco sul fronte trentino, in corrispondenza del massiccio del Pasubio, che tendeva ad alleggerire assieme ad altre azioni analoghe il fronte isontino. L’azione venne preparata e svolta dai tre plotoni d’assalto del 1° reggimento Kaiserjàger, col supporto di tre pattuglie d’assalto di armata, della pattuglia d’assalto della compagnia sciatori e di una pattuglia zappatori. L’orientamento avvenne grazie a “foto aeree, d’amatore, schizzi, pattuglie ed anche ricognizioni personali sul terreno. Inoltre l’attacco venne provato su un terreno dietro al fronte che assomigliava a quello dell’attacco”75. Grazie alla violenta azione dell’artiglieria tra le 10.45 e le 11 della sera, accompagnata dal tiro delle mitragliatrici in appoggio, le Sturmtruppen, suddivise in due gruppi, riuscirono ad avvicinarsi alle posizioni italiane e a lanciarvi parecchie bombe
a mano, con le quali vennero sostanzialmente eliminate le mitragliatrici e le vedette, cogliendo di sorpresa le truppe ammassate nei ricoveri e riuscendo quindi a farle prigioniere con facilità. Il plotone di Kaiserjàgen riuscì quindi ad allargare la breccia sfruttando il successo e restando nelle posizioni italiane fino alle 12.15 della notte, riuscendo poi a ritirarsi “inosservati alle fanterie nemiche” . Il bottino fu, secondo gli austriaci, di quattro ufficiali e 189 fanti del 65° fanteria e di cinque mitragliatrici catturate, contro una perdita di quattro morti, due dispersi e 22 feriti76, mentre nelle versioni italiane l’attacco apparve come appoggiato da grande quantità di artiglieria (vero) e condotto da forti colonne (meno vero), indice della difficoltà a comprendere come pochi uomini bene addestrati avessero ragione di molti nemici presi di sorpresa. A margine di questo episodio è doveroso segnalare che non è chiaro nei resoconti austriaci il reale effetto della reazione italiana del battaglione del maggiore Bussi della Brigata Liguria nei confronti delle pattuglie di assaltatori che miravano a risalire i canaloni verso le posizioni più alte del Pasubio.
In inverno le condizioni climatiche favorivano soltanto piccole imprese e quello del 1916-1917 non fece eccezione. In occasione di più importanti operazioni il ruolo delle truppe d’assalto assunse un carattere di maggior rilievo, al punto che spesso il contrattacco di Flondar, che colse un successo tattico notevole per gli austroungarici, viene considerato il primo impiego di nuove tecniche da parte dell’esercito imperiale, ma probabilmente questa impressione deriva dalla rilevanza del bottino realizzato.
In questa occasione le forze impiegate dagli austroungarici furono circa una decina di
75 Rudolf Blaas, 1. TKJ Regiment, voi. 2, Der Krieg gegen Italien, p. 519 (dattiloscritto inedito presso il Tiroler Museum Ferdinandeum di Innsbruck).76 Secondo Viktor Schemfil, 1916-1918. La grande guerra sul Pasubio, Milano, Arcana, 1985, pp. 210-216, gli orari sono leggermente diversi ma in sostanza le versioni coincidono.
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battaglioni, e tra queste anche la l a, 2a e 3a compagnia Sturm dello Sturmbaon (abbreviazione di Sturmbataillon) della 5a armata, che agirono appunto come “apripista” scardinando le difese italiane. Il sincronismo dell’attacco con un aderente e violentissimo fuoco di artiglieria (con perdite tra gli stessi attaccanti) ebbe come risultato un successo tattico considerevole che causò la cattura di circa 10.000 prigionieri italiani con 100 mitragliatrici e la riconquista di parecchio terreno perduto. Secondo il rapporto del comando del III settore difensivo austroungarico, che tra l’altro aveva riconosciuto anche una tenace difesa italiana nella fase iniziale della battaglia, la via era stata aperta dalle compagnie Stumtruppen77.
Un caso pratico di impiego delle truppe d’assalto è desumibile dall’interrogatorio di prigionieri ruteni in forza al 22° Schützen austriaco: dopo aver frequentato lo Sturm- kurs nel febbraio del 1917 a Sagorie, con “lancio di granate a mano, e esercizi ginnastici”, entrarono a far parte della compagnia d’assalto dello Sturmbaon che comprendeva altre compagnie provenienti dai reggimenti 24°, 41° e 30° imperialregi e dal 20° Schützen. Per l’impiego il battaglione fu spostato a Opcina per ferrovia e poi verso la linea con autocarri e venne apparentemente impiegato per recuperare pezzi d’artiglieria perduti78. Sempre dagli interrogatori si apprende che le pattuglie d’assalto che precedevano le truppe attaccanti austroungariche avevano una dotazione “solita” , cioè elmetto, pugnale, cinque bombe a mano e 160 cartucce. Inoltre si avvalevano di una
Sprengpartie (nucleo pionieri) di sei uomini con esplosivi destinati a far saltare i reticolati79.
La dimostrazione dell’efficacia delle nuove formazioni ebbe luogo in maniera eclatante con il contrattacco lanciato dagli austroungarici nella notte tra il 25 ed il 26 giugno per riconquistare la perduta posizione del monte Ortigara. Questa operazione venne effettuata a causa della situazione di pericolo per il sistema difensivo austroungarico originata da una mastodontica operazione offensiva lanciata il 10 giugno all’estremità settentrionale dell’altopiano dei Sette Comuni dalla 6a armata italiana. Questa grande unità era stata costituita a quello scopo, con lo schieramento di 154 battaglioni sull’altopiano, appoggiati da 1.072 bocche da fuoco oltre a 569 bombarde. A fronteggiare questa enorme massa d’urto, che avrebbe gravitato sull’estremità settentrionale, cioè il monte Ortigara, vi erano una quarantina di battaglioni austriaci (con poche truppe non tedesche, per lo più bosniache) appoggiati da circa 400 cannoni.
Il 10 giugno gli italiani avevano conquistato solo l’anticima quota 2.101 dell’Orti- gara, chiamata Lepozze o quota 2.071 dagli austriaci. A questo punto gli austroungarici lanciarono un primo contrattacco che spesso viene dimenticato, con il nome di copertura di operazione “Anna”, nella notte sul 15. L’operazione, guidata dal colonnello Baszel del 14° reggimento fanteria, e preceduta da un bombardamento dalle 2 alle 2,30, fu condotta da due compagnie del IV /14° e preceduta da una compagnia del battaglione d’as-
77 Op. Nr. 24/52 del 3 luglio 1917, in Ka, Nfa, 5. Aok. La famosa accusa di defezione è stata generata dal telegramma inviato personalmente dal generale Vanzo il 5 giugno al generale Capello, che riferiva come pressoché accertata la “defezione di tre reggimenti composti massima parte siciliani.” Cfr. “Diario storico 3a armata”, in Auss- me, B l, 13a.78 Notiziario n. 689 della 2a sezione informazioni: “Notizie desunte dall’interrogatorio di due prigionieri della Sturmcompagnie” del 22° Schützen “Landwehr” datato 4 giugno 1917, in Aussme, “Diario storico 3a armata”, B l, voi. 13a.79 “Diario storico 3a armata”, notiziario n. 706, in Aussme, B l, voi. 13a.
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salto dell’l l 3 armata e dai plotoni d’assalto di tre famosi reggimenti austriaci, il 14°, il 17° e il 59°80. L’attacco all’inizio riuscì come nei piani, ma gli italiani reagirono dimostrando una forte combattività, ricacciando gli assaltatori dalle proprie posizioni. Anche un ulteriore tentativo intorno alle 3,30 fallì, con la perdita totale di circa 600 uomini.
Inoltre all’alba l’artiglieria italiana aprì il fuoco sulla cima principale e gli alpini contrattaccarono. Anche se l’addestramento superiore aveva arrecato agli alpini italiani (che stavano tra l’altro eseguendo un cambio in linea) maggiori perdite (1.444 uomini), l’episodio dimostrò che la nuova tecnica poteva fallire.
Se “Anna” non diede i risultati sperati, secondo gli austriaci a causa della superiorità numerica dei difensori e della scarsa conoscenza del terreno da parte del comandante Baszel, il secondo contrattacco, con il nome di copertura di “Wildbach”, ebbe un risultato eccellente. L’operazione divenne urgente e necessaria a seguito della conquista italiana della quota maggiore (2.105 metri) dell’Ortigara il 19 giugno, eseguita dagli alpini della 52a divisione e dalla Brigata Piemonte a prezzo di un grave sacrificio di san
gue, mettendo in serio pericolo l’intero sistema difensivo austroungarico. In questo caso l’operazione austroungarica venne preparata con maggiore cura, affidata a un esperto comandante esterno (tenente maresciallo Lud- wing Goiginger), escludendo quindi i comandi locali dall’operazione. Il terreno venne studiato dettagliatamente e così anche l’artiglieria italiana; vennero utilizzati due battaglioni di truppe scelte tirolesi particolarmente motivate (I/I e III/II Kaiserschiit- zen, comandati dal colonnello Sloninka von Holodow), che attaccarono precedute dai propri plotoni d’assalto e da ben 11 plotoni d’assalto dell’onnipresente Sturmbaon dell’l l 3 armata81. L’artiglieria austroungarica — probabilmente in grado di sparare a massa82 — aprì un fuoco molto preciso alle 2,30 consentendo l’avvicinamento durante il bombardamento degli assaltatori che si muovevano su tre gruppi coprendo una distanza di 400-600 metri senza particolari cautele, e spostò il tiro dopo soli dieci minuti, sparando a gas nelle immediate retrovie, mentre i plotoni d’assalto di punta penetravano nelle posizioni italiane con lanciafiamme e bombe a mano. Le Sturmtruppen erano equipaggiate con 150 cartucce, sei bombe a mano, sei sacchi per sabbia, due razioni di
80 Le due compagnie che dovevano seguire erano la 5a e 16a del 14° reggimento Hessen. Per i dettagli rimandiamo ai rapporti di combattimento pubblicati in Gianni Pieropan (a cura di), 1917 Gli austriaci sull’Ortigara, Milano, Mursia, 1988, non senza però rinunciare a verificare gli originali, in questo caso Adolf Sloninka von Holodow, Unsere Kaiserschützen. Die Kämpfe um die Ortigara-Lepozze Stellung in Juni 1917, Hall in Tirol, Geschftsstelle des Offiziersbundes der Kaiserschützen-Regimenter, 1927 e la sintesi di Heinz von Lichem, Speilhahnstoß und Edelweiß. Die Friedens- und Krieseschichte der Tiroler Hochebirstruppe “Die Kaiserschützen” von ihren Anfänen bis ¡918, Graz, Stöcker, 1977.81 Adolf Sloninka von Holodow, comandante della 98a brigata Kaiserschützen, organizzò l’operazione. I due battaglioni erano comandati da I/I von Forbelsky, III/II Kaiserschützen maggiore Karl von Buoi, che diedero il nome alle due maggiori colonne d’attacco. La denominazione in numeri romani è un’eccezione dei reggimenti Kaiserschützen.82 La battaglia dell’Ortigara, al di là della sua modesta importanza nell’economia generale della guerra, dovrebbe essere studiata anche come esempio di funzionamento dell’esercito nel 1917 sotto vari profili, non ultimo quello dell’artiglieria incapace, nonostante la superiorità numerica, di reprimere quella avversaria. D ’altronde sulla scarsa propensione all’utilizzo in controbatteria si veda tra l’altro P. Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale, cit., p. 173, nota 3; L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. IV, cit., all. 14, pp. 147-149; memorandum di due pagine “Caracciolo. Evoluzione dei concetti d’impiego dell’art. [iglieria],” in Civiche raccolte storiche del Comune di Milano, Museo del Risorgimento, Fondo Di Breganze, cartella 109.
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riserva, oltre a dieci bombe a mano e 300 cartuccie in sacchi.
Gli austroungarici si avvalsero del fuoco ravvicinato delle bombarde, un accompagnamento classico delle truppe d’assalto, che evitava l’impiego dei grossi calibri che avrebbero probabilmente colpito anche gli attaccanti, 12 pezzi da 120 e 140 erano immediatamente a ridosso della posizione d’assalto.
Alle 3,12 ogni resistenza italiana era finita e gli austriaci poterono contare circa 2.000 italiani catturati con perdite proprie intorno al 30 per cento83. L’artiglieria italiana non aprì il fuoco di repressione sulle posizioni occupate dai Kaiserschiitzen — ma aprì quello fuori tempo di sbarramento contro le posizioni di partenza austriache — fino alle 5 del mattino84. Ogni ulteriore tentativo di analisi di questi combattimenti esulerebbe da questo articolo, ma ora preme almeno notare che questa quasi perfetta sincronia tra artiglieria e fanteria all’attacco, il cui ruolo nella limitazione delle perdite appare evidente, non era esclusivo patrimonio dell’esercito austroungarico, che pure tradizionalmente riusciva a valersene in maniera certo più regolare. Infatti, a conclusione della offensiva austriaca del Trentino nella primavera del 1916, le notizie raccolte dagli italiani negli interrogatori di prigionieri austroungarici avevano chiarito che “nell’azione delle fanterie italiane manca quasi sempre l’accordo perfetto con l’artiglierìa” , perché la fanteria seguiva dopo un intervallo eccessivo di tempo, e il risultato era che l’effetto dell’artiglieria ne veniva vanificato85.
Insegnamenti questi che vennero a volte raccolti. Secondo gli austriaci, la conquista italiana della cima maggiore dell’Ortigara era avvenuta grazie all’appoggio dell’artiglieria italiana, che aveva sparato fino a che la propria fanteria non era arrivata a quaranta passi dall’obiettivo, mentre questo non era avvenuto in occasione del primo attacco il 10 giugno a causa della nebbia che impediva l’osservazione.
Un altro esempio di operazione delle truppe d’assalto è costituito dall’attacco del 2 novembre 1917, nel corso dell’inseguimento dopo lo sfondamento di Caporetto, effettuato da due Sturmpatrouillen e dalla 14a compagnia d’assalto del IV/4° reggimento, reclutato in Bosnia-Erzegovina, per il passaggio del Tagliamento presso Cornino, effettuato dopo altri infruttuosi tentativi del 33° reggimento di fanteria, e riuscito con la solita tecnica dell’avanzata nel fiume col favore dell’incerta luce dell’alba mentre l’artiglieria imperiale continuava a sparare.
Nella successiva battaglia d’arresto, gli austroungarici impiegarono spesso la tattica delle Strumtruppen. Un caso particolare, perché vide in azione un intero battaglione, fu l’attacco del 12 dicembre 1917 da parte dello Sturmbataillon 4 (al comando del capitano Kiihnel) alla quota dello Spiedon (1.476 metri) sull’Asolone, più volte riccamente descritto da un protagonista, il tenente Otto Gallian, allora comandante del plotone di punta della 99a Sturmkompagnie86. Il battaglione era stato strutturato su tre compagnie (88a, 99a, 8a) che portavano i
83 Gli austriaci riferiscono le perdite del III/II (46 morti e 311 feriti, il I/I 60 e 300 circa. Non sono note le perdite del 111/57°, un reggimento polacco utilizzato parzialmente per portare munizioni, specialmente bombe a mano, che perse il 25 per cento degli effettivi).84 Rapporto di combattimento del XX corpo d’armata n. 1159 del 3 luglio 1917: “Relazione su avvenimenti 25-26 giugno 1917”, in Aussme, F12, racc. 4.85 L ’Esercito italiano nella grande guerra (1915-1918), voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito 1917-1918, cit., all. n. 109: n. 14.250 del 31 luglio 1916, a firma Cadorna, pp. 504 sgg.86 Otto Gallian, Die Erstürmung des Spiedon am 11. Dezember 1917, “Militärwissenschaftliche und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 1/2, pp. 12-18; Id., Monte Asolone. Kampf um einen Berg, Leipzig, Hase & Koehler,
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numeri dei rispettivi reggimenti di appartenenza e che vennero riunite in questa occasione di impiego, disposte per l’attacco in questo ordine, e mosse fino al limite dei cespugli sotto la cresta nel corso della notte. A metà del fuoco di preparazione, che ebbe luogo dalle 7,30 alle 8,30, il battaglione mosse verso le linee italiane, anche se questo movimento era previsto per le 8.15, protetto nel primo tratto da una zona morta che i difensori non potevano osservare a causa della curvatura del terreno. I reparti ebbero a subire alcune perdite a causa della propria artiglieria, esperienza che accomuna i combattenti di tutti gli eserciti ma che nella fattispecie indica l’aderenza dell’appoggio fornito dalle batterie. Arrivati allo scoperto vennero accolti dal fuoco incrociato di due nidi di mitragliatrici italiane ed ebbero perdite considerevoli, restando pressoché bloccati, salvo che per gli spostamenti che gli abbondanti crateri esistenti rendevano possibili.
La situazione venne sbloccata dal comandante del battaglione che, con l’impiego di lanciafiamme, eliminò una mitragliatrice, probabilmente grazie anche al forte effetto morale che questa arma ebbe sugli altri difensori, consentendo alla 99a compagnia di prendere la posizione italiana. Il tutto era avvenuto prima che il fuoco di artiglieria austroungarico cessasse, per cui la massa dei difensori era ancora nei ricoveri e non poteva opporre resistenza. La compagnia del tenente Gallian su 97 uomini aveva avuto tra morti, feriti e dispersi 47 perdite, il che significa che in mancanza della copertu
ra della propria artiglieria l’azione sarebbe stata probabilmente stroncata dalla difesa italiana.
Poco tempo dopo, il 18 dicembre 1917, lo stesso Gallian partecipò a un attacco del 4° battaglione d’assalto alla posizione di Ca’ d’Anna (sul massiccio del Grappa), dove due comandanti di compagnia caddero, e il terzo rimase gravemente ferito. L’alta percentuale di perdite di ufficiali costrinse i comandanti a dare maggiore autonomia e responsabilità ai sottufficiali, per consentire il proseguimento dell’azione. Del tutto diversamente che dall’esercito italiano, la fiducia e l’autonomia accordata ai sottufficiali delle truppe d’assalto era molto alta. Ricorda Gallian:
Come comandante di compagnia d’assalto avevo osservato che proprio questo addestramento [collaborazione con mitragliatrici] aveva suscitato un grande interesse tra sottufficiali e uomini [...] senza comandanti di plotone. [...] Era un piacere stare a guardare come i comandanti di squadra e di nucleo mitragliatrici collaboravano in maniera eccellente dopo pochi giorni. [...] Le decisioni venivano prese dai sottufficiali, e persino, se io li escludevo, dai singoli soldati con sorprendente sicurezza87.
Molte delle riuscite conquiste di posizioni italiane del periodo vanno ascritte a operazioni di truppe d’assalto, come nel caso del monte Sisemol sull’altopiano di Asiago, preso dalle Sturmtruppen del Io reggimento Kaiserjàger88, oppure del gruppo di monti conosciuti come Melette (Fior, Miela, Bade- necche, Tondarecar), dove un battaglione di
1935, pp. 14 sg.; Id., Maschinengewehre im Gebirge, “Militärwissenschaftliche und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 9/10, pp. 595-605, qui pp. 600-601; si vedano inoltre le parti opera di Enrico Acerbi, in Heinz von Licheni, Alessandro Massignani, Marcello Maltauro, Enrico Acerbi, L ’invasione del Grappa. L ’attacco austro-tedesco di novembre-dicembre 1917, Valdagno, Rossato, 1993, pp. 295-300.87 Otto Gallian, Aufgaben des Sturmtruppführers, “Militärwissenschafltlihe und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 1/2, p. 32. La circostanza delle elevate perdite di ufficiali di truppe d’assalto è riferita anche da Jakoncig, cfr.: Guido Jakoncig, Tiroler Kaiserjäger im Weltkrieg. Eine Regimentsgeschichte in Bildern, Innsbruck, Universität-Verlag Wagner, 1931, p. XXXV.88 G. Jakoncig, Tiroler Kaiserjäger im Weltkrieg, cit., p. XXXIV.
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Kaiserschützen, tra le varie unità partecipanti, fu guidato all’attacco da una compagnia d’assalto, un sistema che era entrato in uso già da qualche tempo ed era stato utilizzato anche a Caporetto.
Nel 1918 ogni divisione di fanteria aveva costituito un proprio battaglione d’assalto che funzionava come centro di addestramento per la fanteria, ispirato in generale a una nuova circolare apparsa nell’aprile del 1918 che derivava a sua volta dalle esperienze tedesche. Le nuove norme d’attacco, cui a breve sarebbero seguite quelle per la difesa, delineavano lo sfondamento mobile, e vennero organizzati corsi per comandanti di reggimento a Bressanone e vicino a Codroi- po. Queste nuove regolamentazioni per l’attacco mutuavano molti dei principi base delle truppe d’assalto, come la sorpresa, l’accurata pianificazione e la tempestività delle varie azioni. Tuttavia, le analisi compiute dagli italiani e dagli alleati britannici non coglievano elementi di grande novità in questi cambiamenti nell’esercito austroungarico. La valutazione dell’esercito austroungarico effettuata dallo Stato maggiore britannico confrontandolo con quello tedesco, sulla base delle proprie esperienze sul fronte francobelga, era sfavorevole, e imputava l’arretratezza austroungarica alla necessità di operare su un terreno più difficile, ma anche a un esercito complessivamente assai meno solido.
Nello stesso periodo gli austroungarici previdero la riunione ai fini di specifiche operazioni offensive dei battaglioni d’assalto delle divisioni in gruppi d’urto, intensamente addestrati nelle retrovie, che dovevano rompere le difese nemiche. Queste notizie sono fornite da Farina, che ebbe l’opportunità di consultare documenti austroungarici catturati, ma nella pratica le procedure messe in atto durante la battaglia del giugno
1918 indicano che in genere gli austriaci attaccavano facendo aprire la strada ai battaglioni da una compagnia d’assalto. Naturalmente è difficile capire fino a che punto l’addestramento fosse stato diffuso nell’ambito delle unità di linea89.
In vista dell’offensiva che la monarchia dovette lanciare sul fronte italiano nel giugno 1918, l’addestramento di gruppi di battaglioni venne intensificato, prevedendo anche il forzamento di corsi d’acqua. Quando l’offensiva venne scatenata a metà giugno, conseguì sorprendenti successi parziali, nonostante lo stato delle truppe e dei rifornimenti fosse piuttosto precario. E proprio questi risultati, come le teste di ponte sul Piave o la conquista di importanti posizioni sul massiccio del Grappa, furono realizzati da unità d’assalto che costituivano la punta dello sforzo di penetrazione austroungarico.
Si trattò comunque — accanto a brillanti piccole operazioni sulle Alpi — del canto del cigno di queste formazioni speciali, poiché la fine della guerra non avrebbe consentito la realizzazione del proposito di addestrare la fanteria in generale, ma l’addestramento delle truppe d’assalto divenne comunque la base dell’addestramento moderno della fanteria.
Conclusioni
Il fronte italiano fu l’unico a vedere l’impiego di truppe d’assalto come tentativo di superamento delPimmobilismo della nuova forma di guerra che si era imposta. Le unità d’assalto si andarono affermando in relazione alle esperienze del fronte francobelga, dove anche l’artiglieria, per citare un altro caso di dottrina d’impiego tutta da studiare,
89 S. Farina, Le truppe d ’assalto italiane. Con cenni sulle truppe d ’assalto straniere, cit., p. 359-360.
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aveva avuto un’altra evoluzione, da un lato, e, dall’altro, anche per sopperire alle carenze delle unità. Infatti, nel caso delle truppe austroungariche si può notare come in determinati casi si sia ricorsi indifferentemente alle truppe d’assalto come a reparti organici di fanteria appartenenti a reggimenti particolarmente efficienti (come il 14° a reclutamento austriaco che riconquistò una posizione sull’Ortigara e il San Gabriele, o compagnie d’alta montagna per imprese particolarmente audaci dal punto di vista alpinistico e tattico).
Secondo diversi autori, come Istvan Deak o John Gooch, l’esercito austroungarico, ad onta dei rovesci — talora clamorosi — quando non era sostenuto dal potente alleato germanico, godeva di una certa superiorità sull’avversario, in particolare sul fronte italiano90. Questo giudizio può essere condiviso solo distinguendo i diversi periodi della guerra e vari livelli di analisi. Sul piano politico, strategico, in parte anche operativo, la prova della guerra non può che dare un giudizio univoco, per quanto si possano considerare elementi apparentemente estranei all’ambito dell’efficienza militare, come la fame, il tradimento, l’insufficiente produzione bellica o altro. Anche questi fattori entrano nel computo della guerra totale che impegna tutta la nazione, e fin dal 1917 l’esercito austroungarico non fu più in grado di condurre operazioni offensive contro gli italiani senza ricorrere all’alleato.
Diverso il discorso sul piano tattico. Analizzando molte operazioni sul fronte italia
no, si nota come fin dall’inizio l’esercito austroungarico abbia goduto di una certa superiorità, dovuta in buona parte al vantaggio acquisito dall’esperienza di un anno di guerra europea, un’esperienza che indirettamente viene riconosciuta quando la storiografia austriaca lamenta che i serbi avevano alle spalle le recenti guerre balcaniche. Il che è particolarmente evidente se si esaminano le prime avanzate contro il fronte dell’Isonzo, dove allo slancio delle fanterie italiane veniva opposto un fronte apparentemente neppure molto robusto, con trincee scarsamente profonde, ma bene armato di mitragliatrici e cannoni ben mascherati, mentre alla fanteria erano state distribuite considerevoli scorte di bombe a mano e davanti alle trincee era stato posato del filo spinato. Un quadro classico della grande guerra, ma una grande sorpresa per i teorici della tattica italiani91. Anche nell’evoluzione dottrinale gli austroungarici riuscirono a conservare, quantomeno grazie all’alleato tedesco, un vantaggio sugli italiani, e questo riguarda pure l’introduzione delle truppe d’assalto in quanto fanteria addestrata per quel tipo di guerra. Anche altri settori delle procedure di combattimento e dell’armamento, come lanciafiamme, lanciagranate, gas, artiglieria, subirono il benefico influsso dell’alleato. Soltanto per fare un esempio, il lancio di gas sul monte San Michele del Carso il 29 giugno 1916 fu una conseguenza diretta dell’addestramento effettuato sul fronte occidentale92.
Che in molti casi le truppe austroungariche siano state guidate da reparti specifica-
90 Istvan Deak, Beyond Nationalism. A Social & Political History o f the Habsburg Officer Corps 1848-1918, New York, Oxford University Press, 1990 (traduzione italiana: Gli ufficiali della monarchia asburgica. Oltre il nazionalismo, Gorizia, Ed. Goriziana, 1993); John Gooch, Italy during the First World War, in Allan R. Millet, Williamson Murray (a cura di), Military Effectiveness, voi. 1: The First World War, Boston, Unwin Hyman, 1988, pp. 157-189.91 La lettura del diario storico della 3a armata è istruttiva in questo senso e consente di percepire il disorientamento italiano davanti alla prassi austriaca che derivava da un anno di sanguinosa esperienza (in Museo storico 3a armata, Padova).92 Si veda il piano d’attacco austroungarico che prevedeva di respingere gli italiani fino all’Isonzo, in Aok, Op. Nr. 24.944, in: Ka, Nfa, Hf u. Hgk, 5. Op. Ak (1917), Karton 1598.
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mente addestrati per l’assalto, spiega almeno in parte alcuni esiti sfavorevoli per le armi italiane. Certo non del tutto, perché il vantaggio iniziale goduto dalla maggiore esperienza bellica austroungarica non venne colmato che con grande difficoltà. È comunque difficile riuscire a determinare il reale influsso dell’addestramento d’assalto sulla riuscita delle operazioni. Certo è però che le unità d’assalto avevano un ruolo importante nella condotta delle operazioni limitate e quando si trattò di effettuare operazioni importanti, vennero impiegate come apripista. Secondo il colonnello Hermanny- Mitsch l’addestramento venne intensificato prima di Caporetto proprio perché su questo si basava la superiorità sugli italiani93. Ma in queste operazioni influiva anche la diffusione — di cui è difficile accertare l’ampiezza — dell’addestramento all’assalto che avveniva per buona parte delle unità che inviavano a rotazione delle squadre a brevi corsi di 10- 12 giorni. Questa abitudine testimonia, se non altro, che lo standard dell’addestramento nell’esercito austroungarico era superiore, benché una larga parte della massa dai combattenti fosse profondamente logorata dalla guerra, ma anche che attori principali delle operazioni rimanevano i reparti scelti.
Se in molti casi gli italiani si ostinavano a non trarre tutte le conseguenze dalle esperienze altrui o proprie, spesso riuscivano però ad avere ben chiari i motivi del successo
avversario. Infatti, mentre per le piccole azioni avversarie subite nella guerra di posizione di norma l’attenzione dei comandi era rivolta unicamente alla ricerca delle responsabilità, un esempio di chiara analisi è offerto dalla riconquista austriaca dell’Ortigara, che venne così giudicata dal XX corpo d’armata italiano:Non è già che il 25 giugno il nemico si sia avvalso di metodi nuovi, e di mezzi non ancora conosciuti, e che abbiano potuto sorprenderci. In realtà non ha fatto che impiegare per la prima volta sull’altipiano i noti mezzi d’offesa più moderni, concentrandoli per questa operazione dell’Ortigara94.
Nonostante ciò, nel corso del 1917 l’introduzione delle truppe specificamente addestrate per la guerra di trincea nell’esercito italiano avvenne in maniera assai meno sistematica e con considerevoli ritardi rispetto all’avversario. Nel 1918, però95, l’esercito italiano, probabilmente sotto la spinta degli eventi, recuperò il terreno perduto sotto il profilo delle procedure di combattimento e riuscì a mettere in pratica i molti insegna- menti recepiti sia dall’avversario che dagli alleati, schierando così un esercito con un’efficienza complessiva a livello degli altri contendenti. Le truppe d’assalto costituirono un passo in questa direzione, sebbene attuato con una eccessiva lentezza rispetto all’avversario.
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93 Hermanny-Mitsch, Die Durchbruchschlacht bei Flitsch im Oktober 1917. Die Ereigniße bei der 22. Schützendivision im Allgemeinen und beim Kaiserschützenreiment Nr. lim Besonderen, Absam bei Hall in Tirol, s.d., p. 15.94 XX corpo d’armata n. 1159 del 3 luglio 1917: “Relazione su avvenimenti 25-26 giugno 1917”, p. 3, in Aussme, F12, racc. 4.95 Per esempio, si può vedere il Breviario tattico del maggiore Cesare Festa (Milano, R. Ghirlanda, 1918) per verificare come la guerra avesse cambiato i procedimenti dell’esercito.
Alessandro Massignani vive e lavora a Valdagno, dove svolge attività commerciale nel settore dei servizi. Si occupa di storia militare da quando era in servizio nell’esercito; ha studiato in particolare le due guerre mondiali, con ricerche negli archivi italiani, austriaci e tedeschi e collabora regolarmente a diverse riviste storiche. Tra i suoi lavori: Alpini e tedeschi sul Don, Valdagno, Rossato, 1992; Rom- mel’s North Africa Campaign. September 1940-November 1942 (in collaborazione con Jack Greene), Pennsylvania, Combined Books, 1994; La guerra aerea sul fronte italiano, in Paolo Ferrari (a cura di), La grande guerra aerea 1915-1918, Valdagno, Rossato, 1994.